LA VERA E LA FALSA FEDE -I-
(P. Gioacchino VENTURA: LE BELLEZZE DELLA FEDE, vol. II. Genova; Ed. Dario Giuseppe Rossi, 1867)
LETTURA VI.
LA CREDENZA DEI MAGI
OVVERO LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELL’INSEGNAMENTO DELLA FEDE.
Ubi est qui natus est rex Judeorum? Vidimus enim stellam ejus, et venimus adorare aum.
(Matth. II)
INTRODUZIONE.
§I. – L’uomo non ha da sé inventata la verità, ma l’ha ricevuta da Dio per via di rivelazione e di fede. Due bei passi della Scrittura che lo attestano, ed argomentazione di S. Tomaso che lo dimostra. Al medesimo modo furono istruiti i Magi che avendo perciò conosciuti senza errore e con un’intera certezza i misteri di Gesù Cristo, figurarono gli altri due caratteri dell’insegnamento della fede: la sua VERITÀ e la sua CERTEZZA. Argomento e divisione della presente lettura.
Uno de’ più turpi delirj, spacciato con una intrepidezza di spropositare senza esempio da filosofi materialisti, e che, avendo menato gran rumore nello scorso secolo, ha un eco debole sì, ma pur reale ancora nel nostro, si è questo appunto: che l’uomo non è debitore che a se stesso della cognizione e del possesso della verità. Poiché, gettato, dicono, dalla natura sopra la terra, ovvero dalle viscere della terra uscito non si sa come, non fu in origine che un bruto, anzi il più ignobile e il più vile de’ bruti, senza altro fine che il grugnire, senza altra intelligenza che l’istinto di disputare al suo simile la vita corporea, senz’altra dimora che un covacciolo, senz’altre armi che le unghie, senz’altro alimento che le ghiande; e coi soli suoi sforzi seppe quindi uscire da questo stato di degradazione e di avvilimento, trovare i principj generali e formare la sua intelligenza, inventare il linguaggio e parlare, indovinare il diritto e le leggi, e sottomettervisi, e dalla condizione di muta bestia elevarsi all’altezza ed alla dignità d’uomo. Cioè a dire che seppe ragionare prima di aver l’uso della ragione, e parlare prima di aver l’uso della parola; poiché la ragione era necessaria per inventar la ragione, come Rousseau ha osservato che la parola era necessaria all’uomo per potere combinarsi coi suoi simili ad inventare la parola. – Ma gli epicurei moderni non hanno nemmeno il tristo vanto dell’invenzione di queste sconce ed orribili stravaganze, avendole servilmente copiate dagli antichi. Giacché Orazio, che non arrossiva di chiamarsi PORCO DEL GREGGE DI EPICURO, Epicuri de grege porcum, erano già diciotto secoli che aveva detto: — Cum prorepserunt primis ammalia terris — Multum et turpe pecus glandem atque cubilia propter — Unguibus et pugnis… pugnabant… — Donec verba quibus voces, sensusque nolarent— nominaque invenere; dehinc ubsistere bello — Oppida cœperunt munire, et funere leges — Ne quis fur esset neu latro, neu quis adulter … — Jura inventa metu injusti fateare necesse est (Sat. 3, lib. -1). In faccia a queste ignobili bestemmie di uomini degradati, discesi per la lascivia sino al bruto in pena di essersi voluti sollevare sino a Dio per l’orgoglio, quanto è bello l’udire gli oracoli santi delle Scritture, in cui il Dio Creatore dell’uomo ne ha Egli stesso descritta e rivelata la nobile istoria! Perché vi si dice: Dio ha creato l’uomo dalla terra, ed ha tratta dal suo stesso corpo la donna, perché gli fosse compagna della vita, come gli era simile nella natura. Deus de terra creavit hominem, et creavit ex ipso adjutorium simile sibi. Dio diede ad entrambi l’uso perfetto de’ sensi: sicché poterono subito e pensare e volere e intendere ed amare e manifestò loro il male per fuggirlo, ed il bene per abbracciarlo: Et linguam et aures et cor dedit illis excogitandi, et disciplina intellectus replevit illos. Creavit illis scientiam spiritus; sensu implevit cor illorum, et mala et bona ostendit illis. Degnossi ancora questo Dio di ammirare amorosamente il loro cuore, per sollevarlo sino a lui: rivelò loro la magnificenza divina delle sue opere, e loro insegnò a. render culto al suo Nome, non solo perché potente, ma ancora. perché santo, e a non gloriarsi in loro stessi, ma in Lui, come fattura meravigliosa delle sue mani, ed a trasmettere ai loro figliuoli i prodigi della creazione del mondo: Posuit oculum suum super corda illorum, ostendere illis magnalia operum suorum, ut nomen significationis collaudent et gloriari in mirabilibus illius. et magnalia enarrent operum ejtis. Finalmente gli ammaestrò nella maniera di condursi, dando loro la legge della vita ch’essi dovevano tramandare ai loro discendenti come in eredità. Strinse con loro,mediante la sua grazia, un’alleanza eterna, fece loro conoscere la santità de’ suoi comandamenti e la severità dei suoi giudizj: Addidit illis disciplinam, et legem vitæ hæreditvit illos. Testamentum æternum constituit cum illis, et justitiam et judicia ostendit illis (Eccli. XVII). – Quanto dire che Dio stesso è stato non solo il primo padre, ma altresì il primo maestro dell’uomo, e dopo avergli data la vita corporea coll’avergli l’anima intasa, gli diede ancor la vita intellettuale, rivelandogli ogni verità: vita nobile, preziosa, divina. Imperciocché siccome noi non amiamo il bene se non per un riflesso della divina volontà nel nostro cuore, così non conosciamo il bene che per un riflesso dell’intelligenza di Dio nella nostra mente; il quale, come dice leggiadramente s. Tommaso, rimirando noi, che ha creato a sua immagine in ciascuno di noi in certo modo si ripete, come uno stesso volto si ripete, come uno stesso volto vedesi ripetuto in tutti quanti i pezzi d’uno specchio infranto: Sinìcut apparent multæ faciesin speculo fracto. Quando dunque la Scrittura ci dice che l’uomo uscì dalle mani del Creatore ANIMA VIVENTE, et factus est in animam viventem (Gen. II), è chiarissimo che intende avvertirci che l’uomo da quell’istante incominciò a vivere non solo vita naturale per l’unione del corpo coll’anima, ma ancora della vita intellettuale per l’unione dell’anima colla verità. Giacché come un corpo senz’anima non è un essere vivente nell’ordine fisico, così nell’ordine intellettuale, non può dirsi anima vivente uno spirito tenebroso ed oscuro privo d’ogni verità. Come dunque l’Artefice divino infuse l’anima nel corpo del primo uomo, così la verità altresì rivelò ed infuse nella sua anima; sicché sin dal primo momento l’uomo incominciò a vivere della doppia vita che gli è propria, e divenne tra i corpi animati un corpo vivente ed un’anima vivente tra gli esseri intelligenti: Et factus est in animam viventem. Di questo gran fatto della rivelazione primitiva, di cui la Scrittura ci attesta la verità, il gran S. Tommaso ci ha data la ragione e le prove; poiché ecco come si esprime nel suo egregio trattato o questione DELLA SCIENZA DEL PRIMO UOMO (Quæst. disp.). – Adamo, nell’istante medesimo in cui fu creato, dovette avere la scienza delle cose naturali non solo nel suo principio, ma ancora nel suo termine: perché fu formato daDio per esser padre di tutto il genere umano: ed i figliuoli devono ricevere dal padre non solo l’essere per mezzo della generazione, ma ancora la norma del vivere per mezzo dell’istruzione: Adam, in principio sua cenditionis, non solium oportuit ut haberet naturalium cognitionem quantum ad suum principium, sed quantum ad terminum, eo quod ipse condebatur ut pater totius generis immani. A patre fllii accipere debelli non soluta esse per generationem, sed disciplinata per instructionem. Dovette adunque trovarsi per ogni parte perfetto; e rispetto al corpo in modo da poter subito generare, e rispetto alla mente in modo da potereancora subito insegnare come primo e grande institutore di tutti gli uomini: Oportuit in ipsa sui conditione constitui in termino perfectionis, et quantum ad corpus, ut esset conveniens principium generationis, et quantum ad cognitionem, ut esset sufficiens cognitionis principium, in quantum erat totius generis humani instructor. Perciò siccome rispetto al corpo, non conobbe la debolezza dell’infanzia, così non provò le tenebre dell’ignoranza rispetto alla mente: ma ottenne egli in un istante ciò che noi acquistiamo col crescere degli anni, ricevette dall’operazione divina ciò che noi riceviamo dall’educazione umana; un corpo perfetto ed una mente rivestita dell’intero uso della ragione e mirabilmente illuminata: Sicut in corpore ejus nihil erat non explicitum in actu quod pertineret ad perfectionem corporis…. hoc etiam oportuit quod intelleclus ejus non esset in sui principio sicul tabula non scripta, sed haberet plenum notitiam ex divina operatione. Imperocché sarebbe stato contro la perfezione che doveva avere il primo degli uomini, se fosse stato creato senza la pienezza della scienza, ma avesse dovuto andare a grande stento imparandola per mezzo de’ sensi: Erat contra perfectionem qua primo homini debebatur, ut conderetur sine plenitudine scientiæ, solummodo a sensibus scientiam accepturus. Ma, oltre la cognizione naturale, soggiunge pure S. Tommaso, Adamo ricevette ancora la cognizione della grazia: In Adam duplex fuit cognitio, naturalis et gratiæ; in quantoche, non solo conobbe subito tutte le cose naturali, alle quali si può estendere l’intelletto umano coll’ajuto de’ primi principj, ma ancora conobbe per una graziosa rivelazione di Dio molte cose soprannaturali, cui sola non può giungere la ragione umana: Scivit etiam inulta ad qua vis primorum principiorum non se extendit; sed ad hæc aliqualiter cognoscendo adjuvabatur alia cognitione, qua est cognitio gratiæ. Con questa differenza però che le cose naturali le conosceva in tutta la loro ampiezza e in tutte le loro più remote conseguenze, come collocato nel termine della cognizione naturale perfetta: ma siccome questo termine di cognizione perfetta riguardo alle cose soprannaturali e divine non si può ottenere che nella visione della gloria, alla quale Adamo non era per anco arrivato, cosi non conosceva di queste cose se non quel tanto che Dio si degnava di rivelargliene: Sed in hac cognitione (gratiæ) non instituebatur quasi im termino perfectionis ipsius existens: quia terminus gratuitæ cognitionis non est nisi in visione gloriæ, ad quam ipse nondum pervenerat, et ideo hujusmodi omnia non conoscebat, sed quantum de his sibi divinitus revelabatur. – Siccome per ciò solo per rivelazione conosceva Adamo le cose soprannaturali e divine, e non le credeva che sull’autorità della parola di Dio, così Adamo sin dal primo momento ebbe ancora infusa ed esercitò la fede: Adam in primo statu fidem habuit. E poiché la fede si riceve in due maniere diverse, o per mezzo dell’udito interiore per quelli che la ricevono i primi onde trasmetterla agli altri, come furono i Profeti e gli Apostoli, o per mezzo dell’udito corporeo per quelli che la ricevono in seguito, come sono stati tutti quanti i fedeli che furono istruiti dagli Apostoli e dai loro successori; così Adamo, avendo ricevuto la fede in qualità di principale, per poterla agli altri insegnare, ed essendone stato ammaestrato dallo stesso Dio, ebbe la divina rivelazione per mezzo dell’interna elocuzione, onde Dio parlò direttamente al suo cuore: Per auditum interiorem in his quid fidem primo acceperunt el docuerunt, sicut in Apostolis et Prophetis: per secundum vero auditum fides oritur in cordibus aliorum fidelium. Adam autem PRIMO fidem habuit, et primo est fidem edoctus a Deo: et ideo per internata elocutionem fidem habere debuit. – Ecco adunque sin dal principio del mondo praticata e stabilita da Dio col primo uomo la maniera propria onde gli uomini devono conoscere con certezza la verità, alimento evita dell’intelligenza, cioè per via di rivelazione e di fede.E poiché gli uomini, pel loro orgoglio e per la loro corruzione, avean col tempo smarrita la certezza e la verità, Quóniam diminuire sunt veritates a filiis hominum (Psal. XI, 2),cosi Iddio, dopo avere per quattromila anni in tanti e si varj modi parlato al mondo per mezzo de’ patriarchi e dei Profeti, cui della verità avea confidato il deposito, e che perciò la Scrittura chiama i BANDITORI DELLA GIUSTIZIA. Justitiæ præcones (II Petr. 2), finalmente nella pienezza dei tempi si è degnato di manifestare la sua verità per la bocca del suo stesso Figliuolo: Multifariam multisque modis olim loquens Deus patribus in Profetis, novissime autem locutus est in Filio (Hebr. I ). Ma coll’avere Iddio cambiato il personaggio che c’istruisca non ha cambiato, ma rinnovato e perfezionato il mezzo dell’istruzione. Come dunque Adamo ed Eva, primizie dell’umanità, furono per via di fede ammaestrati dal Dio Creatore, così per via di fede ancora furono dal Dio Redentore ammaestrati i santi re Magi, primizie del Cristianesimo. E come Adamo ed Eva, per mezzo della rivelazione conobbero senza errore e senza dubbiezza la religione primitiva, così i Magi, per Io stesso mezzo conobbero essi pure senza errore e senza dubbiezza la Religione cristiana; giacché la bella confessione che fecero in Gerosolima dicendo: « È nato il re de’ Giudei, o il Messia, e noi siamo venuti ad adorarlo, …Natus est rex Judæorum, et venimus adorare cum, » e i doni ch’essi offrirono in Betlemme, l’oro, l’incenso e la mirra, Obtulerunt ei munera, aurum, thus el myhrram, indicano chiaramente non solo la prontezza e l’uniformità della loro istruzione, ma ancora la purezza e la solidità della lor fede ne’ misteri del Dio Salvatore. Ma noi l’abbiamo veduto: i Magi furono i nostri precursori e i nostri rappresentanti nella Religione del Messia; perciò i pregi e i caratteri della loro istruzione e della loro fede furono pegno e figura de’ pregi e de’ caratteri della nostra: cioè a dire ch’essi, coll’averli sperimentati in se stessi, annunziarono e predissero a noi loro successori quattro grandi vantaggi; i quattro grandi caratteri, cioè, la facilità, l’universalità, la veracità e la certezza dell’insegnamento della fede. E poiché dei primi due caratteri di questo insegnamento si è trattato nella passata lettura, tratteremo degli altri due nella presente. A tale effetto vedremo da prima che la fede de’ Magi fu pura e sincera senza mescolanza di errore, perché frutto non delle loro private ricerche ma della rivelazione divina, e che, per mezzo dell’insegnamento della vera Chiesa, pura e sincera e senza mescolanza di errore, absque errore, è ancora la nostra fede. In secondo luogo cogli esempi degli antichi filosofi e de’ principali eretici dimostreremo come, al contrario, la via del privato giudizio conduce a turpissimi errori, e quanto noi saremmo infelici se fossimo privi dell’insegnamento della Chiesa. In terzo luogo, passando a parlare della certezza della fede de’ Magi e indicatine i tre motivi che la produssero. 1.° un’autorità divina; 2.° una rivelazione uniforme; 3.” una grazia superiore, dimostreremo che il Cattolico, trovando i medesimi motivi nell’insegnamento della Chiesa, la sua fede è altresì certa, solida e costante: Absque dubitatione, fixa certitudine. In quarto luogo finalmente proveremo come la via dell’inquisizione particolare, escludendo i tre indicati motivi di certezza, fuori della vera Chiesa non produce certezza alcuna di fede; ma una varietà infinita, un’anarchia di opinioni, che conduce all’indifferenza, al disprezzo di ogni verità, di ogni culto, di ogni virtù, che degrada e rende l’uomo infelice nel tempo e nell’eternità. Cioè a dire che procureremo di penetrare nella profondità del cuore, e ne’ secreti della mente tanto del Cattolico quanto dell’eretico: opporremo l’uno all’altro; ne noteremo le disposizioni contrarie rispetto alla fede, alla virtù, alla vera felicità; e senza stare à discutere sopra i domini, col quadro solamente delle bellezze della fede, opposte alle deformità della eresia, ne faremo col divino ajuto risultare la verità. – Questa è dunque la parte più importante del nostro libro, che domanda maggiore attenzione.
PARTE PRIMA.
§ II. – S’incomincia a tratture del terzo carattere dell’insegnamento della fede, la sua VERITÀ. I Magi conobbero e credettero Dio uno e trino, Gesù Cristo vero Dio, vero uomo e salvatore degli uomini, e i principali doveri del Cristiano. La loro fede fu pura, sincera, scevra di errore, perché frutto non delle ricerche della loro ragione, ma della rivelazione divina. I veri figli della Chiesa conoscono e credono colla stessa sincerità e purezza le medesime verità.
Il terzo carattere adunque proprio dell’insegnamento della vera fede si è, come si è veduto (Lett. V, § 1), di essere puro, sincero, veridico, senza mescolanza alcuna di errore, absque errore, come parla S. Tommaso; e di contenere tutta la verità, e di essere esso stesso tutto verità. Or tale appunto si fu l’ammaestramento de’ Magi: e però la loro fede fu pura e sincera, senza la menoma ombra di fallacia e di errore. Tutto ciò che essi conobbero per la rivelazione divina che ricevettero fu verità; ed essi ebbero, come si è più volte osservato, le idee più chiare, più precise e più giuste di tutte le verità che formano la base del Cristianesimo. – La prima di queste verità, fondamento e sorgente di tutte le altre, è il gran mistero di un Dio, un Dio uno nella natura e trino nelle Persone. Or questa grande, sublime ed incomprensibile verità i Magi, dice S. Ilario arelatense, la conobbero, come quindi noi tutti l’abbiamo conosciuta. Giacché nell’aver voluto offrire tre doni, oro, incenso e mirra, indicarono di conoscere la trinità delle Persone; e l’unità della natura nella trinità delle Persone mostrarono di credere col volere questi doni offrire ad un solo: Quid aliud Magi expresserunt muneribus, nisi fidem nostram? In eo enim quod tria offerentur trinitàs intelligitur: in eo vero quod tres UNI in trinitate unitas declaratur (Epiph., Homil. 1). E per sempre meglio dichiarare la cognizione che aveano di questo grande mistero, il dottissimo Drutmaro sull’appoggio della tradizione, afferma che i Magi non divisero i doni da offrire in modo che uno presentasse l’oro, l’altro l’incenso e il terzo la mirra, ma ciascun di loro recò l’oro, l’incenso e la mirra da offrire; manifestando così ciascuno in se stesso, con un segno visibile, la fede della Trinità nell’unità, che avean ricevuta nel cuore: Credimus quia, quod corde crediderunt, muneribus ostenderunt, et unusquisque trio oblulerit (in 2 Matth.). Lo stesso afferma l’Emisseno: i Magi, coll’avere ciascuno offerto tre doni, chiarissimamente dimostrarono la loro fede nella Trinità; Quod unusquisque trio miniera oblulit, fidem Trinitatis apertissime demonstrarunt (in 2 Matth.). Aggiunge anzi che, se avessero voluto ciascuno offrire doni più o meno di tre, non avrebbero mostrato esteriormente di conoscere l’unità e la trinità di Dio e di avere la vera fede cattolica di sì grande mistero: Quod unusquisque tria miniera obtuìit. Trinitatis fidem apertissime demonstrarunt: si enim vel plus vel minus offerrent, fidem catholicam non tenerent (ibid.). – Il secondo mistero principale della cristiana Religione si è l’incarnazione e la morte di Gesù Cristo Salvatore degli uomini. Or questo mistero ancora conobbero i Magi colla stessa precisione e chiarezza con cui noi lo conosciamo buon conto, entrati appena in Gerusalemme, si mettono a gridare per tutte le vie, a domandare a tutte le persone:« Dov’è il re de’ Giudei che di già è nato? Venerunt Hierosolymam dicentes: Ubi est qui natus est rex Judæorum? »Non si contentano di chiederne ai laici, ma si rivolgono ancora ai sacerdoti; né si limitano ad interrogare il popolo, né ricercano ancora dal monarca. E notate, dice S. Pier Crisologo, questo re de’ Giudei o Messia non cercano i Magi in un personaggio di età matura, collocato in un magnifico trono, circondato dagli omaggi del popolo, terribile per le sue armi, potente pe’ suoi eserciti, rispettabile per la sua porpora, risplendente per la sua corona: Requirebant autem non grandævum humanis oculis, in excelsa sede conspicuum, exercitibus pontentem, armis terrentem, purpurea nitentem, diademate refulgentem. Noi ricercano nemmeno dopoché crocifisso trionfò colla sua croce, risorse da morte a vita, salì glorioso al più alto de’ cieli: Vel de cruce sibi exsultantem, vel ab inferis resurgentem, aut in cælos ascendentem. – Cercano il re de’ Giudei in un bambino nato di fresco, qui natus est; che trema in una culla; che pende dalle poppe materne; che non ha nulla che gli concili l’ammirazione e il rispetto degli uomini, non ornamento alcuno della persona, non alcuna forza nelle sue membra: ma debole e meschino, senza titoli, senza autorità, non solo per la piccolezza della sua età, ma per la povertà ancora de’ suoi parenti: Sed recens natum, in cunis jacentem, uberibus inhianlem, nullo ornata corporis, nullis membrorum viribus, nullis parentum opibus, non sua ætate, non suo rum potestate præstantem. E questo re de’ Giudei lo cercano o lo domandano ad un altro re de’ Giudei, ad Erode, che allora sulla Giudea regnava: Et quærunt regem Judæorum a rege Judæorum. Segno evidente adunque che il re de’ Giudei di cui essi vanno in traccia è un re sopra gli altri re, un re che ha l’impero non solo de’ popoli, ma ancora de’ secoli un re che è uomo, ma uomo-Dio; dall’uomo-Erode cercano adunque Gesù Cristo uomo-Dio, dall’uomo-re terreno cercano del cielo che avea creato l’uomo: Ab Herude hamine Christum Deum et hominem; a terreno rege hominem regem cælorum qui condiderat hominem. Cercano, è vero, un Piccolino da un grande, come era Erode; dall’uomo pubblicamente onorato un bambino nascosto; da un eccelso personaggio un umile pargoletto; un infante da colui che parla; un povero da un ricco; da un potente un essere debole e infermo. Nulla ciò ostante però, e sebbene sia esso perseguitato da Erode, i Magi non dubitano punto che esso sia il vero Messia, il loro Salvatore, il padrone del mondo, degno di essere adorato, sebbene Erode il disprezzi; perché sebbene privo di ogni regia pompa umana, credono che in esso risiede l’adorabile maestà divina: A grandi parvulum, a loto latentem, ah excelso humilem, a loquente infantem, ab opulento inopem, a forti infirmimi. Et lumen, quamvis ab Herode persequente. sibi et aliis Christum dominantem, a contemncnte adorondimi profecto: in quo nulla pompa regia videbatur, sed vera Dei majestas adorabatur (Semi.Epiph.). Ma non solo però coi discorsi, ma coi donativi ancora, he erano impazienti d’offrire a’ suoi piedi, manifestarono, dice S. Leone, di riconoscere e di credere nella stessa Persona di Gesù Cristo e la maestà di un Dio e la dignità di un re e la mortalità dell’uomo. Giacché l’incenso si adopera ne’ sacrificj, che solo a Dio si competono; l’oro è la materia dei tributi, che si pagano al re: la mirra era l’aroma allora adoperato nell’imbalsamare i corpi de’ morti: Per ista trio munerum getterà in uno eodemque Christo et divina majestas, et regia potestas, et humana mortalitas intimatur. Thus enim ad sacrificium, aurum pertinet ad tributum, myrrha ad sepulturam mortuorum (Epiph. 1). – Oh quanto è bello poi, segue a dire lo stesso Padre, il vedere da questi primi discepoli della fede confutati anticipatamente i più grandi maestri dell’errore e determinata intorno ai misteri di Gesù Cristo la cattolica verità! Col volere i Magi offerir dell’incenso al figliuolo siccome a Dio, confondono l’eretico ariano, che sostiene che solo al Padre Eterno si deve un culto di latria e il sacrificio che ne è l’espressione. Col volergli presentare, come ad uomo mortale, della mirra, confondono il manicheo, il quale ricusa di credere che Gesù Cristo è realmente morto per la nostra salute. Col recargli infine dell’oro, come a re celeste e terreno, confondono l’una e l’altra eresia insieme: giacché il manicheo, negandolo vero discendente di Davide, gli contende la regalia terrena: e l’ariano gli nega la regalia e l’indipendenza celeste, osando di chiamar servo di Dio l’Unigenito dello stesso Dio; in oblatione thuris confunditur arianus, qui soli Patri sacrificium offerri debere contendit. In oblatione myrrha confunditur manichæus, qui Christum vere mortuum prò nostra salute non credit. In auro simul uterque confunditur: et manichæus, qui de semine David secundum carnem natum non credit regem et arianus, qui Dei Unigenito assignare nititur servitutem. Che più? l’offerta che i re Magi si dispongono a fare distrugge l’eresia di Nestorio, il quale tenta di dividere in due Gesù Cristo, ammettendo in lui due persone. Giacché al vedere che i Magi offrono con tanta religione e pietà non già una cosa al Dio ed un’altra all’uomo, ma gli stessi doni all’unico e solo uomo-Dio, chi non intende che non si deve credere in due persone diviso colui che si vede riconosciuto uno ed indiviso nei donativi che gli si vogliono fare? Finalmente, come questi donativi indicano due nature in Gesù Cristo, anche la stolida eresia di Eutiche rimane schiacciata, che nega esservi in Gesù Cristo, in una stessa persona, una doppia natura: Confunditur eliam Nestorius, qui nititur Christian in duas personas dividere; cum videat Magos non alia Dea, alia homini, sed uni Deo-homini eadem miniera obtulisse suppliciler. Non ergo dividitur in personis qui non invenitur divisus in donis. Confunditur Eutichetis insania, qui non vidi in Christo utrumque veram predicare naturam. – I Magi adunque nelle loro offerte han data a divedere di avere avuta una intelligenza perfetta di tutte le qualità sublimi, di tutti i caratteri unici del Messia, prima ancora di averlo veduto: in una parola, hanno conosciuta, creduta ed annunziata i primi al mondo la fede intera, la fede perfetta del gran mistero dell’incarnazione; poiché come uomo, né crederon la morte; come Dio, ne aspettarono la risurrezione, come re, ne temettero l’universale giudizio: Denique oblatio munerum ititeli igentiam in eo totius qualitatis expressit; atque ita per venerationem eorum sacramenti omnis est consummata cognitio: in nomine mortis, in Deo resurrectionis, in rege judicii. – Oh fede ammirabile de’ Magi! con quale esattezza, con quale precisione, con quale chiarezza e nei loro discorsi e nelle loro azioni esprimono le più grandi verità del Vangelo priaché sia predicato il Vangelo! quali idee giuste manifestano della natura di Dio e dell’incarnazione del Verbo! Come i misteri che sembrano contradittori fra loro ben si conciliano nella loro mente, si armonizzano nel loro cuore, e 1’una verità non esclude, ma sussiste insieme coll’altra senza confusione di termini, senza equivoco di espressioni, senza ombra alcuna di errore: Absque errore? Poiché essi confessano che Dio è uno nella natura e trino nelle persone; che Gesù Cristo, di cui vanno in traccia, benché poverello, è pure re; benché debole, è onnipotente; benché infante, è legislatore; benché figliuolo di donna, è figliuolo di Dio: celeste insieme e terreno, Dio ed uomo; uomo passibile, Dio impassibile; uomo mortale, Dio trionfator della morte; Dio ed uomo, Messia o Salvatore degli uomini. Confessano che bisogna credergli ed adorarlo, obbedirgli e servirlo, sacrificargli i tre rami della concupiscenza umana, l’orgoglio, la cupidigia, la sensualità, per mezzo della pratica di un’umile pietà, di una generosa giustizia, di una mortificazione severa. E queste verità, senza la menoma mescolanza di errore, ma nella loro purezza, come le hanno nella mente, le manifestano al di fuori colla lingua e coll’opera. E come, dice S. Giovanni Crisostomo, potevano mai errare uomini che non avevano implorato a loro guida il lume fioco e ingannevole della ragione umana, ma l’ammaestramento divino? che non ebbero a maestra la sapienza terrena, ma l’illustrazione celeste? Come potevan mai traviare, quando non cercarono per loro duce che lo stesso Gesù Cristo, che si avevano proposto a termine del loro viaggio: quel Gesù Cristo che ha detto: « Io sono insiememente la verità e la vita, e la vera ed unica strada per giungere alla vita ed alla verità? Non quæsierunt ducatum hominis, quia ducutum stellæ de cœlo acceperunt. Sed nec errare poterant qui veram viam, Christm Dominum, requirebant: illum utique qui ait: Ego sum via, veritas et vita (Homil. 1 ex var. in Matth.). Quanto dire: come potevano mai errare nella scienza di Dio, essendo stati ammaestrati da Dio, avendola, come poscia S. Paolo, imparata, non già per la via dell’inquisizione e del raziocinio, ma per via di rivelazione e di fede? La sola via onde si giunge a conoscere la verità senza alterazione, senza mescolanza di difetto e di errore: Absque errore. – E noi altresì cristiani Cattolici, noi conosciamo le stesse verità e al medesimo modo, perché siamo stati istruiti con lo stesso metodo: e la maniera onde furono ammaestrati i Magi per mezzo della stella fu una promessa ed una figura della maniera onde noi saremmo stati ammaestrati per mezzo della vera fede. – Infatti lo stesso Dio che loro si rivelò per mezzo della stella si è per mezzo della fede rivelato anche a noi. Lo stesso Dio che parlò loro per mezzo della sinagoga, ha parlato e parla a noi per mezzo della Chiesa. E come ogni uomo è mendace. Omnis homo mendax (Psal. CXV), e Gesù Cristo solo è verità, pura e sola verità: Christus est veritas (I Joan 5): come l’uomo alla sua propria scuola o a quella di un altro uomo è esposto al pericolo di non imparare che errori, così alla scuola di Gesù Cristo è sicuro di non apprendere che verità. E siccome questa scuola visibile, di cui Gesù Cristo è l’invisibile maestro, si è la cattolica Chiesa; così l’insegnamento della Chiesa cattolica è il solo adorno della qualità divina di essere esente da errore, absque errore; ed in esso tutto è verità, e vi è tutta la verità; verità vergine, verità pudica, verità intera, verità incorrotta, verità santa, come il Dio che ne è l’autore. Perciò come gli Apostoli, o la Chiesa, docile al magistero dello Spirito Santo, impararono da esso secondo la promessa di Gesù Cristo, ogni verità, Ipse docebit vos omnem veritatem (Joan. XVI): osi il vero Cristiano, docile al magistero degli Apostoli o della Chiesa, e che si è formato alla sua scuola, che ha appreso la sua dottrina e che è al suo insegnamento fedele, conosce tutte le verità che più importano di conoscere. Conosce Dio e i suoi attributi, gli angioli e il loro ministero, il mondo e la sua origine, l’anima e le sue facoltà, l’uomo ed il suo fine, la trinità e le sue Persone, la redenzione ed i suoi effetti, Gesù Cristo e i suoi misteri, la legge evangelica e le sue obbligazioni, i sacramenti e la loro efficacia, le pratiche di Religione e il loro uso, la vera santità ed il suo pregio, il vizio e i suoi castighi, la virtù e le sue ricompense. E queste verità sublimi, verità profonde, verità necessarie, verità eterne, ancorché non le intenda, né possa intenderle, le conosce però, le possiede e le crede senza alterazione, senza ambiguità, senza errore, ma pure, intatte, semplici, chiare, precise, come sono in sé stesse: giacché quello che il discepolo della Chiesa ha dalla Chiesa imparato e conosce e crede sulle lezioni della Chiesa, così è precisamente, così è esattamente, così è veramente né più né meno di come e di quanto esso lo conosce e lo crede. – Né si può temere che l’ignoranza che acceca, la debolezza dell’ingegno che istupidisce, i pregiudizi che strascinano, l’autorità che impone, la fantasia che illude, il prestigio che affascina, la falsa evidenza che abbaglia, il sofisma che inganna, la stessa erudizione che confonde, la stessa scienza che gonfia e l’interesse delle passioni che seduce, non si può, dico, temere che queste sì moltiplici e sì possenti cause di errore abbiano potuto influire nella mente del vero discepolo della Chiesa e fargli creder vero ciò che vero non è. Questo pericolo si teme e si deve ragionevolmente temere solo quando l’uomo pretende d’istruire sé stesso, o si dà ad essere istruito ad un altro uomo: e perciò alle scuole puramente umane le verità sono sì difficili e sì scarse, gli errori sì ovvii e sì frequenti. Ma non si teme, né si può temere alla scuola della Chiesa, dove colui che insegna è Dio: e però, nel passo d’Isaia che abbiamo citato di sopra e che Gesù Cristo ha spiegato nel Vangelo, i veri fedeli sono leggiadramente chiamati « scolari di Dio, Doctos a Domino (Isa. LIV): docibiles Dei (Joan. 6). ».
GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (47) – LA VERA E LA FALSA FEDE -II.-