SALMI BIBLICI: “DEUS, QUIS SIMILIS ERIT TIBI?” (LXXXII)

Salmo 82: DEUS QUIS SIMILS ERIT TIBI?”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 82

Canticum Psalmi Asaph.

[1] Deus, quis similis erit tibi?

ne taceas, neque compescaris, Deus:

[2] quoniam ecce inimici tui sonuerunt, et qui oderunt te extulerunt caput.

[3] Super populum tuum malignaverunt consilium, et cogitaverunt adversus sanctos tuos.

[4] Dixerunt: Venite, et disperdamus eos de gente, et non memoretur nomen Israel ultra.

[5] Quoniam cogitaverunt unanimiter, simul adversum te testamentum disposuerunt:

[6] tabernacula Idumæorum et Ismahelitae, Moab et Agareni,

[7] Gebal et Ammon, et Amalec; alienigenæ cum habitantibus Tyrum.

[8] Etenim Assur venit cum illis, facti sunt in adjutorium filiis Lot.

[9] Fac illis sicut Madian et Sisarae, sicut Jabin in torrente Cisson.

[10] Disperierunt in Endor, facti sunt ut stercus terræ.

[11] Pone principes eorum sicut Oreb, et Zeb, et Zebee, et Salmana; omnes principes eorum

[12] qui dixerunt: Hæreditate possideamus sanctuarium Dei.

[13] Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stipulam ante faciem venti.

[14] Sicut ignis qui comburit silvam, et sicut flamma comburens montes;

[15] ita persequeris illos in tempestate tua, et in ira tua turbabis eos.

[16] Imple facies eorum ignominia, et quaerent nomen tuum, Domine.

[17] Erubescant, et conturbentur in sæculum sæculi, et confundantur, et pereant.

[18] Et cognoscant quia nomen tibi Dominus; tu solus Altissimus in omni terra.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXII.

Orazione in tempo di guerra, probabilmente quella di cui si parla al lib. 1, c. 6, de’ Maccabei.

Secondo S. Agostino, lo Spirito Santo mirò a quella dell’Anticristo contro la Chiesa; certamente poi l’intenzione di questo Salmo abbraccia la Chiesa.

Cantico, o salmo di Asaph.

1. Chi a te sarà simile, o Dio? non istar cheto e non rattenerti.

2. Imperocché ecco che gran rumore menano i tuoi nemici, e quei che ti odiano hanno alzata la testa.

3. Han formato de’ malvagi disegni contro il tuo popolo; e han macchinato contro dei santi tuoi.

4. Hanno detto: Venite, leviamoli dall’essere di nazione; e non si rammenti mai più il nome d’Israele.

5. Imperocché hanno fatta cospirazione, hanno formata

6. alleanza insieme contro di te i padiglioni degl’Idumei e gl’Ismaeliti;

7. Moab e gli Agareni, Gebal e Ammon e Amalec, gli stranieri cogli abitanti di Tiro.

8. Con essi è venuto anche l’Assiro; ha dato aiuto a’ figliuoli di Lot.

9. Fa ad essi come a’ Madianiti e a Sisara e come a Jabin al torrente di Cisson.

10. Eglino perirono in Endor; diventarono come lo sterco della terra.

11. Tratta i loro principi come Oreb e Zeb e Zebee e Salmana.

12. Tutti i loro principi, i quali hanno detto: Occupiamo come nostra eredità il santuario di Dio.

13. Dio mio, fa che sieno come ruota, e come paglia al soffiare del vento.

14. Come fuoco che incendia la selva, e come fiamma che arde i monti;

15. Così tu col tuo spirito tempestoso gli assalirai, e coll’ira tua gli porrai in confusione.

16. Copri d’ignominia i loro volti, e cercheranno il nome tuo, o Signore.

17. Abbian vergogna e turbamento per sempre; e sieno confusi e periscano.

18. E conoscano che tu ti nomi il Signore, tu solo Altissimo sopra tutta la terra.

Sommario analitico

In questo Salmo, il Profeta, prevedendo la moltitudine innumerevole dei nemici che devono invadere la Giudea, prega Dio di punirli secondo i loro crimini, e la maggior parte degli interpreti vedono in questa lega quella che si formò contro Gesù-Cristo ai tempi della sua passione, e contro la Chiesa nascente.

I. – Egli eccita Dio alla vendetta, Egli che:

1° per la sua maestà è al di sopra di tutti;

2° per la sua parola può spaventare tutti gli uomini;

3° con la sua giustizia deve punire i crimini (1).

II– Enumera i nemici del popolo di Dio:

1° fa conoscere i loro crimini, – a) il loro tumulto, facendo irruzione nella Giudea (2); – b) il loro orgoglio, ripromettendosi la vittoria (3); – c) la loro malvagità volendo distruggere il popolo di Dio con una irruzione improvvisa; – d) la loro crudeltà che li porta a volere annientare la nazione santa (4); – e) la loro cospirazione contro Dio stesso (5).

2° fa conoscere i loro nomi. – a) Gli uni sono usciti da genitori che si tenevano a lato del popolo di Dio; – b) gli altri sono della razza straniera ed infedele (5).

III. – Predice il loro castigo.

1° Questo castigo sarà simile – per le loro armate a quello con cui Dio altre volte ha colpito i madianiti, Sisara e Jabin, – per i loro capi a quello che ha colpito i generali di questa armate (9-11).

2° La causa ne è la volontà apertamente confessata di impadronirsi del santuario di Dio (12),

3° Egli descrive questo castigo sotto differenti figure: essi saranno: – a) come una ruota sempre in movimento; – b) come la paglia portata dal vento (13); – c) come la foresta in preda alle fiamme, – d) come le montagne consumate da un fuoco interiore (14).

4° L’effetto di questo castigo sarà: – a) per i buoni, la confusione dei loro peccati e la ricerca di Dio (15, 16); – b) per i malvagi, una confusione ed un tumulto eterno, ed una conoscenza ormai tardiva della potenza e della maestà di Dio (17, 18).


Spiegazioni e Considerazioni

I.— 4.

ff. 1. – È il capo degli angeli ribelli che si è vantato per primo di « essere simile all’Altissimo »; ed è il primo degli Angeli fedeli che è precipitato dall’alto del cielo nel più profondo degli inferi con questa parola di luce e di fuoco: « Chi è simile a Dio? ». – O Dio, chi sarà simile a Voi? Io credo che queste parole si applichino particolarmente al Cristo, divenuto simile all’uomo, e che è sembrato agli occhi di coloro che lo disprezzavano, comparabile agli altri uomini. O Dio, chi sarà simile a Voi? Perché Voi avete voluto essere simile, nella vostra umiltà, ad un gran numero di uomini, ed anche ai ladroni che sono stati crocifissi con Voi; ma, quando verrete nella vostra gloria: « Chi sarà simile a Voi? » (S. Agost.).  

II. — 2 – 8.

ff. 2. – « Perché i vostri nemici hanno fatto grande rumore, e coloro che vi odiano hanno levato alta la testa ». Queste parole figurano gli ultimi giorni, ove i pensieri che il timore comprime ora esploderanno con libertà, ma in urla irrazionali, che sembreranno piuttosto un vano brusio di parole o di discorsi. Non è allora che comincerà l’odio contro di Voi; ma coloro che Vi odiano da lungo tempo, leveranno il capo. Non « le loro teste », ma « la testa », quando saranno giunti ad avere per testa Colui che si eleva al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio, e tutto ciò che si adora come Dio (Tess. II,4) (S. Agost.). – Questi nemici del popolo di Dio e del suo Cristo, sono gli eretici ed empi, e tutti coloro che nel corso dei secoli si sono dichiarati in un modo o nell’altro contro la Religione, di cui il Profeta ha qui tracciato il loro carattere: – 1° essi sono i nemici di Dio e del suo Cristo e sono, come dice l’Apostolo, dei veri anticristi, perché spingono verso l’apostasia coloro che sono deboli nella fede, perché essi perseguono costantemente coloro che restano fermi nelle loro credenze: « Questi sono vostri nemici ». – – 2° Essi esercitano turbolenze negli Stati: « i vostri nemici hanno fatto grande rumore ». – 3° Essi sono pieni di orgoglio: « … e coloro che vi odiano hanno levato la testa ». – 4° Essi sono pieni di inganni e di malizia: « … hanno formato dei disegni pieni di malizia contro il vostro popolo ». – 5° Essi distruggono e rovinano ogni santità. « Essi hanno cospirato contro i vostri santi ». – 6° e non indietreggiano davanti alle più barbare e più crudeli misure: « Venite, sterminiamoli, etc. ». – 7° Essi vorrebbero distruggere fin nei ricordi la vera Fede. « … e che non si ricordi più in avvenire il nome di Israele ». – 8° Malgrado le loro numerose divisioni, essi si uniscono mirabilmente e formano dei corpi spaventosi contro la Chiesa; « … hanno cospirato insieme e hanno fatto lega contro di Voi. » –  Tutti i caratteri della malvagità sono designati in questi versetti: rabbia e gelosia segreta, complotti artificiosi e maligni, pensieri ponderati sui mezzi di nicumento, l’ardire nelle imprese, e tutto questo è immaginato contro coloro che servono il Signore in segreto, che sono nascosti agli occhi del mondo, e che passano la loro vita nel silenzio del ritiro (Berthier). – Diverse maniere vi sono di cospirare contro Dio e contro i suoi Santi: o con alterigia ed insolenza, o con mascheramenti pieni di malizia. Ma quale sia la cospirazione è sempre necessario che Dio vi sia compreso, poiché l’odio che Gli si porta, nella persona dei Santi, è per essi un pegno del suo amore e del suo soccorso. – I Giudei hanno detto di Gesù-Cristo: « Sterminiamolo dalla terra dei viventi »; ed è con la sua morte che ha fatto rivivere tutti i morti. Essi hanno detto « che il suo nome sia cancellato per sempre dalla memoria degli uomini » (Gerem. XI, 19); ed è questo stesso Nome, che essi hanno voluto cancellare, che è divenuto la venerazione di tutti gli uomini, ed il trionfo di tutta la terra. Così si compie l’impedimento della divina Sapienza che l’orgoglio degli uomini stimola, senza che essi pensino, nei loro disegni maliziosi, che voltano a loro rovina proprio quando non pensano che a rovinare gli altri (Duguet). – Le nostre passioni fanno nei nostri riguardi ciò che i nemici di Israele meditano contro questo popolo caro a Dio. Esse fanno degli sforzi continui per interrompere il santo commercio che ci deve essere tra Dio e noi (Berthier). – « Essi hanno cospirato di comune accordo, hanno formato una alleanza contro di Voi ». Non è ciò che si è già compiuto tra noi, e che vediamo rinnovarsi sotto i nostri occhi? – I re ed i potenti della terra hanno nuovamente offeso il regno di Dio e della sua Chiesa. Da lungo tempo si sente un fremito segreto delle Nazioni, un sordo fragore di popoli. Infine risuona il grido di guerra, l’empietà ha raccolto sotto i suoi stendardi mille soldati diversi che hanno dimenticato i loro pregiudizi di nascita, di opinione, di sangue, per coalizzarsi contro il nemico comune. Disuniti su mille altri punti, essi non hanno che un pensiero unanime. E qual è questo nemico contro il quale io vedo marciare questi battaglioni così serrati? Ah! Che altri si fermino a discutere le passioni secondarie, a deplorare il tremore del contraccolpo e degli incidenti della mischia; per me, elevandomi al di sopra di queste comuni calamità comuni per non considerare che la tendenza principale, io dirò con un re, grande uomo di stato, che nel fondo e nella sua essenza « … la cospirazione è ordita contro Dio e contro il Cristo; è Dio, il suo Cristo, del quale si vogliono distruggere le catene, scuoterne il gioco »  (Mgr. Pie, Disc. et Instruct., 11, p. 668.).  – Immagine fortemente sensibile di ciò che intraprendono i nemici contro di noi: essi si riuniscono per impadronirsi del Santuario di Dio, che è la nostra anima, ove, secondo l’Apostolo, lo Spirito Santo abita, e che essi considerano come una eredità che appartiene loro, perché noi siamo stati un tempo sotto l’impero del peccato.

III. — 9-18.

ff. 9-18. – Coloro che non perseguono se non il godimento dei desideri del loro cuore sono come una ruota in movimento perpetuo, che non si fermano davanti a niente di solido e regolato, senza consistenza nei loro pensieri, senza gravità nei loro disegni, senza solidità nei loro desideri. Essi rotolano in questa vita, sempre precipitandosi verso il termine, senza percepire il danno del pericolo. Essi fanno – dice S. Agostino – come la ruota che si trova su un terreno in pendenza: essa si alza da dietro e si abbassa davanti, mentre che, per evitare la caduta, essa dovrebbe fare tutto al contrario (Berthier). –  In questa figura: « … mio Dio, rendeteli come una ruota », si può vedere anche Dio che confonde i vani progetti degli ambiziosi, facendoli ben presto giungere fino in cielo, con la follia delle loro pretese, e facendoli subito discendere fino al fondo degli abissi, con il nulla delle loro imprese, permettendo che si ingannino e tornino incessantemente in ciò che essi chiamano con vera ragione, la ruota della fortuna, ed è nella loro persona che si compie quella voce che il profeta indirizza a Dio, … di far girare gli empi come una ruota (De Boulogne, sur l’amb.). – Gli empi e gli eretici sono simili ad una ruota, perché sono in agitazione perpetua; – poiché hanno un bell’agitarsi, un rimestarsi, non procedono in niente; – perché passano incessantemente da un’opinione ad un’altra. (S. Hil.  lib., II, de Trin.). « La forma della fede è certezza; ma, per gli eretici, tutti i loro pensieri sono pieni d’incertezza » – Essi sono ancora simili alla paglia portata dal vento: la paglia non ha alcuna forza di resistenza; essa è il trastullo continuo dei venti, è sollevata nell’aria, non per la sua gloria, ma per ricadere ben presto ignominiosamente nel fango. –  La prosperità dei malvagi è simile alla paglia che il vento disperde, ad una grande foresta divorata dal fuoco, o anche alle montagne che il fuoco consuma. – Ahimè che dire di questi uomini, che dire di un popolo il cui empio orgoglio, lontano dal decrescere ed abbassarsi, sembra al contrario montare ed ingrandirsi con il flusso delle umiliazioni: « Signore, diceva il Profeta reale, coprite la loro faccia di ignominia, e forse allora cercheranno il vostro Nome; che siano avvolti dall’onta, dalla confusione, dall’agitazione, e forse allora conosceranno che Voi siete il Padrone, che Voi vi chiamate il Signore e che solo Voi siete l’Altissimo sulla terra ». Ebbene! No. L’ignoranza, la confusione, la rovina, niente farà. Signore, i vostri occhi vedono la verità: Voi li avete colpiti, ed essi hanno pianto, il loro pianto non è stato che recriminazione e bestemmia; Voi li avete  schiacciati, e tutto il risultato del castigo, è che essi si sono impennati, si sono rivoltati sotto la verga della disciplina (Gerem. V, 6). Più incorreggibili e forsennati dei loro predecessori, questi nuovi “Antioco” non sono stati ricondotti dalla punizione divina a rientrare in se stessi; stesi sul giaciglio  della loro corruzione, sotto i fumi della loro fetida decomposizione, essi non possono risolversi a proclamare che sia giusto essere sottomessi a Dio, e non si addica ad un mortale ritenersi uguale all’Altissimo. Che dire dunque di una società che, posta nell’alternativa se tornare a Dio o a morire, dichiara con fierezza che « essa muore e non fa ritorno, muore ma non si converte? » (Mgr Pie, Disc, et Instruct., t. VIII, p. 74). – Essere perseguitati dalla misericordia di Dio, quando si fugge, quale felicità! Essere perseguito dal soffio imperioso della tempesta della collera di Dio, quale terribile disgrazia! – Due tipi di confusione vi sono: l’una salutare, l’altra funesta. La prima fa rientrare il peccatore in sé per confessare la sua cecità; la seconda lo agita, ma di un’agitazione eterna, che lo fa perire miseramente nel suo orgoglio. – Conoscere Dio e non adorarlo mettendo unicamente in Lui la nostra fiducia, riportandogli tutto quel che facciamo, lavorando per Lui solo, non è un buon conoscere. (Duguet). – Conoscere veramente Dio, è confessare la verità del suo Essere, adorarne la perfezione, ammirarne la pienezza, sottomettersi alla sua sovrana potenza, abbandonarsi alla sua alta ed incomprensibile saggezza, confidare nella sua bontà, temere la sua giustizia, sperare la sua eternità (Bossuet).

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA (2020)

MESSA DELLA FESTA DELL’EPIFANIA 2020

Stazione a S. Pietro

Doppio di I classe con Ottava privil. di II Ord.- Paramenti, bianchi.

Questa festa si celebrava in Oriente dal III secolo e si estese in Occidente verso la fine del IV secolo. La parola “Epifania” significa: manifestazione. Come il Natale anche l’Epifania è il mistero di un Dio che si fa visibile; ma non più soltanto ai Giudei, bensì anche ai Gentili, cui in questo giorno Dio rivela il suo Figlio (Or.). Isaia scorge in una grandiosa visione, la Chiesa, rappresentata da Gerusalemme, alla quale accorrono i re, le nazioni, la moltitudine dei popoli. Essi vengono di lontano con le loro numerose carovane, cantando le lodi del Signore e offrendogli oro e incenso (Ep.). – I re della terra adoreranno Dio e le nazioni gli saranno sottomesse • (Off.). Il Vangelo mostra la realizzazione di questa profezia. – Mentre il Natale celebra l’unione della divinità con l’umanità di Cristo, l’Epifania celebra l’unione mistica delle anime con Gesù. – Oggi – dice la liturgia – la Chiesa è unita al suo celeste Sposo, poiché, oggi Cristo ha voluto essere battezzato da Giovanni nel Giordano: oggi una stella conduce i Magi con i loro doni al presepio: oggi alle nozze l’acqua è stata trasformata in vino. Ad Alessandria d’Egitto pubblicavasi ogni anno, il 6 gennaio, l’Epistola Festalis, lettera pastorale in cui il Vescovo annunziava la festa di Pasqua dell’anno corrente. Di qui nacque l’uso delle lettere pastorali in principio di Quaresima. In Occidente, il IV sinodo d’Orléans (541) ed il sinodo d’Auxerre (tra il 573 ed il 603) introdussero la stessa usanza. Nel medioevo vi si aggiunse la data di tutte le feste mobili. Il Pontificale Romano prescrive di cantar oggi solennemente, dopo il Vangelo, detto annunzio (Liturgia, Paris, Bloud et Gay, 1931, pag. 628 sg.).

[Messale Romano, trad. di G. Bertola e G. Destefani, comm. D. G. Lefebvre O. S. B. – L.I.C.E. Totino, 1950]]

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Malach 3: 1 – 1 Par XXIX: 12
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]
Ps LXXI: 1
Deus, judícium tuum Regi da: et justítiam tuam Fílio Regis.
[O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re.]
Ecce, advénit dominátor Dóminus: et regnum in manu ejus et potéstas et impérium
[Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum géntibus stella duce revelásti: concéde propítius; ut, qui jam te ex fide cognóvimus, usque ad contemplándam spéciem tuæ celsitúdinis perducámur.
[O Dio, che oggi rivelasti alle genti il tuo Unigenito con la guida di una stella, concedi benigno che, dopo averti conosciuto mediante la fede, possiamo giungere a contemplare lo splendore della tua maestà.]

Lectio

Léctio Isaíæ Prophétæ.
Is LX: 1-6
Surge, illumináre, Jerúsalem: quia venit lumen tuum, et glória Dómini super te orta est. Quia ecce, ténebræ opérient terram et caligo pópulos: super te autem oriétur Dóminus, et glória ejus in te vidébitur.
Et ambulábunt gentes in lúmine tuo, et reges in splendóre ortus tui. Leva in circúitu óculos tuos, et vide: omnes isti congregáti sunt, venérunt tibi: fílii tui de longe vénient, et fíliæ tuæ de látere surgent. Tunc vidébis et áfflues, mirábitur et dilatábitur cor tuum, quando convérsa fúerit ad te multitúdo maris, fortitúdo géntium vénerit tibi. Inundátio camelórum opériet te dromedárii Mádian et Epha: omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.

OMELIA I

[Artig. Pavia, A. Catellazzi, La scuola degli Apostoli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO RE.

“Levati, o Gerusalemme, e sii illuminata, perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su te. Poiché, ecco le tenebre ricoprono la terra e l’oscurità avvolge le nazioni; su te, invece, spunta il Signore, e in te si vede la sua gloria. Le nazioni cammineranno; alla tua luce, e i re allo splendore della tua aurora. Alza i tuoi occhi all’intorno, e guarda: tutti costoro si son radunati per venire a te. I tuoi figli verranno da lontano, e le tue figlie ti sorgeranno a lato. Allora vedrai e sarai piena di gioia; il tuo cuore si stupirà e sarà dilatato, quando le ricchezze del mare si volgeranno verso di te, quando verranno a te popoli potenti. Sarai inondata da una moltitudine di cammelli, di dromedari di Madian e di Efa: verranno tutti insieme da Saba, portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore” (Isaia LX 1-6).

Isaia, il profeta suscitato da Dio a rimproverare e a consolare il popolo eletto in tempo di grande afflizione, ci dipinge in esilio, prostrato a terra, immerso nel dolore per voltate le spalle a Dio. È bisognoso d’una consolazione; e il profeta questa parola la fa sentire. Gerusalemme risorgerà. Il Messia vi comparirà come un faro risplendente sulla sponda di un mare in burrasca. E nella sua luce accorreranno le nazioni uscendo dalle tenebre dell’idolatria. Gerusalemme deve alzar gli occhi econtemplar lo spettacolo consolante dei suoi figli dispersi che  ritornano, e dei popoli della terra che verranno ad essa, cominciando da quei dell’oriente, recando oro ed incenso, annunziando le lodi del Signore. Questa profezia ha compimento nel giorno dell’Epifania, poiché in questo giorno comincia il movimento delle nazioni verso la Chiesa, la nuova Gerusalemme, I Magi che venuti dall’oriente domandano ove è il nato Re dei Giudei, ci invitano a far conoscenza con questo Re. Vediamo, dunque, come Gesù Cristo è:

1. Il Re preannunciato,

2. che esercita su noi l’autorità legittima,

3. e al quale dobbiamo dimostrare la nostra sudditanza.

1.

Isaia che invita Gerusalemme a vestirsi di luce ne dà ragione: perché la tua luce è venuta, e la gloria del Signore è sorta su di te. Il Messia promesso, ristoratore non solo di Israele, ma di tutto il genere umano è venuto dall’alto ad illuminare chi giace nelle tenebre e nell’ombra della morte. La notte in cui nasce il Salvatore una luce divina rifulge attorno ai pastori che fanno la guardia, al gregge nelle vicinanze di Betlemme; e contemporaneamente in altre contrade un’altra luce, una stella, appare ai Magie li guida a Gerusalemme. «Dov’è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente a siam venuti per adorarlo» (Matth. II, 2). A questa domanda che essi fanno, arrivati a Gerusalemme, Erode e tutta la città si conturba. Eppure, niente era più esatto di quella domanda.Il Messia era stato ripetutamente predetto dai profeti come un restauratore, che avrebbe iniziato un regno nuovo. Gli Ebrei potevano errare nella interpretazione di questo regno; ma i n essi l’idea del Messia era inconcepibile, se disgiunta dalla dignità reale. Del resto i profeti l’avevano annunciato chiaramente come re. Davide dice: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech» (Ps. CIX). È lo stesso che dire che il Messia sarebbe stato sacerdote e re. «Poiché questo Melchisedech era re di Salem, Sacerdote del Dio Altissimo… Egli primieramente, secondo l’interpretazione del suo nome, re di giustizia, e poi anche re di Salem, che significare di pace» (Hebr. VII, 1-2). Anche il regno del Messia sarà regno di giustizia e di pace. Sentiamo Geremia « Così parla il Signore, Dio d’Israele, ai pastori che pascono il mio popolo. … Ecco che vengono i giorni, e io susciterò a Davide un germe giusto; e regnerà come re, e sarà sapiente e renderà ragione, e farà giustizia in terra» (Ger. XXIII, 2, 5.). Isaia, parlando della nascita del Messia, così si esprime: «Ecco, ci è nato un pargolo, e ci è stato donato un figlio, e ha sopra i suoi omeri il principato » (Is. IX, 4). A lui segue Zaccaria: «Egli sarà ammantato di gloria, e sederà, e regnerà sul suo trono» ( Zac. VI, 13). Quando poi l’Angelo annunzia a Maria l’Incarnazione, parlando del Messia che nascerà da lei, dice: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell’Altissimo: il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (Luc. I, 32-33). Non solo è predetto come re, ma come re è salutato e venerato. Abbiamo visto che i Magi dichiarano apertamente di essere venuti ad adorare «il nato Re Giudei ». Quando Natanaele è condotto da Filippo a vedere « quello di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, Gesù », al primo incontro esclama: «Maestro, tu sei il Figliuolo di Dio: tu sei re d’Israele» (Giov. I, 49). Nel giorno del trionfo, quando entra in Gerusalemme per celebrare l’ultima Pasqua, la grande folla accorsa per le feste gli va incontro con rami di palma, gridando: «Osanna! Benedetto chi viene nel nome del Signore, il Re d’Israele» (Giov. XII, 13). In parecchie circostanze, perfino quando sta lasciando la terra per salire al cielo, gli si fanno domande relative al suo regno. Infine, Gesù Cristo stesso dichiara d’essere re; d’avere un regno (Giov. XVIII, 36). Un regno non umano, nè caduco, « ma di gran lunga superiore e più splendido » (S. Giov. Crisost. In Ioa. Ev. Hom. 83, 4).

2.

Le nazioni camminano alla tua luce e i re allo splendore della tua aurora: … tutti costoro si son radunati per venire a te. Re e sudditi, che vanno a mettersi aipiedi di Gesù Cristo, attratti dalla luce che si diffondedal suo Vangelo, riconoscono praticamente che Egli hail diritto di dominare su di loro. Difatti chi è Gesù Cristo? Il centurione romano, che coi soldati è posto a guardia della croce, esclama alla morte di Gesù: «Costui era veramente Figlio di Dio» (Matth. XXVII, 54). È Figlio di Dio — nota a questo punto S. Ilario — ma non come noi che siam figli di Dio adottivi. «Egli, invece, è Figlio di Dio vero e proprio, per origine, non per adozione» (S. Ilario, De Trin. 1. 3, c. 11). La sua vita dunque, lo fa superiore a tutto quanto è al disotto di Dio: superiore non solo a tutti gli uomini, ma anche a tutti gli Angeli. A nessuno di loro Dio ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Ps. II, 7). Essi sono posti al comando di Dio; sono a disposizione di Gesù Cristo. « Pensi tu — egli dice a S. Pietro — che io non possa chiamare in aiuto il Padre mio, il quale mi manderebbe sull’atto più di dodici legioni di Angeli?» (Matth. XXVI, 53). Non solo gli Angeli sono a disposizione di Gesù Cristo, ma lo devono adorare, come è scritto nei libri santi: «E lo adorino tutti gli Angeli di Dio »: (Hebr. I, 6). A Gesù, dunque, tutte le creature, uomini e Angeli, devono l’adorazione, la soggezione, l’obbedienza; tutte devono riconoscere la sua sovranità. Oltre che per diritto di natura, Gesù Cristo è nostro re per diritto di investitura. Il Messia, Figlio ed erede di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, ha diritto al dominio universale sul mondo. Al momento propizio il Padre gliene darà l’investitura, secondo Egli ha dichiarato: « Chiedimi, e ti darò in eredità le nazioni e in possesso i confini della terra » (Ps. II, 8). Nell’incarnazione Gesù Cristo è costituito « erede di tutte le cose » (Hebr. I, 2). e riceve, così, la promessa investitura del suo dominio universale. Ma Gesù Cristo è anche nostro Re per diritto di conquista. Noi eravamo schiavi del peccato, destinati alla morte eterna. Egli ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, sottraendoci alla morte eterna. «Quando combatté per noi — dice S. Agostino — apparve quasi vinto; ma in realtà fu vincitore. In vero fu crocifisso, ma dalla croce, cui era affisso, uccise il diavolo, e divenne nostro Re» (En. in Ps. 149, 6). A differenza degli altri conquistatori, egli non ci ha liberati versando il sangue altrui, ma versando il proprio sangue. «Non sapete — dice S. Paolo ai Corinti — che voi non vi appartenete? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (I Cor. VI, 19-20). Noi non possiamo disconoscere l’autorità di chi ha sborsato per noi un prezzo che supera ogni prezzo. I popoli liberati dalla schiavitù passano sotto il dominio del loro liberatore; e noi siamo passati sotto il dominio di chi ci ha liberati dalla schiavitù di satana. Lui dobbiamo riconoscere per nostro re, proclamare apertamente nostro Re,  non solo a parole, ma all’occorrenza anche con della propria vita, come ce ne hanno dato esempio i martiri di tutti i tempi. Tra coloro che furono martirizzati al Messico nel Gennaio del 1927 si trovava un tal Nicolas Navarro. Alla giovane moglie che piangendo lo pregava ad aver pietà del figlioletto: «Anzitutto la causa di Dio! — rispose — E quando il figlio crescerà gli diranno: Tuo padre è morto per difendere la Religione». Percosso, ferito con le punte dei pugnali, strascinato così brutalmente da non esser più riconoscibile, come avvenne anche ai suoi compagni, riceve per di più tanti colpi sulla faccia da aver sradicati i denti. Caduto a terra colpito da due palle, incoraggia i compagni, e rammenta loro la promessa di seguire fino alla morte l’esempio di Gesù. Trapassato da due pugnalate, muore gridando : « Viva Cristo Re » (Civiltà Cattolica, 1927, vol. IV p. 181).

3.

Isaia predice che le nazioni faranno a gara per entrare nel regno di Gesù Cristo. Verranno i nuovi sudditi. portando oro e incenso, e celebrando le glorie del Signore. – Così fanno subito i re Magi, i quali, venuti alla culla di Gesù, « prostrati lo adorarono: e, aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra » (Matth. II, 11). « Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re » (S. Leone M. Serm. 31, 2). Quell’oro, forse una corona reale, essi offrono a Dio come tributo che i sudditi devono al re in segno di sudditanza.Quale tributo dobbiamo noi portare a Gesù Cristo in segno della nostra sudditanza? Il regno di Gesù Cristo non è un regno materiale. È un regno spirituale, che si esercita principalmente sulle anime. In primo luogo è il regno della verità. Tra le fitte tenebre dell’errore che coprivano la faccia della terra, Gesù comparve come il sole che illumina ogni cosa, fugando l’ignoranza, la menzogna, l’inganno. Tra gl’intricati sentieri, che non permettono all’uomo, o gli rendono assai difficile, di prendere una giusta direzione nel cammino di questa vita, Egli è la guida sicura.Egli poteva dire alle turbe : «la luce è in voi… Sinché avete la luce credete nella luce, affinché siate figliuoli di luce» (Giov. XII, 35-36). Primo tributo da rendere al nostro Re sarà dunque quello di accogliere con docilità e semplicità la sua parola che è contenuta nel Santo Vangelo. È un regno di giustizia. Se c’è un regno in cui contano più i fatti che le parole, è precisamente il regno di Gesù Cristo. Come tutti i re, Gesù Cristo è legislatore. E le sue leggi vuol osservate. Sulla terra, quanti trasgrediscono le leggi e si credono sudditi fedeli e amanti del loro re! Gesù dichiara apertamente che non può essere o dichiararsi amico suo chi trasgredisce le sue leggi: «Se mi amate osservate i miei comandamenti (Giov. XIV, 15). – Per conseguenza egli eserciterà un altro potere reale: quello di giudicare coloro che sono osservanti delle leggi e coloro che le trasgrediscono. Nessuno potrà sfuggire al suo giudizio e alla sua sanzione. «Poiché bisogna che tutti noi compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva le cose che gli spettano, secondo quello che ha fatto, o in bene o in male» (2 Cor. V, 10.).Lo ubbidiremo, dunque, in modo da non meritarsi alcuna riprensione. – Il regno di Gesù Cristo è un regno universale. I suoi confini sono i confini del mondo, i suoi sudditi sono tutte le nazioni dell’universo. È un dominio che si estende su l’individuo e sulla società; e che quindi va riconosciuto e onorato in privato e in pubblico. Purtroppo non tutti riconoscono ancora di fatto il dominio di Gesù Cristo. Un numero sterminato d’infedeli, non sa ancora chi sia Gesù Cristo. Molti Cristiani gli si ribellano; violano i suoi diritti, e gli rifiutano il dovuto omaggio. Tributo d’omaggio del buon Cristiano sarà quello di affrettare con la preghiera il giorno in cui tutte le nazioni conosceranno questo Re, e intanto rendergli l’omaggio, che altri gli negano, riparare le offese, che altri gli recano. Fede viva, esatta osservanza dei comandamenti, zelo per concorrere a farlo regnare, nei singoli individui, nelle famiglie, nella società, ecco i tributi, che dobbiam recare a Gesù Cristo Re, in attestazione della nostra sudditanza.

Graduale

Isa LX: 6; 1
Omnes de Saba vénient, aurum et thus deferéntes, et laudem Dómino annuntiántes.
[Verranno tutti i Sabei portando oro e incenso, e celebreranno le lodi del Signore.]

Surge et illumináre, Jerúsalem: quia glória Dómini super te orta est. Allelúja, allelúja. [Sorgi, o Gerusalemme, e sii raggiante: poiché la gloria del Signore è spuntata sopra di te.

Allelúja.

Allelúia, allelúia
Matt II: 2.
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum. Allelúja. [Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni per adorare il Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt II: 1-12

Cum natus esset Jesus in Béthlehem Juda in diébus Heródis regis, ecce, Magi ab Oriénte venerunt Jerosólymam, dicéntes: Ubi est, qui natus est rex Judæórum? Vidimus enim stellam ejus in Oriénte, et vénimus adoráre eum. Audiens autem Heródes rex, turbatus est, et omnis Jerosólyma cum illo. Et cóngregans omnes principes sacerdotum et scribas pópuli, sciscitabátur ab eis, ubi Christus nasceretur. At illi dixérunt ei: In Béthlehem Judae: sic enim scriptum est per Prophétam: Et tu, Béthlehem terra Juda, nequaquam mínima es in princípibus Juda; ex te enim éxiet dux, qui regat pópulum meum Israel. Tunc Heródes, clam vocátis Magis, diligénter dídicit ab eis tempus stellæ, quæ appáruit eis: et mittens illos in Béthlehem, dixit: Ite, et interrogáte diligénter de púero: et cum invenéritis, renuntiáte mihi, ut et ego véniens adórem eum. Qui cum audíssent regem, abiérunt. Et ecce, stella, quam víderant in Oriénte, antecedébat eos, usque dum véniens staret supra, ubi erat Puer. Vidéntes autem stellam, gavísi sunt gáudio magno valde. Et intrántes domum, invenérunt Púerum cum María Matre ejus, hic genuflectitur ei procidéntes adoravérunt eum. Et, apértis thesáuris suis, obtulérunt ei múnera, aurum, thus et myrrham. Et re sponso accépto in somnis, ne redírent ad Heródem, per aliam viam revérsi sunt in regiónem suam.” [Nato Gesù, in Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, ecco arrivare dei Magi dall’Oriente, dicendo: Dov’è nato il Re dei Giudei? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo. Sentite tali cose, il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme. E, adunati tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, voleva sapere da loro dove doveva nascere Cristo. E questi gli risposero: A Betlemme di Giuda, perché così è stato scritto dal Profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei la minima tra i prìncipi di Giuda: poiché da te uscirà il duce che reggerà il mio popolo Israele. Allora Erode, chiamati a sé di nascosto i Magi, si informò minutamente circa il tempo dell’apparizione della stella e, mandandoli a Betlemme, disse loro: Andate e cercate diligentemente il bambino, e quando l’avrete trovato fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo. Quelli, udito il re, partirono: ed ecco che la stella che avevano già vista ad Oriente li precedeva, finché, arrivata sopra il luogo dov’era il bambino, si fermò. Veduta la stella, i Magi gioirono di grandissima gioia, ed entrati nella casa trovarono il bambino con Maria sua Madre (qui ci si inginocchia) e prostratisi, lo adorarono. E aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non passare da Erode, tornarono al loro paese per un altra strada.]

Omelia II

[M. G. Bonomelli, Misteri Cristiani, vol. I; Queriniana ed. Brescia, 1898 –imprim. -]

FESTA EPIFANIA

RAGIONAMENTO II.

Scienza che allontana da Cristo e scienza che a Lui ne conduce.

La narrazione evangelica dell’odierna solennità è un quadro grandioso, nel quale 1’uno dopo l’altra vengono a collocarsi tutte le più svariate figure. Eccovi anzitutto il Divino Infante nella sua grotta o nella povera casetta dove si era ridotto [Allorché i Magi giunsero a Betlemme trovarono il neonato Bambino in una casa – Intrantes domum invenerunt puerum-. Sembra adunque che poco dopo il nascimento di Gesù, Giuseppe procurasse l’alloggio in una qualche casa, che doveva essere povera, non occorre dirlo.]. – Accanto a Lui e gli occhi sopra di Lui fu con inesprimibile tenerezza mista a profondissima venerazione la Vergine sua Madre: e presso ad entrambi un uomo dal volto venerando, sfavillante di gioia, che tacito e riverente contempla ora il Pargolo, ora la Madre. È un gruppo di Paradiso, che tutti i più insigni artisti tentarono di ritrarre in mille forme. Qua e là sparse nel gran quadro ecco altre figure: qui alcuni principi o savi, o magi, in splendide vesti, seguiti da magnifico corteggio, venuti improvvisamente da lontani paesi per adorare il nato Salvatore: là la bieca e laida figura di Erode, che si agita sul suo trono, compro coi delitti e che matura consigli di sangue: intorno a lui una folla di cortigiani adulatori, pei quali ogni capriccio del Monarca è legge e comando che non si discute; più lungi, in fondo al quadro, il gran Sinedrio raccolto a consiglio, che alla domanda di Erode e dei Magi: – Dove ha da nascere il Re de’ Giudei ? – squadernando i Libri Santi, risponde senza esitare: – A Betlemme; lo disse il Profeta -. Nei giorni del Santo Natale e della Circoncisione contemplammo la celeste figura del Divino Infante e ne meditammo gli altissimi insegnamenti: oggi lasciamo da parte la Madre benedetta e il Custode di Lui: non poniamo mente al Re, che impallidisce e trema sul suo soglio: non curiamoci de’ suoi cortigiani. Raccogliamo gli sguardi della fede sopra i Magi, che polverosi dopo lungo cammino giungono a Gerusalemme, e sopra il Sinedrio, il supremo Consiglio della Nazione e che a nome di Dio, interpretando le Scritture, dichiara:- L’aspettato del popolo, il Salvatore del mondo deve nascere a Betlemme -. Sono due classi di uomini affatto differenti: entrambe istruite, entrambe cercano la verità: i Magi si atteggiano a discepoli e umilmente domandano: – Dov’è il Re de’ Giudei, del quale abbiamo visto la stella in Oriente? Deh! Insegnatecelo -. I dottori della legge, i capi de’ sacerdoti, radunati a Consiglio, si atteggiano a maestri (e lo sono) e da maestri rispondono. Cosa strana e degna di profonda considerazione, o fratelli miei! I meno istruiti, quelli che professandosi discepoli si confessano ignoranti, trovano la verità: quelli che sono più istruiti, che posseggono la scienza, che ne sono i maestri, che hanno in casa la verità e l’additano ai lontani, si giacciono in mezzo alle tenebre dell’errore: i primi conoscono Gesù Cristo, lo seguono e si salvano: i secondi non lo conoscono, lo rigettano e si perdono! Eccovi, o fratelli, designati nei Magi e nei maestri del Sinedrio, quelle due grandi classi di uomini, nei quali pur oggi si divide la nostra società, i credenti e i miscredenti: quelli men dotti, eppure credenti e in possesso della verità; questi più dotti, molto dotti, se volete, eppure non credenti e privi della verità. Perché noi non ci dissimuliamo punto una verità, amara e dolorosa oltre ogni dire, ma verità, ed è, che oggidì la maggior parte dei dotti o reputati dotti non si curano della fede o la rigettano, mentrechè quasi tutto il popolo, che non è, né  può essere dotto, conserva ancora ed ama la sua fede. – Donde, o cari, un fatto sì strano ed inesplicabile, che vediamo nel Mistero odierno e che continua e più che mai cresce sotto de’ nostri occhi? Perché mai gli uomini della scienza si mostrano indifferenti od ostili, in faccia al Vangelo ed alla Chiesa? Perché mai gli uomini del popolo, del lavoro, meno provveduti di scienza, si mostrano figli devoti del Vangelo e della Chiesa? È una ricerca della più alta importanza e che formerà il soggetto delle nostre considerazioni. La scienza! Dopo la virtù, essa è il più bell’ornamento, la più bella gloria dell’uomo! La scienza è un dono del cielo, è un raggio della luce divina, è un riflesso e una partecipazione di Lui, che è l’eterna Ragione d’ogni cosa, che si chiama il Dio delle scienze. La scienza eleva, nobilita l’uomo: per essa egli vede la natura docile ai suoi piedi: abbassa e trafora i monti, veleggia, anzi vola sul dorso dei flutti irati dell’oceano, passeggia nei suoi abissi, come tra gli astri del cielo, guida obbedienti i fulmini e con un pugno di materia spacca le montagne e squarcia le viscere della terra e solleva i piani del mare. Come dunque questa scienza, che viene da Dio può tener l’uomo lungi da Dio? Figlia di Dio sarebbe nemica di Dio? Filo d’oro, che Dio gettò sulla terra per tirare a sé gli uomini, li allontanerebbe? Come è perché la luce produrrebbe le tenebre e la scienza condurrebbe alla incredulità? Vedete avvocati, ingegneri, medici, letterati, in una parola uomini della scienza, che non hanno più fede, che ignorano Gesù Cristo, come i dottori del Sinedrio, mentre il buon popolo coi Magi corre a Betlemme, lo trova, lo riconosce, e lo adora. Perché? Perché? La scienza del mondo! noi non la neghiamo, la apprezziamo, la onoriamo. Ma siamo franchi e sinceri, o fratelli. Di che si occupa essa, questa scienza? Che cosa studiano questi dotti? Studiano essi Dio? Gesù Cristo? La Religione? Il Vangelo? La Chiesa? L’anima? La sua origine? Il suo fine? No, no. Studiano tutto con una perseveranza, con un ardore, che ci riempie di ammirazione: dall’elefante al bacterio, dal cedro all’issopo, dalla nebulosa più lontana al microbo, tutto è oggetto dei loro studi: voi li vedete curvi sul microscopio per scrutare una cellula, per analizzare un atomo; voi li vedete riboccanti di gioia allorché possono annunziare al mondo, che hanno potuto decifrare un geroglifico, interpretare una lapide; ma chi sono quelli che si occupano di Religione, delle cose di Dio e dell’anima? Come se ne occupano? ditelo voi, o fratelli carissimi! Le cose più indifferenti, la cognizione delle quali è affatto inutile o serve solo ad alimento di curiosità o ad ornamento, trovano cultori appassionati, che non dicono mai basta; e la Religione, alla quale sono legati gli interessi più vitali della terra e del cielo, del tempo e della eternità, dagli uomini della scienza giace là negletta e fors’anche disprezzata! Chi di voi, uomini d’ingegno e di studio, si appagherebbe delle cognizioni che avevate acquistate a dodici anni? Nessuno; ne arrossireste e a ragione: solo in quanto a Religione ve ne accontentate; giacché ben pochi sono coloro che agli elementi del Catechismo appreso a dodici anni, sentano il bisogno e il dovere di aggiungere uno studio della Religione, che sia in armonia con la loro età, col loro ingegno, con le esigenze nuove dei tempi, con lo sviluppo della scienza moderna! Nei secoli passati Dante, Petrarca, Galileo e quanti furono uomini sommi o dotti fino alla rivoluzione francese reputavano necessario alle scienze naturali aggiungere la scienza della Religione, che nelle Università tutte d’Europa teneva il posto d’onore: oggidì dove sono i dotti che alla scienza della fede e della Religione serbino qualche giorno dell’anno? Che nelle loro biblioteche abbiano almeno qualche libro, che ne tratti debitamente? Ohimè! Essa è sbandita dalle nostre Università tutte, come indegna di avervi una cattedra, mentre vi hanno cattedra le ultime scienze, che non so se meritino tampoco il nome di scienze. (È cosa che ferisce il cuore! Nelle nostre Università italiane, tutte di origine ecclesiastica, hanno il loro posto tutte, tutte le scienze, fino la odontologia, introdotta di recente: la sola Teologia vi è sbandita. E dire che la Germania, l’Inghilterra, tutti i paesi protestanti hanno nelle loro Università la facoltà teologica! Quale umiliazione per noi e quale argomento di seria considerazione!). – Cacciata la teologia dal novero delle scienze e accoltavi la storia delle religioni, della mitologia e d’altre scienze, ch’io mi guarderò dal nominare! – Chi ai nostri giorni svolge le opere filosofiche e teologiche di S. Tommaso e d’altri insigni filosofi e teologi? Chi scorre i libri degli apologisti antichi o moderni, che mettono in luce le prove razionali della Religione, che ne mostrano le sublimi analogie e bellezze, che ribattono le difficoltà e calunnie, ond’è fatta segno? Sarà molto se ne conoscano il nome. Qual meraviglia, che codesti dotti, ancorché forniti d’ingegno, ricchi di ogni scienza profana, immersi negli studi, di fama talora mondiale, non conoscano Cristo e la sua Religione, o ne abbiano una cognizione monca, mista ad errori e pregiudizi volgari, inferiore a quella del povero popolo! Sono dotti in tutto, se volete, fuorché nella scienza della Religione e perciò in condizioni peggiori del popolo minuto, che trovasi esposto a minori pericoli e che non ha l’orgoglio della scienza, il terribile nemico della fede. – Ho detto che gli uomini della scienza non studiano la Religione e di qui la loro incredulità; ma non ho detto bene e mi correggo. Molti di loro studiano la Religione come studiavano Mosè ed i Profeti i maestri della legge; ma dove la studiano? In quali libri? Presso quali uomini? A quali fonti attingono? Con quali intendimenti? Sarebbe incredibile se non fosse un fatto indubitato e pressoché quotidiano. Codesti uomini della scienza, che vivono lontani dalla Religione e la considerano come cosa da lasciarsi alle donnicciole del popolo, non ne hanno generalmente altra cognizione di quella in fuori attinta a fonti sospette, a libri bugiardi. Quel poco studio della Religione, che han fatto, l’han fatto su giornali scettici e anticristiani, su libercoli alla moda, su romanzi, che tutto travisano e confondono, su libri storici calunniosi, su libri scientifici, che per partito deliberato la combattono fieramente. Conoscono la Religione come la si può conoscere nei pubblici ritrovi, nelle conversazioni brillanti, negli spettacoli e drammi teatrali, sui banchi d’un Liceo o d’una Università, dove professori troppo spesso miscredenti la fanno bersaglio dei loro frizzi e dei loro dileggi. – Gran che, fratelli miei! In qualunque questione, anche di lieve importanza, nessuno oserebbe pronunciare giudizio senza aver prima udite le due parti contendenti e ponderatene attentamente e imparzialmente le ragioni: è noto l’adagio della equità naturale e del buon senso – Audi et alteram partem– Ascolta l’altra parte -. Un giudice che sentenziasse dopo aver udito il solo accusatore, muoverebbe a sdegno, violerebbe le regole più elementari della giustizia e provocherebbe per questo solo l’annullamento delle sue sentenze. Eppure è  ciò che si suol fare in materia di Religione; non si porge orecchio che ai nemici della Religione e non si ascoltano che gli accusatori, che sovente sono accusatori interessati od ignari di ciò che dicono, od anche apertamente calunniatori. Quante volte mi accadde di discutere con persone miscredenti e dotte, che avevano letta la vita di Gesù Cristo dello Strauss, del Renan, del Pyat ed altre opere di notissimi increduli, e non avevano letto gli Evangeli e neppure una pagina dei tanti e sì valenti scrittori, che li avevano confutati! È questa lealtà? Come volete che siffatta scienza conduca a Cristo? Al conoscimento della verità? Vi sono altri studiosi che peccano per altro capo e che lungi di avvicinarsi a Cristo se ne discostano. Sono quelli che svolgono i libri, che interrogano le scienze e, se vi piace, si addentrano nei loro segreti e hanno vanto e meritato di dotti, ma fine de’ loro studi, scopo delle loro indagini è quello di trovare in colpa la Religione per poterla poi condannare. Hanno la convinzione, non certo come acquistata, che la Religione e la Chiesa devono aver torto; le loro investigazioni sono volte a dimostrare questa idea preconcetta. Stupiremo noi che non riescano nell’intento? Stupiremmo del contrario. Si trova facilmente ciò che si desidera trovare; facilmente ciò che si accarezza in fondo al cuore si vede attuato al di fuori e l’amor proprio veste tutte le cose dei colori, ch’esso vagheggia. E la gran legge delle allucinazioni, che allarga il suo regno ben più che non si creda e conta tra le sue vittime non pochi dotti. Studiano la storia, la fisica, la geologia, la psicologia, la fisiologia, tutte le scienze, onde il secolo va glorioso, persuasi che il loro responso sarà la condanna della verità religiosa e questa condanna non tarda a farsi udire. Ma essa non è la risposta sincera della scienza, sebbene l’eco fallace della propria persuasione, il riverbero delle proprie idee e del proprio desiderio. Si vuole che la Religione abbia torto e come non l’avrebbe se il giudice vuole che l’abbia? [L’ammiraglio inglese bombardava Copenaghen; la città rispondeva valorosamente e l’ammiraglio credeva bene di sospendere il fuoco e ritirarsi. Nelson allora era comandante d’un vascello e, come tutti sanno, era guercio d’un occhio. Gli mostrarono il segno di sospendere il fuoco; egli allora appuntò il suo cannocchiale sull’occhio cieco e disse: « Io non vedo niente », e continuò il fuoco. — Il fatto è narrato da Thiers nella sua storia. È ciò che fanno certi dotti nello studio della religione. Studiano, non vogliono vedere la verità e non la vedono e dicono: – Ma noi non vediamo niente -]. – Non è raro il caso che la scienza disvii dalla Religione e ne chiuda perfino la porta per altro verso poco avvertito. Ogni studio ed ogni scienza ha il suo oggetto determinato e proprio e sarebbe follia il credere, che possa condurci al conoscimento di oggetti, che non sono i suoi. Forsechè la vite potrà darvi altro frutto dell’uva? Forseché il pero potrà darvi il cedro? Se voi volete conoscere la struttura intima d’un bacterio o i pori d’una foglia armerete l’occhio d’un potente telescopio? Se vorrete esplorare il cielo, vi appunterete un microscopio? Eppure è ciò che senza porvi mente si fa da molti e si accetta per altri senza discussione. Questi è uomo di legge e profondo conoscitore del diritto e non ha fede; quegli è valentissimo medico e peritissimo anatomico e operatore, ed è miscredente; un terzo è sommo matematico e meccanico; un altro è letterato celebratissimo e non sa punto di Religione. E che perciò, o carissimi? Benché le scienze possano in modo indiretto condurre alla Religione, per sé non sono la via che a quella ci menano. Come alcuni possono essere maestri nella musica, nella matematica, nella legge, nelle lettere, e ignorantissimi nella botanica, nell’astronomia, nelle lingue antiche, nella pittura e scultura, cosi vi possono essere uomini profondi in tutte le scienze e affatto digiuni nella scienza sacra, nella scienza di Dio. Un famoso astronomo diceva: – Io, passeggiando tra gli astri col mio telescopio, non vi ho mai visto il trono di Dio! -. E un chirurgo non meno famoso diceva: – Io non ho mai trovato nel corpo umano l’anima, che dicono dovervi essere; eppure ne ho scrutato tutte le fibre! – Costoro sono simili a quelli, che cogli occhi volessero udire le armonie di Verdi e con gli orecchi volessero vedere gli angeli di Raffaello e con le mani volessero toccare i sapori e le fragranze. Le scienze umane vi condurranno al conoscimento ciascuna dell’oggetto che le è proprio, e solo lo studio di Dio e della sua Religione vi condurrà al conoscimento di Dio e della Religione. Allorché pertanto trovate uomini delle scienze umane profondi conoscitori, e di Dio e della sua Religione non solo ignari, ma sprezzatori, non dovete pigliarne scandalo; possiedono le altre scienze e in quelle teneteli pure maestri; nella scienza di Dio e della Religione non sono nemmeno discepoli: non se ne sono occupati e la loro parola come la loro incredulità non vi devono turbare. Le scienze, nelle quali han grido, non danno loro il diritto di costituirsi giudici in quella troppo più alta, che non appresero; gonfi di quelle, trovarono in esse, non un aiuto, ma sì un impedimento per giungere alla scienza della Religione. – I dottori del Sinedrio conoscevano molto bene il luogo dove il Messia doveva nascere secondo il profeta; era a pochi chilometri da loro. Perché dunque non vi andarono anch’essi coi Magi o dopo i Magi? Perché adunque non cercarono almeno di Lui? Conoscere la verità e non seguirla, quale contraddizione! Come si spiega questa condotta dei dottori della legge, che conoscono la verità, che nell’esempio dei Magi hanno un potente eccitamento per andare a Cristo e non ne fanno nulla? Io credo che tre cause soprattutto trattenessero quei dottori dal correre a Betlemme e riconoscervi il Messia e furono: il timore degli uomini del potere, il rispetto mondano e l’orgoglio. Erode s’era turbato in udir parlare del Messia e in vedere i Magi; sapevano ch’egli era uomo da non arrestarsi dinanzi a qualsivoglia delitto, allorché fosse in pericolo il trono; dinanzi a quell’uomo essi dovevano tremare. Ora mostrare di credere alla venuta del Messia, andare coi Magi o dopo di essi a Betlemme, professarsi suoi discepoli in faccia ad Erode, era  incorrere l’ira di lui, un rendersi sospetti, e l’ira e i sospetti di quel monarca erano egualmente pericolosi e conveniva cessarli. Poi andare a Betlemme, cercare del Messia, in quelle condizioni, voleva dire farsi discepoli altrui, essi che erano maestri; bisognava francamente dichiararsi contro l’opinion pubblica, che allora riceveva la legge dalla corte di Erode; bisognava romperla cogli adulatori del monarca; bisognava farsi piccoli, umili come i Magi, per riconoscere un Messia, nato testé in una piccola borgata, in una stalla, in mezzo alla più squallida povertà. Essi, i dottori, pieni di sé, perciò schiavi dei rispetti umani e tementi l’ira del re, non si mossero, si avvolsero nel silenzio e nella più assoluta indifferenza e con la loro scienza non conobbero Cristo. – E ciò che accade frequentemente sotto i nostri occhi anche al giorno d’oggi. Quanti, alzando i loro occhi, veggono gli uomini del potere, i ricchi, i grandi, che non si curano di Religione, che non si veggono mai in chiesa, che la disprezzano altezzosamente! li temono e si mettono dietro a loro e si danno l’aria di increduli. Quanti più ancora temono i giudizi del mondo, le risa e gli scherni di certi amici! Temono di passare per devoti, bigotti, retrivi, se usano al tempio, se si accostano ai Sacramenti, se ascoltano la parola di Dio, se si chiariscono nettamente Cristiani. Che fanno? Si eclissano; non si vedono alla Messa, alle sacre funzioni, ai Sacramenti e per timore del biasimo degli uomini compariscono miscredenti. – Ed altri, massime delle classi istruite, nel loro orgoglio non sanno rassegnarsi alla parte di discepoli in materia di Religione; credono che la scienza, la ricchezza, i titoli, gli uffici che tengono, li dispensino dal sedere sopra un banco in chiesa per udire la spiegazione del Catechismo; parrebbe loro di umiliarsi eccessivamente, di avvilire la propria dignità trovandosi in chiesa a lato dell’artigiano, del contadino, del proprio servitore, e perciò se ne appartano, e con la loro scienza, onde sono gonfi, finiscono, come i dottori del Sinedrio, a restare nelle loro case, e non curarsi di cercare e andare a Gesù Cristo, come i Magi. – Mi sembra d’avervi spiegato perché la scienza in genere, e la moderna in ispecie non conduca a Cristo e alla sua Religione e piuttosto ne allontani gli animi. Essa non produce certamente questo effetto per sé stessa e sarebbe errore e bestemmia grave il sospettarlo; ma lo produce solo in quanto non è volta a studiare la Religione, sebbene altre cose; perché, se pure studia in qualche parte la Religione, la studia presso uomini e libri ostili e non a fonti sicure; perché la studia con animo pieno di pregiudizi e inchinevole a giudicarla sinistramente; perché paventa i giudizi del mondo e teme ne siano offesi gli interessi materiali. Ora è a vedere qual sia la scienza, che conduce a Dio, come fu quella dei Magi. Me ne passerò in poche parole, perché  ciò che ho detto sin qui, per la ragione dei contrari, getta bastevole luce su quello che sono per dirvi. – I Magi, come vuole antica e venerabile tradizione, erano uomini dediti alla scienza, particolarmente degli astri, scienza in grande onore presso gli orientali. Essi videro una stella di meravigliosa bellezza, o segno celeste quale che si fosse e che il Vangelo non determina. Ma quel segno, per quanto fosse straordinario, non diceva, non determinava nulla di particolare; poteva essere un fenomeno straordinario, sì, ma occulto e naturale, che poteva eccitare la curiosità, ma che non annunziava nulla. Che relazione poteva mai essere tra una stella, un segno singolare apparso in cielo e il nascimento del Salvatore del mondo? Per sé non v’era nesso di sorta. E quanti l’avranno visto e ammirato e poi, scuotendo il capo e mormorando alcune parole, se ne saranno andati, pensando ad altro! Perché quel segno prodigioso fosse inteso era necessario che al medesimo fosse congiunto il conoscimento del suo significato e questo i Magi lo poterono attingere nella scienza dei Libri Sacri o nelle memorie dei Padri, nelle tradizioni venerande dei maggiori, rischiarate senza dubbio dalla luce superna della grazia, della quale Iddio è sempre largo. Questi Magi pertanto ci si presentano come uomini, i quali in mezzo alle fitte tenebre del paganesimo conservavano accesa e sfolgorante la face della scienza divina e docilmente la seguivano. Ma bastava egli ai Magi vedere il segno celeste e conoscerne il significato mercé la luce della Scrittura e delle tradizioni, sentire la voce della grazia, che li chiamava, per trovarsi un giorno ai piedi di Gesù Cristo e compire l’opera della loro santificazione? Oh no! Essi dovevano rispondere alla voce della grazia, all’invito del segno celeste: al conoscimento dovevano accoppiare l’opera, lasciare il loro paese, non curare i giudizi e forse i biasimi del mondo, intraprendere un lungo viaggio, affrontare disagi e pericoli, attraversando regioni ignote: e non stettero in forse a far tutto questo, non cercando, che una sola cosa a qualunque costo, conoscere, vedere e adorare il nato Messia e porgergli il tributo della loro fede. Ecco ciò che dovete fare voi pure, o uomini della scienza, se per isventura siete privi della fede e vivete nel dubbio o nelle tenebre dell’errore. La stella della rivelazione divina splende in alto, vi invita, vi chiama al conoscimento di Gesù Cristo, che è la vostra vita: non vi si domanda un cieco assenso, una fede senza prove, no: sarebbe indegna di voi, ai quali Iddio ha dato la guida della luce naturale, e indegna di Dio che vuole un omaggio ragionevole: la fede non è l’abdicazione della ragione: la luce del sole non estingue quella degli astri inferiori. Voi, uomini adulti, uomini della scienza, potete e dovete andare alla fede con la fiaccola della vostra ragione e non dimenticate mai quella sentenza stupenda di S. Tommaso: – L’uomo non crederebbe se non vedesse che ha l’obbligo di credere -. La ragione adunque vi guidi per la lunga via, come il segno celeste guidò i Magi; ma la ragione tranquilla, scevra di pregiudizi, la ragione che cerca la verità, la sola verità, che non si cura delle massime, delle lodi, o dei biasimi del mondo, che non teme le noie e le fatiche d’un lungo studio. E tutto questo basta, o fratelli? No: i Magi camminarono verso Gerusalemme, seguendo la stella e le tradizioni degli avi; ma quella stella sparve ai loro occhi [Il Vangelo veramente non dice che la stella o segno celeste sparisse agli occhi dei Magi; ma è abbastanza chiaro questo fatto dal modo con cui è narrato. Allorché il Vangelo dice, dopo l’uscita dei Magi da Gerusalemme – Et ecce stella etc. – ci fa intendere che almeno presso Gerusalemme si era velata.]: mancava loro la guida amica. Forse scoraggiati diedero volta? Essi non si vergognarono di chiedere lume a chi poteva darlo, essi sapienti, ricchi, forse principi, dissero umilmente: Voi che il sapete, insegnateci dove è nato il Re de’ Giudei, il Salvatore del mondo -. Domandarono lume e l’ebbero chiarissimo: – Andate a Betlemme -. Non si scandalizzarono, vedendo quei dottori della legge indifferenti: non si smarrirono d’animo, vedendosi soli ed abbandonati dai loro maestri, che dovevano precederli a Betlemme, o almeno accompagnarveli. Essi pensano a sé, adempiono il loro dovere e l’altrui noncuranza non iscema la loro fede. Uomini della scienza, che andate in cerca della fede in cui solo può trovare pace il vostro spirito travagliato e stanco, se talvolta il dubbio vi assale, la luce della verità si oscura e vi sgomenta il cammino lungo ed aspro, non vi gravi il chiedere ad altri aiuto di consiglio e conforto. Il passeggiero, che può essere dottissimo, non esita a chiedere della via ad un fanciullo che incontra. Voi avete la Chiesa, avete uomini di Chiesa, laici credenti e dotti, libri ed altri mezzi senza numero, che possono additarvi la retta via, dissipare i vostri dubbi e confortarvi nell’arduo cammino. A questi appigliatevi, di questi valetevi, come i Magi si valsero di Erode e del Sinedrio di Gerusalemme. – Appena usciti da Gerusalemme, i Magi con immensa gioia rividero la stella o segno celeste, che li guidava a Betlemme. Vi giunsero, ed entrando nella povera casa, trovarono il Bambino con Maria, Madre di Lui, e prostrandosi lo adorarono e gli offersero oro, incenso e mirra. Il luogo, la povertà, la debolezza del Bambino, l’abbandono estremo, in cui era lasciato da quelli non turbarono la loro fede, non gettarono ombra di dubbio negli animi loro. Essi, dotti, ricchi, forse principi, nell’ardore della loro fede, caddero ginocchioni a pie’ di quella culla, di quel povero bambino e riconobbero in Lui il Salvatore del mondo: i loro voti erano appagati, piena la loro gioia, coronata l’umile docilità del loro spirito. Uomini della scienza! Ecco il termine ultimo del vostro lungo cammino in cerca della verità, Gesù Cristo, Figlio di Dio e della Vergine. Quando avrete trovato Lui e offertogli il tributo della vostra fede, del vostro amore, delle vostre pene per Lui tollerate, avrete trovato la pace del cuore e sentirete quanto è dolce amare e servire Iddio. L’odissea felice dei Magi, che, seguendo la ragione rischiarata dalla fede, attraverso lunghe e difficili prove, giunsero a Cristo, si ripete nella Chiesa da S. Paolo, Giustino M., S. Agostino, fino a Laharpe, a Tommaso Moore, a Federico Hurter, a Palmer, a Donoso Cortes, a Schouwaloff, al Dr. Hirz e a mille altri, tutti uomini della scienza, i quali, dopo corse le vie tortuose dell’errore, seguendo il lume della ragione, trovarono finalmente il lume della fede e nel seno della Chiesa, ai piedi di Gesù Cristo, che vive in essa, trovarono con la verità la pace della mente e del cuore.

Credo…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps LXXI: 10-11
Reges Tharsis, et ínsulæ múnera ófferent: reges Arabum et Saba dona addúcent: et adorábunt eum omnes reges terræ, omnes gentes sérvient ei.
[I re di Tharsis e le genti offriranno i doni: i re degli Arabi e di Saba gli porteranno regali: e l’adoreranno tutti i re della terra: e tutte le genti gli saranno soggette.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, dona propítius intuere: quibus non jam aurum, thus et myrrha profertur; sed quod eisdem munéribus declarátur, immolátur et súmitur, Jesus Christus, fílius tuus, Dóminus noster: [Guarda benigno, o Signore, Te ne preghiamo, alle offerte della tua Chiesa, con le quali non si offre più oro, incenso e mirra, bensì, Colui stesso che, mediante le medesime, è rappresentato, offerto e ricevuto: Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore.

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Matt II: 2
Vídimus stellam ejus in Oriénte, et vénimus cum munéribus adoráre Dóminum.
[Vedemmo la sua stella in Oriente, e venimmo con doni ad adorare il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quæ sollémni celebrámus officio, purificátæ mentis intellegéntia consequámur.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che i misteri oggi solennemente celebrati, li comprendiamo con l’intelligenza di uno spirito purificato.]

Preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della S. Messa:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLI GLI USUSPANTI APOSTATI (CON CAZZUOLA E GREMBIUNO) DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “INIMICA VIS”

Cosa poteva ancora fare il Santo Padre Leone XIII, dopo tante lettere encicliche, per mettere in guardia tutti i Cattolici e gli italiani di buona volontà, contro le attività indegne ed eversive della empia setta, emanazione satanica, organizzata nel combattere Dio, il suo Cristo e la sua Chiesa? Ciò nonostante la setta infernale, è andata avanti nel tempo, conquistando tutti i posti chiave di comando dello Stato italiano, della finanza pubblica, dei mezzi di comunicazione di massa, dei centri nevralgici della società tutta e finalmente usurpando le diocesi e la stessa Sede apostolica. Certo tutto è avvenuto con permesso divino perché fossero vagliati i cuori di tutti gli uomini, i Cristiani veri, i Cristiani di comodo, i finti Cristiani, i nemici del Cristo e della Chiesa, sì da potere operare nel giorno del Giudizio con facilità la divisione tra i capri alla sinistra di Cristo, e gli agnelli alla sua destra. L’avvertimento terrificante per chi crede è: …. « Coloro pertanto che per somma disgrazia han dato il nome ad alcuna di queste società di perdizione, sappiano che sono strettamente tenuti a separarsene, se non vogliono restar divisi dalla comunione cristiana, e perdere l’anima loro nel tempo e nell’eternità ». Quindi altro che filantropia, progressismo, libertà di pensiero, carrierismo, scempiaggini e turpitudini varie, qui c’è la sorgente della morte, zampilla il veleno pestifero dell’estinzione eterna dell’anima, l’impenitenza finale, la dtrada della voragine dello stagno di fuoco preparato per il demonio ed i suoi servi. Poi un invito, ancor più valido ed esteso oggi a tutte le forze politiche e alle istituzioni pubbliche italiane, e pure alla finta chiesa, la “sinagoga di satana” che si è sostituita alla Sposa immacolata di Cristo, apparentemente spacciandosi come Chiesa moderna e progressista, in realtà professando modernismo e gnosticismo, ecumenismo ed indifferentismo religioso, cioè gli stessi principi, diversamente mascherati, della massoneria con la quale in effetti cammina a braccetto in piena sintonia. « … Siate dunque italiani e Cattolici, liberi e non settari, fedeli alla Patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo [quello vero naturalmente, non il … clown massonico – ndr.-], persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire … », condanna che si sta realizzando pienamente e si manifesterà con danni irreparabili per la Nazione. Se nessuno ha ascoltato le parole del Papa allora, certamente queste non saranno ascoltate oggi, a meno di un miracolo eclatante. Ma il Sommo Pontefice ci incita ad affrontare il nemico a viso aperto e senza timori « … Il numero, la baldanza, la forza dei nemici non vi atterriscano; ché Dio è più forte di loro, e se Dio è con voi, che potranno essi contro di Voi? » Sveglia Cristiani! … tiriamo fuori i Rosari, i libri della vera preghiera Cattolica, i manuali della dottrina Cattolica di sempre, torniamo con cuore sincero a Dio, e la setta infernale sarà spazzata via in un attimo, come ci assicura il Re-Profeta nel salmo LXXX … pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam. E poi, non dimentichiamo mai che: …

Ipsa conteret caput tuum!

Leone XIII

Inimica vis

Lettera Enciclica

1. Custodi di quella fede a cui le nazioni cristiane van debitrici del loro morale e civile riscatto, Noi mancheremmo ad uno dei Nostri supremi doveri, se non levassimo spesso e ben alto la voce contro l’empia guerra, onde si tenta, diletti figli, rapirvi sì prezioso tesoro. Di questa guerra, ammaestrati ormai da lunga e dolorosa esperienza, voi ben conoscete le terribili prove, e nel vostro cuore di Cattolici e di italiani altamente la deplorate. E veramente si può essere italiani di nome e di affetto, e non risentirsi delle offese che si fanno tuttodì a quelle divine credenze, che sono la più bella delle nostre glorie, che dettero all’Italia il primato sulle altre nazioni ed a Roma lo scettro spirituale del mondo: che sulle rovine del paganesimo e delle barbarie fecero sorgere il mirabile edificio della cristiana civiltà? Si può essere di mente e di cuore cattolici e mirare con occhio asciutto in quella terra medesima nel cui grembo l’adorabile nostro Redentore si degnò stabilire la sede del suo regno, impugnate le sue dottrine, oltraggiato il suo culto, combattuta la sua chiesa, osteggiato il suo Vicario, perdute tante anime redente col suo Sangue, la porzione più eletta del suo gregge, un popolo stato per ben diciannove secoli a lui sempre fedele, esposto ad un continuo e presentissimo pericolo di apostatar dalla fede, e sospinto in una via di errori e di vizi, di materiali miserie e di morale abiezione? Diretta ad un tempo contro la patria celeste e la terrena, contro la religione dei nostri padri e la civiltà trasmessaci con tanto splendore di scienze, lettere ed arti da loro, la guerra di cui parliamo, voi la capite, diletti figli, è doppiamente scellerata, e rea non meno di umanità offesa che di offesa divinità. Ma d’onde essa muove principalmente se non da quella setta massonica, della quale discorremmo a lungo nell’Enciclica Humanum genus del 20 aprile 1884 e nella più recente del 15 ottobre 1890 indirizzata ai Vescovi, al Clero e al popolo d’Italia? Con queste due Lettere strappammo dal viso della massoneria la maschera onde si velava agli occhi dei popoli, e la mostrammo nella cruda sua deformità, nella sua tenebrosa e funestissima azione.

2. Ci restringiamo questa volta a considerarne i deplorevoli effetti rispetto all’Italia. Insinuatasi infatti già da gran tempo sotto le speciose sembianze di società filantropica e redentrice dei popoli, nel nostro bel Paese, e per via di congiure, corruttele e di violenze giunta finalmente a dominare l’Italia e questa medesima Roma, a quanti disordini, a quante sciagure non ha essa in poco più di sei lustri spalancata la via? Mali grandi in sì breve giro di tempo ha veduto e patito la patria nostra. La Religione dei nostri padri è stata fatta segno a persecuzioni di ogni sorta, col satanico intento di sostituire al Cristianesimo il naturalismo, al culto della fede il culto della ragione, la morale così detta indipendente alla morale cattolica, al progresso dello spirito quello della materia. Alle sante massime e leggi del Vangelo si è osato contrapporre leggi e massime che possono chiamarsi il codice della rivoluzione, e un insegnamento ateo ed un verismo abbietto alla scuola, alla scienza, alle arti cristiane. Invaso il tempio del Signore, si è dissipata con la confisca dei beni ecclesiastici la massima parte del patrimonio necessario ai santi ministeri, assottigliato con la leva dei chierici oltre i limiti dell’estremo bisogno il numero dei sacri ministri. Se l’amministrazione dei Sacramenti non fu potuta impedire, si cerca però in tutti i modi d’introdurre e promuovere matrimoni, e funerali civili. Se ancora non si riuscì a strappare affatto dalle mani della Chiesa l’educazione della gioventù ed il governo degli istituti di carità, si mira sempre con sforzi perseveranti a tutto laicizzare, che val quanto dire a cancellare da tutto l’impronta cristiana. Se della stampa cattolica non si è potuto soffocare la voce, si fece di tutto per screditarla ed avvilirla.

3. E pur di osteggiare la Religione Cattolica, quali parzialità e contraddizioni! Si chiusero monasteri e conventi; e si lasciano moltiplicare a lor grado logge massoniche e covi settari. Si proclamò il diritto di associazione: e la personalità giuridica, di cui associazioni di ogni colore usano ed abusano, è negata ai religiosi sodalizi. Si bandì la libertà dei culti e intanto odiose intolleranze e vessazioni si riserbano proprio a quella che è la religione degli italiani, ed a cui perciò dovrebbe assicurarsi rispetto e patrocinio sociale. A tutela della dignità e indipendenza del Papa si fecero proteste e promesse grandi; e voi vedete a quali vilipendi venga quotidianamente fatta segno la Nostra persona. Qualsiasi specie di pubbliche manifestazioni trova libero il campo; solamente or l’una or l’altra delle dimostrazioni cattoliche o è vietata o disturbata. S’incoraggiano nel seno della Chiesa scismi, apostasie, ribellioni ai legittimi superiori; i voti religiosi e segnatamente la religiosa ubbidienza si riprovano come cose contrarie alla libertà e dignità umana: e intanto vivono impunite empie congreghe, che legano con giuramenti nefandi i loro adepti, ed esigono anche nel delitto ubbidienza cieca ed assoluta. Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all’azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell’ordine religioso presentemente ci travagliano, nei fatti che abbiam ricordato e in molti altri che potremmo ricordare, si sente il suo spirito; quello spirito che, nemico implacabile di Cristo e della Chiesa, tenta tutte le vie, usa tutte le arti, si prevale di tutti i mezzi per rapire alla Chiesa la sua figlia primogenita, a Cristo la nazione prediletta, sede del suo Vicario in terra e centro della cattolica unità. L’influenza malefica ed efficacissima di questo spirito sulle cose nostre non occorre oggi congetturarla da pochi e fuggevoli indizi, né argomentarla dalla serie dei fatti che da trenta anni si succedono. Inorgoglita dai successi, la setta stessa ha parlato alto e ci ha detto ciò che fece in passato, ciò che si propone di fare in avvenire. Le pubbliche potestà, consapevoli o no, essa le riguarda in sostanza come propri strumenti: il che vuol dire che della persecuzione religiosa che ha tribolato e tribola l’Italia nostra, l’empia setta mena vanto come di opera principalmente sua, di opera eseguita spesso con altre mani, ma per modo immediato o mediato, diretto o indiretto, di lusinga o di minaccia, di seduzione o di rivoluzione, ispirata, promossa, incoraggiata, aiutata da lei.

4. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell’uomo, capace e bisognoso dell’infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra: ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa i nostri dì. Nelle famiglie è assai menomato quell’amoroso rispetto che forma le domestiche armonie; l’autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni dì le discordie civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all’aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gl’incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali. Lo Stato invece di star pago all’alto e nobilissimo ufficio di riconoscere, tutelare, aiutare nella loro armoniosa universalità i divini e gli umani diritti, si crede quasi arbitro di essi, e li disconosce o li restringe a capriccio. L’ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sette anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno ad ingrossar le file del socialismo, dell’anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più nè degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da se stesse, col suicidio, codardamente la vita.

5. Ecco i frutti che a noi italiani ha recato la setta massonica. E dopo ciò essa ardisce di venire innanzi magnificando le sue benemerenze verso l’Italia, e di dare a Noi e a tutti coloro che, ascoltando la Nostra parola, rimangono fedeli a Gesù Cristo, il calunnioso titolo di nemici della patria. Quali siano verso la nostra penisola i meriti della rea setta, ormai, giova ripeterlo, lo dicono i fatti. I fatti dicono che il patriottismo massonico non è che un egoismo settario, bramoso di tutto dominare, signoreggiando gli Stati moderni che nelle mani loro raccolgono ed accentrano tutto. I fatti dicono che, negl’intendimenti della massoneria, i nomi d’indipendenza politica, di uguaglianza, di civiltà, di progresso miravano ad agevolare nella patria nostra l’indipendenza dell’uomo da Dio, la licenza dell’errore e del vizio, la lega di una fazione a danno degli altri cittadini, l’arte dei fortunati del secolo di godersi più agiatamente e deliziosamente la vita, il ritorno di un popolo redento col divin sangue alle divisioni, alle corruttele, alle vergogne del paganesimo.

6. E non accade meravigliarsi di ciò. Una setta che dopo diciannove secoli di cristiana civiltà si sforza di abbattere la Chiesa Cattolica, e di reciderne le divine sorgenti; che, negatrice assoluta del soprannaturale, ripudia ogni rivelazione, e tutti i mezzi di salute che la rivelazione ci addita; che pei disegni e le opere sue fondasi unicamente e interamente sopra una natura inferma e corrotta come è la nostra; tale setta non può essere altro che il sommo dell’orgoglio, della cupidigia spoglia, la sensualità corrompe; e quando queste tre concupiscenze giungono al grado estremo, le oppressioni, gli spogliamenti, le corruttele seduttrici, via via allargandosi, prendono dimensioni smisurate, diventano oppressione, spogliamento, fomite corruttore di tutto un popolo.

7. Lasciate dunque che, rivolgendo a voi la Nostra parola, vi additiamo la massoneria come nemica ad un tempo di Dio, della Chiesa e della nostra patria. Riconoscetela come tale praticamente una volta; e con tutte le armi, che ragione, coscienza e fede vi pongono in mano, schermitevi da sì fiero nemico. Niuno si lasci illudere dalle sue belle apparenze, niuno allettare dalle sue promesse, sedurre dalle sue lusinghe, atterrire dalle sue minacce. Ricordatevi che essenzialmente inconciliabili tra loro sono Cristianesimo e massoneria; sì che aggregarsi a questa è un far divorzio da quello. Tale incompatibilità tra le due professioni di cattolico e di massone ormai, diletti figli, non potete ignorarla: ve ne avvertirono apertamente i Nostri Predecessori, e Noi per ugual modo ve ne ripetemmo altamente l’avviso. Coloro pertanto che per somma disgrazia han dato il nome ad alcuna di queste società di perdizione, sappiano che sono strettamente tenuti a separarsene, se non vogliono restar divisi dalla comunione cristiana, e perdere l’anima loro nel tempo e nell’eternità. Sappiano altresì i genitori, gli educatori, i padroni e quanti han cura di altri, che obbligo rigoroso li stringe d’impedire al possibile che entrino nella rea setta i loro soggetti, o che, entrati, vi rimangano.

8. Preme poi, in cosa di tanta importanza e dove la seduzione ai dì nostri è cosa facile, che il Cristiano si guardi dai primi passi, tema i più leggeri pericoli, eviti ogni occasione, prenda le più sollecite precauzioni, usi insomma, secondo il consiglio evangelico, pur serbando in cuore la semplicità della colomba, tutta la prudenza del serpente. I padri e le madri di famiglia si guardino dall’accogliere in casa e di ammettere all’intimità delle confidenze domestiche persone ignote, o almeno quanto a religione non conosciute abbastanza; procurino invece di accertarsi prima che sotto il manto dell’amico, del maestro, del medico, o di altro benevolo non si celi un astuto arruolatore della setta. Oh in quante famiglie il lupo penetrò in veste d’agnello! Bella cosa sono le svariatissime società, che oggi in ogni ordine di sociale attinenza con fecondità prodigiosa sorgono da per tutto: società operaie, di mutuo soccorso, di previdenza, di scienze, di lettere, di arti, e simiglianti; e quando siano informate da buono spirito morale e religioso, tornano certamente proficue e opportune. Ma poiché qui pure, anzi qui specialmente è penetrato e penetra il veleno massonico, si abbiano per generalmente sospette, e si evitino le società che, sottraendosi ad ogni influsso religioso, possono facilmente essere dirette e dominate più o meno da massoni, come quelle che, oltre a porgere aiuto alla setta, ne sono, può dirsi, il semenzaio e il tirocinio. A società filantropiche, di cui non ben conoscano la natura e lo scopo, non si ascrivano facilmente le donne senza essersi prima consigliate con persone sagge e sperimentate, giacché passaporto alla merce massonica è spesso quella ciarliera filantropia, contrapposta con tanta pompa alla carità cristiana. Con gente sospetta di appartenere alla massoneria o a sodalizi ad essa aggregati procuri ognuno di non aver amicizia o dimestichezza: dai loro frutti li conosca e li fugga. E non solo di coloro che, palesemente empi e libertini, portano in fronte il carattere della setta, ma di quelli si eviti il tratto familiare, che si occultano sotto la maschera di universale tolleranza, di rispetto a tutte le religioni, di smania di voler conciliare le massime del Vangelo e le massime della rivoluzione, Cristo e Belial, la Chiesa di Dio e lo Stato senza Dio. Libri e giornali che stillano il tossico dell’empietà e che attizzano negli umani petti il fuoco delle cupidigie sfrenate e delle sensuali passioni; circoli e gabinetti di lettura, ove lo spirito massonico si aggira cercando chi divorare, siano al Cristiano, e ad ogni Cristiano, luoghi e stampa che fanno orrore.

9. Se non che, trattandosi di una setta che ha tutto invaso, non basta tenersi contro di lei in sulle difese, ma bisogna coraggiosamente uscire in campo ed affrontarla. Il che voi, diletti figli, farete, opponendo stampa a stampa, scuola a scuola, associazione ad associazione, congresso a congresso, azione ad azione. La massoneria si è impadronita delle scuole pubbliche; e voi con le scuole private, con quelle di zelanti ecclesiastici e di religiosi dell’uno e dell’altro sesso contendetele l’istruzione e l’educazione della puerizia e gioventù cristiana, e soprattutto i genitori cristiani non affidino l’educazione dei loro figli a scuole non sicure. Essa ha confiscato il patrimonio della pubblica beneficenza; e voi supplite col tesoro della privata carità. Nelle mani dei suoi adepti ha ella messo le Opere pie: e voi quelle che da voi dipendono affidatele a cattolici istituti. Ella apre e mantiene case di vizio; e voi fate il possibile per aprire e mantenere ricoveri all’onestà pericolante. A’ suoi stipendi milita una stampa religiosamente e civilmente anticristiana; e voi con l’opera e col danaro aiutate, promuovete, propagate la stampa cattolica. Società di mutuo soccorso ed istituti di credito sono fondati da lei a pro dei suoi partigiani; e voi fate altrettanto non solo pei vostri fratelli, ma per tutti gl’indigenti, mostrando che la vera e schietta carità è figlia di colui che fa sorgere il sole e cadere la pioggia sui giusti e sui peccatori.

10. Questa lotta del bene col male si estenda a tutto, e cerchi, in quanto è possibile, di riparare tutto. La massoneria tiene frequenti congressi per concertar nuovi modi di combattere la Chiesa; e voi teneteli frequentemente per meglio intendervi intorno ai mezzi e all’ordine della difesa. Ella moltiplica le sue logge; e voi moltiplicate circoli cattolici e comitati parrocchiali, promuovete associazioni di carità e di preghiera, concorrete a mantenere ed accrescere lo splendore del tempio di Dio. La setta, non avendo più nulla a temere, mostra oggi il viso alla luce del giorno; e voi, Cattolici italiani, fate anche voi aperta professione della vostra fede, ad esempio dei gloriosi vostri antenati, che innanzi ai tiranni, ai supplizi, alla morte la confessavano intrepidi e l’autenticavano con la testimonianza del sangue. Che più? Si sforza la setta di asservire la Chiesa, e di metterla, umile ancella, ai piedi dello Stato? E voi non cessate di chiederne e, dentro le vie legali, di rivendicarne la dovuta libertà e indipendenza. Cerca essa di lacerare l’unità cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, fomentando discordie, aizzando gli animi all’insubordinazione, alla rivolta, allo scisma? E voi, stringendo sempre più il sacro nodo della carità e dell’obbedienza, sventate i suoi disegni, mandate a vuoto i suoi tentativi, deludete le sue speranze. Come i primitivi fedeli, siate tutti un cuore ed un’anima; e raccolti intorno alla cattedra della Chiesa e dei vostri Pastori, tutelate gl’interessi supremi della Chiesa e del Papato, che sono altresì i supremi interessi dell’Italia e di tutto il mondo cristiano. Ispiratrice e gelosa custode delle italiche grandezze fu sempre l’Apostolica Sede. Siate dunque italiani e Cattolici, liberi e non settari, fedeli alla patria e insieme a Cristo ed al Vicario suo, persuasi che un’Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all’ordinamento divino, e quindi condannata a perire.

11. Diletti figli, la Religione e la patria vi parlano in questo momento per bocca Nostra. E voi ascoltate il loro grido pietoso, sorgete unanimi e combattete virilmente le battaglie del Signore. Il numero, la baldanza, la forza dei nemici non vi atterriscano; ché Dio è più forte di loro, e se Dio è con voi, che potranno essi contro di Voi? Affinché poi con maggior copia di grazie Iddio sia con voi, con voi combatta, con voi trionfi, raddoppiate le vostre preghiere, accompagnatele con l’esercizio delle cristiane virtù e specialmente coll’esercizio della carità verso i bisognosi, e rinnovando ogni dì le promesse del Battesimo, implorate umilmente, instantemente, perseverantemente le divine misericordie. Come auspicio di queste, e come pegno altresì della Nostra paterna dilezione, v’impartiamo, diletti figli, la benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 8 dicembre 1892, anno decimoquinto del Nostro Pontificato.


MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2020)

MESSA DELLA FESTA DEL SS. NOME DI GESÙ (2020).

Doppio di II cl. – Paramenti bianchi.

La Domenica tra la Circoncisione e l’Epifania.

Dopo averci manifestato l’Incarnazione del Figlio di Dio, la Chiesa ci rivela tutta la grandezza del suo nome. Durante il rito della Circoncisione i Giudei davano un nome ai bambini. Cosi la Chiesa usa lo stesso Vangelo del giorno della Circoncisione, insistendo sulla seconda parte, che dice: « il Bambino fu chiamato Gesù » (Vang.) « come Dio aveva ordinato che si chiamasse » (Or.) ». (L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio a Maria e le disse: lo Spirito Santo scenderà sopra di te, « partorirai un figliuolo e gli porrai nome Gesù » (S. Luca, 1, 31). «Un Angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: Giuseppe, ciò che in Maria tua sposa è stato concepito, è dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio al quale porrai nome Gesù; perché Egli libererà il suo popolo dai peccati » – S. Matteo. I, 20). Questo nome significa Salvatore poiché spettava a Gesù di salvarci; «nessun altro nome è stato dato dagli uomini con il quale noi dovessimo essere salvati » (Ep.). Le prime origini di questa festa risalgono al XVI secolo, e la si celebrava nell’ordine di S. Francesco. Nel 1721 la Chiesa, retta da Innocenzo XIII, estese al mondo intero questa solennità. Se vogliamo « rallegrarci di vedere i nostri nomi scritti con quello di Gesù nel cielo » (Postc.) abbiamo lo spesso sulle nostre labbra quaggiù. Venti giorni d’indulgenza sono accordati a quelli che curvano il capo con rispetto pronunciando o ascoltando il nome di Gesù e di Maria, e Pio X ha concesso 300 giorni a quelli che li invocheranno piamente con le labbra o almeno con il cuore.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil II: 10-11
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris [Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]
Ps VIII: 2.
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!
[Signore, Signore nostro, quant’è ammirabile il Nome tuo su tutta la terra!]
In nómine Jesu omne genu flectátur, cœléstium, terréstrium et infernórum: et omnis lingua confiteátur, quia Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris [Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e nell’inferno, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo regna nella gloria di Dio Padre.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui unigénitum Fílium tuum constituísti humáni géneris Salvatórem, ei Jesum vocári jussísti: concéde propítius; ut, cujus sanctum nomen venerámur in terris, ejus quoque aspéctu perfruámur in cœlis.
[O Dio, che l’Unigenito tuo Figlio hai costituito Salvatore del genere umano, e hai voluto chiamarlo Gesù, concedici propizio di volerci beare in cielo della vista di Colui di cui sulla terra veneriamo il santo Nome.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolorum
Act IV: 8-12
In diébus illis: Petrus, replétus Spíritu Sancto, dixit: Príncipes pópuli et senióres, audíte: Si nos hódie dijudicámur in benefácto hóminis infírmi, in quo iste salvus factus est, notum sit ómnibus vobis et omni plebi Israël: quia in nómine Dómini nostri Jesu Christi Nazaréni, quem vos crucifixístis, quem Deus suscitávit a mórtuis, in hoc iste astat coram vobis sanus. Hic est lapis, qui reprobátus est a vobis ædificántibus: qui factus est in caput ánguli: et non est in alio áliquo salus. Nec enim aliud nomen est sub cœlo datum homínibus, in quo opórteat nos salvos fíeri.

[In quei giorni: Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani, ascoltate: Giacché oggi siamo interrogati sul bene fatto ad un uomo ammalato, per sapere in qual modo sia stato risanato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele, che in virtù del Nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e Iddio risuscitò dai morti, costui sta ora qui sano alla vostra presenza. Questa è la pietra rigettata da voi, costruttori, la quale è divenuta testata d’angolo. Né c’è salvezza in alcun altro. Poiché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc II: 21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesù: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

Omelia

[G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. I; Queriniana Brescia, 1896]

« Come furono compiuti gli otto giorni, per circoncidere il bambino, gli fu posto nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo, prima di essere concepito nel seno » (S. Luca II, 21).

In questo solo e non lungo versetto si contiene la lezione evangelica, che or ora solennemente si cantava e che la Chiesa ci mette innanzi affinché la meditiamo: se brevissima è la lezione evangelica, alto e gravissimo ne è il significato. Arte mirabile e veramente divina sapienza è questa della Chiesa di tener sempre viva nella mente de’ suoi figliuoli la memoria dei misteri principali della fede; misteri che si incontrano tutti e insieme si svolgono nella adorabile Persona di Gesù Cristo e a vari intervalli troviamo sparsi lungo la via dell’anno liturgico. Otto giorni or sono la Chiesa piena di gioia ci invitava a contemplare il divino Infante nella spelonca di Betlemme e a riconoscerlo ed adorarlo coi pastori; oggi ci chiama ancora a Betlemme, in quella stessa spelonca, giacche sembra che in questi otto giorni nessuno gli avesse offerto un asilo meno disagiato per assistere al doloroso rito della Circoncisione, alla quale gli piacque sottoporsi. Fra sei giorni lo rivedremo ancora in atto di ricevere gli omaggi dei primi credenti gentili, i Magi. Si direbbe che la Chiesa lungo il cammino, che i suoi figliuoli devono percorrere, qua e là innalza alcune colonne, sulle quali sta scritta una pagina della vita del suo Sposo, il Salvatore del mondo. I popoli, ivi passando, si fermano alcun poco, levano gli occhi, leggono quella pagina, pensano al divino Maestro, ricordano la sua vita e i suoi esempi, e, ristorate le forze, più lieti ed animosi ripigliano la via, che dalla terra della schiavitù, l’Egitto, attraverso alle ardenti sabbie del deserto, conduce alla terra promessa, alla terra dove scorre latte e miele. Nel corso dell’anno ecclesiastico è questa la seconda colonna, che troviamo. Che cosa vi leggiamo noi, o carissimi? Due sole parole, ma feconde di preziosi insegnamenti: Circoncisione e il nome di Gesù. Arrestiamoci un poco ai piedi di questa colonna e meditiamole con religiosa attenzione. – « Come furono compiuti gli otto giorni per circoncidere il bambino, gli fu posto nome Gesù, com’era stato chiamato dall’Angelo prima d’essere concepito nel seno ». In questa sentenza evangelica, come dissi, due cose distinte sono accennate, la Circoncisione e il Nome di Gesù, che il Bambino celeste ricevette nello stesso tempo; su queste due cose fermeremo le nostre considerazioni (In questo luogo S. Luca non dice veramente che Gesù ricevesse la Circoncisione, ma solo che erano compiuti gli otto giorni, nei quali doveva riceverlo; ma la maniera di scrivere dell’Evangelista congiunta alla tradizione costante, unanime ed universale e suggellata con la festa, che si celebra, ci dà la certezza assoluta che Gesù Cristo fu circonciso. – Il rito della Circoncisione si poteva compiere da chiunque, in qualunque luogo, e perciò possiamo credere che Gesù la ricevesse nel luogo stesso, dove nacque e da Giuseppe come pensano alcuni Padri). – Che cosa era la Circoncisione, che la legge mosaica imponeva soltanto ai bambini di sesso maschile? Era un taglio doloroso, che si faceva sul corpo del bambino, od anche dell’uomo adulto, allorché questo voleva essere ascritto tra i figli di Abramo e abbracciare la legge mosaica. Quando fu essa istituita? Allorché Iddio fece ad Abramo la solenne promessa, che in lui sarebbero benedette le genti tutte e che dalla sua progenie verrebbe il Salvatore del mondo. Più tardi poi Mosè determinò il tempo, cioè l’ottavo giorno dopo la natività, stabilì i particolari del rito e la pena terribile per chi non l’avesse compiuto. Il rito della Circoncisione fu in uso non solo presso i Giudei, ma presso altri popoli d’Oriente e in parecchi luoghi è osservata anche al giorno d’oggi, come assicurano di alcune tribù selvagge d’Africa viaggiatori degni di fede. Quale fu il fine di questo rito e quale il suo significato? Dio chiamò Abramo: gli fece magnifiche promesse, come apprendiamo dai Libri Santi, somma delle quali ch’egli sarebbe padre d’un gran popolo, dal quale sarebbe nato il Messia, l’Uomo – Dio, il riparatore del genere umano: Abramo rispose fedelmente alla chiamata e non venne mai meno nelle più dure prove: tra Dio ed Abramo avvenne come un Patto sacro e simbolo di questo Patto fu la Circoncisione, e ciò apparisce ripetutamente dalla dottrina dell’Apostolo. Oltre di che una società religiosa è simile ad un esercito, ad un corpo qualunque ordinato. – Trovate voi un corpo, una società, un esercito, un regno, un impero, una repubblica senza un segno qualunque, una bandiera, intorno alla quale i singoli membri si raccolgano e si rattestino? No, per fermo; similmente la Religione mosaica domandava un segno visibile, che la distinguesse dalle altre e sotto il quale, quasi vessillo, si stringesse. Questo segno fu dato da Dio, accolto prima da Abramo e sancito qual legge fondamentale da Mosè. Chi non era circonciso presso gli Ebrei era fuori della Sinagoga, era gentile, come presso di noi Cristiani chi non ha ricevuto il Battesimo è infedele. Il perché non deve recare meraviglia che i Padri, seguendo l’insegnamento di S. Paolo, abbiano considerata la Circoncisione come una figura ed un simbolo del Battesimo cristiano: e in vero non pochi, né oscuri sono i punti di somiglianza tra i due riti sacri. – La Circoncisione fu istituita da Dio, autore dell’Antico Patto, il Battesimo fu istituito dall’Uomo – Dio, Gesù Cristo, autore del Nuovo Patto; la Circoncisione imprimeva nel corpo un segno indelebile, il Battesimo lo imprime nell’anima: la Circoncisione si riceveva una sola volta e una sola volta si riceve il Battesimo: quella si poteva dare dal Sacerdote e dal laico e questo si può amministrare validamente da qualunque persona anche infedele. La Circoncisione non conferiva la grazia per virtù propria, ma era segno ed eccitamento della fede, che giustificava: il Battesimo è segno e insieme strumento, o mezzo infallibile della grazia: per la Circoncisione il bambino e l’adulto che la riceveva, diventava figlio di Abramo, membro della Sinagoga: pel Battesimo il bambino e l’adulto diventa membro della Chiesa e figlio adottivo di Dio. Ben a ragione dunque la Circoncisione giudaica fu sempre considerata come una figura del nostro Battesimo. – E perché dunque, mi domanderete voi, perché dunque Gesù Cristo volle sottoporsi alla Circoncisione, Egli che era la stessa santità e veniva per abolirla? Per quelle stesse ragioni per le quali osservò più tardi tutte le altre prescrizioni della legge mosaica e che sono con tanta accuratezza indicate dai Padri. Ricevendo la Circoncisione, Gesù Cristo riconobbe la sua origine divina e con essa tutta la economia mosaica: ci diede un esempio efficacissimo di ubbidienza alle leggi, anche quando impongono gravi sacrifici e tal era senza dubbio la Circoncisione; essa era una implicita confessione del peccato, a cui tutti i figli di Adamo erano e sono soggetti; e Gesù Cristo, che veniva per assumerne la pena ed espiarla in se stesso, che volle avere la somiglianza dei peccatori – In similitudinem carnis peccati– volle altresì la Circoncisione. V’ha di più; Gesù Cristo veniva per ammaestrare gli uomini e prima i fratelli suoi, secondo la carne, gli Ebrei, e più volte lo disse nel santo Vangelo: Era dunque necessario che rimuovesse da sé tutto ciò che in qualsiasi modo rendeva la sua parola meno accetta agli Ebrei; ora s’Egli non fosse stato circonciso, naturalmente lo avrebbero respinto come un gentile e questo solo sarebbe bastato a far sì che turassero le orecchie alle sue parole e l’avessero in abbominazione. Altro motivo e nobilissimo Egli ebbe di volere per sé la Circoncisione del corpo quale figura della Circoncisione del cuore, che si può dire il fondo dell’insegnamento pratico del Vangelo; ma di questo argomento a maggior agio ragioneremo altrove. – Dissi che la Circoncisione mosaica, alla quale Gesù Cristo in questo giorno con esempio sublime di umiltà, di abnegazione e di amore al patire volontariamente si sottomise, è figura del nostro Battesimo e ne accennai le ragioni. Non vi paia dunque cosa strana, che qui tocchi alcune verità troppo necessarie intorno al Battesimo e vi metta in guardia contro certi abusi e pregiudizi, che sventuratamente si aprono la via nella nostra società cristiana. – Era legge inviolabile presso gli Ebrei che ogni bambino maschio ricevesse la Circoncisione ed era stato determinato il giorno ottavo dopo il nascimento. Non uno dei figli d’Israele violava la legge. Ora, non Mosè, ma Cristo, nella forma più solenne ha stabilito, che ogni uomo, senza distinzione di sesso, d’età o di condizione riceva il Battesimo: non Mosè, ma Cristo ha chiaramente stabilito, che chi non riceve il Battesimo, è fuori della sua Chiesa, è già giudicato e condannato! Udite « In verità, in verità ti dico, che se alcuno non è nato d’acqua e di spirito non può entrare nel Regno di Dio » (S. Giov. III, 5). E ancora « Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo; ma chi non avrà creduto (e non sarà battezzato) sarà condannato » (San Marco, XVI, 16). A questa legge assoluta, sancita da Cristo stesso, nessuno può sottrarsi: non gli adulti, che la conoscono e la devono osservare: non i bambini, ai quali devono provvedere i loro genitori e che per essi devono rispondere dinanzi a Dio finché bambini non sono arbitri di sé medesimi.

1) Non occorre il dirlo, la condanna eterna a chi non riceve il S. Battesimo è intimata soltanto a quelli che ne conoscono l’obbligo e la necessità, come è manifesto dalle parole di nostro Signore, che dice: « Predicate ad ogni creatura: chi avrà creduto e sarà battezzato ecc. ». Dunque si parla degli adulti, che prima devono essere istruiti, devono credere, e poi, come conseguenza del credere, ricevere il Battesimo. Ora che vediamo noi, o carissimi fratelli? Lo dico con profondo dolore: noi vediamo alcuni genitori (pochissimi è vero, ma l’esempio è contagioso), i quali rifiutano di presentare al sacro Fonte i loro figliuoli. Quale oltraggio alla fede, che professiamo, alla Chiesa, della quale siamo figli! Grande Iddio! Sarebbe mai, che in mezzo ad una società, che Cristo ha fatto tutta cristiana, vedessimo sorgere una società non cristiana, una società pagana? Sarebbero questi i segni paurosi di quella defezione o apostasia, di cui parla l’Apostolo? Che molti non si curino della Confessione, della S. Eucaristia, del Matrimonio cristiano, degli altri Sacramenti, istituiti da Voi, o divino Salvatore, è un male, una sventura, è una colpa, che piangiamo a calde lagrime; ma che si rifiuti di ricevere il vostro Battesimo, che si respinga il carattere di vostro discepolo, che si chiuda la porta della vostra Chiesa, ah! questo è troppo. E tal delitto, che, in una società già tutta vostra, non ha nome; è la guerra fatta a Voi stesso, è il ripudio formale del vostro Vangelo, è un ricacciarci negli orrori del paganesimo, è un dirvi: Non vi vogliamo più e aboliamo il vostro Nome per sempre -. E questi genitori non sono essi compresi di ribrezzo e di spavento, pensando che i loro figli non appartengono a Cristo, che non portano impresso nell’anima loro il carattere di Lui, che sono come stranieri in mezzo alla famiglia cristiana? A qual religione adunque appartengono essi? Qual Dio riconoscono essi se non vogliono saperne del Dio de’ Cristiani, se rigettano Gesù Cristo? Qual fede, quale speranza possono essi avere quaggiù? Mio Dio! Non avrei giammai creduto, che in mezzo a questa società, che piglia il suo Nome e deve riconoscere le sue grandezze intellettuali, morali e materiali da Gesù Cristo, sorgessero uomini, che pubblicamente lo ripudiassero. Preghiamo per loro e che tanto scandalo ci ispiri orrore! Gesù Cristo stabilì e promulgò la legge del Battesimo sotto pena di eterna perdizione: la Chiesa, depositaria e interprete di questa legge sovrana, ne determina il tempo e quasi seguendo le tracce della mosaica, prescrive, che i bambini siano portati al sacro fonte entro l’ottavo giorno dal dì della nascita. Legge facile, tutta ispirata al bene spirituale dei bambini e in tutto conforme ai doveri, che ci stringono innanzi a Dio. E questa legge sì giusta, sì facile, tutta intesa al bene delle anime di questi bambini, si osserva? Ah! figli e fratelli carissimi, lasciate che vi esprima tutta l’amarezza dell’anima mia. Nelle nostre città e anche in alcune delle nostre borgate più popolose, sventuratamente alcuni genitori, (e non son pochi), non rifiutano, ma differiscono il Battesimo dei loro figli un mese, parecchi mesi e perfino qualche anno. E come ciò, o carissimi? Voi non potete ignorare come il Battesimo sia necessario per modo, che senza di esso le porte de’ cieli son chiuse: voi non ignorate che una legge gravissima della Chiesa vi obbliga a procurar loro tanto bene entro l’ottavo giorno dopo il loro nascimento; perché dunque ritardare sì a lungo l’adempimento del vostro dovere? Perché calpestare una legge della Chiesa sì facile ad osservarsi e di tanta importanza? La vita di questi bambini è d’una estrema delicatezza; un lieve soffio la può estinguere; qual dolore per voi, o genitori, qual rimorso per tutta la vita, qual conto dovreste rendere a Dio, se per vostra trascuratezza il vostro bambino morisse senza Battesimo! Ne sareste inconsolabili! Appena adunque vi è possibile, prima dell’ottavo giorno, portatelo al Tempio, affinché il vostro figlio diventi figlio di Dio e col Battesimo riceva il diritto alla vita eterna. Voi dite: – Si ritarda il Battesimo per giusti motivi; si aspetta che la madre possa prender parte alla festa di famiglia; si attende il padrino; spesso vi sono altre ragioni, che obbligano a differire il rito solenne -.Tutto ciò che volete, o carissimi; ma la legge esiste, la si deve osservare e se ragioni speciali ne rendono necessaria la dispensa, la si domandi a quella Autorità, che sola la può concedere, e che, benigna com’è, la concederà, né vi sia mai chi in cosa di sì grave momento si faccia giudice di se stesso. E perché in questi casi non si provvede tosto alla sicurezza del bambino, conferendogli privatamente il Battesimo, rimettendo a miglior agio la celebrazione del rito solenne, come desiderate? La legge civile prescrive il tempo, nel quale il neonato debb’essere inscritto nei pubblici registri e nessuno di voi, o genitori, vien meno alla sua osservanza e sta bene. Perché dunque non si mostra almeno eguale rispetto alla legge della Chiesa? Forseché le leggi di questa sono da meno delle leggi civili? Forseché gli interessi eterni dell’anima sottostanno agli interessi temporari del corpo? Voi stessi siatene giudici. E poiché qui viene a proposito, non vi spiaccia che tolga ad esaminare una difficoltà, che si oppone e che merita una risposta, tanto più che ha l’apparenza di verità. Si dice: – Sarebbe ragionevole differire il Battesimo a quel tempo, nel quale l’uomo conosce ciò che fa e ha coscienza dei doveri, che assume. E cosa che non è conforme alla ragione e al rispetto, che devesi alla libertà umana, ascrivere ad una religione chi non la conosce, imporgli doveri gravi, che al tutto ignora e che un giorno, conosciutili, potrebbe disconoscere e rigettare. – È ciò che voi fate allorché conferite il Battesimo ad un bambino. Aspettate che cresca, che conosca la Religione e i doveri, ch’essa impone e che liberamente l’abbracci, se così gli parrà. E ciò che si faceva in altri tempi nella Chiesa; è ciò che si fa cogli altri Sacramenti, che si ricevono dopo acquistato l’uso della ragione. Nessuno deve esser fatto Cristiano senza saperlo, per sorpresa, quasi per forza e tale è il bambino, che riceve il Battesimo -. Breve è la risposta, ma chiara e precisa. Padri, che mi ascoltate, ditemi: Trovereste voi ragionevole e giusto aspettare che i vostri figli tocchino i dieci, o i dodici anni prima di ricordar loro i doveri, che a voi li legano? Vi parrebbe ragionevole e giusto attendere il pieno sviluppo della loro intelligenza e il pieno esercizio della loro libertà per domandar loro se accettano di riconoscervi per padri, se acconsentono a divenire vostri figli ed adempirne gli obblighi? Che dico? Dov’è lo Stato, il quale aspetti che i bambini raggiungano l’uso della ragione e acquistino la piena balìa di se stessi, prima di dichiararli suoi sudditi e di esigere l’osservanza delle sue leggi? Basta che siano nati nel suo territorio perché egli li consideri e tratti come suoi sudditi, né crede necessario domandar loro se acconsentano di divenir tali e accettare le sue leggi. Forseché i vostri figli non sono stati in scritti tra i cittadini del paese, che gli è patria, pochi giorni dopo nati e prima che potessero conoscere quali doveri imponeva loro quell’atto? E vorreste, che Dio, Padre supremo di tutti, attendesse l’assenso dei vostri figli, prima di pigliar possesso di loro col Battesimo? E vorreste che la Chiesa aspettasse che questi figli, nati nel suo seno, un giorno venissero a dirle: – Noi siamo contenti di diventare col Battesimo vostri figli? – Il diritto di Dio sopra di voi, o genitori, e sopra dei vostri figli non è forse maggiore del vostro? Non esiste prima dei figli e di voi stessi? E chi può sottrarli al diritto ch’Egli ha sopra di loro, diritto imprescrittibile, diritto pieno e assoluto? Essi, questi bambini, non conoscono il dovere che hanno, né lo possono conoscere ed adempire; ma lo conoscete voi, o genitori; e poiché i vostri bambini formano una cosa sola con voi finché, con l’acquisto dell’uso della ragione, diventano arbitri di se stessi, il dovere cade sopra di voi e voi dovete procurar loro il Battesimo come lo dovreste ricevere voi stessi se ancora non l’aveste ricevuto. Voi dovete rispondere di loro fino a quel di, nel quale la responsabilità passando con l’uso della ragione in essi, cesserà la vostra. Ed è sì vero che voi formate con essi una sola cosa e che voi dovete rispondere di loro finché coll’uso della ragione saranno padroni di se stessi, che la Chiesa non permette di battezzare i vostri bambini senza il vostro assenso, come severamente vieta di battezzare chicchessia contro la sua volontà. È vero: i bambini ricevono il Battesimo senza conoscerlo; ma senza conoscerlo contraggono eziandio la colpa primitiva; e così se ricevono la ferita, ricevono anche la medicina, ignorando l’altra e l’altra. Sommo benefìcio è il Battesimo: qual beneficio maggiore che ricevere la grazia di Dio, l’essere fatti figliuoli suoi per adozione, eredi dell’eterna felicità! E si può ritardare tanto benefìcio ai propri figliuoli? E si deve aspettare ch’essi prestino il loro assenso? E aspettereste il loro assenso se si trattasse di accettare per essi una pingue eredità, un’alta onorificenza? Se i vostri bambini fossero infermi, aspettereste voi il loro assenso per chiamare il medico e porgere loro la medicina? Se la loro vita corresse pericolo, aspettereste voi il loro assenso per salvarli? Perché dunque non si tiene la stessa regola allorché si tratta della vita dell’anima? Dov’è l’uomo che rifiuti un grande favore? L’assenso è sempre e necessariamente supposto: la volontà dei vostri figli ancor bambini, o genitori, è la vostra e quali obblighi essa abbia in faccia a Dio, non lo potete ignorare. Lo sappiamo: nei tempi antichi, nei primi secoli il Battesimo si differiva in età più adulta; ma vi erano motivi e ben gravi: non si volevano esporre incautamente fanciulli al furore della persecuzione: si volevano preparare a quelle terribili prove. Cessati i pericoli delle persecuzioni, la Chiesa riprovò l’abuso di differire il Battesimo ai figli di genitori cristiani: ed oggidì noi vorremmo rinnovare quell’abuso? Non sia dunque che nelle nostre città e borgate si veggano bambini di parecchi mesi e talvolta di qualche anno non ancora battezzati, per conseguenza privi della grazia di Dio, in balìa del peccato ed in pericolo di morire fuori della Chiesa. La digressione è stata alquanto lunga, ma non inutile: ritorniamo al nostro argomento. – Presso gli Ebrei, nell’atto in cui il bambino veniva circonciso riceveva altresì il nome: similmente presso di noi, nell’atto in cui è battezzato, gli viene anche imposto il nome ed a ragione. Per la Circoncisione il bambino diventava membro della società mosaica, e pel Battesimo diventa membro della società cristiana; è dunque giusto che in quell’atto, nel quale viene ascritto nella nuova società, riceva anche il nome, col quale possa essere riconosciuto e scritto nel numero de’ suoi membri. Al Figlio di Maria e di Dio, dice il Vangelo, fu posto nome Gesù – Et vocatum est nomen eius Jesus-. Gesù! nome adorabile e glorioso, che un giorno risuonerà su tutte le lingue, in tutti gli angoli più remoti della terra. Che cosa è il nome? È una parola, che indica e designa una persona, che gli uomini s’accordano di darle e che tal volta è la espressione e lo specchio più o meno fedele delle sue doti fisiche e morali. Il nome d’una persona, perché sia veramente il suo nome, dovrebb’essere la cornice, che racchiude il quadro, la corolla che contiene il fiore; dovrebb’essere il compendio delle qualità, onde va adorno chi lo porta. Ciò raramente avviene tra noi, ma perfettamente avvenne nel Salvatore. Né poteva essere altrimenti, perché quel nome non veniva dagli uomini, ma da Dio stesso ed esprimeva a meraviglia il carattere personale, la dignità e la missione di lui. Gesù, in nostra lingua, significa Salvatore: Salvatore senza restrizione di sorta, senza limite di tempo, di luoghi, di popoli: Salvatore universale, perenne. Vero è che prima di Lui questo nome augusto fu dato ad uomini; ma ad essi non conveniva (e non sempre) che in parte e sovente sembrava una ironia amara: erano uomini che lo imponevano! Qui il nome di Gesù o Salvatore, è dato da Dio ed esprime fedelmente ciò ch’esso suona: Salvatore degli uomini, di tutti gli uomini, quanto all’anima e quanto al corpo, solo, unico Salvatore, perché nella grand’opera che compie, non ha bisogno d’altri, e tutta sua ne è la gloria. Meritamente i Libri Santi dicono, che non v’è sotto del cielo altro nome, nel quale si possa avere salute e che al suono di questo nome santo si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e giù nell’abisso. Parrebbe dunque impossibile che tanto nome possa essere profanato e bestemmiato da chi lo conosce, crede in Lui e ne ha ricevuto il beneficio della salvezza. E così, o carissimi? Rispondete Ohimè! Quante volte questo nome benedetto per le vie, per le piazze, per le case, in privato ed in pubblico è orribilmente insultato e bestemmiato! Insultare e bestemmiare il nome di Colui, che non solo non ci ha fatto, né può farci la più lieve offesa, ma ci ha colmato di benefìci, che è il nostro Salvatore, l’unica nostra speranza! Non sia mai, o dilettissimi, che sulla vostra lingua risuoni la parola della bestemmia e nemmeno della irriverenza contro questo Nome santissimo! A Lui sia sempre, in cielo, in terra, in ogni luogo, lode, onore e gloria! – Lo dissi sopra: come gli Ebrei nell’atto della Circoncisione, così noi Cristiani tutti nell’atto del Battesimo diamo il nome ai nostri bambini. E qui, o carissimi, non vi è osservazione utile a fare ? Sì, v’è e voi non muoverete lamento se la dirò con tutta franchezza. La Chiesa raccomanda e quasi prescrive che ai bambini nel Battesimo si impongano nomi sacri, i nomi di qualcuno degli innumerevoli eroi, onde Essa va meritamente altera. Quel nome del Santo deve ricordare per tutta la vita il modello da imitare, l’avvocato e protettore, al quale ricorrere. Quel nome, che portano, è un richiamo continuo alla fede, è un eccitamento alla virtù, è una parola, che compendia in sé le gesta d’un Apostolo, d’un martire, d’un santo, è uno sprone potente ad imitarne la vita, è un rimprovero efficace se colla loro condotta lo disonorano. – Il Cristianesimo ha trionfato del paganesimo e la grandezza e la gloria di quello sotto qualsivoglia rispetto trascendono al tutto la grandezza e la gloria di questo. Perché dunque disseppellire nomi prettamente pagani e talvolta nomi di famosi colpevoli, di grandi scellerati ed imporli ai vostri figli? Non è questa brutta e inesplicabile contraddizione? Noi, Cristiani, mendicare i nomi dei nostri figli presso i gentili o presso i romanzieri, forse al disotto dei gentili! I nomi di Pietro, di Paolo, di Giovanni, di Tommaso, di Luigi, di Francesco, di Agnese, di Agata, di Cecilia, di Caterina e di cento e cento altri eroi ed eroine della Chiesa Cattolica che vi presentano ideali stupendi di fortezza, di virtù senza macchia, di scienza, di grandezza morale? Questa simpatia pei nomi pagani o quasi pagani o romantici, che largamente si manifesta in mezzo a noi, pur troppo è argomento di un’altra simpatia, la simpatia delle idee e delle opere pagane e romantiche, che fermentano in seno alla nostra società cristiana. Siamo Cristiani e i nomi dei nostri figli e nipoti siano pur essi una professione della nostra fede e un ricordo delle virtù, delle quali deve essere ricca e bella la nostra vita!

Credo …

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Offertorium

Orémus
Ps LXXXV: 1; 5
Confitébor tibi, Dómine, Deus meus, in toto corde meo, et glorificábo nomen tuum in ætérnum: quóniam tu, Dómine, suávis et mitis es: et multæ misericórdiæ ómnibus invocántibus te, allelúja.

[Confesserò Te, o Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo Nome in eterno: poiché Tu, o Signore, sei soave e mite: e misericordiosissimo verso quanti Ti invocano, allelúia.]

Secreta


Benedíctio tua, clementíssime Deus, qua omnis viget creatúra, sanctíficet, quǽsumus, hoc sacrifícium nostrum, quod ad glóriam nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, offérimus tibi: ut majestáti tuæ placére possit ad laudem, et nobis profícere ad salútem.

[O clementissimo Iddio, la tua benedizione, che dà vita d’ogni creatura, santífichi, Te ne preghiamo, questo nostro sacrificio, che Ti offriamo a gloria del Nome del Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo: affinché torni gradito e di lode alla tua maestà e profittevole alla nostra salvezza.]

Comunione spirituale:https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps LXXXV: 9-10
Omnes gentes, quascúmque fecísti, vénient et adorábunt coram te, Dómine, et glorificábunt nomen tuum: quóniam magnus es tu et fáciens mirabília: tu es Deus solus, allelúja.

[Tutte le genti che Tu hai fatto, o Signore, vengono e Ti adorano e glorificano il tuo Nome: poiché grande Tu sei e fai meraviglie: Tu solo sei Dio, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Omnípotens ætérne Deus, qui creásti et redemísti nos, réspice propítius vota nostra: et sacrifícium salutáris hóstiæ, quod in honórem nóminis Fílii tui, Dómini nostri Jesu Christi, majestáti tuæ obtúlimus, plácido et benígno vultu suscípere dignéris; ut grátia tua nobis infúsa, sub glorióso nómine Jesu, ætérnæ prædestinatiónis titulo gaudeámus nómina nostra scripta esse in cœlis.

[Onnipotente eterno Iddio, che ci hai creati e redenti, guarda propizio i nostri voti: e degnati di ricevere benignamente il sacrificio della Vittima salutare che offriamo alla tua maestà in onore del Nome del tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore; affinché, per la tua grazia, in virtù del glorioso Nome di Gesù, godiamo di vedere i nostri nomi scritti in cielo in eterno.]

Preghiere leonine: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa: Ordinario della Messa

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SALMI BIBLICI: DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM (LXXXI)

SALMO 81: “DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 81

[1] Psalmus Asaph.

     Deus stetit in synagoga deorum;

in medio autem deos dijudicat.

[2] Usquequo judicatis iniquitatem, et facies peccatorum sumitis?

[3] Judicate egeno et pupillo; humilem et pauperem justificate.

[4] Eripite pauperem, et egenum de manu peccatoris liberate.

[5] Nescierunt, neque intellexerunt; in tenebris ambulant; movebuntur omnia fundamenta terrae.

[6] Ego dixi: Dii estis, et filii Excelsi omnes.

[7] Vos autem sicut homines moriemini, et sicut unus de principibus cadetis.

[8] Surge, Deus, judica terram, quoniam tu hæreditabis in omnibus gentibus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXI.

Esortazione ai giudici perché proferiscano giudizii giusti. A renderla più efficace, parla Dio come giudice supremo a’ giudici inferiori.

Salmo di Asaph.

1. Iddio sta nell’adunanza degli dei; e in mezzo a loro, degli stessi dei fa giudizio.

2. E fino a quando farete voi giudizii ingiusti, e avrete rispetti umani in grazia dei peccatori?

3. Rendete giustizia al povero e al pupillo; fate ragione al piccolo e al povero.

4. Difendete il povero; e strappate il mendico dalle mani del peccatore.

5. Sono nell’ignoranza, e privi del bene dell’intelletto, camminano nelle tenebre; sono scosse le fondamenta della terra.

6. Io ho detto: Voi siete dii e figliuoli tutti dell’Altissimo.

7. Ma voi, come uomini, morrete, e cadrete come uno dei principi.

8. Levati su, o Dio, giudica tu la terra; imperocché tu avrai per tua eredità tutte le genti.

Sommario analitico

Il profeta, desidera contenere nei loro doveri i giudici della terra e venire in aiuto del pio re Ezechia che, all’inizio del suo regno, ristabilì la buona amministrazione del suo regno con la buona regolazione della giustizia, dimenticata sotto i regni precedenti [Illengstenberg pensa che questo Salmo sia stato composto sotto il regno di Davide, ma la maggior parte degli esegeti moderni lo riconducono ai tempi di Ezechia o di Giosafat, che sono stati i restauratori del culto di Dio e della Giustizia].

I. – Rappresenta Dio:

1° presente in mezzo all’assemblea dei giusti;

2° E che li giudica pubblicamente (1).

II. – Li invita:

1° Ad evitare l’ingiustizia che li porta a rendere iniqui giudizi, e a fare eccezione tra persone (2);

2° a rendere la giustizia ai poveri, agli orfani, agli innocenti ed a liberare i poveri dall’oppressione dei peccatori (3, 4).

III. – Egli condanna.

1° La loro ignoranza nella scienza del diritto;

2° la loro negligenza nello studiare le cause che sono loro affidate;

3° la depravazione dei loro istinti, come tanti mali che distruggono i fondamenti degli Stati e delle società (5).

IV. – Predice che Dio li farà scendere dalla dignità elevata che essi occupano, li condannerà ad una morte obbrobriosa e disonorante come quella dei tiranni (6-7).

V. – Invita il Cristo ad esercitare il potere ricevuto di giudicare, su tutti coloro che appartengono al suo dominio (8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1.

ff. 1. – « Dio sta nella sinagoga degli dei ». Non si tratta qui di una presenza corporale di Dio, ma di una presenza spirituale, la sola conveniente alla sostanza che si pone in rapporto con le cose create, in modo meraviglioso, appena intellegibile per un piccolo numero di uomini. Dio si trova dunque invisibilmente nell’assemblea degli uomini, così come riempie pure invisibilmente il cielo e la terra, come Egli stesso dice per bocca del Profeta (Gerem., XXIII, 24). E non soltanto siamo in possesso della testimonianza, ma ancora, nella misura dello spirito umano, si riconosce che Dio abita in coloro che Egli ha creato, tutte le volte che un uomo sta alla sua presenza, lo ascolta, e si sente ricolmo di gioia, perché ascolta la voce divina nel più profondo del cuore (Giov. III, 29). – Ascoltate la voce di Dio che fa il discernimento, ascoltate la voce del Signore che divide la fiamma del fuoco (Ps. XXVIII, 7). « Fino a quando giudicherete con iniquità, e prenderete le parti dei peccatori? » … sarà fino all’avvento di Colui che è la luce del cuore? Io vi ho dato la mia legge; voi vi avete resistito con la vostra durezza. Io ho inviato i miei Profeti, voi li avete ricoperti di ingiurie e li avete messi a morte, o siete stati in connivenza con coloro che lo facevano. Ma coloro che hanno ucciso i servi di Dio che erano stati loro inviati, non sono degni che si indirizzi loro la parola; io domando a voi che avete osservato il silenzio quando essi commettevano i loro crimini, cioè a voi che volete imitare oggi, come se fossero innocenti, coloro che allora hanno mantenuto il silenzio, … io vi domando: «Fino a quando giudicherete con iniquità, e prenderete le parti dei peccatori? » Oggi che l’Erede stesso è venuto, bisogna pure metterlo a morte? Se Egli è come un orfano, lontano da suo padre, non è a causa vostra? Se Egli ha fame e sete, come un indigente, non è a causa vostra? Non ha Egli esclamato: « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore? » (Matth. XI, 29).  « Non si è fatto Egli povero, mentre era ricco, per arricchirvi con la sua povertà? » (II. Cor. VIII, 9). Rendete dunque giustizia all’orfano e all’indigente: « sostenete la giustizia dell’umile e del povero ». Non è a questi uomini ricchi ed orgogliosi in se stessi, ma a quest’Uomo che si è fatto umile e povero per voi, che dovete credere e proclamarne la giustizia (S. Agost.). –  I principi ed i giudici della terra sono chiamati “dei” perché rappresentano Dio, perché sono i depositari dell’autorità di Dio, a cui solo appartiene propriamente l’essere Giudice. È per questo che l’Apostolo dice che ogni potenza è di Dio, e che colui che resiste all’autorità, resiste all’ordine di Dio (Berthier). – Questo nome conviene ancora a tutti coloro che sono alla testa delle Chiese, e che il Dio degli dei giudica da se stesso e non per altri.. (S. Gerol.) – Ma questi giudici della terra devono ricordarsi che hanno un Maestro che è in mezzo ad essi quando giudicano, e che non rendono alcun giudizio se non in presenza del Giudice sovrano. « Il Signore è in piedi per giudicare, sta in piedi per giudicare i popoli. » – Il Signore interrogherà gli anziani ed i principi del suo popolo. » (Isai. III, 14). Dio giudica gli dei, come un potente sovrano in mezzo alla sua armata:  che spettacolo formidabile, capace di ispirare il terrore. Se Egli giudica gli dei, che farà con i peccatori?  (S. Girol.). Aprite gli occhi, Cristiani; contemplate questi augusti tribunali ove la Giustizia rende i suoi oracoli: voi vi vedrete, con Davide, « … gli dei della terra, che muoiono alla verità come degli uomini » ma che tuttavia devono giudicare come degli dei, senza timore, senza passione, senza interesse, con il Dio degli dei alla loro testa, come canta questo grande re con un tono così sublime in questo salmo divino: « Dio assiste – egli dice – all’assemblea degli dei, ed in mezzo ad essi, giudica gli dei. » O giudici, qual Maestà nelle vostre sessioni! Qual Presidente delle vostre assemblee! Ma anche qual Censore dei vostri giudizi (Bossuet, Or. fun. De Le Tellier).

ff. 2. – Questa è una questione umiliante per l’umanità. Essa dimostra che la depravazione della giustizia è antica, e che era già un male inveterato ai tempi del  Profeta. – Ogni differenza di condizione sparirà al giudizio di Dio; essa deve sparire al giudizio di Dio, così come deve pur sparire nei giudizi che renderanno gli uomini (Dug.). – « Ponete ben attenzione a ciò che farete, perché non è la giustizia dell’uomo che voi esercitate, ma la Giustizia del Signore, e tutto ciò che avrete giudicato ricadrà su di voi » (II Paralip. XIX, 6).   

II. — 2 – 4

ff. 3, 4. – L’indigente, l’orfano ed i piccoli sono abbandonati, perché sono poveri. Il ricco ed il potente li opprimono, perché hanno molti amici e tanto credito per ribaltare tutto l’ordinamento delle leggi. – Ci sono e ci saranno sempre dei magistrati degni di questo nome, che prediligono la causa di coloro che sono deboli ed oppressi; ma spesso la difficoltà è quella di arrivare fino ad essi, di vincere gli ostacoli che si oppongono al dedalo delle leggi, di svincolarsi dai preliminari di un giudizio di cui il giudice non è l’arbitro. Per giungere ad esporre la verità in tutta la sua luce, ci vuole un tempo, una spesa, un lavorio, una pazienza che ordinariamente sono al di sopra delle forze del povero senza risorse, e del misero senza protezione (Berthier). –  Una tripla scienza è necessaria ai giudici. La scienza dottrinale, che si acquisisce nelle scuole e sui libri; la scienza dell’esperienza, che è frutto degli anni e del lavoro; la scienza attuale, che non può ottenersi senza un esame serio dell’affare sottomesso ai loro giudizi: tutte le parole di questo versetto sono da considerare. Essi non hanno conosciuto nulla: ciò che esprime un difetto di luce; essi non hanno compreso nulla: ciò che denota un difetto di intelligenza; essi camminano nelle tenebre: ciò che indica il giudizio pronunciato alla cieca, delle decisioni portate come a caso, come la strada che si segue nelle tenebre è sempre soggetta all’incertezza e allo smarrimento; infine da qui gli scossoni che prova tutto l’ordine civile ed ecclesiastico; perché l’esortazione del Profeta riguarda anche i pastori delle anime così come i magistrati secolari. L’ignoranza di ciò che possa turbare lo Stato, e l’ignoranza di questi, allontana quasi sempre dalle vie di salvezza (Berthier).

ff. 5. – « Tutte le fondamenta della terra sono scosse. » In tutte le Nazioni e presso tutti i popoli, noi vediamo dei giudici incaricati, a nome della società, di porre riparo ai disordini della giustizia violata, di mantenere intatto il deposito delle sue leggi, del suo spirito, della sua tradizione, ed obbligati a consacrare la propria vita allo studio delle leggi. Questi uomini rappresentano Dio sulla terra, occupano il suo posto e ne fanno le funzioni. Questi uomini, per l’inamovibilità della loro posizione, sono stati resi indipendenti dagli uomini e dalle cose, ed in effetti davanti alle loro sentenze sovrane si curvano i popoli ed i re. Sempre la nostra anima si indigna alla vista di una ingiustizia da qualsiasi parte giunga ai nostri occhi; ma quando essa si mostra negli ambiti degli dei della terra, come li chiama il Profeta, tra coloro che hanno ricevuto per missione il respingerla e l’eliminarla, la è per la umana natura, l’abominazione e la desolazione. Le volte dell’edificio sociale sono squassate fin nelle fondamenta; « … tutte le fondamenta della terra sono scosse. » Questa espressione sì è di una grande energia, e di una perfetta esattezza: la giustizia è il fondamento degli imperi, ed ogni atto contrario alla giustizia è in sé uno scossone all’ordine sociale.

III. — 6, 7.

ff. 6. – Tutti gli uomini sono uguali, Dio è il loro unico Padrone e loro Giudice, Egli solo ha il diritto di togliere la vita, i beni, ed è evidente che Egli elevi ad una autorità divina tutti coloro che stabilisce come giudici dei loro fratelli, e comunica loro un potere che non appartiene che a Lui, e che con l’esattezza più rigorosa li rende in questo punto come degli dei di tutti quelli che sottomette loro (Dug.). – La santità fa considerare gli uomini come qualcosa di divino, come dei sulla terra: « voi siete degli dei, e siete tutti figli dell’Altissimo. » La santità negli uomini, è una qualità morale che dà loro tutte le virtù e li allontana da tutti i peccati. Nulla è più eccellente negli uomini che la santità; nulla li rende sì ammirevoli, sì venerabili.  (BOSSUET, Médit., 2° p. LXVI°  j.).

ff. 7. – « Io ho detto: voi siete degli dei. » I giusti sono chiamati qui degli dei, perché costituiti giudici supremi dei popoli, ed hanno in essi il potere di vita o di morte. – «Io ho detto: voi siete degli dei. » Tuttavia, aggiunge Egli, o dei di carne e sangue, o dei di terra e polvere, non vi lasciate abbagliare da questa divinità passeggera e presa in prestito, « … perché infine voi morirete come degli uomini, e scenderete dal trono nella tomba. » La maestà, lo confesso, non è mai dissipata né annientata, e la si vede interamente rivestire i suoi successori. Il re, noi diciamo, non muore mai, l’immagine di Dio è immortale; ma tuttavia l’uomo cade, muore, e la gloria non lo segue nel sepolcro. (BOSSUET, Sur l’ambition.)

SACRO CUORE DI GESÙ (26): Il Sacro CUORE di GESÙ e il S. Sacrificio

DISCORSO XXVI.

Il Sacro Cuore di Gesù e il S. Sacrifizio.

Poiché l’uomo è fattura di Dio e Dio non può essere all’uomo un oggetto estraneo, è assolutamente indispensabile all’uomo il culto di Dio. Ma l’essenza del culto, la sua anima, ciò in cui il culto si compendia è il sacrifizio. Ed ecco perché l’umanità in ogni tempo e in ogni luogo ha innalzati degli altari e sopra di essi ha scannate delle vittime e le ha bruciate in onore della divinità. Abele innocente colle sue pure mani svenava il fiore del suo gregge e l’offriva in sacrifizio a Dio. Noè scampato dalle acque del diluvio, appena uscito dall’arca salvatrice immolava a Dio le vittime serbate. Abramo, Isacco, Giacobbe, Melchisedech seguivano l’esempio dei loro antenati, e compievano ancor essi dei sacrifizi. In seguito il popolo ebreo, uscito dalla schiavitù dell’Egitto, dapprima tra la semplicità del tabernacolo, dappoi nella grandiosità del tempio di Gerusalemme, con una liturgia ordinatissima, non solo nelle feste principali, ma al mattino ed alla sera d’ogni giorno, tra il profumo degli incensi e i gravi cantici dei Sacerdoti, adempiva questo sacro dovere. E quale altro popolo, anche tra i più barbari e selvaggi, non ha offerto dei sacrifizi, alla divinità? Certamente presso gl’idolatri furono crudeli ed esecrandi i loro riti, sia per le vittime che vi sgozzavano, sia per i misteri nefandi con cui li accompagnavano; ma con tutto ciò essi non facevano altro che alterare l’applicazione del più nobile e più imperioso istinto dell’uomo, quello cioè di rendere a Dio il culto dovutogli, per mezzo del sacrifizio. Il sacrifizio adunque, necessario ad esprimere nel modo più riverente le relazioni dell’uomo con Dio, il sacrificio che per ragione di questa necessità si trova in ogni tempo ed in ogni luogo, anche prima della venuta di Gesù Cristo in sulla terra, non doveva mancare dopo la sua venuta: anzi doveva essere infinitamente superiore ai sacrifizi dei tempi antichi, quanto i tempi nuovi superano per opera di Gesù Cristo i tempi antichi in amore ed in grazia, e quanto la realtà supera la figura. E questo sacrifizio già l’aveva annunziato Iddio stesso quando per bocca del profeta Malachia, diceva: « Dall’oriente all’occidente il mio nome è grande tra le genti, ed in ogni luogo sarà sacrificata ed offerta al mio Nome un’oblazione monda. » E questo sacrifizio fu realmente instituito mercé la carità infinita di Gesù Cristo. Perciocché il Cuore Sacratissimo di Gesù, nel trarre fuori dalla sua ferita la Eucaristia, non volle in essa trarre fuori soltanto un grande mistero ed un grande Sacramento, ma ancora il più augusto, il più prezioso, il più ammirabile dei sacrifizi, sia per l’eccellenza della vittima, che in esso si sacrifica, sia per la somma degli omaggi, che in esso si rendono a Dio, sia per la fecondità meravigliosa dei suoi effetti. Dopo d’aver dunque riconosciuto il grande amore di GesùCristo per noi nell’istituire l’Eucaristia come Sacramento, riconosciamo oggi il grande amore di Gesù Cristo nell”istituire l’Eucaristia come Sacrifizio.

I. — Amore di Dio per l’uomo, e poi amore di Dio per l’uomo, e da ultimo ancora amore di Dio per l’uomo: ecco, o miei cari, il compendio della vita e del ministero di Gesù Cristo. – Fu questa divina potenza che lo fece scendere dal cielo in terra; fu essa, che lo indusse a prendere la nostra carne di peccato, fu essa che gl’inspirò le più meravigliose dottrine, fu essa ancora che governò ogni opera, ogni passo, ogni pensiero, ogni affetto del Divin Redentore. Ma dove l’amore del Cuore Santissimo di Gesù per noi diede la sua prova estrema fu senza dubbio nel Sacrifizio da Lui compiuto sopra la croce. Tutti i disagi, tutte le angustie, tutte le pene della sua mortai vita non erano che file sparse che dovevano mettere capo sul Calvario ed avere il loro suggello nel Sangue preziosissimo di Gesù Cristo. E ben lo sapeva Egli, che prendendo a dipingere il suo ritratto in quello del buon pastore, non si contentò di mostrarcelo tutto sollecito di condurre il suo gregge ai buoni pascoli e tutto ansante nel ricercare là pecorella smarrita, e tutto lieto e festante per averla ritrovata, ma volle finire la sua dipintura col mostrarcelo ancora a dare la vita per le sue pecorelle: Bonus Pastor ponti animati suam prò ovibus suis. (Jo. X, 14). Orbene, se il sacrifizio del Calvario è il supremo slancio d’amore del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo, non dovremo riconoscere che tale, è pure il Santo Sacrifizio della Messa, che è la copia fedele, anzi la rinnovazione, sebbene in modo incruento, del Sacrifizio del Calvario? Sì, o miei cari, la Santa Messa che si celebra sui nostri altari è essenzialmente lo stesso, lo stessissimo Sacrifizio che Gesù Cristo compì sulla Croce. Perciocché la stessa è la vittima che si immola sui nostri altari, vale a dire Gesù benedetto, Figlio unico di Dio e di Maria Vergine; lo stesso è il Sacerdote, giacché quivi è pure Gesù che immola la vittima, non essendo altro il ministro che ascende l’altare, se non un rappresentante di Gesù Cristo, uno strumento, di cui egli si vale a compiere il sacrifizio. Ed in vero, che cosa ha fatto nostro Signor Gesù Cristo nell’ultima Cena, quando ha istituito la SS. Eucaristia? Poiché l’immolazione della vittima non è che la separazione del sangue dal corpo della vittima istessa, Gesù Cristo consacrando separatamente il pane ed il vino, e mettendo direttamente sotto le specie del pane il suo corpo e sotto le specie del vino il suo sangue, ha Egli stesso operato una vera immolazione separando il suo sangue dal suo corpo. E poiché ancora la condizione essenziale del Sacrifizio è la morte e la distruzione intera della vittima, G. Cristo dando a mangiare il suo Corpo e a bere il suo Sangue agli Apostoli, mercé la distruzione delle specie mangiate, cessò di esistervi in forma sacramentale, e benché non in modo reale come poscia sul Calvario, tuttavia in modo mistico, vale a dire occulto, Egli fece una vera morte. Per tal guisa nell’ultima cena Gesù Cristo rappresentò nel modo più sensibile l’immolazione che il giorno dopo avrebbe fatto di sé sul Calvario, spargendo per noi il suo Sangue, e la morte cui sarebbe sottostato per la nostra salute. Per tal guisa nell’ultima cena Gesù Cristo Sacerdote-Dio, offrendo a Dio una vittima divina, compiva un vero e reale Sacrifizio, già compreso anticipatamente nell’unico e gran Sacrifizio della Croce. – Ma Gesù spronato dall’amore del Cuor suo per noi, non fu pago di compiere Egli allora lo stesso Sacrifizio del Calvario, ma volle che un tal Sacrifizio si avesse a perpetuare sino alla fine del mondo. Epperò con aria di potenza e di impero Egli diceva ancora agli Apostoli, e nella persona degli Apostoli ai loro successori: « Questo fate in memoria di me: Hoc facite in meam commemorationem, vale a dire: Come Io ho in questo momento con quest’azione sublime compiuto un vero e reale Sacrifizio, anzi lo stesso Sacrifizio che domani compirò morendo sulla Croce, così ancor voi consacrando il pane separatamente dal vino, e consumando poscia nella Comunione le specie sacramentali, ricordate e ripetete sino alla fine del mondo quello stesso Sacrifizio, unico e vero, che Io ho voluto ora anticipare e rappresentare, il sacrifizio della mia morte: Quotiescumque manducabitis panetti liunc et calicem bibetis, mortem Domini annuntiabitis donec veniat. » (I Cor. XI). È dunque evidente che come il sacrifizio compiuto da Gesù Cristo nell’ultima cena fu lo stesso Sacrifizio da Lui compiuto sul Calvario, così ancora lo è il Santo Sacrifizio della Messa che Gesù Cristo nell’ultima cena coll’onnipotente suo comando dato agli Apostoli istituiva in modo permanente. Or dunque se lo stesso è il Sacrifizio che si compie sui nostri altari che quello compiuto sul Calvario, non sarà pure lo stesso l’amore? Sì,lo stesso amore con cui Gesù Cristo adempì la nostra redenzione è quello con cui nella Santa Messa perpetua ed applica a noi i frutti della redenzione istessa. Ci amò adunque il Cuore di Gesù, ci amò di amore grande istituendo la Santissima Eucarestia come Sacramento, per cui perpetua la sua reale presenza in mezzo a noi e si fa cibo delle anime nostre; ma quando pensò a fare dell’Eucarestia il gran Sacrifizio che doveva durare sino alla fine del secoli, fece tal cosa che del suo amore per noi trascese i limiti estremi. Ma ciò non è ancor tutto; perciocché guardando bene addentro alla natura del Sacrifizio della Croce e a quella del Sacrifizio degli altari, sembra vedere in questo una carità più che generosa. Sul monte Calvario Gesù Cristo muore per espiare le nostre colpe, e morendo sembra il massimo prodigio di debolezza. Ma al tempo stesso che appare meno di un uomo, Egli rivela coi più grandi prodigi la sua divinità. Il cielo si copre di dense tenebre, il sole si oscura, la terra traballa, il velo del tempio si squarcia, i sepolcri si aprono, i morti risorgono, e tutta la natura si scuote per modo, che un gentile è costretto ad esclamare: Vere Filius Dei erat iste! Ah! costui era veramente Figlio di Dio. E così Gesù Cristo che moriva in croce come un malfattore si dava a conoscere per quella divina Persona, che era di fatto. Ma invece nel Sacrifizio della Santa Messa non succede nulla di tutto ciò. Quivi, è vero, Egli non muore che misticamente, vale a dire non in modo reale come sul Calvario, ma in modo occulto mercé la consacrazione separata del pane e del vino e la cessazione della sua esistenza Sacramentale per la Comunione. Ma perciò appunto nel Sacrifizio della Santa Messa Gesù Cristo non solo non si fa conoscere come Dio, ma neppure come uomo; perché mentre per una parte Egli si offre in Sacrifizio sotto simboli che non hanno nulla di sanguinoso e di spaventevole, per ragione di questi simboli medesimi, qui vi è un’eclissi totale della sua gloria, vi è la prigionia delle sue membra, vi è la cessazione delle funzioni naturali che convengono ai suoi sensi, vi è l’oscurità, l’immobilità, l’annientamento, che lo mettono talmente in nostra balìa che noi possiamo trattarlo come materia inerte. Ora quanto più altri si abbassa e si umilia per chi ama, non dimostra per lui tanto più grande il suo amore? Questa per ciò è la ragione per cui mi sembra esservi nel Sacrifizio dell’altare una carità tanto più generosa che nel Sacrifizio del Calvario, quanta più in quello Gesù Cristo sembra trascurare il suo onore. – Ma vi ha di più ancora. Perciocché io domando: Quante volte Gesù Cristo vuole rinnovato il Santo Sacrifizio della Messa? Certissimamente, come insegna l’Apostolo S. Paolo, « Gesù Cristo, sacerdote sommo ed eterno, non ha bisogno di offrire ogni giorno delle vittime, come facevano i sacerdoti dell’antica legge; Egli ha adempiuto tutti i doveri dell’umanità verso Dio e ne ha espiati tutti i delitti offrendo se stesso per una volta sola: Hoc fecit semel, seipsum offerendo. (Hebr. VII, 27) Quest’unica oblazione basta anzi a santificarci: Sanctificati sumus per oblationem corporis Jesu Chrit semel; (Ib. X, 10) basta a consumarci eternamente nella nostra santità: Una oblatione consummavit in sempiternum sanctificatos. (Ib.) Epperò il Sacrifizio della Messa non aggiunge un millesimo al Sacrifizio della Croce, giacché se la Messa è vero Sacrifizio, essa non è, come dicemmo, che l’unico Sacrifizio della Croce. Laonde, a notarlo di passaggio, la sbaglia di gran lunga il protestantesimo il quale, supponendo falsamente che tutte le Messe che si celebrano siano altrettanti sacrifizi separati e distinti da quello del Calvario, esce fuori col ridicolo sofisma che « La Messa fa ingiuria alla Croce, e con l’imputazione a noi Cattolici di credere che il Sacrifizio del Calvario non sia stato sufficiente a salvarci. » No, questa non è assolutamente la nostra fede. Ma pur credendo fermamente che bastò alla nostra salute l’unico Sacrifizio della Croce, e che il Sacrifizio della Santa Messa non aggiunge nulla al primo, perché tutte le Messe che furono celebrate dal principio dal Cristianesimo e si celebreranno fino alla fine del mondo sono comprese col Sacrifizio della Croce in un solo e medesimo volere di Gesù Cristo come un solo e medesimo Sacrifizio, noi dobbiamo riconoscere tuttavia e credere altresì che il Sacrifizio del Calvario non bastando alla carità del cuore di Gesù Cristo, Egli volle che mercé il Sacrifizio dell’altare fosse rinnovato e fatto presente ogni giorno, anzi le migliaia di volte al giorno, e che mercé questo stesso sacrifizio della Messa fossero applicate agli uomini di tutti i tempi quelle grazie di salute che scaturirono dal Sacrifizio del Calvario. Ma che dico solo « di tutti i tempi? » Io debbo aggiungere « di tutti i luoghi. » Perché la carità di Gesù Cristo non fu paga di dare alla Chiesa la facoltà di celebrare la Santa Messa in ogni giorno e innumerevoli volte del giorno, ma in un sol luogo, o in pochi luoghi determinati, ma istituì questo Sacrifizio in modo che si potesse e si avesse a celebrare da per tutto, nell’oscurità delle catacombe come nello splendore delle basiliche, nelle umili chiesuole di campagna come nei templi superbi delle città, sulle cime dei monti come in fondo alle valli, in mezzo al deserto come sulle acque dell’oceano, nei clamori del campo di battaglia come nella pace silenziosa d’una vergine foresta, dovunque insomma fosse possibile ergere un altare e piantarvi sopra una croce. Or dite, non è questo un vero abisso di carità? Certamente il Cuore di Gesù Cristo ci ha dato qui una prova finale del suo amore: In finem dilexit eos.

II. – Ma il tesoro donatoci dal Cuore Sacratissimo di Gesù nella santa Messa ci si manifesterà sempre più prezioso se ci facciamo a considerare come per esso ci fu dato il mezzo di rendere a Dio il culto a Lui dovuto nel modo più perfetto. Non solo la fede, ma la ragione istessa ci insegna che noi siamo legati a Dio con ogni maniera di debito. Iddio si affaccia alla mente umana siccome ciò che si può concepire di più eccelso, di più sublime, di più perfetto, come il principio di ogni essere e di ogni perfezione, la perfezione eterna ed influita, la somma grandezza, la somma sapienza, la somma potenza, la somma bellezza, la somma bontà, la somma giustizia, la somma santità. Ora innanzi a questa vista di Dio, l’intelligenza umana non può rimanersi superbamente inerte; è necessario che santamente si commuova e induca tutto l’uomo nella sua anima e nel suo corpo a chinarsi in adorazione innanzi a tanta Maestà; anzi fa d’uopo che spinga l’uomo, re della Creazione, a raccogliere in se stesso le adorazioni di tutto il creato e offrirle a Dio. Tutte il mondo sembra risentire la grandezza di Dio, suo Creatore, e il conseguente dovere di adorarlo; ed è perciò che il Santo re Davide invitava la terra tutta a rendere a Dio questo omaggio: Omnis terra adoret te. (Ps. LXV) Ed è perciò ancora che i tre fanciulli nella fornace ardente sollecitavano la luce e le tenebre, il venti e le tempeste, le brine e le nevi, la pioggia e la rugiada, i fiumi ed i mari, i monti e le valli, le erbe e gli alberi, le bestie selvagge e gli animali da campo, gli uccelli dell’aria e i pesci dell’acqua, le creature tutte a benedire il Signore. Ma questo mistico prosternarsi di tutti gli esseri privi d’intelligenza resta senza vita religiosa, se non ve la trasfonde l’uomo, essere ragionevole e religioso! Tocca a lui, come dotato di ragione e come sacerdote della creazione animare le adorazioni di tutto il creato, raccogliere nel suo cuore il profumo come in un sacro incensiere! e farlo quindi salire al trono di Dio come incenso gradito. Ma con tutto ciò l’uomo come essere finito non potrà mai render a Dio la conveniente adorazione. Esprima pure dinnanzi a Dio il suo nulla con le preghiere più fervide e più nobili, bruci pure gli incensi più odorosi e più preziosi, arda pure migliaia e migliaia di ceri, sacrifichi pure i più pingui animali e ne moltiplichi a dismisura le ecatombi, unisca pure insieme gli omaggi più riverenti di tutti gli altri uomini, non sarà mai che ei possa rendere a Dio quel supremo e perfettissimo culto che a Dio è dovuto: Dio non può essere degnamente onorato se non da Dio. Or ecco a che serve anzi tutto il Santo Sacrificio della Messa. Poiché essa è un Uomo – Dio quegli che si immola in nostro nome con la stessa umiltà profonda, con la stessa devota riverenza, con la stessa perfetta obbedienza con cui si offrì sulla croce, ed in essa quest’Uomo-Dio ci ammette ad offrire questa sua immolazione divina, per tal guisa nella S. Messa noi siamo abilitati a rendere a Dio l’adorazione più perfetta, superiore immensamente a quella stessa adorazione, che gli rendono tutti gli Angeli e tutti i Santi del Cielo. Non basta. Iddio oltre al presentarsi alla nostra mente come l’essere più perfetto, si presenta altresì al nostro cuore come il nostro supremo benefattore. È forse necessario che vi ritessa qui la storia delle larghezze divine per noi? Che vi mostri come tutta quello che siamo e che abbiamo in ordine alla natura ed alla grazia, tutto ci viene dalla liberalissima mano del Creatore? – Ormai, dopo che nel corso di questo mese abbiamo ricordati i supremi benefizi fatti dal Cuore di Dio all’uomo, sembrerebbe inutile. Basta il dire che l’uomo in tutto il suo essere non è altro se non un cumulo di benefizi divini. Ora dinnanzi a questi benefizi immensi fa d’uopo che il cuore dell’uomo, riconoscendoli, si commuova ed esprima la sua gratitudine a Dio nel miglior modo possibile. Ed ecco perché la Chiesa volgendosi a Dio in uno slancio del suo culto per Lui ci ricorda questo grande dovere: Vere dignum et iustum est, æqunm et salutare, nos Ubi semper et ubique gratias agere. (Praef. Missæ) È veramente, o Signore, cosa degna, giusta, equa e salutare, che noi sempre e dovunque ti rendiamo le dovute grazie. Ma anche qui l’uomo, che è povero e privo d’ogni bene, come si adergerà a ringraziare Iddio in quella misura che Egli merita? Qual ricambio, chiedeva affannoso il santo re Davide, qual ricambio renderò io al mio Signore, per tutti i benefizi che mi ha fatti? Quid retribuam Domino prò omnibus, quae retribuii mihi?Ed ecco di bel nuovo il Santo Sacrificio della Messa, che viene in nostro soccorso.Lo stesso re Profeta mirando in lontananza a questo Sacrifizio, si confortava dicendo: Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo: (Ps. CXV, 3, 4) Offrirò riverente il Calice d’un Dio Salvatore, ed il suo nome, la sua invocazione,il suo sacrifizio, soddisferanno per me al debito di gratitudine che ho con Dio. Si, in questo Sacrifizio, essendo Iddio ringraziato da noi per mezzo di Gesù Cristo, vero uomo ma pur vero Dio, riceve il rendimento di grazie in misura adeguata all’immensità dei suoi benefizi. Qual carità adunque ebbe per noi il Cuore di Gesù nell’istituire l’Eucaristia non solo come Sacramento,ma ancora come Sacrifizio! Per tal guisa egli soccorso meravigliosamente alla nostra necessità e picciolezza: poiché ci diede così il mezzo di fare a Dio un’offerta sensibile in segno di soggezione al suo supremo dominio e di rendimento di grazie alla sua infinita liberalità, e questa offerta è Lui stesso, Figlio eterno di Dio in atteggiamento di vittima, nell’atto cioè di adorare e ringraziare per noi Iddio nel modo più perfetto.

III. — Ma adorare e ringraziare Iddio, sebbene in modo perfetto, non è ancora tutto il culto che gli è dovuto e che noi siamo necessitati a rendergli. Perciocché ciò potrebbe bastare qualora noi non avessimo più di Lui alcun bisogno, ma non già nell’indigenza assoluta in cui ci troviamo. Ed in vero, che cosa siamo noi in ordine al corpo e in ordine all’anima? in ordine al tempo e in ordine all’eternità? Povertà, impotenza. E che è mai anche tutta la ricchezza, tutta la bellezza, tutta la sanità, tutta la forza, tutta la prosperità di tutti gli uomini raccolte in un sol uomo? Chi si può vantare di possederle senza timore di perderle? Più ancora, dove sono le nostre virtù, la nostra giustizia, la nostra fortezza d’animo contro gli assalti delle passioni, del mondo, di satana? Senza l’aiuto della grazia di Dio noi siamo nulla, possiamo nulla, nemmeno far nascere un buon movimento nel nostro cuore. E trovandoci ridotti a tale povertà ed impotenza non sentiremo noi la necessità di alzare i nostri occhi, di stendere le mani, di sollevare il nostro spirito e il nostro cuore col sacrifizio di propiziazione a quel Dio che può e vuole aiutarci? Ma l’uomo, chiunque egli sia, ha forse il sé i meriti per essere ascoltato da Dio? Era perciò che Gesù Cristo raccomandava a’ suoi discepoli di domandare al Padre celeste nel suo Nome e li rimproverava perché fino allora noi avevano chiesto in Nome suo, vale a dire per la virtù dei suoi meriti infiniti. Ah! senza dubbio perché le nostre domande giungano accette al trono di Dio e siano esaudite è necessario che siano vivificate dalla virtù di quell’Uomo-Dio, che senza avere per sé il minimo bisogno di pregare, ha voluto tuttavia per noi nel corso della sua mortal vita, come ci attesta S. Paolo, offrire a Dio preghiere e suppliche con forti grida e con lacrime. Ma ecco il Santo Sacrifizio della Messa. Ivi non solo domandiamo a Dio i suoi celesti favori nel nome di Gesù Cristo, ma, affine di rendercelo propizio ed ottenerli, offriamo a Dio lo stesso Gesù Cristo ricoperto di tutti i meriti infiniti della sua Passione e Morte. E come potrà essere che il Divin Padre nel vedere in questo sacrifizio augusto lo stesso suo divin Figlio che in atteggiamento di vittima implora grazie per noi, non ce le conceda tosto? Ed ecco perché una delle parti più importanti della liturgia della Messa consiste nelle preghiere che vi si fanno. In queste preghiere la Chiesa domanda ogni sorta di grazie; domanda la forza pei deboli, la consolazione pei tribolati, la provvidenza per i poveri, la conversione pei peccatori, la perseveranza per i giusti, la conservazione della salute del corpo, la cessazione delle malattie, la opportunità del tempo, la liberazione della guerra, la tranquillità degli Stati, il benessere delle famiglie, la protezione divina durante la vita, l’assistenza del cielo al punto di morte, il trionfo della verità e della giustizia, tutte le grazie per l’anima e per il corpo, per il tempo e per l’eternità. E tutte queste grazie ella domanda per i meriti infiniti di Gesù Cristo e specialmente per il merito del suo Sacrifizio che si offre in sull’altare. E tutte queste grazie ancora per lo stesso merito la Chiesa realmente impetra, così che la Santa Messa nella Chiesa è veramente la fonte divina di ogni bene, quella da cui deriva la conservazione, la vita, la forza, la prosperità di tutti i figli di Dio, e di tutti gli uomini del mondo. Ma infine nel culto che dobbiamo rendere a Dio, è per noi essenzialissimo espiare le nostre colpe. Tutti, senza eccezione di sorta, siamo miserabili peccatori che abbiamo più e più volte offeso la Maestà infinita di Dio. E ad ogni offesa che abbiamo commessa, noi avremmo meritato di essere distrutti. Tuttavia Iddio pietoso ci ha risparmiati e conservati in vita. Noi siamo adunque in dovere di riconoscere che Iddio poteva punirci perché ne eravamo ben degni. E a tal fine che dovremmo far noi? Poiché, come insegua l’Apostolo Paolo, non si fa la remissione delle colpe senza spargimento di sangue, non è del sangue che noi dovremmo far scaturire da una vittima ed offrirlo a Dio? Ma da quale vittima? Egli è certo che l’ecatombe intera del genere umano non varrebbe a soddisfare degnamente l’oltraggio recato a Dio col peccato. E se i sacrifizi dell’antica legge giungevano di fatto a placare Iddio ed a renderlo propizio al popolo od all’uomo peccatore, non era già per quello che erano in se stessi, ma bensì per quello che significavano, « essendo impossibile, come insegna lo stesso S. Paolo, che col sangue dei capri, dei vitelli e dei tori si cancellino i peccati. » Ma ciò che non può fare il sangue degli uomini, e tantomeno quello degli animali, lo potrà fare senza dubbio il Sangue di Gesù Cristo, che ha una virtù ed un merito infinito. Ed è questo appunto che si offre a Dio nel Santo Sacrifizio della Messa, come già un giorno nel Sacrifizio del Calvario; ed alla vista di questo Sangue che si offre per la remissione dei peccati, come non si placherà la giustizia di Dio e non trionferà la sua misericordia? Non già che nel Sacrifizio della Messa si rimettano immediatamente i peccati senza il bisogno di sottometterli alla podestà delle chiavi nel Sacramento della Penitenza, ma bensì perché in questo Sacrifizio sgorgano quelle grazie di conversione che valgono a spezzare i cuori colpevoli e a purificarli prima ancora che nel Sacramento delle divine misericordie abbiano ricevuto la sentenza! di assoluzione; perché in questo Sacrifizio scaturisce il dono della vera compunzione, lo spirito di penitenza, la grazia di ben praticarla e di ristorare per tal guisa in unione ai meriti infiniti di Gesù Cristo gli oltraggi recati a Dio con la colpa. È in questo senso che noi riconosciamo nel Sacrifizio della Messa una virtù espiatrice; e non solo per noi viventi ancora sulla terra, ma secondo la fede e la pratica costante della Chiesa, secondo la testimonianza dei Santi Dottori, secondo le attestazioni delle più antiche liturgie, non ostante le negazioni dell’eresia, ancora per le anime giuste, che passate a l’altra vita con le macchie di lievi peccati o senza aver fatta condegna penitenza dei peccati gravi, trovatisi ancora nella necessità di compiere la loro espiazione, prima di poter raggiungere la requie e la luce eterna. Più ancora: al Santo Sacrifizio della Messa noi attribuiamo giustamente una virtù espiatrice, non solo per coloro che intendono o per i quali si intende direttamente ad ottenerla, ma eziandio per quei peccatori che di ciò non si danno alcun pensiero, e per quelli medesimi che con diabolico proposito si abbandonano alla colpa con questo scopo diretto di sfidare le divine perfezioni. Alcuni si meravigliano, parendo loro che Iddio ai tempi nostri abbia cambiato il modo di governare, essendo che anticamente si faceva chiamare il Dio degli eserciti, e parlava ai popoli frammezzo alle nuvole, e con i fulmini alla mano, e castigava le colpe con tutto il rigor della sua giustizia, con le catastrofi più spaventose, mentre ora tollera con pazienza non solo le vanità e le leggerezze, ma i peccati più sordidi, gli scandali più iniqui e le bestemmie più orrende, che molti de’ Cristiani vomitano ad ogni tratto contro il suo Santissimo Nome. Come va dunque? Forse che le nostre ingratitudini sono ora più scusabili, di quello che erano prima? Tutto all’opposto. Sono assai più colpevoli quanto più grandi sono i benefizi, di cui noi nella nuova legge siamo ricolmati. La ragione vera di sì stupenda clemenza è la S. Messa, in cui si offre all’eterno Padre questa gran vittima di Gesù, questo agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. « Io per me credo – dice mirabilmente S. Leonardo da Porto Maurizio – che se non fosse la Santa Messa, a quest’ora il mondo sarebbe già sprofondato, per non poter più reggere all’alto peso di tante iniquità; ma la Messa è quel poderoso sostegno, che lo tiene in piedi. » Sì, è la Santa Messa, che ferma più spesso di quel che si crede il braccio della divina giustizia pronto a percuotere, che allontana i molti flagelli dagli uomini, che li scampa da tanti pericoli, e che, provocando la divina misericordia, attira invece sopra di essi le più elette grazie. Oh se l’umanità comprendesse quello di cui va debitrice al Santo Sacrifizio della Messa! Così adunque col Sacrifizio dei nostri altari si rinnova e si fa presente lo stesso Sacrifizio del Calvario, e per tal guisa si rende alla Maestà di Dio il culto che a Lui è dovuto nel modo più perfetto. Così si onora come deve essere onorato. E poiché nell’offrire questo sacrifizio si ricordano e si esaltano quasi sempre le virtù, i meriti e le grazie di Maria, Madre di Dio, degli Angeli e dei Santi, e si invoca la loro intercessione secondo l’avvicendarsi delle loro feste, così collo stesso Sacrifizio, non già offerto ad essi direttamente, ma a Dio in loro onore, si rende anche ad essi l’omaggio di quel culto che loro pure è dovuto. Così specialmente si adora Iddio come deve essere adorato, gli si offre il più adeguato ringraziamento de’ suoi benefizi; se ne domandano dei nuovi nel modo più atto ad ottenerli, si implora e si ottiene la remissione dei peccati. Così ancora la Santa Messa è il compendio di tutti i sacrifizi dell’antica legge, perciocché da solo è sacrifizio latreutico, ossia di adorazione, sacrifizio eucaristico, ossia di ringraziamento, sacrifizio impetratorio, ossia di impetrazione delle grazie, sacrifizio espiatorio, ossia della remissione dei peccati. Amore pertanto, amore infinito del Cuore di Gesù per noi, ecco ciò che ci predica in modo eccellentissimo il Santo Sacrifizio della Messa. E dopo ciò come potrà essere che, dai devoti almeno del Sacro Cuore, non si corrisponda degnamente a tanta prova di amore? Come non vi sarà in noi il massimo impegno per ascoltare devotamente la Santa Messa, non solo nei giorni festivi, ma più volte ancora nel corso della settimana? Deh, o carissimi, non rifiutiamoci di partecipare il più sovente possibile con la nostra devota presenza ad un Sacrifizio che è la gloria della Chiesa, la consolazione e la delizia delle anime fedeli, la ricchezza e la fortuna di ogni cuore cristiano, la fonte inesauribile di tutte le grazie per il tempo e per l’eternità. Veniamo, veniamo spesso ad attingere con gaudio a questa fonte di salute, e siamone certi, per la bontà immensa del Cuore di Gesù Cristo, continueranno a sgorgarne zampilli di vita eterna. E voi, o Cuore Sacratissimo, nel vostro influito amore per noi, continuate ad ammetterci in questo Santo Sacrifizio ad essere partecipi delle vostre adorazioni, delle vostre azioni di grazie, delle vostre suppliche e delle vostre impetrazioni di perdono, affinché per questo gran mezzo compiendo degnamente i nostri doveri col vostro Padre Celeste, possiamo sempre nel corso di nostra vita essere da Lui mirati con sguardo benigno ed amoroso, ed al termine di essa meritarci d’essere accolti per tutta l’eternità tra le sue braccia in cielo.

DIO IN NOI (8)

DIO IN NOI (8)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

IO SOLO

A prima vista sembrerebbe che « rientrare in se stesso », raggiungersi, costituisca un esercizio facile ed elementare. L’uomo, dopo aver accudito ai suoi interessi, non ama forse rientrare in casa? Può darsi che ami rientrare in casa, ma in se stesso, non lo sembra affatto. Quando in una via di Galilea Nostro Signore invita Zaccheo a ritornare a casa sua, dov’è Zaccheo e che fa? È salito sopra un sicomoro per guardare. Tutti somigliano a Zaccheo; siamo fuori di casa nostra, e dall’alto di non so quale osservatorio, guardiamo la folla che passa, il moto, lo strepito, ed è solo ciò che ci interessa. Zaccheo almeno aspirava a vedere il Cristo, il suo modo di fare lo dice. È forse per trovare Nostro Signore che noi siamo «usciti», ovvero per divertirci a sentire le grida, gli strepiti, a vedere gli urti e i mutamenti perpetui della strada? « Zaccheo, scendi, discendi dal sicomoro, discendi dall’alto ». Dio ci rivolge lo stesso invito. Il giudeo agile fece presto a rimettere i piedi in terra. Ma quanto la discesa non è per noi più faticosa! « Hodie, in domo tua oportet me manere » oggi voglio dimorare in casa tua. Vieni giù e va subito a casa tua. Oggi stesso, a momenti, riceverai la mia visita. Non assentarti. Fa in modo ch’io ti trovi ». Dall’alto al basso dell’albero, dal piede dell’albero alla soglia della casa: ecco la distanza. In sé, non è molto; alcuni metri. Ma per noi, oh quanto ci costa percorrere questi pochi metri! Zaccheo, nella strada, incontrerà molta gente; qualcuno vorrà fermarlo, distrarlo, occuparlo, ritenerlo, divertirlo. Le cose inutili sono così attraenti! Qual coraggio non occorre per sacrificarle! Noi lo notiamo nella vita dei Santi. – S. Pambone, ascoltando un giorno un versetto di un salmo, si rende conto che Dio non è con colui il quale vive perpetuamente al di fuori di sé, alla ricerca di parole vane. Ed esclama: « Basta. Verrò a sentire il resto, quando avrò messo in pratica questa lezione ». Dopo quarant’anni trascorsi nel deserto, qualcuno gli domanda se vi è riuscito. Risponde: « Non ancora! ». È la risposta di un umile, che ha lottato per effettuare il suo disegno e non si fa illusioni. Chi non vedesse la difficoltà apra a caso uno dei tre primi libri dell’Imitazione, ovvero l’opuscolo Dell’unione con Dio del Beato Alberto Magno, e ne sarà convinto. Fin qui la sola via conosciuta per ottenere il raccoglimento, è la rinunzia di sé. Mettiamo quindi da parte il quietismo, il riposo beato e inattivo in Dio. Noi ne siamo cento miglia lontani. È inutile insistere; da quello che abbiamo detto sopra si è dovuto capire, fino all’evidenza, che le anime raccolte sono necessariamente anime d’immolazione. – La via che conduce alla « vita interiore » è ingombra di rottami: bisognò disfarsi di tutti gli idoli che ostruivano il cammino. Rari coloro che passano pei crocicchi e si dirigono verso l’uscita: sono gli stessi a cui alludeva Agostino; capricci e passioni sbrigliate che cercano di appiccicarsi a noi e si dileguano, messe in fuga. Una via trionfale, ma che ha dovuto saccheggiare, Dio solo sa al prezzo di quanti sacrifici, per passarvi da re.

LUI ED IO

La mortificazione non è meno necessaria al secondo stadio. L’anima in grazia che riesce a raccogliersi, trova subito Dio. La divisa « Io solo », si cambia in quest’altra: « Noi due soli! ». Ma in noi, oltre noi e Dio, vi sono ancora mille altre cose, e se si guarda da vicino che gravi ingombri non si vedono! Perciò in molli accade quello che accadde a Betlem, allorché Nostro Signore andò in cerca di un ricovero per ripararsi e nascere. Sono così vacue, le cose di quaggiù! Ma noi le apprezziamo tanto! Esse invadono tutto, e allorquando Dio batte, come fece altra volta, alla porta delle anime, « non vi è per Lui posto nell’albergo» – (E. HELLO ha una pagina vibrante nelle Physionomies des saints: « Non vi era posto nell’albergo ».« La storia del mondo si racchiude in quelle tre parole;e benché breve e sostanziale, nessuno la legge: giacché leggere importa capire. E l’eternità non sarà troppo lunga per misurare l’importanza di quanto sta scritto in queste parole: Non vi era posto nell’albergo. Ve n’era per gli altri viaggiatori. Non se ne aveva per questi soli. Quello che si dà a tutti, si rifiuta a Maria e a Giuseppe; e intanto Gesù nascerà fra alcuni minuti. L’aspettato dalle nazioni bussa alla porta del mondo, e per Lui non vi èposto nell’albergo! Il Panteon, quest’albergo degl’idoli romani, dava alloggio a trenta mila demoni, prendendo nomi creduti divini. Ma Roma non accolse Gesù Cristo nel Panteon.Si sarebbe detto che indovinasse che Gesù non voleva affatto quel posto e quell’onore. Quanto più qualcuno è meschino, altrettanto gli riesce facile trovare un posto. Ma colui che ha qualche qualità degna di un uomo, prova difficoltà a collocarsi. Chi portasse qualcosa di meraviglioso e prossimo a Dio, incontrerà maggiori ostacoli. Chi porta Dio, non troverà posto alcuno.« Sembra che si indovini che gli occorrerebbe un posto molto grande, e benché si sforzi di apparire piccolo, non riesce a disarmare l’istinto di coloro che lo respingono. Non può persuadere loro che somiglia agli altri uomini. Potrà in tutti i modi nascondere la sua grandezza, questa risplenderà suo malgrado e le porte al suo avvicinarsi, si chiuderanno come per istinto… »). –  Aperta a tutti, frequentata da molti clienti, l’anima nostra non ha un posto per il Signore.Ovvero se Dio vive in noi perché siamo in grazia. per noi è lo stesso, generalmente parlando, che se non vi fosse, giacché ignoriamo, oppure trascuriamo la sua presenza. E l’Ospite divino, esiliato, in un angolo polveroso e oscuro, paria dimenticato, aspetta che qualcuno si occupi di Lui – attesa, spesse volte, vana –  e la sua preghiera silenziosa che un giorno diventerà condanna eloquente, è questa. « Hospes eram et non collegistis me. Esurivi et non dedistis mini manducare. Sitivi et non dedistis mihi potum. Io ero in te; per mancanza di raccoglimento, non mi hai accolto. Avevo fame di darmi a te; avevo questo desiderio che non s’è mutato dalla sera del Giovedì Santo, di mangiare con te perpetuamente la Pasqua, e tu non hai risposto al mio desiderio; non ti sei impensierito della mia fame, non mi hai invitalo a pranzo. Io avevo sete, sete di quell’amore che ti vedevo sciupare nelle creature, in creature vili, talvolta indegne, e in ogni ipotesi, meno belle, mille volte meno di me, Creatore, di me che sono l’Amore; e tu hai sorriso della mia sete, ovvero non l’hai neppure supposta.Avevo sete di vederti interrompere qualche tuo comodo, rinunziare a un capriccio, a tutte quelle inutilità che accaparravano l’anima tua e vi stabilivano i disordini più tristi, perché io, che sono l’Essenziale, potessi, da padrone, regnare nell’anima tua, sgombra. E tu non hai visto nulla, nulla compreso — o se hai visto e compreso,non hai voluto nulla! Ammetto pure che sia penoso abbandonare il nulla per il tutto. Ma, in fin dei conti, non ti avevo creato un essere ragionevole? Non ti avevo naturalizzato divino? Che te ne pare… ».Ogni Cristiano, per seguire Gesù, deve portare la croce e mortificarsi. Molto più l’anima che professa la vita spirituale e tende alla perfezione della vita cristiana! La grazia che riceviamo nel Battesimo diffonde in noi la vita soprannaturale, non nella sua pienezza, ma come in germe. Dio è intero, ma si riceve in modo limitato, secondo la capacità di ciascuno, giudicata con la misura delle predestinazioni provvidenziali. Questo germe si sviluppa sotto l’azione dello Spirito Santo con la cooperazione dell’anima che per mezzo « dello Spirito », deve far morire « le opere del corpo ». S. Paolo nota giustamente che nel Battesimo noi riceviamo solamente « la caparra » di questa vita divina; il che spiega come il possesso di Dio possa venire limitato ad alcune anime in grazia, e in conseguenza, come la capacità di contenere Dio possa ingrandirsi, se non si impedisce che il Cristo, « il quale una volta per sempre ci ha col suo sangue riscattati dalla schiavitù del peccato », ci liberi gradualmente, per mezzo della nostra fedeltà ai suoi inviti. Dopo avere salvato le nostre anime, senza concorso alcuno da parte nostra, santifica ciascuna di esse, valendosi dello Spirito Santo, a seconda della nostra fedeltà. Si capiscono quindi i desideri ardenti dei Santi: « Finché Dio mi dà vita, scrive Paolina Reynolds nelle note di ritiro spirituale l’anno 1902, posso progredire nell’amore, nell’unione, nella capacità di possedere Dio per l’eternità! La morte mi stabilirà nello stato in cui mi troverò. Quanta gloria per il Signore e quanti meriti per me non ho io trascurato! Forse è l’ultimo sforzo della misericordia… ». – Chi si abbandona all’influsso della grazia, non resterà stazionario nel possesso della medesima. Sarà trasportato dalla corrente. La vita dei « Tre » aumenta in lui, nello stesso modo con cui si dilaterebbe un recipiente, che rimanesse sempre ripieno del suo contenuto. « Siamo tu e io solamente », diceva Nostro Signore a una Santa. Affinché in noi si verifichi la stessa affermazione, quanto distacco da ogni cosa ci è necessario! Affinché la divisa di suor Elisabetta « Solo col Solo » non sia una semplice formola, ma diventi una realtà, quanta abnegazione ci si richiede! « Non vi sia schermo tra Dio e voi, né fra i due », consigliava il Santo Curato d’Ars. Coloro che hanno provato, possono dire quanto costi sopprimere lo schermo. S. Paolo lo scriveva a Timoteo, e la regola è formale: « Si commortui, et convivemus. Per condurre la vita in due, bisogna aver subito la morte in due » (II TIM. II).

DIO SOLO

L’anima può fare un ultimo passo: perdere di vista a segno tale se stessa, che in tutto consideri Dio solo. Ha cominciato a possedersi pienamente, anima mea in manibus meis semper. Rientrata in sé ha trovato di non essere sola. Adesso che ha trovato Dio dentro di sé stima nulla il resto, ed anche il proprio essere lo considera meno di ogni altro. È l’ultimo stadio dell’ascensione spirituale, l’ultimo della discesa in se stesso.Riepilogando tutto in una frase scultoria, un tale diceva: « Al limite mio c’è Lui ». A prima vista potrebbe sembrare che « omettersi» sia relativamente facile. Ripetuti esami di coscienza mostrano l’anima fino al fondo, e un’anima d’uomo non è qualcosa di molto bello. Le indelicatezze più varie, le fiacchezze meno onorevoli, impegni non mantenuti, preghiere raccorciate, promesse diminuite, disattenzioni inescusabili, tutto questo forma materia abbondante. Non parlo del peccato, giacché supponiamo trattarsi di un’anima in grazia, generosa con Dio o che fa sforzi per divenirlo. Si prova quasi un bisogno di fuggire il proprio essere, di lasciarsi in un angolo; di non più occuparsi di sé nella preghiera, di non stancare le orecchie del Maestro con la mostra, mille volte ripetuta, delle stesse miserie, delle medesime piccole brutture. Del resto ciò non fa meraviglia, né dispetto; ma in alcuni giorni vi è dell’eccesso, e si sente il peso di se stesso. In tal caso, che soggetto di conversazione scegliere quando si va a trovare Dio? No, si vuole tutt’altro. Si è poi così poco atti a occuparsi di sé, come si farebbe a destare l’interesse di Dio per una meschinità simile? Se invece di parlargli di me, io riuscissi a parlare unicamente di Lui? In luogo della mia povertà, delle mie miserie, della mia croce, delle mie vili ambizioni, io gli parlassi delle sue ricchezze, della sua misericordia, della sua croce, della gloria sua: « Gloria in excelsis DeoGloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo Gratiam agimus tibi, propter magnam gloriam tuam» e il « cujus regni non erit finis», del Credo che S. Teresa ripeteva sempre con trasporti di gioia!Per quanto profondo e legittimo sia questo sentimento, non accadrà mai che in noi, non vi sia… il noi. Noi, «è un dio caduto che ricorda i cieli », ed è anche il « gorilla feroce » o ubriaco che ha rotto la gabbia. Noi, con le nostre tare, le nostre piccolezze e abitudini inveterate di miseria; con l’amor proprio indistruttibile, che San Francesco di Sales dice morire un quarto d’ora dopo la nostra morte. Gli autori spirituali, dopo S. Paolo, lo chiamano l’uomo vecchio, parola che si crederebbe scelta per antifrase, talmente questo personaggio singolare gode nel mondo di una giovinezza inalterabile. « Noi siamo due, diceva Giuseppe de Maistre, io e… l’altro ». Aveva ragione. Ma l’altro è strettamente unito all’«io», e l’intimità loro è la storia d’intese continue col nemico.Si attribuisce al P. de Ravignan questa risposta umoristica, data un giorno a un tale che lo interrogava sulle sue impressioni di noviziato:« Eravamo due. Ne gettai uno dalla finestra ». Si suppone facilmente quante immolazione necessiti questo gesto degno di un forte. S. Agostino l’aveva capito quando esclamava: « Eia dulcissime Deus, hoc mihi pactum erit: plane moriar mihi ipsi, ut tu solus in me vivas. Su via, Signore, ecco il nostro patto: voglio morire interamente a me stesso, perché Voi solo possa tevivere in me ».L’Olier poteva pregare nel seguente modo:« O Tutto, o mio Tutto, io non sono più io, io sono Voi unicamente». Ma per arrivare fino a tal punto si considerino i sacrifici che si era imposto, fino a quello di offrirsi a Dio come« vittima »: « Mi piaceva, o mio Dio, presentarmi dinanzi a Voi in qualità di vittima,e dirvi: O Dio del mio cuore, non mi risparmiate,tagliate, spezzate, fate in pezzi la vittima» (Vie, presso Lebel, Versailles, 1918, p. 359 e seg.). È noto quale fosse l’unione con Dio del generale de Sonis. Ma sono ugualmente noti gli accenti generosi con cui offrivasi alla rinunzia più assoluta di se stesso: « O mio Dio, siate benedetto quando mi provate. Io amo d’essere spezzato, consumato, distrutto da Voi. Annientatemi sempre più… Volgetemi e rivolgetemi. Distruggetemi e manipolatemi. Voglio essere ridotto a nulla per amor vostro… Che io sia crocifisso, ma crocifisso da Voi! ». – In una formola più breve, qualcuno diceva: « Io sono uguale a zero ». Non trattasi qui di sacrificare solo la parte più rilevante, ma le particolarità fino alle minime attrattive della natura. Ciò è così ovvio che un testo sarà sufficiente. S. Giovanni della Croce nel primo libro dell’Ascesa al Carmelo, intitola così il capitolo XI: « È necessario che l’anima domi fino le sue minime passioni, per entrare in possesso dell’unione divina ». – « La ragione ne è, egli dice, che lo stato d’unione divina consiste in questo, che l’anima sia completamente trasformata nella volontà di Dio, di modo che la volontà di Dio sia il solo principio e l’unico motivo, che la faccia agire in ogni cosa, come se la volontà di Dio e quella dell’anima non fossero che una sola volontà. Or questa trasformazione è necessaria, giacché senza di essa l’anima potrebbe inclinare verso imperfezioni che dispiacerebbero al Signore, volendo cose che il Signore non vorrebbe ». E l’Ascesa avrà un solo scopo: servire di commento al programma seguente: « Per gustare tutto, non abbiate gusto di cosa alcuna. » – « Per tutto possedere, desiderate di non aver nulla. « Per essere tutto, abbiate la volontà di essere nulla in ogni cosa. » – « Allorché vi date a qualche cosa, vi arrestate dal gettarvi nel tutto. » – « Per andare dal tutto (della creatura) al Tutto (di Dio), dovete rinunziare a voi stesso, assolutamente in tutto.» – « E allorquando sarete pervenuto al possesso del Tutto, dovete custodirlo, non cercando altro.» – « Giacché se voleste qualche cosa nel Tutto, non avreste il vostro tesoro completamente puro in Dio ». Nel suo Port Royal Sainte-Beuve riferisce la storia di un’antica abbadessa, molto santa, che depone la carica e non può risolversi a consegnare la chiave di un piccolo giardino, dove i suoi privilegi anteriori le davano diritto di recarsi. È cosa molto facile ritenere la chiave di un giardinetto, e spesso costa moltissimo distaccarsene! Noi somigliamo a un fanciullo il cui armadio è pieno di giocattoli. Invitato a darne alcuni a bimbi poveri, trova che sono appunto quelli che egli stima di più. Ovvero a quell’altro ragazzo che impara dalla madre le orazioni e che giunto al passaggio: « Dio, Dio, vi dò tutto quello che possiedo », si ferma e mormora, a voce bassa: « a eccezione del mio coniglio! » (Questo tratto di fine psicologia è narrato da P. RAYMOND, O. P., La guida dei nervosi e degli scrupolosi, 1909, p. 178). I grandi sacrifici li facciamo facilmente — beninteso con facilità relativa — ma i piccoli ci costano moltissimo. Paolina Reynolds notava, a ventitré anni, durante un ritiro mensile, nel retroscritto di un’immagine, queste parole: « Se volete essere perfetto, il vostro cuore non inclini a nulla; date a Gesù Cristo tutto il vostro amore ». « Il mio pensiero, scrive ancora, si fermò su piccole cose che conservavo come tesori. Determinai di farne un sacrificio… Avevo con me lettere care che datavano dalla mia fanciullezza. Le amavo tanto, che quasi non le lasciavo mai. Ne feci un involto, senza osare neppure fissarvi gli occhi e lo rimisi al Parroco (suo confessore) perché lo bruciasse; giacché a me sarebbe stato impossibile farlo… Quell’offerta fu per me uno strazio incredibile… Passai quindi in rivista la mia stanza, senza omettere nulla: lettere, capelli, fiori disseccati furono gettati al fuoco… Fu un sacrifizio immenso. Non credo di aver fatto mai nulla che mi sia costato tanto ». E dalla sua vita apparisce chiaro che Dio metteva appunto questo «immenso», come condizione di grazie segnalate. – Ella aggiunge: « A partire da quell’ora, non ho più sentito il minimo affetto a cosa qualsiasi. Avevo capito la gelosia divina di Colui che voleva il mio cuore, fino al punto da non soffrire l’attaccamento a una lettera o ad un fiore » (Vie, p. 76, 78). – Teresa Durnerin, fondatrice della Società degli Amici dei Poveri, aveva ricevuto in dono un crocifisso, portatole da Roma. « Molto spesso, racconta sua sorella Noemi, vedeva scorrere dalla piaga del Cuore, non sangue, ma pietre preziose, in un calice tenuto da mani invisibili. Negli anni di gravi dolori e in cui l’anima sua viveva tuffata come in un oceano di amarezze, questa visione la consolava sommamente». Per consumare la morte a se stessa, Teresa si ridusse al partito di rinunziare al crocifisso, e lo mandò alle Missioni, con un certo numero di oggetti che erano per lei altrettanti cari ricordi. « La divina gelosia» del Maestro, esigerà, a volte, un sacrifizio mollo più penoso. S. Giovanna de Chantal, per seguire la vocazione, dovrà passare sul corpo dei suoi figli che si sono posti attraverso la porta. La contessa d’Hoogvorst, Emilia d’Oultremont, per farsi Riparatrice, dovrà anch’essa rompere vincoli molto cari. – La prima — e l’ultima — parola che Dio rivolge a Mosè, alla ricerca della Terra Promessa, è la seguente: « Exi, esci… abbandona, taglia, rompi »; e tutte le anime, incamminate verso Canaan, hanno la stessa consegna, e ogni giorno più rigorosa, a misura che avanzano. Importa poco che trattisi di una gomena o di un filo sottile; se vi è qualcosa che ci ritiene, l’unione con Dio è impossibile. « Poco conta, dice nello stesso capitolo San Giovanni della Croce, se il filo con cui è legato un uccello sia grosso o debole, se in realtà impedisce che voli; ugualmente è cosa indifferente che un’imperfezione sia grande ovvero piccola, se impedisce, allo stesso modo, che l’anima voli nella perfezione e nell’unione a Dio ». – Che sia necessario misurare le proprie forze, conoscere i doveri del proprio stato, non avventurarsi senza discrezione e senza guida verso una perfezione, bella forse in sé, ma inaccessibile a noi, è cosa da non porre in dubbio. Bisogna darsi a Dio, secondo una frase prudente e vigorosa di S. Caterina da Siena, « con misura e senza misura ».

CONCLUSIONE

Molti collocano la devozione là dove essa non è. In alcuni atteggiamenti, in certi gesti: Mons. Camus, l’amico di S. Francesco di Sales, volendo imitare la perfezione del Vescovo di Ginevra, non trovava altro da ricopiare in lui, all’infuori di un certo modo di tenere il capo inclinato. Quella non era santità; e Mons. Camus lo comprese subito. Enrico d’Alzon cadde, da giovine nello stesso difetto. Santa Teresa del Bambino Gesù ci racconta quante volte una religiosa, sua compagna, fu sul punto di farla impazientire, mormorando, accanto a lei, le preghiere a mezza voce. – La pietà non è legata a una posa qualsiasi, e Dio ascolta ugualmente bene le preghiere recitate a voce bassa e senza strepito di labbra. Altri fa consistere la devozione nella molteplicità degli esercizi: un dato numero di rosari, di piccoli offici, di letture edificanti. Sarebbe imperfezione grave non abbonarsi a quella tale rivista edificante, e diventerà un affare di stato l’invertire l’orario stabilito per le devozioni, ovvero ammettere una lacuna. Le pratiche di pietà sono certamente necessarie; ma non costituiscono né l’intera devozione, né la parte principale di essa. Altri ripone la pietà nel sentimento. Se Dio concede loro qualche consolazione, stimano ciò denaro contante e confondono la facilità con la virtù. La vera devozione consiste in uno spirito: uno spirito che anima la vita. – La pietà vera, prima di ogni altro, è questione d’intelligenza. In questo dominio, come in molti altri, molte forze vanno perdute perché malamente usate. Numerose sono le anime dotate di generosità, ma che si smarriscono negli accessori, mancando di un principio unico, sicuro, largo, comprensivo e preciso, dinamico e dogmatico. La pietà, quale noi la concepiamo, è una pietà seria. Ha per fondamento il dogma in quella parte che sostiene tutte le altre, e alla quale ogni altra si connette. Stabilita nel dogma capitale, la pietà si alimenta, mediante l’ascetismo più semplice e più tradizionale a un tempo; ascetismo basato sulla fede e non nel sentimento che richiede la più grande energia e l’abnegazione più generosa, abnegazione che esso stesso sa ispirare. La pietà che si appoggia sul dogma più fondamentale e che ha come svolgimento e come termine la rinunzia dell’io, è una pietà seria. Ed è anche una pietà profonda. Non arriva forse fino al fondo di noi stessi, fino a quell’intimo interiore che portiamo in noi, dove ci sono confidati i secreti del Re? Chi vive con Dio in sé, e di Dio in sé, sarà un uomo superficiale, col cuore attaccato al nulla e all’inutile, solo nel caso in cui vi applichi ogni sua buona volontà; chi è avvezzo a distaccarsi dal centro per ricondurvi tutto, non proverà punto la dispersione che forma il difetto delle vite volgari e dissipate. È la riduzione all’unità. Quante anime corrono da una pratica devota a un’altra, senza mai avere cercato di stabilire un legame fra ciascuna di esse! Tutto è variabile, perché nulla è indicato in modo particolare. Nessun pensiero direttivo riannoda le diverse azioni della loro vita spirituale. Si è in balia di un libro, abbandonati a una corrente di devozione. Manca un’idea dominatrice, intorno alla quale l’esistenza si cristallizzi. – La dottrina di Dio in noi è il legame per eccellenza, giacché il grande problema dell’essere nostro, l’unico anzi, è la nostra divinizzazione. Pietà larga, che non si concentra in un campo ristretto, ma si estende, senza opposizione, a ciò che è più grande e più bello. Oh com’è vero che tutto s’illumina, sotto la luce di Dio in noi! Si diviene veramente intelligenti nel senso etimologico e nobile della parola: intus legere. Come s’acquista l’abitudine di leggere al di dentro di sé, nell’anima propria, questo libro così ricco, ma spesso così chiuso! E come in tutto quello che si vede, ormai solo l’interno interessa! Fra gli avvenimenti che si svolgono nella storia dell’umanità, si ricerca il gesto, l’azione divina, la storia di Dio. Negli uomini che ci passano accanto, l’essere umano ci sembra molto piccolo, comparato a Dio che vive o che vuole vivere in esso. Si percepisce che nel mondo una sola cosa importa: la vita di Dio nelle anime. Quando sulla terra non vi sarà più nessuno capace di divenire un eletto, la terra non conterà più. Largo è anche il pensiero di Dio in noi, perché mette l’anima al cimento di far continui sforzi per crescere, dilatarsi, lasciare il posto a Dio.

« Bisogna che Egli aumenti e io diminuisca », diceva Giovanni Battista. La divinizzazione fu perfetta fin da principio nell’umanità di Nostro Signore. In noi, altri Cristo, la vita divina è suscettibile di aumento. Noi cominciamo con essere «dèi in germe», secondo l’espressione dei Padri, destinati a divenire « dèi in fiore ». Abbiamo prima l’initium substantiæ eius (Heb. III, 14); ma dobbiamo progredire fino allo sviluppo completo: crescit in augmentum Dei (Col., II, 19). Così concepita, la pietà di cui ci occupiamo, sarà anche dinamica. Agirà in noi come un perpetuo stimolo: Ecce non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel. Come potrebbe dormire, il custode d’Israele? Qual principio potrà mai produrre la purità, migliore di questo: Dio vive in me! – « Il Cristo, dice S. Agostino, è al centro del nostro interno, e di là vede quello che la mano fa, ciò che dice la lingua, quello che la mente pensa e quali sono i nostri sentimenti intimi. Quanto bisogno quindi abbiamo di vivere molto vigilanti, pii e casti, giacché siamo sempre sotto lo sguardo di un maestro santissimo! » (De Ascens., Serm. II).E S. Anselmo aggiunge: «O Cristiano, non ti dice l’Apostolo che tu sei lo stesso corpo di Cristo? Custodisci quindi e il corpo e le membra con tutto quell’onore che ad essi è dovuto.Gli occhi tuoi sono gli occhi di Gesù Cristo; volgerai gli occhi di Gesù che è la verità, versola vanità? Le lue labbra sono labbra di Gesù Cristo, le aprirai, non dirò per pronunziare la calunnia e la maldicenza, ma anche solo per fare discorsi inutili e conversazioni frivole? Con quanta vigilanza e rispetto non dobbiamo governare tutti i nostri sensi e le membra del nostro corpo, poiché sono rette da Nostro Signore in persona, e sono possedute e dirette da lui nella loro attività! » (Medit. I). Quale altro principio produrrà, più di questo, lo zelo? Vedendo che il Cristo è scacciato dappertutto, messo alla porta dalle anime, non si avrà più quiete; ma come una volta Elia, ci si chiederà: « Quid hac agis, Elia?Elia che fai? — Altri si lanceranno al buon combattimento. Nunquid fratres vestri ibunt ad Pugnam?— E tu che fai, resti al tuo posto? Et vos hic sedebitis?». Pare impossibile non accorrere per gridare a tutti, come Giovanni Battista alle folle del Giordano: « Vi è qualcuno in mezzo a voi, dentro di voi che voi non conoscete ». « È forse troppo, si domandava Paolina Reynolds, che io vi conosca e vi ami? Oh no! Mio Gesù, manifestatevi al mondo, a tutti! Fate che i vostri amici, coloro che vi sono consacrati, vi conoscano a pieno e vi facciano conoscere! Rivelate alle anime l’incanto dei vostri santi misteri. Che tutti i vostri Cristiani siano santamente avidi di tutto ciò che può farvi dare, farvi consegnare alle anime, alle intelligenze, ai cuori! – « E poi, o Gesù, o Dio, quei milioni e milioni di uomini che non vi conoscono affatto, per i quali la vostra Incarnazione, i vostri .Misteri, l’Evangelo, la Chiesa, sono lettera morta… Oh pietà! pietà! manifestatevi al mondo » (T. II , cap. II, Médit. IV ). Pietà allegra. Esiste una sola tristezza, ed è quella di non essere santi. Quanti Cristiani sopporterebbero meglio le pene della vita, se avessero la conoscenza pratica e attuale del bene che portano, o che dovrebbero portare costantemente: Dio, nell’anima loro, mediante la grazia santificante! Possiamo perdere tutto, ma se Dio ci rimane, che altro bisogno avremo? Si può essere abbandonati da tutti; ma se da parte nostra non abbandoniamo Dio, saremo privati di poca cosa. – Vivere solo con Dio è agire da grandi; essere solo con Dio, è una solitudine ricchissimamente popolata, perché se ne possa restare contenti. Allorché S. Paolo consiglia di essere sempre allegri, che cosa dice in pratica, benché in apparenza sotto forma indiretta, se non: « siate sempre in istato di grazia »? Elisabetta Leseur scrive nel suo Diario: « Vi è una gioia che i dolori più acuti non distruggono, una luce che brilla nelle tenebre più dense, una forza che sostiene tutte le nostre fiacchezze. Soli, noi cadremmo per terra, come Cristo portando la croce; pertanto noi camminiamo, ovvero le nostre cadute sono meramente passeggere e ben presto ci rimettiamo coraggiosi in piedi. La ragione sta in questo che « noi possiamo tutto in Colui che ci fortifica ». Esseri deboli, portiamo in noi la Forza infinita, e nella profondità dell’anima nostra risplende la luce che non si estingue. Come non essere allegri, a dispetto di tutto, allegri di una gioia soprannaturale, quando possediamo Dio per la vita e per l’eternità? ». – Pietà liberatrice. Quale controsenso — che viltà — non è mai il rispetto umano: i buoni hanno vergogna di apparire buoni, e i malvagi si onorano di essere tali! Agire bene, è un difetto; agire male, è una gloria. Trionfo insolente del diavolo e aberrazione crudele dell’uomo che inverte, da barbaro, il valore delle opere. – Chi vive in colui che passa nella strada, e ride di me che vado a fare la Comunione? Ed io, che vivo di Dio, arrossirò, mi nasconderò, avrò vergogna. Il rispetto umano è il disprezzo del divino. I cadaveri che deridono i viventi, e i vivi che si preoccupano dello scherno dei cadaveri  – «Riconosci la tua grandezza, o Cristiano », diceva il Papa S. Leone: « Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam, e apprendi a liberarti dalla schiavitù. Tu sei figlio di Dio, sei figlio di Re, e ti affliggi per il figlio di uno schiavo? Solleva il capo, cammina a fronte alta. Se vi è qualcuno che debba arrossire e nascondersi, non sei tu. Imparalo, e non lo dimenticare più ». – Noi viviamo in un mondo a rovescio (« Per una ragione misteriosa, non meno che significativa, avviene che chi stabilisce di condurre una vita onesta e regolata, è quasi sempre mal visto dai suoi antichi compagni, agli occhi dei quali è più degno di disprezzo convertirsi, che commettere il falso ». JOERGENSEN: Sainte Catherine de Sienne et ses disciples, « Revue des Jeunes » 25 nov. 1917) . Apprezziamo invece le cose al loro giusto valore. Rimanere puro, pregare, portare Dio, non sono fatti umilianti. Tradire la fede, dimenticare il cielo, darsi al peccato, ecco l’onta suprema. Credi questo, e proclamalo, all’occasione, a voce alta. – Del resto nessun disprezzo per gli altri, nessun orgoglio per te. Ciò che essi sono, lontani da Dio, tu potresti divenirlo; ciò che tu sei, senza Dio, non lo saresti per lungo tempo. Non orgoglio, ma immensa magnanimità. Tu vivi in grazia, porti Dio; questo vale. -« Forse- scriveva E. Hello – la vanità diventerebbe quasi impossibile, se gli uomini avessero un’idea della loro grandezza. La voce della gloria farebbe in loro tacere la voce dell’amor proprio. Dio vuole che viviamo della sua vita, vuole darsi a voi, Egli, l’Infinito, e vi proibisce, in vista della vostra grandezza, di contentarvi del meno. Vi ricorda il valore della vostra redenzione, affinché sappiate quanto gli costate, vi prescrive gioie e glorie il cui pensiero dovete essere capaci di sopportare, — e voi, nei più bei sogni d’ambizione, giovine, fratello di S. Giovanni, aspirate a divenire emulo di questo o di quell’altro imbecille, che da venti anni parla per non dire nulla ». — E a volte peggio. – Di questa devozione abbiamo un modello eminente nella Santissima Vergine. Cominciando a scrivere queste pagine, il nostro pensiero, naturalmente, fu rivolto a Maria; al fine del lavoro, è ancor più naturale che la nostra mente si diriga verso di Lei. Si racconta dell’Olier, che una voce gli ripeteva spesso: « voglio che tu viva in una contemplazione perpetua» (Vie, 1918, Zebel, Versailles, p. 483). Maria non aveva bisogno di un simile invito, per abitare al di dentro. Prima ancora dell’Annunziazione, che pienezza di vita divina non era in Lei! Se il grande dovere di ogni Cristiano, « consapevole di sé », istruito sulle ricchezze che porta in sé stesso, mediante la grazia santificante, dev’essere quello di « lasciarsi invadere dai Tre », quali non furono i desideri di Maria, la cui intelligenza, per i misteri divini, era così desta e che la Chiesa ci mostra « piena di grazia » fin dal suo nascere! – Ecco l’Annunziazione: « Spiritus Sanctus superveniet in te». Lo Spirito Santo farà in voi una sopravvenuta. Mediante la grazia, Egli abita già nell’anima vostra, o Maria, insieme col Padre e col Verbo. Ma in Voi avrà luogo una discesa prodigiosa di Dio, che renderà intensa, fino a un grado massimo, la vostra vita divina. Voi siete già gratia piena. Che cosa ormai bisognerà dire di voi? Superplena, ripiena in modo da traboccare. Ecco che fino al Natale voi portale in voi l’Umanità santa del Salvatore. Oh quanto vi fa grande un tal tesoro! Ma dobbiamo dir tutto: quello che vi fa grande, più che la venuta umana del Figlio di Dio, è la venuta dello Spirito Santo, il quale ha reso possibile l’altra. Il motivo della vostra bellezza presente, più che la presenza dell’Uomo Dio in voi, in virtù del mistero della maternità incomparabile, è la presenza sovraeminente di Dio in Voi, il quale permette il miracolo che il Verbo si faccia figlio vostro. Eccoci, adesso, alla Pentecoste. Durante il corso della vita umana del Salvatore, Maria perpetuamente accanto a Lui, cresceva in grazia, come suo figlio, al contatto del suo esempio, dei suoi consigli, della vita sua. È venuta, per Gesù, l’ora di lasciare la Vergine Santa, e di ascendere al Padre; e Maria, come noi tutti, ormai non avrà altra presenza umana del Salvatore, che l’Eucaristica. Ma dalla destra del Padre, il Figlio manderà lo Spirito agli Apostoli, e per mezzo loro, lo farà discendere sul mondo, e questa venuta è anch’essa una sopravvenuta di un genere speciale, della quale Maria, regina degli Apostoli, godrà nel Cenacolo, stando in loro compagnia. « Lascia il posto allo Spirito Paraclito », dice il Sacerdote al demonio, ogni qualvolta gli è presentato qualcuno per essere battezzato. In un cuore già libero, libero non solo, ma pieno di Dio, che cosa non produrrà questa terza invasione dello Spirito? Ciò che in Maria è più bello, non è tanto l’ufficio suo quanto il suo Cuore Immacolato; e la legge è per tutti la medesima. La cosa che solo conta, non è punto la nostra azione esteriore, o il nostro ufficio nel mondo, quanto il più o meno di vita divina che portiamo in noi. « Dio guarda il cuore; Deus intuetur cor »; non considera altro; con un colpo d’occhio si rende conto se Egli vi si trova, e fino a qual punto; nulla dei fatti nostri e dei nostri gesti l’interessa tanto: « Deus qui in corde Beatæ Mariæ dignum Filio tuo habitaculum preparasti,come dice la sacra liturgia; o Dio che avete preparato nel cuore di Maria, un’abitazione degna di vostro Figlio ». L’anima nostra è, sì o no, la dimora del Figlio di Dio, e se sì, in che misura e con quanto frutto per la nostra vita?L’uomo può preoccuparsi di altri affari. Ma per Iddio, al di fuori di questo, non vi è altro affare importante nel mondo. Impariamo a pensare come pensa Lui.Dopo la Pentecoste possiamo contemplare Maria in casa di S. Giovanni. Il figlio suo divino l’ha lasciata, ma non è abbandonata dalla vita divina che Ella porta con sé; sicché tutta l’esistenza della Vergine si trascorre conversando con gli ospiti divini dell’anima sua. Non vi sono episodi, eccetto quello della Messa che l’Apostolo rinnova ogni mattina,« l’avvenimento più grande della storia umana… la ripetizione dell’ora decisiva, in cui il mondo peccatore, giustamente diseredato, fu d’un tratto ricondotto verso la pienezza della vita soprannaturale » (G . GOYAU).« Non ho nulla da fare al di fuori », diceva Ruysbrock. Maria non la pensava altrimenti. Nulla da fare al di fuori, tutto al di dentro, questo è il programma di chiunque aspira a ben altro che ad una vita cristiana superficiale. La parola intus è compresa in quella di intimità. Or, intus significa al di dentro. Saremmo felici se almeno alcune anime, dopo aver letto queste pagine, provassero desiderio di non vivere più « fuori » ma, rientrando in sé stesse, cercassero Colui che si trova in loro mediante la grazia: Dio, Padre, Figliuolo e Spirito Santo. – Quante anime lanceranno un giorno un grido di sorpresa, scoprendo tutto quell’interno che portavano in sé e che ignorarono! ». Dal momento in cui le abbiamo lette, quanto, queste parole di Mons. d’Hulst, ci parvero dolorose! E come rassegnarci che sia ignorato l’interno? E non ostante le varie ragioni che ci inducevano ad astenerci, perché non tentare l’impresa di richiamarne alla mente l’esistenza e il valore? Per quanto imperfette siano queste pagine, la Guida interna che parla al fondo delle anime, supplendo a quello che manca, farà sì che esse conducano al bene almeno un cuore. Un’anima è una diocesi assai grande, diceva S. Francesco di Sales. Quale ricompensa più bella di questa: un Cristiano, una Cristiana di più, risoluti a non voler stimare in avvenire lettera morta la presenza di Dio in noi; risoluti a vivere della vita divina, la vita interiore!

FINE

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE DEO, ADJUTORI NOSTRO, JUBILATE DEO JACOB” (LXXX)

SALMO 80: Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 80

In finem. Pro torcularibus. Psalmus ipsi Asaph.

[1] Exsultate Deo adjutori nostro, jubilate Deo Jacob.

[2] Sumite psalmum, et date tympanum; psalterium jucundum, cum cithara.

[3] Buccinate in neomenia tuba, in insigni die solemnitatis vestræ;

[4] quia præceptum in Israel est, et judicium Deo Jacob.

[5] Testimonium in Joseph posuit illud, cum exiret de terra Ægypti; linguam quam non noverat audivit.

[6] Divertit ab oneribus dorsum ejus; manus ejus in cophino servierunt.

[7] In tribulatione invocasti me, et liberavi te. Exaudivi te in abscondito tempestatis; probavi te apud aquam contradictionis.

[8] Audi, populus meus, et contestabor te. Israel, si audieris me,

[9] non erit in te deus recens, neque adorabis deum alienum.

[10] Ego enim sum Dominus Deus tuus, qui eduxi te de terra Aegypti. Dilata os tuum, et implebo illud.

[11] Et non audivit populus meus vocem meam, et Israel non intendit mihi.

[12] Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum; ibunt in adinventionibus suis.

[13] Si populus meus audisset me, Israel si in viis meis ambulasset,

[14] pro nihilo forsitan inimicos eorum humiliassem, et super tribulantes eos misissem manum meam.

[15] Inimici Domini mentiti sunt ei, et erit tempus eorum in saecula.

[16] Et cibavit eos ex adipe frumenti, et de petra melle saturavit eos

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXX

Esortazione a ben celebrare le feste; commemorazione dei beneficii ricevuti da Dio ; riprensione della negligenza ed ingratitudine del popolo ebraico.

Per la fine: per li strettoi; salmo allo stesso Asaph.

1. Esultate lodando Dio, aiuto nostro; alzate voci di giubilo al Dio di Giacobbe.

2. Intonate salmi, e sonate il timpano, il dolce salterio insieme colla cedra.

3. Date fiato alla buccina nel novilunio, nel giorno insigne di vostra solennità.

4. Imperocché tal è il comando dato ad Israele, e il rito istituito dal Dio di Giacobbe.

5. Egli lo ha ordinato per memoria a Giuseppe quando usci dalla terra d’Egitto, quando udì una lingua, che a lui era ignota.

6. Sgravò (Dio) gli omeri di lui da’ pesi; le mani di lui avean servito a portare i corbelli.

7. M’invocasti nella tribolazione, e io ti liberai; ti esaudii nella cupa tempesta; feci prova di te alle acque di contraddizione.

8. Ascolta popol mio, ed io t’istruirò; se tu ascolterai me, o Israele,

9. non sarà presso di te dio novello, né adorerai dio straniero.

10. Imperocché io sono il Signore Dio tuo, che ti trassi dalla terra d’Egitto; dilata la tua bocca, ed io adempirò i tuoi voti.

11. Ma il popol mio non ascoltò la mia voce, e Israele non mi credette.

12. E io li lasciai andare, secondo i desidero del loro cuore; cammineranno secondo i loro vani consigli.

13. Se il popol mio mi avesse ascoltalo, se nelle mie vie avesse camminato Israele,

14. Con facilità avrei forse umiliati i loro nemici; e sopra color che gli affliggono, avrei stesa la mia mano.

15. I nemici del Signore a lui mancaron di fede, ma verrà il loro tempo, che sarà eterno. (1)

16. Ed ei gli ha nudriti di ottimo frumento; e gli ha saziati del miele che usciva dal masso. (2)

(1) La parola “tempus” è spesso presa nella scrittura per “castigo”.

(2) In Palestina le api fanno il loro miele nelle fenditure delle rocce, miele considerato più delicato del miele delle api domestiche. Hengstenberg pensa che potrebbe essere in questione un miele miracoloso che Dio avrebbe fatto colare dalle rocce in favore del suo popolo. 

Sommario analitico

Questo Salmo, ha come oggetto la celebrazione delle feste e del culto di Dio, e sembra essere composto in occasione della Neomenia del mese di Abib (dopo Nissan), in cui si celebrava la festa di Pasqua, poiché il salmista ricorda che la festa che egli esorta il popolo a celebrare, fu stabilita in Egitto (5).

I. – Egli esorta il popolo di Dio a celebrare degnamente le feste.

1° Prescrive il modo in cui si debba lodare Dio (1, 2).

2° Ne indica i tempi (3);

3° ne designa le cause: – a) il precetto che Dio stesso ne ha fatto al suo popolo (4); – b) un motivo di riconoscenza per i benefici di cui ha ricolmato il suo popolo liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto e vegliando su di esso nel deserto  (5-7).

II – Lo istruisce in nome di Dio stesso sul culto che Gli è dovuto:

1° Lo invita a prestare una grande attenzione alle sue parole (8);

2° Lo esorta a mai adorare un dio nuovo, né straniero (9);

3° Insegna ad esso a non adorare che Lui solo, – a) che per la sua natura e la sua maestà è il sovrano Signore; – b) che per la sua bontà e carità è il suo proprio Dio; – c) che, per la sua potenza, lo ha liberato dalla terra d’Egitto; – d) che per la sua liberalità, è sempre pronto a colmarlo di beni (10);

4° Gli fa vedere i danni nei quali lo fa precipitare la sua infedeltà: – a) il suo popolo ha rifiutato di ascoltare i suoi insegnamenti divini per seguire i desideri del suo cuore, ai quali Dio li ha abbandonati (11-13); – b) Dio aveva promesso di liberarlo dai suoi nemici se fosse stato fedele, e non lo lascerebbe in preda ai loro attacchi (13-14); – c) assegna come causa di questo pericolo l’incostanza e la fluttuazione nelle vie di Dio, e predice la grandezza e l’eternità del supplizio degli infedeli (15); – d) lo rimprovera di averlo dimenticato e preso in disgusto i soccorsi che Dio aveva loro recato nel cammino verso la terra promessa, nutrendoli del più puro frumento e saziandoli col miele di roccia (16). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-7

ff. 1. – 1° Il Profeta ci invita alla gioia, perché la gioia dilata il cuore e riempie lo spirito di viva luce. Essa è come il sole dell’anima: – perché è onore e gloria del padrone che i suoi servitori siano nella gioia; – perché Dio ama la gioia nei suoi servi; essa aiuta a perseverare nel suo servizio, mentre la tristezza li allontana da Lui. 2 ° Egli ci invita a rallegrarci in Dio a causa della sovrana perfezione del suo Esere, e dell’estrema bassezza della creatura; – a causa del soccorso continuo che dà alla nostra debolezza: « Abbiate delle esplosioni di gioia in onore di Dio che è nostra forza; » – perché Egli circonda di un amore particolare coloro dei quali si dichiara il Protettore. « cantate con santi trasporti le lodi del Dio di Giacobbe ». Che altri celebrino la loro cerchia ed i loro piaceri, voi celebrate il vostro Dio; altri celebrino chi li inganna, voi Chi vi protegge; altri celebrino il loro dio, cioè il loro ventre, voi invece il vostro Dio, il vostro Protettore. « Lodate con il vostro giubilo il Dio di Giacobbe; » perché, anche voi appartenete a Giacobbe: » ben di più, voi siete Giacobbe stesso, il minore dei due popoli servito dal suo maggiore (Gen. XXV, 23). « Lodate con il vostro giubilo il Dio di Giacobbe. Tutto ciò che non potete esprimere con le parole, non cessate di celebrarlo con i vostri trasporti di giubilo (S. Agost.) –  Lodate Dio con una grande gioia del cuore. Dio ama colui che dona con gioia, quanto più chi loda con gioia. – Cantare o recitare freddamente, talvolta anche con disgusto l’Ufficio Divino, riguardarlo come un carico pesante, è il marchio sicuro di un’anima tiepida che ama poco Colui in onore del quale esercita questo dovere. – È questo uno strumento di musica utile per eccitare la devozione di coloro che si comportano in tal senso. Per i Cristiani, il cui culto deve essere più elevato, non devono servirsene o intenderli se non per persuadersi che tutta la loro vita e la loro condotta debba comporre agli occhi di Dio e della Chiesa, come una santa armonia, con il legare la carità e la giustizia a tutti gli altri esercizi di pietà (Dug.).

ff. 4-6. – « Perché questo è un precetto dato ad Israele ed il giudizio appartiene al Dio di Giacobbe. » dov’è il precetto, li è anche il giudizio. In effetti, « … coloro che hanno peccato sotto la legge saranno giudicati dalla legge. » (Rom. II, 12) – Dio comanda la celebrazione delle feste, e sanziona questo comandamento con il giudizio riservato ai trasgressori. – È bene che celebriamo le feste che Egli ha istituito a testimonianza dell’amore che ci porta e dei benefici di cui ci ricolma. – Il mese cominciava presso i Giudei con la luna nuova; la luna nuova è la vita nuova. Che cos’è la luna nuova? « Se qualcuno è in Gesù-Cristo, è una creatura nuova. » (II Cor. V, 17). Cosa vuol dire: « suonate la tromba all’inizio del mese della tromba? » . Predicate con fiducia la vita nuova; non temete i rumori della vita antica (S. Agost.). – « Quando uscì dall’Egitto intese una lingua che gli era sconosciuta. » Quando avrete passato il maro Rosso, quando vi sarete liberato dei vostri peccati per la potenza della mano di Dio e con la forza del suo braccio, scoprirete i misteri di cui non avete sentito parlare, intenderete una lingua che non conoscevate e che, ascoltandola ora e conoscendo coloro che sono capaci di attestare che la conoscono, apprenderete  dove donare il vostro cuore (S. Agost.). – Un Cristiano uscito dall’Egitto raffigura la corruzione del secolo, parla ed ascolta una lingua che gli era in precedenza sconosciuta. – Il cuore nuovo on parla più il linguaggio corrotto del mondo  al quale ha rinunciato: egli parla la lingua dello Spirito Santo; egli intende e gusta delle verità che gli erano in precedenza sconosciute, e Dio comincia a dargli l’intelligenza dei suoi misteri. – « Egli ha liberato le sue spalle dai loro fardelli. » Chi ha dunque liberato le spalle di Giuseppe dai loro fardelli se non chi ha detto: « Venite a me, voi tutti che soffrite e siete carichi. » (Matth. XI, 28). – L’effetto più funesto del peccato di cui è caricato il peccatore, è che spesso egli non lo sente, e si crede perfettamente libero in mezzo alla più dura schiavitù; egli è assoggettato alle azioni più basse e più degradanti di un uomo libero e se ne crede onorato (Duguet).

ff. 7. – « Voi mi avete invocato nella vostra tribolazione, ed io vi ho liberato. » Ogni coscienza cristiana si riconosca qui, se ha attraversato piamente il mar Rosso; se essa ha deciso, con volontà ferma di credere e praticare una lingua che in precedenza ignorava fino ad allora, che essa ha riconosciuto che l’ha esaudito nella sua tribolazione? Perché la grande tribolazione per essa era l’essere abbattuta sotto il fardello  dei suoi peccati. Qual è la sua gioia di essere ora risollevato? Ecco che siete stato battezzato; una coscienza – ieri travolta – è oggi ricolma di gioia. Voi siete stato esaudito nella vostra tribolazione: ricordatevi di ciò che era questa tribolazione. Prima di giungere a questa cura salutare, da quante inquietudini eravate caricato! A quale giogo eravate sottoposto! Che afflizioni portavate nel vostro cuore! Quale preghiera interiore, piena di pietà e di devozione! I vostri nemici sono stati uccisi, tutti i vostri peccati distrutti: « voi mi avete invocato nella vostra tribolazione, ed Io vi ho liberato. » (S. Agost.). – « Io vi ho liberato nel segreto della tempesta; » non la tempesta del mare, ma la tempesta del vostro cuore. « Io vi ho esaudito nel segreto della tempesta; Io vi ho provato nell’acqua di contraddizione. » Sicuramente, colui che è stato esaudito nel segreto della tempesta, deve essere stato provato nell’acqua della contraddizione. Perché quando un uomo avrà abbracciato la fede, quando sarà stato battezzato, quando avrà cominciato a seguire la via di Dio, troverà numerosi contraddittori che cercheranno di sviarlo dalla fede, che lo minacceranno anche per quanto potranno, per distruggerlo ed abbattere il suo coraggio: ecco che cos’è questa acqua di contraddizione (S. Agost.).- Tre sono i felici effetti della tribolazione: – 1° essa ci spinge ad implorare il soccorso di Dio: « Voi mi avete invocato nella tribolazione; » – 2° essa porta Dio a venire in nostro soccorso in mezzo anche alle tempeste della tribolazione: « Io vi ho esaudito cacciandomi nel mezzo della tempesta della tribolazione; » – 3° essa ci prova e ci rende più forti nel servizio di Dio: « Io vi ho provato, etc. » – È da notare come Dio metta qui, nel numero dei suoi benefici, la prova che aveva fatto con il suo popolo alle acque di contraddizione. – Dio è spesso nascosto in mezzo alla tempesta e alle contraddizioni per provare i suoi, benché essi non se ne accorgano, e li libera nei tempi in cui la sua bontà e la sua saggezza lo ritengano più utile. (Dug.). Il segreto della tempesta è una di quelle espressioni che appartengono alle sacre Scritture, e che istruiscono e consolano quanto più le si mediti. Questa tempesta che salva gli Israeliti e perde gli Egiziani, figura quella che si scatena contro la Chiesa ed anche in ogni anima fedele che si è decisa a domare le proprie passioni. Ogni tempesta di questa natura racchiude un segreto di Dio. Oltre al movimento esteriore, che colpisce lo sguardo degli uomini, essa compie una operazione misteriosa del Maestro supremo che produce, quando gli piace, la calma e la salvezza in mezzo ad un mare increspato ed agitato. Paolo e Agostino hanno sentito queste tempeste ed hanno conosciuto il segreto divino. Tuttavia – dice questo Padre della Chiesa – non c’è bisogno che un’anima così caricata dal fardello dei suoi pecca tisi propone di condurre una vita calma e piacevole: essa avrà, come abbiamo visto in precedenza, le sua acque di contraddizione (Rendu). 

II. 8-18.

ff. 8-10. –  Grande onore è che Dio voglia parlarci Egli stesso, dichiararci la sua volontà. – Ammirevole condiscendenza di un Dio che, essendo la sovrana Giustizia, viene ad abbassarsi fino ad entrare in discussioni con il suo popolo, a fargli sentire ciò che ha fatto per lui e nello stesso tempo la sua estrema ingratitudine. – « Israele, se mi ascoltassi, non avresti fra te un dio nuovo. » Un “dio nuovo” è un dio fatto per un tempo, ma il nostro Dio non è nuovo, Egli è da tutta l’eternità. Il nostro Cristo è senza dubbio nuovo come uomo; ma come Dio, è eterno! Cos’era in effetti prima di ogni inizio? « In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio, ed il Verbo era Dio » (Giov. I, 1). E il nostro Cristo è il Verbo che si è fatto carne, per abitare tra noi. Lungi da noi questo pensiero che Egli sia in qualche cosa un dio nuovo. Un dio nuovo è una pietra, un pezzo di argento o di oro, o un fantasma … Un gran numero di eretici si sono fatti, come i pagani, questa o quella divinità, si sono fabbricati questo o quel dio, e se non lo hanno posto nei templi, essi li hanno – cosa ben peggiore – stabiliti nei loro cuori, e si sono fatti essi stessi templi di questi falsi e ridicoli idoli. È un gran lavoro bruciare questi idoli fuori da sé, e purificare il luogo, non per un dio nuovo, ma per il Dio vivente. Tutti questi eretici (e noi possiamo aggiungervi tutti i filosofi deisti, naturalisti, materialisti, panteisti), correndo da opinione in opinione, forgiandosi questa o quella divinità, e variando la propria fede con la diversità dei loro errori, sembrano combattersi tra di loro, ma né gli uni né gli altri si ritirano dai pensieri della terra, e si accordano in questi pensieri terrestri. Essi hanno differenti opinioni, ma non hanno che una stessa vanità. Essi hanno un bel da farsi in disaccordo per la varietà delle loro opinioni, perché sono legati insieme dalla comunanza della loro vanità … Io sono colpito da questa espressione: « Non avrete tra voi un dio nuovo. » Il profeta non ha detto: “che viene lontano da voi”, come per parlare di qualche immagine venuta dall’esterno, ma in voi, nel vostro cuore, nei fantasmi della vostra immaginazione, nelle delusioni del vostro cuore; perché è là che portate il vostro dio nuovo, restando voi nella vostra antichità. « E dunque ascoltatemi » Egli dice, perché « Io sono Colui che sono » (Es. III, 14), voi non avrete in voi un dio nuovo, non adorerete un dio straniero. Se non immaginate un falso dio, non adorerete un dio fabbricato dall’uomo, e non avrete in voi un dio nuovo (S. Agost.). – « Perché Io sono ». Perché volete adorare ciò che non è? « Perché Io sono il Signore vostro Dio », perché Io sono Colui che sono. Ed in verità Io sono – Egli dice – Colui che sono, e che sono al di sopra di ogni creatura. Ma quale temporale vi ha aiutato? « Sono Io che vi ho tratto dall’Egitto ». Queste parole non si indirizzano solo al popolo Giudeo; perché noi siamo tutti stati tratti dalla terra d’Egitto, noi siamo passati tutti per le acque del mar Rosso, ed i nostri nemici che ci perseguitavano, sono morti nell’acqua. Non siamo dunque ingiusti verso Dio; non dimentichiamo il Dio eterno, per fabbricarci un dio nuovo. « Sono Io che vi ho tratto dalla terra dell’Egitto; aprite la bocca ed Io la riempirò. » Voi siete alle strette in voi stessi a causa del dio nuovo che vi siete fatti nel vostro cuore; bruciate questa vana immagine, rigettate dalla vostra coscienza un idolo fatto dalla mano d’uomo. « Aprite la bocca » confessando ed amando Dio, ed Io la riempirò, » perché in me si trova la sorgente di vita (Ps. XXXV, 10, S. Agost.). – Dio dichiara qui tre cose: – 1° che Egli è Dio; – 2° che Egli è il nostro Signore; – 3° che Egli è il nostro Salvatore ed il nostro liberatore, è il nostro benefattore. Noi dobbiamo quindi ascoltarlo come nostro Dio, adorarlo come unico Dio degno di adorazione, temerlo come nostro Padrone e Signore, amarlo come nostro Salvatore, cercarlo come Benefattore la cui liberalità non tende che a soddisfare e colmare tutti i nostri desideri. – « Aprite la vostra bocca ed Io la riempirò. » Queste parole sono più energiche di quelle di Gesù-Cristo: « … chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto? » possiamo noi temere da queste promesse divine, sì fortemente accentuate, di essere abbandonati a noi stessi, nelle nostre necessità temporali o spirituali? – « Spalancate la vostra bocca ed Io la riempirò. » Dio occupa nei nostri cuori il posto che noi Gli facciamo; più ne cacciamo i desideri, più Egli è racchiuso e durevole; quando, con un vero pentimento, un vero desiderio di amarlo meglio, una Confessione sincera, una sottomissione piena e completa, noi gli lasciamo completamente questa dimora che si è scelta creandola in noi, la sua promessa non inganna: Egli viene interamente.

ff. 11, 12. – « Ed il mio popolo non ha obbedito alla mia voce, ed Israele non mi ha prestato attenzione. » Chi? A Chi? « Israele, a me. » O anima ingrata, anima che non vive se non per me, anima chiamata da me, riportata alla speranza da me, lavata dal peccato da me! « Ed Israele non mi ha prestato attenzione. » In effetti, essi sono battezzati, passano per le acque del mar Rosso; ma lungo il cammino mormorano, contraddicono, si lamentano, sono agitati da sedizioni; sono ingrati verso Colui che li ha liberati dall’inseguimento dei loro nemici, che li ha condotti attraverso l’aridità del deserto, dando loro bevanda e nutrimento, luce durante la notte e frescura dall’alba durante il giorno (S. Agost.). – « Ed Io li ho abbandonati ai desideri dei loro cuori. » Io li ho abbandonati non alla direzione salutare dei miei comandamenti « ma ai desideri del loro cuore, » … li ho lasciati a se stessi. L’Apostolo ha detto nello stesso senso: « Dio li ha lasciati ai desideri del loro cuore » (Rom. I, 24). Io li ho abbandonati ai desideri del loro cuore; essi seguono l’inclinazione delle loro affezioni. Ecco cosa deve fare orrore … gli uni preferiscono il circo, gli altri l’anfiteatro; questi le baracche degli istrioni stabilite nei villaggi, quelli il teatro; gli uni una cosa, gli altri un’altra; altri infine, il loro dio nuovo. « Essi seguono l’inclinazione delle loro affezioni. » (S. Agost.). –  Il peccatore ama meglio ascoltare  i compiacenti che lo lusingano, piuttosto che ascoltare la verità di Dio che lo condanna. Egli vuole essere ingannato e che lo si inganni. È così che Dio si vendica in Dio; Egli fa nascere il suo supplizio dallo stesso peccato; Egli lo acceca con le proprie tenebre, e per metterlo nello stato più deplorevole, non fa altro che abbandonarlo ai desideri del suo cuore e allo smarrimento dei suoi pensieri (Dug.). –  Non si ammirerà mai abbastanza questa sublimità, questa profondità, questa calma terrificante, questo muto terrore della vendetta divina. Dio vuol combattere e punire infine i suoi nemici sopportati per lungo tempo. Dove prenderà le sue armi? Dove va a cercare i suoi strumenti di supplizio? È nel cuore dei colpevoli, così ricco di desideri, è nella loro immaginazione sì feconda di progetti; è nella loro memoria, sì piena di voluttuosi e brillanti ricordi, che Egli trova i castighi più formidabili. Questi desideri manterranno eternamente il loro divorante ardore; questa immaginazione riprodurrà sempre le stesse chimere; questa crudele memoria richiamerà sempre gli stessi ricordi, e tutto ciò con la certezza che il tempo sarà … l’eternità (Rendu).

ff. 13, 14. – « Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele avesse camminato per le mie vie ». Forse questo Israele si dice: io pecco, è evidente; io seguo le inclinazione delle affezioni del mio cuore; ma è colpa mia? Questo la fa il diavolo, ciò è fatto dai demoni. Che cos’è il diavolo, cosa sono i demoni? Sono i vostri nemici. Ora, « se Israele avesse marciato nelle mie vie, Io avrei umiliati i suoi nemici. » Dunque. « se il mio popolo mi avesse ascoltato,  »  ed è il mio popolo che non mi ascolta – « Se il mio popolo mi avesse ascoltato. » Che vuol dire « mi avesse ascoltato?» Se avesse camminato nelle mie vie. Esso piange e geme sotto l’oppressione dei suoi nemici; « Io avrei umiliato i suoi nemici, ed avrei appesantito la mia mano su coloro che l’affliggevano. » (S. Agost.).  – « Se tu avessi camminato nella via di Dio, avresti abitato in una pace eterna. » (Baruch III, 15). « Se tu fossi stato attento ai miei precetti, la tua pace sarebbe stata come un fiume e la tua giustizia come i flutti del mare, la tua posterità sarebbe stata moltiplicata come le sabbie del mare, i tuoi figli come le pietre delle sue sponde, mai sarebbe perito, mai il suo nome sarebbe stato cancellato dalla mia presenza. » (Isai. XLXVIII, 18, 19).

ff. 15. – Ma or anche hanno da lamentarsi dei loro nemici? Essi sono diventati da se stessi i loro nemici più accaniti. E come? Vedete ciò che viene in seguito. Voi vi lamentate dei vostri nemici, che siete voi stessi? « I nemici del Signore hanno violato la parola che Gli avevano dato. » Voi rinunciate? Io rinuncio! E ritorna alle cose alle quali rinunzia. A cosa rinunciate, in effetti, se non alle azioni cattive, alle azioni che il demonio suggerisce, alle azioni che Dio condanna, ai furti, alle rapine, agli omicidi, agli adulteri, ai sacrilegi, alle colpevoli curiosità? Voi rinunciate a tutte queste colpe e ben presto, ritornando sui vostri passi, vi lasciate ricadere di nuovo. » (S. Agost.). « Essi fanno professione di conoscere Dio, ma vi rinunciano con le loro azioni: essi sono abominevoli, ribelli ed incapaci di ogni bene. » (Tit. I, 16).  Essi lo hanno amato con le labbra, ma la loro lingua ha mentito al Signore; il loro cuore non era retto davanti a Lui, non erano fedeli alla sua alleanza. » (Ps. LXXVII, 39, 40), (S. Agost.). – « I nemici di Dio hanno violato la fedeltà che Gli hanno promesso. » E quanto grande è la pazienza del Signore! Perché i suoi nemici non sono abbattuti? Perché non si trova la terra per ingoiarli? Perché il fuoco del cielo non li riduce in cenere? Perché la pazienza del Signore è grande. Resteranno dunque impuniti? Non si può. Non si lusinghino della sua misericordia al punto da pensare ad una ingiustizia da parte sua: « Ignorate che Dio è paziente per indurvi alla penitenza? Ma voi nella durezza del vostro cuore, nell’impenitenza del vostro cuore, ammassate contro di voi tesori di collera per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, che renderà a ciascuno secondo le sue opere. » (Rom. II, 5-6). Se non lo fa oggi lo farà allora; se lo fa anche oggi, non lo fa che temporaneamente. Ma allora, per chi non sarà convertito né corretto, Egli lo farà eternamente … ma voi dite, che farà loro? Essi non sono viventi? Non respirano l’aria, non vedono la luce, non bevono l’acqua, non mangiano i frutti della terra? « Il loro tempo sarà l’eternità … » io non posso comprendere queste parole che del fuoco eterno, di cui la scrittura dice: « Il loro fuoco non si estinguerà, ed il loro verme non morirà » (Ps. LXVI, 24). Ma la Scrittura – mi si dirà – ha parlato degli empi e non di me; perché, benché io sia peccatore, benché io sia adultero, benché sia ingiusto, benché io sia rapinatore, benché spergiuro, io ho come fondamento il Cristo, io sono Cristiano, sono stato battezzato: sarò purificato dal fuoco, a causa del fondamento sul quale sono stabilito, io non perirò! Rispondetemi dunque ancora: Chi siete voi? Io sono un Cristiano, voi rispondete. Passi provvisoriamente. Cosa siete ancora? Un rapinatore, un adultero, uno di questo altri colpevoli di cui l’Apostolo ha detto che coloro che commettono questa sorta di peccati non possederanno il regno dei cieli (Gal. IV, 21). E cosa? Non essendo emendati da questi peccati, non avendo fatto penitenza di queste cattive azioni, voi sperate di possedere il regno dei cieli? Mettetevi dunque in questo momento sotto gli occhi la venuta del Giudice superiore. Ebbene! Grazie a Dio, Egli non ha taciuto sulla sua sentenza definitiva, non ha messo fuori gli accusati, non ha tirato il velo su di essi. Egli ha voluto farci conoscere in anticipo ciò che si è proposto di fare; ed eccolo: « … Tutte le nazioni saranno radunate davanti a Lui (Matth. XXV, 32). Cosa farà? Le separerà: metterà gli uni alla sua destra, gli altri a sinistra. Vedete qualche altro posto intermedio? Coloro dunque che quaggiù fanno tutte queste cose, avendoci detto l’Apostolo che non possiederanno il regno di Dio: essi non saranno alla destra del Cristo, con coloro ai quali dirà. « venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno. » Ma se non sono alla destra di Dio, non resta loro altra alternativa che essere alla sua sinistra: « … andate dunque nel fuoco eterno. » (Matth. XXV, 34). « Il loro tempo sarà l’eternità. » 

ff. 16. – « Voi conoscete – dice S. Agostino – il puro frumento di cui si nutrono i nemici stessi che hanno mentito al Signore; voi sapete che Egli li ha ammessi ai suoi Sacramenti, che Giuda il traditore vi ha partecipato. Gli ingrati! Essi sono stati nutriti con il fiore del frumento più puro, sono stati saziati col miele uscito dalla roccia, e questa roccia è Gesù-Cristo; ed essi sono stati in seguito infedeli al Signore, sono diventati i suoi nemici « … il tempo del loro supplizio sarà l’eternità. » – Quanti numerosi sono i nemici di Dio che violano la fedeltà che hanno promesso, e che sono nutriti non solo col fior di frumento più puro, ma ancora col miele estratto dalla roccia, vale a dire dalla saggezza del Cristo! Quanti sono coloro affascinati dalla sua parola, dalla conoscenza dei suoi Sacramenti, dalla spiegazione delle sue parabole! Quanto numerosi sono coloro che vi trovano le loro delizie, quanto numerosi coloro che esclamano: il miele non è fornito da alcun uomo, esso viene dalla pietra, che è il Cristo! Quanto numerosi sono coloro che si saziano di questo miele, ed esclamano: esso è soave, non c’è niente di meglio, niente di più dolce allo spirito ed alla bocca! E tuttavia questi uomini sono nemici di Dio, violano la fedeltà che Gli hanno promessa (S. Agost.).

ff. 17. – Nessuno più di Davide ha conosciuto ed espresso il fascino del simbolo eucaristico: « Dio –egli dice- ha nutrito il suo popolo col grasso di frumento, e lo ha saziato. » Quale frumento, riprende S. Agostino, se non quello del quale Egli stesso ha detto: « Io sono il pane vivente disceso dal cielo? ». Se Dio nutre anche le nostre anime in esilio, quanto più farà per saziarci in patria? » – Il Dottore angelico ci fa percepire l’ammirevole relazione tra il frumento e questo corpo divino: « nascosto nel covone, il frumento è figura del corpo di Gesù-Cristo nel seno della Vergine Santissima, perché si può applicare a Maria questa parola dello Sposo del Cantico alla sua Sposa: « … Il tuo seno è come un mucchio di grano » (Cant. VII, 2). Quando il lavoratore semina il suo campo, il chicco di frumento che egli semina, ricorda la morte del Salvatore, predetta da Lui stesso con questi termini: « Se il chicco non cade e non muore in terra, non porta frutto » (Giov. XII, 24). Infine il frumento trasformato in pane rappresenta il Corpo glorioso di Gesù-Cristo, che è in cielo l’alimento degli Angeli e dei Santi, secondo questa parola del salmista: « L’uomo è nutrito dal pane degli Angeli » (S. Thomas, opusc. XLV).

MESSA DI CAPODANNO 2020

MESSA DI CAPODANNO (2020)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi – dice S. Ambrogio – che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). «Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit. [Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum:  O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio:

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit 2:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

OMELIA I

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro” (Tit. II, 11-15). –

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo

1. Pietà,

2. Temperanza,

3. Giustizia.

1.

L’Incarnazione e la vita su questa terra del Figlio di Dio, sono una scuola efficacissima per tutti gli uomini. « Tutta la sua vita mortale — dice S. Agostino — fu una scuola di ben vivere per mezzo della natura umana che si è degnato di assumere» (De vera Relig. 16, 32). In primo luogo Gesù Cristo ci insegnò che per attendere la beata speranza dobbiamo aver rinunciata l’empietà e i desideri mondani. – Nella religione pagana, che i novelli Cristiani avevano abbandonata, il culto della verità non esisteva. Si aveva qualche conoscenza di Dio, ma non si adorava come Dio. Il culto che gli si prestava era superstizioso quando non era immorale. Dell’ultimo fine dell’uomo si aveva un’idea sbagliata. Non si cercava tanto di condurre una vita terrena, che fosse preparazione alla vita celeste, quanto di godere quaggiù più che fosse possibile, come se tutto dovesse finire in questa valle di lacrime. Non si alzava a Dio la mente, la quale non sapeva sollevarsi da quanto cadeva sotto gli occhi. Tra queste dense tenebre di errori e di corruzione apparve Gesù, sapienza increata, che insegnò la vera dottrina rispetto a Dio uno ed eterno: che ci manifestò le verità che riguardano la seconda vita; ne indirizzò le menti e i cuori a Dio, nostro principio e nostro fine. – I novelli convertiti avevano rinunciato alle dottrine empie del paganesimo, ma ciò non era tutto. L’edificio vecchio dell’empietà era stato demolito, e al suo posto bisognava innalzare l’edificio della pietà. Quanti esempi ci ha lasciato Gesù Cristo in proposito! A dodici anni sale al tempio con Maria e con Giuseppe per la solennità di Pasqua. Terminata la solennità, rimane in Gerusalemme. Quando, dopo tre giorni di ricerche, Maria e Giuseppe lo ritrovano, al lamento della Madre Gesù risponde: « Perché mi cercavate? Nulla sapevate che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? » (Luc. II, 49). E come attendeva Gesù in quei giorni alle cose del Padre suo? Stando nel tempio seduto in mezzo ai dottori in atto di ascoltarli e interrogarli. Grande scuola di pietà pei fanciulli, i quali dall’apprendimento delle cognizioni profane non devono disgiungere l’apprendimento delle cognizioni divine. Appena la loro mente si apre devono incominciare a interessarsi della loro sorte celeste, a conoscer Dio, a conoscere la sua volontà. Grande scuola anche per gli adulti. L’obbligo di interessarsi di Dio, del nostro ultimo fine incomincia alla soglia, della vita, e non cessa che alla nostra partenza da questo mondo. Se le verità che riguardano Dio le abbiam dimenticate, bisogna richiamarle alla mente con lo studio del Catechismo, con la frequenza alle prediche. – Interessarsi di Dio vuol dire procurare la sua gloria. Questa procurò sempre Gesù in tutta la sua vita. E la sera che precedette la sua passione poteva dire : «Padre, io ti ho glorificato sulla terra» (Giov. XVII, 4). Noi possiamo dar gloria a Dio mostrandoci Cristiani pubblicamente, edificando gli altri con la frequenza ai santi Sacramenti, con la pratica degli esercizi di pietà. Interessarsi di Dio vuol dire intrattenersi con Lui mediante la preghiera. Gesù Cristo, che ci ha insegnato ed esortato a pregare con la parola, ci ha anche grandemente confortato alla pratica della preghiera col suo esempio. Egli prega nel tempio e prega sul monte quando ha cessato di ammaestrare le turbe. Prega nel deserto e prega nella gloria della trasfigurazione; prega di giorno e prega di notte. Prega quando risuscita Lazzaro, quando istituisce l’Eucaristia. Con la preghiera incomincia e chiude la sua passione. In una parola, Egli ha praticamente dimostrato come «bisogna pregar sempre, senza stancarsi mai» (Luc. XVIII, 1).

2.

E’ naturale che nella religione pagana l’uomo non fosse portato alla rinuncia, al sacrificio. Il piacere, l’accontentamento delle passioni non vi trovavano ostacolo alcuno. Tutt’altro, invece, è nella Religione Cristiana. Gesù Cristo venne su questa terra a darci insegnamenti ed esempi affatto opposti agli insegnamenti e agli esempi pagani. Egli è venuto a insegnarci che rinunciati i desideri mondani viviamo con temperanza. Si tratta di una vera riforma della vita. Non solo bisogna voltare la schiena alle antiche abitudini: bisogna formarsi abitudini nuove. Uno può voltare la schiena alle antiche abitudini, senza allontanarsene troppo. Senza staccare da esse il cuore. È un addio forzato col desiderio, se non sempre con la speranza, dell’a rivederci. Non siamo noi che ci distacchiamo da ciò che domina in questo mondo: sono spesso le circostanze che cene staccano: sono questi beni apparenti che spesso ci abbandonano, lasciando noi nell’amarezza. Questa non è la sobrietà e la temperanza insegnataci da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli. Gesù Cristo ci ha insegnato la rinuncia ai desideri sregolati dei beni di questo mondo. E rinuncia vuol dire staccarsene senza rimpianto, e senza desiderio di ritornarvi. Rinuncia vuol dire essere pronto a sostenere qualunque sforzo, a impegnarsi in un combattimento lungo e faticoso, a provare avversione per ciò che prima si amava, ad amare e praticare ciò che prima si odiava. « Gesù Cristo ci ha redenti, affinché, conducendo una vita illibata e ricca di buone opere possiamo divenire eredi del regno di Dio» (Ambrosiaster, in Ep. ad Tit.. cap. II, v. 11). Il Cristiano che vuol conseguire l’eredità del regno celeste, deve saper porre un freno alle proprie tendenze; altrimenti non riuscirà a condurre una vita illibata, ad arricchirsi di buone opere. Senza la temperanza saremo ben presto travolti dalle passioni. La malerba cresce presto: tagliata, ricompare ben tosto. Le passioni, anche rintuzzate, rialzano subito il capo. L’odio, la superbia, l’avarizia, la lussuria, la gola si fanno sentire a nostro dispetto. Che avverrà se, invece di combatterle con la mortificazione ne porgiamo loro alimento, con l’assecondarle? Presto ci prenderanno la mano e ci trasporteranno dove esse vogliono. Tanto, coloro che non sanno mai porre un limite alle loro brame non possederanno mai neppure su questa terra il godimento che vanno immaginandosi. Un viandante si propone di arrivare a quell’altura che si presenta al suo sguardo. Quando vi è giunto vede che, dopo uno spazio più o meno esteso di terreno piano, si trova un’altra altura. Non si dà pace finché non ha raggiunta anche quella. Arrivato vi vede ripetersi la scena di prima. Nuova altura, e dopo quella un’altra ancora, ed egli è inquieto perché non può raggiungerle tutte. Così, coloro che non sanno mai mettere un limite ai loro desideri, che non sanno imporsi delle privazioni saranno sempre malcontenti e irrequieti per le disillusioni che provano. I volti sereni, l’allegria schietta, che è il riflesso della pace dell’anima, si cercherebbero invano tra coloro che si fanno un idolo del ventre, degli onori, delle ricchezze, dei piaceri. Chi vuol trovarli li deve cercare tra coloro che sanno porsi un freno nell’uso dei beni di questa vita, e sanno moderare le loro voglie.

3.

Gesù Cristo ci ha anche insegnato a vivere con giustizia rispetto al prossimo. Questa giustizia richiede « che nessuno desideri ciò che è del prossimo » (S. Efrem). Molto più richiede che non si tolga ciò che è del prossimo. Richiede che non gli tolgano i beni materiali coi furti, con le appropriazioni indebite, con le dannificazioni, con le frodi, con la sottrazione della paga dovuta, col non mettersi in grado di pagare i debiti ecc. Richiede che non gli si tolgano i beni morali con le calunnie, con le mormorazioni, con le critiche ingiuste, con le insinuazioni. Richiede che non gli si tolgano i beni spirituali con il cattivo esempio, con la propaganda dell’errore, con toglierlo alle pratiche di pietà, con avviarlo alle usanze mondane. – L’uomo è creato per vivere in società. La vita sociale ha molti privilegi; ma, si sa: ogni diritto ha il suo rovescio. La vita sociale porta con sé anche i suoi pesi. Caratteri perfettamente uguali non si trovano. Ogni creatura ha la sua natura. E questo basta perché possano sorgere dissensi, contrasti tra coloro che, o per un motivo o per un altro, si trovano a contatto. Lo spirito della giustizia vuole che in questi casi non si abbia a scendere a liti o a recriminazioni. « Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo », ci dice l’Apostolo (Gal. VI, 2). Il quale ancor più chiaramente dice ai Corinti: « In tutti i modi è già un mancamento l’aver delle liti gli uni con gli altri. E perché piuttosto non sopportate qualche ingiustizia? Perché piuttosto non soffrite qualche danno? » (I Cor. VI, 7). Invero se domandiamo a Dio che sopporti noi, è troppo giusto che noi sopportiamo gli altri. Sentiamo l’Ecclesiastico: «Un uomo nutre lo sdegno contro un altr’uomo, e chiede che Dio lo guarisca? Egli non usa misericordia verso il suo simile, e chiede perdono de’ suoi peccati? Egli che è carne conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio?» (Eccli XXVIII, 3-5). – È spirito di giustizia non restringere la mano quando si tratta di soccorrere i fratelli bisognosi. La solennità di quest’oggi c’insegna che Gesù Cristo ha dato per noi il suo sangue. E noi, seguaci di Gesù Cristo, non faremo cosa straordinaria se daremo al nostro prossimo un po’ di quei beni, che Dio ci ha largiti. Dovessimo dare al nostro prossimo tutto quanto possediamo non daremo mai quanto a noi ha dato Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità. Non lesiniamo nel dimostrare la nostra giustizia verso il prossimo,se vogliamo sperare la manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo.« Chiunque, pertanto, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio» (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23).Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans, venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.
V Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia.]
Heb I: 1-2
Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II:21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

OMELIA II.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

 “In quel tempo compiuti gli otto giorni per far la circoncisione del bambino, gli fu posto nome GESÙ, come era stato nominato dall’Angelo prima di esser concepito”.

Perché Cristo fu circonciso l’ottavo giorno dopo la sua nascita; e quali sentimenti deve ridestare in noi il Nome di Gesù?

La circoncisione si faceva otto giorni dopo la nascita del fanciullo. Gesù, essendo Dio, poteva dispensarsi da questa dolorosa cerimonia della legge mosaica; ma ci si volle sottomettere per più ragioni, egualmente degne della sua sapienza ed amore.

1° Nell’assoggettarvi la sua sacra persona abolì onorevolmente un rito stabilito da Dio per un certo tempo soltanto.

2.° Provò così che Egli avea veramente un corpo umano, e confuse fin d’allora i sofismi dell’eresia, che nonostante la chiara prova dei suoi patimenti e fatti nella sua vita mortale, dovevano un giorno negarne la realtà.

3.° Mostrò che Egli era Figlio di Abramo, dal quale il Messia doveva uscire. Prevenne le obiezioni possibili a farsi dai Giudei per impugnare la divinità del Messia, sotto pretesto che Egli era straniero, ed acquistò il diritto di conversare con essi per la salute delle loro anime.

4. ° Divenne nostro modello, ci insegnò l’obbedienza, ci ispirò un giusto orrore per il peccato, e si fece nostra vittima. – Il nostro dovere è d’entrare nei sentimenti del Salvatore, e di profittare delle lezioni che oggi ci porge. Perciò sforziamoci:

1. ° Di concepire un vivo orrore del peccato, che sottopone questo tenero fanciullo ed una così dolorosa cerimonia.

2. ° Di staccarci sinceramente dalle cose create, e vegliare attentamente sui nostri sensi, perché non siano sedotti dagli oggetti esterni.

3. ° Di unire i nostri cuori al cuor di Maria. Chi può esprimere ciò che questa tenera Madre provò, quando vide scorrere le prime gocce del sangue del suo Figlio? Come Gesù e Maria offriamoci in sacrifizio al Signore: sottomettiamoci con fedeltà e rispetto a tutte le pratiche sante che la sua legge c’impone, ed accettiamo senza lamento le pene che la sua Provvidenza c’invia. Tali debbono essere in questa solennità sì istruttiva, sì commovente, i sentimenti e le disposizioni nostre. – Usava tra i Giudei di dare un nome al fanciullo il giorno della sua circoncisione. Non era egli giusto che al momento in cui il Figlio dell’uomo era ascritto tra i figli di Dio, onorato della sua alleanza, ricolmo dei suoi doni e fatto erede delle sue promesse, prendesse un nome che richiamasse questa gloriosa adozione e il sublime ufficio ond’era rivestito? Il Cristo ancora volle prendere il suo augusto Nome quando fu circonciso, per conformarsi in tutto non solamente alle leggi, ma ancora alle pie costumanze del popolo di Dio, ed insegnarci così con qual fedeltà noi dobbiam seguitare le usanze religiose ed i riti della Chiesa. Ma qual nome prenderà Egli? E chi ha il diritto d’imporre a Lui un nome? Ai padri spetta il diritto d’imporre il nome ai loro figli; ed i nomi più convenienti son quelli che indicano meglio le essenziali qualità delle cose a cui si applicano. Ne consegue che nessuna creatura nel cielo o sulla terra, nemmeno Giuseppe e Maria, potevan dare il nome al Figlio di Dio; perocché nessuno era capace dì comprendere l’eccellenza di sua natura e la dignità del suo ufficio. Dio Padre solo poteva dare al suo Figlio il Nome che perfettamente esprimesse l’adorabil carattere di Lui. Ed ecco infatti che l’eterno Padre incarica un principe della sua corte di recare dal cielo in terra il nome del suo Figlio. L’Arcangelo Gabriele, onorato di questo augusto incarico, venne ad annunziare a Maria e la sua divina maternità e il Nome da porsi al Figlio che a Lei nascerebbe. Fu ancora indicato da un Angelo a s. Giuseppe in un’altra occasione. Fin allora quell’adorabile Nome non era conosciuto che dall’eterno Padre, dagli Angeli, da Maria e da Giuseppe; il momento di svelarlo al mondo è arrivato. Dall’alto dei cieli, contemplando il suo amatissimo Figlio, sottoposto all’umiliante e dolorosa cerimonia della circoncisione, Dio Padre ruppe all’improvviso il silenzio, e gli dette un Nome per il quale lo dichiarò senza peccato, innocente, santissimo, ed il principe della salvezza per tutti gli uomini. – Infatti questo nome è un Nome d’ineffabile gloria, un Nome superiore a tutti i nomi. Se bramate saperlo, prostratevi con la fronte nella polvere; poiché a questo Nome  ogni ginocchio si piegherà eternamente in cielo, in terra e nell’inferno. Gesù, cioè Salvatore, ecco il Nome del Figlio di Dio. Vedete con quanta cura l’eterno Padre solleva ogni umiliazione del suo Figlio con una rivelazione della sua gloria! Ogni volta che il Salvatore mostra la sua umanità, il Padre fa risplendere la divinità di Lui. Sì, il Nome di Gesù è sopra a tutti i nomi: nel cielo l’ammirazione, sulla terra la riconoscenza, nell’inferno lo spavento, a questo Nome di potenza, d’amore e di vittoria, faranno eternamente piegare il ginocchio agli Angeli, agli uomini, al demonio. – Il Nome di Gesù è un nome di potenza. Ci ricorda Colui per il quale tutto è stato fatto; il Verbo di Dio, che porta nella sua mano il mondo; il Re dei re, il Signore dei signori, il cui regno spirituale è su tutte le nazioni ed età; l’Agnello dominatore del mondo, per cui sono stati fatti tutti i secoli; ed i re ed i popoli, lo vogliano o no, sono come il bastone nella mano del viandante, o come i servi sotto la potestà dei loro padroni; servi che Egli innalza, glorifica, se a Lui sono fedeli; e getta via e spezza come fragili vasi, se osano ribellarsi a Lui. –

Nome d’amore. Il semplice suono di due sillabe che compongono il Nome di Gesù, risveglia la nostra attenzione e riconoscenza per l’Autore della nostra salute, che s’è fatto uomo a fine d’innalzarci a Lui, è nato in una stalla, ha pianto, è stato perseguitato, calunniato, colmo di ingiurie, deriso, flagellato e crocifisso per noi; che, per riconciliarci col Padre suo, è resuscitato da morte, asceso al cielo, ove fa per noi l’ufficio d’avvocato e mediatore; e che finalmente, per consolarci, per sostenerci, si è fatto compagno del nostro pellegrinaggio, dimorando notte e giorno sui nostri altari.

Nome di vittoria. Gesù significa Salvatore, conquistatore, trionfatore. L’uomo e il mondo eran caduti sotto la potestà del demonio; di questo forte armato che teneva la sua preda incatenata da quattro mila anni. E Dio sa come egli usasse del suo potere! Il Figlio del Padre discese dal cielo per discacciare l’usurpatore, spezzare il suo giogo e liberar lo schiavo universo; il suo Nome ricorda le sue vittorie. Gesù è nostro Salvatore nel significato il più esteso di questa parola. Salvatore di tutto intero l’uomo: Egli salva il nostro spirito dal giogo dell’errore e delle umilianti, infami, crudeli superstizioni; salva il nostro cuore dalla tirannia delle passioni; salva il corpo dai mali che pesavan su lui nel paganesimo; gli comunica il germe della gloriosa immortalità; salva il fanciullo, lo sposo, il padre, la società: tutto Egli ha salvato. Ancora un po’ di tempo, quando il Salvatore venne al mondo; e la società era perduta: ed or c’impedisce di ricadere nell’abisso onde ci ha tratti. Gesù è sempre nostro Salvatore, il Salvatore del mondo intero. Senza Gesù il mondo fisico rientrerebbe all’istante nel caos; senza Gesù il mondo intellettuale ricadrebbe subito nelle tenebre dell’errore, siccome la terra cade nelle tenebre quando il sole abbandona l’orizzonte; senza Gesù il mondo morale si inabisserebbe all’istante nella cloaca del vizio e della corruzione, come il corpo si dissolve quando l’anima l’abbandona, come l’alimento si putrefa quando perde il sale che lo conserva. L’istoria dei popoli da diciotto secoli rende testimonianza a questa verità. – Non è facil cosa il comprendere che la più intera fiducia, l’amor più tenero, la gioia più viva ed il più profondo rispetto, debbono essere i sentimenti del nostro cuore, quando le nostre labbra pronunziano l’adorabile nome di Gesù? Sia la nostra prima parola allo svegliarci dal sonno, e l’ultima nel momento del riposo, sicché resti impresso tutta la notte sulle nostre labbra come un sigillo; nelle tentazioni, nei pericoli, nelle pene, pronunciamo il Nome di Gesù; Egli è onnipotente per rallegrare il nostro cuore, e mettere in fuga il demonio. Prendiamo la bella usanza di pronunziare spesso il Nome di Gesù nella nostra vita; e proveremo una gran fiducia nel pronunziarlo per l’ultima volta al momento di nostra morte. Entriamo nei sentimenti di un pio servo di Dio che esclama: « O divino Gesù, da voi dipende la mia felicità, la mia vita e la morte: tutto ciò che io farò sarà fatto sotto la vostra protezione e nel vostro Nome. Se io veglio, Gesù farà davanti ai miei occhi; se dormo, respirerò il suo santo amore; se passeggio, lo farò con la dolce compagnia di Gesù; se io seggo, Gesù sarà al mio fianco; se studio, Gesù sarà il mio maestro; se scrivo, Gesù guiderà la mia mano e la mia penna; il mio maggior piacere sarà quello di tracciare il suo adorabile Nome; se prego, Gesù mi detterà le parole, animerà le mie azioni; se io sono stanco, Gesù sarà il mio riposo; se ammalato, Gesù sarà il medico mio ed il consolatore; quand’io muoio, morrò nel seno di Gesù; Gesù sarà la mia felicità, ed il suo Ndome sarà il mio epitaffio. » – Noi siamo obbligati di prestare omaggio al Nome di Gesù, non solamente per gratitudine, ma ancora per obbedire all’eterno Padre, il quale ha voluto che a questo Nome ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e nell’inferno. Perciò v’è il costume di chinare il capo ogni volta che si pronunzia o si sente pronunziare il Nome di Gesù.

Quali pensieri ci deve ispirare il primo giorno dell’anno?

Il primo giorno dell’anno deve ispirarci pensieri assai gravi. Quest’anno che finisce e cade come una goccia d’acqua nel grande oceano dell’eternità, vi cade lasciandomi purificato da tutti i miei peccati? Che ho fatto io per Iddio e per l’anima mia? Alla fine di quest’anno sono io migliore che non era al principio? Di qual difetto mi son io emendato? Qual virtù ho acquistata? Se bisognasse render conto, quali meriti avrei da presentare? Eppure quante grazie non ho io ricevuto! Un utile esercizio nella vigilia e nel giorno del nuovo anno, è il confessarsi e comunicarsi come se dovessimo farlo per viatico. Per questo si fa l’esame per un quarto d’ora; si recitano le orazioni degli agonizzanti, e ci si prepara alla morte; in una parola, si cerca di regolar gli affari della coscienza, come i mercanti regolano in questo tempo i conti del loro commercio. Fino a quando, o mio Dio, i figli del secolo saranno più prudenti dei figli della luce?

Risoluzione. Io pronunzierò ogni mattina appena svegliato, col più gran rispetto, con la maggior fiducia, i santi Nomi di Gesù e di Maria.

CREDO ...

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.
[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. [Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

COMUNIONE SPIRITUALE

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps XCVII: 3

Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.
[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.
[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

Preghiere leonine:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinaro della Messa: https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/