DELLA CONFORMITÀ ALLA VOLONTÀ DI DIO (13)
[A. Rodriguez: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane; vol. II, ed. VII ster. TORINO, Marietti ed. 1917]
TRATTATO VIII.
CAPO XXIX.
Si conferma quel che si è detto con alcuni esempi.
Nelle Cronache dell’Ordine di S. Domenico si racconta (Fr. Hernandus de Castil. 1 p., lib. 1, c. 60 Histor, Ordio. Praedicat.), che un Padre de’ primi dell’Ordine dopo essere stato nella Religione alcuni anni con grand’esempio di vita e con gran purità d’anima, non sentiva alcuna sorta di consolazione né di gusto negli esercizi della Religione, né meditando, né orando, né contemplando, né leggendo: e come sempre sentiva dire del favore che Dio faceva agli altri, e de’ sentimenti spirituali che quegli avevano, stava mezzo disperato; e come tale una notte, nell’orazione dinanzi ad un Crocefisso si pose a dire piangendo amaramente questi spropositi: Signore, io ho sempre creduto, che in bontà e in mansuetudine superi tutte le tue creature. Eccomi qui, che ti ho servito molti anni, e ho sopportate in grazia tua molte tribolazioni, e di buona voglia mi son sacrificato a te solo; e se la quarta parte del tempo che ho impiegato in servizio tuo l’avessi impiegata in servire un qualche tiranno, m’avrebbe egli mostrato oramai qualche segno di benevolenza, almeno con una buona parola, o con una buona ciera, o con un riso, e tu, Signore, non mi hai fatto carezza alcuna, né da te ho ricevuto pur il minor favore di quanti sii solito di fare agli altri; ed essendo tu l’istessa dolcezza, sei verso di me più duro che cento tiranni. Che cosa è questa, Signore? Perché vuoi che la cosa passi così? Stando egli in questo sentì subitamente un fracasso così grande, come se tutta la chiesa se ne fosse venuta in terra; e sopra di essa sentiva un sì formidabil rumore, come se migliaia di cani fossero stati facendo in pezzi il solaro e scompaginando i travi; del che spaventato, e tremando di paura, voltato il capo per veder quel che potesse essere, si vide alle spalle la più brutta e orribil visione del mondo, di un demonio che con una verga di ferro che tenea in mano gli diede si gran percossa nel corpo, che cadutone per terra non potè più alzarsi; gli bastò però l’animo d’andarsi strascinando sino ad un altare che era ivi vicino; senza potersi maneggiare per lo dolore, come se a furia di percosse gli avessero scongiunte le ossa. Quando i Frati si levarono per dir Prima, e lo trovarono come morto, senza saper la cagione di cosi subitaneo e mortai accidente, lo portarono all’infermeria, nella quale per tre settimane intere che vi stette con dolori grandissimi mandava fuori tanto grande e tanto fetente e stomachevole puzza, che in nessun modo potevano i Religiosi entrare a governarlo e servirlo, se non turandosi prima il naso e premunendosi con molti altri rimedi. Passato questo tempo riprese qualche poco di forze, e giunto a potersi tenere in piedi, volle risanarsi della sua pazza presunzione e superbia: e ritornato al luogo ove aveva commessa la colpa, cercò in quello il rimedio di essa, facendo con molte lagrime ed umiltà la sua orazione ben differente dalla passata. Confessava la sua colpa, si riconosceva indegno di bene alcuno, e molto meritevole di pena e di castigo. E il Signore lo consolò con una voce del cielo che gli disse: Se vuoi consolazioni e gusti, ti conviene esser umile, riconoscer la tua viltà, e persuaderti d’esser più vile che il fango, e meno stimabile che i vermi che calpesti co’ piedi. – E con questo rimase tanto avvertito ed instrutto, che per l’avvenire fu un perfettissimo Religioso. – Del nostro S. P. Ignazio leggiamo un altro esempio assai differente. Si narra nella Vita di lui (Lib. 5, c. 1 Vita F. N. S. Ignat.), che considerando i suoi mancamenti, e piangendoli, diceva di desiderare, che per castigo di essi il Signore gli togliesse a volta a volta il favore della sua consolazione, acciocché egli come riscosso da questa tirata di briglia imparasse a procedere con maggior sollecitudine e cautela nel suo servigio: ma che era tanto grande la misericordia di Dio e la moltitudine della soavità e dolcezza della sua grazia verso di lui, che quanto più egli mancava e più desiderava d’essere in tal maniera castigato, tanto era il Signore più benigno e con tanto maggior abbondanza spargeva sopra di lui i tesori della sua infinita liberalità. Onde diceva, che credeva non vi fosse uomo nel mondo in cui in ugual grado concorressero queste due cose come in lui, cioè mancar tanto con Dio, e ricever tante e così continue grazie da Dio. – Il Blosio racconta (Blos. c. 10 mon spir.) di un Servo di Dio, che il Signore gli faceva singolari favori, dandogli grandi illustrazioni e comunicandogli cose meravigliose nell’orazione: ed egli colla sua grande umiltà e desiderio di piacer più a Dio gli domandò, che quando così gli fosse più piaciuto gli avesse tolta quella grazia. Esaudì Dio la sua orazione, e gliela tolse per lo spazio di cinque anni, lasciandogli patir in essi molte tentazioni, aridità ed angustie: e mentre egli una volta stava piangendo amaramente, gli apparvero due Angeli per volerlo consolare, a’ quali rispose: Io non domando consolazione, perché mi basta per consolarmi, che s’adempisca in me la volontà di Dio. – Il medesimo Blosio narra (Idem ibid. c. 4), che Cristo nostro Redentore disse un dì a santa Brigida: Figliuola, che cosa è quella che ti turba e ti mette in fastidio? e ch’essa gli rispose: L’esser afflitta da pensieri vani, inutili e cattivi, e il non poterli scacciar via; e m’angustia grandemente il tuo spaventevole giudicio: e che allora il Signore le disse: Questa è convenevol giustizia; che siccome tempo fa ti dilettavi delle vanità del mondo contra la volontà mia; così ora ti siano molesti e penosi vari e perversi pensieri che ti vengono contra la tua. Hai però da temere il mio giudicio moderatamente e con discrezione, confidando sempre fermamente in me, che sono il tuo Dio: perché devi tenere per cosa certissima, che i cattivi pensieri a’ quali l’uomo resiste, e li ributta, sono purgatorio e corona dell’anima. Se non puoi impedirli, sopportali con pazienza e fa resistenza ad essi colla volontà: e quantunque non dii loro il consentimento, ad ogni modo abbi timore, che non ne nasca in te qualche superbia, e così tu venga a cadere: perché chiunque sta in piedi, è sostenuto solamente dalla mia grazia. – Il Taulero dice così (e l’apporta il Blosio (Taulerus apud Blos, oonsol. pusill.) nella consolazione de’ pusillanimi: Molti quando sono angustiati da qualche tribolazione mi soglion dire: Padre, son maltrattato; le cose non vanno bene per me, perché sono angustiato da diverse tribolazioni e da malinconia; e io rispondo a chi mi dice questo, che anzi le cose vanno bene per lui, e che gli è fatta gran grazia. Allora dicono essi: Signor no; anzi credo, che questo m’avviene per le mie colpe. Al che io replico: Avvenga questo per i tuoi peccati, o no; credi, che questa croce te l’ha data Dio; e ringraziandonelo, sopportala con pazienza e rassegnati tutto in lui. Dicono ancora: Io mi consumo interiormente per la grande aridità e tenebre; e io gli dico: Figliuol caro, sopporta con pazienza, e ti sarà fatta maggior grazia che se avessi molta e gran divozione sensibile. – Si racconta di un gran Servo di Dio che diceva così: Sono quarant’anni ch’io servo il Signore ed attendo all’orazione, e non ho mai avuti in essa gusti né consolazioni; ma in quel giorno che la fo, sento di poi in me gran lena per gli esercizi di virtù; e quando manco in questo, mi sento tanto infiacchito, che non posso alzar le ali per cosa alcuna di buono.
CAPO XXX.
Della conformità alla volontà di Dio che abbiamo d’avere circa la distribuzione delle altre virtù e doni soprannaturali.
Siccome abbiamo da essere conformi alla volontà di Dio, comunque Egli ci tratti nell’orazione; così ancora abbiamo da esser conformi alla medesima, comunque Egli ci tratti in tutte le altre virtù e doni suoi, e in tutte le altre prerogative spirituali. Buonissimo è il desiderio di tutte le virtù, il sospirar per esse, e il procurarle; ma talmente abbiamo da desiderar sempre d’esser migliori e di crescere e camminar avanti nella virtù, che ci diamo pace se non arriveremo a quello che desideriamo, e che ci conformiamo alla volontà di Dio, contentandoci di essa. Se Dio non vuole dare a te una castità angelica, ma vuole che in ciò tu patisca tentazioni gravi, è meglio che tu abbi pazienza e che ti conformi alla volontà di Dio in tale tentazione e travaglio, che non t’inquieti e ti lamenti di non avere quella purità angelica. Se Dio non ti vuol dare così profonda umiltà come ad un S. Francesco, né tanta mansuetudine quanta a Mosè e a Davide, né tanta pazienza quanta a Giob, ma vuole che tu senta movimenti e appetiti contrari; è bene che ti confonda e ti umilii, e che da ciò impari ad aver bassa stima di te; ma non è bene che t’inquieti e che ti vada lamentando e angosciando, per non farti Dio tanto paziente quanto Giob, né tanto umile quanto S. Francesco. Bisogna che ci conformiamo alla volontà di Dio anche in queste cose, perché altrimenti non avremo mai pace. Dice molto bene il padre maestro Avila (M. Avil. c. 23, Audi filia): Io non credo che vi sia stato alcuno tra’ Santi in questo mondo, che non abbia desiderato d’esser migliore di quello ch’era; ma questo non toglieva loro la pace, perché non lo desideravano per propria cupidigia la quale non dice mai basta; ma lo desideravano per amor di Dio, della cui distribuzione si tenevan contenti, ancorché avesse dato lor meno, riputando per contrassegno di vero amore il contentarsi più tosto di quello che Dio dava loro, che il desiderare d’aver molto, con tutto che l’amor proprio faccia dire, che ciò si desidera per servir maggiormente a Dio. Ma mi dirà alcuno, che par che questa sia un volerci dire, che non dobbiamo dunque riscaldarci tanto nel desiderare d’essere più virtuosi e migliori; ma che abbiamo da lasciar fare ogni cosa a Dio, sì quanto all’anima, come quanto al corpo: e così pare che questo sia un darci ansa di diventar tiepidi e lenti, e di non curarci niente di crescere e di camminar avanti. Notisi molto bene questo punto, perché è di grande importanza. È tanto buona questa replica e obbiezione, che questo solo è da temersi in questa materia. Non vi è dottrina quanto si voglia buona della quale non possa uno servirsi male, se non sa applicarla e usarla come si conviene: e così sarà di questa, tanto in quel che riguarda alle orazioni, quanto in quel che riguarda alle altre virtù e doni spirituali; per lo che sarà necessario, che la dichiariamo e l’intendiamo bene. Io non dico, che non abbiamo da desiderare d’esser ogni giorno più santi, e da procurar d’imitare sempre i migliori, e da esser in ciò diligenti e ferventi; che per questo siamo venuti alla Religione; e se non faremo questo, non saremo buoni Religiosi: ma dico, che in ciò abbiamo a procedere a proporzione, come nelle cose esteriori e che appartengono al corpo. In queste, come dicono i Santi, gli uomini hanno bensì ad essere diligenti, ma non ansiosi né soverchiamente solleciti; che questo, dicono essi, viene proibito da Cristo nostro Redentore con quelle parole registrate nell’Evangelio: Dico vobis: Ne solliciti sitis animæ vestræ, quid manducetis, neque corpori vestro, quid induamini (Matth. VI, 25); colle quali parole riprende la soverchia sollecitudine, l’ansia e l’affetto smoderato per queste cose; ma la cura competente e le diligenze necessarie nel procacciarle, non le proibisce né le condanna; anzi ce le comanda e ce le diede per penitenza, laddove disse al nostro primo Padre: In sudore vultus tui vesceris pane (2; Gen. III, 19): Bisogna che gli uominimettano la loro fatica e diligenza nel procurarsida mangiare; il far altrimenti sarebbe un tentar Dio. Ora allo stesso modo si ha da procedere nelle cose spirituali enel procurar le virtù ed i doni di Dio. Bisogna che siamo molto diligenti e solleciti in questo; ma non in maniera tale, che ci tolga la pace e la conformità alla volontà di Dio. Fa tu quello che puoi dal canto tuo: ma se con tutto ciò vedi che non giungi a conseguire tutto quello che vorresti, non hai per questo da lasciarti precipitare in una impazienza la quale sia maggior male che non è il mancamento di quella cosa di cui ti lagni: ed hai a far questo con tutto che ti paia che il mancamento di una tal cosa in te provenga dalla tua tiepidezza; che è quello che suol attristar molti. Procura tu di far moralmente le tue diligenze: e se non le farai tutte, e cadrai in qualche mancamento, non ti spaventare per questo, né ti perdere d’animo, che poco più, poco meno, così accade a tutti. Sei uomo, e non angelo; debole, e non santificato né confermato in grazia. Iddio conosce assai bene la nostra debolezza e miseria: Quoniam ipse cognovit figmentum nostrum (Psal. CII, 13); e non vuole che ci disperiamo per questo, perché ci veggiamo cadere in qualche difetto, ma che ci pentiamo subito ed umiliamo, e che subito ci leviamo su e domandiamo a Lui forza maggiore, procurando di mantenerci in quiete interiormente ed esteriormente (2 p., tract. 6, c. 3 per tot 2); che meglio è, che ti alzi su presto e con allegrezza la quale raddoppia le forze per servir Dio, che sul pretesto di andare piangendo i tuoi mancamenti nel servigio di Dio, venga così a dispiacere più a Lui, col servirlo male col cuore, con replicare altre cadute, e con altri tristi effetti che da ciò sogliono nascere. – Solamente è da temersi qui il pericolo che abbiamo di sopra accennato (Vide supra cap. 24 et seq.), che subentri in noi la tiepidezza, e che lasciamo di far quello che è dal canto nostro, sotto colore di dire: Dio me l’ha da dare; ogni cosa ha da venire dalla mano di Dio; io non posso più che tanto. E dall’istesso pericolo abbiamo da guardarci in quel che dicevamo dell’orazione, che né anche qui subentri la pigrizia sotto lo stesso colore: ma serrata questa porticella, e facendo tu moralmente quanto è dal canto tuo, piace più a Dio la pazienza e l’umiltà nelle debolezze, che coteste angustie e tristezze soverchie che hanno alcuni, per parer loro che non crescano tanto in virtù e perfezione, o che non si possano introdurre tanto nell’orazione, quanto essi vorrebbero. Perché questo dono dell’orazione e della perfezione non s’acquista per mezzo di tristezze, né col fare, come suol dirsi, a’ pugni; ma Dio lo dà a chi Egli vuole, come vuole e quando vuole; ed è cosa certa, che non hanno da essere tutti uguali quelli che hanno d’andare in cielo. Né abbiamo da disperarci noi altri, perché non siamo de’ migliori, né forse de’ mediocri; ma ci dobbiamo conformare alla volontà di Dio in ogni cosa, e ringraziare il Signore della speranza dataci d’averci a salvare per misericordia sua: e se non arriveremo ad essere senza mancamenti, ringraziamo Dio dell’averci Egli data la cognizione de’ mancamenti nostri; e giacché non andiamo in cielo per mezzo dell’altezza delle virtù, come ci vanno alcuni, contentiamoci d’andarvi per mezzo della cognizione e della penitenza de’ nostri peccati, come ci vanno molti altri. Dice S. Girolamo (D. Hier. in prologo Calcato): Offeriscano altri nel tempio del Signore, ciascuno secondo la possibilità sua, chi oro, chi argento e pietre preziose, chi sete, chi porpore e chi broccati; a me basta l’offerire nel tempio peli di capre e peli d’animali. Offeriscano dunque gli altri a Dio le loro virtù e opere eroiche ed eccellenti, e le loro alte ed elevate contemplazioni; che a me basta offerirgli la mia viltà, conoscendomi e confessandomi peccatore, imperfetto e cattivo, e presentandomi nel cospetto della Maestà sua come povero e bisognoso: e ci torna conto rallegrare in questo il nostro cuore, e renderlo gradito a Dio; acciocché non ci levi inoltre, come ad ingrati, quello che ci ha dato. S. Bonaventura, Gersone e altri (D. Bonav. op. de prof. Relig. lib l, c. 33; Gers. tract. De monte contempl.; Fr..barth.de Mart. Archiep. Brachar. in suo comp. p. 2, c. 15), aggiungono qui un punto col quale si conferma bene quel che s’è detto, e dicono, che molte persone servono più a Dio col non avere la virtù e il raccoglimento, e col desiderarli, che se gli avessero: perché con questo vivono in umiltà, e vanno con sollecitudine e diligenza procurando di camminar avanti e di giungere al termine sospirato, e perciò ricorrono spesso a Dio; e con quell’altro forse s’insuperbirebbero, e si trascurerebbero, e sarebbero tiepidi nel servizio di Dio, per parer loro d’aver già quello che faceva loro di bisogno, e non si animerebbero ad affaticarsi per conseguire qualche cosa di più. Questo ho detto acciocché facciamo noi altri moralmente quanto è dal canto nostro, e andiamo con diligenza e sollecitudine procurando la perfezione; e allora ci contentiamo di quello che dal Signore ci sarà dato, e non istiamo attristati e angosciati per quel che non possiamo conseguire, né sta in man nostra: perché questo, come dice molto bene il P. M. Avila (M. Avila, tom. 2 ep. f. 32), non sarebbe altro che star penando, perché non ci sono date ale da poter volare per l’aria.