CAPITOLO VIII.
IL CALVARIO.
Situazione e descrizione del Calvario. — Parie del monte Moria, che ha tre cime.— Da che furono esse occupate. — La cima del Calvario fuori di Gerusalemme ai tempi di Gesù Cristo. — Il Calvario come è oggigiorno. — Passo di Monsignor Milsin. — Esso porta ancora i segni dei prodigi dì cui fu il teatro. — Citazione di Adricomio e di un viaggiatore protestante. — Etimologia della parola Calvario. — La testa di Adamo sotterrata sul Calvario. — Antica tradizione dell’Oriente.
Passata appena la porta giudiziaria, si era alle falde del Calvario propriamente dotto. Prima di porre il piè sul suolo di questo sacro colle, sul quale fra pochi istanti son per compiersi tanti e sì prodigiosi misteri, fra gli altri la morte del Figlio di Dio, e la conversione di Dima, ci sia dato di farne la descrizione; e per orizzontarci premettiamo alcune parole sulla situazione di Gerusalemme. Questa città è posta sopra una montagna, che ha la forma di una penisola, i cui accessi, scoscesi al nord, all’est, al sud, ed anche in parte all’ ovest, sono circoscritti dalle anguste e profonde valli di Giosafat, di Gihon, e di Gehenna. Questa montagna ha diverse sommità ineguali, ed il Calvario ne è la più celebre. Raccogliamoci per intendere ciò che ne dice un gran vescovo di Oriente, maestro illustre di anche più illustri discepoli, s. Giovanni Crisostomo, s. Basilio e santo Atanasio. « Il Calvario, dice Diodoro di Tarso, faceva parte del monte Moria, il quale dividevasi in più colline e monticelli. Nella parte orientale era il colle chiamato Sion, ove era la cittadella di David. A poca distanza era il campo di Ornan il Gebusso, che, comperato da David, fu poi occupato dal tempio di Salomone, siccome leggiamo nel libro secondo dei Paralipomeni. Un’altra parte del Moria, detta Calvario, è posta fuori delle mura della città. Ivi fu immolato Isacco, ed il Cristo figurato da Isacco. » [Apud Corn. a Lap., in Gen.XXII]. – Altri viaggiatori posteriori al vescovo di Tarso, e non meno esatti di lui, distinguono tre cime sul monte Moria; la prima Sion, cosi detta a motivo della sua elevazione; la seconda, Moria propriamente detta; la terza Calvario. In Sion era la città e la cittadella di Davide; sul Moria il tempio di Salomone; sul Calvario il luogo della crocifissione del Cristo. Ai nostri giorni un dotto prelato, Monsignor Mislin, ci fa conoscere più particolarmente il Calvario. « Al tempo di Nostro Signore quel monte era fuori della città e della porta giudiziaria: fu là che soffrì Nostro Signore, extra portam passus est. Attualmente il Calvario è dentro la cinta di Gerusalemme. Por le ricerche fatte sulla posizione e la circonferenza dell’antica città, si riconobbe che le mura d’allora non avevano la stessa direzione che hanno oggigiorno. Secondo l’antica circoscrizione, lo spazio ove ora sono il convento latino, e la più gran parte del Convento greco, e la Chiesa del S. Sepolcro, è al di fuori delle antiche mura, delle quali rimangono ruderi visibilissimi presso la Porta Giudiziaria. Questa parte dell’attuale città, nella quale al tempo di Nostro Signore v’erano dei giardini, come quello di Giuseppe di Arimatea, ed alcune case isolate, fu da Agrippa il vecchio cinta di un muro, che formava la terza cinta di Gerusalemme. Questo cambiamento avvenne un dieci anni dopo la morte del Salvatore. » – Non ostante questa superficiale modificazione, il Calvario conserva le prove della sua identità, e dei prodigi di cui fu teatro: come malgrado le rivoluzioni del Globo, la terra conserva nei fossili chiusi nel fondo delle sue viscere, la prova palpabile del racconto Mosaico. Citeremo solo la rupe che si spezzò alla morte di Nostro Signore, e che tuttavia si vede. Il celebre Adricomio, che l’ebbe esaminata tre secoli fa, così la descrive. « Sul pietroso colle del Calvario è ancor manifesta la prova delle rupi che si spezzarono. Può vedersi ancora la rottura che alla morte di Nostro Signore ebbe luogo alla sinistra della sua croce, e perpendicolarmente sotto la croce del cattivo ladrone. Essa tuttora conserva le tracce del sangue del Signore, e tale è la larghezza della fessura, che può agevolmente passarvi un corpo umano, ed è sì profonda che indarno i curiosi tentarono di misurarla. Si direbbe che essa va fino giù agli abissi, e che, siccome al buon ladrone posto alla destra fu aperta la via del Cielo dalla morte del Redentore; così per lo squarciamento di quella rupe fu dischiusa al ladrone crocifisso a sinistra, come già al ribelle Core, la via dell’inferno. » – Ascoltiamo ora un moderno viaggiatore protestante. « Un gentiluomo inglese, uomo stimabilissimo che aveva percorsa la Palestina, mi assicurava che il suo compagno di viaggio, deista pieno di spirito, cercava cammin facendo di ridere e farsi beffe dei racconti, che su quei luoghi santi lor facevano i preti cattolici. Con tali disposizioni andò colui a visitare le grandi fessure della rupe, che sul monte Calvario si mostrano come effetto del terremoto avvenuto al momento della morte di Gesù Cristo, e che oggigiorno si osservano nell’ampio Santuario ivi eretto dall’imperatore Costantino. Ma quando egli venne ad esaminare quelle fessure coll’attenzione e l’intelligenza di un naturalista, si volse all’amico e disse: Comincio ad esser cristiano. Io ho fatto, proseguì egli, un lungo studio della Fisica e della Matematica, ed ho per fermo che siffatte rotture della rupe non poterono giammai esser prodotte da un ordinario e naturaleterremoto. Una simile scossa avrebbe in verità separato l’uno dall’altro i vari strati di che la rupe è composta; ma ciò sarebbe avvenuto nella direzione delle vene che la distinguono, e rompendo questa loro commessura nei punti più deboli. Io ho bene osservato che così è sempre avvenuto negli scogli che i terremoti han sollevato, e la ragione ci insegna che dove a avvenire così. Lo scoglio è rotto traversalmente, e di una guisa strana e soprannaturale la rottura attraversa le vene. Io vedo dunque chiaramente, evidentemente dimostrato ciò essere puro effetto di un miracolo, che né la natura né l’arte potevano produrre. Ed è perciò che io rendo grazie a Dio, egli soggiunse, di avermi qui condotto per contemplare questo monumento della sua meravigliosa potenza, monumento che mette in una sì splendida luce la divinità di Gesù Cristo. [Addisson. Della religione cristiana, t. II; Luoghi Santi, t. II, c. xx, 50. e c. I, p. 95] – Come ho già detto, il Calvario è ora chiuso dentro le mura della città, e le falde di esso son coperte di case; mentre la sommità con le parti adiacenti è racchiusa nella Chiesa del S. Sepolcro. Il luogo della esecuzione ci è noto. Prima di salirne alla cima seguendo i passi di Nostro Signore e dei suoi compagni di supplizio, fermiamoci un istante, poiché, fino al nome di questo colle, tutto in esso è mistero. Calvario, in Siro-Caldaico Golgotha, vuol dire Luogo del cranio. E d’onde potrà venire una sì strana denominazione? Per saperlo è d’uopo interrogare la tradizione dell’antico Oriente. « Essa viene, risponde, dall’essere stato il cranio di Adamo sepolto in cima di questo monte. Allorquando le acque del diluvio furono sul punto d’inondare la terra e di ridurre in polvere le ossa degli uomini, o di mescolarle con quelle degli animali, Noè raccolse le ossa di Adamo, e le collocò religiosamente nell’Arca. Dopo il diluvio, egli le divise tra i suoi figli. A Sem come a primogenito, diede il capo del padre del genere umano, e con esso la Giudea. Sia per ordine profetico di Noè, o per sua propria e personale ispirazione, Sem seppellì sul Golgota il capo del primo Adamo, affinché il sangue del Secondo desse la vita al mondo in quel luogo medesimo ove riposava quelli che gli aveva dato la morte. Per questo fatto la montagna prese il nome di Calvario, luogo del cranio. Per strana che paia a primo aspetto una siffatta tradizione, i più illustri Padri dell’Oriente e dell’ Occidente non esitarono punto a ritenerla per vera ed a farsene interpreti. Oltre l’autorità del dotto maestro di S. Efrem da noi citata, e quella di tanti altri che appresso citeremo, si appoggia essa sulle misteriose disposizioni della divina sapienza, e si trova d’accordo e coi sentimenti della natura, e con gli usi e costumi degli antichi patriarchi. « Tutti i popoli del mondo, dice il dotto Masio, ebbero sempre religiosa cura delle spoglie dei trapassati illustri. Egli è questo un sentimento innato nell’uomo. Quindi è che in nessun luogo le ossa e le ceneri dei morti furono trattate come cose profane e inanimate. Benché separate dall’anima, esse conservano un non so qual germe d’ immortalità, che lascia loro una specie di vita, aspettando di riprenderla intera, appena reintegrate nel loro stato primiero. » – Nell’ Egitto i morti erano l’oggetto di sollecitudini quasi superstiziose. Pei Romani nulla v’era di più sacro che la religione dei sepolcri; ond’è che abbiamo di essi tanti sontuosi monumenti per conservare le ceneri dei loro morti. Il medesimo è a dirsi degli altri popoli civilizzati. Che anzi, non abbiaci veduto anche i selvaggi del nuovo mondo, fuggire davanti ai loro conquistatori, e portare con sé le ossa dei loro padri? Ora perchè mai Noè, l’uomo giusto per eccellenza, non avrebbe fatto per Adamo ciò che tanti altri meno di lui religiosi così fedelmente praticarono verso meno illustri defunti? Non v’ha chi non conosca le pietose cure dei suoi discendenti per le ossa dei loro padri. Giacobbe morendo in Egitto raccomanda ai suoi figli di portare le sue spoglie nella Terra processa per seppellirvele; ed è fedelmente obbedito. Fuggendo dall’Egitto gli Israeliti si guardarono bene dal lasciarvi le ossa di Giuseppe: come un tesoro degno di riverenza e di amore, eglino le portarono seco loro, e le deposero a Sichem, nel campo acquistato da Giacobbe. Diciamolo di passaggio: guai al popolo che dimentica i suoi morti, che li rilega lungi da sé, e che pare avere in uggia la loro memoria! La pietà verso i defunti, la sollecitudine per la loro sepoltura, la visita delle loro tombe, il desiderio di riposare presso a coloro che ci furono congiunti per i legami di sangue e di amicizia, sono sentimenti così sacri, che non possono essere dimenticati senza dare di sè l’idea più trista e più allarmante. – La ingratitudine non fu mai indizio di un cuor buono; ed un cattivo cuore è capace di ogni male, incapace di ogni bene.
CAPITOLO IX.
IL CALVARIO.
(Continuazione)
Prove di questa tradizione: testimonianze di Tertulliano, di Origene, di s. Basilio, di s. Giovanni Crisostumo, di s. Agostino e di molti altri. — Spiegazione di alcuni passi di s. Girolamo. — Perpetuità di questa tradizione nella testa di morto collocata ai piedi del Crocifìsso. — Il Calvario luogo del sacrificio di Isacco: prove.
Ai sentimenti di natura in favore della tradizione che abbiamo riferita, si unisce la più esplicita testimonianza dei Padri della Chiesa. Sono essi in sì gran numero, che dobbiamo limitarci a citarne alcuni. Nei primi tempi del Cristianesimo, troviamo Tertulliano, il grande apologista, che dice: « Golgota è il luogo del cranio, e perciò dai padri nostri fu chiamato Calvaria. Ci fu dato conoscere che là il primo uomo fu seppellito. Là il Cristo è immolato; quel terreno beve il sangue espiatore, affinché la cenere del vecchio Adamo, mescolata al sangue del Cristo, sia purificata dall’acqua, che scorre dal suo costato » [Adv. Marcian., lib. II, c. iv, p. 1060, edit. Pamel. In fol. 1583. – Quest’ opera appena conosciuta, prova che Tertulliano fu egualmente buon poeta, che grande oratore. Vergogna all’educazione che ci lascia senza conoscere i tesori della letteratura cristiana, e che obbliga la gioventù a dissetarsi alle avvelenate sorgenti del paganesimo]. – La tradizione, che fin dal secondo secolo era popolare nell’Occidente, non era meno divulgata nell’Oriente. Contemporaneo di Tertulliano, Origene lo prova in questi termini. « Si è detto che il Calvario non ebbe una causale destinazione, ma che fu specialmente predestinato ad essere il luogo ove doveva morir Colui, che doveva morire per tutti gli uomini. Una tradizione giunta fino a noi, mi fa sapere che il corpo di Adamo, padre del genere umano, fu là sepolto ove il Cristo fu crocifisso. Ciò avvenne perché, come tutti si ebbero la morte in Adamo, tutti si avessero in Gesù Cristo la vita; e perché nel luogo chiamato Calvario, cioè luogo del cranio, il capo dell’umano genere trovasse la risurrezione con tutta la sua posterità, in virtù della risurrezione del Salvatore, che in quel luogo medesimo patì e resuscitò » – Il gran Vescovo di Cesarea, s. Basilio, non è un men solido anello della catena tradizionale. « Una tradizione, egli dice, conservasi nella Chiesa, la quale ci fa conoscere che il primo abitatore della Giudea fu Adamo. Ei vi si venne a stabilire fin dal momento che fu cacciato dal paradiso terrestre, per addolcire in qualche modo il dolore, che gli cagionava la perdita dei beni dei quali era stato spogliato. Quindi è che la Giudea fu la prima a ricevere le spoglie di un morto, quando Adamo ebbe subito la pena del suo peccato. Per i suoi figli la vista di un cranio scarno fu un nuovo e strano spettacolo, e chiamarono perciò Calvario, luogo del cranio, il sito ove il deposero. Egli è verisimile che Noè non ignorasse dov’era la tomba del primo uomo, di modo che dopo il diluvio, e per la bocca stessa di Noè una tal tradizione si divulgò dappertutto. – Or ecco perché Nostro Signore, volendo dar morte alla morte nella sua stessa sorgente, soffrì la morte sul Calvario; acciocché sul luogo stesso, ove era cominciata la morte del genere umano, avesse il suo principio la vita, e la morte vittoriosa in Adamo fosse vinta dalla morte del Redentore.. S. Epifanio nato nella Palestina e conoscentissimo della tradizione della sua patria, si esprime così: « Noi abbiamo inteso che Nostro Signore Gesù Cristo fu crocifisso sul Calvario, e precisamente sul luogo ove Adamo era stato sepolto ».. [Hæres XIV, n. 25] – S. Atanasio: « Gesù Cristo volle essere crocifisso sul Calvario, che giusta l’opinione di più dotti fra i Giudei, è il sepolcro di Adamo. » [Tract. de Pass. Dom.] – S. Ambrogio: « Il luogo ove fu piantata la croce del Signore, corrisponde perfettamente al sepolcro di Adamo, secondo che gli Ebrei ci assicurano. » [In Luc., XXIII] – S. Giovanni Crisostomo ritiene la medesima tradizione, ed in poche parole dice quello stesso, che dissero s. Basilio e gli altri padri dell’Oriente, e dell’Occidente. – S. Agostino è anche più esplicito. « Udite, egli dice, un’altro mistero. Il beato prete Girolamo ha scritto, d’aver risaputo dagli antichi del popolo Ebreo che Isacco fu immolato nel luogo stesso ove di poi Nostro Signore fu crocifìsso La tradizione degli antichi ci fa ancora sapere che il primo uomo Adamo fu sepolto sul luogo medesimo ove fu piantata la croce del Salvatore. Da ciò venne a quel luogo il nome di Calvario, perché il capo del genere umano vi fu seppellito. E veramente, fratelli miei, non v ‘ha nulla di strano e d’irragionevole a credere, che il medico fosse posto là ove giaceva il malato; poiché conveniva, che là ove era caduto l’orgoglio umano, là pur discendesse la divina misericordia, e che il sangue prezioso sparso dalla gran Vittima, anche col suo corporale contatto, riscattasse la polvere dell’antico peccatore. 1 » [Serm, VI, De temp n. 5. Opp. t. V, p. alter., p. 2306, edit. Gaume. Id. De Civ. Dei, lib. XVI, c. XXXII]. – A tutte queste testimonianze noi potremmo aggiungere quelle di s. Cipriano, di Teofilatto, di Eutimio, del Rabbino Mosè Ber-cepha, di s. Germano patriarca di Costantinopoli, di Anastasio il Sinaita, e quella pur di s. Girolamo. I secoli non han punto smentita questa bella tradizione. Nei tempi a noi più vicini, i due più dotti storici di terra santa, Àdricomio e Quaresmio ne costatano la perpetuità, e si fanno garanti della sua autenticità. «Si crede, dice quest’ultimo, che non fu per un semplice sentimento di pietà filiale, ma per un espresso ordine lasciato da Adamo alla sua posterità, che il suo corpo fosse sepolto nella terra di Giuda, e quindi riposto nell’Arca acciocché non fosse distrutto dalle acque dei diluvio. Tra i misteri che Iddio gli aveva rivelati, il padre del genere umano conosceva il più importante fra tutti gli altri. Egli sapeva che il Figlio di Dio, fatto suo redentore, si degnerebbe di morire a Gerusalemme sul Calvario. Nulla pertanto di più naturale che dai suoi figli abbia egli voluto esser sepolto nel luogo stesso ove il Cristo doveva morire; affinché partecipando al frutto della sua morte, ricuperasse la vita ove cattivo lo teneva la morte. – Si vorrà dunque riconoscere che una tradizione, la quale ha per sostegno i più antichi Padri della Chiesa, i più dotti autori moderni, ed inoltre le misteriose convenienze dell’ordine provvidenziale, è di una tale imponenza da sfidare tutti gli attacchi di chi voglia negarla. Ciò nondimeno, poiché i negatori potrebbero appoggiarsi all’autorità di s. Girolamo, la lealtà della storia esige, che da noi si discuta la testimonianza del santo anacoreta di Betlemme. Incominciamo da stabilire in questo esame il principio, che, contro un gran numero di altri non meno competenti, un solo testimonio in contrario prova nulla, segnatamente quando questo testimonio non è d’accordo con se stesso, e apertamente mostra di essere la vittima di uno sbaglio. Che quel gran santo ce lo perdoni, ma tal è egli riguardo al fatto del quale parliamo. Egli non è d’accordo con se stesso: si sta in dubbio. Nel suo cementarlo sull’Evangelio di s. Matteo, così scrive: Ho inteso dire che il monte Calvario sia il luogo della sepoltura di Adamo, e che esso fu così denominato, perché la testa del primo uomo vi fu deposta, lo che fa dire all’apostolo: Levati su tu che dormi; e risuscita da morte, e Cristo li illuminerà. Interpretazione lusinghiera per le orecchie del popolo, ma che non è punto vera. » – Più tardi interpetrando l’epistola agli Efesini, il sommo dottore si mostra molto meno assoluto. Avendo di bel nuovo rigettata la tradizione, aggiunge: « È dessa vera o falsa ? Lascio giudicarne al lettore. » – Finalmente altrove egli afferma ciò che prima ha negato, e poi dato come dubbioso. Niuno ignora che le due sante ed illustri matrone romane Paola ed Eustochio avevan ricevuta da s. Girolamo la conoscenza della Bibbia. Si può dunque liberamente affermare esser egli che parla nella seguente lettera, tanto più che così per la sostanza come per la forma, quell’epistola ben lunga sembra esser di lui anziché di quelle pie donne; le quali scrivendo alla loro amica Marcella per impegnarla a portarsi a raggiungerle in Palestina, le dicono: « La tradizione ci fa sapere, che qui a Gerusalemme, e precisamente sul Calvario, Adamo nostro primo padre, abitasse e poi fosse sepolto. Di là il nome di Calvario dato al luogo ove Nostro Signore fu crocifisso, perché vi era stato deposto il cranio del primo uomo; onde il secondo Adamo col suo sangue che scorreva dalla croce, cancellasse il peccato del primo Adamo, giacente sotto lo stesso altare del sacrificio, e fosse adempiuta quella parola dell’apostolo: Levati su tu che dormi, e risuscita da morte? e Cristo ti illuminerà. » Il santo dottore fu tratto in inganno. Per non ammettere la sepoltura di Adamo sul Calvario, s. Girolamo si fonda su questo passo di Giosuè: « Hebron aveva per l’avanti il nome di Cariath-Arbè: Adamo, il massimo tra gli Enacimi ivi è sepolto.» Ora il Santo Dottore scambiò il grande Adamo di cui si parla in quel passo, per Adqmo il padre del genere umano; questo dimostrano il Baronio e Cornelio a Lapide. Hebron fu occupato dal gigante Arbè e dai suoi discendenti, e di qui si ebbe il proprio nome di Cariath-Arbè, che suona città di Arbè. Ora Arbè fu il padre di Enac, ed Enac il padre dei giganti. Arbè fu fra tutti il più grande sia per ragione di sua paternità, sia per ragione di sua statura, e perciò gli fu dato il soprannome di Adamo. Tale è il senso del testo di Giosuè, ed eccone la prova: 1.° Nella valle di Hebron primamente chiamata Cartalh-Arbè, viveano i giganti, la cui sola vista spaventò gli esploratori mandati da Giosuè. « Vi abbiamo veduto certi mostri di figliuoli di Enac, di razza di giganti, paragonati ai quali noi parevamo locuste. » [Num ., XIII, 34]. – 2.° Lo storico Giuseppe narra che a suo tempo ancora era cosa ordinaria il vedere delle ossa di giganti, che erano state sepolte in Hebron di così smisurata grandezza, da parere affatto incredibile, a chi non le abbia vedute coi suoi propri occhi. [Antiq. Jud., lib. V, c. 11]. 3.° Non è possibile ammettere che tutti i Padri della Chiesa abbiano ignorato il testo di Giosuè, e contro il testo scritturale, posto il sepolcro di Adamo sul Calvario, anziché in Hebron. Quindi è che l’Adamo sepolto in Hebron è tutt’altro che il Padre del genere umano. – 4.° Quello che poi pienamente ne convince, si è il testo medesimo di Giosuè. L’Adamo di Hebron vi è chiamato il massimo Adamo, Adam maximus. Ora appellare così il nostro primo Padre, è una locuzione insolita nella Santa Scrittura. Quindi è ben chiaro che la sentenza di s. Girolamo non toglie fede per nulla alla testimonianza unanime dei Padri. – La tradizione della sepoltura di Adamo sul Calvario può dirsi continuata anche oggigiorno in un fatto a tutti visibile, del quale molti ignorano la ragione. Intendiamo parlare del teschio di morto dipinto e scolpito a piè dei Crocifissi. Quel teschio rappresenta il capo di Adamo. Il primo ed il secondo Adamo ravvicinati l’uno all’altro, il peccatore ai piedi dell’Espiatore; la morte pena del peccato, vinta dalla morte del Giusto; il genere umano caduto in Adamo, rialzato in Nostro Signore. Qual libro può darsi più di questo eloquente e completo? – Al Calvario si riferisce un’altra non meno bella che certa tradizione. Noi dobbiamo conoscerla per ascendere la misteriosa collina al seguito di Nostro Signore e dei suoi compagni di morte, col corteggio di tutte le memorie che essa richiama alla mente. Sul Calvario ebbe luogo il sacrificio di Abramo. Certa ne è la tradizione, ed ha per base la Scrittura ed i Padri. « Prendi, disse il Signore ad Abramo, il tuo figliuolo unigenito, il diletto Isacco, e va nella terra di visione; ed ivi lo offrirai in olocausto sopra uno dei monti il quale ti indicherò. [Gen., XXII.] » La terra di visione, in ebreo la terra di Moria, è la terra ov’è il monte Moria. Ora, l’abbiam già notato, una delle cime del Moria è il Calvario. Aggiungiamo che il sito della montagna concorda col nome. Allorché Abramo ebbe il comando di immolare suo figlio, abitava il paese di Gerara. Di là al monte Moria vi sono tre piccole giornate di cammino, e la Scrittura dice, che appunto al terzo giorno Abramo scoprì coll’occhio la montagna del sacrificio. 3 S. Girolamo stesso afferma che nulla è più certo di una tal tradizione. La quale non solo è sicura, ma è bella, di quella bellezza incantevole, che risplende nelle opere della divina sapienza. Per comando di suo padre, Isacco salì la montagna eternamente misteriosa portando sulle sue spalle le legna del suo olocausto. Per volere del suo Padre celeste, Nostro Signore Gesù Cristo la salì Egli ancora carico del legno della sua croce. Col suo sacrificio figurativo il figlio di Abramo, quindici secoli prima, segnalava il luogo benedetto, ove il Figliuolo di Dio esser doveva immolato in realtà. In premio di loro obbedienza, Abramo ed Isacco ebbero su quella montagna le più magnifiche promesse. Per prezzo della sua morte, Nostro Signore Gesù Cristo ricevé sul Calvario l’eredità di tutte le nazioni. In quale storia profana si troveranno mai somiglianti armonie?