G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (II)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO I.

DEI LUOGHI TEOLOGICI.

 I luoghi teologici sono quei fonti dai quali si prendono gli argomenti opportuni tanto per provare e dilucidare le verità della fede e i principii e le regole dei costumi, quanto per difendere questa verità, e queste regole dai sofismi degli eretici, o dei cattivi cattolici.

Questi luoghi ossia fonti sono dieci: 1. La divina Scrittura. 2. le Tradizioni. 3. Il consenso della Chiesa cattolica, 4. i Concili, 5. Il Giudizio del romano Pontefice, 6. l’autorità dei ss. Padri, 7. l’autorità dei Dottori e degli Scolastici, 8. l’autorità della Storia, 9. quella dell’umana Ragione, 10. quella della Filosofia. Così i teologi comunemente.

I

Della Sacra Scrittura.

— Che cosa s’intende sotto il nome di Sacra Scrittura?

S’intende la Sacra Bibbia, che contiene tutti quei libri divini, i quali dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. IV) in numero di 72 sono riconosciuti per ispirati da Dio ai loro autori, e scritti con tale assistenza dello Spirito Santo, sicché non vi si potesse inserire dai medesimi il minimo errore né per malizia né per umana debolezza.

— Come si divide la Sacra Scrittura?

Si divide in Vecchio e in Nuovo Testamento. Il Vecchio contiene tutti i santi libri scritti prima dell’Incarnazione del Figlio di Dio cominciando dalla Genesi, e terminando al II dei Maccabei, il Nuovo Testamento contiene quelli che furono scritti dopo, cominciando dal Vangelo di S. Matteo, e terminando all’Apocalisse di S. Giovanni.

In questi libri scritti dagli autori inspirati da Dio non vi potevano essere errori, ma per altro vi potranno essere degli errori nella Bibbia latina di cui ci serviamo, perché questa non ha nulla, o quasi nulla di originale, ma è in tutto, o quasi in tutto, traduzione dei testi Ebraici e Greci.

La Chiesa da più di dodici secoli si serve di questa Bibbia, se fosse guasta, ed alterata in cose d’importanza, Gesù Cristo non avrebbe potuto permettere ch’essa se ne servisse, senza mancarle di quella assistenza che le ha promesso perché sia infallibile. Sarebbe anzi scomunicato dal sacro Concilio di Trento (sess. IV) chi non volesse prestar fede a qualcuno dei santi libri, e a qualche parte dei medesimi quali si contengono nella nostra Bibbia latina, la quale si chiama pure la Volgata di S. Gerolamo, perché questo dottissimo santo Padre é l’autore della massima parte di questa versione. — Non sarà per altro cosa di maggiore sicurezza fidarsi più degli antichi testi originali che della nostra volgata? Qualunque possa essere lo stato odierno dei testi originali, è però certo che non furono fin ora rivisti ed emendati dalla Chiesa come fu la nostra Volgata; e perciò nelle cose riguardanti la fede ed i costumi, attualmente si deve preferire la nostra volgata ai testi originali (Can. de loc. theol., 2, c. 13).

— Le parole della S. Scrittura hanno un solo o più sensi?

Moltissime parole, e sentenze della Sacra Scrittura hanno due sensi letterale e mistico. Il letterale è quello che presentano le parole per se stesse; il mistico quello che presentano le cose significate dalle parole. Per esempio, si narra nella divina Scrittura che Abramo ebbe due figli, uno da Agar schiava di condizione, e l’altro da Sara di condizione libera: il senso letterale è che Abramo ebbe Ismaele da Agar sua serva da lui presa in moglie, e che poi ebbe Isacco da Sara similmente sua moglie, e nata dalla medesima distinta famiglia da cui era nato egli stesso: il senso mistico è che Dio raffigurato in Abramo ebbe due popoli suoi cultori, uno servo sotto la legge Mosaica, che è il popolo Ebreo, l’altro libero nella legge evangelica che siamo noi, cioè il popolo cristiano. Così i ss. Padri dietro S. Paolo (epist. ad Gal. IV).

— Vi é anche un altro senso che si chiama accomodatizio, quale sarebbe?

Si chiama senso accomodatizio l’uso che si fa di una sentenza della divina Scrittura la quale esprime una qualche determinata verità, per esprimerne un’altra a cui si può applicare; così la Chiesa usa in lode di Maria Ss. vari encomi che fa la Scrittura alla divina Sapienza; siano per esempio quelle parole « io sono la madre del bell’amore, del timor di Dio, della scienza e della santa speranza (Ecclesiast. XXIV, v. 34).

— Nell’intelligenza e nell’interpretazione delle divine Scritture ci potremo fidare del solo nostro intendimento?

La depositaria delle divine Scritture è la Chiesa Cattolica Apostolica Romana; essa solo può giudicare definitivamente dei veri sensi dei santi libri, vuole poi che nella loro intelligenza ed interpretazione seguiamo il senso unanime dei SS. Padri (Conc. Trid. Sess. IV) come quelli che sono i depositari della tradizione e che furono specialmente assistiti da Dio nella loro interpretazione ed intelligenza. Si noti che tutte le eresie nacquero dal volere interpretare la divina Scrittura secondo il proprio privato sentimento: «Non enim natæ sunt hæreses nisì dum scripturæ bonæ intelliguntur non bene (S. Agost. cap. 18 in Joannem).

— Non sarebbe bene che si facessero traduzioni volgari della Bibbia da potersi mettere nelle mani di tutti, anche dei secolari?

La Chiesa vieta che la Bibbia tradotta in volgare letteralmente si dia a leggere in differentemente a qualunque persona (vide 4 regulam Indicis lib. prohib.); anzi vieta che si dia l’assoluzione dei peccati a coloro che la volessero leggere, o ritenere appresso di sé senza averne il permesso. Che non possa esser buona cosa il metterla nelle mani di tutti si prova da questo, che essendo piena di misteri, potrebbe riuscire agli idioti più di danno che di profitto, e si conosce pure dallo zelo che hanno i protestanti di spargere ovunque, anche con tanto loro dispendio, un’infinita quantità di Bibbie volgari. Di più la Sacra Congregazione dell’Indice con decreto del 13 giugno 1757 proibì « versiones omnes Bibliorum quamvis vulgari lingua, nisi fuerint ab Apostolica Sede approbatæ, aut editæ cum adnotationibus desumptis ex S. Ecclesiæ Patribus, vel ex doctis catholicisque viris. » Vedi l’indice dei libri proibiti stampato in Roma nel 1819 alla lettera “i”, al titolo Istoria succinta delle operazioni etc. facc. 159.  Vedi pure facc. XIV Observ. Ad Reg. IV Additio. Di più questo decreto fu rinnovato nel Monitum del decreto della Congregazione dell’Indice fer. V die 7 ianuarii 1836. Ciò s’intende delle traduzioni volgari della Bibbia anche fatte da autori cattolici, e fedelmente eseguite sulla Vulgata quale sarebbe quella di monsignor Martini stampata senza note: quindi facilmente si comprende quanto debbano considerarsi più rigorosamente proibite le traduzioni fatte dai protestanti alterate, mutilate, mancanti d’interi libri quale é quella del Diodati che si diffonde tra noi per cura delle società Bibliche, che aspirano, speriamo inutilmente, a protestantizzare l’Italia. Specialmente queste da nessuno si possono comprare, né ricevere in regalo, né leggere, né ritenere presso di sé.

II

Delle Tradizioni.

— Che cosa sono le Tradizioni propriamente prese in quanto formano un luogo teologico?

Secondo il senso dei ss. Padri, e del Santo Concilio di Trento (sess. IV) sono quelle dottrine che non furono scritte da principio dagli autori inspirati, siano, o non siano poi state scritte in appresso.

— Come si distinguono le Tradizioni?

Le Tradizioni della Legge Evangelica, delle quali noi parliamo altre si chiamano:

Divino-Apostoliche, altre Apostoliche soltanto.

Le Divino-Apostoliche si dividono in:

Tradizioni spettanti al Dogma, e in

Tradizioni spettanti al costume.

– Le prime contengono le verità insegnate da Gesù Cristo agli Apostoli, o pure rivelate ai medesimi dopo la di Lui Ascensione al Cielo: si può mettere tra questo numero il dogma che i Sacramenti della nuova legge sono sette, né più, né meno.

– Le spettanti al costume, ossia alla pratica, contengono i precetti e i comandi fatti da Cristo agli Apostoli; e tra queste si possono annoverare i riti essenziali all’amministrazione dei Sacramenti, cangiati i quali nella loro sostanza, i Sacramenti resterebbero invalidi; per esempio, se uno dicesse nella forma del Sacramento della Penitenza: io ti lavo dai tuoi peccati, invece di dire: io ti assolvo.

Queste tradizioni Divino-Apostoliche, tanto riguardanti il dogma, come riguardanti la pratica, sono immutabili, e costituiscono un’irrefragabile luogo teologico. Le tradizioni apostoliche soltanto contengono le costituzioni formate dagli Apostoli come pastori della Chiesa per il suo buon regime disciplinare; si mette tra queste il digiuno quaresimale, e queste sono immutabili; sicché il Sommo Pontefice come Pastore universale può farvi quelle mutazioni che giudica espedienti.

— Le Tradizioni nella Chiesa si devono ammettere necessariamente?

È un dogma definito nel S. Concilio di Trento che esistono le Tradizioni ei (sess. IV et alibi). Si devono poi ammettere necessariamente, perché non si trova nei libri della Bibbia tutto ciò che si deve credere e praticare. Non si trova nella Bibbia che i Sacramenti della nuova legge sono sette; perciò senza le tradizioni non si potrebbe credere questo dogma. – Similmente le forme di vari Sacramenti non si trovano nei libri divini; e perciò senza Tradizioni non si potrebbero amministrare; per questo diceva S. Paolo: «Conserservate le tradizioni » (II ad Tessal. 2). Gli eretici inoltre, come dimostra il Cano (de Tradit. Apost. 1. 3, c. 3), rigettano le tradizioni perché riconoscono esser questa un’arma atta a sconfiggerli più ancora delle Divine Scritture; giacché le scritture interpretandole a loro modo le tirano al loro sentimento, ma le tradizioni non vanno soggette ad interpretazioni.

III

Della Chiesa.

— Come si definisce la Chiesa di Cristo?

La vera Chiesa di Cristo in questa terra, non parlando qui della trionfante, che è l’unione dei Beati in Cielo, nemmeno della purgante (che è l’Unione delle anime giuste detenute nel Purgatorio). La vera Chiesa di Cristo in questa terra; cioè la Chiesa militante, è:

l’Unione di tutti i fedeli i quali communicano insieme per la professione della stessa fede, per la partecipazione degli stessi Sacramenti, stanno soggetti ai propri Vescovi, e particolarmente al Romano Pontefice centro di tutta la Cattolica Unione. Così i teologi comunemente (Antoine, de fide Div. c. 3. art. 2).

— Quali persone non appartengono alla Chiesa di Cristo?

Non vi appartengono quelli, che non hanno ancora ricevuto il Battesimo, e perciò non solo gl’infedeli, ma nemmeno i catecumeni, quantunque credano già le verità rivelate dalla S. Fede. Non vi appartengono gli eretici, quelli cioè che appartengono a qualche setta, la quale non creda tutti i dogmi della Fede (tutti i protestanti sono eretici). Non vi appartengono gli scismatici, quelli cioè che ricusano di sottomettersi ai propri legittimi pastori, e tanti più all’autorità del Romano Pontefice. Non vi appartengono gli scomunicati, quelli però che sono notoriamente e pubblicamente dichiarati (Antoine, de fide div. e. 3, art. 1, § 1 et seq.).

— Vi sono dunque degli scomunicati che appartengono alla Chiesa?

Di diritto nessuno scomunicato appartiene alla Chiesa; ma per indulgenza, ossia permissione della stessa Chiesa, vi appartengono gli scomunicati detti tollerati, quelli cioè che non sono dichiarati tali notoriamente. Similmente vi appartengono gli eretici occulti, cioè quelli che senza dichiararsi per qualche setta particolare, contraddicono occultamente a qualche dogma cattolico, affettando frattanto dì essere uniti alla Chiesa, e sottomessi ai legittimi Pastori (Antoine, de fide Div. c. 3 de Eccl.). Questi però appartengono non all’anima ma al corpo della Chiesa, come un membro arido resta talvolta unito al suo corpo da cui non riceve né vigore, né vita.

— Alcuni dubitarono che non appartenessero alla Chiesa i cristiani imperfetti?

Vi furono alcuni eretici i quali pretesero che i soli cristiani perfetti formassero la Chiesa; ma questo era un distrurre la Chiesa, e annichilarla, giacché in questa terra non vi furono mai perfetti propriamente tali, tolta la Beatissima Vergine, che preservata dal peccato originale andò immune da ogni difetto; gli altri Santi si chiamano perfetti, non perché siano veramente tali, ma perché aspirano continuamente alla perfezione, e con tutto l’impegno procurano di spogliarsi dai loro difetti (Canuti, de Eccles. Cath. auct. lib. 4, C. 3).

— Si devono considerare come appartenenti alla Chiesa quelli che si trovano in istato di peccato mortale?

Senza dubbio, anche questo è un articolo di Fede, e l’errore contrario fu condannato in varie proposizioni di Quesnel dalla Bolla Unigenitus [Clemente XI – 1713] (Antoine, de fide Div. c. 3, art. 2, § 3).

— I reprobi cattolici, quelli cioè che Iddio prevede che per le loro iniquità si danneranno, appartengono alla Chiesa?

È articolo di Fede che vi appartengono; e l’errore contrario fu pure condannato dalla Stessa Bolla Unigenitus (Antoine, ut supra § 1).

— Quali sono i caratteri della vera Chiesa di Cristo?

Sono quattro annoverati dal Simbolo Niceno-Costantinopolitano: è Una, è Santa, è Cattolica ed Apostolica.

– Mi spieghi il primo.

La vera Chiesa è Una particolarmente per l’unità del suo capo che è Cristo, per per l’unità degli stessi mezzi che la conducono al suo fine dell’eterna salvezza, per l’unità di uno stesso suo cibo spirituale che è il corpo ed il sangue di Gesù Cristo, per l’unità di una stessa fede, di una stessa speranza, di uno stesso Spirito che la dirige e la governa.

— Chi è l’origine e il centro di questa unità che la Chiesa ha in terra?

Dietro l’autorità di tutti i ss. Padri convengono tutti i cattolici, che l’origine e il centro di tale unità è il Romano Pontefice, il quale ha il primato di onore, di giurisdizione e di autorità sopra tutte le varie chiese della terra, le quali tutte unite sotto questo capo costituito da Gesù Cristo formano una sola Chiesa. Tolto questo centro di unità sarebbero tante chiese disciolte, e non più una.

— Mi spieghi il secondo.

La vera Chiesa è Santa, particolarmente  per la santità del suo capo che è Cristo, per la santità dei suoi Sacramenti, della sua Fede, della sua morale, per la santità delle sue più nobili membra che sono i giusti, e per la santità dei suoi riti.

— Mi spieghi il terzo.

L a vera Chiesa è Cattolica, cioè universale perché si estende a tutti i tempi, dovendo durare fino alla fine del mondo; perché si estende a tutti i luoghi, essendo diffusa in tutta la terra, e perché accoglie ogni sorta di genti.

— Mi spieghi il quarto.

La vera Chiesa è Apostolica, perché fu fondata dagli Apostoli, perché conserva la loro dottrina, e perché ha per Pastori legittimi i loro successori.

— Quali sono poi le proprietà di questa Chiesa?

Sono queste tre: che sia visibile, indefettibile e infallibile.

— Le sono necessarie queste proprietà?

La loro necessità è manifesta. La Chiesa di Cristo è l’unica vera Religione del mondo, e soltanto quelli che a lei appartengono possono ottenere la vita eterna; perciò è necessario che sia visibile, affinché quelli che non sono in questa Chiesa la possano conoscere, e possano procurare d’entrarvi. È necessario che sia indefettibile, perché se la Chiesa potesse mancare anche solo per qualche tempo, per quel tratto resterebbero gli uomini impossibilitati a salvarsi. È necessario che sia infallibile, perché se essa potesse errare non potrebbe condurre sicuramente i propri figli al conseguimento del fine dell’eterna salvezza (Antoine, de fide Div. c. 3, art. 4 et seq.).

— In quali cose è infallibile la Chiesa?

È infallibile in materia di Fede, e di costumi. Cosicché quando dichiara che una verità appartiene alla Fede e quando approva o disapprova una pratica appartenente al costume, è impossibile ch’Ella erri.

— Chi la rende infalibile?

L’assistenza della Spirito Santo, che con specialissima provvidenza la governa, anzi parla agli uomini per mezzo di lei.

A quale Chiesa appartengono i sopradetti caratteri e proprietà?

Alla Chiesa Romana, non in quanto puramente Romana, cioè ristretta nei limiti del territorio della diocesi di Roma, ma in quanto è la Chiesa universale che ha per suo Capo e Pastore supremo il Romano Pontefice; per questo non solo adesso, ma anche nei secoli del Cristianesimo, dire Cristiani romani, e dire Cattolici era l’istessa cosa

(Baron. ad ann. 45).

— Che diremo dunque delle Chiese dei protestanti che vogliono essere chiamate Sante, Cattoliche, Apostoliche?

Si chiamerebbero tali con quel diritto col quale noi italiani ci potremmo chiamare francesi. Quando erano unite alla Chiesa Romana facevano realmente parte della Chiesa Santa Cattolica Apostolica, ma adesso non sono né Sante, né Cattoliche, né Apostoliche. Non Sono Sante perché non hanno più per capo la fonte d’ogni santità Gesù Cristo, e i dogmi e la morale che alle volte autorizzano non è santa. Non sono Cattoliche perché non estese a tutti i tempi, e ristrette a qualche provincia, a qualche regno. Non sono Apostoliche perché i loro fondatori non furono i successori degli Apostoli, ma i desertori della Chiesa fondata dagli Apostoli, i nemici della loro dottrina; e in quel modo che noi italiani se volessimo chiamarci francesi non troveremmo nessuno né amico, né nemico che ci volesse dare tal nome; egualmente i protestanti non trovarono mai chi volesse dare alle loro chiese i nomi di Sante, Cattoliche, Apostoliche; ma bisognò che si contentassero dei loro propri nomi, cioè di chiese Luterane, Calvinistiche, Zuingliane, Anglicane ecc.

— Che dovremo dire delle Chiese Greche scismatiche?

Per questo che sono scismatiche, cioè separate e divise dalla Santa Chiesa Cattolica Apostolica, a Lei non appartengono; sono per altro anche eretiche, perché negano vari dogmi della Fede, fra gli altri che lo Spirito Santo proceda non solo dal Padre, ma anche dal Figliuolo. Si osservi che quantunque tali chiese separate dall’unione cattolica, da alcuni si chiamino soltanto col nome di Chiese Greche, od orientali, si devono chiamare esse pure Protestanti, perché contraddicendo ai dogmi definiti dalla Chiesa protestano contro la Chiesa, come dimostra evidentemente il conte De Maistre (Del Papa, lib. 4, c. 4).

– Ho veduto che la, Chiesa è infallibile nelle sue decisioni riguardanti la Fede, e costumi,  or nascendo qualche controversia a chi ne spetterà la definizione?

Bisogna riflettere che nella Chiesa si devono distinguere due parti. La Chiesa insegnante, e la Chiesa ascoltante. Il Sommo Pontefice con gli altri Vescovi forma la Chiesa insegnante, tutto il rimanente del popolo cristiano, compreso i Sacerdoti, forma la Chiesa ascoltante. Perciò al Sommo Pontefice ed ai Vescovi spetta definire le questioni che potessero insorgere circa la Fede o la morale (Canus, de Eccl. Cath., lib. 4, c. 4).

— Può definire le questioni suddette ogni vescovo anche in particolare?

Non già; ma il corpo dei Vescovi uniti al Romano Pontefice può definitamente giudicare di tali questioni, e questa unione si fa mediante un Concilio generale, o mediante una Bolla Pontificia accettata dalla universalità dei Vescovi. Non sarebbe perciò necessario che l’accettassero tutti i Vescovi; basta che sia accolta, o non contrariata dalla maggior parte, e in tale caso i Vescovi che fossero dissenzienti non sottomettendosi diverrebbero scismatici ed eretici. Si noti bene, che tutto questo è di Fede, come convengono tutti i teologi Cattolici.

— Come si risponderebbe agli Eretici, i quali sostengono che il giudice di tutte le controversie circa la Fede e i costumi è la S. Scrittura?

Si risponderebbe che la divina Scrittura serve di regola per condannare gli errori, e definire le verità; ma che essa non condanna, né definisce. Tutti gli stati hanno un corpo di leggi, non sarebbe cosa ridicola il sopprimere i Tribunali, e aspettare che le leggi condannassero i rei, ed assolvessero gli innocenti? La divina Scrittura è il codice della Chiesa; ma la Chiesa è il tribunale cui spetta definire del senso del suo codice. Piace agli eretici lo stabilire che la S. Scrittura sia il giudice di ogni controversia, perché essi spiegandola a loro capriccio dicono che il giudice è in loro favore, e non temono che la divina Scrittura faccia mai più un Concilio, o una Bolla che li condanni.

— Dicono però che ciascuno può giudicare di tutte le controversie col proprio spirito privato, illuminato nell’intelligenza delle divine Scritture dallo Spirito Santo?

Se fosse vero che lo Spirito Santo illuminasse tutti gli spiriti dei cristiani, sicché nessuno potesse errare nell’intelligenza delle divine Scritture, non vi sarebbero mai state controversie in tale materia: perciò si deve dire che tutti non li illumina, e tutti non li rende infallibili; frattanto quali saranno quegli spiriti privati illuminati dallo Spirito Santo? Come li discerneremo da quelli che non sono illuminati? E poi se gli eretici sono illuminati dallo Spirito Santo per decidere col loro spirito privato le controversie, bisognerà che autore dello Spirito Santo di quelle innumerabili contraddizioni che li dividono in mille sette, e della loro Religione e Fede formano un caos.

— Che diremo di quelli i quali danno l’autorità definire le controversie suddette alla moltitudine del popolo cristiano?

Questo è un delirio in Fede. Lo ammetteremo quando le pecore dovranno condurre i loro pastori: Gesù Cristo disse agli Apostoli: Insegnate a tutte le genti, non lo disse a tutte le turbe (Canus, de auctor. conc. lib. 5, c. 2).

— Non si potrebbe assegnare per giudice di controversie di Religione il Sovrano temporale?

Per questo che l’autorità dei Sovrani è temporale, non si estende alle controversie di Religione che sono spirituali. Gesù Cristo diede le chiavi a S. Pietro, e non al Re, o all’Imperatore. In fine si noti bene che il dare l’autorità di definire le controversie di Religione al altri fuorché alla Chiesa, e a chi la rappresenta, è un errore contro la Fede di cui nessun cattolico si fece mai patrocinatore.

IV.

Dei Concilii.

— Come si definisce il Concilio Ecclesiastico?

Una congregazione dei Prelati della Chiesa convocata da un legittimo Capo per definire le questioni, che possono nascere circa le verità della Religione, per riformare i costumi del popolo cristiano, e la disciplina Ecclesiastica. Non sempre si raduna il Concilio per tutti questi motivi insieme, potendosi radunare, o per 1’uno o per 1’altro dei medesimi.

— Quante sorta di Concili si hanno?

Quattro sorte, cioè Concilio Generale, a cui si chiamano dal Sommo Pontefice tutti i Vescovi del mondo Cattolico; non è però necessario che tutti v’intervengano. Concilio Nazionale, a cui dal Primate si chiamano tutti i Vescovi della nazione, o del regno. Concilio Provinciale, a cui dal metropolitano si chiamano tutti i Vescovi della provincia suoi suffraganei, ed anche gli esenti a termini del Trid. Conc. sess. XXIV, c. 2. Concilio Diocesano, a cui dal Vescovo si chiamano i Preti della diocesi che hanno cura d’anime, od altro benefizio ecclesiastico.

— Appartiene soltanto al Romano Pontefice il diritto di convocare il Concilio Generale?

Tutti i cattolici convengono che questo diritto appartiene soltanto al Romano Pontefice. – Gli eretici pretendono che questo diritto spetti all’Imperatore; stoltamente però, poiché bisognerebbe che l’Imperatore avesse sotto di sé tutti i regni del mondo, onde esercitarvi l’atto di giurisdizione della convocazione dei Véscovi, e bisognerebbe pure che avesse il Primato nella Chiesa perché i Vescovi fossero obbligati a radunarsi dietro il suo ordine. Il Romano Pontefice soltanto la suprema podestà e giurisdizione sopra tutti i cristiani del mondo, e perciò sopra tutti i Vescovi. Si noti se qualche Imperatore romano ha già convocato qualche Concilio, questo avvenne dietro il consenso, e 1’ordine del Romano Pontefice. Cosi tutti i teologi e storici sani.

— A chi spetta di presiedere al Concilio Generale?

Spetta al Romano Pontefice, come spetta al capo di presiedere ai membri. Vi può presiedere però o per se stesso, o per mezzo dei suoi legati. Così tutti i teologi cattolici.

— Quali Prelati possono intervenire al Concilio generale?

Come giudici delle controversie religiose di diritto ordinario vi possono intervenire i soli Vescovi, e dare suffragio decisivo. I Cardinali non Vescovi v’intervengono come consultori del Sommo Pontefice, e danno suffragio eglino pure, come anche per privilegio gli Abati, e Generali degli Ordini Religiosi. Come protettori poi v’intervengono anche i Sovrani temporali, o i loro legati (Antoine, tract. De fide div. sect. 4, C. 4, art. 2. — Devoti, ìnsitit. can. Prolegom. c. III, XL).

— Il Concilio generale è di autorità infallibile?

Nessuno tra i Cattolici ha mai dubitato che esso sia d’infallibile autorità; però egli non ha una tale autorità se non dopo l’approvazione, o confermazione del Romano Pontefice.

— Gli altri Concili non generali sono infallibili?

Sono soltanto autorevoli per sé stessi, ma non infallibili, perché l’infallibilità è solo promessa alla Chiesa universale, e a chi la rappresenta. Si dice per se stessi, perché qualora le loro decisioni fossero approvate dalla Chiesa Romana sarebbero infallibili. Di più si osservi che nelle cose riguardanti la disciplina obbligano solo per i luoghi nei quali sono fatti; se sono Nazionali per la nazione, se Provinciali per la provincia, se Diocesani per la diocesi.

V .

Del Romano Pontefice.

— Chi è il Romano Pontefice?

Il Romano Pontefice è il Vescovo successore di S. Pietro nella Sede Romana.

— Il Romano Pontefice ha tutti i privilegi di S. Pietro, e tutta l’autorità che egli ebbe sopra la Chiesa?

Ha tutti i privilegi, e tutta l’autorità che ebbe S. Pietro da Cristo in quanto lo costituì Capo del Collegio Apostolico, e della sua Chiesa, cioè ha la stessa giurisdizione, e autorità sopra tutti i Vescovi, e sopra tutti i fedeli, e questo è di fede (Antoine, tract. ut supra de Rom. pontif.).

— È dunque un articolo di Fede che il Romano Pontefice abbia il primato sopra tutte le Chiese?

È articolo di Fede principalmente definito nel Concilio Fiorentino con pieno consenso dei Greci e dei Latini (in Defin. fidei).

— È necessario questo primato del Romano Pontefice nella Chiesa?

Una società che ha molti capi indipendenti, quali sarebbero i Vescovi senza il Romano Pontefice non può essere che un’anarchia, ed una confusione. Questa verità la confessano gli stessi eretici quando danno giurisdizione all’Imperatore, o ai Re sopra i Vescovi.

— Qualora pel suo sregolato, o reo procedere si dovesse chiamare in giudizio il Romano Pontefice, a chi spetterebbe il diritto di giudicare la sua causa?

Questo diritto se lo ha riserbato Iddio, nessuno in terra può giudicare il Romano Pontefice. Oltre le autorità che si potrebbero addurre, questa ragione è palpabile. Non si è mai potuto chiamare in giudizio il capo di un Governo se non da una rivolta; ma la Chiesa non ammette rivolta nel suo seno. Se succede una rivolta nella Chiesa, per questo solo che è rivolta, chi la promuove e chi ne fa parte, resta separato e diviso dalla Chiesa, almeno come scismatico; e perciò come diviso da lei non ha più in lei alcuna autorità. Potrà dunque essere fraternamente ammonito ma non giudicato.

— Il Romano Pontefice quando definisce una controversia in materia di Fede e di costumi, come capo e maestro di tutta la Chiesa, cioè per parlare con termine teologico, quando la definisce ex cathedra, è infallibile nel suo giudizio?

È infallibile, come si potrebbe provare con ogni sorta di autorità, e di ragioni, e il fatto sta che i Romani Pontefici quando definirono qualche questione in qualità di capi e maestri della Chiesa non hanno mai errato. Si trovarono sempre dei contumaci che reclamarono contro la verità delle pontificie decisioni; ma sempre finì il negozio con l’accettazione di tutta la Chiesa della decisione pontificia, e con la dichiarazione di eresia a carico dei reclamanti [I Nestoriani, gli Eutichiani si opposero alle decisioni di S. Leone Magno. I Monoteliti a quelle di S. Martino I. I Luterani a quelle di Leone X. I Giansenisti a quelle d’Innocenzo X, di Alessandro VII, ecc. Ma questi, e tutti gli altri antichi e moderni che l’imitarono nell’opposizione alle decisioni dei Romani Pontefici appresso i Cattolici, son tutti eretici. Le condanne dei Romani Pontefici si appellano, e sono fulmini che partono dal trono di Dio, e non v’ha scudo che non spezzino; non v’ha scampo per chi li provoca, se pure non si sottomette, e umilmente da lui stesso non si condanna. È impossibile che si respingano indietro; sono come la freccia di Gionata, di cui dice la Scrittura: — Sagitta Jonathæ nunquam rediit retrorsum. 2 Reg. c. 1, v. 22]. –

— L’autorità del Romano Pontefice è inferiore all’autorità del Concilio Generale?

Il Romano Pontefice con la sua autorità dà forza al Concilio Generale, e perciò è superiore allo stesso, e non inferiore. Il sommo Pontefice non cessa di essere capo della Chiesa quando è radunata in Concilio. Si rifletta che nessun Concilio generale è mai stato riconosciuto per infallibile nella Chiesa senza la conferma, o approvazione del Papa. Si rifletta di più che non si può concepire l’idea di Concilio generale senza Papa. Bisogna che il Papa lo raduni, che vi assista o per se stesso, o per mezzo dei suoi legati, che infine lo confermi come finiamo di dire. Ora per concepire un Concilio generale senza Papa, bisognerebbe concepire un Concilio generale in contraddizione col Papa, e in tal caso sarebbe una illegittima materiale radunanza di Vescovi tutti realmente disciolti, perché senza un centro di unione.

— Questo sarebbe nel caso che si trovasse in questione il Papa vivente con un Concilio generale che si andasse facendo, tuttavia il Papa sarà soggetto ai Concili generali già fatti debitamente, e confermati dall’autorità dei Papi suoi predecessori?

Nelle decisioni dogmatiche non ve ne ha dubbio, perché ciò che era vero, e infallibilmente vero una volta, sarà sempre vero per tutta l’eternità: per altro il dire che il Papa deve essere soggetto in tal modo ai Concili, è lo stesso che dire, che il Papa deve essere cattolico: nelle determinazioni poi che riguardano la disciplina, la quale nella Chiesa è mutabile, il Papa è superiore ai Concili potendo derogare alle loro leggi quando ne conosce il bisogno, e questa autorità gli è necessaria perché altrimenti sarebbe mal provveduto al ben essere della Chiesa.

— Per qual ragione sarebbe mal provveduto al ben essere della Chiesa?

Per la ragione che il Papa non potrebbe dispensare, o derogare in nessun caso ai canoni dei concili, come l’inferiore in nessun caso può derogare alla legge del superiore; e perciò per ogni deroga, per ogni dispensa cui il Concilio non avesse già autorizzato a farla il Sommo Pontefice od altri, sarebbe necessario convocare Concilio generale, e da tutti si conosce quanto sia cosa difficile il radunarlo, molte volte sarebbe anzi impossibile, e perciò in più occasioni mancherebbe alla Chiesa il mezzo di provvedere ai propri bisogni.

— Per altro non è verità definita di Fede che il Papa sia infallibile nelle sue decisioni dogmatiche, e che abbia autorità sopra i Concili generali?

È vero, che questa non è tra il numero di quelle verità che si devono credere fermamente sotto colpa di eresia non credendole. Per altro è una verità tra le più certe che si abbiano in teologia dopo i dogmi di Fede. Si noti che fu condannata da Alessandro VIII nel 1690, il 7 dicembre questa proposizione: « Futilis et toties convulsa est assertio de Pontificis Romani super Concilium Oecumenicum auctoritate, atque in Fidei quæstionibus decernendis infallibilitate »; ed incorrerebbe scomunica riservata al Papa chi volesse difendere tale proposizione.

— Il Papa ha l’autorità di dichiarare eretici o scandalosi i libri, e di proibirli quando siano tali?

Senza dubbio, perché come Pastore universale deve discernere i cattivi pascoli, e impedire che vi si accosti il suo gregge.

— Dichiarando il Papa che un libro contiene qualche eresia, bisogna sottomettere ciecamente il proprio giudizio alla sua dichiarazione?

Non vi ha luogo a dubitarne, perché nelle cose di fede non basta l’omaggio della lingua che si sottometta a stare in silenzio; ma si richiede l’omaggio del cuore, cioè della volontà prodotto dalla sottomissione dell’intelletto. – Questa verità sempre riconosciuta nella Chiesa fu maggiormente illustrata negli ultimi tempi dal fatto della condanna dell’eretiche proposizioni di Giansenio (Antoine: de fide divina c. 3 de Eccl., art. 8.)

VI.

Dei ss. Padri, dei Dottori e degli Scolastici.

— Quali sono i Santi Padri?

I Santi Padri sono quei grandi uomini, i quali per gran dottrina, gran santità e antichità furono dichiarati tali dalla Chiesa, o espressamente, o tacitamente. L’ultimo dei Santi Padri è S. Bernardo.

— Quali sono i Dottori?

Gli uomini insigni per dottrina e santità dichiarati tali dalla Chiesa, come S. Tommaso, S. Bonaventura ecc.

— Quando i Santi Padri, e i Dottori della Chiesa sono concordi in asserire qualche cosa spettante alla Fede o ai costumi si può dubitare della verità della stessa?

Non se ne può dubitare, perché essi sono i depositari della tradizione della Chiesa, e quando sono concordi nell’asserire qualche verità in tali materie, vuol dire che ella viene direttamente dagli Apostoli.

— Bisognerà che tutti siano concordi niuno eccettuato?

Questo poi no; perché nessuno tra i Santi Padri da sé solo è infallibile; perciò qualcuno poteva sbagliare, e non trovarsi concorde a tutti gli altri: in tal caso l’errore di uno non dovrebbe togliere la forza alla verità insegnata da tutti, o quasi da tutti.

— Dunque il sentimento di un Santo Padre si deve calcolare come di nessun peso?

Non già, si deve anzi calcolare moltissimo quando non sia contrario alla comune sentenza degli altri Padri; quando però vi fosse contrario, non si dovrebbe calcolare certamente.

— Quali sono gli Scolastici?

Quelli che scrissero dopo i Dottori della Chiesa in difesa delle verità contrariate dagli eretici: questi crebbero in gran numero dopo gli eretici del secolo XVI, che dovettero combattere; perciò gli Scolastici sono molto odiati e malmenati dai protestanti anche di questi tempi, e anche dalle persone di fede o dubbia o poco sincera, quantunque affettino cattolicesimo ed unione con la S. Chiesa.

— Quale autorità hanno gli Scolastici?

Se comunemente tutti concordano in asserire una cosa spettante alla fede, o ai costumi, hanno un’autorità irrefragabile, anche prima che sia definita espressamente dalla Chiesa, perché non si può supporre che tutti sbaglino, gli uomini dotti che nella Chiesa fioriscono, almeno la Chiesa dovrebbe condannare il loro errore non potendo permettere che fosse così autorizzato, e insegnato da tutti. Se poi comunemente non concordano, ma sono divisi nel loro parere, ciascuno non ha altra autorità, che il peso della ragione che apporta; questo s’intende però in generale parlando; poiché gli Scolastici i quali più si segnalarono per retto giudizio, e profonda cognizione dei Santi Padri hanno un’autorità personale di peso ben calcolabile. Chi direbbe per esempio che il sentimento del Bellarmino non sia considerabile anche soltanto per essere di uomo così giudizioso, ed erudito nelle scienze ecclesiastiche?(S. S. Clemente VIII eleggendolo a Cardinale diceva di lui al sacro Collegio: Hunc elegimus quia non habet parem Ecclesia Dei quoad doctrinam). La loro autorità però non si può mai mettere al pari di quella dei Santi Padri, o dei Dottori.

VII.

Della storia dell’ umana ragione e della Filosofia.

— Quale autorità ha la Storia?

La Storia ha molta autorità nelle controversie di Religione, perché ella somministra molti lumi e molti fatti in rischiaramento, e prova della verità, e in confutazione dell’errore. Per altro chi vuole adoprare sicuramente l’autorità della Storia in materia di Religione, non basta che ne abbia una qualche tintura soltanto; che sappia dei fatti sconnessi e isolati, tutte le scienze è meglio ignorarle, che saperle male, ma forse particolarmente la Storia; parlo dell’Ecclesiastica più necessaria alle teologiche controversie; la profana generalmente non può essere che utile.

— Quale autorità ha l’Umana Ragione, e la Filosofia?

Hanno molta autorità, qualora si tengano sottomesse alla Fede, e si adoprino in quelle controversie teologiche che ammettano gli argomenti che esse somministrano. È facile intendere che se la Fede si sottomette alla Ragione e alla Filosofia, la Fede è distrutta, e che non possono decidere in quelle materie che in nessun modo appartengono alla loro sfera; per esempio come si proverebbe in Filosofia l’esistenza del mistero della Ss. Trinità?

 

SAN LEONE PAPA

11 APRILE

SAN LEONE, PAPA E DOTTORE DELLA CHIESA

Il difensore del dogma dell’Incarnazione.

Oggi, nel Calendario liturgico, troviamo uno dei nomi più gloriosi della Chiesa: san Leone Magno. Meritò questo titolo, avendo nobilmente lavorato per illuminare la fede dei popoli sul mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. La Santa Chiesa aveva trionfato delle eresie che attaccavano il dogma della Trinità; allora ogni sforzo infernale fu portato contro quello del Dio fatto uomo. Un vescovo di Costantinopoli, Nestorio, osò negare l’unità di persona in Gesù Cristo, separando in lui il Dio dall’uomo. Il concilio di Efeso condannò quest’errore, che annullava la Redenzione. Ma non tardò a sollevarsi una nuova eresia, opposta alla prima, ma non meno nociva per il cristianesimo. Il monaco Eutiche sosteneva che, nell’Incarnazione, la natura umana era stata assorbita da quella divina, e quest’errore dilagava con una rapidità paurosa. La Chiesa sentì il bisogno dell’opera di un dottore che riassumesse con precisione e autorità il dogma, che è la base delle nostre speranze. – Apparve allora Leone, che dall’alto della cattedra apostolica, ove lo Spirito Santo l’aveva fatto assidere, proclamò con una eloquenza ed una chiarezza senza uguali, la formula della fede primitiva, sempre la stessa, ma risplendente di una luce nuova. Un grido di ammirazione partì dal seno stesso del Concilio ecumenico di Calcedonia, riunitosi per condannare l’empia tesi di Eutiche. I Padri esclamarono: « Pietro ha parlato per mezzo della bocca di Leone »! e quattordici secoli non hanno ancora cancellato, nella Chiesa d’Oriente, l’entusiasmo suscitato dall’insegnamento che san Leone dette a tutta la Chiesa.

Il difensore di Roma.

L’occidente, in preda a tutte le calamità dell’invasione dei barbari, vedeva crollare gli ultimi avanzi dell’impero, e Attila, Flagello di Dio, era già alle porte di Roma. I barbari indietreggiarono di fronte alla maestà del contegno di Leone, come l’eresia si dissipava davanti all’autorità della sua parola. Il capo degli Unni, al quale avevano ceduto i più formidabili bastioni, conferì col Pontefice presso le sponde del Mincio, e s’impegnò di non entrare a Roma. La calma e la dignità di Leone, che affrontava, senza difesa, il più temibile dei vincitori dell’Impero, esponendo la vita per il suo gregge, aveva scosso quel barbaro. I suoi occhi avevano scorto nell’aere l’Apostolo Pietro, sotto l’aspetto d’un augusto personaggio che proteggeva l’intercessore di Roma. Nel cuore di Attila, il terrore si unì all’ammirazione. Momento sublime, in cui si rivela tutto un mondo nuovo! Il Pontefice disarmato, che affronta la violenza del barbaro; questi, commosso alla presenza di una dedizione che non comprende ancora; il cielo che interviene per aiutare l’uomo dalla natura feroce ad inchinarsi dinanzi alla forza morale. – L’atto generoso compiuto da Leone esprime, in un solo tratto, ciò che diversi secoli videro operarsi nell’Europa intera; ma l’aureola del Pontefice ne risulta più risplendente.

L’oratore.

Affinché Leone non mancasse di nessun genere di gloria, lo Spirito Santo l’aveva dotato di una eloquenza che si poteva chiamare « papale », tanto completa e imponente era la sua impronta. La lingua latina, che declinava, vi ritrovò quegli accenti, e una forma che, a volte, ricordavano l’epoca del suo vigore; e il dogma cristiano, formulato in uno stile nobile e nutrito dal più puro succo apostolico, vi risplendette di meravigliosa luce. Leone, nei suoi memorabili discorsi, celebrò Cristo, uscente dalla tomba, invitando i suoi fedeli a risuscitare con lui. Egli caratterizzò, tra gli altri, il periodo dell’Anno liturgico che stiamo percorrendo in questo momento, quando disse: « I giorni che trascorsero tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione, non furono oziosi: poiché fu allora che vennero confermati i Sacramenti e rivelatii grandi misteri » (Discorso LXXIII).

Vita. – San Leone nacque a Roma tra il 390 e il 400. Fu prima diacono sotto il Pontefice Celestino; divenne poi arcidiacono di Roma e, alla morte di Sisto III, fu eletto Papa. La sua consacrazione ebbe luogo il 29 settembre 440. Durante tutto il Pontificato, rivolse le sue cure all’istruzione del popolo, con i suoi sermoni così dogmatici e semplici, con zelo nel preservarlo dagli errori dei manichei e dei pelagiani, e facendo condannare, nel Concilio Ecumenico di Calcedonia, nel 451, Eutiche ed il Monofisismo. Nel 452, andò incontro ad Attila che minacciava Roma, e lo indusse a la sciare l’Italia. Nel 455 non poté però impedire a Genserico ed ai suoi Vandali di prendere e saccheggiare la capitale: nondimeno, accogliendo le sue preghiere, i barbari risparmiarono la vita degli abitanti, rispettando anche i principali monumenti della città. San Leone morì nel 461 e fu inumato a San Pietro in Vaticano. Nel 1751 Benedetto XIV lo proclamò dottore della Chiesa.

Preghiera a Cristo.

Gloria a te, o Cristo, Leone della tribù di Giuda, che hai suscitato nella tua Chiesa un altro Leone per difenderla nei giorni in cui la fede correva grandi rischi. Tu avevi incaricato Pietro di confermare i suoi fratelli; e noi vedemmo Leone, nel quale Pietro era vivente, compiere questa missione con autorità sovrana. Abbiamo inteso risuonare le acclamazioni del Concilio, che inchinandosi di fronte alla sua dottrina, proclamava il beneficio insigne che, in questi giorni, hai conferito al tuo gregge, quando donasti a Pietro la cura di pascere, tanto le pecore come gli agnelli.

Preghiera a san Leone.

O Leone, tu hai degnamente rappresentato Pietro sulla sua cattedra! La tua parola apostolica non cessò di discenderne sempre veritiera, eloquente e maestosa. La Chiesa del tuo tempo ti onorò come maestro di dottrina; e la Chiesa di tutti i secoli ti riconosce per uno dei dottori più sapienti che abbiano insegnato la divina Parola. Dall’alto del cielo, ove ora siedi, riversa su di noi la grazia dell’intelligenza del mistero che fosti incaricato di esporre. Sotto la tua penna ispirata, esso diventa evidente; la sua armonia si rivela; e la fede si rallegra di percepire, così distintamente, l’oggetto al quale aderisce. Fortifica in noi questa fede, o Leone! Anche nei nostri giorni si bestemmia il Verbo incarnato; rivendica la sua gloria, mandandoci nuovi dottori. Tu hai trionfato della barbarie, o nobile Pontefice! Attila depose le armi di fronte a te. Ai nostri giorni, altri barbari si sono levati: barbari civilizzati, che vantano, quale ideale della società, quella che non è più cristiana, quella che nelle sue leggi e nelle sue istituzioni non confessa più re dell’umanità Gesù Cristo, al quale è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Vieni in nostro soccorso, poiché il male è arrivato al suo culmine. Molti sono i sedotti che vanno verso l’apostasia, senza rendersene conto. Ottieni che la luce da noi non si spenga totalmente, che lo scandalo finalmente si arresti. Attila non era che un pagano; gli utopisti moderni sono cristiani, o almeno, qualcuno vorrebbe esserlo [per non parlare dei modernisti – ndr.-]; abbi pietà di loro, e non permettere che restino più a lungo vittime delle loro illusioni. – In questi giorni di Pasqua, che ti ricordano l’opera del tuo ministero pastorale, quando, circondato dai neofiti, ne alimentavi la fede con discorsi immortali, prega per i fedeli che, in questa medesima solennità, sono risuscitati con Gesù Cristo. Essi hanno bisogno di conoscere sempre più il Salvatore delle anime, affinché possano seguirlo, per non più separarsene. Rivela loro tutto ciò che egli è, nella sua natura divina e nell’umana: come Dio, loro ultimo fine e giudice dopo questa vita; come uomo, loro fratello. Redentore e modello. O Leone! benedici, sostieni il tuo successore sulla cattedra di Pietro, e, in questi giorni, mostrati protettore della nostra Roma, di cui hai sostenuto, con tanta eloquenza, i santi eterni destini.

Preghiere per il Santo Padre [Gregorio XVIII]

-652-

Oremus prò Pontifice nostro (Gregorio).

R.. Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam inimicorum eius  [Ps. XL] (ex Brev. Rom.).

Pater, Ave…

Indulgentia trium annorum [tre anni]. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, precibus quotidie per integrum mensem devote recitatis (S. C. Indulg., 26 nov. 1876; S. Pæn. Ap., 12 oct. 1931).

-653-

Oratio

O Signore, noi siamo milioni di credenti, che ci prostriamo ai tuoi piedi e ti preghiamo che Tu salvi, protegga e conservi lungamente il Sommo Pontefice, padre della grande società delle anime e pure padre nostro. In questo giorno, come in tutti gli altri, anche per noi egli prega, offrendo a te con fervore santo l’Ostia d’amore e di pace. Ebbene, volgiti, o Signore, con occhio pietoso anche a noi, che quasi dimentichi di noi stessi preghiamo ora soprattutto per lui. Unisci le nostre orazioni con le sue e ricevile nel seno della tua infinita misericordia, come profumo soavissimo della carità viva ed efficace, onde i figliuoli sono nella Chiesa uniti al padre. Tutto ciò ch’egli ti chiede oggi, anche noi te lo chiediamo con lui. – Se egli piange o si rallegra o spera o si offre vittima di carità per il suo popolo, noi vogliamo essere con lui; desideriamo anzi che la voce delle anime nostre si confonda con la sua. Deh! per pietà fa’ Tu, o Signore, che neppure uno solo di noi sia lontano dalla sua mente e dal suo cuore nell’ora in cui egli prega e offre a te il Sacrificio del tuo benedetto Figliuolo. E nel momento in cui il nostro veneratissimo Pontefice, tenendo tra le sue mani il Corpo stesso di Gesù Cristo, dirà al popolo sul Calice di benedizioni queste parole: « La pace del Signore sia sempre con voi», Tu fa’, o Signore, che la pace tua dolcissima discenda con una efficacia nuova e visibile nel cuore nostro ed in tutte le nazioni. Amen.

Indulgentia quingentorum dierum semel in die (Leo XIII, Audientia 8 maii 1896; S. Pæn. Ap., 18 ian. 1934).

654

Oratio

Deus omnium fidelium pastor et rector, famulum tuum (Gregorium)., quem pastorem Ecclesiæ tuæ praeesse voluisti, propitius respice; da ei, quæsumus, verbo et exemplo, quibus præest, proficere; ut ad vitam, una cum grege sibi credito, perveniat sempiternam. Per Christum Dominum nostrum. Amen (ex Mìssali Rom.):

Indulgentia trìum annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo devota orationis recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

655

Oratio

Omnipotens sempiterne Deus, miserere famulo tuo Pontifici nostro (Gregorio)., et dirige eum secundum tuam clementiam in viam salutis aeternæ: ut, te donante, tibi placita cupiat et tota virtute perficiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen. (ex Rit. Rom.).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem oratio pia mente recitata fuerit (S. Pæn. Ap., 10 mart. 1935).

Tu sei Pietro e su questa roccia costruirò la mia Chiesa

(San Matteo XVI 18).

La Chiesa di Gesù Cristo, nella misura in cui è una società, un regno divinamente stabilito, deve avere un capo. Il suo Capo invisibile è Gesù Cristo stesso; il capo visibile è il nostro Santo Padre, il Papa.

Chi è il Papa? Il Papa è il successore di S. Pietro, il vicario di Gesù Cristo e il suo rappresentante sulla terra, il pilota della “barca” di San Pietro, il Capo visibile della Chiesa e padre comune di tutto i fedeli.

Diciamo che il Papa è il successore di San Pietro. Facendo dell’Apostolo San Pietro la roccia fondante, la pietra angolare della sua Chiesa, Gesù Cristo gli ha promesso successori fino alla fine dei tempi. Questa roccia inamovibile implica che Pietro sarà il capo perpetuo della Chiesa, che sarà sempre necessario sostenere e governare. Ma come potrà governare sempre la Chiesa, essendo mortale come il resto degli uomini? Come farà a governare ancora la dopo la sua morte? Mediante i suoi successori, chi saranno gli eredi del suo potere, dei suoi privilegi e anche del suo spirito apostolico. Pietro, come dicono i Padri, è sempre vivente, e vivrà sempre nella persona dei successori che Cristo gli ha promesso con queste parole: “Tu sei Pietro, e su questa roccia costruirò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”. La promessa del Salvatore è stata soddisfatta: Pietro, dopo aver riparato la sua sede pontificia a Roma, ha avuto Come successori tutti i vescovi o i Pontefici Romani che hanno occupato la sua sede nel corso dei secoli fino ai nostri giorni. – La storia ci svela questa successione incomparabile. È una catena d’oro tenuta per mano di Gesù Cristo. Il suo primo collegamento è Pietro, e ne vediamo gloriosamente regnante oggi il duecentocinquantanovesimo nella persona dell’augusto Leone XIII. Dopo di lui la catena continuerà ad allungarsi fino al raggiungimento del collegamento finale: vale a dire fino all’ultimo Papa, che concluderà il suo regno con la fine dei secoli. – Questa serie ininterrotta di successori di San Pietro ci presenta uomini che differivano nel nome, nel tempo, nel carattere; ma tutti hanno occupato la medesima Sede ed hanno tenuto nelle loro mani le stesse chiavi che sono state consegnate da Gesù Cristo all’Apostolo San Pietro. In altre parole, insegnando essi la stessa dottrina, ne hanno posseduto lo stesso potere e gli stessi privilegi; tanto che se il Principe degli Apostoli dovesse tornare di persona ad esercitare l’autorità pontificia, i suoi poteri e privilegi non differirebbero da quelli dell’augusto Leone XIII., il vero detentore della sua immortale eredità [oggi il Santo Padre Gregorio XVIII –ndr.-].

I Papi possono morire; il Papato non muore mai. né subisce cambiamenti.

 Ringraziamo Dio, fratelli miei, per aver fondato la sua Chiesa sulla roccia indistruttibile del Papato, e abbiamo sempre la più grande riverenza ed amore per il nostro Santo Padre, il Papa, il successore di San Pietro.

Fonte: “SHORT SERMONS FOR THE  Low Masses of Sunday.
COMPRISING IN FOUR SERIES.  “A Methodical Exposition of Christian Doctrine”, BY THE Rev. F. X. SCHOUPPE, S. J. Imprimatur 1884

SANTA GEMMA GALGANI

Santa GEMMA GALGANI

Triduo in onore di Santa Gemma per ottenere un favore speciale

Giorno 1

O Vergine compassionevole, Santa Gemma, durante la tua breve vita sulla terra, hai dato un bellissimo esempio di innocenza angelica e di amore serafico e sei stata ritenuta degna di portare nella tua carne i segni della Passione di Nostro Signore, abbi pietà di noi che siamo così tanto bisognosi della misericordia di Dio e ottienici per i tuoi meriti e la tua intercessione, il favore speciale che imploriamo con fervore.
Pater, Ave, Gloria …

V. Prega per noi, Santa Gemma.

R. Affinché siamo resi degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo
O Dio, che hai modellato la santa vergine Gemma, a somiglianza del tuo Figlio Crocifisso, concedici per sua intercessione, che come partecipi delle sofferenze di Cristo, possiamo meritare di diventare pure partecipi della Sua Gloria, Che con te vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, senza fine. Amen.

Giorno 2

O degna Sposa dell’Agnello di Dio, che si ciba tra i gigli, tu hai conservato l’innocenza e lo splendore della verginità, dando al mondo un luminoso esempio delle più esaltate virtù, abbi pietà dal tuo alto luogo nel cielo di noi chi confidiamo in te, ed implora per noi il favore che desideriamo tanto ardentemente.

Pater, Ave, Gloria …

V. Prega per noi, Santa Gemma.

R. Affinché Che possiamo essere resi degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo
O Dio, che hai modellato … (come sopra)

3 ° giorno

O amabile vergine, Santa Gemma, degna di ogni ammirazione, che durante la tua vita in questo mondo sei diventata agli occhi di Dio un gioiello prezioso, risplendente di ogni virtù, abbassati pietosamente su di noi chi ti invochiamo nella confidente speranza di ricevere questo favore attraverso la tua amorevole intercessione.
Pater, Ave, Gloria …

V. Prega per noi, Santa Gemma.

R. Affinché siamo resi degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo
O Dio, che hai modellato … (come sopra)

Canonizzazione di S. Gemma  dal S. P.  PIO XII

Triduo in onore di Santa Gemma: per i malati e gli infermi

Giorno 1

O vergine-vittima, Santa Gemma, la tua vita fu consumata nella dolce fiamma dell’amore per Dio e per il tuo prossimo, hai sofferto nel tuo fragile corpo e nel tuo cuore sensibile, pene e amari dolori. Abbi pietà di tutti coloro che si trovano nella croce della sofferenza corporale, di tutti quelli che si soffrono per i loro cari, nella malattia. Ottieni la grazia della guarigione per i nostri malati e trasforma il nostro dolore in gratitudine gioiosa verso te in cui riponiamo la nostra fiducia.
Pater, Ave, Gloria …

Giorno 2

O Santa Gemma tenera e generosa, il tuo cuore fu così profondamente commosso dalle miserie di questa vita mortale che il povero, l’ammalato ed il peccatore trovarono in te simpatia e generosità e confidarono nell’efficacia delle tue preghiere. Eleviamo gli occhi fiduciosi anche in mezzo alle prove, alle malattie, alle tentazioni della vita. Pregate per noi davanti al trono di Dio per tutti i nostri bisogni spirituali e temporali, specialmente per il ritorno alla salute di coloro che ci sono vicini e cari.
Pater, Ave, Gloria …

3 ° giorno

O eroica amante di Gesù Crocifisso, la tua vita è stata una prolungata penitenza, una preghiera perpetua e ardente, trascorsa ai piedi della Croce con la nostra Madre Addolorata. Ora in cielo, godendo del frutto della tua santa vita, ottieni misericordia e consolazione per l’umanità peccatrice e sofferente. Offri le tue penitenze e preghiere a Gesù e Maria affinché mandi conforto nel dolore, speranza nella disperazione, salute agli ammalati. Ricorda i nostri cari sui letti del dolore; intercedi per loro perché, riguadagnando la salute, possano servire il nostro amorevole Salvatore con rinnovato fervore e fedeltà.
Pater, Ave, Gloria …

Preghiera in ringraziamento per il favore ricevuto

O umile vergine, Santa Gemma, a quale potenza Dio ti ha esaltato! Tu sei invocata da coloro che soffrono dolori e pene in questa valle di lacrime. Miracoli e grazie si ottengono ogni giorno implorando il tuo nome, come abbiamo sperimentato. Sia benedetto il nostro Dio misericordioso per averti concesso un tale potere in nostro favore! Grati per la tua amorevole benignità, ci decidiamo ad imitare le tue virtù affinché, un giorno, ci uniamo a te in Paradiso e nell’inno eterno di ringraziamento.
Pater, Ave, Gloria …