IL PATIRE.
[G, Dalla Vecchia: Albe Primaverili; G. Galla ed. Vicenza. 1911 – impr.]
” Solvite templum hoc, et in tribus diebus excitabo illud. ,,
Disfate questo tempio, e in tre giorni lo rimetterò in piedi.
( Joan. V, 19)
ESORDIO. — Gesù, un dì, entrava nel tempio di Gerusalemme. Ma il luogo santo pareva una piazza di traffico, dove mercanti e banchieri facevano lauti guadagni.
— Acceso di santo zelo, lampeggiando dal volto raggi di maestà divina, con piccole cordicelle di giunco fa una frusta, caccia via i profanatori ed intima di rispettare la casa del Padre suo, casa di orazione. Cessato il primo stupore, i Giudei gli chiedono un segnale, una prova, che Egli aveva il potere di fare cose tanto straordinarie… E Gesù: Voi disfate questo tempio ed Io in tre giorni lo rimetterò in piedi. Solvite templum hoc, et in tribus diebus excitabo illud. I Giudei credono che Ei parli del loro tempio insigne, e ne fanno le meraviglie; ma Gesù alludeva alla sua passione e morte. Allora essi, coi flagelli, la croce, e la morte, avrebbero disfatto il suo corpo, tempio vivo della divinità, ma Egli in tre giorni lo avrebbe rimesso in piedi, risorgendo glorioso dalla tomba. Dunque il caro Salvatore, fino dai primi giorni della sua predicazione, accenna alla sua passione e morte. Questo è il suo tema favorito nei tre anni che lo dividono dal Calvario: sospira la grande ora dei suoi strazi; anela alla sua sposa, la Croce; insegna che il patire sarà l’eredità, il distintivo dei suoi amanti, ai quali però riserva una gloriosa risurrezione ed eterni trionfi. — Incomincio.
Parte prima.
Il programma di Gesù Cristo è ben diverso da quello del mondo. Sentitelo dal labbro del divino Maestro : « In verità vi dico, che piangerete e gemerete voi, il mondo poi godrà: voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cangerà in gaudio. » (Ioan. XVI, 20). È un programma, che spaventa e conforta, affligge ed innalza, nobilita, assicura gioie vere, intime, eterne… — Cerchiamo di penetrarne il segreto…
1° – Tutti i buoni sono provati dalle tribolazioni e dalle sventure: umiliati, derisi, nella povertà, nelle angoscie, esterne ed interne… La vita di Gesù, della Vergine, dei Santi, degli eletti, s’impernia sulla parola « patire » ; si avvinghia, come edera, all’albero sanguinante della Croce
— I cattivi godono, tripudiano negli onori, nell’abbondanza, … nei piaceri… Ma poi ai buoni un premio immortale, … ed anche qui, sulla terra, una felicità, che può comprendersi solo da chi soffre per amore di Dio. Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam, cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae (Iacob. I).
2° – A che serve il patire?
(a) A fare penitenza delle colpe commesse, e compierne il purgatorio durante la vita… Tutti abbiamo peccato; peccavimus et inique egimus, (Daniele III, 29) dunque col patire dobbiamo espiare i nostri falli… ut destruatur corpus peccati (Rom. VI, 6).
(b) Per esercizio di virtù. Nelle sofferenze il cristiano esercita la fede, la speranza, l’amore, la pazienza, impara a compatire chi soffre… Assomigli a Gesù, che ha patito per noi, qui passus est prò nobis, lasciando a noi l’esempio del modo di seguire i suoi passi; vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 2). — D’altra parte, la vera virtù si consolida e si perfeziona al fuoco lento della tribolazione; virtus in infìrmitate perficitur (II Cor. XII, 9).
(c) Per distaccarti da quell’oggetto, da quelle creature…, che troppo ami, e sono la causa dei tuoi falli. — Dio ti ama; quem enim diligit Deus, castigat (Hebr. XII, 6); si serve, per correggerti, delle stesse creature… e ti salva.
(d) Per distaccarti da te stesso… Nella prosperità si ama la vita… ; nel dì della sventura riesce dolce il morire; si prova il bisogno di avvicinarsi a Dio…, dal quale viene la vera felicità. – La religione t’insegna a trovare, nei dolori, fonti di meriti… Qui vult venire post me, abneget semetipsum, tollat crucem suam quotidie… (Luca IX, 23).
3° – Bisogna però patire per Gesù Cristo; e questo si può avere in quattro modi…
(a) Il primo modo è di essere perseguitati per la Fede.
— I martiri ci fanno coraggio coi loro eroici sacrifici, con la loro generosità nel sopportare i più atroci tormenti, piuttosto che rinnegare la dottrina del divino Maestro. —
Adesso i veri Cattolici sono l’oggetto di una persecuzione lenta, insidiosa, ma incessante e terribile… Non ci perdiamo di animo. Siamo figli di martiri; del loro sangue furono imporporate le belle contrade della nostra italica terra… – Lungi da noi il vile timore e gli umani riguardi; lungi le transazioni ed il venire a patti coi nemici della Chiesa e del Papa… Dobbiamo essere soldati di Gesù Cristo, tutti di un pezzo; forti, intrepidi, sottomessi alle direzioni del Pontefice e dei vescovi… Il trionfo è certo, che il trionfo sta nella lotta. — Nondum usque ad sanguinem restitistis adversus peccatum repugnantes. (Hebr. XII).
(b) Il secondo è patire per Gesù Cristo le angustie e le lotte, che si devono sostenere nel suo servizio. È una battaglia continua contro il demonio, il mondo, e la carne. — Militia est vita hominis super terram. (Iob. 7). — Per innalzare le mura della nostra Gerusalemme interiore, con una mano bisogna lavorare, con l’altra combattere.
— La virtù costa fatica e sacrificio… Ma ogni pena è un merito; ogni sforzo un premio, ogni passo è una vittoria; la ricompensa infinita, eterna…, Dio. — Existimo enim, quod non sunt condignæ passiones huius temporis ad futuram gloriam, quæ revelabilur in nobis. (Rom. VIII, 18).
(c) Il terzo modo di patire per Gesù Cristo è sopportare con pazienza le tribolazioni della vita… Tutti devono portare ogni giorno la loro croce… La ricevi: con sommessione; te la manda il buon Dio… ; con pazienza, in espiazione dei tuoi peccati… ; con rassegnazione, uniformandoti alle intenzioni divine… ; con riconoscenza ; la croce è un fuoco lento, che purga lo spirito, e rende bella la virtù… Beati quelli che piangono, perché saranno consolati (Matt. V, 5).
— Se ti sdegni, tu devi pure soffrire; ma il tuo dolore è senza merito, senza conforto, senza premio. Ti torna forse utile, vantaggioso?
— Riposiamo.
(d) Il vero cristiano è generoso col suo Signore, e per questo impone a se stesso delle mortificazioni esterne ed interne. Ecco il quarto modo di patire per Gesù Cristo. — Per seguire questo divino Maestro bisogna rinnegare se stessi, cioè i propri sensi, l’amor proprio, le proprie idee, gli affetti, la natura, il cuore… Gesù ne è l’inarrivabile modello. Egli volle essere sommerso in un oceano di strazi per farci coraggio in questa lotta così difficile. — Sii fedele alle astinenze ed ai digiuni della Chiesa… Non ti risparmiare, non usarti troppe delicatezze…, che i delicati e gl’imbelli non arrivano al regno dei cieli… – Pensiamo, che non siamo più di noi stessi, mentre siamo stati comperati a caro prezzo ; (I Cor. VI) non con l’oro e l’argento, ma col sangue prezioso dell’Agnello immacolato (I Petri 1, 18). Dunque diamo gloria al Signore mortificando il nostro corpo, perchè la vita di Gesù si manifesti anche nel nostro esteriore. Semper mortificationem Jesu in corpore circumferentes, ut et vita Jesu manifestetur in corporibus vestris. (2. Cor. IV., 10).
4° – Gesù poi ci assicura, che al dolore succederà la gioia, alla tristezza il gaudio… Nel momento del dolore, guarda questo divino Maestro, che sale il Calvario per acquistare a noi gli eterni gaudii; senza tenere conto delle umiliazioni, porta la croce, su cui si lascia crocifiggere. Muore su quel legno ferale… ; ma ora trionfa alla destra del Padre (confronta ad Hebreos XII, 2.).
– Dunque lo segui nella via del patire. Egli ti consolerà!
(a) sulla terra, nell’ orazione…, nella comunione…, con gioie interne… Sicut socii passionum estis, sic eritis et consolationis. (2 Cor. 1., 7). — Ti consolerà (b) nel cielo.
— Là troverai il riposo, la corona, la pace, Dio. — Sì, Dio; e in Lui il premio, la felicità, il trionfo. — Ibi fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia (S. Agost.).
— Non vi sgomentate: neppure una delle vostre lacrime andrà perduta; ma tutte, raccolte dalla mano amorosa del Padre che sta. nei cieli, si muteranno in gemme per la vostra eterna corona. Si tamen compatimur, ut et conglorificemur (Rom. V, 17).
Prendiamo dunque la nostra croce, che è la nostra grande e gloriosa eredità. — Scelgano pure i mondani i piaceri e le delizie terrene, che tante volte sono veleno di morte. — Noi invece prendiamo il calice di amarezza, di angoscia, che ogni dì ci porge il buon Dio… È il calice prediletto del nostro divino Maestro… Generosi, con Lui, vi appressiamo le labbra, gustandone con amore fino all’ultima stilla… È calice di salute e di vita; ed in esso troveremo l’amore di Dio, troveremo Dio… Ed in Lui un’ebbrezza di pace e soavità, che mai viene meno… Un altro giorno in quello stesso calice troveremo il liquore prezioso della gioia, dell’ immortalità… Allora il Signore c’inonderà della sua felicità… Ed innanzi a tanto gaudio, che cosa sono mai le piccole e momentanee tribolazioni della vita?
— Dio, Dio, esclamava il grande Agostino, tu sei la mia eredità, il mio calice: ora con la tua grazia, ed un altro giorno con la tua gloria, mi ripagherai ad esuberanza del poco che io posso soffrire per te. — Bibant alii mortiferas voluptates; pars calicis mei Dominus, et calix meus inebrians quam præclarus est! (In Ps. XV).