GIOVANNI G. OLIER
Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI
IMPRIMATUR: In Curia Arch.Mediolani die 27 – II – 1935 F. MOZZANICA V. G.
CAPITOLO VI.
Della superbia
L’umiltà è il mistero delle virtù e la più difficile ad intendersi, perciò aggiungiamo questo capitolo sulla superbia, che potrà fornire qualche schiarimento e contribuire a far conoscere l’umiltà con maggior chiarezza.
I
Motivi per detestare la superbia.
La superbia è un mostro spaventoso che va sempre crescendo e non ha limiti nei suoi eccessi: il cuore del superbo non è soddisfatto affinché non diventi Dio. Nella sua stolta e sacrilega impresa procede per gradi e va di desiderio in desiderio (superbia eorum qui qui te oderunt ascendit semper, Ps, LXXIII, 23): il demonio, invece, d’un colpo si abbandonò al desiderio più eccessivo dell’orgoglio, esprimendo sfacciatamente la sua pretesa. Mi innalzerò e sarò simile all’Altissimo. Tale fu pure il pensiero che esso ,suggerì ad Adamo: Sarete come Dei (Isa. XIV, 14 – Gen, III, 5). In tal modo, Nabucodonosor e gli altri principi si fecero adorare come divinità. Così pure alla fine dei secoli l’Anticristo siederà sugli altari al posto di Gesù Cristo (Matth. XXIV, 15). Ed è questa nei cuori la pretesa di quest’orribile vizio: il principio della superbia è di apostatare da Dio (Initium superbiæ hominis apostatare a Deo. Eccli. X, 7), la sua pretesa è di mettersi al posto di Dio e diventare nientemeno che Dio. Perciò, il superbo è oggetto di esecrazione per Dio e per gli uomini (Eccli. X, 7). Tutto l’essere di Dio gli resiste pienamente, per l’interesse naturale che per così dire, Dio ha di conservarsi, anzi, di distruggere ciò che lo vorrebbe annientare. In quella guisa poi che una famiglia tutta intera insorge con il servo traditore che vorrebbe distruggerne il padre che ne è il capo; così tutta la creatura si trova naturalmente compresa di esecrazione contro il disgraziato che, pieno di superbia, tende a detronizzare Domeneddio e distruggerlo. Per questo motivo nel castigo del peccato di superbia nei demoni, tutti gli Angeli di comune accordo si trovarono uniti con Dio per abbatterli e distruggerli. Non è dunque senza fondamento che la Scrittura dice che Dio resiste ai superbi (Jacob. IV, 6) ciò che non dice degli altri vizi; perché il superbo se la prende direttamente con Dio, e ne prende di mira la Persona medesima; perciò Dio resiste a tali insolenti e orribili pretese; e siccome vuole conservare il proprio Essere, Egli abbatte e distrugge tutto quanto insorge contro di esso. – Donde avviene che l’Ecclesiastico, dopo aver detto che l’inizio d’ogni peccato è la superbia, aggiunge: Chi a lei si abbandona sarà colmato di maledizioni, ed essa alla fine lo manderà in rovina. (Eccl., X, 15). Il Signore, quando non solo da sé stesso, ma anche per mezzo delle sue creature avrà colmato i superbi di maledizioni, finirà col distruggerli, non solo nella loro persona, ma pure in tutta la loro generazione. Distruggerà i loro beni e rovinerà le loro case sino alle fondamenta. Poi ancora, onde manifestare l’orrore che prova verso l’orgoglio, ne cancellerà persino la memoria, che è pur la traccia più leggera che l’uomo possa lasciare su la terra; come se qualcuno, dopo distrutta una statua di cui avanzasse qualche ombra, volesse giungere sino alla distruzione di quel po’ d’ombra. – Tale è la severità che Dio esercita contro il superbo, quando vuole distruggere la memoria (Memoriam superborum perdidit Deus. Eccli., X.). –
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Da quel maledetto disegno del superbo proviene la sua perpetua infelicità in questa vita, in attesa del giudizio di Dio in morte e dopo morte. Infatti, la pretesa del superbo che, nella sua costante ostinazione, persiste nei suoi disegni, si trova sempre di fronte alla mano onnipotente di Dio che gli resiste e lo schiaccia, quindi quale può mai essere la vita di un essere così miserabile? Il superbo sempre si innalza e sempre Dio gli resiste. Il superbo è sempre in moto e in agitazione, e sempre sente il peso della destra di Dio che lo respinge e ne schiaccia l’orgoglio. Se qualcuno si innalza contro Dio, Dio è sopra di lui e lo schiaccia. In tali condizioni quale pace si potrebbe mai avere, quale gioia e quale riposo nello spirito? – Ma oltre che una tale ripulsa da parte di Dio è direttamente opposta alla pretensione del superbo, la sua pena è tanto più grave e universale che questo vizio innalza universalmente tutti i desideri dell’uomo. L’orgoglio, infatti, spinge alla grandezza in tutto ciò che è nell’uomo; e poiché la pretesa del superbo, in sostanza, è di farsi Dio, in cui tutto è infinitamente grande e perfetto, ne avviene che vuol essere lui pure grande in tutto. Il superbo vuol essere grande nelle ricchezze, nei possedimenti, nei mobili, nelle dignità, nelle cariche, negli onori; primeggiare nella bellezza, nella forza, nella scienza; grandeggiare insomma in ogni cosa. Ma siccome non può aver tutto, quanto più estesi sono i suoi desideri, tanto più trova occasioni e motivi di inquietudini e di pena. La privazione lo ammazza, il bene che vede negli altri lo opprime; il superbo, insomma, presenta lo spettacolo più funesto e più penoso che vi sia. Per altro, quale follia e quale accecamento di sentirsi e vedersi così povero, vile e miserabile, eppure volersi considerare come capace di essere tutto e di possedere ogni cosa! Il desiderio del superbo lo innalza e la sua impotenza lo abbatte e lo avvilisce. Tale è la contraddizione che il superbo prova in sé medesimo.
II
Natura della superbia.
Differenza tra desiderio e appetito. — Stato felice dell’uomo prima del peccato. — La superbia è un desiderio eccessivo della propria eccellenza. — Illusioni in proposito. — Come riconoscerle.
La superbia è un desiderio eccessivo della propria eccellenza. Dapprima, notiamo che essa è un desiderio; non è un appetito, ossia una semplice inclinazione. L’appetito è un movimento naturale e necessario, che trovasi in noi senza di noi, e anche contro il nostro desiderio. Ma il desiderio è un movimento libero, una inclinazione che noi liberamente approviamo col nostro consenso; il desiderio è in noi, ed è conforme alla nostra volontà che ne è la madre e la padrona. L’appetito eccesivo di grandezza trovasi in noi in conseguenza del peccato originale, per il principio di quella generazione maligna che ha riempito la nostra carne della sua abominevole corruzione dimodoché la nostra carne ha infettato il nostro spirito, a tal segno che il complesso dell’uomo, rivestito e riempito di questa infezione e di questo seme maledetto, ci rende in sostanza simili al demonio (Joan. XIII, 14). Perciò, agli occhi di Dio, noi siamo orribili, abbominevoli, esecrabili.
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Dio, formando l’uomo a sua immagine e animandolo dalla sua vita divina, aveva impresso in lui la somiglianza delle sue perfezioni; l’uomo teneva il posto di Dio sulla terra, ed ogni creatura doveva rendergli, come alla persona di Dio, onore, omaggio e rispetto. L’uomo allora era grande e perfetto, essendo intimamente unito e aderente a Dio che si rendeva sensibile in lui; riceveva pure tutti gli onori ed omaggi che si rendono alla divinità, ma unicamente per Dio e in Dio, senza nulla appropriare a se stesso. Stabilito nell’essere e nella vita di Dio, l’uomo contemplava, in Dio e come Dio stesso, la divinità di cui era ripieno; rapito dalla bellezza e dalle perfezioni di Dio, era tutto infiammato del divino amore e, inoltre, trasformato in Dio e tutto deificato. Nella luce ammirabile che rischiarava la sua mente, egli vedeva e contemplava Dio in tutte le creature, ad imitazione della vista che Dio ha di se stesso in tutte le sue opere, secondo queste parole di Mosè: Dio vide tutte le cose che aveva fatte e trovò che erano molto buone (Gen. III, 31). Insomma, in un tale stato ammirabile e divino, nell’aderenza ed intima unione a Dio, l’uomo era un’opera eccellente e perfetta. Allora egli non si appropriava nulla; nulla lo allontanava da Dio; godeva di ogni cosa in Dio; non vedeva sé stesso in nulla, ma non vedeva in sé medesimo che Dio, Dio eccellente, perfetto e degno di ogni onore e di ogni lode. – Così S. Paolo, parlando dei Cristiani, dice che devono giungere sino a tale semplicità da essere una cosa sola con Gesù Cristo, nel quale sta tutta la loro gloria: Qui gloriatur in Domino glorietur. (II Cor. IX, 17). Dal difetto di tale semplicità e unità nasce in noi l’amor proprio, la ricerca della nostra propria eccellenza. In questo modo, Angeli e uomini si sono perduti, distaccandosi da Dio per attaccarsi a sé medesimi; ricercando la propria eccellenza sono diventati superbi. Donde avviene, come dice la Scrittura, che « il principio della superbia è di apostatare da Dio », staccarsi da Dio per ricercare il proprio interesse. Il demonio tentò di separar uomo da Dio dicendogli: Sarete come dei; esso fece sì che l’uomo distogliesse il suo sguardo da Dio per portarlo sopra sé stesso; quindi gli suggerì e gli insinuò il desiderio di essere Dio e di comparire tale agli occhi di tutta la creazione, per riceverne gli omaggi al posto di Dio, usurpando per sé medesimo tutte le lodi che si rendevano alla divinità.
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Nell’uomo adunque vi sono due cose: un appetito sregolato, e un desiderio eccessivo di grandezza e di eccellenza propria. L’appetito non è il peccato di superbia, benché sia un avanzo del peccato ed un effetto del demonio che ha corrotto la nostra natura e depravato in noi gli istinti di Dio. Ma il desiderio, l’aderenza, la volontà formata ed attuale di assecondare questo appetito, questo è il peccato di superbia. L’appetito è un movimento cieco della natura corrotta: il desiderio invece è un movimento ragionato e accompagnato dal lume e dall’avvertenza della ragione. Orbene, il male che si fa con avvertenza e con libero consenso è peccato. Se questo desiderio è ardente e per una cosa eccessiva, è peccato grave.
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In secondo luogo, la superbia è un desiderio della propria eccellenza; vi è una eccellenza e una perfezione che sono lodevoli e che Dio medesimo riconosce: Siate perfetti — ha detto Gesù Cristo — come il Padre celeste è perfetto; e ve n’è un’altra che è viziosa: l’eccellenza in sé stessa e per amor proprio. È buono il desiderio dell’eccellenza quando sia regolato secondo un fine buono; è male quando è ordinato ad un fine cattivo; ma riguardo al fine sovente si è vittima di illusione, per non ingannarci bisogna esaminare gli effetti. Dio ha stabilito che la sua creatura diventi perfetta e ricerchi l’eccellenza, ma unicamente per l’amore di Lui e del prossimo. Vuole che siamo perfetti per amore di Lui, e che facciamo opere buone ed eccellenti affinché Egli ne sia onorato e glorificato. – « Si veggano, — dice Nostro Signore, — le vostre opere buone, affinché Dio. — che è nascosto in cielo e sconosciuto al mondo, — sta veduto e conosciuto sulla terra per mezzo della perfezione e delle opere che compirà in voi. Orbene, per vedere se operiamo per Dio, bisogna osservare se dalle nostre opere buone non vogliamo ricavare stima e lode per noi medesimi, se non ce ne gloriamo punto, se non abbiamo piacere di riceverne stima e onore, se ci prendiamo cura di riferire tutto a Dio col desiderio che Egli solo sia stimato e glorificato in sé stesso e da sé medesimo. Dio vuole pure che vi siano persone buone e perfette, per il bene del prossimo ed il sollievo delle sue miserie. Orbene, per conoscere se assecondiamo questo disegno di Dio, dobbiamo esaminare se dedicandoci al sollievo del prossimo abbiamo per fine il suo bene, ovvero se operiamo per nostro interesse, se guardiamo la nostra persona e ricerchiamo noi medesimi; se ci occupiamo di noi per attirarci la stima e ne proviamo compiacenza; osservare insomma, se ricerchiamo qualche utile per noi medesimi. Così degli altri uffici; molti infatti, o non pensano che a gloriarsi e innalzarsi sopra gli altri e ad attirarsi lodi e onori; o non cercano che lucro e guadagno, questi fini ben s’intende, non sono nelle intenzioni e nei disegni di Dio. – Il superbo ricerca l’eccellenza, non già precisamente per il pregio della bontà, né per unirsi a Dio che è il Padre di ogni eccellenza e l’oceano di ogni perfezione; ma la ricerca per sé medesimo e per il proprio vanto. Così, per quel maledetto amor proprio, si cambia l’ordine elle cose; infatti, secondo l’ordine, ciò che è minore ed imperfetto deve essere riferito a ciò che è eccellente, e non già ciò che è eccellente a ciò che è meno perfetto. – L’Essere di Dio non può entrare in nessun composto di nessun genere; persino in Gesù Cristo, rimangono distanti de due nature divina ed umana. Essendo infinitamente perfetto, l’Essere di Dio, non può riferirsi a cosa alcuna come ad un fine, mentre tutte le cose esistono per Lui: eppure il superbo riferisce Dio a sé stesso. Tale è l’effetto del peccato, di sconvolgere l’ordine e la natura delle cose; ma in particolare tale è l’effetto della superbia, dell’amor proprio, di attirare tutto a sé e di appropriarsi tutto; mentre l’ordine della carità vuole che noi usciamo di noi stessi e ci portiamo nell’Essere perfetto, onde unirci a Lui ed essere perfettamente consumati in Lui. È questa l’ammirabile abnegazione di sé medesimo praticata da chi è animato dalla pura virtù di Dio, il quale santifica la sua creatura e viene in essa onde portarla al suo fine. La creatura si unisce così all’Essere sovrano e perfetto, e dimentica tutto quanto vi è nel proprio essere tanto imperfetto; così si rivolge a Dio che è la sua fonte e dove sta la sua perfezione; e in Dio essa riceverà un essere più eccellente di quello che possiede. Dio, infatti, l’aspetta per consumarla in sé medesimo, rendendola partecipe dell’Essere eminente della sua divinità. L’amor proprio invece cerca di abbassare Dio sino a sé medesimo e farlo servire alla propria superbia. Infatti, per uno spaventoso accecamento, chi segue l’amor proprio considera Dio in sé stesso e nelle sue perfezioni come cosa sua propria, si gloria di tutto ciò che possiede e che è pur partecipazione di Dio, come se fosse cosa sua e provenisse da sé medesimo: così non vede punto la causa che diffonde in lui con immensa carità, quel bene e quelle grazie. Ecco il furto, l’ingratitudine, l’insolenza della superbia. Ché se l’anima infetta dalla superbia non arriva all’eccesso di considerare Dio in sé stesso come cosa sua o di ritenersi indipendente da Dio nei suoi desideri, essa almeno nutre la persuasione che ]’eccellenza dei suoi doni proviene dai propri meriti e dal proprio lavoro; ed è questa un’altra specie di superbia che si chiama arroganza, per la quale l’anima attribuisce a sé medesima e ai suoi meriti ciò che non ha ricevuto che per grazia e misericordia di Dio, mentre Dio è in noi la nostra luce, la nostra buona disposizione, la nostra vita, la nostra virtù e il nostro tutto; senza di Lui non siamo capaci né di pensare, né di volere, né di fare nessun bene in nessun modo.
II.
Dei gradi della superbia.
Il superbo cerca di essere onorato, — anche con le umiliazioni. — Fa su la terra quanto ha fatto il demonio in cielo. Quella falsa e maledetta persuasione di cui abbiamo detto, è il fondamento di tutto l’eccesso della superbia. Quell’accecamento della mente è il principio degli iniqui desideri della volontà. Tantoché in conseguenza di tali funeste illusioni e di tali maledetti errori, l’uomo, confusamente e senza riflessione né esame, crede di essere qualcosa di grande: è questo un vero inganno, perché se si esaminassero un po’ le cose con l’occhio della fede, sì riconoscerebbe facilmente la propria illusione; in conseguenza dunque di quella funesta persuasione di essere da sé qualche cosa di grande, e di aver molto valore per proprio merito, si pretende aver diritto a ricevere da tutti onore, rispetto e lodi; questo si ricerca, sia apertamente, sia di nascosto, con ogni mezzo possibile, fino al punto di umiliarsi e disprezzare sé stesso per essere onorato. Il superbo poi se non riceve quell’onore e quella lode che aspetta e vuole, ne resta offeso e rattristato, disprezza quelli che non lo lodano, quasiché non conoscano il suo merito; si innalza sopra di essi per il disprezzo che ne fa e giunge persino alle ingiurie e alle dispute. Ché se non ottiene l’onore e le lodi, egli però crede di meritarle con tutta evidenza; se qualcun lo loda e lo approva, quegli diventa per lui oggetto di benevolenza e di amore e persino di ammirazione, Oh follìa! Come se gli uomini siano capaci di onorarci! La loro stima, quale vantaggio ci procura? Il loro disprezzo che cosa ci toglie? Queste sono cose per noi assolutamente esteriori e debbono esserci indifferenti. Quali giudici possono mai essere gli uomini? Essi sono o ciechi o maligni. Se sono ciechi, non sono capaci di giudicarci; perciò la Scrittura dice: « Gli uomini non vedono che l’esterno, Dio solo vede l’intimo del cuore » (I Reg. XVI, 7); se sono maligni, faranno l’elemosina di un po’ di adulazione mentre nel loro cuore si burleranno di noi. Gli uomini sono maligni e superbi, quindi l’onore lo vogliono per sé medesimi; state certi che se ve ne rendono, è soltanto con malizia, come dice la Scrittura: « L’uomo cattivo si umilia e si abbassa davanti a voi », per costringervi ad amarlo ed onorarlo, per comperare le vostre lodi col tributarvi le sue, e per ricevere onore più che non ve ne renda. Il superbo si innalza sempre e fugge il disprezzo; se si abbassa non è che per evitare di essere respinto e confuso, e per meritarsi accoglienza e lode. – L’anima, in conseguenza di questa stima, di questa lode e adorazione che desidera, si procura, o riceve, si fissa e si eleva in sé stessa, come su di un trono, al disopra di tutti. Vede sé stessa come una persona singolare (Singulariter sum ego. Ps. CXL, 10.); internamente considera sé stessa come unica nel proprio valore, quindi arriva a credere di essere unica come Dio. Si immagina di essere sapiente più di tutti o di posseder qualche capacità speciale ed unica. – Da qui nascono i disastri e i maledetti effetti della superbia; perché prima essa era ancora timida, non aveva ancora che il proposito e il desiderio di stabilirsi nell’anima, non ne aveva ancora preso possesso, né vi aveva fissato il suo trono e la sua sede; ma appena si sia introdotta nell’anima e vi si sia fortificata, essa incomincia subito a causarvi mali orribili.
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Tale fu l’opera del demonio in mezzo agli Angeli, nel Cielo, dove fece tre mali spaventevoli; ed è pure il danno che uomini superbi portano nella società umana. In primo luogo, lo spirito che si è stabilito nella cieca persuasione del suo valore singolare, siede in sé medesimo, come il demonio, sul trono di Dio; disprezza Dio e lo bestemmia in sé stesso. Perciò il superbo nella Scrittura viene chiamato Bestemmia (Super capita ejus nomina blasphemiæ. Apoc., XIII, 1). Nell’Apocalisse, il demonio porta sulla fronte questa parola. Nel suo disprezzo di Dio il superbo fa ogni sforzo per innalzarsi e mettersi al posto di Lui. In tal modo si comporta pure l’inferiore arrogante e superbo, quando abbia lasciato penetrare nel proprio spirito la falsa stima di sé medesimo e la persuasione intima e cieca del proprio valore. Benché si nasconda spesso sotto il manto dell’umiltà, perché è questa una virtù molto apprezzata e necessaria per godere un po’ di stima, non di meno egli si fissa nella persuasione che debba essere onorato. Dimodoché se gli accade di essere disprezzato, respinto o condannato, si agita, sì rivolta, condanna, mormora, disprezza, spodesta nel suo spirito ogni potestà superiore, si mette al disopra di tutti, cerca qualcuno che lo ami e lo stimi, si procura amici e soci che con lui si accompagnano e insieme si innalzano in una comune cospirazione. – Un’anima in cui sia così radicata la stima di sé stessa e la convinzione del proprio valore per la considerazione delle sue virtù esteriori, si costituisce al disopra di tutti: essa giudica di tutto e decide di ogni cosa, ma sempre in proprio favore e a condanna degli altri. Segretamente, essa cerca sempre di regnare su tutti gli uomini, o almeno su di una parte di essi, nulla tralasciando per giungere al compimento dei suoi desideri. – Il secondo male che fece il demonio in Cielo fu di distogliere i suoi fratelli dalla sottomissione a Dio, di formare un bando a parte e così dividere, con la sua rivolta, il regno di Dio, rovinare la comunità celeste e distruggere quell’opera che Dio aveva formato con tanta compiacenza. Così, sia per dispetto contro Dio che sta sempre nel suo posto e sul suo trono divino, sia per la smania di essere onorato ed avere devoti adulatori e adoratori, egli sconvolgeva la società e gli ordinamenti del Cielo. – L’uomo superbo causa il medesimo danno nelle comunità. Egli, sia come nemico della superiorità altrui che lo umilia e condanna il suo modo di comportarsi, sia per amore di adulazione e di lode, ovvero per desiderio di appoggio, di conforto e di consolazione nei suoi disinganni e nelle sue desolazioni, non tralascia mai di suscitare scismi e divisioni; animato da un odio segreto, esso vorrebbe distruggere, se potesse, la bontà dei suoi fratelli, benché ne dovesse egli stesso venire in esecrazione al cospetto di Dio. – Il terzo male di cui si rese colpevole il demonio, fu di disprezzare e sconvolgere la legge di Dio in Cielo e sulla terra. Perché dopo aver distrutto nei suoi fratelli la religione e l’unione che sono le due leggi capitali del Cielo, egli discese su la terra e nel Paradiso terrestre, per sconvolgervi di nuovo con la sua maledetta suggestione, tutta la legge di Dio. Dio aveva detto all’uomo che se mangiava del frutto proibito ne morrebbe; il demonio invece gli disse che se ne mangiasse, non morrebbe punto, ma sarebbe uguale a Dio (Gen. II, 17; II, 4-5). Così fanno i superbi in tutta la società; se la prendono infine con la legge e tentano di sconvolgerla e di distruggerla.