– 458 –
Fac nos innocuam, Ioseph, decurrere vitam,
Sitque tuo semper tuta patrocinio.
(ex Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum (300) dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocatione quotidie per integrum mensem pie recitata (S. C. Indulg., 18 mart. 1882; S. Pæn. Ap., 13 maii 1933).
HYMNI
– 463-
Te, Ioseph, celebrent agmina Cœlitum
Te cuncti rèsonent Christiadum chori,
Qui, clarus meritis, iunctus es inclytæ
Casto fœdere Virgini.
Almo cum tumidam germine coniugem
Admirans, dubio tangeris anxius,
Afflatu superi Flaminis, Angelus
Conceptum puerum docet.
Tu natum Dominum stringis, ad exteras
Aegypti profugum tu sequeris plagas;
Amissum Solymis quæris et invenis,
Miscens gaudia fletibus.
Post mortem reliquos sors pia consecrat,
Palmamque emeritos gloria suscipit:
Tu vivens, Superis par, frueris Deo,
Mira sorte beatior.
Nobis, summa Trias, parce precantibus,
Da Ioseph meritis sidera scandere:
Ut tandem liceat nos tibi perpetim
Gratum promere canticum. Amen.
(ex Brev. Rom.).
(Indulgentia trium (3) annorum. – Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana hymni recitatione in integrum mensem producta (S. Pæn. Ap., 9 febr. 1922 et 13 iul. 1932).
– 464 –
Salve, Ioseph, Custos pie
Sponse Virginis Mariae
Educator optime.
Tua prece salus data
Sit et culpa condonata
Peccatricis animae.
Per te cuncti liberemur
Omni poena quam meremur
Nostris prò criminibus.
Per te nobis impertita
Omnis gratia expetita
Sit, et salus animae.
Te precante vita functi
Simus Angelis coniuncti
In cadesti patria.
Sint et omnes tribulati
Te precante liberati
Cunctis ab angustiis.
Omnes populi laetentur,
Aegrotantes et sanentur,
Te rogante Dominum.
Ioseph, Fili David Regis,
Recordare Christi gregis
In die iudicii.
Salvatorem deprecare,
Ut nos velit liberare
Nostræ mortis tempore.
Tu nos vivos hic tuere
Inde mortuos gaudere
Fac cadesti gloria. Amen.
Indulgentia trium (3) annorum (S. Pæn. Ap., 28 apr.1934).
– 473 –
Virginum custos et Pater, sancte Ioseph, cuius
fideli custodiæ ipsa Innocentia, Christus Iesus,
et Virgo virginum Maria commissa fuit, te per
hoc utrumque carissimum pignus Iesum et Mariam
obsecro et obtestor, ut me ab omni immunditia
præservatum, mente incontaminata, puro
corde et casto corpore Iesu et Mariæ semper
facias castissime famulari. Amen.
(Indulgentia trium (3) annorum. Indulgentia septem (7) annorum singulis mensis marti: diebus necnon qualibet anni feria quarta. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem pia mente iterata (S. C. Indulg., 4 febr. 1877; S. Pæn. Ap., 18 maii 1936 et 10 mart. 1941)
-475-
Memento nostri, beate Ioseph, et tuæ orationis
suffragio apud tuum putativum Filium intercede;
sed et beatissimam Virginem Sponsam
tuam nobis propitiam redde, quæ Mater est
Eius, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et
regnat per infinita sæcula sæculorum. Amen.
(S. Bernardinus Senensis).
(Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oratio devote recitata fuerit (S. C. Indulg., 14 dec. 1889; S. Pæn. Ap., 13 iun.1936).
– 476 –
Ad te, beate Ioseph, in tribulatione nostra
confugimus, atque, implorato Sponsæ tuæ
sanctissimae auxilio, patrocinium quoque tuum fidenter
exposcimus. Per eam, quæsumus, quæ
te cum immaculata Virgine Dei Genitrice coniunxit,
caritatem, perque paternum, quo Puerum
Iesum amplexus es, amorem, supplices deprecamur,
ut ad hereditatem, quam Iesus Christus
acquisivit Sanguine suo, benignius respicias,
ac necessitatibus nostris tua virtute et ope
succurras. Tuere, o Custos providentissime divinæ
Familiæ, Iesu Christi sobolem electam;
prohibe a nobis, amantissime Pater, omnem errorum
ac corruptelarum luem; propitius nobis,
sospitator noster fortissime, in hoc cum potestate
tenebrarum certamine e cœlo adesto; et
sicut olim Puerum Iesum e summo eripuisti vitae
discrimine, ita nunc Ecclesiam sanctam Dei
ab hostilibus insidiis atque ab omni adversitate
defende: nosque singulos perpetuo tege patrocinio,
ut ad tui exemplar et ope tua suffulti, sancte
vivere, pie emori, sempìternamque in cœlis
beatitudinem assequi possimus. Amen.
(Indulgentia trium (3) annorum. Indulgentia septem (7) annorum per mensem octobrem, post recitationem sacratissimi Rosarii, necnon qualibet anni feria quarta. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta fueri: (Leo XIII Epist. Encycl. 15 aug. 1889; S. C. Indulg., 21 sept. 1889; S. Paen. Ap., 17 maii 1927, 13 dee. 1935 et 10 mart. 1941).
477
O Ioseph, virgo Pater Iesu, purissime Sponse
Virginis Mariæ, quotidie deprecare prò nobis
ipsum Iesum Filium Dei, ut, armis suae gratiæ
muniti, legitime certantes in vita, ab eodem coronemur
in morte.
(Indulgentia quingentorum (500) dierum (Pius X, Rescr. Manu Propr., 11 oct. 1906, exhib. 26 nov. 1906; S. Paen. Ap. 23 maii 1931).
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Nella festa di S. Giuseppe.
[G. Lardone: “Fra gli Astri della Santità Cattolica”, S.E.I. ed. Torino, 1928 – impr.]
Nei tramonti luminosi del nostro bel cielo italico si contempla a volte un fenomeno interessante. Mentre il sole declina lentamente a l’occaso e presenta in tutto il fulgore che le è proprio la sua enorme massa incandescente, è circondato attorno attorno da nuvole gigantesche, come disposte in un trionfo di gloria, le quali, dando riflessi di porpora e d’oro, sembrano risplendere di luce propria, per quanto non riflettano che la luce ricevuta dall’astro maggior dell’universo. Tale fenomeno singolare si ripete sempre nel cielo fulgido della cristiana santità. Stelle splendenti nel divin firmamento della Chiesa trionfante e della Chiesa militante i Santi danno una luce che non è terrena: a primo aspetto sembra una luce loro personale: in realtà non è che la luce loro inviata dal Santo dei Santi che è nostro Signor Gesù Cristo. E più essi si avvicinano all’Autore ed al centro della santità o per l’altezza della loro missione o per l’eroismo delle loro virtù, tanto più essi sono irradiati ed irradiano della luce che viene da Lui. – Orbene quale dei Santi, dopo la Vergine, e per l’altezza del ministero e per l’eccellenza della perfezione si è avvicinato di più al Sole divino di giustizia del glorioso San Giuseppe? Ecco perché noi lo contempliamo come un astro di prima grandezza nel cielo dell’eternità. Perché nessuno più di lui si tuffò nell’oceano di luce di Cristo, nessuno più di lui fu scelto all’onore di rifletterne, come in un’aureola incomparabile, i raggi sempiterni. Eleviamo lo sguardo a lui che la Provvidenza ha eletto a destini ineffabili e, rapiti alla contemplazione delle sue virtù perfette, delle sue grandezze ammirabili, dei suoi poteri trascendenti, lo troveremo perfettamente degno di riflettere la luce che gli viene da Gesù.
— « IPSI VIRTUS ».
Al glorioso S. Giuseppe, che gli Evangeli hanno lasciato in una discreta penombra fra tutti i personaggi della Redenzione, non può ascriversi alcuna di quelle qualità esteriori che gli uomini ammirano e che strappano gli applausi del mondo. La sua vita ordinaria, semplice, comune, intessuta di doveri e di opere in apparenza volgari, non ebbe per teatro che una povera officina di villaggio e per testimoni che gli occhi di una donna e di un fanciullo. Tuttavia le sacre carte hanno sintetizzato, con un motto unico, ma tanto comprensivo, la virtù eccelsa dell’umile fabbro di Nazareth: Joseph autem cum esset iustus (MATT., I, 19). È qui il titolo di sua nobiltà. La giustizia non ha altro principio né altra regola che la volontà divina: questa volontà che fissa i nostri doveri e determina tanto gli omaggi che dobbiamo al nostro Creatore, quanto l’amore ed i servizi che dobbiamo al nostro prossimo. D’onde segue che il fondamento ed il carattere essenziale della giustizia sono rappresentati dalla sottomissione alla volontà divina. Ora la santità di S. Giuseppe non ha altra origine che questa. La sudditanza a Dio non solamente egli la prova con la fedele osservanza delle leggi promulgate ai suoi padri per il magistero di Mose, ma ancora corrispondendo alla ispirazione celeste, abbracciando con amore il proprio stato, sottomettendosi agli avvenimenti più misteriosi e disparati ed assoggettandosi ai travagli più gravosi che Dio suscita sui suoi passi. È veramente il giusto per eccellenza. Tale è sempre il primo effetto della sottomissione alla volontà di Dio: il mantenersi nello stato in cui la Provvidenza ci ha posto. Come il Signore, sovrano ed arbitro dei nostri destini, istituendo la società ne ha fissato l’ordine e la pace sulla diversità delle condizioni e proporziona le sue grazie ai diversi uffici ai quali ci ha eletto, così è giusto, è necessario che l’uomo accetti volonterosamente la posizione voluta da Dio e cerchi di adempierne con fedeltà i doveri. – Tale fu San Giuseppe, il quale, oltre ad amare la propria oscurità, adempì con trasporto i doveri che la sua modesta condizione gli imponeva. E se ogni stato ha le sue responsabilità specifiche e le sue speciali difficoltà, tutti gli stati convengono sostanzialmente in un dovere comune, il lavoro: il lavoro imposto a tutti i figli di Adamo come retaggio della prima colpa, come mezzo di sostentamento, come strumento di elevazione. Ebbene lo stesso Evangelo ci ricorda che il buon Giuseppe traeva dal lavoro delle sue mani il cibo quotidiano e la tradizione ce lo richiama intento a formare gioghi per bovi e carri per agricoltori. Il suo mestiere oscuro lo metteva a contatto con i ceti più umili dei suoi conterranei e lo esponeva sovente al loro gratuito disprezzo. Difatti, allorché Gesù parlava alla Sinagoga di Nazareth, il popolo ascoltandone le parole nuove diceva: « Non è costui il figliuolo del fabbro? Non è fabbro egli stesso? Nonne Me est fabri filius? (MATT. XIII, 55). Nonne Me est faber filius Mariæ? (MARC, VI, 3). Oh! Perché tante volte pesano i doveri umili e rudi a quanti sono condannati a professioni che il mondo non stima? Perché molti sentono in fondo all’anima l’onta ed il peso del loro mestiere? Guardino costoro a S. Giuseppe, il Padre custode di Gesù, lo sposo eletto della Regina del Cielo. Guardino costoro a Gesù medesimo, il Re del cielo e della terra. Dal momento che l’uno e l’altro hanno maneggiato gli strumenti dell’artigiano il lavoro non dev’essere per nessuno un’umiliazione, ma un onore ed una gloria ambita. È naturale poi che la figura del buon Giuseppe si mantenga storicamente circoscritta alla povera casa di Nazareth e non partecipi punto a nessun episodio glorioso della vita terrena del Salvatore: la storia si direbbe che ricordi soltanto gli avvenimenti tristi perché meglio sia provata e più evidentemente rifulga la sua virtù. Il Salvatore era già nato a Betlemme; gli Angeli ne avevano cantato l’avvento nei cieli; i pastori, dopo averlo adorato alla grotta, avevano divulgato fra i vicini centri la venuta del Liberatore d’Israele; i Magi, guidati dall’astro misterioso, erano venuti d’oriente per offrire i loro omaggi al Figlio di Dio e deporre attorno alla sua culla i loro doni simbolici. Gerusalemme stessa sapeva oramai che il Messia annunciato dai profeti era nato. Ma Erode sospettoso e crudele, paventava che la nascita di quel fanciullo, accompagnata da tante meraviglie, rappresentasse un pericolo per il proprio potere: quindi non ascoltando che la propria gelosia, meditò il delitto di perderlo con la progettata strage degli innocenti. Fu allora che Dio parlò a S. Giuseppe per mezzo del suo Angelo: e il Padre custode di Gesù, ubbidiente alla voce del cielo, partì immediatamente con quel fanciullo la cui presenza sulla terra non causava a lui che avversità e dolori. Ma per seguire la voce dell’alto dovette tutto abbandonare, la patria, la famiglia, la stessa sua officina per avviarsi in esilio e rimanervi fino a che un nuovo ordine di Dio lo riportasse a Nazareth. In chi troveremo una sottomissione più pronta, una carità più viva, una più umile docilità alla voce della Provvidenza? E tutte queste virtù che brillano in lui con tanto splendore a che si devono attribuire se non alla unione assoluta con la volontà divina, e quindi a quella giustizia fondamentale che forma l’ornamento più prezioso del suo carattere? A buona ragione dunque noi lo chiamiamo il giusto per eccellenza, perché ci dice S. Pier Grisologo, possiede la perfezione di tutte quante le virtù: Joseph vocari iustum attendite, propter omnium virtutum perfectam possessionem (SAN PIER. GRIS. , serm. 50).
— « IPSI GLORIA ».
Quale fu la gloria con cui fu premiata l’eccellenza della virtù di S. Giuseppe? Lo possiamo dedurre dalle prerogative che la liberalità divina concentrò in lui e dalla missione cui venne dalla Provvidenza eletto, Iddio anzitutto concesse a lui la rivelazione dei suoi misteri. Il mistero dell’Incarnazione, nascosto nella mente dell’Altissimo, non era ancora uscito dal silenzio eterno. Maria SS., senza cessare di essere vergine, concepiva per opera dello Spirito Santo, il Figlio di Dio fatto Uomo. Ma questo avvenimento che doveva riempire il cuore della Vergine di una dolce emozione, fu per il cuore di Giuseppe il soggetto di una crudele perplessità. – La sua giustizia, la sua sottomissione ai divini voleri, gli faceva senza dubbio intravedere un miracolo: ma non poteva mettere fine totalmente alle sue apprensioni. Allora Iddio, per bandire le sue inquietudini gli inviò un Angelo che gli disse: « Non paventare di ritenere presso di te, Maria tua sposa: il frutto che Ella porta nelle viscere verginali è opera dell’Onnipotente ». Così per lui si compie il giorno che Abramo ha sospirato di vedere: le profezie si avverano ed il più grande mistero è svelato all’umile operaio nazareno. Perché quel Dio che nasconde i suoi segreti alle anime orgogliose, li rivela alle anime sottomesse: e rivelandoli a S. Giuseppe ricompensa con una gloria incomparabile la sua giustizia eccelsa. – Ma vi è di più: Iddio lo elevò ad un’altra grandezza associandolo, quale cooperatore, ai suoi disegni. Avendo decretato di salvare il mondo per mezzo dell’Incarnazione ha voluto celare questo mistero altissimo sotto il velo di un coniugio per nascondere il Figlio suo agli occhi del demonio, per confonderlo tra i figli di Adamo e sottometterlo a tutte le miserie della vita terrena. Però il disegno di dissimulare l’avvento del Verbo Incarnato nell’oscurità di una vita comune esigeva che si trovasse un uomo eccezionale a cui si potesse affidare; l’amministrazione degli interessi visibili del Figlio di Dio fatto uomo. Se Iddio voleva che Gesù nascesse da Maria, occorreva pure a questa Vergine benedetta uno sposo elettissimo che potesse essere il testimone della di Lei verginità, il protettore della di Lei innocenza, il garante del di Lei onore. Se Iddio voleva assoggettare Gesù a tutte le vicissitudini della nostra vita era necessario un uomo che al Verbo incarnato potesse tener le veci di padre e sapesse vegliare alla di Lui conservazione. Giuseppe fu appunto colui che Iddio giudicò degno di questi eminenti ministeri. Egli fu prescelto ad essere lo Sposo della Vergine. – Come potremo noi divinare la gloria di questa sublime prerogativa? Occorrerebbe penetrare in tutta la misteriosa profondità della maternità divina: comprendere gli eccezionali avvenimenti che, per opera dello Spirito Santo si compirono in Lei: sapere le vie ineffabili per cui il Verbo si è fatto carne per la redenzione degli uomini. Essere lo sposo di Maria, esclama San Giovanni Damasceno, vuol dire avere una dignità così eminente che la lingua umana non può assolutamente esprimere. Quando si è detto: San Giuseppe è lo sposo di Maria; non si può far altro che tacere ed adorare. Virum Mariæ: hoc est prorsus ineffabile et nihil præterea dici potest. – Eppure non è qui ancora la gloria più fulgida del nostro Santo. Egli fu altresì il Padre custode di Gesù: l’Eterno gli comunicò una partecipazione della paternità divina. Questo titolo che è proprio dell’Onnipotente, questo titolo che nessun Santo, nessun Angelo ha mai potuto possedere neppure per un istante, San Giuseppe l’ha portato. Nomine Patris neque Angelus neque Sanctus in cœlo, brevi licei spatio meruit appellari; hoc unus Joseph meruit nuncupari (S. BASILIO, Orat. 20). Quale dignità! Egli fu il padre del Figlio di Dio, non solamente per riputazione ma per l’autorità, per il potere di rappresentanza che Iddio gli elargì sul Verbo Incarnato, confidandogli realmente tutti i diritti che un padre ha per natura sulla propria prole. Quindi egli, padre vergine del Figlio di una Madre vergine, padre adottivo prescelto volontariamente con abbondanza di grazio provenienti dallo stesso suo Figlio, padre infine per la feconda verginità della sua sposa, si presenta, tra i protagonisti stessi dell’Incarnazione, come un agente necessario per lo svolgimento dei disegni divini accanto a Gesù ed a Maria, e brilla nell’empireo della santità di una gloria talmente eccelsa .che non ha sopra di sè che la gloria di Gesù e di Maria.
— « IPSI IMPERIUM ».
Non possiamo quindi dubitare che, eletto, per la sua virtù, a tanta gloria, S. Giuseppe eserciti un potere od un’autorità senza esempio: potere ed autorità che hanno avuto in lui il loro inizio primo durante la stessa sua vita terrena, e che egli ha esercitato sulla più straordinaria delle Vergini, Maria SS. e sul più eccezionale dei Figli, Gesù Cristo. Dal momento che il matrimonio suo con la Vergine fu vero e perfetto ne venne di conseguenza che esso conferì al giusto Giuseppe tutti i diritti che per legge di natura e per legge positiva-divina allo sposo si attribuiscono, ed impose alla Vergine tutti i doveri che una donna ha verso il compagno dei suoi giorni. Di qui in Giuseppe il potere di comandare e nella Vergine il dovere di ubbidire. Comando certo fatto di bontà riguardosa e di premurosa dolcezza quello del santo sposo di Nazareth: ciò non toglie che si esercitasse in forza di un vero potere e di una indiscutibile autorità, a cui la Vergine « alta più che creatura » sottostava con docilità pronta e con divozione perenne. 0 sublimitas ineffabilis, esclama qui Gersone, ut Mater Dei, Regina Cœli, domina mundi, appellare te dominum, non indignum putaverit. – Tale sublimità di potere si accresce ancora se noi la consideriamo in esercizio verso il Verbo Incarnato. Nell’Evangelo di San Luca che più di tutti illustrò i quadri dell’infanzia del Salvatore, noi troviamo una frase che involge un mistero per una parte di autorità e per l’altra di umiliazione profonda. Ritornata la Sacra Famiglia, dopo le cerimonie della prima Pasqua e lo smarrimento del dodicenne Infante nel Tempio, alla povera dimora nazaretana, Gesù se ne andò con loro et erat subditus illis (LUCA, II, 51). Il Re del Cielo e della terra, Colui il quale ventis et mari imperai et obœdiunt ei (LUCA, VIII, 25) si inchina docilmente all’operaio a cui ha conferito in antecedenza affectum, sollicitudinem ei auctoritatem patris (S. GIOVANNI DAMASCENO). Mai alcun re ottenne simile potere; mai alcuna creatura ha esercitato una sì eccezionale autorità: lo stesso S. Giuseppe anzi non si sarebbe adattato a tale altissimo ministero, se Iddio Padre di cui egli era il vero e legittimo rappresentante, non gliene avesse fatto un preciso dovere. – Forse che in cielo è venuta meno la sua autorità maritale e sono cessati i suoi diritti paterni? Tutt’altro: è in mezzo allo splendore dei Santi che egli svolge ancora il suo impero: il suo trono si eleva presso quello della Sposa Immacolata che Iddio gli ha prescelta, e la sua potenza di intercessione presso il cuore dell’Altissimo conserva sempre dell’autorità paterna. È principio teologico indiscusso, illustrato sapientemente dall’angelico, che quanto più i Santi nel cielo sono vicini a Dio, tanto più le loro orazioni sono efficaci: Quanto Sancii qui sunt in patria sunt Deo coniunctiores, tanto eorum orations sunt magis efficaces (2a , 2æ, quæst. 83, art. 11). – Ora chi più unito a Dio da vincoli di intimità, di familiarità del nostro San Giuseppe che anche in Cielo può chiamare suo Figlio lo stesso nostro Signor Gesù Cristo? All’infuori di lui e della Vergine, dice San Cipriano, non est in cælestibus agminibus qui Dominum Jesum audeat filium nominare (De Bapt. Ghrist.). Se chiama Gesù suo Figlio, non è più a stupire che la sua intercessione acquisti l’efficacia di un vero comando. Tale il pensiero di un pio dottore: Quanta vis in eo impetranti quia dum pater filium orai, imperium reputatur. Ha qui il suo naturale fondamento la fiducia che la Chiesa santa e tutti i fedeli cristiani hanno sempre riposto nel suo potente patrocinio: ma è qui ancora il premio più ambito per la santità perfettissima di cui fu adorno, il fastigio supremo ed il coronamento più bello di quella gloria che a lui si proietta da Gesù e che egli riflette in tanta copia e con tanta fulgida paradisiaca luminosità. – L’antico patriarca Giuseppe, figliuolo di Giacobbe, che del nostro era figura e promessa, essendo in tutto lo splendore della sua potenza faraonica, fece un sogno impressionante che le sacre carte ci hanno tramandato: vide mentalmente che il sole, la luna e le stelle erano intenti ad adorarlo. Quello che nella visione antica non era che il simbolo di un potere politico e la prova di una gloria transeunte, nel nostro San Giuseppe è invece una perfetta ed indubitata realtà. Attorno a lui noi troviamo il Sole di giustizia che è Gesù, la Luna candida ed Immacolata che è Maria, le stelle fulgidissime che rappresentano i Santi del Cielo, da S. Bernardo a San Francesco di Sales, da Santa Teresa alla Chantal. A ragione quindi la Chiesa ci invita considerare la di lui esaltazione e ci sprona ad onorarlo quale patrono universale, con un culto speciale di suprema dulia. Vi è un sapiente, vi è un re, un conquistatore che ottenga oggi omaggi così universali e lodi così entusiastiche? Dappertutto si elevano templi ed altari in suo onore: le arti vanno a gara nel fissare il suo nome e la sua immagine nella memoria degli uomini, e l’eloquenza deputa i suoi geni più celebrati per esaltarne la giustizia e le alte prerogative. Uniamoci dunque a questo coro di esaltazioni ed invochiamo dalla intercessione quasi onnipotente di San Giuseppe la grazia di avvicinarci in qualche modo alle sue virtù, affinché, ottenendo poi un qualche grado della sua gloria eccelsa, possiamo nel cielo testimoniare gli effetti del suo illimitato potere.