Rapporto del protestantismo col socialismo per mezzo del panteismo. (3)
[A. NICOLAS: “Del Protestantesimo e di tutte le eresie nel loro rapporto col socialismo”, vol. II – Napoli, tipogr. e libr. Gabr. ARGENIO – 1859]
CAPITOLO VII.
BAPPORTO FINALE DEL PROTESTAMTISMO COL SOCIALISMO
Noi ci siam studiati di mostrare sino al suo termine il movimento I1 protestantismo verso il panteismo, e di far vedere, dopo l’origine del Cristianesimo, l’eresia sotto i suoi mille nomi e sotto le sue mille forme, girar sempre in questo circolo del panteismo, pel quale essa avrebbe menato cento volte il mondo alla dissoluzione, donde il Cristianesimo l’ha tratto, se la Chiesa Cattolica, col prodigio della sua esenzione dall’errore universale e dell’infallibilità de’ suoi decreti, non avesse costantemente combattuto l’errore, e altamente, invincibilmente mantenuto il sacro deposito della fede e dell’incivilimento cristiano. Or bene, che lo scatenarsi di quel male che, sotto il nome di socialismo e di comunismo, mette a’ dì nostri in questione questo incivilimento, altro non sia che l’applicazione in grande di questo panteismo, di questo egelianismo protestante combinato col naturalismo di cui abbiam del paro mostrato la sorgente nel protestantismo, è cosa molto facile a dimostrarsi. Noi abbiamo già fatto vedere il razionalismo francese, nato dalla scuola scozzese, riuscire alla scuola alemanna, e trasformarsi rapidamente in eclettismo, in sincretismo ed in panteismo. Tutto quanto l’Hegel è passato in Francia nel signor Cousin. Co’ suoi Studi critici sul razionalismo contemporaneo, quanto giudiziosi e sottili altrettanto sodi, l’abbate di Valroger ha messo in tutta la sua luce l’identità delle due predicazioni in Francia ed in Alemagna. Questa eccellente opera ci dispensa dall’entrare ne’ particolari a questo proposito; ci basta di rimandare ad essa i nostri lettori: e del resto, la verità di questo rapporto è stata sì comprovata nelle sue conseguenze che sarebbe oggidì una trivialità l’occuparci a farla conoscere. Sono più di trent’anni che il panteismo protestante valicò i confini col signor Cousin, e che questo spirito prestigiatore, nelle diverse peregrinazioni fatte nell’Alemagna nel 181.7, 1818 , 1824, e nelle relazioni che egli ebbe con de Wette, Schleiermacher, Jacobi, Schelling e collo stesso Hegel, contrasse il male di quel pestilenziale errore, e ne recò seco i germi in Francia, come un cinquant’anni prima Voltaire vi aveva portati dall’Inghilterra quelli del filosofismo.
(La mercé, scrive il signor Damiron, la mercé di questa felice flessibilità di spirito, che, pigliando un’abitudine altrettanto presto quanto presto ne abbandona un’altra, si adagia a tutto, sino alle stranezze, egli ebbe in breve di un filosofo alemanno le opinioni e il linguaggio. Egli colse, sviluppò, espresse le idee del maestro, come se le avesse ricevute dalla sua bocca; e spinse la fedeltà dell’imitazione sino al germanismo: parve un. apostolo. Questa maniera di essere invasato delle proprie idee, la facilità di porre in quadri astrazioni metafisiche, quella vivezza di spirito, quegli slanci di sicura veduta, quegli scoppii, dirò così, di coscienza di cui si componevano le sue improvvisate, ad un’ora così animate e cosi gravi, così facili e cosi maestose, e perfin le sue debolezze; in cui si poteva vedere la stanchezza di uno spirito che si riposa dall’ispirazione, tutto era in lui proprio d’un poeta, » – Globo, 6 nov. 1824. « Non si poteva comprendere a Berlino com’egli importasse così in Francia una dottrina senza neppur nominarne l’autore: Hegel scherzava su questo procedere con un’indulgenza alquanto satirica, io non credo che scientemente il signor Cousin abbia voluto farsi bello di ciò che non gli appartiene. Ma trasportato dalla sua immaginazione, egli ha creduto di avere egli stesso concepito quello che aveva imparato. Fu colla miglior buona fede del mondo che, fondendo insieme Kant ed Hegel, egli si persuase di aver creato qualche cosa. » (Lerminier, Lettere filosofiche ad un cittadino di Berlino, anno 1832.).
Da questi germi, seminati con tutta l’arte di un ingegno che si mascherava sotto le forme dell’ispirazione e ricevute da un terreno che il filosofismo, il naturalismo e il difetto d’ogni credenza avevano renduto meravigliosamente acconcio ad appropriarsele, nacquero le dottrine fataliste, umanitarie e progressiste. La filosofia del successo, di cui abbiamo già riportato lezioni cotanto pazze, ispirò la storia e avvezzò le anime a non indegnarsi più, a non più commoversi se non pel piacere dell’emozione, così alla veduta de’ più gran misfatti, come delle più angeliche virtù: a non vedervi che un fatale e inesorabil trionfo dell’idea rivoluzionaria; un dramma in cui il personaggio che suscita maggiormente orrore e il più applaudito, perché sostiene meglio la sua parte, e dove si perdonano tutti i delitti, precisamente per 1’effetto che producono e pel successo che ottengono. Dalla Storia della rivoluzione del signor Thiers, cui compensò almeno con quella del Consolato, sino ai Girondini di Lamartine, dopo i quali non v’ha più che da piangere sull’angelo delle Meditazioni, perché ciò che forma la sua colpa forma altresì il suo castigo, tutta la storia fu dedicata al culto della necessità ed alla violazione di quella coscienza del genere umano la cui abolizione pareva impossibile a Tacito, e che i nostri storici moderni, che dovevano esserne i vendicatori, non hanno temuto di immolare sugli altari dell’opinione a quei mostri medesimi che dovevano ad essa immolare. Chi dirà l’immensa parte che questo fatalismo storico ebbe nel pervertimento del senso morale e nell’avvelenamento delle immaginazioni? E al tempo medesimo, chi potrà contrastare che la sua sorgente non sia nel panteismo protestante importato dall’Alemagna, e anteriormente nella dottrina teologica del servo arbitrio e della giustificazione per mezzo della fede? – E non fu solamente la storia, ma la filosofia ancora nelle sue mille cattedre pagate dallo stato, il giornalismo con tutti i suoi romanzi di appendice, che formavano le delizie della borghesia conservatrice, l’economia politica con tutte le penne e tutte le bocche delle nostre accademie, l’arte drammatica con tutte le sue rappresentazioni teatrali, tutte le produzioni dello spirito umano insomma furono quelli che introducevano nelle vene della società il veleno dell’egelianismo, mercé la glorificazione di tutti i vizi, la censura di tutte le istituzioni, l’oltraggio alla Religione ne’ suoi caratteri più santi, il sollevamento di tutti i cattivi istinti d’invidia, di rivolta e di licenza contra le leggi della natura e della società. Il solo Cattolicismo, coi gemiti e i profetici sgomenti de’ suoi Pontefici, protestava contra questo straripamento e non raccoglieva che gli sdegni e i dispregi di coloro che ne tacevano essere le vittime. – In altri tempi furono veduti certamente scritti empii e licenziosi: ma ciò che non si era veduto è l’empietà eretta in religione o la licenza in morale; è la violazione di tutte le leggi sotto il nome di riforma, la barbarie sotto quello di progresso; è finalmente il genio del male, sotto il santo nome di Dio. – Si formarono religioni coi loro rivelatori, i loro sacerdoti, i simboli loro, il loro apostolato; e l’idolo di queste religioni era l’umanità, il progresso, avente Dio per essenza, le passioni per leggi, la distruzione di tutte le istituzioni sociali per mezzo, e il caos delle più stravaganti e più immorali teorie per fine. – Tali sono stati l’uno dopo l’altro il sansimonismo, il forierismo, il socialismo e il comunismo, la cui sostanza era la medesima: la dottrina del progresso continuo, la legittimazione delle cattive inclinazioni, l’affrancamento della materia, il corso di Dio nell’umanità per mezzo alle rovine di tutte le istituzioni sociali, a dir breve il panteismo. – La potestà distruttiva di questa dottrina è spaventevole e le cento volte più grande di quella del male avuto insino allora il più grave. Un uomo che non crede né a Dio né ad un giudizio avvenire è molto pericoloso certamente; ma colui che a sì fatta mostruosità aggiunge quella di credersi Dio egli medesimo, giudice sovrano e assoluto di tutto ciò che esiste, è un vero pazzo da catena. Ora, questa è la follia del panteismo, della dottrina dell’umanità-Dio, e sempre più Dio; per modo che gli ultimi venuti sono la più alta espressione di Dio, a credono realmente aver la missione di riformar tutto e tutto creale, vale a dire di distruggere e annichilare ogni cosa, e negano, affocano Dio, l’uomo, la società, tutto, coll’audacia della follia che si crede la divina sapienza, e della forza brutale che si crede investita del diritto divino, suscitando le passioni più selvagge, scatenandole e sciandole sul mondo come le folgori della loro divinità. Dopo di ciò, non v’ha più altro; abbiam l’inferno, e l’inferno armato della potestà del cielo per disertare la terra. Ma noi non abbiam per anco finito di mostrare tutto il pericolo di questa situazione, unica nella storia, e qual cosa impedì che non ne fosse la fine. – Nella prima parte del nostro lavoro noi abbiam fatto vedere come il protestantismo, pel principio del libero esame, aveva condotto il mondo al naturalismo. Nella seconda parte abbiam mostrato come, allontanandosi dalla dottrina cattolica, esso era, al paro che tutte le eresie, tralignato in panteismo. – Il naturalismo aveva da principio esercitato egli solo i suoi guasti, e la rivoluzione del secolo decimottavo ne fu il frutto. u quello un gran male, ma non ne fu il peggiore. Il naturalismo aveva fatto un vuoto spaventevole, il vuoto infinito di Dio in seno alla natura umana. Da questo vuoto dell’infinito doveva uscire il panteismo seguito dal socialismo, come dal pozzo dell’abisso di cui è parlato nell’Apocalisse. (IX, 2-11) Una volta levata la pietra che lo chiude, e sulla quale son fondate le società, sale un vapore simile al fumo di una fornace che oscura il sole e l’aria, e n’escono innumerevoli quegli animali misteriosi con volto d’uomo, con capelli di femmina e denti da leone, portando tutti ad un modo sul loro capo una corona d’oro, preparati pel combattimento, e avendo qual re l’angelo dell’abisso, che si chiama lo sterminatore. – Se il difetto d’ogni credenza fosse stato a quest’ultima epoca totale come nel secolo decimottavo, se il naturalismo e il panteismo si fossero scontrati al loro apogeo, avremmo avuto il fine della società. Ma per buona ventura, quando regnava il naturalismo, il panteismo sociale non era ancora apparso, e Babeuf giunse troppo tardi! Per buona ventura quando il panteismo faceva la sua apparizione e giungeva Proudhon, il naturalismo aveva perduto assai del campo, e Voltaire se ne andava! Di fatto, si noti bene che ciò che rende audace il socialismo contro la società e crea il percolo di questa, non è solo che il socialismo sia scatenato, ma eziandio e sopra tutto che la società è per cosi dire mantellata. La proprietà e tutte le istituzioni sociali non sarebbero cosi pericolosamente attaccate se non fossero attaccabili. Ciò che forma la forza del socialismo è la debolezza della proprietà, della società. E donde procede che la proprietà e la società sono cosi deboli? Ah! è perché i titoli della proprietà, perché i fondamenti della società sono nel cielo, nella fede, nella speranza, nella carità, nella moderazione, nella pazienza, in tutte le convinzioni, in tutte le virtù cristiane, che suppongono l’altra vita, e che per la prospettiva e l’allettativa della rimunerazione che vi ci aspetta fan che si accettino i rigori e le ingiustizie apparenti o reali di questa, aumentano per mezzo della rassegnazione la forza che le sopporta, attenuano per mezzo della carità la superiorità che le impone, e le fanno considerare come disposizioni preparatorie della provvidenza, il cui disegno è la prova per mezzo del combattimento e il cui fine è la felicità per mezzo della giustizia. – Sopprimete tutto quest’ordine di cose celesti e ulteriori che fa contrappeso all’ordine terreste e presente, e questo perde tutti i suoi titoli, tutti i suoi legami, tutti i suoi fondamenti, e si dissolve al minimo urto. Si avrà un bel dire che la proprietà e tutte le disuguaglianze sociali non si spiegano punto e non si giustificano sempre da se medesime. Se esse sono spesso il frutto della fatica o la ricompensa del merito, soventi volte però toccano in sorte all’ignavia ed alla sciocchezza, e talvolta sono ben anco la preda del vizio e dell’iniquità. E quando ammettesi questa enormità, che la ricchezza e tutte le distinzioni del ben essere sono sempre meritate da quelli che le possiedono, ne rimarrebbe un’altra da digerire, la quale è che tutti quelli che sono nel patimento e nella miseria l’hanno egualmente meritato; e che se la sovrana giustizia scendesse sulla terra per rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto de’ beni di questo mondo, essa non avrebbe da far mutamento nel loro scompartimento. Quante fatiche solitarie, i cui sudori e le cui lagrime cadono sopra un suolo che non rende loro! Quante virtù degne di un trono e che hanno appena uno sgabello dinanzi ad un focolare spento! E poi, si tien egli ben conto di tutte le tentazioni della miseria, della necessità, della disperazione, dell’isolamento, o della cattiva compagnia e di quella diminuzione della dignità e della confidenza propria, che è come un’ignominia interna, dell’abiezione del di fuori, e che può far dire della povertà ciò che Omero diceva della schiavitù, che il giorno in cui tocca un’anima, le fa perdere la metà della sua virtù? Finalmente, io ammetto che ogni cosa così in fatto di meriti come di difficoltà sia eguale e mescolata tra i poveri e i ricchi, rimane sempre la questione: perché questi sono ricchi e perché quelli sono poveri? Perché il gran numero soffre, manca del necessario, e il piccolo numero ribocca del superfluo? Dire che in sé ciò è giusto, è il più insolente paradosso: dire che questa ingiustizia è necessaria pel mantenimento della società, è uno scoprire questa società ai colpi del socialismo, e giustificar tutte le teorie di coloro che vogliono porla a soqquadro per rifarla; dire finalmente come Voltaire, che il servaggio del popolo mercé la potenza dell’oro è nella necessità delle cose, e professare il naturalismo nel suo senso più pericoloso e orribile. A dir breve, se non vi è un’altra vita che dia un senso a questa; se non vi hanno beni futuri infiniti il cui scompartimento debba avvenire in razione del merito; come questo è in ragione della prova: se questi medesimi beni futuri non diventano beni presenti, e se la loro speranza non è scontata dalla fede in profitto della carità e della giustizia, e non costituisce valori reali aventi corso nella società tra la povertà e la ricchezza; a dir breve, se tutta questa ammirabile economia politica del Cristianesimo è soppressa, il socialismo, sebbene così mostruoso, non Io è più che una tale società. Componete quanti più libri vorrete sulla proprietà; difendetela con le ragioni più naturali, più giudiziose, più ingegnose, tutte le quali alla fin del conto potranno benissimo ritorcersi contra di voi, vi consento; ma v’ha un libro anteriore e superiore ai vostri, nel quale è scritto che ogni uomo è egualmente nato per essere felice, infinitamente felice; per vedere noverati tutti i suoi sudori, terse tutte le sue lagrime, terminate tutte le sue miserie, retribuiti tutti i suoi meriti, e soddisfatta tutta la sua sete di giustizia e di ordine morale: questo è il cuore dell’uomo e il suo autore è Dio. Il socialismo e vero nel suo punto di partenza, cioè in questa promessa di felicità, di giustizia e di equa partizione de’ beni in ragione delle opere, scritta nel cuore dell’uomo: e non è ammesso dalla moltitudine se non perché le guadagna con questo mezzo. Dove è falso, colpevole, mostruoso e là ove si accorda con voi, cioè nel dire che non v’è un’altra vita, in cui questa promessa avrà il suo compimento; perocché per la negazione di quest’altra vita egli scatena tutte le brame dell’uomo in questa. – Come in ogni errore, v’ha nel socialismo una cosa vera ed una cosa falsa mescolate insieme. La cosa vera è l’eguale vocazione d’ogni uomo alla felicità; la cosa falsa è la negazione dell’adempimento di questa vocazione in un’altra vita. Ora, l’individualismo conservatore è d’accordo col socialismo in ciò che esso ha di falso, che è la negazione dell’altra vita; e non è d’accordo con lui in ciò che esso ha di vero, che è il diritto dell’uomo alla felicità. Egli non differisce da lui che per una negazione di più. Così, l’individualismo non può difendersi contra il socialismo se non appoggiandosi sul falso, se non aggiungendo alla negazione dell’altra vita la negazione della destinazione dell’ uomo alla giustizia ed alla felicità. – Ma egli si difende malissimo, anche a questo prezzo, per una ragione semplicissima; ed è che non dipende da lui il togliere all’uomo la persuasione della sua vocazione alla felicità, come lo ha potuto spogliare della fede in un’altra vita. Negando questa, egli, per quanto voglia lasciar quella da parte, non lo può; e questa impotenza, congiunta a questa negazione, forma la forza del socialismo. – La fede è come una valvola di sicurezza, per la quale sfuggono e si esalano tutti i desideri e tutte le speranze di cui il cuor dell’uomo è l’ardente fornace, e che non trovano in questa vita la loro piena soddisfazione. Chiudere questa valvola senza potere estinguere questo fuoco è un far nascere l’esplosione. Così l’individualismo conservatore è colpevole di socialismo in primo grado. Il socialismo propriamente detto non differisce dall’individualismo se non perché attizza il fuoco che questo vorrebbe spegnere, se non perché tramuta in furore ciò che l’altro vorrebbe mutare in abbrutimento. Il solo Cristianesimo, ne sia ad esso renduta gloria, scioglie il problema senza scatenar l’uomo e senza abbrutirlo. Questa verità della vocazione d’ogni umana creatura alla felicità di cui il socialismo si fa un’arme contro la società, la quale vorrebbe invano allontanarla, il Cristianesimo l’accetta, la prende, o meglio la ripiglia; imperocché essa gli appartiene come ogni verità, ed era stata a lui tolta. Ma a questa verità egli ne aggiunge un’altra, che l’individualismo e il socialismo negano di conserva; ed è la verità di un’altra vita, e la fede in una rimunerazione futura, in un’equa partizione de’ beni in ragione delle opere, in un’ultima rivoluzione che porrà per sempre il povero Lazaro nella gloria e il cattivo ricco nell’inferno. Con ciò il Cristianesimo compie la verità che è nel socialismo, come 1’individualismo ne compie l’errore. Egli differisce dal socialismo in questo, che il socialismo pone il termine della miseria umana al di qua della tomba, ed Egli lo pone al di là; differisce in questo, che il socialismo vuol realizzare il cielo sulla terra e con tali beni la cui insufficienza assoluta ne rende la divisione infernale, ed Egli lo realizza nell’altra vita e con tali beni la cui infinità fa pieni tutti i desideri dell’uomo, e la cui prospettiva e speranza riescono una felicità anche in questo mondo. E siccome Egli concede il diritto a questi beni futuri colla condizione che si rispettino i beni presenti da quelli che ne sono privi, e che quelli che li possiedono ne facciano parte caritatevole a quelli che ne sono sprovveduti, così presenta dei titoli alla ricchezza, un sollievo all’indigenza, una giustificazione e un correttivo alla troppa gran disuguaglianza che risulta dall’una e dall’altra, e dà fondamenti eterni alla società. – Io sfido a spiegare in altro modo la società coi nostri costumi cristiani; sfido a giustificarla, a giustificar tutto il gran cumolo d’ingiurie di cui essa si compone; le bestemmie spaventevoli di Proudhon devono esserne l’ultima parola se il cristianesimo non ne è la prima. – Qusto è ciò che ha renduto possibili quelle bestemmie non mai udite sino allora se non nell’inferno; questo è ciò che diede un’attituine plausibile al socialismo. La società si era addormentata nell’individualismo e nel possedimento de’ beni presenti per sé medesimi: il ricco si era racchiuso ne’ suoi tesori ed averi, il mercatante e il fabbricatore nelle sue speculazioni, l’ambizioso nella sua carica, l’uom di stato nella sua autorità e potestà, tutta quanta la società in questa vita; la si era finita coi vecchi dogmi e si seppellivano con onore; non si era scacciato Dio, ma si era rimandato con bel garbo e cortesia; si facevano le grandi riverenze alla religione ed a’ suoi ministri, e si copriva collo splendor del rispetto il dispregio delle sue doglianze e de’ suoi reclami; il mondo aveva per uno spettacolo le eloquenti proteste del conte di Montalembert, e le lasciava correre pel piacere di udirle; si lasciava profetare il vescovo di Chartres, e si leggeva con furore Eugenio Sue; si tolleravano i richiami dell’episcopato e si dava la parola d’ordine a tutti i professori di filosofia contra la Religione e a tutti i maestri delle campagne contra il curato; finalmente la società si era composta verso il cristianesimo tra il rispetto esteriore e il dispregio segreto; e l’oltracotanza umana era a tale salita da credere perfino di poter sostenere in aria il mondo senza il suo autore e scongiurare il disordine colla corruzione. Quand’ecco improvvisamente venire un tale a battere alla porta: è il socialismo. Egli domanda alla proprietà i suoi titoli, all’industria i suoi conti, all’ambizioso i suoi diritti, all’uom di stato i suoi principii, a tutta quanta la società i suoi fondamenti; e a questa impreveduta domanda ne rimangono tutti interdetti, essi non sanno che rispondere, smarriscono i sensi, se ne fuggono o sono trascinati….Per buona ventura il Cattolicismo si è trovato là per rispondere al socialismo! Per buona ventura un movimento di ritorno al Cattolicismo si era da qualche tempo dichiarato nelle anime! Per buona ventura il santo nome di Pio IX, librandosi sul mondo, ha ammansato il lion popolare, e la Religione ha potuto, moderandolo, farsi seguire da lui, e l’eroico sacrifizio di un buon pastore ha potuto riscattare col suo sangue l’incivilimento in pericolo nella metropoli del suo impero! Da quel tempo il Cattolicismo è stato la sola forza esistente, la sola colonna in piedi, che sono venuti ad abbracciare que’ medesimi che si trastullavano in atterrarla, ed a lui devono venire come a loro sostegno tutti coloro che ora vorranno ristorarne l’edifizio. Oggimai la quistione è giudicata. L’esperienza cominciata nel secolo decimosesto ha portato i suoi ultimi frutti. Il protestantismo diretto o indiretto, religioso, filosofico, politico o sociale, lo spirito di ribellione insomma, in tutte le sue applicazioni e in tutte le sue fasi, ha potuto fare successivamente illusione la mercé delle verità di fede, di giustizia, di umanità, di libertà, di fratellanza che esso pigliava al Cattolicismo, e colle quali egli imitava la vita e il progresso. Ma l’errore, il cui destino è di svilupparsi a suo danno e di perdersi giungendo al suo colmo, l’errore è apparso nella maggior luce nelle sue conseguenze, e si dileguarono tutte queste apparenze di verità e di vita, lasciando dietro sé l’inganno e la rovina. Questa gran verità dimostrata a sì caro prezzo, che la terra e il cielo pubblicano a gara, pare a noi abbia tocco il colmo dell’evidenza e ci dia il diritto, dopo tutti i nostri sforzi, di riposar nella sua conclusione, senza temere che l’ostilità anche più cieca prenda a disputarcela …