LA VITA INTERIORE (16)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (16)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

LA MORTE MISTICA

LA VITA NUOVA.

L’Apostolo Paolo dice che il Cristiano, per mezzo del Battesimo è morto e seppellito in Gesù Cristo, e dal Battesimo ne esce risuscitato a vita nuova, col dovere di vivere questa vita nuova… sul modello della gloriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Come si può, e si deve, vivere questa vita nuova? La vita di unione con Gesù esige la vita di Gesù in noi ed esclude la vita del nostro io, fatto di amor proprio e di orgoglio. Questa esclusione della vita del nostro io, ci porta alla necessità del distacco da tutto ciò che non è Dio e che a Dio non conduce; alla dimenticanza di noi stessi, alla morte mistica del nostro io.

IL DISTACCO DA TUTTO E DA TUTTI.

Tra gli elogi che venivano fatti ai primi Cristiani, v’era anche questo: che essi vivevano nel mezzo del mondo, ma vi erano col corpo, non col cuore, ed erano, con ciò, perfettissimi. – Se questo giudizio era detto dei primi Cristiani, è logico che debba essere ripetuto di ogni anima cristiana. Ecco, adunque, il nostro preciso dovere: vivere in mezzo al mondo, compiere tutti i nostri doveri dell’Apostolato nel mondo, come se nel mondo noi non vi fossimo. Esso, è il vero distacco secondo l’invito di Gesù: Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, e mi segua. L’abnegazione che Gesù richiede alle nostre anime è il distacco perfetto da tutto ciò che si oppone a Dio. Ecco, per questo, una regola che oserei dire infallibile e che tolgo dal libro tanto prezioso degli Esercizi di S. Ignazio di Loyola. Dopo d’avere affermato, e provato, che Dio è il nostro ultimo fine, il santo così dice: « Tutte le creature che esistono sulla terra vi sono poste in vista dell’uomo, per aiutarlo a perseguire e raggiungere il suo fine: dal che ne deriva che noi non dobbiamo usare di esse che finché ci sono di aiuto, disprezzarle, fuggirle nella misura che c’impediscono di pervenirvi » (Esercizi Spirituali, 2a Settimana, Fondamento.). – Questa verità formulata dal santo fondatore della Compagnia di Gesù, dice Monsignor Gay, non ammette contestazione ragionevole; la conclusione che il santo ne trae è assolutamente rigorosa, implica fin d’ora una legge che non si potrebbe ignorare. Questa legge domina tutta la nostra vita terrena e la deve governare al di fuori e al di dentro; si applica tanto bene alle affezioni che alle azioni. Là sta il gran segreto, conclude Mons. Gay, del santo svincolamento dell’anima; e cioè del distacco da tutto ciò che non è Dio, concludiamo noi. V’è ancora un qualche cosa di più. Lo diciamo con le parole di san Francesco di Sales: O Signore, no, non eccettuo niente, strappate me a me stesso. O mio me stesso, io ti lascio per sempre, fino a che Dio mi comanderà di riprenderti.

LA DIMENTICANZA DI SÈ.

Il distacco è generico e comprensivo: comprende lo spogliamento generale dell’io; la dimenticanza è più ristretta e specifica, e riguarda, precisamente, soltanto noi stessi. Giova insistere: quando un’anima si dona, si consacra a Dio, non appartiene più a sé. Non esiste più di fronte alla propria volontà, nella visione della sua intelligenza come in quella de’ suoi occhi: vive unicamente in Colui al quale si è offerta; non ha più interessi e considerazioni proprie, ma solo quelli e quelle dello Sposo celeste. Dimenticare sé stessa, ecco, adunque, la più grande legge della vita di ogni anima. « Dimenticare se stessa, dice lo Schryvers (Il dono di sè, pag. 193) significa escludere dalle proprie azioni, sofferenze e preghiere, ogni calcolo umano, ogni pensiero retrospettivo di amor proprio, ogni i intenzione egoistica ». Dimenticare sé stessi significa accettare semplicemente dalla mano di Dio tutte le croci, tutte le contrarietà senza lamentarsene, senza prevalersene, senza esaminarne la durata, la natura, come se colpissero un altro. – Dimenticare se stessi, significa moderare la ricerca delle soddisfazioni personali, fuggendo le illecite, e prendendo tra le altre, solo quelle che la Provvidenza stessa ha preparato. Dimenticare se stessi significa stimarsi al giusto suo valore, ossia come una nullità e come un peccatore; significa sbarazzare la memoria sua e quella degli altri, della propria persona, delle proprie qualità, delle proprie opere; significa evitare anche uno sguardo ansioso e troppo prolungato sulle proprie debolezze. Questo sguardo ansioso e troppo prolungato sulle proprie debolezze è sempre una vittoria dell’animæ hostis e dell’amor proprio. – Ancora: « Dimenticare se stessi, significa sparire ai proprii occhi, con un atto di volontà, per non ritrovare in sé e negli altri, nelle persone e nelle cose, altro che Gesù e la sua volontà ». Fermiamoci. Qualche anima potrebbe, qui, domandarci: Sono possibili tutte queste dimenticanze? E come? Sì, rispondiamo recisamente. Ed è sempre e solo possibile per l’anima che ricorda la Passione e morte di Gesù; per l’anima che, meditando lo spogliamento totale di Gesù, per amore nostro, si lancia nell’oceano dell’amore divino; cioè, di questo santo amore divino ch’è parte dell’unica realtà, di Gesù, re di amore. L’anima che sente questo amore si compiace d’essere spogliata di tutto; è felice di vedersi togliere tutto quello che forma la gioia o la felicità delle anime ordinarie. Queste possono, e vogliono, prevedere o prevenire il loro futuro, cercare, combinare piani di battaglia, scomporre giochi faticosi di equilibrio; fabbricano progetti e li distruggono, scelgono liberamente le loro occupazioni, le distrazioni, i diporti, i piaceri; vanno a caccia delle proprie soddisfazioni egoistiche e prepotenti; sono avide della stima e della considerazione degli altri uomini; dànno, o ricusano, saltuariamente, ma volontariamente, il loro affetto, anzi la loro intimità; scherzano sulla meschina quotidiana politica delle anime piccine, ingannano gli ingenui; cambiano, come si dice, le carte in tavola, negli affari, successivamente e in breve volgere d’istanti; sono, in una parola, immersi nella vita del giorno e non conoscono le gioie del vero amore. Per questo vero amore, invece, le anime generose scelgono ed abbracciano le rinunzie, le mortificazioni, l’annientamento assoluto del proprio io; per questo vero amore le anime imparano a dimenticare se stesse e ad abitare nelle profondità di Dio. In questo modo l’anima appartiene a Gesù e ama solo Lui,  ardentemente, e gli esprime questo amore in tante differenti maniere, e lo ama ininterrottamente: nelle tribolazioni, nelle tentazioni, nelle tenebre, nelle desolazioni, come nei momenti di luce e di consolazione.  Quest’anima che vuole amare Gesù non gli chiede mai conto della sua condotta verso di lei. È come l’argilla nelle mani del vasaio. Vede, essa, che Gesù le dà un aspetto strano, apparentemente incomprensibile, ma l’argilla non può chiedere all’artista: perché mi forgi in questa maniera? L’anima che così vuole amare Dio lo serve anche con tutta la prontezza della sua obbedienza. Talora questo servizio è gradito e conforme alle sue delicatezze, e l’anima allora, benedice il Signore, lo ringrazia e accetta questa soddisfazione senza indugiarvisi sopra. Talora, invece, il servizio divino è pesante, doloroso, sanguinoso: espone l’anima a lotte, a contrarietà, a incontri penosi, umiliazioni spiacevoli, a incomprensioni angosciose. Allora l’anima ricorda che non si possiede l’amore se non per mezzo del dolore, e che il dolore è sempre l’ambasciatore di Gesù. « Perciò, dice molto opportunamente lo Schryvers (O. c., 198), l’anima che ha dimenticato se stessa, non presta attenzione a ciò che la fa soffrire, la mortifica o l’umilia. Non vive per se stessa, ma per il Maestro. Non nota l’ingiuria fattale, il disonore del quale è ricoperta, il disprezzo di cui è oggetto. Come potrebbe accorgersene essa che non è più? Imperturbabile prosegue l’opera compiuta per la gloria di Dio, dovesse anche soccombere sotto il suo compito, dovesse essere schiacciata sotto i colpi dell’insulto e della persecuzione.

» La semplicità e il disinteresse dell’anima sono spesso motivo di stupore in questo mondo, dove tutto è finzione ed egoismo. Le creature cercano, talvolta, di sfruttare, a loro profitto, tale ingenuità, le tendono tranelli e cercano di sorprendere la sua buona fede. Ma l’anima semplice, non è suscettibile di sorpresa. Non si tratta con essa, ma con Dio, non si cerca d’imbrogliare o raggirare essa, ma Dio medesimo ». L’amore ci persuade a dimenticare noi stessi. Ma non solo l’amore. Tutte le cose create invitano l’anima a dimenticare se stessa. – Non è Dio, infatti, il principio e il termine d’ogni cosa? Egli ha, perciò, diritto di sovranità su tutto, e tutto deve dipendere da Lui. Se dipendiamo da Lui, non è giusto ch’Egli solo regni e che noi ci dimentichiamo, per ricordare Lui solo? Tutto, fuori e dentro di Noi, ci avverte del nulla da cui fummo tratti, e tutto c’indica l’Artista che ci ha creato. Non importa se, non ostante questa constatata  realtà, al Dio Creatore e Giudice che esige il dovere della sottomissione dell’uomo, questi risponde anche con una sfida insolente. Quante volte si potrebbe ripetere col profeta: Stupitevi o cieli! Il bue conosce il suo padrone e l’asino colui che lo nutrisce: ma tu, o Israele, non conosci il tuo Dio (Isa.I, 3). Ho nutrito ed allevato molti figliuoli, ma essi mi hanno disprezzato (Io. I, 2).

LA MORTE MISTICA DEL NOSTRO IO.

Distacco da tutto, dimenticanza di sé, morte del nostro io. Tutta la vita di Gesù Cristo sulla terra, fu croce e martirio; una morte continua, morte mistica, completata con la morte naturale sulla croce. Perché la vita mistica, la vita d’unione di noi con Gesù sia stabile e completa, occorre che noi vogliamo e cerchiamo di morire a noi stessi. Ecco i vari e differenti gradi di questa morte mistica.

1) Morte al peccato. Il peccato è l’unico male, esso non può stare con Dio. La morte ma non peccati, fu il proposito preso e mantenuto dal ven. Domenico Savio, il pio alunno del santo don Bosco nell’Oratorio salesiano. Potius mori quam foedari, « piuttosto morire che macchiarmi » fu l’ardente desiderio di Agnese purissima, e di tutte le vergini Spose di Gesù! La morte, mille morti, ma non peccare! Il non offendere Dio è la prima condizione che deve osservare l’anima che vuole vivere intimamente con Dio.

2) Morte al mondo e alle cose esterne. Tutto il mondo ha le radici nella malvagità. Nessuno può servire a due padroni: il mondo segue il demonio; ogni anima deve seguire Dio, e tanto più deve cercare e seguire Dio l’anima che desidera e vuole vivere intimamente unita con Lui.

3) Morte ai sensi e alle cure del corpo. Ai sensi e al corpo dobbiamo dare solo ciò ch’è necessario; e perché il corpo non recalcitri, dobbiamo domarlo con le privazioni e con le mortificazioni.

4) Morte ai difetti naturali. Questo genere di morte è molto difficile: in esso consiste la completa riforma del carattere. Tra gli stessi santi, alcuni, come S. Agostino e S. Francesco di Sales, riuscirono a domare e dominare vittoriosamente il loro carattere, con l’aiuto della grazia santificante. Altri non riuscirono nella loro opera di completa riforma. È un lavorio codesto che ha termine soltanto con la morte. L’esame particolare ci fornisce, a questo fine, un mezzo eccellente, anzi indispensabile.

5) Morte alla propria volontà. Ripeteremo sovente il fiat, Domine, voluntas tua; così che non soltanto ci sentiamo rassegnati, ma lo siamo prima con gusto, poi con gioia, e poi con vivissima riconoscenza a Dio, da conformare prima, e uniformare poi, definitivamente, il nostro modo di vedere, pensare, giudicare, parlare, con la volontà di Dio e con quella di chi ci rappresenta Dio. Non capricci, adunque, non fantasie, non punti di vista personali, non ostinazioni, non presunzioni, ma lasciarci guidare sempre dallo Spirito Divino.

6) Infine morte alla stima e all’amor proprio; morte alle consolazioni spirituali stesse che sono mezzi non necessari per la perfezione, e completa oscurità riguardo lo stato dell’anima. Gesù dice allora all’anima quella parola che già disse, un giorno, a S. Caterina da Siena: Tu pensa a me, io penserò a te.

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