IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (8).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo. (3)

6. LA VITA DI CRISTO

III La Passione.

III. LA PASSIONE DI CRISTO.

La domenica precedente la Pasqua, Gesù Cristo fece il suo ingresso solenne a Gerusalemme, e passò i giorni ad insegnare nel tempio.

Prima della sua passione, Cristo apparve ancora una volta nella sua gloria per mostrare che stava morendo liberamente. – Liturgia: Le funzioni della Domenica delle Palme respirano gioia e dolore: gioia per il trionfo di Gesù, dolore per la sua imminente passione. In memoria di questo trionfo, la Chiesa ha istituito la benedizione dei rami e la processione con i rami benedetti. Nella Messa solenne, la Passione secondo S. Matteo viene recitata all’altare dal Sacerdote e cantata dal coro. In questo modo la Chiesa ci ricorda che il trionfo del cielo può essere raggiunto solo attraverso la sofferenza. I rami benedetti vengono fissati nelle campagne o alle porte per chiedere a Dio la fertilità dei campi e il successo delle nostre imprese. Questi atti di devozione hanno la loro ragion d’essere nelle preghiere di benedizione della Domenica delle Palme, quando il sacerdote chiede a Dio di proteggere dal diavolo e da ogni tipo di disgrazia.

La settimana dopo la Domenica delle Palme è chiamata Settimana Santa, o Settimana di Passione.

La sera del Giovedì Santo, Gesù Cristo mangiò l’agnello pasquale con i suoi discepoli, istituì l’Eucaristia, e poi si recò nell’Orto degli Ulivi, dove iniziò la sua agonia.

Prima dell’istituzione dell’Eucaristia, Gesù Cristo lavò i piedi ai suoi Apostoli, per insegnarci l’amore per la bassezza e l’umiltà. Nell’Orto degli Ulivi, ci ha insegnato l’umiltà nella preghiera, l’abbandono alla volontà di Dio e la mitezza verso i nostri persecutori; ha preso su di sé la nostra tristezza per darci la sua gioia. (S. Ambr.) Vedo, diceva S. Bernardo, che il più grande eroe rabbrividisce per la paura, che la gallina soffre per amore dei suoi pulcini: i tuoi brividi, Signore, dovrebbero rafforzarci e la tua angoscia darci gioia. – Liturgia. In molte regioni, la campana dell’agonia viene suonata ogni giovedì sera per pregare in questa occasione. – Le cerimonie del Giovedì Santo sono le seguenti: Il Papa lava i piedi a 12 sacerdoti, 2 Vescovi e alcuni monarchi cattolici, a volte anche Sacerdoti, lavano i piedi a 12 anziani. Durante la Messa solenne vengono suonate tutte le campane a gloria, e il popolo e il clero ricevono la comunione solennemente, in ricordo dell’istituzione del Santissimo Sacramento. Tuttavia, la Chiesa non si lascia prendere dalla gioia, perché subito dopo la Messa il Santissimo Sacramento viene portato su un altare laterale o in una cappella per simboleggiare la partenza di Gesù verso il Monte degli Ulivi. La spogliazione degli altari e il silenzio delle campane sono un segno di lutto. in cui la Chiesa è impegnata a causa dell’agonia di Gesù Cristo. Nelle cattedrali, il Vescovo consacra gli Oli Santi. I teologi sostengono che Gesù Cristo abbia istituito altri sacramenti durante l’Ultima Cena. – Nella Chiesa primitiva, il Giovedì Santo era anche il giorno della riconciliazione dei penitenti pubblici.

Nell’Orto degli Ulivi, Gesù fu fatto prigioniero dai soldati, poi fu portato dai sommi sacerdoti che lo condannarono a morte

Liturgia. Nelle serate di mercoledì, giovedì e venerdì della Settimana Santa è cantato l’ufficio delle tenebre (il mattutino). Davanti all’altare si trova un triangolo con 15 candele, che rappresentano i discepoli e N. S. Dopo ogni serie di salmi e di lamentazioni si spegne una candela per rappresentare la fuga dei discepoli. La candela centrale di cera bianca viene portata dietro l’altare alla fine della funzione, e viene riportata indietro accompagnata dal suono dei sonagli. Questo vuole rappresentare la morte e resurrezione di Cristo, con le scosse subite dalla natura in questa occasione. – Il venerdì mattina presto i Giudei portarono Gesù da Ponzio Pilato, il procuratore romano, per far approvare la condanna a morte. I Giudei non avevano il diritto di eseguire le esecuzioni capitali; avevano bisogno dell’approvazione del governo romano. (S. Giovanni XVIII, 31). Ma Ponzio Pilato non trovò Cristo colpevole e tentò vari mezzi per salvarlo: lo mandò da Erode, diede ai Giudei la possibilità di scegliere tra lui e Barabba, e lo presentò loro orribilmente sfigurato dalla flagellazione. (Ecce homo). Ponzio Pilato flagellò Cristo per placare l’ira dei Giudei e voleva mandarlo via libero, perché non lo riteneva colpevole. Gesù Cristo fu maltrattato dai soldati e coronato di spine.

Quando i Giudei minacciarono Ponzio Pilato di denunciarlo dell’imperatore, egli condannò Gesù al supplizio della croce.

La strada che porta dal Pretorio al Calvario è di circa 1.300 passi ed è ricordata come la Via Crucis, con le sue 14 stazioni. A mezzogiorno di venerdì, Gesù fu crocifisso sul Calvario, fuori Gerusalemme, e morì sulla croce alle 3 del pomeriggio. – Il supplizio della croce era a quel tempo la punizione più infame e dolorosa (Cicerone); vi erano condannati solo i peggiori criminali, come i briganti e gli assassini. La croce era allora ciò che oggi è la forca. La dottrina del crocifisso era uno scandalo per i Giudei e una follia per i Gentili (1 Cor. I, 23); ma la croce è diventata un segno d’onore, adorna le corone dei re e i petti degli uomini illustri. – Il primo peccato fu commesso ai piedi di un albero, è sull’albero della croce che è avvenuta la redenzione di ogni peccato (S. Athan.) La vita è venuta da dove era venuta la morte (Prefazio della Croce). Cristo non volle essere decapitato o mutilato, per dimostrare che non ci deve mai essere alcuno scisma nella Chiesa. Egli chinò il capo per baciarci, ha steso le sue braccia per abbracciarci, ha aperto il suo cuore per amarci. (S. Aug.). – Il cuore di Gesù è stato trafitto perché questa ferita ci mostrasse la ferita del suo amore. (S. Bernardo) Non sono stati i soldati, ma il suo immenso amore a legarlo alla croce.. Si dice che la croce si trovasse nel luogo in cui era stato sepolto Adamo, da cui le teste morte ai piedi dei crocifissi.

In quelle tre ore si verificò un’eclissi totale di sole su tutta la terra, sebbene al momento della luna piena questo fenomeno sia impossibile.

Il sole nascondeva i suoi raggi, incapace di sopportare l’obbrobrio del suo Creatore. (S. G. Cris.) Questo miracolo indicava anche che la luce del mondo era appena stata spenta. Questa eclissi è menzionata da autori pagani, tra cui Flegonte.

Quando Cristo morì, la terra tremò, le rocce si spaccarono, il velo del tempio si squarciò e molti dei morti risorgono per apparire a Gerusalemme.

Tutte le creature soffrono con Gesù; solo il peccatore non vuole soffrire, Questi miracoli fecero riconoscere a molti la divinità di Cristo; il centurione, ad esempio, gridò: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (S. Matth. XXVII, 54). Ancora oggi sul Calvario c’è una profonda fenditura tra il luogo dove si trovava la croce di Cristo e quella del cattivo ladrone.

Sulla croce, Gesù pronunciò 7 parole:

1. Padre, perdona loro. 2. Oggi sarai ancora con me in paradiso.3. Ecco tua madre 4. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 5. Ho sete. 6. Tutto è finito. 7. Padre, nelle tue mani affido la mia anima. Con il grido violento che Gesù ha emesso prima dell’ultimo respiro, ha mostrato che stava morendo liberamente; perché avrebbe avuto forze sufficienti per vivere ancora più a lungo. Per la stessa ragione che prima chinò il capo e solo dopo esalò il suo ultimo respiro. – La croce, dunque, non è solo lo strumento di tortura, ma il pulpito dell’insegnamento di Cristo (S. Aug.) dove predica l’amore per i nemici, la mitezza, la pazienza, l’obbedienza, la misericordia di Dio, la sua bontà, la sua giustizia, la sua onnipotenza, l’immortalità dell’anima, il giudizio particolare e la risurrezione dei morti. Liturgia. In molte chiese la campana viene suonata alle 3 del pomeriggio del venerdì per ricordare la morte di Gesù Cristo. È anche in memoria del sacrificio del corpo di Gesù che la Chiesa ci proibisce di mangiare carne il venerdì. Nelle cerimonie del Venerdì Santo la Chiesa esprime con forza i suoi sentimenti di lutto. Gli altari sono spogli, la lampada del santuario si spegne, le campane tacciono, il Sacerdote si prostra a faccia in giù sui gradini dell’altare. Il Sacerdote prega solennemente per tutti gli uomini, anche peri pagani ed i Giudei, perché in quel giorno Cristo si è offerto per tutta l’umanità. Il crocifisso viene sollevato e scoperto in ricordo dell’elevazione di Cristo Poi il Sacerdote depone il crocifisso a terra, bacia le ferite dei suoi piedi e il popolo si avvicina per venerare le ferite del Salvatore. Il Venerdì Santo non viene offerto il Santo Sacrificio. Si celebra un ufficio simile alla Messa con un’ostia consacrata il giorno precedente e consumata dal celebrante. (messa presantificata). Nelle chiese, il corpo di Gesù, un’ostia santa, è riservato nel Santo Sepolcro.

Il venerdì sera il corpo di Cristo è stato tolto dalla croce e posto in una tomba scavata nella roccia. Questa tomba apparteneva a Giuseppe d’Arimatea.

IL SABAT DI PASQUA, LA FESTA GUUDAUCA PIÙ GRANDE GESÙ FU DEPOSTO NELLA TOMBA.

Liturgia: il Sabato Santo, il fuoco tratto dalla pietra viene benedetto davanti alla porta della chiesa, esso viene poi utilizzato per accendere una candela triangolare e la lampada del santuario, Un’estremità del triangolo viene accesa all’ingresso della chiesa, l’altra al centro, e la terza davanti all’altare maggiore, per indicare che la Santissima Trinità è stata conosciuta solo successivamente dall’umanità. Segue la benedizione del cero pasquale. Con i suoi cinque grani di incenso, ricorda il Salvatore sepolto e risorto. Esso rimane acceso durante le funzioni solenni fino all’Ascensione. In origine, questa benedizione avveniva il Sabato Santo, e la Chiesa la usava per simboleggiare il trionfo di Cristo risorto, luce del mondo, sull’inferno, il potere delle tenebre. La benedizione del fonte battesimale ricorda il battesimo solenne dei catecumeni, che nella Chiesa primitiva avveniva il Sabato Santo; a quei tempi non si celebrava la Messa al mattino, quando i catecumeni venivano battezzati, Cristo doveva ancora riposare nel sepolcro, si cantava solo a mezzanotte. La funzione del sabato mattina funge ora da transizione tra il profondo lutto del Venerdì Santo e l’immensa gioia della Pasqua. La sera del Sabato Santo, molte chiese celebrano la solenne processione della resurrezione, in ricordo della resurrezione di Cristo e come simbolo della nostra stessa resurrezione.

IV. L’Esaltazione del Cristo

Cristo si è umiliato e si è fatto obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce. Se Cristo si è umiliato e si è fatto obbediente fino alla morte di croce, per questo Dio lo ha esaltato” (Fil. II, 8). Questa esaltazione non si riferisce che alla sua umanità, perché come Dio, Gesù Cristo godeva di una felicità infinita e non poteva essere esaltato. Non era l’Altissimo, ma solo l’umanità dell’Altissimo ad essere esaltata. (S. G. Cris.). – Immediatamente dopo la morte di Cristo, la sua anima vittoriosa discese nel luogo in cui si trovavano i giusti dell’Antico Testamento. (IV Concilio Lateranense). Questo luogo è chiamato inferi (limbo). Gli inferi sono un luogo diverso dal purgatorio; in entrambi, è vero, non si vede Dio, ma nel purgatorio le anime subiscono pene che non esistono negl’inferi; essi non vanno confusi nemmeno con l’inferno: anche lì si è privi della visione di Dio, ma si soffre comunque di tormenti eterni. Negli inferi, le anime non soffrivano di alcuna sofferenza (Cat. rom,) e non erano prive di un po’ di felicità, come vediamo nella parabola in cui il povero Lazzaro viene consolato (S. Luc. XVI, 25); poiché nel giudizio particolare era stata assicurata loro la felicità eterna. Tuttavia, non potevano ancora entrare nelle gioie eterne del cielo perché il paradiso non era ancora aperto (Eb. IX, 8). Perciò sospiravano continuamente verso il Salvatore. Il ricco malvagio chiamava gli inferi “seno di Abramo” (S. Luc. XVI, 22); essi portano anche il nome di prigione, cioè stato di prigionia, perché le anime erano impotenti a lasciarlo prima della morte di Cristo. (1 S. Pietro III, 19). Il Salvatore sulla croce chiamò questo luogo Paradiso (S. Luca. Luca. XXIII, 43), perché con il suo arrivo questa prigione si trasformò in un luogo di delizie. (Cat. rom ), In effetti, si può immaginare l’entusiasmo dei Patriarchi e dei Profeti (ib.). Dopo la morte del Cristo, gli inferi hanno cessato di esistere. – Tra gli altri abitanti dell’oltretomba, possiamo nominare i seguenti uomini giusti: Adamo ed Eva, Abele, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Davide, Isaia, Daniele, Giobbe, Tobia, Giuseppe, il padre adottivo di Cristo, e molti altri, compresi i contemporanei non credenti di Noè, che tuttavia si convertirono quando iniziò il diluvio (I. S. Pietro. III, 20).

Cristo ha visitato le anime del limbo per annunciare loro la loro redenzione e liberazione.

Cristo discese agli spiriti degl’inferi per annunciare loro che aveva portato al termine la redenzione (I. S. Piet. III, 19); l’anima di Cristo era unita alla sua divinità (S, Epif.). Il Signore rimase nel limbo fino al terzo giorno. (S. Iren.). Egli scese da solo, ma risalì circondato da una folla innumerevole. (S. Ign. Ant.) Cristo era come un re che si è impadronito di una fortezza dove il suo popolo era prigioniero. (S. Cipr.) Questa uscita dal limbo è un’immagine dell’ingresso trionfale di Cristo. con gli eletti in cielo dopo il Giudizio Universale. Cristo si è anche rivelato anche ai reprobi dell’inferno e li ha costretti ad adorarlo. (Fil. II, 10).

La mattina della domenica di Pasqua, prima dell’alba, Cristo è risorto gloriosamente dal sepolcro con la sua stessa forza.

Cristo aveva spesso predetto la sua risurrezione il terzo giorno (S. Luc. XVII, 33), aveva paragonato se stesso a Giona (S. Matth. XIT, 40) e aveva detto alla festa della purificazione (parlando del suo corpo) … e lo ricostruirò in tre giorni” (S. Giovanni II, 19). – Aveva anche detto che era in suo potere dare la vita e riprenderla (id. X, 18). Se dunque si dice (Rm. VI, 4; VIII, 11) che è risorto dal Padre, è perché Cristo è della stessa natura del Padre, e che Egli è della stessa natura del Padre. il Padre fa tutto ciò che fa Cristo. – La risurrezione di Cristo è un fatto indubitabile; “il merito del cristiano non consiste nel credere nella morte di Cristo, ma nella sua risurrezione dai morti.” (S. Amb.) I Giudei sostenevano che i discepoli di Gesù avessero trafugato il suo cadavere (S. Matth. XXVIII, 13), ma questi discepoli erano troppo timorosi per mettere in atto un simile inganno, e anche troppo onesti. Inoltre, è impossibile che nessuna delle guardie avesse sentito il rotolamento della pietra, e inoltre i testimoni che affermano di essere addormentati non contano (S. Aug.). È anche notevole che questi soldati non siano stati puniti per la loro negligenza. – Alcuni liberi pensatori sostengono che la morte di Gesù sia stata solo apparente , e che si sia ripreso dall’incoscienza il terzo giorno e abbia lasciato il sepolcro. Ma l’orribile tormento, la considerevole perdita di sangue durante la flagellazione e la crocifissione, erano di per sé sufficienti a dare la morte, senza contare la ferita nel costato, che era abbastanza grande perché Tommaso potesse metterci la mano. Anche mentre saliva sul Calvario, Gesù era già incapace di portare la croce; come avrebbe potuto, 36 ore dopo, liberarsi dalle pesanti bende (S. Giovanni XIX, 39), rotolare via la pietra e fuggire in fretta, con i piedi trafitti? Bisogna essere sciocchi per credere a queste supposizioni. Per di più, la morte di Cristo è stata ufficialmente confermata dal resoconto della relazione del centurione a Pilato (S. Marco XV, 45); anche i soldati, visitando il crocifisso, non gli avevano spezzato le gambe, perché lo vedevano morto (S. Giovanni XIX, 33). Il sangue e l’acqua (ib. 34) che uscirono dal cuore di Gesù, trafitto dalla lancia, sono una prova della sua morte. Inoltre, la Madre di Gesù e i suoi amici non lo avrebbero sepolto e non avrebbero chiuso il suo sepolcro con una grande pietra, se non avessero visto che fosse morto. La morte di Cristo è confermata da tutti gli evangelisti.

Il Salvatore risorto conservava nel suo corpo le cinque ferite; questo corpo era splendente, sottile, agile ed immortale.

Il Cristo risorto portava le 5 ferite, poiché ordinò all’incredulo Tommaso di di mettere le sue dita nelle ferite dei chiodi e la sua mano nella ferita del suo fianco (S. Giov. XX, 27). Egli conservava le ferite nel suo corpo, come segno del suo valore e di vittoria, l’ornamento più glorioso di un eroe; le conservò, inoltre, per convincerci che non ci avrebbe dimenticati in cielo, dal momento che ci teneva nelle sue mani con il suo sangue (S. Bern.), per presentare a suo Padre il prezzo della nostra redenzione, e così rinnovare permanentemente in cielo il sacrificio della croce. (Eb. VIII, 1-6). Gesù ha conservato la ferita nel suo fianco per mostrare quanto le le sue sofferenze ci abbiano dato accesso al suo cuore (S. Bem.).

Il Salvatore è risorto dai morti per dimostrare la sua divinità e la certezza della nostra stessa risurrezione (S. Bem.).

Cristo è diventato la primizia di coloro che dormono (I. Cor. XV, 20), ed è il nostro modello in tutto. (Deharbe). Come Cristo, nostro capo, è risorto, così risorgeremo tutti. (S. Iren.); prima ha risuscitato il proprio corpo, poi risusciterà anche le membra del suo corpo. (S. Athan.) La futura risurrezione era la più grande consolazione di Giobbe nella sua profonda miseria. (Giobbe XIX, 25). – Liturgia: In ricordo della risurrezione di Gesù, celebriamo la festa di Pasqua. Nell’Antico Testamento, la Pasqua era celebrata in ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. I Cristiani celebrano la Pasqua la 1° domenica dopo il plenilunio che segue l’equinozio di primavera; ciò fu deciso dal Concilio di Nicea (325). Tuttavia, se la Pasqua coincidesse con la Pasqua ebraica, avrebbe luogo 8 giorni dopo. La Pasqua è quindi una festa mobile e cade tra il 22 marzo e il 25 aprile. – A Pasqua, i pagani risorgevano spiritualmente attraverso il battesimo; Per questo motivo la benedizione del fonte battesimale è stata mantenuta per il Sabato Santo. I Cristiani devono risorgere spiritualmente attraverso la Confessione e la Comunione pasquale (Rm VI, 4), prescritte dal 3° e 4° precetto della Chiesa; perché per risorgere un giorno dalla tomba, bisogna prima risorgere dal sepolcro del peccato. (S. Amb.) Le uova di Pasqua sono un simbolo della risurrezione; come il pulcino esce dal guscio, così l’uovo di Pasqua è un simbolo della risurrezione. Come il pulcino esce dal guscio, così l’uomo uscirà dal sepolcro. In alcune regioni regioni, a Pasqua si benedicono il pane e la carne, ricordando l’agnello pasquale ed il pane azzimo mangiato dagli israeliti prima di lasciare l’Egitto. Intorno a Pasqua anche la natura sembra risorgere dai morti. – La Quaresima ci ricorda la vita mortale, piena di tribolazioni e tentazioni, mentre la Pasqua rappresenta la felicità che seguirà la morte e la resurrezione; per questo motivo utilizziamo il tempo che precede la Pasqua per il digiuno e la penitenza, e durante il periodo pasquale per cantare inni di gioia (S. Aug.), l’alleluja.

Il Salvatore risorto rimase sulla terra per 40 giorni e apparve spesso ai suoi Apostoli.

Cristo apparve senza dubbio a sua Madre (S. Amb.), poi agli Apostoli e a tutti gli altri, a Pietro (S. Luc. XXIV, 34); la domenica mattina apparve a Maria Maddalena sotto le sembianze di un giardiniere (S. Marco XVI, 9; S. Giovanni XX, 15), poi alle sante donne, dopo la loro partenza dal sepolcro (S. Matth. XXVIII, 9); la sera della domenica apparve a due discepoli che si recavano a Emmaus (S. Luca, XXIV) e subito dopo ai discepoli riuniti nel Cenacolo, davanti ai quali mangiò del pesce con una torta di miele e ai quali concesse il potere di perdonare i peccati. (S. Giovanni XX). La domenica successiva, apparve loro nello stesso luogo e rimproverò Tommaso per la sua incredulità (ibid.). Gesù riapparve a sette dei suoi discepoli sulle rive del lago di Gènézareth e diede a Pietro il primato sugli altri Apostoli e su tutti i fedeli, poi preannunciò a lui e a Giovanni il loro tipo di morte (ibid. XXI). La sua apparizione più solenne fu su un monte in Galilea, dove si mostrò agli 11 Apostoli e a più di 500 discepoli, comandando loro di insegnare e di battezzare tutte le nazioni. (8. Matth. XXVII, 12). Durante questi 40 giorni parlò spesso con i suoi discepoli del regno di Dio. (Act. Ap. I, 3). L’ultima apparizione fu quella dell’Ascensione. – Quindi Cristo è apparso solo in pieno giorno, non nelle tenebre della notte; non in un solo luogo, ma in molti; nel giardino del Calvario, nel Cenacolo, nel lago di Galilea, sul Monte degli Ulivi. Le sue apparizioni non durarono solo un momento, ma si prolungarono, perché Egli conversò a lungo con i suoi Apostoli Gli Apostoli verificarono attentamente la risurrezione,

all’inizio non credettero alle donne che erano tornate dal sepolcro e avevano raccontato loro la visione dell’Angelo e il colloquio con lui (S. Luc. XXIV, 11). Essi credettero che si trattasse di un’illusione quando Cristo apparve loro, e fu costretto a lasciarsi toccare le sue ferite, a lasciarsi palpare, a mangiare davanti a loro (ibid.). Tommaso non volle credere nemmeno agli altri Apostoli (S. Giovanni XX, 25). Tommaso serve a rafforzare la nostra fede più della fede degli altri Apostoli (S. Grég. Gr.). La risurrezione era la verità di cui gli Apostoli erano più fermamente convinti. È la verità che misero a capo della loro predicazione, a Pentecoste, davanti al Sinedrio, nel tempio dopo la guarigione del paralitico dalla nascita.

IL 40° GIORNO DOPO LA SUA RISURREZIONE CRISTO ASCESE DAL MONTE DEGLI ULIVI AL CIELO E ORA SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE.

Cristo ascese al cielo verso mezzogiorno; prima di farlo alzò le mani, benedisse i suoi Apostoli e ordinò loro di predicare il Vangelo a tutte le nazioni, promettendo loro la sua assistenza fino alla fine dei tempi (S. Matth. XXVIII, 18; S. Luc. XXV, 50). Dopo l’ascensione apparvero poi due Angeli per consolare gli Apostoli (Act. Ap. I, 9). I pellegrini venerano ancora le impronte di Gesù (S. Girol.). Ma oggi si vedono solo le vestigia del piede sinistro; quella di destra è stata asportata con le forbici dai turchi. Secondo la direzione di questi resti, Gesù Cristo si sarebbe girato verso l’Europa al momento dell’ascensione, come fece durante la crocifissione. Egli è salito in cielo, dove era iniziata la sua passione, per mostrarci che la via della sofferenza è anche quello del cielo. Egli salì al cielo non come Dio, ma come uomo, perché come Dio non lo aveva mai abbandonato. Egli salì con le sue forze, senza l’aiuto di nessuno, non su un carro come Elia (4 Re II, II), né sostenuto dagli Angeli come il profeta Abacuc (Dan. XIV, 36), ma la potenza della sua natura divina portò il suo corpo glorificato nei cieli (S. Cipr.). Gesù Cristo portò con sé le anime che aveva liberato dal limbo. (Ef. IV, 8). Da quel momento Gesù Cristo, nonostante le sue apparizioni a vari santi, non è più sceso corporalmente sulla terra, se non all’elevazione della santa Messa; è l’opinione comune di tutti i padri (Scaramelli). – Liturgia: Il 40° giorno dopo Pasqua, la Chiesa celebra la festa dell’Ascensione, che è preceduta dai tre giorni di Rogazioni con le loro processioni, nelle quali alcuni autori vedono un’imitazione del percorso compiuto da Gesù Cristo con i suoi discepoli da Gerusalemme al monte dell’Ascensione.

Il Cristo è salito al cielo per portare la sua umanità nella sua gloria, (Ef. IV, 10) per inviare il suo Spirito Santo (S. Giovanni XVI 7), per intercedere per noi presso il Padre (ibid. IV, 16). e di prepararci la via del cielo (ibid. XVI 2). Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini (I. Tim. II , 5) e nostro avvocato presso il Padre (I. S. Giovanni II, 1). “Perciò -dice San Bernardo – coloro che non osano rivolgersi al Padre, devono rivolgersi al Figlio che ci è stato dato come mediatore”. Cristo è spesso paragonato alla luce, è il vero sole degli spiriti, e così come il sole non perde nulla della sua forza quando si alza sopra l’orizzonte, ma raggiunge la sua massima potenza a mezzogiorno, così l’influenza di Cristo sugli uomini è aumentata lungi dal diminuire con la sua ascensione. (Wenninger).

Cristo è seduto alla destra di Dio, il che significa che come uomo, possiede in cielo il massimo grado di gloria e il massimo potere su tutte le creature.

Colui che vogliamo onorare in modo particolare è seduto alla sua destra. (III Rois II, 19). Le parole: Cristo è seduto alla destra di Dio, significano quindi che Cristo (nella sua umanità) ha il primo posto d’onore presso Dio; Egli è quindi esaltato al di sopra di tutti gli Angeli (Ef. I, 21). La mano destra del Padre non è altro che la felicità eterna; la sinistra, la sventura eterna destinata ai reprobi. (S. Aug.). Dio Padre, non essendo corporeo, non ha la mano destra, e designo gloria della divinità, che l’umanità del Figlio ha posseduto. (S. Giovanni Dam.) L’espressione: è seduto, significa che Gesù Cristo possiede l’autorità regale e giudiziaria. Anche i re sono sui loro troni quando esercitano il loro potere e ricevono l’omaggio dei loro sudditi. Anche i giudici pronunciano le loro sentenze seduti. (Anche il confessore; e Gesù Cristo dice di Sé che sarà seduto al Giudizio Universale). Così disse Gesù Cristo al momento della sua ascensione: “Mi è stato dato potere in cielo e in terra”. (S. Matth., XXVIII, 18). Per questo tutte le creature devono adorarlo. (Fil. II, 9-1.

IL DECIMO GIORNO DOPO LA SUA ASCENSIONE, GESÙ CRISTO MANDÒ LO SPIRITO SANTO AI SUOI APOSTOLI.

Lo Spirito Santo discese sugli apostoli una domenica alle ore 8 del mattino. (Act. Ap. II, 25). I fenomeni che accompagnarono la discesa dello Spirito Santo simboleggiano le operazioni dello Spirito Santo: il vento impetuoso significa il rafforzamento della volontà; il fuoco, l’illuminazione della mente; le lingue, il dono delle lingue dato agli Apostoli e la diffusione del Vangelo tra tutte le nazioni.

La Pentecoste è il giorno in cui è stata fondata la Chiesa, perché 3.000 fedeli sono entrati attraverso il Battesimo. Pentecoste, quando gli apostoli ricevettero il dono delle lingue, contrasta con la torre di Babele, dove le lingue erano confuse. – Liturgia. La Pentecoste si celebra il 50° giorno dopo la Pasqua. (Pentecoste deriva da una parola greca che significa 50). Nell’Antico Testamento, la Pasqua si celebrava il cinquantesimo giorno dopo l’uscita dall’Egitto, in ricordo della promulgazione della legge al Sinai e sul Monte Sion apparve un fuoco celeste e si sentì un rumore violento. La volontà di Dio si manifesta in entrambi i casi e ogni volta, il cinquantesimo giorno dopo la liberazione da una schiavitù corporea o spirituale). Nel sabato precedente la Pentecoste, il Battesimo veniva conferito solennemente in memoria dei tremila fedeli battezzati nel giorno di Pentecoste. Il fonte battesimale è ancora utilizzato in questo giorno. La veglia di Pentecoste è da sempre un giorno di rigoroso digiuno per prepararci alla venuta dello Spirito Santo. – La domenica successiva alla Pentecoste è la domenica della Trinità che riassume le tre grandi feste dell’anno, il Natale (quando il Padre ci ha dato suo Figlio), la Pasqua (quando il Figlio è risorto dai morti) e la Pentecoste (quando lo Spirito Santo è sceso dal cielo). A rigore, la Trinità dovrebbe essere la festa più grande ma la Chiesa vi ha rinunciato per dimostrare che non è in grado di approfondire questo mistero per celebrarlo degnamente. – Il giovedì successivo si celebra la festa del Corpus Domini con la sua processione molto solenne. Questa festa fu istituita da un Vescovo belga nel 1250, su richiesta di una suora che aveva ricevuto rivelazioni in merito. Nel 1264, il Papa la estese a tutta la Chiesa. Essa viene celebrata dopo la Pentecoste, perché gli Apostoli vi iniziarono a distribuire il corpo di Nostro Signore e perché il S. Sacramento deve consolarci per la partenza di Gesù Cristo nella sua ascensione.

Alla fine del mondo, Gesù Cristo tornerà per giudicare tutti gli uomini.

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

LA CHIESA ECLISSATA ED I SACRAMENTI (1)

La domanda più frequente che i presunti cattolici aderenti alle sette scismatiche ed eretiche del Novus ordo modernista o delle cappelline pseudotradizionaliste che usano falsi chierici con la mascherina della Messa antica, è proprio questa: come facciamo allora con i Sacramenti ed il Sacrificio della Messa che ci viene comandato come precetto delle domeniche e dei giorni festive? Questa domanda deriva ovviamente dalla ignoranza della dottrina cattolica e dall’indottrinamento dei falsi chierici che sotto la parvenza della scienza teologica, occultano i punti che potrebbero illuminare i loro fedeli e portarli a lasciare le sette che frequentano. La Chiesa ha previsto sia i tempi in cui potesse esprimersi liberamente a livello morale e liturgico, ed i tempi di “eclissi” in cui la Chiesa sarebbe stata relegata in spazi angusti, catacombe o sotterranei, come è successo tante volte nel passato quando è stata perseguitata dalla barbarie musulmana, degli eretici protestanti o degli sc0ismatici sedicenti ortodossi orientali. Gesù Cristo ha promesso la salvezza a tutti gli uomini, specie per i perseguitati a motivo della confessione del suo Nome e della sua dottrina. Cominciamo a mo’ d’esempio con l’Angelico dottore il quale ci faceva già partecipi di una verità consolante per i nostri tempi in cui la sinagoga di satana si è insediata dei sacri palazzi fingendo di essere la Chiesa di Cristo:

L’UNIONE CON IL SOMMO PONTEFICE (quello canonicamente eletto in un vero e valido Conclave con Cardinali nominati dalla “vera” ed unica Autorità Apostolica, cioè il vero Papa!), è “condicio sine qua non” per l’ETERNA SALVEZZA DELL’ANIMA.

“Chi aderisce ad un falso [o finto usurpante] Papa, diceva già S. Cipriano, è assolutamente fuori dalla Chiesa Cattolica – quindi sulla via della dannazione – come pure gli scismatici senza giurisdizione o missione con i loro settari, che sacrilegamente amministrano falsi sacramenti e false messe senza l’ “una cum Papa nostro …”, l’unico garante della fede, dei Sacramenti e delle azioni liturgiche, e senza il quale, tutto il resto risulta inutile, anzi sacrilegio degno di riprovazione e condanna eterna. Ma sentiamo come si esprime la Dottrina immutabile e perenne della Chiesa Cattolica, per bocca del suo massimo teologo, l’Angelo della scuola, San Tommaso d’Aquino:

(T. Pégues, O. P.: LA SOMMA TEOLOGICA di S. Tommaso D’Aquino In forma di Catechismo per tutti i fedeli; (trad. aut. A. Romani) – ROMA, Marietti, 1922 p. 452, Impr .,). Sull’importanza vitale dell’essere in unione con la Giurisdizione papale onde  ricevere la grazia soprannaturale:

D. Perché questo potere supremo nell’ordine della Giurisdizione appartiene al Sovrano Pontefice?
R. Perché la perfetta unità della Chiesa esige che questo potere supremo appartenga a lui solo. Per questo motivo Gesù Cristo ha incaricato Simon Pietro di nutrire il suo gregge; e il Romano Pontefice è l’unico e solo legittimo successore di San Pietro fino alla fine dei tempi (XL. 6).

D. È quindi dal Sovrano Pontefice che dipende l’unione di ogni uomo con Gesù Cristo attraverso i Sacramenti, e di conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua salvezza eterna?
R. ; poiché sebbene sia vero che la grazia di Gesù Cristo non dipende in modo assoluto dalla ricezione dei Sacramenti stessi quando è impossibile riceverli, almeno nel caso degli adulti e che l’azione dello Spirito Santo possa integrare questo difetto purché la persona non sia in malafede; è, d’altra parte, assolutamente certo che nessuno che si separi consapevolmente dalla comunione con il Sovrano Pontefice, possa partecipare alla grazia di Gesù Cristo, e che di conseguenza …

se muore in quello stato si perde irrimediabilmente “.

Questa sentenza la Chiesa l’ha ribadita costantemente in forma magisteriale a cominciare dalla Bolla di SS. Bonifacio VIII “Unam sanctam” e più recentemente nell’ultimo Concilio Ecumenico vaticano (1870) nella Costituzione dogmatica Pastor Æternus. Quindi, la salvezza nei casi di impossibilità nella ricezione di Sacramenti validi e leciti, amministrati da Sacerdoti con Giurisdizione e missione canonica, una cum il Santo Padre Vicario di Cristo, passa per altre vie secondo l’azione dello Spirito Santo santificatore. Tutto ciò che viene fatto fuori da questa regola dottrinale elementare è sacrilego, blasfemo e non apporta minimamente neppure un briciolo di grazia.

Altra bella e consolante – per gli “eclissati” – sentenza della Chiesa è la seguente data dal S.Officio nel 1949, alla vigilia cioè dell’istituzione dell’antichiesa col colpo di Stato nel Conclave del del 26 ottobre del 1958:

Alla CHIESA CATTOLICA appartiene colui che, lasciata qualsiasi setta eretica e scismatica, sia battezzato ed abbia esplicito desiderio di appartenervi, pur non potendolo materialmente. Riportiamo il testo originale in latino così da controllare possibili errori bella traduzione fatta in italiano. (i numeri posti in capo alle sentenze sono quelli del Denzinger.- S., XXXVI Ed.)

Lettera del Santo-Officio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.

[Ed: AmER 127 (1952, Oct.) 308ss.]

De necessitate Ecclesiæ ad salutem

[La necessità della Chiesa per le salvezza.]

3866 …. Inter ea autem, quæ semper Ecclesia prædicavit et prædicare numquam desinet illud quoque infallibile effatum continetur, quo edocemur « extra Ecclesiam nullam esse salutem ». Est tamen hoc dogma intelligendum eo sensu, quo id intelligit Ecclesia ipsa. Non enim privatis iudiciis explicanda dedit Salvator noster ea, quæ in fidei deposito continentur, sed ecclesiastico magisterio.

3867 – Et primum quidem Ecclesia docet, hac in re agi de severissimo præcepto Iesu Christi. Ipse enim expressis verbis Apostolis suis imposuit, ut docerent omnes gentes, servare omnia quæ ipse mandaverat. Inter mandata autem Christi non minimum locum illud occupat, quo baptismo iubemur incorporari in Corpus mysticum Christi, quod est Ecclesia, et adhærere Christo eiusque vicario, per quem ipse in terra modo visibili gubernat Ecclesiam. Quare nemo salvabitur, qui sciens Ecclesiam a Christo divinitus fuisse institutam, tamen Ecclesiæ sese subiicere renuit vel Romano Pontifici, Christi in terris vicario denegat obœdientiam.

3868 Neque enim in præcepto tantummodo dedit Salvator, ut omnes  gentes intrarent Ecclesiam, sed statuit quoque Ecclesiam medium esse salutis, sine quo nemo intrare valeat regnum gloriæ caelestis.

3869Infinita sua misericordia Deus voluit, ut illorum auxiliorum salutis,  quæ divina sola institutione, non vero intrinseca necessitate, ad finem ultimum ordinantur, tunc quoque certis in adiunctis effectus ad salutem necessarii obtineri valeant, ubi voto solummodo vel desiderio adhibeantur. Quod in sacrosancto Tridentino Concilio claris verbis enuntiatum videmus tum de sacramento regenerationis tum de sacramento pænitentiæ [*1524 1543].

3870 Idem autem suo modo dici debet de Ecclesia, quatenus generale ipsa  auxilium salutis est. Quandoquidem ut quis æternam obtineat salutem, non semper exigitur, ut reapse Ecclesiæ tamquam membrum incorporetur, sed id saltem requiritur, ut eidem voto et desiderio adhæreat. Hoc tamen votum non semper explicitum sit oportet, prout accidit in catechumenis, sed ubi homo invincibili ignorantia laborat, Deus quoque implicitum votum acceptat, tali nomine nuncupatum, quia illud in eà bona animae dispositione continetur, qua homo voluntatem suam Dei voluntati conformem velit.

3871 Quæ dare docentur in [Pii XII Litt. encycl.] . . . De mystico Iesu Christi Corpore. In iisdem enim Summus Pontifex nitide distinguit inter eos, qui re Ecclesiæ tamquam membra incorporantur, atque eos, qui voto tantum modo Ecclesiæ adhærent …. « In Ecclesiæ autem membris reapse ii soli adnumerandi sunt, qui regenerationis lavacrum receperunt veramque fidem profitentur neque a Corporis compage semet ipsos misere separaverunt vel, ob gravissima admissa, a legitima auctoritate seiuncti sunt » [*3802]. Circa finem autem earundem Litterarum encyclicarum, amantissimo animo eos ad unitatem invitans, qui ad Ecclesiæ catholicæ compagem non pertinent, illos commemorat, « qui inscio quodam desiderio ac voto ad Mysticum Redemptoris Corpus ordinentur », quos minime a salute æterna excludit, ex altera tamen parte in tali statu versari asserit, « in quo de sempiterna cuiusque propria salute securi esse non possunt… quandoquidem tot tantisque cælestibus muneribus adiumentis carent, quibus in catholica solummodo Ecclesia fruì licet » [3821].

3872 – Quibus verbis providentibus tam eos reprobat, qui omnes solo voto  implicito Ecclesiæ adhærentes a salute æterna excludunt, quam eos, qui falso asserunt, homines in omni religione aequaliter salvari posse [cf. *2806 2865]. Neque etiam putandum est, quodcumque votum ecclesiæ ingrediendæ sufficere, ut homo salvetur. Requiritur enim, ut votum, quo quis ad Ecclesiam ordinetur, perfecta caritate informetur; nec votum implicitum effectum habere potest, nisi homo fidem habeat supernaturalem [Alìegatur Hebr XI, 6 et Conc. Trid., sess. VI c. 8: *I532].

——

3866 – …. Or tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare, si trova ugualmente questa affermazione infallibile che ci insegna che « Fuor dalla Chiesa, non c’è salvezza ». Questo dogma deve tuttavia essere compreso nel senso in cui la Chiesa stesso lo comprende. In effetti non è al giudizio privato che il Signore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.

3867 – In primo luogo, la Chiesa insegna che in tal questione non si tratta di un comandamento in senso stretto di Gesù Cristo. Egli ha, in effetti, imposto espressamente ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto quel che aveva ordinato. Tra i comandamenti del Cristo, ed esso non è il minore, c’è quello che ci ordina di essere incorporati con il Battesimo nel Corpo mistico del Cristo, che è la Chiesa, e di restar uniti al Cristo ed al suo Vicario attraverso il quale governa Egli stesso in modo visibile la sua Chiesa sulla terra. Ecco perché, nessuno sarà salvato se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita dal Cristo, non accetti tuttavia di sottomettersi alla Chiesa, o rifiuti l’obbedienza al Pontefice Romano, vicario di Cristo sulla terra.

3868 – Ora il Salvatore non ha solamente ordinato che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha deciso anche che la Chiesa fosse il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno possa entrare nel Regno della gloria celeste.

3869 – Nella sua infinita Misericordia, Dio ha voluto che gli effetti necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo, non per necessità intrinseca ma unicamente per istituzione divina, possano essere ottenuti in certe circostanze, quando questi mezzi non siano messi in opera che per desiderio o voto. Noi vediamo questo chiaramente enunciato nel Sacrosanto Concilio di Trento rispetto sia al Sacramento della Rigenerazione, sia al Sacramento della Penitenza. (D. 1524, 1543)

3870 – Lo stesso va detto, a suo modo, della Chiesa come mezzo generale di salvezza. Infatti perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre è necessario che uno sia effettivamente incorporato nella Chiesa come membro, ma è almeno necessario che sia unito a lei con il voto e il desiderio. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come avviene tra i catecumeni, ma quando l’uomo è vittima di un’invincibile ignoranza, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo vuole conformare la sua volontà alla volontà di Dio.

3871 – Questo è il chiaro insegnamento dell’enciclica di Pio XII (Mystici corporis) sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice distingue chiaramente tra coloro che sono veramente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che sono uniti alla Chiesa solo dal voto… « … Ma solo coloro che hanno ricevuto il battesimo della rigenerazione e professino la vera fede, e che, d’altra parte, non si siano miseramente auto-separati dall’insieme del Corpo, o non ne siano stati tagliati fuori per gravissime colpe dalla legittima autorità, (per eresia, scisma, apostasia) sono veramente membri della Chiesa » (D. S. 3802). Verso la fine della stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al Corpo della Chiesa cattolica, egli menziona « coloro che, per un certo inconscio desiderio e voto, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore », che non esclude in alcun modo dalla salvezza eterna, ma di cui, d’altra parte, dice di essere in uno stato « in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna…. poiché sono privati di così tanti e di così grandi e celesti aiuti e favori, di cui si può godere solo nella Chiesa cattolica » (D. S. 3821).

3872 – Con queste sagge parole egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che sono uniti alla Chiesa dal solo voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possono essere salvati anche in una qualsiasi religione (2865).

Né si deve pensare che qualsiasi tipo di desiderio di entrare nella Chiesa sia sufficiente per essere salvati. Perché è necessario che il voto che ordina qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se l’uomo ha una fede soprannaturale. (Ebrei XI: 6; Concilio di Trento, VI\VIII ss. Cap. 8).

Questo documento Ecclesiastico irreformabile ed infallibile (come tutto il Magistero Ordinario ed Universale della Chiesa, al quale siamo obbligati a dare il nostro assenso, pena scomunica, secondo la lettera Enciclica « Satis Cognitum » di S. S. Leone XIII), giunge a conferma della dottrina tomistica di San Tommaso d’Aquino sulla grazia fornita dallo Spirito Santo a coloro che, pur non avendo la possibilità di accedere a veri Sacramenti, o al Santo Sacrificio validamente celebrato da Sacerdoti canonicamente consacrati, siano battezzati osservanti la Dottrina Cattolica, in unità con il “vero” Sommo Pontefice seppure di desiderio, unica condizione – una volta lasciata la setta di appartenenza – per ottenere l’eterna salvezza.
Fuori dalla Chiesa Cattolica, cioè fuori dalla salvezza eterna, vi sono quindi:

1- Tutte le sette protestanti: luterane, anglicane, calviniste, ortodosse sec. Fozio, monotelite, monofisite, etc. …

2- La setta degli eretici e scismatici modernisti (il modernismo è la somma di tutte le eresie, secondo la sentenza di S. Pio X nella sua magistrale e magisteriale Enciclica “Pascendi” del Novus Ordo dell’attuale colle Vaticano – la “sinagoga di satana” inneggiante al signore dell’universo, il baphomet-lucifero delle logge massoniche – conformi alle eresie del conciliabolo c. d. Vaticano II (Concilio scomunicato con largo anticipo dalla bolla Execrabilis di Papa Pio II, Piccolomini);  sono qui compresi i secolari e tutti i religiosi degli ordini un tempo Cattolici, oggi “novusordisti”.

3 – I sedicenti tradizionalisti, supporter eretici del papa eretico – a loro dire -, la setta paramassonica-kadosh dei falsi chierici invalidi e sacrileghi, i c. d. lienart-lefebvriani di Ecône-Sion;

4- Tutte le sette pseudo-tradizionaliste degli eretici e scismatici sedevacantisti di Occidente e d’Oriente, parto distocico dell’ultima ora di satana che cominciava a capire che qualcosa non aveva funzionato nei suoi piani vacillanti e scricchiolanti, ed ha cercato di metterci una “pezza a colore”. .. ma si sa che il diavolo fa le pentole ma dimentica – per fortuna dei “veri” Cattolici – i coperchi … Questo documento sia dunque per loro, monito onde abbandonare senza indugi la setta infernale di appartenenza e confluire in massa, almeno con desiderio o voto esplicito, nella Chiesa Cattolica guidata dal suo Sommo Pontefice Romano, ovunque si trovi, prigioniero o nascosto! (Il Cristo ce lo ha promesso – solennemente – con noi fino all’ultimo giorno! … e pure la Pastor Aeternus).

       Fatta questa debita premessa, passiamo e valutare i Singoli Sacramenti istituiti da Cristo e come, almeno per una parte di essi, si possano ricevere senza un Sacerdote con giurisdizione e missione canonica, o come si possa in qualche modo supplire alla grazia sacramentale specifica da essi apportata.

BATTESIMO.

I. Cominciamo ovviamente con Santo Battesimo, il Sacramento che ci apre la via della salvezza, dandoci la grazia santificante, le virtù ed i santi Doni, donandoci la nuova vita soprannaturale con l’inabitazione del Spirito Santo in noi e la filiazione a Dio come figli adottivi.

I. In casi straordinari, il Battesimo può essere conferito da chiunque.

    Negli scritti magisteriali pubblicati incessantemente su questo blog, sono state evidenziate numerose sentenze ufficiali della santa Chiesa Cattolica che rendono espressamente ed incontestabilmente chiaro il danno prodotto alla Chiesa di Cristo – la Chiesa  Cattolica romana – dal conciliabolo cosiddetto Vaticano II e dagli antipapi succeduti  al Santo Padre Pio XII, ultimi Pontefice romano che abbia legittimamente e  liberamente occupato il seggio di San Pietro, vale a dire del Vicario di N. S. Gesù  Cristo, fedele custode della dottrina apostolica e Capo di tutta la gerarchia ecclesiastica e dei fedeli di Cristo. Abbiamo pure dimostrato come dal 26 ottobre del1958, tutti i documenti approvati da falsi pontefici usurpanti, non abbiano alcuna validità canonica, ma siano al contrario sacrileghi ed in molti casi blasfemi, tali da  configurare un vero “ribaltone” della dottrina, della liturgia e dell’intera economia  della grazia. In particolare, abbiamo dimostrato, con documenti ineccepibili ed irreformabili prodotti dai canoni ecclesiastici, come le ordinazioni dei “vescovi” siano totalmente invalide a partire dal 18 giugno del 1968, data dell’entrata in vigore del falso pontificale romano dell’antipapa G. B. Montini (alias il sedicente Paolo VI).  Recentemente poi abbiamo dimostrato come gli ordini sacerdotali siano totalmente invalidi per difetto di forma ed intenzione secondo i canoni del Concilio di Trento, del Codice canonico pio-benedettino del 1917, della Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis di S.S. Pio XII [A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7], per cui in pratica tutti i sacramenti  amministrati dalla antichiesa m del c. d.  novus ordo (la setta vaticana insediata dal 1958),  sono invalidi o quanto meno illeciti  [se  amministrati da vegliardi Sacerdoti e Vescovi validamente ordinati prima del 1968,  ma aderenti alla setta acattolica ubiquitaria e dominante summenzionata]. Ai nostri scritti, ovviamente, nessuno ha potuto opporre la benché minima osservazione, al netto di offese, derisioni, disprezzo. In realtà non si tratta di offendere un misero scribacchino “farneticante” , ma la dottrina bimillenaria della Chiesa e l’intero Magistero pontificio, per cui, i giovani pseudo preti non hanno argomenti per ribattere, date la loro scadentissima preparazione dogmatica e per quanto riguarda il  diritto canonico, mentre i “volponi”, i grassi Sacerdoti stagionati, prudentemente si  sono rinchiusi in un mutismo secondo l’aforisma del profeta Isaia come … “cani muti”, anche per non perdere prebende e pensioni – A questo punto, finalmente, sembra che alcune persone si siano svegliate dal  sonno illusorio in cui si erano assopiti, scossi dal torpore della narcosi spirituale in cui erano stati sprofondati dagli “anestesisti” dell’anima, i modernisti diretti da antipapi provenienti dalle “logge” e da pseudoprelati “illuminati”, ed abbiano cominciato a chiedersi con dubbio legittimo, se i loro sacramenti, ricevuti da laici  mascherati, siano validi e leciti, e nel caso non lo siano come riceverli per sé e per i propri cari. Essendoci giunte alcune richieste in merito da nostri attenti lettori  allarmati dalle argomentazioni e dai documenti ufficiali riportati, vogliamo a questo punto  occuparci di questo importantissimo argomento che interessa la vita dell’anima e le  nostre possibilità di salvezza, secondo la retta dottrina cattolica insegnata da due millenni da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai Padri e dai dottori della Chiesa, dai teologici riconosciuti ed approvati e dal Magistero pontificio e conciliare.- Innanzitutto possiamo tranquillizzarci osservando come la Chiesa abbia previsto l’evenienza di una propria “eclissi” (chiaramente prevista a La Salette nel 1946 dalla Vergine Maria) o inattività in tempi o in determinate aree geografiche, dando la possibilità ai fedeli impediti di accedere ai mezzi della grazia santificante, mediante la preghiera indulgenziata o alcuni sacramenti, tra i quali  hanno assoluta preminenza i cosiddetti “ Sacramenti dei morti ”, di quei sacramenti  cioè che permettono ai  morti spirituali  di avere o recuperare la grazia abituale, in  modo da consentire un retto cammino sulla via della salvezza. Essendo l’argomento  di capitale interesse, vogliamo focalizzare l’attenzione su di un singolo Sacramento per volta, citando come al nostro solito i canoni ed i documenti  cclesiastici come  sono consultabili nei volumi od opere citate e che fanno parte della dottrina dogmatica, teologica o morale ufficiale, approvata dalle Autorità validamente riconosciute. Iniziamo ovviamente dal Battesimo, Sacramento istituito da Gesù Cristo in persona con un comando perentorio impartito ai suoi Apostoli nel momento in cui li mandava ad evangelizzare i popoli presso i quali stavano per recarsi ad annunciare la buona novella. Il Battesimo è Sacramento essenziale nella vita cristiana, il Sacramento che trasforma l’anima umana in un’anima capace di divinizzarsi e divinizzare alla Resurrezione i corpi a cui è legata, per l’azione della grazia e dello Spirito Santo che ne vengono a prendere possesso rendendo il battezzando “figlio adottivo di Dio” per partecipazione ed incorporandolo nel Corpo mistico di Cristo. Su questo Divino Sacramento ci sono volumi interi di teologia dogmatica, morale, ascetica che ne spiegano l’importanza esclusiva ed il privilegio infinito che investe chi ne beneficia, e rimandiamo ad essi per un approfondimento salutare e la esatta comprensione della natura e della trasformazione che opera nel rendere l’anima recettiva della grazia in terra e della gloria in cielo. Qui a noi interessa il dato essenziale pratico, che la Chiesa abbia reso questo Sacramente accessibile a tutti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Se non c’è un Sacerdote o Prelato cattolico validamente consacrato, con missione canonica conferita da un Vescovo valido con Giurisdizione ed “ una cum ” il Pontefice regnante (ai nostri tempi Gregorio XVIII o successore della linea Siri), la Chiesa permette il rito straordinario , come  viene ad esempio descritto nel trattato di Teologia dogmatica di B. Bartmann, vol. III, IV ed., Ed. Paoline, con nihil obstat  ed imprimaturdel 19 luglio 1957. Nel III volume, come dicevamo, leggiamo a pag. 103 e segg.: § 170 Ministro e soggetto del Battesimo.  Ministro ordinario del Battesimo è il Sacerdote avente Missione dal Vescovo; ministro straordinario, in caso di necessità, può essere qualsiasi persona umana.

Spiegazione. Eugenio IV dichiara nel suo decreto per gli Armeni: « Ministro di  questo sacramento è il Sacerdote cui compete per ufficio di battezzare. In caso di necessità, però, non solo il Sacerdote o diacono, ma anche il laico, uomo o donna, anzi il pagano e l’eretico può battezzare, purché osservi la forma prescritta ed abbia intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (Denz. 696). Il IV Concilio Lateranense dice in modo affatto generale che il Battesimo da chiunque amministrato, purché nei debiti modi, è  sempre valido (Denz. 430). Finalmente il Concilio di Trento ha ancora una volta definito l’antica dottrina della validità del Battesimo degli eretici (s. 7 de Bapt., can. 4, Denz. 860). Gli spazi ristretti non ci consentono di procedere oltre, ma penso che la questione sia fin troppo chiara: in casi straordinari, quando cioè non abbiamo la possibilità di ricorrere ad un “vero” e sicuro prete cattolico scartando i  Probabili (oggi sicuramente improbabili, anzi certamente falsi) del novus ordo o delle sette sedevacantiste o lefebvriane dei sedicenti tradizionalisti (secondo la sentenza del 4 marzo 1679 di S.S. Innocenzo  XI, in Denz. 1151: “Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro … pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento di Battesimo degli ordini sacerdotali ed episcopali”. Quindi, tranquilli, lettori carissimi, possiamo avere grazia santificante, figliolanza adottiva di Dio, Doni dello Spirito Santo, virtù teologali e cardinali, oltre all’inabitazione dello Spirito Santo in noi, anche con il Battesimo conferito da un laico, addirittura anche un eretico, purché si usi la forma –  la formula prescritta –, la materia, cioè l’acqua, e l’intenzione secondo la Chiesa Cattolica. Penso che l’argomento sia chiaro restando in attesa di eventuali chiarimenti, delucidazioni e ulteriori documenti, di cui la santa dottrina della santa  Madre Chiesa è stracolma. La formula è: «  Ego te baptizo in nomine Patris, et Filii,  et Spiritus Sancti, amen . » Nel contempo si versa l’acqua sul capo del battezzando, tracciando tre segni di croce e facendola scorrere in avanti verso la fronte. –

PENITENZA O CONFESSIONE

        II. Dopo il Battesimo, il Sacramento più importante per riacquistare la grazia perduta per aver commesso un peccato mortale, è la Penitenza o Confessione, Sacramento che, ben ricevuto con le dovute predisposizioni, ci ridona la figliolanza divina con il diritto alla sua eredità con le virtù ed i Doni, e la presenza nell’anima dello Spirito Santo, e con esso la Santissima Trinità. Essa nella pratica, si compone di tre momenti, la contrizione, la confessione, la penitenza. Ministro ordinario è il Vescovo o un  Sacerdote con potestà d’ordine e Giurisdizione (ad esempio il parroco – sottolineiamo che senza giurisdizione conferita dell’Ordinario del luogo, a sua volta in comunione col Sommo Pontefice romano [il vero] il Sacerdote, pur validamente ordinato, non è abilitato alla Confessione che resta perciò invalida e come non fatta). Condizione essenziale per ottenere il perdono delle proprie colpe è il dolore dei propri peccati, che teologicamente si distingue in Contrizione ed Attrizione.  Attrizione, o contrizione imperfetta, è semplicemente il dolore per aver commesso un grave peccato, o per aver  perso la possibilità di entrare in Paradiso ed aver meritato l’inferno con le pene eterne.  Contrizione perfetta, invece, è il dolore per aver offeso Dio nella sua Maestà,  Giustizia e Divinità, offesa infinita che richiede un dolore: interiore, soprannaturale,  sovrano, universale, cioè il dolore della più grave sventura della nostra vita, estesa ad  ogni nostro peccato mortale, e la detestazione del peccato commesso, col proposito di non peccare più in avvenire e fuggirne le occasioni prossime. Poiché nessuno potrà mai essere certo della sua perfetta contrizione, la Chiesa Cattolica richiede almeno l’attrizione unita alla Confessione sacramentale che supplirebbe così alla temuta imperfezione. I peccati mortali vanno confessati singolarmente riferendo ogni circostanza aggravante o che ne muti la specie, mentre i peccati veniali non devono necessariamente confessarsi, anche se sia lecito confessarli per accrescere il dolore delle proprie offese a Dio, Padre Creatore, Figlio Redentore, Spirito Santo santificatore. Tutte queste peculiarità sono state da sempre ritenute dalla Chiesa Cattolica, e sono state definite e fissate dogmaticamente dalla XIV Sessione del Sacrosanto Concilio di Trento. Quindi i fedeli della Chiesa  eclissata, cioè la vera unica Chiesa di Cristo oggi nelle catacombe, o portata nel deserto, come ben mostrato nel capitolo XII dell’Apocalisse, annunziata per i nostri tempi nell’apparizione della Vergine Santissima a La Salette nel 1846, e da diverse  visioni di veggenti Cattolici approvati, in diversi secoli, si chiedono come sia possibile riacquistare la grazia e tutte le prerogative perse con il commettere un peccato mortale, che ci taglia dal cammino verso la salvezza e l’eterna beatitudine,  spalancandoci le porte dello stagno di fuoco eterno. Ma il Signore, ovviamente, aveva  già “sistemato” la faccenda con largo anticipo, quando già nel 22 febbraio 1482 suggeriva al Sommo Pontefice Martino Quinto, la celebre bolla, contro l’eretico Wicleff: “ Inter cunctas ” tra le cui preposizioni, al numero 20, si sottolineava che un  Cristiano è tenuto, per essere necessariamente salvato, oltre alla contrizione del suo cuore [condizione assoluta  sine qua non], quando può trovare un sacerdote  qualificato (Sacerdotis idonei), a confessarsi solamente da un Sacerdote, e non da un  laico o laici, sebbene buoni o pii quanto mai (Denz.- Schon. 1260). Per la giustificazione, dopo il Battesimo, la prassi consolidata della Chiesa, è quindi la Contrizione perfetta, da chiedere come grazia a Dio con un atto di contrizione perfetto pubblicato con debito imprimatur, chiedendo la grazia delle lacrime per i propri peccati. Naturalmente la ricerca dei peccati viene fatta dopo un attento studio  della Dottrina cristiana e della propria coscienza … come può uno confessarsi se per trascuranza non conosce i peccati numerati dalla Chiesa, ad esempio i peccati contro i Comandamenti, in particolare gli ultimi due, che sono peccati solo di pensiero, i peccati contro i precetti della Chiesa, contro le Virtù teologali e cardinali, i peccati contro lo Spirito Santo, i peccati che gridano vendetta agli occhi di Dio, i peccati di omissione circa le opere di misericordia corporale e spirituale, i peccati capitali etc.. Utile sarebbe formare uno schema scritto, col quale esaminare la propria coscienza  alla luce della dottrina di sempre della Chiesa, che riporti pure le scomuniche più  solenni comminate dai Sommi Pontefici e dai Concilii ecumenici contro eresie e  difformità dottrinali o eterodossie. Fatto questo lavoro, si resterà sorpresi dalla enormità e dal numero delle proprie colpe se ben esaminate, accusate senza ritegno o attenuazioni, inquadrate nelle perverse dinamiche delle intenzioni. Subito dopo si passa alla detestazione dei peccati commessi e al dolore per avere offeso un Dio così buono che ci ha creato dal nulla dandoci la possibilità di essere suoi figli adottivi per mezzo  della redenzione di Gesù Cristo operata versando tutto il suo preziosissimo sangue. Non basta ancora, bisogna aggiungere il proposito serio e fermo di non più peccare, e soprattutto di evitare le occasioni prossime del peccato e possibilmente anche le remote, senza di che non è valida nessuna  Confessione, che al contrario sarebbe sacrilega ed aggiungerebbe anzi peccati gravissimi e difficilmente emendabili. Ultima condizione è il proposito esplicito di ricorrere alla Confessione sacramentale una volta reperito un Sacerdote cattolico con missione canonica e giurisdizione nominato da un vero Vescovo una cum il vero Sommo Pontefice Gregorio XVIII o successore della linea Siri. Se in buona fede operiamo tutto quanto la Chiesa ci comanda di fare quando non sia raggiungibile, siamo giustificati e rientriamo sulla “pista” della corsa verso la salvezza eterna. In articulo mortis (cioè in pericolo di morte imminente) si può ricorrere anche a Sacerdoti validamente consacrati fino al 18 giugno del 1968, anche se apostati e passati alla sinagoga infernale, l’antichiesa del Vaticano II, ma attenti! Occorre prudenza e grande preparazione dottrinale per non cadere nella trappola della finta “divina misericordia” che rende Nostro Signore ingiusto nel secondare ed approvare i capricci dei peccatori, facendo apparire inutile Redenzione, Sacramenti, Fede e Carità divina, e dulcis in fundo, come ultima beffa, li spedisce dritti all’inferno senza giustificazione. – Come più volte scritto e documentato con inoppugnabili documenti della Chiesa Cattolica “pre-modernista” (cioè l’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo) il vero  Cattolico, una cum  la Sede Apostolica impedita ma realmente esistente, si trova oggi  nella impossibilità di praticare liberamente il retto culto dovuto a Dio essendo le strutture un tempo appartenenti alla Chiesa, invase dalla apostasia modernista, vero obbrobrio, d’altra parte concretamente visibile nel culto rasa+crociano definito nuova messa, o novus ordo missæ, che tutto è fuorché una Messa cattolica. In queste nuove “sinagoghe infernali”  si celebra un culto apparentemente cristiano (il demonio si sa è la scimmia di Dio e vuole ricevere il culto dovuto solo a Dio), ma assolutamente invalido e sacrilego,  da parte di pseudo-sacerdoti mai consacrati validamente, quindi, privi del sigillo sacerdotale impresso dallo Spirito Santo per mezzo dell’imposizione delle mani di un vero Vescovo, (cioè consacrato prima del 18 giugno 1968 come spiegato a suo tempo in una serie di articoli documentati e mai contestati e di cui parleremo ancora trattando del Sacramento dell’Ordine), e da qualche ultraottuagenario apostata che non ha mai compreso né le leggi della Chiesa, né il suo ruolo di agente in persona Christi. Questo significa, secondo le leggi canoniche della Chiesa (C. J. C. o codice pio-benedettino del 1917, l’unico valido perché facente parte di un documento ufficiale del Magistero, e perciò irreformabile ed eterno!) che tutto  quello che viene celebrato in queste pseudo-funzioni (o meglio FINZIONI), non ha alcuna validità né liceità, ergo: confessione invalida e sacrilega, comunione invalida e sacrilega con pane mai transustanziato per difetto di forma, intenzione, e perché operato da un laico “travestito” da prete. Ma la Chiesa, prevedendo possibile questa situazione che si è “evoluta” dal 1958 in poi, aveva già pensato a come ovviare alla mancanza di grazia sacramentale dei finti illeciti sacramenti.

COMUNIONE

III. Nel paragrafo precedente abbiamo parlato della Confessione, secondo i dettami del Sacrosanto Concilio Tridentino e del relativo Catechismo del Sacerdote (libro introvabile anche presso gli anziani Sacerdoti, ma che noi custodiamo gelosamente in cassaforte come perla dottrinale preziosissima), oggi parleremo della Comunione. Non è qui il caso di spiegare l’importanza centrale dell’Eucarestia nella vita del Cristiano e della Chiesa tutta, poiché mi illudo che i miei pochi lettori sappiano almeno a grandi linee di cosa si tratti. La Comunione sacramentale, Sacramento dei vivi, di coloro cioè che sono già in grazia, perché non contaminati dal peccato mortale, consiste nella transustanziazione del pane e del vino offerto durante la vera Messa cattolica definita da S.  Pio V, di cui non si poteva mutare nemmeno una parola, nel Corpo e nel Sangue di Cristo, che viene poi dato ai fedeli sotto una specie unica per aumentare la grazia e preservare dal peccato e da azioni indegne di un fedele di Cristo. La sua specificità è  indubbia, ma ecco che, nella impossibilità di ricevere l’Eucarestia validamente  consacrata direttamente in bocca dalla mano del Sacerdote che la porge, la Chiesa permette con gran frutto, la Comunione spirituale. Lasciamo la parola, noi che ne siamo indegni, ad uomini la cui santità è indiscussa e la dottrina purissima. Riportiamo per brevità le considerazioni di S. Leonardo di Porto Maurizio: « LA COMUNIONE SPIRITUALE,  Considerazioni di S. Leonardo da Porto Maurizio. » – “Coloro che non possono ricevere sacramentalmente il corpo del Signore, Lo possono  ricevere spiritualmente con gli atti di viva fede e fervente carità e con un grandissimo​ desiderio di unirsi a quel sommo Bene; in questa maniera ricevono il frutto di questo divin Sacramento.”  – La Comunione spirituale si può fare durante la Messa (la Messa di sempre, quella definita da S. Pio V, come riportato sopra – n.d.r.-) o in qualsiasi momento della vostra giornata. Quando il Sacerdote sta per comunicarsi nella santa Messa, voi, stando ben raccolti eccitate nel vostro cuore un atto di vera contrizione, e battendovi il petto umilmente, in segno che vi riconoscete indegno di una grazia così grande, fate tutti quegli atti di amore, di offerta, di umiltà, con tutti gli altri che fate abitualmente quando vi comunicate sacramentalmente, e poi desiderate ardentemente di ricevere il buon Gesù sacramentato per vostro bene. E per ravvivare la vostra devozione, immaginatevi che Maria santissima, o qualche altro vostro Santo avvocato vi porga la santa particola. Figuratevi di riceverla, ed abbracciando Gesù nel vostro cuore, replicate più e più volte:  venite, caro Gesù mio, venite dentro questo mio povero cuore, venite ed esaudite i miei desideri, venite e santificate l’anima mia;  venite Gesù dolcissimo, venite … E ciò detto fate silenzio, rimirate il vostro buon Gesù dentro di voi e, come se realmente vi foste comunicato, adorateLo e ringraziateLo e fate tutti quegli atti che fate abitualmente dopo la Comunione sacramentale”. Ora sappiate che questa benedetta e santa Comunione spirituale, così poco praticata dai Cristiani dei nostri tempi, è un tesoro che vi riempie l’anima di mille beni. E come dicono vari autori, è così utile che  può produrre quelle stesse grazie che produce la  Comunione sacramentale, anzi maggiori. Perché, sebbene la Comunione sacramentale – cioè quando realmente ricevete la sacra particola – di sua natura è di maggiore frutto, perché, essendo Sacramento, ha la virtù “ex opere operato” (cioè opera per virtù propria), tuttavia può un’anima con tanta umiltà, amore e devozione fare la sua Comunione spirituale, da meritare maggior grazia di quella che merita un’altra, la quale si comunichi sacramentalmente, ma non con tanta squisita preparazione. Quindi il nostro Salvatore gradisce tanto questo modo di comunicarsi spiritualmente, che tante volte con evidenti miracoli si è compiaciuto di esaudire benignamente i pii desideri dei suoi servi: come accadde alla beata Chiara da  Montefalco, a Santa Caterina da Siena, a santa Liduina, a san Bonaventura ed al beato Silvestro. Sappiate dunque che questa santa Comunione spirituale vi dà questo vantaggio rispetto alla Comunione sacramentale: che la Comunione sacramentale non può farsi che una sola volta al giorno, ma la Comunione spirituale potete farla tante volte, quante sono le Messe che ascoltate; ed anche fuori dalla Santa Messa, mattino e sera, giorno e notte, in Chiesa ed in casa: insomma, quante volte voi praticherete quanto si è detto, altrettante volte farete la Comunione spirituale e vi arricchirete di grazie e di meriti e di ogni bene.

Preghiera per la Comunione spirituale.

(di S. Alfonso M. dei Liguori).

« Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e Vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Vi abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettete che io abbia mai a separarmi da Voi. »

Ai fedeli che compiono un atto di comunione spirituale, usando qualsiasi formula che vogliano scegliere, si concede:

Un’indulgenza di 3 anni; Indulgenza plenaria una volta al mese alle solite condizioni, se recitato per ogni giorno del mese (S. S. Pænit.  Ap., 7 marzo 1927 e 25 febbraio 1933).

Potremmo citare una serie lunghissima di autori e libri che discorrono dei benefici straordinari di questa pratica devozionale, ma ne ricordiamo, per brevità, solo il  dottissimo Gesuita G. B. Scaramelli, che nel suo rinomatissimo DIRETTORIO ASCETICO, Trattato Primo, al CAPO VII ne fa una meravigliosa descrizione. – Non poteva mancare la pratica devota nel “libro dei libri” teologici, la Summa Theologica di S. Tommaso d’Aquino … « questa, dice S. Tommaso, consiste in un vivo desiderio di prendere il Santissimo Sacramento.» (3 p., q. 21, art.1 ad 3). Allora accade, dice ancora l’Angelico nell’articolo successivo, che alcuno mangi spiritualmente Gesù Cristo ricoperto dalle specie sacramentali, quando crede in Cristo con desiderio di riceverlo in questo sacramento. E questo non solo è un ricevere spiritualmente Gesù Cristo, ma è un ricevere spiritualmente lo stesso Sacramento. Se queste brame siano molto fervide, e molto accese, la comunione fatta in spirito sarà talvolta più fruttuosa e più cara a Dio, che molte altre Comunioni reali fatte con tiepidezza, non per difetto del Sacramento, ma di chi freddamente lo riceve. – Testimonianze ne abbiamo, come già ricordato, da S. Caterina da Siena, S. Liduina, S. Lorenzo Giustiniani e tanti altri che non possiamo qui riportare. Non tema dunque il vero Cattolico di essere escluso dalla grazia sacramentale della santa Comunione, l’importante, sottolinea sempre puntualmente l’Angelico di Roccasecca, è fuggire dalle sette eretiche ed essere unito anche solo di desiderio se impedito al Santo Padre, il Vicario di Cristo S.S. Gregorio XVIII, successo di G, Siri. Questa è la via che giunge in Paradiso, ogni altra conduce allo stagno di fuoco eterno.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (7).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(2)

4. Quando e dove visse il Salvatore?

1. IL SALVATORE VISSE SU QUESTA TERRA CIRCA 2000 ANNI FA, PER 33 ANNI.

L’era cristiana è iniziata con la nascita di Gesù Cristo.

All’inizio del Cristianesimo, gli anni venivano contati in base al regno dei governanti o dei consoli romani. Dalla grande persecuzione di

di Diocleziano, i Cristiani presero come loro era il regno di questo imperatore (l’era dei martiri. L’abate Dionigi, di Roma, fu il primo che nel 525 cominciò a datare gli anni dall’Incarnazione di Cristo, cioè dall’Annunciazione. Carlo Magno introdusse questa epoca, ma iniziò a contare non dall’Incarnazione, ma dalla Natività di Cristo… -. Quest’epoca non è del tutto accurata, poiché Dionigi colloca la Natività quattro anni più avanti. Cristo sarebbe quindi nato 4 anni prima dell’anno 1 della nostra era.

Il tempo che precede Cristo è chiamato Antico Testamento o Antica Alleanza, il tempo successivo a Cristo, Nuovo Testamento o Nuova Alleanza. (Eb. IX , 15-17).

I tempi che precedono e seguono Gesù Cristo li chiamiamo Testamento, (cioè dichiarazione di volontà, concessione dell’eredità nel diritto, di volontà, concessione dell’eredità in caso di morte), perché nei tempi precedenti e successivi a Cristo, Dio ha espresso la sua santa volontà agli uomini ed ha assicurato loro un’eredità in caso di morte del Salvatore (un’eredità che diventa esecutiva con la morte del Salvatore). L’eredità assicurata agli ebrei era la Terra Promessa, l’eredità dei Cristiani è il cielo. – Il tempo prima di Cristo è chiamato l’Antica Alleanza, perché Dio fece un’alleanza con molti popoli, con Noè, Abramo, Giacobbe e con il popolo israelita al Sinai, attraverso la mediazione di Mosè. Lì il popolo israelita si impegnò a osservare le leggi appena promulgate. Dio, in cambio, promise di proteggerlo e di benedirlo. L’alleanza fu sigillata con il sangue di un sacrificio animale. – Il periodo dopo Cristo è chiamato Nuova Alleanza, perché Dio, attraverso la mediazione di suo Figlio, si è impegnato per la santificazione degli uomini qui sulla terra e per la loro glorificazione in cielo, se essi osservano i due comandamenti dell’amore. Questa alleanza è stata sigillata dal sangue di Cristo. – I libri sacri scritti in questo periodo sono noti anche come Antico Testamento, e il Nuovo Testamento, i libri sacri scritti dopo Cristo. Questi sono così chiamati perché contengono la volontà di Dio e la garanzia dell’eredità celeste.

2. IL SALVATORE FU MOLTO ATTIVO IN PALESTINA.

(Vedi la mappa di questo Paese).

Notiamo 1° per quanto riguarda il nome; che questo Paese fu chiamato prima Chanaan, poi Giudea, di solito Terra Promessa, cioè la terra promessa da Dio, infine Terra Santa, cioè la terra santificata dal soggiorno del Salvatore. – 2° per quanto riguarda la sua estensione e natura, la Palestina non è che un paese piccolo, appena 500 miglia quadrate, la metà della Svizzera, tanto che i pagani dicevano beffardamente che il Dio degli Ebrei doveva essere un Dio molto piccolo per aver dato al suo popolo un paese così piccolo. (È lunga solo 90 leghe e larga 30). Tuttavia, la sua posizione al centro del mondo antico fu molto favorevole alla diffusione della vera religione. Era un paese molto fertile, dove scorrevano latte e miele (Es. III, 8) e non c’era bisogno di importazioni dall’estero. La Palestina è tagliata fuori dai suoi vicini su tutti i lati, sia dal mare che dal deserto, così che le comunicazioni amichevoli tra i suoi abitanti e le nazioni vicine erano molto difficili. – 3° per quanto riguarda il numero di abitanti; che la Palestina al tempo di Gesù Cristo contava 5 milioni di abitanti, di cui 1 milione a Gerusalemme, la capitale. Oggi il Paese conta solo 500.000 abitanti e Gerusalemme 28.000.

LA PALESTINA È SITUATA LUNGO IL MEDITERRANEO SU ENTRAMBE LE SPONDE DEL FIUME GIORDANO.

La parte più grande, situata tra il mare e il Giordano, è chiamata il Paese del Giordano occidentale, la parte più piccola, al di là del fiume, è chiamata il Paese del Giordano Orientale. La Palestina è delimitata a nord dalla Fenicia e a est dal deserto siro-arabo, a sud dall’Arabia e a ovest dal Mediterraneo. – Il Giordano, che gli ebrei attraversarono sulla terraferma e dove Gesù fu battezzato, è largo da 80 a 150 passi; le sue acque torrenziali e giallastre attraversano il piccolo lago di Merom, poi il lago di Génèzareth (ove Gesù calmò la tempesta, predicò dalla barca, operò una pesca miracolosa, ha camminato sulla acque e diede il primato a Pietro) lungo 5 miglia, e sfociano nel Mar Morto, che è lungo 10 miglia.di lunghezza (nella depressione vi erano le città di Sodoma e Gomorra, le aque sono salare e non vi si trova alcuna creatura vivente). Prima di sfociare nel Mar Morto, il Giordano viene raggiunto dal torrente di Karith, vicino al quale viveva Elia. Il Mar Morto riceve anche le acque del Cêdron, che passa vicino a Gerusalemme e attraverso il quale fuggirono Davide e Cristo prima della sua agonia. – La Palestina era divisa in quattro parti: la Giudea a sud; la Samaria al centro; la Galilea a N., e a E. del fiume Giordano, la Perea (con Ituraea e Trachonitide).

Gli abitanti della Giudea erano i più fedeli alla vera religione; quelli della Samaria erano idolatri ed odiati dai Giudei, mentre quelli della Galilea erano in parte pagani, soprattutto al nord, e di conseguenza disprezzati dai Giudei. Essere chiamati Galilei era un insulto, soprattutto perché avevano un dialetto molto rozzo, ed erano facilmente riconoscibili, come accadde a Pietro nel tribunale del sommo sacerdote).

La città più importante della Giudea era Gerusalemme, dove era il Tempio. Gerusalemme (cioè il luogo della pace) è chiamata anche città dei colli, perché è situata su 4 alture: la più alta è il Monte Sion, sulla cui sommità si ergeva maestosa la cittadella di Davide e dove si trovava il cenacolo; a est di questo si trovava il monte Acra con la sorgente e la piscina di Siloe, dove avvenne la guarigione del cieco; a nord, il monte Moriah, dove era stato Isacco e dove si trovava il tempio; più a N. c’era il monte Bezetha con la città nuova; a ovest di Moriah, fuori dal recinto, c’era il Golgota, chiamato anche Calvario, sul quale Cristo fu crocifisso. L’insieme di queste alture è delimitata da due valli: quella a ovest, l’Hinnom (Gehenna, inferno, perché le donne israelite idolatre vi sacrificavano i loro figli a Moloch), a est la valle di di Giosafat (Giudizio di Dio; si riteneva che Dio avrebbe tenuto ivi l’ultimo giudizio). In questa valle scorre il torrente Cêdron. A est della valle di Josafat c’era il Monte degli Ulivi, con il giardino del Getsemani, dimora preferita del Salvatore. – Gerusalemme esisteva già al tempo di Melchisedec, che ne era il re.. Sotto Davide (1000 a.C.) divenne la capitale dei re ebrei, e fu distrutta completamente dal re di Babilonia (588 a.C.), Nabucodonosor, per poi essere ricostruita 50 anni dopo (536), e ridistrutta dal generale romano Tito, 70 anni dopo J.-C. – Il Tempio di Moria formava una lunga piazza e fu costruito in pietra biancastra. Da lontano appariva come una montagna coperta di neve e offriva uno spettacolo maestoso (S. Marco XIII, 1). Aveva un cortile per il popolo ed un altro interno per i sacerdoti, con l’altare degli olocausti; è in questo secondo cortile che si trovava il tempio vero e proprio, su un terrazzo lungo 30 metri, largo 10 e alto 15, con un tetto fatto di cedro. Questo tempio era composto dal vestibolo, dal Luogo Santo e dal Santo dei Santi. – Le pareti di questi due ultimi comparti erano ricoperte da spesse lastre di marmo e separate da un velo che fu strappato al momento della morte di Cristo. Nel Santo dei Santi era posta tra due grandi cherubini d’oro, l’Arca dell’Alleanza, che conteneva le tavole della legge, la manna, la verga di Aronne ed il libro della legge. (Pentateuco). Sopra l’arca, Dio dimorava in una nuvola. – Il tempio fu costruito da Salomone intorno all’anno 1000. Distrutto nel 588 da Nabucodonosor, fu ricostruito dopo 70 anni di cattività dal principe ebreo Zorobabele. Ma l’Arca dell’Alleanza era scomparsa. Re Erode lo restaurò al al tempo di Gesù Cristo. Questo restauro fu completato nel 64, e 6 anni dopo (70) il tempio fu distrutto dai Romani. Nel 361 l’imperatore Giuliano l’Apostata tentò di ricostruirlo, ma un terremoto fece crollare le fondamenta e le fiamme dal terreno dispersero gli operai. Questo tempio non sarà ricostruito fino alla fine dei tempi. (Dan. IX, 27).

Oltre a Gerusalemme, le città più notevoli sono Beihléhem e Nazareth.

Le città più importanti della Giudea sono: a sud di Gerusalemme, Betlemme, il luogo di nascita di Gesù; un po’ più a sud, Hebron, la casa di Abramo, Isacco e Giacobbe e i genitori di San Giovanni Battista; a est, Betania, la casa di Lazzaro e il deserto della Quarantena, dove Gesù digiunò per 40 giorni; a NW, Gerico, la città delle palme, dove visse Zaccheo, il pubblicano pentito; a N, Emmaus, famosa per un’apparizione del Salvatore risorto. Sulle rive del mare: Joppe, la città fenicia divenuta famosa durante le Crociate, dove vissero San Pietro e i suoi discepoli. Ivi Pietro risuscitò Tabitha dai morti e dove fu chiamato a visitare il centurione pagano Cornelio. Più a sud si trova l’antico paese dei Filistei, con le città di Gaza e Ascalon.

Ad ovest del Mar Morto si trova il deserto di Giuda o deserto di S. Giovanni, dove soggiornò il Precursore. – In Samaria, bisogna ricordare la capitale, Samaria, situata più o meno al centro del paese; a S. di questa città si trova la vicino a Sichem, il pozzo di Giacobbe, dove avvenne l’incontro tra Gesù e la Samaritana. Ad ovest si vede il Monte Gerizim, dove i Samaritani avevano un tempio idolatrico; a S., Silo, dove, dopo Giosuè, l’arca rimase per 350 anni. Lungo il Mediterraneo si estende la ricca pianura di Saron; sulle rive del mare si trova Cesarea, cioè la città imperiale, dove risiedevano i procuratori romani. A nord-est, non lontano dal mare e sul confine si erge, a 300 metri di altezza, il monte Carmelo con le sue 1000 grotte, casa degli anacoreti e di Elia, che vi offrì il suo sacrificio per confondere i sacerdoti di Baal. In Galilea sono da notare: Nazareth (la città del fiore), domicilio della Vergine Maria al momento dell’Annunciazione e dove Gesù Cristo visse fino all’età di 30 anni; a S, il monte Thabor, luogo della Trasfigurazione; nelle vicinanze, Naim, dove Ges risuscitò il figlio della vedova; a E., Cana, dove compì il suo primo miracolo. Sulle rive del lago di Genezareth si trovava Cafarnao, “la città di Gesù Cristo”, dove Egli amava fermarsi e dove compì molti miracoli, come la guarigione del servo del centurione. e la resurrezione della figlia di Giairo. Fu anche lì che fece la promessa dell’Eucaristia e chiamò a sé l’apostolo San Matteo; a S. Betsaida, da dove provenivano gli apostoli Andrea e Filippo; poi Magdala, la casa della Maddalena peccatrice. Sulle rive dello stesso lago, c’era anche Tibêriade. A nord della Galilea c’era Cesarea di Filippo, dove Pietro ricevette il potere delle chiavi. Le città marittime di Tiro e Sidone, dove Gesù si recava spesso (S. Matth, XV, 21; S. Marco VII, 27) si trovano in Fenicia piuttosto che in Galilea; ai confini di quest’ultima, ricoperta di neve perenne, si erge (fino a 3000 m.) la catena del Libano (Monte Libano (monte bianco) con i suoi magnifici cedri, ed a E. il grande Hermon (2900 m.); Più a est si trova Damasco, dove si convertì San Paolo. – In Perea molto vicino al Mar Morto, a est della foce del Giordano, si trova Bêthtibarah (anche Betania), il luogo dove Giovanni battezzò, dove rivelò il Salvatore e lo chiamò l’Agnello di Dio; e a E. il Monte Nebo, dove morì Mosè. A S. del lago di Génézareth si trovava Pella, dove i Cristiani di Gerusalemme si rifugiarono durante l’assedio di Tito (70).

5. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE O CRISTO.

Gli ebrei erano soliti chiamare l’atteso Salvatore Messia, Cristo o Unto.

Il termine unto del Signore era usato dagli ebrei per indicare Profeti, Pontefici e Re. Essi venivano unti con olio santo quando assumevano la carica, come segno della loro missione divina. (L’unzione simboleggiava l’illuminazione e la potenza dello Spirito Santo, oltre ad essere un’esortazione alla mitezza). Il futuro Salvatore sarà il Profeta, il Pontefice ed il Re per eccellenza, gli ebrei lo chiamano l’Unto del Signore. (Unto significa Messia in ebraico, Cristo in greco). Tuttavia Cristo non fu unto visibilmente con l’olio, ma interiormente dallo Spirito Santo. (Sal. XLIV, 8), la cui pienezza era in lui. (Act. Ap. X, 38).

1. GESÙ DI NAZARETH È IL SALVATORE, PERCHÉ IN LUI SI SONO ADEMPIUTE TYTTE LE PREDIZIONI DEI PROFETI.

Gesù si appellava spesso a questa testimonianza (S. Giovanni V, 39; S. Luca XVIII, 31), in particolare ai discepoli di Emmaus. (S. Luca, XXIV, 26). Matteo, da parte sua non cessa nel suo vangelo di mostrare l’adempimento delle profezie in Gesù Cristo.

2. IL CARATTERE DIVINO MESSIANICO DI GESÙ DI NAZARETH È DIMOSTRATO DALLA PERPETUITÀ DEL SUO REGNO SU QUESTA TERRA.

I falsi messia hanno avuto molti seguaci all’inizio, ma gradualmente li hanno persi del tutto. Gesù conserva i suoi seguaci attraverso tutti i secoli. Se il suo regno, la Chiesa, fosse un’opera umana, sarebbe già scomparso da tempo; ma dato che resiste nonostante tutte le persecuzioni, è necessariamente un’opera di Dio. Questo fu l’eccellente ragionamento di Gamaliele al Sinedrio (Act. Ap. V, 38).

3. GESÙ SI È DICHIARATO ESPRESSAMENTE COME IL SALVATORE IN PARTICOLARE NEL COLLOQUIO CON LA SAMARITANA E DAVANTI AL SOMMO SACERDOTE CAIFA.

“Io so”, disse la Samaritana, “che il Messia (cioè il Cristo) verrà”. Gesù le rispose: “Io che ti parlo sono lui”. (S. Giovanni IV). – Il sommo sacerdote Caifa disse a Gesù: “Ti ordino nel nome del Dio vivente di dirmi se sei il Cristo, il Figlio di Dio, e Gesù rispose: “Lo sono” (S. Matth. XXVI, 64). Inoltre, Gesù lodò S. Pietro quando gli disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente “. (S. Matth. XVI, 16).

4. ANCHE GLI ANGELI LO HANNO PROCLAMATO LORO SALVATORE, SIA QUELLO DELLA CAMPAGNA DI BETLEMME, SIA QUELLO CHE APPARVE A GIUSEPPE.

Un Angelo apparve ai pastori nei campi di Betlemme e disse loro: “Non temete. Perché ecco, vi porto una buona notizia di grande gioia per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, vi è nato un Salvatore, il Cristo Signore. (S. Luca II,10). – Giuseppe, che voleva ripudiare Maria, vide in sogno un Angelo che gli annunciò la nascita di Gesù. e gli disse: “Lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati” (S. Matth. I, 21). Perché Gesù di Nazareth è il Cristo, cioè il Messia, è chiamato Gesù Cristo, nome che Egli stesso si è dato. (S. Giovanni XVII, 3).

6. LA VITA DI CRISTO.

L’infanzia e la giovinezza di Cristo.

La nascita di Gesù fu annunciata alla B. Vergine Maria a Nazareth dall’Arcangelo Gabriele. (S. Luc. I, 25).

Questo messaggio ci viene ricordato nella festa dell’Annunciazione (25 marzo), dall’Angelus del mattino, di mezzogiorno e della sera, e dalla prima parte dell’Ave Maria, che consiste nelle parole dell’Arcangelo. – Dopo l’Annunciazione della nascita Maria visitò sua cugina Elisabetta. Elisabetta la salutò con le parole contenute nella 2a parte dell’Ave Maria. Fu a casa di Elisabetta che Maria cantò il mirabile cantico del Magnificat. (S. Luc. 1). Questo mistero ci viene ricordato dalla festa della Visitazione (2 luglio – in certi Paesi questa festa è ancora di precetto, altrove è trasferita alla prima domenica di luglio; cadendo nella ottava della nascita di S. Giovanni Battista, alcuni interpreti pensano che la Vergine restasse nella casa di Zaccaria fino alla nascita del Precursore); anche S. Giuseppe, come abbiamo detto in precedenza, fu avvertito da un Angelo della nascita di Cristo.

CRISTO NACQUE DALLA VERGINE MARIA A BETLEMME, IN UNA STALLA.

L’imperatore Augusto aveva ordinato il censimento del popolo, così Maria e Giuseppe dovettero recarsi nella loro città natale, Betlemme (S. Luc. II, 1). Dando questo ordine, Augusto, come molti sovrani, servì come strumento inconsapevole del fatto che Ella non trovò posto a Betlemme (ibid.). Questa stalla sembra essere stata fuori Betlemme, nelle rovine di un palazzo di Davide, che in seguito servì come rifugio per i pastori e le loro greggi (Cath. Emmerich). La nascita di Cristo fu miracolosa quanto il suo concepimento, poiché Maria fu esentata dalla maledizione (Gen. III, 16) pronunciata contro Eva; fu esentata, dice S. Bernardo, dai dolori della maternità, perché era libera dalla concupiscenza. – A proposito di questa nascita, Sant’Agostino esclama: “Ecco, colui che sostiene i mondi giace in una mangiatoia! Colui che è il cibo degli angeli è è nutrito da una madre. La forza è diventata debolezza perché la debolezza diventi forte. “Un grande medico è disceso dal cielo, perché sulla terra c’è un infermo, gravemente malato; egli ci cura con un metodo nuovo, togliendoci le malattie. “Cristo – dice San Paolo – si è fatto povero, essendo ricco perché noi fossimo arricchiti dalla sua povertà” (2 Cor. VIII, 9). – Tutte le circostanze che circondano la nascita di Cristo sono piene di misteri (come lo sono tutti gli eventi della sua vita): 1. Gesù nacque a Betlemme (la casa del pane), perché Egli è il pane dal cielo (S. Ger.); a Betlemme e non a Nazareth, cioè in un luogo estraneo, perché aveva lasciato il cielo, la sua patria, per venire sulla terra, dove è uno straniero per la maggior parte degli uomini. 2 Nacque tra i pastori e le loro greggi, perché voleva essere il buon pastore (San Giovanni) di un grande gregge. 3 È nato in una stalla, perché la terra è più misera di questa grotta rispetto al cielo. Non è nato in un palazzo, per ispirare fiducia a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a Lui. (S. P. Chr.) 4. Nasce oscuro, perché è il Dio nascosto. (Is. XLV, 15), invisibile a noi in questa vita, che ama le opere buone fatte in segreto (S. Matth. VI, 1-6). 5. Egli giace in una mangiatoia dove gli animali prendono il loro cibo. perché anche Lui vuole essere il cibo delle anime. Egli fin dalla nascita è adagiato sul legno, per indicare che è venuto sulla terra per morire sulla croce, (Similitudine tra la culla e il tabernacolo). 6. Egli è nato in una notte, perché quando arrivò il genere umano era immerso nelle tenebre dell’ignoranza di Dio. 7. Nasce in inverno, in una notte fredda (in Palestina le notti sono relativamente molto fredde), perché i cuori degli uomini erano freddi, totalmente privi dell’amore di Dio e 8. Scende dal cielo di notte, come la rugiada (Is. XLV, 8), perché esercita sugli uomini l’azione benefica della rugiada sulle piante. 9 Nasce quando a Roma il tempio di Giano è chiuso e la pace regna su tutta la terra, perché è il principe della pace (id. IX, 6), è un Dio di pace. 10.Egli viene sotto forma di bambino e non in età matura, per attirarci di più: noi ci spaventiamo di fronte a un grande signore, ma ci avviciniamo a un bambino piccolo non solo senza paura, ma con compassione, quando ascoltiamo i suoi gemiti. 11. Gesù viene nella povertà e nell’indigenza per mostrarci che il cielo non si raggiunge attraverso i piaceri e i godimenti sensuali ma attraverso la sofferenza e l’abnegazione. 11 vuole dimostrare che è un amico dei poveri, ai quali si rivolgerà per prima cosa per annunciare la buona novella. (S. Luc. IV, 18). 12. Gesù fa risplendere una luce intensa nella notte di Betlemme, per indicare che egli è la luce venuta nel mondo per dissipare le tenebre (S. Luc. IV, 18). (S. Giovanni 1). 13.Il canto degli Angeli annuncia immediatamente il motivo della sua venuta: Egli vuole glorificare Dio (S. Giovanni XIII. 32), portare agli uomini la pace: pace con Dio attraverso il suo sacrificio di riconciliazione sulla croce, pace con il loro prossimo attraverso la pratica della carità, dell’amore per i nemici, della mitezza; pace con se stessi attraverso la contentezza derivante dalla pratica delle virtù evangeliche. 14. Fece annunciare la sua venuta dagli Angeli, non ai superbi farisei e agli scribi, ma ai pastori, perché nasconde i suoi misteri ai saggi e ai prudenti di questo mondo e li rivela ai piccoli, (S. Matth. XL 25) e che dà la sua grazia agli umili, mentre resiste ai superbi (I Pietro V, 5). Inoltre ha indicato che, nel corso dei secoli, il Vangelo sarebbe rimasto per gli orgogliosi, anche per i più dotti, un libro chiuso, mentre sarebbe stato compreso dagli umili e dai piccoli. Egli chiama alla sua mangiatoia prima i Giudei, nella persona dei pastori, poi le nazioni, nella persona dei Magi, indicando che avrebbe mandato i suoi Apostoli prima ai Giudei (S. Matth. XV, 24) e poi ai Gentili per chiamarli alla Chiesa. 16. La stella meravigliosa che apparve ai Magi doveva indicare agli uomini che Cristo è l’Ammirabile annunciato da Isaia (IX, 6). 17. Il censimento fatto al momento della sua nascita, richiama quella del suo secondo Avvento; Gesù inizia così a insegnare nella sua nascita prima che iniziasse a balbettare. (Cat. rom.). Osservazioni liturgiche. Natale, il 25 dicembre è la festa della Natività di Cristo. – La notte di Natale si celebra una Messa solenne a mezzanotte e ogni sacerdote deve celebrare tre messe per ricordare il triplice avvento di Gesù (in forma umana a Betlemme, sotto le specie eucaristiche sull’altare e nella sua maestà nell’ultimo giorno), e la sua triplice nascita (la sua generazione eterna da parte del Padre, la nascita temporale da Maria e la sua nascita spirituale nei nostri cuori per grazia). L’usanza di erigere culle nelle chiese risale a San Francesco d’Assisi. L’albero di Natale ricorda l’albero fatale del paradiso e anche l’albero della croce. Per questo motivo vi si appendono frutta, luci e oggetti preziosi. I regali di Natale sono un simbolo dei doni ricevuti dall’umanità da Dio Padre. – All’indomani si celebra la festa di Santo Stefano e quella di San Giovanni Evangelista il giorno successivo, poi quella dei SS. Innocenti. La Chiesa sembra dirci: Se vuoi arrivare a Gesù Cristo, sii come Stefano, un martire, cioè un testimone, se non con il sangue, almeno con l’abnegazione e la pazienza; siate come Giovanni pieni di amore per Dio e per il prossimo, praticando le opere di misericordia; siate come un bambino davanti a Dio. Le quattro settimane che precedono il Natale si chiamano Avvento (arrivo) e rappresentano i 4.000 anni che hanno preceduto la venuta del Salvatore. L’Avvento, che ci ricorda il peccato originale e la miseria della razza umana, è sempre stato considerato un tempo di penitenza. La Chiesa primitiva (480) prescriveva 3 giorni di digiuno alla settimana e faceva leggere ogni Domenica il Vangelo gli appelli di Giovanni Battista alla penitenza.

L’Avvento si conclude il 24 dicembre con la commemorazione di Adamo ed Eva, per mostrarci il contrasto tra il primo Adamo e il secondo, per mostrarci l’immensa misericordia di Dio rivelata nell’Incarnazione. L’Avvento coincide con una stagione fredda e buia, proprio come prima di Gesù l’umanità era sprofondata nel buio della comprensione e della freddezza del cuore (il mondo pagano era idolatra, praticava la schiavitù e i sacrifici umani).

Il neonato Gesù fu adorato prima dai pastori, poi dai tre Magi.

I pastori stavano accudendo le loro greggi nella campagna di Betlemme ed appresero da un Angelo che Cristo era nato (S. Luc. II, 9); i tre Magi provenienti dall’Oriente (da un paese situato ad est della Palestina), grazie ad una stella miracolosa, che li condusse alla mangiatoia. (S. Matth. II, 9). Questa stella non era dunque una stella ordinaria, perché si muoveva in varie direzioni: S. Giovanni Cris. crede anche che si trattasse di un Angelo in forma di stella. I Magi indicavano con i loro doni le qualità di Colui che adoravano (S. Irén.): la sua regalità, attraverso l’oro, simbolo di fedeltà; la sua divinità, per mezzo dell’incenso, simbolo di preghiera; il suo sacerdozio redentore dalla mirra, simbolo della mortificazione e della sua passione. I Magi tornarono al loro paese per una via diversa, per indicare che possiamo tornare in paradiso, la nostra patria, solo abbandonando la via del peccato, e percorrendo quella della penitenza, dell’obbedienza e del dominio di sé. (S. Grég. M.) – I pastori erano i rappresentanti dei Giudei (e dei poveri); i tre Re, quelli dei Gentili (e dei ricchi). Le reliquie dei Re Magi vennero portate da Federico Barbarossa a Colonia (1162), dove riposano nella Cattedrale. – La festa dei Re Magi si celebra il 6 gennaio. Il giorno prima, nella primitiva chiesa orientale, venivano battezzati i Pagani. – È chiamata anche festa dell’Epifania (apparizione) perché in questo giorno in alcune chiese si celebrava la Natività, cioè l’apparizione di Cristo sulla terra.

(Nella Chiesa greca, l’Avvento dura fino a questa festa). Questo giorno commemora anche il battesimo di Gesù Cristo e il suo primo miracolo a Cana.

Quando il Salvatore aveva otto giorni, fu circonciso e gli fu dato il nome di Gesù. (S. Luc. II, 21).

La circoncisione era una cerimonia simbolica di purificazione dai vizi. (S. Ambr.) Gesù (in ebraico, Joshua) significa Salvatore, liberatore. Questo nome, dice S. Paolo, è al di sopra di tutti i nomi (Fil. II, 9); esso è stato scelto da Dio stesso e annunciato alla Beata Vergine (S. Matth. Vergine (S. Matth. I, 21). Questo nome ha un potere divino; la sua invocazione ci procura soccorso nella tentazione e in ogni disgrazia; i demoni sono scacciati da esso. (S. Marc. XVI, 17). I Profeti chiamavano spesso il Messia, Emmanuele, cioè Dio con noi (Is. VII, 14). – La festa della Circoncisione, il 1° gennai è anche il nuovo anno. La Chiesa ci esorta ad iniziare tutto l’anno nel Nome di Gesù e a purificare i nostri cuori da ogni peccato e vizio (Col. II, 11), se vogliamo avere un anno nuovo buono e felice. Fu Papa Innocenzo XII che, nel 1691, fissò l’inizio dell’anno al primo di gennaio. In precedenza, si iniziava generalmente a Natale. La vigilia di Capodanno, S. Silvestro, era in altri tempi un giorno festivo; da qui, in alcune regioni, le funzioni solenni per chiudere l’anno. Inoltre, è opportuno che ogni Cristiano non passi questo giorno in piaceri insensati, ma di rendere grazie per le benedizioni di Dio nell’anno trascorso, perché in questo modo xe ne attiviamo di nuove per il futuro.

Quando Gesù aveva 40 giorni, fu presentato nel tempio di Gerusalemme. (S. Luc. n, 39).

Maria osservò la legge di Mosè (Lev. XII), anche se la sua purezza la esentava da essa, offrì Gesù, perché Dio, al tempo della morte del primogenito d’Egitto, riservò a sé il primogenito degli israeliti (Num. VIII, 17). – Questa festa della Purificazione è chiamata anche Candelora. Infatti la Chiesa ha istituito in questo giorno una

processione prima della Messa con le candele accese, perché nel tempio il vecchio Simeone aveva proclamato Gesù, la luce che illumina le nazioni (S. Luc. Il, 32), da cui l’espressione, Candelora. Prima della processione ha luogo la benedizione delle candele; il Sacerdote chiede luce e protezione per tutti coloro che le portano. Non è superstizione accendere queste candele durante i temporali, metterle tra le mani dei moribondi e chiedere l’aiuto di Dio per questa preghiera del Sacerdote. Sarebbe solo superstizione se a queste candele si attribuisse una virtù infallibile contro il fulmine: quest’ultimo può cadere nonostante la candela, ma Dio può proteggere il Cristiano devoto. – Il giorno dopo la Candelora si celebra la festa di S. Biagio: in questo giorno i Sacerdoti benedicono il collo dei fedeli con delle candele della vigilia, perché in questo modo S. Biagio salvò un bambino dalla morte. Le candele accese in questi due giorni simboleggiano Gesù come luce del mondo, secondo le parole di Simeone citate sopra. Seguendo l’esempio di Maria, le madri cristiane portano i loro bambini appena nati in chiesa per offrirli a Dio (la cerimonia dell’elevazione).

Gesù trascorse i primi anni della sua vita in Egitto. Poi visse a Nazareth fino al suo trentesimo anno (Matth. II).

Un Angelo ordinò a Giuseppe di fuggire con il bambino, perché Erode stava attentando alla sua vita. Egli allora fece uccidere tutti i bambini maschi di età inferiore ai due anni (ibid. 16). Questa piaga colpì le madri di Betlemme a causa della loro durezza nei confronti del Salvatore, rifiutando un asilo a sua madre e a Giuseppe. Gli Innocenti non persero nulla con questo martirio, anzi il battesimo di sangue procura la beatitudine eterna. In un sobborgo del Cairo (ex Heliopolis) si venera la casa dove visse la Sacra Famiglia. L’Egitto è stato benedetto dalla presenza di Gesù bambino, e divenne la dimora di migliaia di monaci che condussero una vita “angelica”(Sant’Antonio l’Eremita, San Paolo di Tebe). Fu su un’isola nel Nilo che S. Pacomio fondò il primo monastero (340). Dopo il suo ritorno dall’Egitto, Gesù visse a Nazareth; scelse questo luogo perché era disprezzato dai Giudei: voleva darci una lezione di umiltà. Fino all’età di 30 anni ha condotto una vita assolutamente nascosta, per raccomandarci la lontananzadalmondo.

All’età di 12 anni, Gesù si recò al tempio di Gerusalemme.

Lì stupì i maestri con la sua saggezza.

Quando Cristo raggiunse l’età dell’uomo, Giovanni il Battista nel deserto annunciò il ministero pubblico di Gesù.

Questa è la storia di Giovanni Battista: l’Arcangelo Gabriele annunciò la sua nascita a suo padre Zaccaria nel tempio nell’ora del sacrificio. Zaccaria non volle credere e divenne muto; (S. Luc. 1) alla nascita del bambino recuperò la parola e cantò il magnifico cantico del Benedictus (ibid. 57-80). Fin dall’adolescenza, Giovanni visse nel deserto e si preparò con austere penitenze ai suoi doveri di precursore del Salvatore. Quando Gesù aveva circa 28 anni (S. Luc. III, 1), Giovanni, ispirato da Dio, uscì dalla sua solitudine, predicò sulle rive del Giordano una severa penitenza alle masse che accorrevano a lui, annunciò la venuta del Messia e battezzò (S. Matth. III). Un giorno vide arrivare Cristo e gridò: Questo è l’Agnello di Dio, che toglierà i peccati del mondo. “(S. Giovanni I, 29). Quando Giovanni rimproverò Erode per la sua vita dissoluta, Erode lo fece gettare in prigione e poi decapitare durante un banchetto. (S. Matth. XIV). S. Giovanni è il modello degli anacoreti.

II. La vita pubblica di Cristo.

All’età di 30 anni, Gesù fu battezzato da Giovanni nel Giordano e poi digiunò per 40 giorni nel deserto, dove fu tentato dal diavolo (S. Matth. III, IV). Tutti i messaggeri di Dio si ritirarono in solitudine prima della loro vita pubblica; Mosè, Giovanni Battista e gli Apostoli prima della Pentecoste. Attraverso il suo digiuno e la sua lotta vittoriosa con il demonio, Gesù, il nuovo Adamo, ha voluto rimediare per il peccato di aver mangiato il frutto proibito nel paradiso e per la caduta nella tentazione. – Il numero 40 ricorre spesso nella Scrittura e i Padri ne hanno fatto il simbolo della penitenza.

La piaga del diluvio, il digiuno di Mosè ed Elia durò 40 giorni, i Niniviti ebbero 40 giorni per convertirsi, Gesù rimase 40 giorni sulla terra dopo la sua risurrezione; gli israeliti trascorsero 40 anni nel deserto. – Liturgia: In memoria del digiuno di Gesù, la Chiesa ha prescritto i 40 giorni di digiuno quaresimale, che iniziano il mercoledì delle ceneri. Per esortarci seriamente a fare penitenza, la Chiesa ci ricorda con forza il pensiero della morte. Il Sacerdote sparge la fronte con la cenere, simbolo della nostra mortalità, e ci dice: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai“. “Questa cenere è fatta con rami benedetti dell’anno precedente, per ricordarci la fugace vanità dei piaceri e della gloria terrena. La Quaresima dura dal Mercoledì delle Ceneri alla Domenica di Pasqua; durante questo periodo gli adulti, secondo la legge della Chiesa, consumano un solo pasto al giorno, e tutti i Cristiani devono evitare i piaceri rumorosi e meditare sulla passione del Salvatore. (Da qui i sermoni quaresimali e i veli sulle immagini dell’altare). La domenica, il sacerdote indossa paramenti di colore viola (il colore della penitenza), e invece di dire Ite missa est, che indica la fine dell’ufficio, dice Benedicamus Domino, come per invitare il popolo a rimanere in chiesa per pregare e benedire Dio. In molte chiese ci sono saluti serali in cui si canta il Miserere. – I 3 giorni che precedono la Quaresima sono chiamati carnevale (caro = carne, vale=addio). Per allontanarci dai piaceri rumorosi di questo periodo la Chiesa fece celebrare in alcune chiese l’esposizione delle 40 ore. La follia, in particolare le mascherate e i balli in maschera che precedono il Mercoledì delle Ceneri, sono di origine pagana; i pagani celebrano a febbraio, quando le giornate si allungano notevolmente, il presunto ritorno di Apollo sul suo carro splendente. La quinta domenica di Quaresima, le croci vengono velate per simboleggiare la fuga del Salvatore, che fu costretto a nascondersi per non essere ucciso prima del tempo (S. Giovanni XI, 54); questa domenica è detta della Passione, perché da quel momento in poi la Chiesa è assorta nel meditare la passione del Salvatore.

A partire dal suo 30° anno di vita, Cristo viaggiò per la Giudea e insegnò per quasi 3 anni, raccogliendo intorno a sé 72 discepoli tra i quali scelse 12 Apostoli.

Gesù iniziò il suo ministero dottrinale alla festa di nozze di Cana, dove compì il suo primo miracolo per mostrare che il regno a cui invita le persone è come un matrimonio. (S. Matth. XXII, 1). Cristo parlava spesso a grandi folle,

da 4000 a 5000 persone, senza contare donne e bambini. (Moltiplicazione dei pani); Zaccheo, il pubblicano, fu costretto a salire su un albero per vedere Cristo in mezzo alla folla. Gesù Cristo era solitamente accompagnato dai suoi Apostoli e discepoli; essi erano testimoni di tutte le sue parole ed azioni, al fine di proclamarle a tutti i popoli del mondo. Gli Apostoli erano figura dei Vescovi; i discepoli, quella dei Sacerdoti, i collaboratori degli Apostoli. Apostolo significa inviato. – La dottrina di Cristo è giustamente chiamata Vangelo, cioè buona notizia, perché il Vangelo annuncia la remissione delle pene del peccato e l’eredità del cielo. (S. Giovanni Cris.) – Cristo è il Maestro dei maestri; ha insegnato come se avesse autorità, in modo tale da stupire il popolo con la sua dottrina (S. Marco I, 22 – S. Matth. VII, 29).

Cristo parlava chiaramente, con semplicità ed illustrava il suo linguaggio con azioni simboliche, parabole, allusioni allo spettacolo della natura.

La dottrina di Cristo è come un tesoro nascosto nel campo del linguaggio semplice. (Matteo III, 44). Tutti gli uomini apostolici parlano in modo semplice; non cercano di piacere, ma di farsi capire e di fare del bene. Parlano con il cuore e il loro linguaggio è sempre semplice. – Gesù Cristo ha anche usato azioni simboliche. Ha alitato sugli Apostoli, comunicando loro lo Spirito Santo, che è come un soffio che emana dalla divinità; elevò le mani (S. Luc. XXIV, 50) dando loro il potere di insegnare e battezzare prima della sua ascensione. Quando guarì il cieco nato (S. Giovanni IX), “sputò a terra, fece un po’ di fango, lo strofinò negli occhi del cieco e lo portò alla piscina, come se volesse dire: “l’acqua viva della mia dottrina, che esce dalla mia bocca e si mescola alla polvere, ha guarito l’uomo dalla sua cecità spirituale se inoltre si fa battezzare. – Cristo parlava spesso in parabole: il figliol prodigo, la samaritana, il ricco epulone ed il povero Lazzaro, il fariseo nel tempio, la vergine saggia e quella stolta, il servo buono e quello cattivo, i 10 talenti, la pecora perduta, la dracma perduta, il fico, gli operai nella vigna, le nozze reali, il grande banchetto, le 7 parabole sul regno del cielo: il seminatore, il grano e la zizzania, il seme di senape, il lievito, la rete, il tesoro nel campo, la perla. – Cristo ha fatto continue allusioni allo spettacolo della natura davanti ai suoi occhi: il giglio e l’erba del campo, i passeri sul tetto, il seme, la zizzania, il fico, la vite, le pecore, i pastori. La natura e la religione cristiana hanno molte analogie, entrambe vengono da Dio.

Cristo ha predicato per primo il Vangelo ai poveri.

Lo disse lui stesso nella sua risposta ai discepoli di Giovanni: “Il Vangelo è stato predicato ai poveri”. (S. Matth. XI, 6); nella sinagoga di Nazareth applicò a se stesso come al Messia, queste parole del profeta: “Il Signore mi ha mandato a evangelizzare i poveri”. (S. Luc. IV, 18). I poveri sono già in parte distaccati dai beni di questo mondo, e quindi più pronti a ricevere il Vangelo.

Il pensiero fondamentale di tutti gli insegnamenti di Gesù Cristo è questo: “Cercate il regno di Dio”.

“Cercate prima il regno di Dio!” dice nel Discorso della Montagna (S. Matth. VI, 33), cioè cercate la felicità eterna. Gli evangelisti riassumono anche la dottrina di Gesù Cristo in queste parole: “Fate penitenza e credete al Vangelo, perché il regno dei cieli è vicino”. (S. Matth. IV, 17 – S. Marco 1, 15).

Cristo ha insegnato nuovi dogmi, ha dato una nuova legge una nuova legge, istituì nuovi mezzi di santificazione.

Insegna, ad esempio, il mistero della Santissima Trinità, la sua stessa divinità, il Giudizio Universale. Promulgò la duplice legge della carità e perfezionò il Decalogo, ha persino proibito l’ira, le parole ingiuriose, eccetera; – ha istituito il s. Sacrificio della Messa, i 7 sacramenti e ci insegnò il Padre Nostro.

Cristo ha giustificato la sua missione divina e la verità della sua dottrina con numerosi miracoli, con prove della sua onniscienza e dalla santità della sua vita.

Cristo stesso si è appellato ai suoi miracoli quando ha detto: “Se non credete a me (cioè alle mie parole), credete alle mie opere”. (S. Giovanni X, 38). Nicodemo conclude anche dai miracoli di Cristo la sua missione divina: “Nessuno può fare i miracoli che fai tu, se Dio non è con lui”. (S. Giovanni III, 2). Cristo ha compiuto tutti i suoi miracoli con il proprio potere, mentre altri li hanno compiuti solo in Nome di Dio o di Cristo. Ne parleremo più avanti in relazione alla divinità di Gesù Cristo. – Egli era onnisciente; conosceva i peccati più segreti: quelli della Samaritana, quelli dei Farisei che gli avevano portato l’adultera nel tempio; prevedeva i piani di Giuda per tradirlo, le debolezze di Pietro e molte altre circostanze della sua passione, e le sue predizioni si sono avverate.

– Cristo è ancora notevole per la sua straordinaria santità; la sua pazienza, dolcezza, umiltà, carità, ecc. non sono mai state eguagliate. Come potrebbe un uomo così santo mentire?

I farisei e gli scribi lo odiavano e lo perseguitavano, perché non era all’altezza delle loro aspettative di un Messia e attaccava i loro vizi; dopo la resurrezione di Lazzaro, progettarono addirittura di ucciderlo.

Volevano lapidarlo nel tempio (S. Giovanni VIII, 59; X, 31), gettarlo giù da una roccia a Nazareth (S. Luc. IV, 29); lo hanno vituperato; lo hanno chiamato servo del diavolo (S. Matth. XII, 24), un sobillatore, un profanatore del sabato. Gli tendevano trappole, ad esempio chiedendogli se fosse lecito pagare un tributo a Cesare”. Tutto l’insegnamento di Cristo era quindi già una sorta di sacrificio. – Gli ebrei pensavano che il Messia sarebbe stato un re temporale molto potente che li avrebbe liberati dal giogo romano e speravano che li avrebbe riempiti dei beni di questo mondo. Ma Gesù è nato nell’oscurità e nella povertà; ha prescritto la mortificazione, le opere di misericordia, ecc.. Inoltre, rimproverava ai farisei la loro ipocrisia e il loro atteggiamento puramente esteriore, e li chiamava sepolcri imbiancati (S. Matth. XXIII, 27), figli di Satana (S. Giovanni VIII, 44). Per questo lo perseguitarono e attaccarono la sua dottrina; poi quando i capi dei sacerdoti e i farisei vennero a sapere della risurrezione di Lazzaro, dissero: “Quest’uomo fa molti miracoli; se lo lasciamo fare, tutti crederanno in Lui” e decisero di ucciderlo. (S. Giovanni XI, 47-53).

LO SCUDO DELLA FEDE (270)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (13)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XIII.

MISTERI

I. La mia ragione non può ammettere misteri. II. Involgono contraddizione. III. Che ragione può esservi per ammetterli?

La fede presenta varie sorta di verità da credere: alcune alle quali l’uomo non giungerebbe o giungerebbe a stento, ma che, dopo che sono rivelate, non hanno nulla che ripugni alla ragione, come sono, a cagione di esempio, le perfezioni di Dio, la creazione, i principii eterni della giustizia e della moralità: altre alle quali non solo mai giungerebbe l’uomo lasciato a sé stesso, ma che a che dopo rivelate non si possono intendere e si debbono solo credere piegando l’intelletto in ossequio della fede. Tali sono, a cagion di esempio, l’Unità e Trinità di Dio, l’Incarnazione del divin Verbo, la presenza reale di Cristo nel Sacramento, ed universalmente tutti quelli che chiamiamo misteri. Ora intorno alle verità di primo ordine, dicono alcuni, potremmo anche adattarci, ma quanto alle seconde, cioè ai misteri, chi potrebbe sottomettervisi? Queste non hanno scopo, non potendo tornar di verun giovamento il credere quello che non s’intende, senza dir poi che la ragione non può mancare a sé stessa come farebbe ammettendo contraddizioni. Di che s’impuntano fieramente e non vogliono saperne e rigettano tutto quello che ha del misterioso. E tuttavia credete voi che abbiano veramente ragione di così fare? Come hanno torto quei che ricusano la fede, così hanno torto marcio quei che ficcano di stenderla fino ai misteri. Il primo l’abbiamo veduto nel capo antecedente, l’altro il vedremo qui.

I. La mia ragione non può ammettere misteri. Cominciamo dai dritti sempiterni della povera umana ragione tanto debole da un lato, e tanto superba dall’ altro. E perché non può la vostra ragione ammettere i misteri? Abbiamo detto di sopra che noi per fede crediamo sull’ autorità di Dio che parla, dopo che abbiamo posto in sodo, con ogni genere di dimostrazione, che è veramente Iddio quello che ha parlato. Ma se è così, che importa che Dio parli cose intelligibili o non intelligibili? Iddio non è sempre infallibile nella sua parola? Non ha sempre gli stessi diritti sopra di noi? Non può esigere il sacrificio anche del nostro intelletto? Che vale adunque iI dire io non comprendo quello che Egli propone? Avete almeno compreso che è un Dio quello che lo propone? Se avete compreso questo, che non può non comprendersi, avete compreso quanto basta perché siate legato di mani e di piedi, e perché non possiate più fiatare in contrario, se pure non ignorate al tutto quello che sia Dio, la sua padronanza, la sua sapienza, la sua veracità. I vostri diritti son belli e buoni, ma credo che anche Dio possa avere qualche diritto sulle sue creature, e quando voglia farlo valere, come ha fatto nel nostro caso, credo che non avrete diritti contro di Dio. Questa ragione non ammette replica e basta da sé sola a sciogliere ogni difficoltà. – Ciononostante, per trattare con maggior condiscendenza la vostra difficoltà, perché dite che la vostra ragione rimane offesa dai misteri? Non v’avvedete che i miccini hanno già aperto gli occhi e già sanno quello che significano certe frasi, tolte ad imprestito da chi le ha inventate per darsi un po’ d’aria filosofica, quando appunto gli mancava la filosofia? Se il credere quello che non intendete offende la vostra ragione, potete andarvi a riporre, perché questo mondo sublunare non fa per voi. Qui ad ogni momento avrete da credere cose che non comprendete, e vi converrà toglierlo con pazienza, se già non vi mettete all’impresa di fabbricarvi un mondo a bella posta per voi, dove tutto sia chiaro ed intelligibile. E che? Comprendete voi tutti i misteri della natura che avete sempre sotto gli occhi? Di grazia, non credete voi che i venti soffino, benché sapete come essi soffiano; che la luce illumini, benché non ne conosciate l’intima natura; che esista l’etere, benché non apprendete di che sia costituito? Entrate in una famiglia, dove saranno forse sei figliuoli, l’uno savio, l’altro discolo, il terzo sempre gaio, il quarto sempre piangoloso; quegli intende tutto appena avete aperto bocca per parlare, l’altro, per quanto facciate, non in nulla, e sono tutti figliuoli di uno stesso padre, d’una stessa madre. Donde tanta diversità? Ne comprendete voi il mistero? Se siete mai entrato un poco innanzi nella fisica, nella metafisica, nella medicina, od in qualche altra scienza anche naturale, voi non potete ignorare che sono misteriosi nelle loro cagioni i fatti che abbiamo più comunemente sott’occhio, e tuttavia la ragione di nessuno rimane offesa ad ammetterli. Il celebre P. Lacordaire a un cotale che non poteva credere, fece questa interrogazione: sapete voi come avvenga che il fuoco, il quale strugge il burro, induri le uova? Eppur tuttoché non lo intendiate, credete benissimo alla frittata: pensate adunque se debbano offendere la ragione i misteri divini proposti da un Dio! Io vi dirò di più: siccome questi misteri riguardano Iddio, la nostra ragione tanto non resta offesa da essi, che anzi prima ancora che si metta ad investigare le cose divine, già debba aspettarseli. Chi si getta attraverso un oceano per passarlo, deve spettarsi correnti e scogli e venti e burrasche, perché così lo richiede la natura del mare. Così chi si fa a considerare le cose di Dio, deve aspettarsi profondità, sublimità, immensità inarrivabili a mente umana, cioè misteri. – Se Dio, la sua natura, le sue perfezioni, le sue opere potessero esser comprese dall’uomo, sì che egli le adeguasse col suo intelletto, una delle due: o l’uomo sarebbe pari a Dio, o Dio scenderebbe fino alla meschinità dell’uomo. Dire il primo sarebbe un orgoglio pari a quello dello spirito reprobo che disse: Sarò simile all’Altissimo; l’altro sarebbe una bestemmia non ancora venuta in mente, che si sappia, a veruno dei demoni. Il perché la religione vera sarà sempre una religione di misteri, e tanto è falso che il mistero sia indizio di falsità, che anzi vi sarebbe subito da sospettare falsità dove non fosse mistero. – Né solo per ragione dell’oggetto che è Dio, diventa facile la credenza dei misteri, ma ancora (cosa veramente ammirabile!) per l’inclinazione soavissima che ad ammetterli Iddio ha collocata nella natura dell’uomo, dalla quale siamo portati naturalmente a tutto quello che è misterioso sino ad esserne passionati. E vaglia il vero, donde quell’avidità che hanno i giovanetti di essere messi a parte di cose occulte e segrete e di misteriosi avvenimenti? Donde l’ascoltarli con tanta avidità e farne tesoro quando anche sanno che sono finzioni, se non dall’allettamento che ha per noi il mistero? Donde sono sbucate le notturne congreghe, le divinazioni, i sortilegi e tante altre superstizioni perseguitate sì vivamente non solo dalla Chiesa, ma pur dalle leggi civili? Donde l’avventarsi a dì nostri con tanta furia a tutte le mirabilità del magnetismo, delle tavole parlanti, dello spiritualismo, se non per quel carattere misterioso che esse presentano? Noi abbiamo un affetto inestinguibile, al vero, ma come scambiamo spesso il reale coll’apparente, ne nasce l’errore; noi abbiamo un amor invincibile al bene, ma come ci atteniamo spesso all’ombra invece del corpo, ne nasce la colpa: similmente l’inclinazione che abbiamo al mistero fa sì che quando non abbiamo i veri ed i santi, ci appigliamo ai fallaci ed agli irreligiosi. – E ciò è sì vero, che nel secolo scorso in Francia, quando giunta al colmo l’incredulità, ed abolito il Cristianesimo, ed adorata la ragione, furono tolti di mezzo i santi misteri della fede, il popolo si precipitò con tanta furia nei misteri nefandi dei vizio e della superstizione, che non vi fu più modo di dar corso ai processi. Il Portalis testifica che, nella Biblioteca nazionale di Parigi, non si chiedevano più altri libri che di cabala e di magia; il Roubies, bibliotecario pubblico a Lione, mostrò al medesimo le prove autentiche di misteri abominandi che si celebravano periodicamente in notturne assemblee e di tanto orrore, che a petto di essi erano un nulla le più svergognate superstizioni del paganesimo. Ed ai nostri giorni negli Stati Uniti ed in Ginevra quelli che, per non ammettere la divinità di Cristo, negano il mistero dell’Incarnazione, si assidono intorno ad una tavola che loro parla; e credono colla miglior fede del mondo che gli Angeli, gli Arcangeli e Gesù Cristo stesso si trattengono in petto ed in persona con loro sin quando parlano da libertini. Tant’è; bisogna che il mistero santo e religioso occupi convenientemente il nostro spirito, o esso si gitterà ai misteri tenebrosi e svergognati del vizio e della superstizione. – E del dover essere così vi è una ragione chiarissima. Nel mistero vi ha alcun che di maraviglioso, e noi siamo tratti naturalmente quel che desta la meraviglia; nel mistero v’ha del grande e del sublime, e noi siam tratti naturalmente all’immenso ed all’infinito; nel mistero v’ha qualche cosa di augusto e di venerando, e noi, se non facciamo violenza alla nostra natura, siamo portati alla religione ed alla pietà. Non sappiamo spesse volte render ragione delle nostre tendenze, ma non possiamo sottrarci alla forza di quelle inclinazioni che Dio ci pose nel cuore. Il perché tanto è falso che la nostra ragione rimanga offesa dai misteri, che anzi se ne trova mirabilmente giovata e confortata.

II. I misteri, continuano, involgono contraddizioni, ed allor… Non andate oltre. Se voi faceste questa difficoltà ad un putto di dieci anni ben ammaestrato nel catechismo, vi accoglierebbe con una risata, e poi vi risponderebbe che non sono contrari alla ragione, ma superiori: e che però la contraddizione non è reale ma solo apparente. Vedetelo in un esempio: Se, parlando del mistero della SS.Trinità, si dicesse che vi è un Dio solo e che vi sono tre Dei, questa sarebbe una vera contraddizione, e quindi un vero impossibile, perché non si può verificare tutto insieme che Dio sia un solo e che siano tre gli Dei: ma se si dica solamente quel che dice la fede, che Dio è uno solo, sebbene questo Dio solo sussista in tre Persone, non vi è contraddizione veruna. La divinità è una sola sebbene in tre Persone. Resta solo in ciò il mistero che non comprendiamo come Dio possa avere una triplice sussistenza. Ma perché non lo comprendiamo, può forse la nostra ragione Dire che non sia possibile? Per affermarlo bisognerebbe prima che avessimo tale cognizione della natura divina e di tutte le sue proprietà, che potessimo dire tutto quello che le conviene, e tutto quello che le disdice. Il che, come ognun vede, sarà sempre impossibile alla nostra limitatissima capacità, e quindi sempre falsissimo che essa trovi delle contraddizioni nel mistero. E quello che io vi ho detto di questo mistero, e voi applicatelo a tutti gli altri. Non comprendo come Gesù Cristo possa essere tutto insieme e Uomo e Dio: si, ma avete voi mai letto nel profondo dell’essenza di Dio tutte le maniere onde una Persona divina può congiungersi ad una creatura? Non comprendo come Gesù Cristo possa trovarsi sotto le specie sacramentali nella Eucaristia: sì, ma avete scrutati tutti i segreti della sapienza e potenza divina per definire tutti i modi di esistere che essa può dare ad un corpo? Non comprendo come la Madonna possa essere tutto insieme e Vergine e Madre: sì, ma avete voi dunque penetrati tutti i segreti della infinita virtù di Dio, perché possiate accertare che non si stende a quell’effetto? Definite prima tutto ciò e poi potrete parlare. Non vedete che per poter dire che il mistero è impossibile, e contraddittorio, vi bisognerebbe conoscere prima l’essenza, l’infinità, l’onnipotenza, l’immensità di Dio, e che essendo ciò impossibile, perché l’uomo finito non è capace dell’infinito, sarà anche eternamente impossibile il trovare ed il dimostrare nel mistero una contraddizione?

III. Se non che replicano tuttavia: Qual motivo può aver avuto Iddio a porporci dei misteri da credere? Quello che non s’intende non può produrre in noi nessun bene. Poteva dunque guidarci per altra via. Questa domanda sarebbe ridicola, se non fosse sacrilega.Imperocché e chi siamo noi, che domandiamo a Dio perché abbia fatto così? Non basta che ciò sia ordinato da un’infinita sapienza,perché debba curvarlesi prontamente dinanzi ogn’intelletto?E tuttavia non è così difficile il rintracciarne delle ragioni molto soddisfacenti. L’uomo si è perduto per la colpa onde nonvolle credere a Dio là nel paradiso terrestre: è dunque convenientissimomodo di espiazione, che ora creda a Dio senza comprenderequello che crede. In questo modo è mirabilmente ragguagliatala pena alla colpa. Inoltre, qual è il sacrifizio più grandeche l’uomo possa fare alla divinità? Non sono le vittime chepuò scannare, né le oblazioni che può offrire. Per l’intellettol’uomo si differenzia dai bruti ed emula l’angelica natura: or dunquenell’esercizio della fede sacrifichi quello che ha di più splendido,di più angusto, cioè il suo intelletto, e questo sarà sacrifiziodegno dell’uomo, e meno indegno di Dio. Finalmente qual è ilbene che noi aspettiamo come ultimo e preziosissimo frutto dellanostra religione? Il veder Dio faccia a faccia e goderlo svelato:ma dunque quale disposizione è più proporzionata a tal premio, chequella della fede, per cui ora si comincia a credere con merito quello che un giorno si vedrà svelatamente per ricompensa? Anchequeste sole ragioni bastano ad appagare chi con sincerità cerchiil vero. – Né seguita poi quello che affermano gli irreligiosi, che dal mistero non se ne ritragga veruna cognizione.. Imperocché i misteri sono come quella nuvola maravigliosa che guidava il popolo d’Israele nel deserto, la quale se era tutta tenebre da un lato, dall’altra poi spandeva una vivissima a luce. Così i misteri, mentre sono da una parte il nostro intelletto, e servono per esercizio allanostra fede, dall’altra lo illustrano con sovrane verità. In primo luogo, tuttoché non si comprenda quello che forma il mistero,non è da credere che, sotto quelle parole che lo annunziano, non siracchiuda una cognizione. Da quella sacra caligine sempre si traeuna verità sublimissima. Io non intendo come nel mistero. Della SS. Trinità, un Dio sussista in tre Persone distinte, né come nell’Incarnazione due nature sussistano in una sola Persona: mafrattanto ho queste due notizie intorno a Dio ed a Gesù Cristo:notizie di tanto pregio che mi fanno conoscere di Dio, della sua grandezza ed immensità più che non ne seppero naturalmente ipiù profondi pensatori che abbia avuto il mondo.Inoltre, ammessi che siano sulla divina parola i misteri spargonosulle altre verità una vivissima luce. Stando sempre all’esempioallegato, appena posto in sicuro che Dio è Uno e Trino, sispiega come il divin Figliuolo, assumendo la nostra umanità, abbiapotuto dare al Padre una piena soddisfazione. Le grandezzedivine di Cristo, il suo sacerdozio, il suo sacrifizio, i suoi meriti, itesori di confidenza che dobbiamo avere in Lui, la fonte donde ciperverranno tutte le grazie ed altre innumerabili verità che daquel mistero discendono, restano illustrate mirabilmente, sì che ilnostro intelletto se ne appaga. Dite lo stesso della presenza realedi Gesù Cristo nella Eucaristia. Noi non intendiamo come Gesùstia nell’Ostia, ma una volta creduto questo mistero sulla paroladi Gesù, ci si discoprono tutte le ricchezze dell’amor divino versodi noi, tutte le degnazioni, tutte le finezze di Gesù e l’esaltamentonostro e la incomparabile dignità in lui. E quello che si dicedi questi misteri, intendetelo pure di tutti. Sono essi una caliginesacra, è vero; ma una caligine da cui partono raggi di tantaluce, che a petto loro sono tenebre tutte le umane scienze. -E per verità i Padri di santa Chiesa ed i sacri Dottori, contemplandoa lungo quei santi misteri, ne traggono torrenti di vivaluce. Mettete S. Agostino e S. Ilario a speculare sovra il misterodella Trinità sacrosanta, e vi addenseranno volumi sopra volumidi verità al tutto maravigliose; S. Tommaso vi farà lo stesso sulladivina Eucaristia; S. Cirillo e S. Attanasio sulla divina Incarnazione;S. Ambrogio e S. Bernardo sulla Verginità di Maria, e cosìdi tutti i divini arcani, tutti i santi Dottori, mostrando col fatto diquanta luce siano fecondi i misteri, tuttoché oscuri, della santafede. -Sapete quello che solo si richiederebbe in chi muove tante difficoltà contro i misteri, per vedersele tutte sciolte in un punto?Un poco di buona fede, e che si cercasse sinceramente la verità.Ma il fatto è ben altrimenti: si grida contro i misteri, perché ciò sipuò fare senza parerne un animale; ma non sono i misteri quelli nella nostra religione principalmente dispiacciono, sono invece i comandamenti. Si dice che la ragione, la grande, la nobileragione, non consente che si credano tali veri, ed è invece la carne, l’ignobil carne, che non consente che si ammettano tali precetti.Ed io do in pegno l’esperienza di tutti i savii, che, dove Iddio si contentasse di abrogare un paio di comandamenti, per esempio,il sesto ed il settimo, questi nostri filosofi ammetterebbero dibuon grado duecento misteri: ed appena conceduto quel poco dilibertà al senso., la lor ragione non avrebbe più di che turbarsi, esarebbe ristabilita pienamente la pace fra tutti i miscredenti ed i fedeli.Il solo male è che Dio non accetta la condizione.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (53)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (53)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -X-

L. — DIO PREMIANTE E CASTIGANTE.

L 1. 1. Morte dell’uomo.

A morte dell’uomo occorse a causa del peccato, non per necessità di natura 146 222 372 1512 2617.

La fine della sua vita umana è anche la fine della condizione per meritare: non é da mettere in dubbio che le anime nel purgatorio siano fuori dallo stato di meritare 1488; add. il testo circa la sorte dell’uomo dopo la morte L 3 6; l’uomo che differisce la conversione alla fine della vita non trova spazio per la riconciliazione 310.

Cristo a.risorgendo sottomissione l’impero della morte 72 a485 3901.

L 2 2. Il giudizio particolare dell’uomo.

Il giudizio particolare da subirsi, si suppone precedere la destinazione al cielo, al purgatorio, all’inferno (857s 1002 1304-1306): ugualmente indirettamente si distrugge l’asserzione riprovata (ritrattata) di Giovanni XXII [i dannati non andranno alla pena eterna prima dell’ultimo giudizio] 990°.

3. Sorte dell’uomo avviato alla beatitudine: Beatitudine celeste.

L 3a. a. — ESSENZA DELLA BEATITUDINE CELESTE

3aa. Beatitudine essenziale (finale) consiste nella a.fruizione dell’essenza divina, b.nella visione e dilezione di Dio a1000 bc1067 c1316; è chiamato “cielo”, paradiso caeleste, patria sempiterna 839 991 1000.

3ab. Visione dell’essenza divina. I Beati vedono — l’essenza divina 990s 1000 1316; —: Dio uno e trino, e le a.processioni divine 1305 a3815;

— : visione a.intuitiva e b.di faccia b9905 ab1000 b1067; — : l’essenza nuda, chiaramente ed apertamente 1000 1305; —: immediatamente, cioè, senza alcuna mediazione di creatura che sarebbe oggetto di visione; anche le anime separate dai corpi vedono l’essenza nella visione facciale per quanto la loro condizione lo permetta 991.

Riprov. gli errori: [la beatitudine consiste nella visione della sola chiarezza di Dio da Esso emanante] 1009; [Dio può comunicare la sua essenza anche ad entità finite col lume della gloria nel solo modo accomodato di comunicare, cioè in quanto autore di opere ad extra] (3227) 3238-3240.

La visione di Dio evacua l’atto di fede e di speranza in quanto virtù teol. 1001;, non esclude i casto timore 735; riprov. l’asserzione: [nella vita eterna non dobbiamo essere soggetti a Dio come un servo sotto al padrone]; riprov. l’asserzione [nella vita eterna saremo trasformati totalmente in Dio] 960.

3ac. Beatitudine del corpo. Gli uomini davanti al Giudice compaiono con i corpi per ricevere col proprio corpo quanto fanno fatto in vita di bene 574 1002.

3ad. Consorti degli Angeli. Ad essi si aggregano gli uomini beati 443 991 1000. 3ad

L 3b. b. — PROPRIETÀ DELLA BEATITUDINE.

3ba. Soprannaturalità. La beatitudine è dovuta alla grazia di Dio 377 443; il beando manca del lume di gloria elevante 895; reprob.: [l’uomo in questa vita può conseguire la beatitudine finale secondo ogni grado di perfezione] 894.

L’immediata cognizione di Dio all’anima umana non è congenita o essenziale o identica al lume intellettuale 2841 2844s 3237; riprov.: [Dio non può produrre esseri intelligenti senza ordinarli alla visione beatifica] 3891.

3bb. Ineguaglianza della beatitudine. Per la diversità dei meriti c’è un più alto il grado di perfezione 1305 (582);

Si riprov. tuttavia: [le anime liberate dal purgatorio grazie ai suffragi degli altri, sono meno felici che se avessero soddisfatto da soli] 1490.

3bc. Sicurezza della beatitudine. L’uomo è beato senza timore di errare 443; cf. anche il falso presupposto nell’asserzione riprovata [le anime preesistono e stanche della contemplazione divina fecero poi defezione] 403.

3bd. Eternità della beatitudine. I beati vedono Dio in eterno a.senza interruzione 1000 a1001; Cristo fa participi gli uomini della sua immortalità 413; il premio delle opere buone è la perpetua felicità perpetua, la vita eterna 76 377 443 485 802 1545s 1638; add. testo circa la fede nella vita eterna: L 7e; gli uomini buoni risorgono alla gloria sempiterna 801; raggiungono il regno della beatitudine senza fine, la patria sempiterna 574 839.

L 3c. c. — AMMISSIONE ALLA BEATITUDINE.

L 3c. Condizioni da parte dell’anima. La morte nelle stato di grazia o in carità 839 1546

1582; l’accesso è aperto alle anime — di coloro che dopo il battesimo non hanno commesso assolutamente alcun peccato 857 925 1305; —: di coloro che sono state purificate da una a.piena purgazione o soddisfazione (in terra o in purgatorio) 857 925 a990s 1000 1067 a1074 1305; —: i fanciulli morti dopo il battesimo prima dell’uso della ragione (794) 839 a1000 1316.

3cb. Condizioni da parte del tempo. Il Regno della beatitudine era chiuso per tutti fino alla morte di Cristo 780 1000; l’ingresso fu dischiuso all’ascensione di Cristo 1000;

si riprov.: [i santi soggiornavano in paradiso prima del tempo della Redenzione] 337.

La beatitudine finale non può essere acquisita già in questa vita 894.

Le anime purgate a.subito (b.immediatamente) dopo la morte, pervengono alla beatitudine anche c.prima della resurrezione dei corpi e il giudizio universale b857 a925 ac991 ac1000 ac1067 a1305 b1316; riprov. l’asserzione opposta: [Anima separata ha la visione della divinità non prima della resurrezione dei corpi 990° 1009.

L 3d. d. — COMUNICAZIONE TRA CHIESA TRIONFANTE E MILITANTE.

3da. La Comunione dei santi è la mutua comunicazione tra fedeli di ausili, espiazioni, preghiere, benefici, o dei giunti nella patria celeste o ancora immersi nel fuoco espiatorio o ancora peregrinanti in terra, in una unica città 3363; fede dei symbol. della fede nella comunione dei Santi 19 26-30; i Santi offrono orazioni per gli uomini 1821 1867 2187; patrocinio dei Santi 3363.

3db. Culto dei Santi. Vd. K 2dd; ogni culto liturgico prestato agli Angeli e agli uomini ridonda e finisce come culto alla Ss. Trinità (675 1824s) 3325.

4. Sorte dell’uomo purgante: il purgatorio.

L 4a. a. — ESISTENZA ED ESSENZA DEL PURGATORIO.

Purgatorio o catartario è il nome del luogo di purgazione degli uomini 838 856.

Si tivendica l’esistenza del purgatorio 1010 1487 1820 1867 3554.

Al Purgatorio è destinato l’anima degli uomini deceduti in grazia, che non hanno pienamente soddisfatto ai loro peccati 838 856 1066 1304 1398 1580.

Il Purgatorio è concepito come fuoco a.transitorio temporaneo) 8838 a1067 1398 3363.

Si riprovano le asserzioni circa le anime in Purgatorio peccanti e non sicuri della propria salvezza 1488s.

L4b. b. — COMUNICAZIONE TRA LA CHIESA MILITANTE E LA PENITENTE

Le anime purganti partecipano alla comunione dei Santi 3363; da se stessi non possono meritare e quindi hanno bisogno dei suffragi degli altri 1398 1405; ad essi possono essere utili i suffragi dei fedeli viventi: a.il Sacrificio della Messa, b.le orazioni, le c elemosine, d.altri benefici ed esercizi di pietà (a583) a741 acd797 abcd856 abcd1304 bc1405 a1743 a1753 a1820 a1866s a2535 a3363.

Le indulgenze possono applicarsi alle anime purganti per modo di suffragio 1398 1405 1448 CdIC 911; nella misura in cui si giudicano applicate ai bisogni dei defunti 1448 2750; riprov. le ass. neganti applicabilità o l’utilità delle indulgenze per i defunti 1010 1416 1472 1490 2642s;

riprov.: [l’Anima liberata in virtù dei suffragi è meno beata di quanto avesse soddisfatto da sé stessa] 1490.

L 5. 5. Sorte del defunto col solo peccato originale: il limbo.

La pena del peccato originale è la mancata visione di Dio (184 219) 780; add. circa le sequele D 3bd; non esiste un luogo di mezzo della beatitudine tra il regno di Dio e la dannazione, nel senso dell’intelletto pelagiano 0 (184) 224 2626; si riprova.: [L’anima dei bambini nati da genitori cristiani morti senza bpt. vanno nel paradiso terrestre, l’anima dei bambini nati sa genitori non Cristiani, vanno nei luoghi in cui si trovano i loro genitori] 1008.

Le anime decedute col solo peccato originale discendono nell’inferno, dove tuttavia, sono puniti in modo diverso 858 a926 1306; sono puniti con la pena del danno senza la pena del fuoco 2626; il luogo in cui stazionano è chiamato di solito limbo 2626; si riprova: [il picccolo deceduto senza battesimo avrà in odio Dio] 1949.

6. Sorte dell’uomo dannato: inferno.

L 6a. a. — ESISTENZA DELL’INFERNO DI PENE.

L’anima deceduta in peccato attuale mortale discende nell’inferno. (338 342) 839 858 926 1002 1075 1306; Christo (con la sua passione) non distrusse l’inferno inferiore, riprovato: [distrusse totalmente l’inferno] 1011 1077.

L 6b. b. — NATURA DELL’INFERNO.

Pena dell’inferno è designata con le parole a.supplizio, b.cruciato, et massimamente c.fuoco (ardore)

c76 c.338 c342 a443 a485 c575 b780 (c2626); questa pena è eterna (a.fuoco inestinguibile) 72 76 212 342 a443 486 574 596 630 780 801 839; riprov. l’asserzione circa la futura crocifissione redentrice di Cristo per i demoni e circa la reintegrazione dei demoni e degli uomini dannati p0409 411.

L 6c. c. — CAUSE DELLA DANNAZIONE.

Gli uomini si dannano per l’arbitrio della propria volontà 443; per peccati capitali 342; per la morte a.senza penitenza nello stato di peccato b.mortale c.attuale c627 c780 ab839 c1002 b1075 bc.1306.

7. La sorte finale del mondo.

L 7a. a. — AVVENTO DI CRISTO GIUDICE.

Fede (nei symbol.) nell’avvento di Cristo a.gloriosa b.nella sua carne a6 10-30 a40-42 a44 ab46 ab48 50s 55 a60 61-64 76 125 a150 b167 325 414 443 485 492 681 b791 801 852; questioni eseget. 3433 3628-3630.

Si riprova l’asserzione del Millenarismo o Chiliasmo: [Cristo prima del giudizio finale verrà visibilmente su questa terra per regnarvi] 3839; si riprova:

[L’avvento0 alla fine dei secoli si può attribuire al Padre] 737.

L 7b. b. — RESURREZIONE DEI MORTI.

Fede (dei symbol.) nella resurrezione della carne (ossia dei morti) 2 5 10-30 36

41//51 55 60 63 76 150 190 200 540 574 684 797 854; tutti risorgono 443 493 540 801 859 1002.

L’uomo riceve col proprio corpo quanto meritato 443 574 1002; l’uomo risorge —: nella medesina carne con cui visse 23 72 76 325 485 684 797 801 854;

—: non in una qualsiasi carne 540 574 797; —: non in a.aerea o b.nell’ombra di una visione fantastica a540 ab574; si riprovano gli errori circa la costituzione dei corpi dopo la resurrezione 407 1046.

La glorificazione del corpo del capo mistico di Cristo è da aspettarsi nell’avvento della futura gloria dei membri (358) 414 (485); Cristo (a.vivificante i morenti) resuscita i morti 72 a369 485; si riprova tuttavia: [la Risurrezione dei morti è da attribuire solo ai meriti di Cristo] 1910.

L 7c. c GIUDIZIO OUNIVERSALE.

Fede (dei Simboli) nel futuro giudizio di Cristo 10-30 40//51 55 60-64 76 125 150 325 414 443 485 492 540 574 681 791 801 852 859 1549; gli uomini rendono ragione dei loro atti 76 859 1002.

il giorno del giudizio è sconosciuto agli Angeli ed agli uomini, anche a.a Paolo Apostolo (non ostante certe espressioni) 474s a3629; solo Cristo conosce questo giorno per potenza divina 474-476.

L 7d. d. FINE DEL MONDO.

Si riprova la spiegazione della fine del mondo materiale. 1361.

L 7e. e. – IL REGNO ETERNO DI DIO E DI CRISTO.

I beati vivono senza fine 443; fede dei symb. nella vita eterna 3s 11° 15 18-30 36 41 //51 60 72 76 150 854; la vita eterna è il frutto della giustificazione, gratuito e mercede delle buone opere 72 443 485 540 1351 1545-1547 (1522) 1576 1582.

la Chiesa transiterà nel regno celeste 493; fede dei Symb. Nel regno dei cieli 3s 44 46 48 60 63; Cristo fa partecipi i fedeli del suo regno 540; la Chiesa, i Santi, i fedeli regneranno con Cristo a.in perpetuo a.550 s575 1821 2187 3363; il regno di Cristo non avrà fine 41s 44 56 48 60 150.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (X)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (X)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (6).

2-7 Art. del Simbolo: Gesù Cristo.(1)

I. La redenzione.

GESÙ CRISTO, NOSTRO SALVATORE, CI HA LIBERATO DELLE CONSEGUENZE DEL PECCATO ORIGINALE.

L’uomo decaduto era incapace da solo di riacquistare la santità e la giustizia primitive, così come i beni che ne dipendevano. Un uomo morto non può risorgere il suo corpo, ed un’anima morta spiritualmente non può tornare di sua spontanea volontà alla vita. “Se già l’uomo con la grazia di Dio, non ha potuto mantenere se stesso nello stato di rettitudine in cui è stato creato, quanto più non può tornare ad esserlo senza la grazia di Dio (S. Aug.). L’uomo, dopo il peccato originale, assomiglia ad un malato che può muovere le braccia e le gambe, ma non può alzarsi dal letto senza un aiuto esterno, né trasportarsi verso il luogo della sua destinazione. (S. Th. Aq.). Ciò che il Buon Samaritano fu per l’ebreo caduto nelle mani dei ladri, Cristo è è per l’umanità ferita dalle astuzie del diavolo e spogliata dei suoi doni soprannaturali. Cristo è perciò chiamato il Salvatore (guaritore) dell’umanità, perché ha portato il rimedio a questa umanità rovinata dal peccato (Sailer – gesuita bavarese, poi secolarizzato, professore di teologia ad Ingolstadt e Landshut, poi Vescovo a Ratisbona, 1751-1832).

Prima di tutto, Cristo ha liberato la nostra anima dalle conseguenze del peccato originale: ha illuminato la nostra ragione con la sua dottrina, ha inclinato la nostra volontà al bene con i suoi comandamenti e le sue promesse, ha preparato per noi con il suo sacrificio sulla croce le grazie (i soccorsi) di cui abbiamo bisogno per ottenere la grazia santificante, per tornare ad essere figli di Dio ed eredi del cielo.

Cristo ha quindi svolto una triplice funzione: quella di Profeta o di magistero dottrinale; quella di Re o di governo pastorale; quella di Pontefice o di ministero sacerdotale. Cristo è dunque il nostro Maestro, il nostro Re ed il nostro Pontefice. A queste funzioni corrispondono le tre parti del catechismo: nella prima, Cristo ci insegna, nella seconda ci governa, nella terza si sacrifica per noi. – Il Cristo usa diverse figure per designare questa triplice funzione. Egli si definisce la luce del mondo, perché illumina la nostra comprensione con il suo insegnamento. (S. Giovanni XII, 46). Una torcia nell’oscurità illumina e fa vedere gli oggetti lontani, così Gesù Cristo ci fa vedere ciò che è più lontano: l’aldilà e l’eternità. – Davanti a Pilato Egli si dichiara re di un regno che non è di questo mondo (S. Giovanni XVIII, 36); si definisce anche il buon pastore che dà la vita per le sue pecore (id. X, 11); si paragona spesso ad una guida e ci esorta a seguirlo (id. XIV, 6; S. Matth. X, 38). “Noi siamo viaggiatori su questa terra che non hanno una dimora fissa, ma che cercano la dimora del futuro. Il cammino è accidentato, ripido, fiancheggiato da precipizi, e ci sono molti che per ignoranza si smarriscono e periscono. Ma abbiamo una guida che dice di sé: “Io sono la via, la verità e la vita”. (San Giovanni XIII). Se seguiamo questa guida e non abbandoniamo i suoi passi, non possiamo smarrirci. (L. de Gren.) – S. Paolo chiama Cristo il grande Pontefice (Eb. II, 17), che non ha dovuto sacrificarsi prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo (id. VII, 27), che non offrì il sangue di animali, ma il proprio corpo una volta per tutte (id. Xi), e che è entrato nei cieli (id. IV, lô). Con la sua obbedienza ha espiato la disobbedienza di Adamo (Rom. V, 19), poiché è stato obbediente fino alla morte di croce (Fil. II, 8). – Poiché Cristo ha dischiuso con il suo sacrificio le fonti della grazia, la Messa e i sacramenti, attraverso i quali possiamo recuperare la santità e la filiazione divina (Gai. IV, 5) e i nostri diritti al cielo (ibid.), diciamo che il Salvatore ci ha riaperto il paradiso. È proprio per questo che alla sua morte si è squarciato il velo del tempio che chiudeva il Santo dei Santi. (S. Matth. XXVII, 51). Abbiamo la speranza certa di entrare nel Santo dei Santi, cioè in cielo, attraverso il sangue di Gesù Cristo (Eb. X, 19). La croce è la chiave del cielo. (S. G. Cris.).

Cristo ha liberato il nostro corpo dalle conseguenze dannose del peccato.: morendo per noi, ci ha fatto guadagnare la risurrezione, ci ha insegnato con i suoi insegnamenti e il suo esempio come vivere felicemente in questo mondo come in cielo, e come dominare il mondo; infine, ci ha mostrato i mezzi per tenere il diavolo lontano da noi e per vincerlo.

Cristo era libero da ogni peccato, anche dal peccato originale. Per questo Egli non era soggetto alla morte che è la punizione per quel peccato. È morto liberamente per noi. Perciò è giusto che ci venga restituita la vita e che risorgiamo. Un paragone ci aiuterà a comprendere questa verità. Se dobbiamo una somma di denaro e un amico paga questo debito nello stesso momento in cui noi lo paghiamo, è giusto che ci vengaa restituito il danaro. Il Cristo è la risurrezione e la vita; (S. Giovanni XI, 2) e con la sua stessa risurrezione ha voluto darci un pegno della nostra. (I Cor. XV). La morte è venuta attraverso un uomo, la risurrezione dei morti deve venire se osserviamo la dottrina di Cristo, otterremo la vera felicità (si vedano le parole di Cristo alla Samaritana – S. Giov. IV) e godremo del paradiso terreno già in questa vita. – Praticando le virtù che Gesù Cristo ha insegnato e praticato, in particolare l’umiltà, la mitezza, la liberalità, la castità, praticando i consigli evangelici, possiamo respingere gli assalti del diavolo, nella misura in cui sono dannosi per la nostra salvezza. Cristo ha solo spezzato il potere di satana (Apoc. XII, 8), non lo distruggerà completamente se non all’ultimo giorno. (I Cor. XV, 24). – È per aver gettato satana dall’alto del suo potere che Gesù Cristo disse: “Ho visto Satana cadere come un fulmine dal cielo” (S. Luc. X, 18). – Con Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbiamo più o meno riacquistato tutti i doni persi a causa del peccato. Senza dubbio, rimanevano molte conseguenze: concupiscenza, malattie, morte. Ma grazie ai meriti di Gesù Cristo, siamo stati compensati con doni più grandi e più numerosi di quelli che ci sono stati tolti dalla gelosia del diavolo. (S. Leone M.) Dove c’era abbondanza di peccato” c’era allora una sovrabbondanza di grazia. (Rom. V, 20). O colpa felice – esclama S. Agostino – che ci ha portato un Salvatore così grande e glorioso!

2. LA PROMESSA DEL REDENTORE.

Dio, che non aveva perdonato gli angeli caduti, perdonò i nostri primi avi perché erano meno colpevoli. Essi non lo conoscevano molto bene e sono stati sedotti dal diavolo. Inoltre, gli uomini avevano, almeno in parte confessato e si erano pentiti del loro peccato (non avrebbero dovuto però dare la colpa agli altri). Infine, Dio non voleva per la colpa di uno solo far sprofondare l’intera umanità in una disgrazia irreparabile.

1. SUBITO DOPO LA CADUTA, DIO HA PROMESSO ALL’UMANITÀ UN SALVATORE. DIO DISSE AL SERPENTE INFERNALE:

Porrò inimicizia tra te e la donna, e tra il tuo seme e il suo; ella ti schiaccerà la testa“. (Gen. ni, 15).

Questo è il significato di queste parole: porrò inimicizia tra satana e la Vergine Maria, tra i settari di satana e Cristo, il figlio della Vergine (Gal, III, 16); la Vergine Maria darà alla luce Colui che annienterà il potere del demonio, cioè Colui che libererà la razza umana che si è sottomessa alla sua influenza a causa del peccato originale. È un errore credere che con queste parole Dio abbia voluto solo ispirare all’uomo l’avversione, l’orrore del serpente; Dio le pronunciò contro il seduttore e non contro il suo semplice strumento. – Queste parole sono comunemente considerate il Provangelo, (primo) Vangelo, cioè la prima buona notizia del Redentore.. – Tuttavia, il Redentore non venne subito, perché gli uomini diventarono troppo sensuali e quindi incapaci di ricevere una grazia così grande. Egli fu invece costretto a punirli molto severamente con il diluvio, la distruzione di Sodoma e Gomorra e la dispersione presso la Torre di Babele.

2. 2000 ANNI DOPO, DIO PROMISE AD ABRAMO CHE IL REDENTORE SAREBBE STATO UNO DEI SUOI DISCENDENTI.

All’inizio Abramo viveva a Ur (città del fuoco) in Caldea, poi ad Haran in Mesopotamia; circondato da idolatri, aveva mantenuto la sua fede nel vero Dio. Il Signore allora gli ordinò di lasciare la sua famiglia e di andare in Chanaan o Palestina. Come ricompensa per questa obbedienza, Dio gli promise che in lui sarebbero state benedette tutte le generazioni della terra. (Gen. XlI, 23). Gli promise anche una numerosa discendenza. (Abramo è il padre spirituale di tutti i credenti. Rom. IV, 11). e diede a lui e ai suoi discendenti la fertile terra di Palestina (Gen. XII, 7). – Dio rinnovò questa promessa quando venne con due angeli a fargli visita nella sua tenda. (Gen. XVIII) e quando, per obbedienza, Abramo si preparò a sacrificare suo figlio Isacco. (Gen. XXII).

Questa promessa fatta ad Abramo, Dio la rinnovò ad Isacco, Giacobbe e circa 1000 anni dopo al re Davide.

Dio apparve a Isacco quando, spinto dalla carestia, volle attraversare la Palestina (Gen. XXVI, 2); a Giacobbe, quando fuggì dalla casa paterna e vide la visione della scala misteriosa (id. XXVIII, 12). Davide (re dal 1055 al 1015) ricevette da Dio, attraverso il profeta Natan, che uno dei suoi discendenti sarebbe stato il Figlio di Dio e avrebbe fondato un regno eterno. (II Re VII, 12). – Gli uomini dalla cui stirpe è nato il Salvatore sono chiamati Patriarchi. Ci furono 10 patriarchi prima del diluvio, da Adamo a Noè, e 12 da Shem ad Abramo, Isacco e Giacobbe.

Tutti i patriarchi vissero fino all’età matura: prima del diluvio raggiunsero un’età di quasi 1000 anni, dopo il diluvio, da 400 a 450 anni. Questa longevità può essere spiegata in parte dalla semplicità dei loro costumi, dalla loro vita all’aria aperta, dalle condizioni atmosferiche più favorevoli prima del diluvio, ma soprattutto dai disegni della Provvidenza, che attraverso questa ininterrotta tradizione ha voluto educare il genere umano; ciò che la Sacra Scrittura e l’insegnamento della Chiesa sono per noi, i Patriarchi lo furono per le generazioni primitive.

3. IN SEGUITO DIO INVIÒ I PROFETI E FECE LORO PREDIRE MOLTE E DETTAGLIATE COSE SULLA VENUTA, LA PERSONA, LE SOFFERENZE E LA GLORICIZIONE DEL MESSIA.

I Profeti erano uomini illuminati da Dio (uomini di Dio) che erano stati incaricati da Lui di parlare agli israeliti in suo nome. Il ruolo principale dei Profeti era quello di impedire a Israele di peccare (di rimproverarli quando avevano peccato) e di prepararli alla venuta del Messia (cioè di profetizzare su di Lui). – Dio scelse profeti di diversa estrazione (Isaia era di stirpe reale; Amos era un pastore; Eliseo era stato chiamato dall’aratro) e concesse loro il dono dei miracoli e della profezia (predire le punizioni e gli eventi futuri della vita del Messia), cosicché furono immediatamente considerati come inviati di Dio. La maggior parte di loro conduceva una vita molto penitente; alcuni rimasero celibi (Elia, Eliseo, Geremia). – I Profeti parlavano con grande audacia ed erano molto stimati dal popolo. Tuttavia, tutti furono perseguitati e alcuni messi a morte (S. Matth. XXIII, 20). In tutto, i profeti furono circa 70. Mosè stesso era un grande profeta (Dent. XXXIV3 10); il più grande fu Isaia, che parlò così chiaramente del Salvatore, che noi potremmo – dice San Girolamo – chiamarlo evangelista. L’ultimo Profeta fu Malachia (intorno al 450 a.C.). Diversi profeti hanno lasciato degli scritti (4 grandi e 12 piccoli Profeti).

I. SULLA VENUTA DEL MESSIA I PROFETI HANNO PREDETTO:

1. Che sarebbe nato a Betlemme.

“E tu, Betlemme chiamata Efrata, dice Michea, sei piccola tra le città di Giuda; ma da te uscirà Colui che dovrà regnare in Israele, la cui generazione è fin dal principio, da tutta l’eternità. “(Michea V, 2). – Così i re Magi furono informati che il Salvatore dovesse nascere a Betlemme. (S. Matth. II, 5).

2. Che il Messia sarebbe venuto finché fosse rimasto il 2° tempio.

Quando i Giudei, al ritorno dalla cattività, cominciarono a ricostruire il tempio, gli anziani che avevano visto l’antico tempio piansero amaramente, perché videro fin dall’inizio che il nuovo tempio non avrebbe eguagliato la grandezza e la bellezza di quello antico. Il Profeta Aggeo venne allora a consolarli, dichiarando che il Salvatore sarebbe entrato nel tempio che stava per essere costruito. Il Salvatore sarebbe entrato in questo tempio che avrebbe prevalso in gloria sul primo (Agg. II, 8-10). – Ora, questo tempio fu distrutto da Tito nel 76 (d.C.) e non fu mai più ricostruito.

3. Che il Messia sarebbe venuto quando i Giudei sarebbero stati privati della sovranità (potere regale).

Prima di morire Giacobbe benedisse i suoi figli e disse a Giuda: “Lo scettro (la sovranità, l’autonomia) non uscirà da Giuda fino all’arrivo di Colui che le nazioni attendono. (Gen. XLIX, 10). Da quel momento in poi, la tribù di Giuda conservò la sovranità. All’uscita dall’Egitto e sotto i Giudici, essa fu la tribù dominante (Num. II, 3-9; Giud. I, 3; XX, XVIli). Il re Davide apparteneva alla tribù di Giuda (l Par. II, 16), così come i suoi successori fino alla cattività, e Zorobabele, che riportò il popolo (Esdr. I, 8). E mentre i Giudei erano sottomessi a re stranieri, i governatori che in Oriente hanno il potere assoluto, erano Giudei. In seguito, il popolo giudaico riacquistò la libertà ed ebbe re nazionali della famiglia dei Maccabei. Ma nel 39 a.C. i re giudei persero il loro trono, perché in quell’anno uno straniero pagano, Erode il grande (nato l’anno 3 dopo Gesù Cristo), fu nominato re dai Romani. – In quel periodo il Salvatore era davvero atteso in tutta la Giudea; infatti, Erode tremò quando i Magi gli chiesero dove fosse nato il Salvatore (S. Matth. 11, 3); i Giudei credettero addirittura che Giovanni Battista nel deserto fosse il Cristo (S. Luc. IIl, 15). – Anche la Samaritana al pozzo di Giacobbe parla della venuta del Messia (S. Giovanni IV, 25). Il sommo sacerdote esorta Gesù a dirgli se è Lui il Messia (S. Matth. XXVI, 63); infine più di 60 impostori ingannarono il popolo facendosi passare per il Cristo. – Anche i pagani all’epoca di Gesù Cristo si aspettavano un dominatore del mondo, originario della Giudea (Tacito, Svetonio); il poeta Orazio lo chiamava figlio della vergine celeste, che sarebbe tornato in cielo. (Odi I, 2).

4. Che Daniele (605-530) dalla ricostruzione delle mura di Gerusalemme (453) alla vita pubblica del Messia, ci sarebbero state 69 settimane di anni, e fino alla sua morte, 69 e mezzo.

Questa profezia gli fu comunicata dall’Arcangelo Gabriele, mentre alle 3 del pomeriggio “offriva il sacrificio della sera e pregava per la liberazione dalla cattività babilonese”. (Dan. IX, 21). – Ora, Ciro nel 636 concesse ai Giudei prigionieri solo il permesso di ricostruire la città ed il tempio, ma in nessun modo di costruire fortificazioni; altrimenti non si capirebbe perché siano stati accusati presso il re di Persua di costruire le mura di Gerusalemme (I Esdr. IV, 12). – Fu solo Artaserse, che nel 20° anno di regno (453) diede a Neemia, il suo coppiere, l’autorizzazione di fortificare Gerusalemme e di dotarla di porte (II Esdr. II, 2,1-8). Ora, se al numero 452 aggiungiamo 69 volte 7, ossia 483 anni o 69 e mezzo volte 7, ossia 486 e mezzo, arriviamo all’anno 30 e 33 dopo Gesù Cristo. Che mirabile profezia!

5. Che il Messia sarebbe nato da una Vergine della razza di Davide.

Dio fece dire ad Isaia al re Achaz (VII, 15) di chiedergli un segno della sua onnipotenza. Ma il re rifiutò: “Perciò – disse il Profeta – il Signore ne darà uno di sua iniziativa”. Ecco, una vergine concepirà e partorirà un figlio, e il suo nome sarà Emmanuele (Dio con noi). – Da parte sua, Geremia ha detto: “Susciterò per Davide un discendente giusto; egli regnerà come re e il suo nome sarà: Il Signore nostro Giusto (Ger. XXIII,5-6).

6. Che il Messia avrebbe avuto un precursore, che avrebbe predicato nel deserto e avrebbe condotto una vita angelica.

“Abbiamo udito – dice Isaia, (XL, 3) – la voce di uno che grida nel deserto: Preparate le vie del Signore, raddrizzate i sentieri del nostro Dio. Tutte le valli saranno riempite e ogni monte e colle sarà abbassato. Io vi manderò – dice Malachia (III, 1), “il mio angelo che preparerà la mia via davanti alla mia faccia, e subito il sovrano che cercate… verrà al suo tempio”. Questo precursore era San Giovanni Battista.

7. Che una nuova stella sarebbe sorta con il Messia.

L’indovino Balaam profetizzò davanti al re dei Moabiti quando arrivarono gli Israeliti figli di Mosè: “Lo vedo, ma non ancora; lo vedo, ma non da vicino. Una stella uscirà da Giacobbe, uno scettro sorgerà in Israele” (Numeri XXIV, 17).

8. Che i re sarebbero venuti da terre lontane per adorarlo e portargli doni. (Sal. LXXI , 10).

9. Che al momento della nascita del Messia, molti bambini sarebbero stati uccisi.

“Un brusio – dice Geremia (XXXI, 16) di lamentele, gemiti e pianti si è alzato sulla collina. Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non ci sono più”. Rachele, la madre della tribù più numerosa, rappresenta qui il popolo giudaico. Rachele morì e fu sepolta a Betlemme (Gen. XXXV, 19).

10. Che il Messia sarebbe fuggito in Egitto (Is. XIX, 1) e che sarebbe tornato. (Os. XI, 11).

11. Della Persona del Messia i Profeti hanno annunciato:

1. Che il Messia sarebbe stato il Figlio di Dio.

Dio annunciò il Salvatore a Davide attraverso il profeta Natan e disse: “Io sarò suo Padre ed egli sarà mio Figlio.” (Rm VII, 10). Nel Salmo II Dio dice al Messia: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”.

2. Che sarebbe stato allo stesso tempo Dio e uomo.

“Un bambino è nato per noi, dice Isaia (IX, 6), un figlio ci è stato dato, e il suo nome sarà

(cioè sarà Lui stesso): Consigliere mirabile, Dio”. “Dio verrà di persona e vi salverà”. (Ibid. XXXV, 6).

3. Che sarà un grande operatore di meraviglie.

“Dio stesso verrà e vi salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi,

gli orecchi dei sordi; gli zoppi salteranno come cervi e la lingua dei muti sarà sciolta. (Is. XXXV, 6).

4. Che sarebbe stato un sacerdote come Melchisedec.

Secondo Davide, Dio parlò al Messia in questi termini: “Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedec”. (Ps. CIX, 4.) – Gesù Cristo ha offerto il pane ed il vino nell’Ultima Cena e lo fa ancora ogni giorno attraverso le mani dei Sacerdoti.

5. Che sarebbe stato un grande profeta o dottore.

Dio aveva già promesso a Mosè che “avrebbe suscitato per gli Israeliti un profeta come lui tra i loro fratelli”. (Deut. XVIII, 18). Così i Giudei lo chiamarono semplicemente il Messia, “il profeta che deve venire”. (S. Giovanni VI, 14). – Come profeta, il Salvatore doveva insegnare e profetizzare. Doveva anche essere il maestro dei Gentili. (Is. XLIX, 1-6).

6. Che sarebbe stato il sovrano di un nuovo regno (Ger. XXIII, 6) indistruttibile e comprendente tutti i regni della terra. (Dan. II, 44).

Questo regno è la Chiesa Cattolica o universale. – Ecco perché Cristo davanti a Pilato si è definito Re (S. Matth. XXVII). 11). Egli aggiunge però questo: “Il mio regno non è di questo mondo”, cioè il mio regno è tutto spirituale (S. Giovanni XVIII, 36).

III. Per quanto riguarda la Passione del Messia, i Profeti avevano predetto:

1. Che il Messia farebbe la sua entrata in Gerusalemme su di un asino. (Zac. IX, 9).

2. Che sarebbe stato venduto per trenta pezzi d’argento.

Mi fecero pagare, dice Zaccaria (XI, 12), trenta pezzi d’argento; e il Signore disse: “Gettalo al vasaio, l’alto prezzo che mi hanno fatto pagare”. E io presi i 30 denari e li gettai nel tesoro della casa del Signore. – I fatti rispondono a questa profezia: Giuda gettò il denaro del tradimento nel tempio ed i sacerdoti comprarono il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. (S. Matth. XXVII, 5-7).

3. Che sarebbe stato tradito dal suo commensale (Sal. XL, 10).

Giuda lasciò la tavola e tradì subito il suo Maestro (S. Giovanni XVIII, 15).

4. Che nella sua passione i suoi discepoli lo avrebbero abbandonato“.(Zac. XIII, 7).

Quando Gesù fu preso, tutti i suoi discepoli lo abbandonarono e fuggirono (S. Marco XIV, 50). Pietro e Giovanni, da soli, lo seguirono da lontano nel cortile del sommo sacerdote. (S. Giovanni XYIII, 15).

5. Che sarebbe stato schernito (Sal. XXI, 7), colpito, disprezzato (Sal.L,.6), flagellato, (Sal. LXXII, 14) coronato di spine, (Cant. III, 11) fatto bere fiele ed aceto (Sal. LXVIII,22).

Coloro che passavano sotto la croce lo maledicevano e scuotevano la testa. (S. Marco XV, 29). I principi dei sacerdoti e gli scribi lo irridevano e dicevano tra di loro: “ha aiutato gli altri; aiuti se stesso”. (S. Marco XV, 31).

– Già davanti al sommo sacerdote Anna, un servo aveva dato uno schiaffo al Salvatore, perché la sua risposta gli era dispiaciuta. (S. Giovanni XVIII, 22). Quando Cristo davanti a Caifa confessò di essere il Figlio di Dio, alcuni gli sputarono in faccia, lo presero a pugni ed altri gli diedero schiaffi (S. Matth. XXVI, 67). Pilato fece flagellare Cristo (S. Giovanni XIX, 1); poi i soldati gli misero una corona di spine, un mantello di porpora, gli colpirono la testa con una canna, gli diedero colpi e lo schernirono (S. Marco XV; S. Giovanni XVIII). Sul Golgotha gli diedero un vino detestabile, mescolato con fiele (propriamente con mirra – S. Marco XV, 21) e dopo averlo assaggiato, rifiutò di berlo. (S. Matth. XXVII, 34).

6 . Che tirassero a sorte la sua veste. (Sal. XXI, 19).

I soldati fecero della veste di Cristo 4 parti e ognuno ne prese una; ma poiché la veste era priva di cuciture e tessuta in un unico pezzo, non vollero tagliarla (S. Giovanni XiX, 23) e lo tirarono a sorte.

7. Che gli venissero trafitte le mani e i piedi. (Sal. XXI, 17).

Gesù Cristo era davvero inchiodato alla croce; così poté mostrare a Tommaso le ferite delle sue mani, dicendogli: “Metti qui le tue dita” (S. Giovanni XX, 27). – Altri che furono crocifissi, come i due ladroni, poi S. Pietro e S. Andrea, non furono crocifissi. Si dice che fossero solo legati alla croce con delle corde.

8. Che sarebbe morto in mezzo ai criminali.

“Gli danno, dice Isaia, il suo sepolcro tra gli empi ed Egli sarà tra i ricchi dopo la sua morte. (Is. LIII, 9). Cristo morì tra due briganti della strada che furono crocifissi con lui (S. Luc. XXIII, 33).

9. Che in mezzo alle sue sofferenze, sarebbe stato paziente come un agnello (Is. LIII, 7) e che avrebbe persino pregato per i suoi nemici. (Ibid. 16).

10. Che avrebbe sofferto liberamente e per i nostri peccati. (Ibid. 4-7).

IV. Per quanto riguarda la glorificazione del Messia, i Profeti annunciano:

1. Che la sua tomba sarebbe stata tra i ricchi (Is. LIII, 9).

Che sarebbe stato addirittura glorioso (Is. XI, 10).

2. Che il suo corpo non sarebbe stato consegnato alla corruzione della tomba. (Sal.. XV, 10).

3. Che sarebbe tornato in cielo (Sal. LXVII, 34) e si sarebbe seduto alla destra di Dio. (Sal. CIX, 1).

4. Che la sua dottrina si sarebbe diffusa da Gerusalemme, dal monte stesso di Sion, a tutta la terra (Is. II, 3).

Il Cenacolo, dove gli apostoli ricevettero lo Spirito Santo, si trovava sul Monte Sion.

5. Che le nazioni di tutto il mondo entrassero nel suo regno e lo adorassero. (Sal. XXI, 28-29).

6. Che il popolo giudaico che lo aveva crocifisso sarebbe stato punito e disperso tra tutti i popoli della terra. (Dent XXVIII, 64).

Gerusalemme sarà distrutta insieme al tempio, i sacrifici e il sacerdozio ebraico, ed il tempio non sarà più ricostruito. (Dan. IX, 26-27; Os. III, 4).

7. Che in tutti i luoghi della terra si offrirà a Lui un sacrificio puro di grano. (Mal. I, 11).

8 . Che un giorno avrebbe giudicato tutti gli uomini (Sal. CIX, 6) e che prima del giudizio avrebbe inviato Elia sulla terra (Mal. IV, 5).

4. La vita del Messia è stata anche preannunciata da molte figure.

Una pianta mostra in anticipo come sarà l’edificio. L’ombra del viaggiatore indica che lo seguirà. L’alba annuncia il giorno. Allo stesso modo, alcune delle azioni dei Patriarchi prefiguravano alcune azioni di Cristo, e molte cerimonie giudaiche prefiguravano alcuni dei misteri del Cristianesimo. (I Col. II, 17). L’Antico Testamento è per il Nuovo, ciò che l’ombra è per la realtà (Eb. X, 1), ciò che l’immagine è per l’originale. Tutto l’Antico Testamento era il velo del Nuovo (S. Aug.). – Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e quest’ultimo è illuminato dal Nuovo. (S. Aug.). Le persone o le cose che rappresentano un evento futuro sono chiamate figure o tipi.

Le principali figure del Messia furano Abele, Noè, Melchisedec, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Davide, Giona, l’Arcangelo Raffaele, l’agnello pasquale, il sacrificio espiatorio, il serpente di bronzo, la Manna, ecc.

Abele fu il primo giusto tra gli uomini (Cristo il primo degli eletti); era un pastore e offrì a Dio un sacrificio gradito, fu odiato e ucciso dal fratello e rimase dolce come un agnello (Gen. IV). (Cristo fu ucciso dai Giudei, suoi fratelli). Noè fu l’unico uomo giusto tra tutti i suoi contemporanei (Gesù Cristo è l’unico senza peccato); costruì un’arca mentre ancora predicava (Cristo fondò la Chiesa); salvò l’umanità dalla rovina (Gesù Cristo salva l’umanità dalla morte eterna); offre a Dio un sacrificio gradito a Dio quando uscì dall’arca (Gesù Cristo lo offrì quando uscì dalla vita). Con Noè, Dio ha stretto un’alleanza con l’umanità e ha promesso l’arcobaleno. (Gesù Cristo ha rinnovato l’alleanza e ha dato in pegno il SS. Sacramento). (Gen. VI-IX).

Melchisedec (Gen. XIV), che significa re della giustizia, era re di Salem, cioè della pace. (Gesù Cristo è il re eterno della giustizia e della pace). Re e sacerdote egli offre pane e vino. – Isacco è l’unico figlio amato da suo padre (Gen. XXlI); porta la legna per il suo sacrificio sul monte, si pone obbediente sulla legna, fu restituito al padre (Gesù Cristo è risorto dai morti). – Giacobbe (Gen. XXV-33) fu perseguitato dal fratello ed alla fine si riconciliò con lui. Cristo fu perseguitato dai suoi fratelli, i Giudei, e si riconcilierà con loro alla fine dei tempi. Benché figlio fi un uomo ricco, andò povero in un paese straniero, a trovarsi una sposa pia, (Gesù Cristo è venuto sulla terra per fidanzarsi alla Chiesa); per avere questa sposa, Giacobbe si mmisssw asl lavoro per lunghi anni (Gesù Cristo per la Chiesa ha preso la forma di uno schiavo ed ha servito l’umanità per 33 anni); Giacobbe aveva 12 figli e tra questi un figlio di predilezione, Giuseppe. (Gen. XXV, 33). Gesù Cristo aveva 12 Apostoli e tra essi un amico particolare, Giovanni).  – Giuseppe (Gen. XXXVII-XLV), il figlio prediletto, viene odiato dai fratelli e venduto per meno di 30 denari viene imprigionato tra mezzi criminali, uno dei quali viene graziato e l’altro giustiziato (così Gesù Cristo sulla croce); dopo le sue umiliazioni viene elevato ai più alti onori; con il suo consiglio salvò l’Egitto dalla carestia (Gesù Cristo con il Vangelo, ci salva dalla carestia spirituale), gli araldi ordinano al popolo di inginocchiarsi davanti a Giuseppe (gli Apostoli hanno chiesto lo stesso onore per Gesù). Egli si riconcilia finalmente con i suoi fratelli, come Gesù si riconcilierà con ii Giudei alla fine del mondo. – Mosè (Esodo) sfugge da bambino ai crudeli ordini del faraone. trascorse la sua giovinezza in Egitto, digiunò 40 giorni prima della promulgazione della legge (Gesù Cristo digiuna 40 giorni prima della predicazione del Vangelo); libera gli Israeliti dalla prigionia e li condusse nella Terra Promessa (Gesù Cristo ci ha salvato dalla schiavitù di satana e ci ha portato nella Chiesa); compie miracoli per dimostrare la sua missione divina, prega continuamente per il popolo, appare sul Monte Sinai con un volto raggiante di luce (Tabor), è il mediatore dell’Antica Alleanza, come Gesù Cristo della Nuova. – Davide nacque a Bethlehem e trascorse la sua giovinezza in uno stato molto umile; attaccò il gigante Golia con un bastone e cinque pietre, l’avversario del popolo di Dio e lo sconfisse (Gesù Cristo ha sconfitto satana con il legno della croce e le sue cinque ferite), diventa re, come Gesù, soffre molto, ma trionfa sempre. (I-II Re). – Giona trascorre tre giorni nel ventre del pesce (Gesù Cristo, 3 giorni nel seno della terra. S. Matth. XII, 40); predica la penitenza ai Niniviti come Gesù agli Ebrei. – L’Arcangelo Raffaele scende dal cielo per diventare la guida di un uomo (Gesù-Cristo per diventare la guida dell’umanità), lo accompagna, cura la cecità (Gesù Cristo cura la cecità spirituale) e lo libera dal diavolo (Tob.). – L’agnello pasquale (Es. XIII) viene sacrificato prima dell’uscita dall’Egitto, quindi alla vigilia del grande sabato pasquale; è una vittima ed un cibo, senza difetti, senza macchia, nel fiore della vita; le sue ossa non sono state spezzate; il suo sangue viene messo sulle porte, preserva dalla morte corporea (quella di Gesù, dalla morte eterna), viene mangiato al momento della partenza per la Terra Promessa (Gesù Cristo dona se stesso al momento della partenza per la vostra vita futura); l’agnello è mite, come lo era il Salvatore. – Il grande. sacrificio di propiziazione: Il sommo sacerdote imponeva le mani su un ariete e dopo aver confessato i peccati del popolo, lo spingeva nel deserto per farlo morire (Num. XXIX), anche Gesù Cristo prese su di sé i peccati degli uomini e per questo andò incontro alla morte attraverso il deserto della sua vita mortale. – Il serpente di bronzo (Num. XXI, 6) è collocato nel deserto su una croce; un solo sguardo guarisce dal morso mortale dei serpenti di fuoco. Come Mosè ha innalzato il serpente di bronzo nel deserto, così il Figlio dell’uomo deve essere innalzato, affinché tutti coloro che credono in Lui non periscano, ma abbiano la vita eterna” (S. Giovanni III, 14). – La Manna è una figura di Gesù nel Santissimo Sacramento; è bianca come l’ostia; cadeva ogni mattina, come Gesù scende ogni mattina sull’altare; non cadeva più dopo il soggiorno nel deserto, come Gesù smetterà di essere presente nel Santissimo Sacramento dopo la fine del mondo.

Sacramento dopo la fine del mondo. La manna, secondo Gesù Cristo (S. Giovanni VI, 33) si differenzia dall’Eucaristia in quanto non è il vero pane del cielo, mentre questo (l’Eucaristia) è il vero pane del cielo e dà vita al mondo”.

3. LA PREPARAZIONE DELL’UMANITÀ ALLA VENUTA DEL SALVATORE.

1. DDIO SCELSE UN POPOLO E LO PREPARÒ ALLA VENUTA DEL SALVATORE.

Questo popolo scelto era costituito dai discendenti di Abramo.; è comunemente chiamato popolo israelita o ebreo

La vocazione di Abramo è ben nota (Gen. XII). Il popolo ebraico doveva essere il sacerdozio di tutta l’umanità. (Es. XIX, 6). Questa scelta non era quindi una riprovazione per altri popoli, ma una prova che Dio si prendeva cura di loro. Dio dichiarò che il Redentore avrebbe reso felici tutti i popoli. .

La preparazione del popolo eletto per la venuta del Salvatore consisteva in prove severe, in una legge severa, in numerosi miracoli e nell’insegnamento dei profeti.

Il popolo eletto era molto sensuale; preferiva le pentole dell’Egitto alla libertà. (Es. XVI, 3). Per questo motivo Dio inviò loro delle prove per sradicare questa sensualità: Ad esempio, l’ordine del faraone di uccidere tutti i bambini maschi; la fame e la sete nel deserto; i serpenti di fuoco, gli attacchi dei nemici quando il popolo aveva abbandonato la cattività babilonese e l’oppressione di re crudeli. A causa della rozzezza del popolo Dio diede loro le sue leggi tra lampi e tuoni, accompagnati da minacce e da promesse (S. Giovanni Cris.). Il popolo era anche molto incline alla idolatria, come dimostra l’episodio del vitello d’oro. (Es. XXXII, 1). I miracoli avevano lo scopo di rafforzare la fede e la fiducia nell’unico vero Dii (le piaghe d’Egitto, l’attraversamento del Mar Rosso e del Giordano, la manna, la sorgente della roccia, la caduta delle mura di Gerico, ecc.) – I profeti dovevano anche rafforzare la fede nel vero Dio e mantenere vivo il desiderio della venuta del Redentore.

Ecco un breve riassunto della storia del popolo ebraico.

1. I discendenti di Abramo vissero dapprima in Palestina, poi vennero in Egitto, dove rimasero per 400 anni sotto dura oppressione.

Dio chiamò Abramo intorno al 2000 a.C. e lo condusse in Palestina. Abramo si stabilì a Hèbron (a ovest del Mar Morto); ebbe un figlio, Isacco, che volle sacrificare sul Monte Moriah. Isacco ebbe due figli, Giosuè e Giacobbe (chiamato anche Israele), il quale aveva sottratto al fratello, con l’inganno, la benedizione paterna e la primogenitura; fu costretto a lasciare la casa. Ebbe 12 figli uno dei quali, Giuseppe, divenne re in Egitto, dove chiamò i suoi parenti, 66 in numero, ad est del Delta del Nilo, la fertile terra di Gessen (1900 a.C.). Gli Israeliti – o figli di Israele – si moltiplicarono lì molto rapidamente e furono oppressi dai re d’Egitto.

2. Mosè condusse gli Israeliti fuori dall’Egitto; essi rimasero nel deserto per 40 anni.

Attraversarono il Mar Rosso (1500 a.C.) con 2 milioni di persone, di cui 600.000 guerrieri, e arrivarono nel deserto arabico, dove Dio li nutrì con la manna e diede loro la legge sul Sinai. Dio compì molti miracoli davanti ai loro occhi e Mosè morì sul Monte Nebo.

3. Sotto Giosuè conquistarono la Terra promessa, ma per altri 300 anni furono costretti, sotto la guida dei Giudici a combattere i loro nemici (1450-1100 a.C.).

Giosuè, successore di Mosè, divise la Terra Promessa tra le 12 tribù.

I Giudici erano capi suscitati da Dio in tempi di prova; essi comandavano il popolo in guerra, combattevano i nemici e amministravano la giustizia. I giudici furono Gedeone, Jefte, Sansone e Samuele, che fu l’ultimo giudice.

4. Gli israeliti furono poi governati da re: Saul, Davide e Salomone (1100-975 a.C.). – Saul era un uomo crudele che si uccise in battaglia. – Il suo successore

Davide si distinse per la sua pietà (1055-1015). Compose molti salmi e gli fu promesso da Dio che da lui sarebbe disceso il Salvatore. Egli cadde due grandi crimini, si sottopose a una severa penitenza. Suo figlio Assalonne gli si ribellò, ma senza successo. – Suo figlio Salomone costruì il meraviglioso tempio di Gerusalemme (1012) e fu famoso per la magnificenza della sua corte. Aveva una grande saggezza e scrisse il Libro dei Proverbi.

5. Dopo la morte di Salomone, il regno fu diviso in due parti: il regno di Israele a nord (975-722) e quello di Giuda a sud (975-588).

A Salomone successe il figlio Roboamo, che gravò il popolo di tasse ancora più pesanti del padre, così che le 10 tribù del nord formarono uno scisma e fondarono il regno di Israele. Le due tribù meridionali, Giuda e Beniamino rimasero fedeli a Roboamo e formarono il regno di Giuda.

6. Poiché gli abitanti di questi due regni abbandonarono il vero Dio, i regni furono distrutti e il popolo finì in cattività.

Il regno di Israele ebbe 19 re; essi portarono il popolo all’idolatria per impedire di andare a sacrificare a Gerusalemme. Dio inviò i profeti per minacciarli dei suoi castighi. Infine, nel 722, il re di Assiria, Salmanasar, distrusse il regno e deportò i suoi abitanti (tra cui Tobia) nella cattività assira. Nel 606, dopo la distruzione dell’impero assiro, essi caddero sotto il dominio dei Babilonesi e, nel 538, sotto il re persiano Ciro. – Il regno di Giuda ebbe 20 re e durò più a lungo. Fu solo il re di Babilonia, Nabucodonosor, che lo distrusse; poiché si ribellarono, un gran numero di ebrei (tra i quali Daniele

tra gli altri) furono fatti prigionieri (606 e 599). La città di Gerusalemme e il tempio furono distrutti. Tuttavia, i Giudei continuarono a offrire sacrifici sulle rovine del tempio. (Bar. 1, 10).

7. Dopo il ritorno dalla cattività (536), i Giudei godettero della pace fino al regno del crudele Antioco, re di Siria (203).

Dal 606 i Giudei del regno d’Israele e di Giuda furano soggetti allo stesso governo; vivevano nello stesso paese e presto ebbero relazioni amichevoli. Da questo momento in poi prevalse l’appellativo di Giudei anziché di Israeliti. Il re di Persia, Ciro, che aveva sottomesso l’impero babilonese, permise agli Ebrei di tornare in patria (Balthazar, ultimo re babilonese fu giustiziato la stessa notte in cui aveva profanato i vasi sacri). Nel 536 gli Ebrei tornarono in Palestina e ricostruirono il tempio. Immediatamente 42.000 guidati da Zorobahel tornarono a Gerusalemme e iniziarono a costruire il tempio, che fu completato nel 516. (Adempimento della profezia consolante di Aggeo). Nel 453 i Giudei ricevettero dal re persiano Artaserse il permesso di ricostruire le mura di Gerusalemme (profezia di Daniele sulle 69 settimane di anni). I Giudei rimasero sotto il dominio persiano per quasi 200 anni senza essere perseguitati. Nel 330 passarono sotto il dominio del re di Macedonia, Alessandro Magno, che aveva distrutto l’Impero persiano. Dopo la sua morte, i Giudei passarono sotto diversi sovrani, ma infine divennero (203) sudditi di Antioco Epifane IV. Egli li perseguitò a causa della loro religione: ad esempio, voleva costringere i 7 fratelli Maccabei ed Eleazar a mangiare carni proibite e li fece martirizzare; innalzò idoli nel tempio.

8. Dopo un’aspra guerra, gli Ebrei ottennero la libertà e furono governati per 100 anni da principi Giudei. (140-39 A.C.).

Sotto la guida dei valorosi Maccabei (Mattatia ed i suoi 5 figli), i Giudei iniziarono la guerra d’indipendenza e si liberarono completamente del giogo siriano. (In una di queste battaglie vennero uccisi alcuni giudei, sui quali furono trovati degli idoli. Giuda Maccabeo fece offrire sacrifici per loro). Uno di questi 5 fratelli, Simone, divenne re e sommo sacerdote in Giudea (140). Gli successe sul trono la sua posterità. Nel 64, Pompeo, in spedizione in Asia Minore, si fermò in Giudea e rese i suoi principi vassalli dell’Impero romano.

9. Nel 38 a.C., un pagano di nome Erode, divenne re della Giudea.

Quando i Giudei si ribellarono, i Romani deposero il loro principe e nominarono un pagano, Erode il Grande (39 a. C.). Erode fu il primo re dei Giudei, estraneo alla loro nazionalità. – Fu quindi sotto di lui che il Messia doveva nascere; fu anche lui a far massacrare i bambini di Betlemme. Morì nel 3 d.C. – A Erode successe il figlio Erode Antipa (3-40); fu lui a far uccidere S. Giovanni Battista ed a chiamare “folle” il Salvatore. Gli successe Erode Agrippa, un nipote di Erode il Grande. E. Agrippa fece decapitare Giacomo il maggiore ed imprigionare San Pietro. Egli si inimicò Dio e morì divorato dai vermi (44). – Nel 70 Gerusalemme fu distrutta da Tito ed i Giudei si dispersero in tutto il mondo.

2. Gli altri popoli furono preparati alla venuta del Messia, o dal popolo ebraico, o da uomini pii e saggi o con mezzi straordinari.

I Giudei erano in contatto regolare con i Gentili attraverso un commercio molto esteso. I loro libri sacri divennero presto noti ai Gentili e furono tradotti in diverse lingue. La Provvidenza ha permesso la loro prigionia per metterli a lungo in contatto con i Gentili; attraverso di loro i Gentili conobbero il vero Dio e le profezie sul Redentore. Tobia, illuminato dallo Spirito Santo, gridò: “Lodate il Signore, figli d’Israele! Egli vi ha dispersi tra i pagani che non lo conoscono, perché possiate raccontare le sue meraviglie e proclamare davanti a loro che non c’è altro Onnipotente all’infuori di Lui”. (Tob. X III, 3). – Dio ha anche suscitato uomini saggi e pii, o ne ha inviati alcuni. Socrate in Grecia insegnava un solo Dio, Creatore dell’universo; dimostrò la follia dell’idolatria, si distinse per la sua temperanza, l’altruismo

la dolcezza e l’impavidità, e fu condannato a morte per le sue dottrine. Giobbe in Arabia, Giuseppe in Egitto, Giona a Ninive, Daniele a Babilonia hanno svolto questo ruolo. Le loro straordinarie virtù, l’intrepida confessione della loro fede, i miracoli operati da Dio in loro favore (i tre giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni), erano destinati a mostrare ai pagani chi fosse il vero Dio. Di conseguenza, alcuni pagani adottarono la religione ebraica: furono chiamati proseliti. – Dio illuminò anche i Gentili con mezzi straordinari. Avvisò i tre Magi con una stella miracolosa (S. Matth. II,3); il centurione Cornelio da un Angelo (Atti Ap. X, 3), il re Baldassarre dalla misteriosa mano sulla parete sul muro (Dan. V.), il re Nabucodonosor da un sogno miracoloso che riguardava il vero Dio e il Messia (Dan. II), Balaam da un’asina (Num. XXII, 28). Inoltre, come vedremo in seguito, si trova davvero tra i pagani la speranza del Redentore.

3. Prima di inviare il Salvatore, Dio ha lasciato cadere tutti i popoli dell’universo in una profonda miseria, per far sì che desiderassero più ardentemente questo Salvatore e gli preparassero un’accoglienza più gioiosa.

I Giudei erano molto divisi in materia religiosa; tre partiti religiosi o sette si combattevano: i Sadducei, i ricchi del paese, che negavano la vita futura; i Farisei, meticolosi osservatori delle prescrizioni mosaiche; gli Esseni che si lasciavano alle spalle il mondo e conducevano una vita di dura penitenza. – Nonostante la loro filosofia, i pagani erano immersi in un’ignoranza totale delle cose divine e nell’immoralità più sfrenata. Il numero delle loro divinità era così grande che, secondo Esiodo, non è possibile enumerarle tutte. Adoravano statue di uomini viziosi, perfino animali; consideravano i loro dei come protettori del vizio e pensavano fosse meglio onorarli con azioni viziose o immorali, persino sacrifici umani. I pagani riconobbero la loro profonda miseria e chiedevano aiuto. In una delle sue odi, il poeta romano Orazio lamenta le guerre civili e dice: “Vieni finalmente, figlio della nobile vergine, rimani a lungo con il tuo popolo, torna tardi in cielo e trova il piacere di essere chiamato padre e principe”. (Socrate aveva già espresso la speranza che un mediatore sarebbe disceso dal cielo per insegnarci, senza errori, i nostri doveri verso Dio e verso gli uomini.. È quindi ragionevole che Giacobbe morente (Gen. XLIX, 10) e i profeti (Agg. 11, 7) avessero chiamato un tempo il Salvatore, il Desiderato delle nazioni. – Prima della venuta di Gesù Cristo, l’universo era come un malato che gridava al medico, perché sente il suo dolore in modo così acuto, come piante appassite che desiderano una rugiada rinfrescante, come un uomo che è caduto in un pozzo ed ha bisogno di un soccorritore perché, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a risalire, come il figlio di un re, costretto a vivere nella più grande povertà e sapendo di essere chiamato a destini più alti. (Alb. Stolz). – Dio, nella sua saggezza, continua ad agire nello stesso modo; prima delle ispirazioni dello Spirito Santo, lascia che alcuni uomini cadano molto profondamente: testimonianza, un certo S. Paolo, un S. Agostino. Gli uomini in tale stato di miseria sono molto più disposti a ricevere la grazia di Dio ed a servirlo con zelo dopo la loro conversione.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XI)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (52)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (51)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -IX-

K. — DIO PRECETTORE DELLA VITA MORALE.

1. Principi fondamentali della vita morale.

K 1a. a. — CONDIZIONI DELL’ATTO MORALE.

1 aa. Cognizione dell’oggetto della moralità. L’ignoranza può essere invincibile (escludente la volontarietà) e pertanto scusante dal peccato (1485) 1968 2865° 2866;

Tuttavia, non qualsiasi ignoranza scusa 729s.

1 ab. Intenzione dell’oggetto della moralità. La libertà dall’uomo comporta questa dignità, per la quale essa sia in mano del suo consiglio ed ottenga il potere delle proprie azioni 3245; sull’uomo è imposto di adempiere i comandamenti di Dio per libro arbitrio. 227 245;

se esistono fatali necessità si è sollevati dall’imputabilità degli atti umani, dal premio o dalla pena. 283; si rivendica la libertà dall’uomo anche se caduto nello stato di natura: vd. D 3bd; la libertà pure da se sola non è sufficiente a fare il bene. 725.

La bontà morale si raggiunge solo mediante la compartecipazione al Dio buono. 240; non è sufficiente tendere al fine ultimo tanto per congettura 2290;

si riprova l’ipotesi del peccato filosofico 2291; si riprovano le affermazioni più lasse circa l’intenzione (esclusiva) del diletto sensuale 2102s; si riprovano d’altra parte le asserzioni che peccano per eccesso, richiedendo (come necessario per un atto moralmente buono) il motivo soprannaturale di fede, speranza, carità 1925 1934-1938 2307-2313 2444-2459.

Per il peccato attuale si richiede il consenso 870; pertanto (e per assenso dell’avvertenza alla malizia) non si può commettere nemmeno il più piccolo dei peccati attuali 223 780 1514; si riprovano le asserzioni: [Alla ragione del peccato non appartiene la volontarietà; a.l’uomo pecca anche in ciò che fa di necessario] 1946-1949 (1950-1953) 1967.

La violenza scusa dal peccato: applicazioni 1(762) 2715 2758 3634 3718.

Il timore non esclude la volontarietà e l’imputabilità al merito o pena,

applicazioni 1678 1705 2070 2129 2151 2573 3273.

K 1b. b. — FONTI DELLA MORALITÀ.

K1ba. Oggetto. Si fa un opera buona (naturalmente e soprannaturalmente) per l’oggetto e la circostanza 1962.

K 1bb. Sono da indagare dal confessore le circostanze dei peccati 813; in confessione sono da dichiarare quelle che ne mutano la specie (della moralità), 1681 1707 (1962).

K 1bc. Il Fine non giustifica i mezzi (a.in favore della fede; b.per la salute del corpo) b815 ab1254 a1998 b3684.

K 1c. c. — ESTENSIONE DELLA MORALITÀ.

Si Riprovano le asserzioni contro il valore morale e l’imputabilità degli atti esterni 733 739 966-969 (2234) 2240.

K 1d. — NORMA OGGETTIVA DELLA MORALITÀ: LEGGE.

1 da. La legge eterna è la ragione eterna del Creatore 3247; è il fondamento delle l1 dd.eggi della ragione umana quanto è la natura dei beni e dei mali 3248 3781 3973; è il principio del diritto dell’universo 3249.

1dd. La Legge naturale è la stessa legge eterna scolpita negli animi degli uomini che comanda di fare le cose rette vietando di peccare 3247s (3272) 3780s 3956; si rivendica la sua esistenza e conoscibilità (quanto al a.diritto al dominio e alla proprietà, b.diritto di imperare, c.diritto al salario necessario) 2302 b3131 3132 a3133 b3150s 3152 b3165 3170 3248 a3265 c3270 CdIC 6 a1499 a1509, 10°.

Si rigetta la nozione di diritto nel naturalismo, nello stesso luogo sostituito dalla forza materiale 2890; si riprovano le asserzioni circa l’etica atea [le Leggi morali non hanno bisogno della legge divina come fondamento] 2956-2961 (2962-2964); [la Repubblica è fonte e origine di ogni diritto] 2939; [la Volontà del popolo è la legge suprema] 2890.

1dc. La Legge umana stessa consiste nel consociarsi degli uomini secondo la legge naturale come per i singoli uomini 3248; per la legge umana per nome proprio sono prescritte dai poteri civili cose definibili non immediatamente dalla sequela del diritto naturale 3248.

1dd. Autore della legge. Cristo non è solo redentore, ma anche legislatore 1571.

L’autorità eccl. e civile procede immediatamente da Dio 3151 3170; circa il diritto di imperare e degli obblighi nei confronti delle leggi: vd. C 7cc; K 5a c

1dc. Interpretazione della legge. I principi del diritto eccl. in CdIC 17-19. lde

Nella consuetudine nella Chiesa Ecclesia la forza della legge si ottiene unicamente dal potere superiore gerarchico CdIC 25.

K 1e. e. — NORMA SOGGETTIVA DELLA MORALITÀ: LA COSCIENZA.

1ea. Dono della coscienza: all’uomo è comandato di fare e conservare l’ordine morale; come decisione morale si deve applicare la legge obiettiva al caso particolare 3918; si riprova l’etica della situazione giudicante non sec. le leggi obiettive, ma sec. un’intuizione personale 3918-3921.

1eb. Regole della prudenza per agire praticamente, o: sistemi morali. Si riprova il tutiorismo assoluto o rigorismo 2303.

Liberamente si può scegliere un sistema di probabilismo e probabiliorismo 2175-2177; si consente di seguire l’autorità di S. Alfonso nella questione morale, restando tuttavia liberi di conservare le sentenze delle altre autorità 2725-2727.

Si Riprovano a.il principio del probabilismo più lasso e le sue applicazioni (b.maggiormente espresse) 2021-2065 b2046s b2106s a2103 b2104 2105-2165.

K 1f. LE VIRTÙ IN GENERE.

Si riafferma l’esistenza delle virtù naturali (ctr. i Giansenisti) 1916 1925 1936-1938 1962 2307-2309 2444//2467; si riprova d’altra parte il disprezzo delle virtù soprannaturali in favore delle virtù naturali 3343-3345; si riprovano le asserzioni disprezzanti l’esercizio delle virtù come imperfezioni 896 2231 2368.

Dio precipuamente richiede gli atti di fede, speranza, carità (1923) 2188.

Si riprova l’asserzione circa la connessione delle virtù (morali). 1216.

2. Exercizio delle virtù nei confronti di Dio.

(Beni richiesti a Dio)

K 2a. a. — VIRTÙ TEOLOGICA DELLA FEDE.

Circa la natura della fede vd. A 8a; la fede in quanto disposizione alla giustificazione e virtù infusa vd. F 3e 4.

2aa. Necessità di credere. La fede cattolica è necessaria per la salvezza 75s 485; una volta dato l’assenso con giudizio di verità, l’uomo non già è libero fintanto che la voglia abbracciare (2780) 2915; l’uomo pieno della rivelazione è tenuto a prestare assenso di intelletto e di volontà 3008; nell’adulto battezzando c’è la necessità di credere 2836; si riprova: [l’opinione anche la meno probabile che scusa l’infedele contro l’obbligo di credere] 2104; si riprova l’indifferentismo o tollerantismo (negante l’obblig. di credere) 2720 2730s 2785 2865-2867 2915-2918.

I fedeli della Chiesa catt. per giusta causa mai possono mutare o mettere in dubbio la fede 3014 3036; si riprova il dubbio positivo come metodo teol. 2738.

Si riprov. le asserzioni più lasse circa l’obbligo di produrre l’atto di fede 2021 2116. 2165; circa la fermezza dell’assenso alla fide 2119-2121.

La visione dell’essenza di Dio evacua l’atto di fede in quanto la fede è una virtù teologica 1001.

2ab. Verità da credersi. Per fede divina e cattolica è da credersi tutto ciò come che sia divinamente rivelato, contenuto nello scritto del Verbo di Dio, nella tradizione, o che la Chiesa proponga con giudizio solenne o mediante il Magistero ordinario ed universale (1870) 3011 CdIC 1323, § 1; tuttavia una volta dogmaticamente definita nessuna cosa può essere compresa se non espressa manifestamente CdIC 1323, § 3.

Per necessità di mezzo sono da credere:— l’esistenza di Dio, alcuni suoi attributi (Dio remuneratore e vindice), la Persona di Cristo 2381; —la Trinità divina 75 177 2164 2380; —: l’incarnazione del Verbo 76 2164 2380; si riprovano le asserzioni più blande in tali cose 2122s 2164.

Non è lecito distinguere tra capi fondamentali e non-fondamentali, così da permettere il libro assenso diverso dei fedeli 3683; si riprova (nel senso simile) la selezione dei temi nelle conclusioni eccl. 2676-2678.

2ac. Professione della fede. È diritto fondamentale il praticare privatamente e pubblicamente la religione; l’occultazione della fede può essere pecca8monisa se cede allimplicita negazione della fede o in scaldalo al prossimo 2118 CdIC 1325, § 1.

2ad. Conservazione della fede Ctr. la fede pecca particolarmente l’eretico e l’apostata CdIC 1325, § 2 (qui le definizioni di “eretico”, “apostata”); infedeltà puramente negativa non è peccato 1968.

Da fuggire sono pure quegli errori che portano all’eresia CdIC 1324.

Si proibisce di aderire: — alle società clandestine (sette dei Massoni) 2511s 2783 2894 3156-3160 (3278s) CdIC 2335; —: alle società bibliche 2771 2784; — : ai circuli teosofici 3648; —: al partito comunista 2786 3865.

I Libri sono sottoposti alla censura e i nocivi proibiti; vd. H ld.

K 2b. b. — VIRTÙ TEOLOGICA DELLA SPERANZA.

La speranza è la virtù teologica che decade alla visione di Dio 1001.

Si rivendica la legittimità del motivo della speranza ctr. gli errori: vd. F 4; si riprov. l’ass. più blando circa l’obbligo di praticare l’atto di speranza 2021.

C. – VIRTÙ TEOLOGICA DELLA CARITÀ.

Si deve aderire a Dio come al sommo Bene 285.

Si riprov. gli errori del perfetto amore di Dio e circa la rassegnazione di se stesso (a.applicati anche ai peccati commessi) a964s 975 2351-2373.

Si riprov.: [Dio può comandare l’odio di Dio] 1049.

Si riprov. l’ass. più blanda circa l’obbligo di produrre l’atto di carità verso Dio 2021 2105-2107.

Circa l’obbligo di osservare i comandamenti di Dio in genere: vd. F 3fe.

K 2d. d. – CULTO DI DIO IN GENERE.

2de. Preghiera. Si riprov. Le asserzioni detraenti dell’orazione a.vocale ed b.impetratoria come non convenienti all’uomo contemplativo o perfetto b957959 a2181 a2214; la preghiera vale come soddisfazione per i peccati 1713.

Riprov. le asserzioni circa l’applicazione dell’orazione: [le Orazioni applicate per una persona non possono giovare che in generale] 1169; [l’Orazione dei presciti a nulla vale] 1176.

2db. Il Sacrificio è necessario in ogni religione S3339.

2dc. L’uso dei Sacramenti e dei sacramentali anche nei contemplativi deve essere del cuore 2191; non si disprezzano o si dimenticano senza peccato 1259 1699 1718 1775 2523.

2dd. Il Culto dei Santi (degli Angeli e degli uomini) si difende come lecito e si raccomanda come utile 675 1821-1825 1867 CdIC 1276; cf. L 3db ; la Messa in onore dei Santi è nel senso lecito 1744 (1755) 3363.

Ugualmente lecito è il culto delle reliquie 675 (818) 1269 1821-1825 1822 1867 CdIC 1276; si riprova il modo disonesto di agire con le reliquie 818 1825.

Ugualmente lecito è il culto delle immagini 477 581 600//608 653-656 1269 1821 1823 1824s 1867 CdIC 1276.

Alle Reliquie ed alle immagini si deve il culto relativo alla persona alla quale si riferiscono CdIC 1255, § 2; il culto di adorazione (latria) è da attribuire solo a Dio, non alle immagini 477 601; alle immagini non è inerente la virtù per la quale si venerano ma l’onore ad esse tributato si riferisce al prototipo 601 1823; si riprov. “adorare” immagini (il cui termine nondimeno viene infelicemente citato 600//608 653-656: versioni; cf. 612°; ma anche 675) 447 581.

Conviene anche il culto contemplativo delle immagini 2187;

Si riprov. L’asserzione indebitamente limitante il culto delle immagini 2325 2669-2672; si riprovano tuttavia le immagini della B. Maria Vg. abbigliata con vesti sacerdotali 3622.

Si censura l’abuso nel culto dei Santi 818 1825.

2de. Osservanze superstiziose. Si proibisce la divinazione, praticata nei sortilegi, gli auspici, l’astrologia giudiziaria, la chiromanzia etc. 1859 2824; all’astrologia (come scienza) non è da riporre fede 205 283 459s.

Si disapprova lo spiritismo con linterrogare anime o spiriti con l’operato di un “medium” personale 3642; ugualmente il magnetismo con fini soprannaturali 2823-2825.

Magia, veneficio: si riprovano atti e libri loro inerenti. 283 1859.

K 2e. e. – CULTO DI DIO PUBBLICO.

2ea. La Liturgia constituisce il culto pubblico, che il Redentore tributa al Padre e che la società dei fedeli tributa per suo mezzo al Padre (3840) 3841; il culto è pubblico, se esercitato in nome della Chiesa da persona legittimamente a questo deputata e presentata per atto di istituzione della Chiesa a Dio e ai Santi CdIC 1256; il culto deve essere esterno ed interno 3842;

Si riprov. le asserzioni estreme circa l’essenza della liturgia 3843.

Il Sacrificio dell’altare e le preghiere dell’ufficio divino sono un culto pubblico 3757; si riprov. le asserzioni circa l’ordine da osservare nella liturgia 2631-2633 2664s.

Si comanda il Precetto di ascoltare la Messa nei giorni festivi CdIC 1248; si riprova l’asserzione più blanda 2153; la celebrazione simulata della Messa è inganno del popolo 789; si riprova l’asserzione circa la celebrazione delle feste 2152 2673s; è sconveniente celebrare la festa delle singole Persone della Ss. Trinità 3325.

Le Preghiere liturgiche fatte dall’Ufficio a Dio in nome della Chiesa posseggono maggiore forza delle private 3758 3845; tuttavia, non per questo non sono da farsi le private 3819; si rivendica il valore “soggettivo” della pietà ctr. le detrazioni 3845.

Il concetto di anno liturgico è insufficiente ma vero concetto 3855.

Asserzione riprovata circa la lingua liturgica 2486 2666.

L’Ufficio divino dei Chierici: riprov. l’asserzione più blanda circa l’obbligo 2041 2053-2055 2154.

Orationi pubbliche, missioni popolari, esercizi spirituali: asserzioni riprovate 2664s.

2eb. Astinenza dalle opere servili nei giorni festivi. CdIC 1248.

2ec. Penitenza comune digiuno e astinenza da praticare in determinati periodi dell’anno: l’uso Romano non è condannabile 1080; il precetto obbliga anche i contemplativi 2191; le asserzioni più blande sono riprovate 2043 2049-2052.

K 2f. f. — REVERENZA NEI CONFRONTI DI DIO.

2fa. Tentazione di Dio. Si Riprovano le ordalie (ad opera dei ferri roventi, dell’acqua bollente, etc.) 670 695 799 1114; per il duello vd. K 4da.

2fb. Simonia è definita la efficace volontà di comprare o vendere per prezzo temporale una cosa intrinsecamente spirituale, o temporale a quella necessariamente annessa o che costituisce oggetto del contrario CdIC 727, § 1; si può comminare i per denaro, a.lingua, b.ossequio 304 473 586 692 ab707 751 820; si riprova la simonia nel a.conferire gli ordini sacri, nel b.promuovere gli ufficiali, nell’amministrazione del c.battesimo, d.crisma, e.sepoltura. f.sacramentali, g.nel ricevere un monaco nel monastero ab304 a473 a586 a691-694 a701s a705 ab707 cde708 ab710 bdf715 g752 ab820 CdIC a729; delle ordinazioni simoniache vd. J 8bb.

Si considera Simonia —: come riduzione della grazia soggetta a un prezzo 304; — : come vendita di un dono dello Spirito S. 473 586; si riprov. l’asserzione peccante — : per eccesso 1175 (1178); —: per difetto 2145s.

K 2g. g. — FEDELTÀ E VERACITÀ VERSO DIO.

2ga. Voto religioso (professione monacale, voto di verginità perpetua non può essere abbandonata senza peccato 321s; riprov. [Il Voto impedisce la perfezione] 2203.

2gb. È lecito il giuramento (an nel testimoniare davanti ad un giudice) a648 795 1252 a1253;

Lo spergiuro sempre, anche se in favore della fede, è peccato mortale 1254;

Riprovata l’asserzione negante o restringente della più equa liceità del giuramento 913 1193 (1252) 2675; asserzioni peccante per eccesso: [Ctr. Il giuramento non vale altro testimonio] 1110; [Violare il giuramento è lecito in favore della patria] 2964; asserzioni più blande 2030 2124-2126 2128.

3. Esercizio delle virtù verso se stessi.

(Beni chiesti a se stesso.)

K 3a. a. — I BENI RELIGIOSI DELLA PROPRIA ANIMA.

Obbligo di procurare i beni con l’uso dei Sacramenti: vd. sotto i singoli Sacramenti circa l’effetto e la necessità: J 3c 4c 5e 6c 7c; ugualmente il precetto della Confessione e della Comunione almeno annuale; J 5ed 6d.

Si riprov. le asserzioni circa la dismissione dei beni spirituali dell’anima (ad es. dell’amore interessato, delle virtù, della propria perfezione, della propria beatitudine) come requisiti per la perfezione (896) 957-959 2207 2212 2351//2373.

Obbligo delle buone opere 1538s 1545s 1548.

Opere di penitenza e mortificazione: riprov. le asserzioni detrattrici del loro valore 2238-2240 (3344); il digiuno vale come soddisfazione per i peccati 1713; l’uso della Chiesa latina del digiunare non è condannabile. 1080; il digiuno non è da disprezzare dagli uomini perfetti 892.

Obbligo di evitare l’occasione prossima di peccare: asserzione riprovata. 2061 2162s.

K 3b. b. — BENI IMMATERIALI TERRESTRI DELL’ANIMA.

3ba. Libertà personali. Singoli diritti o libertà vd. sotto il luogo proprio tra K.

3bb. Onore e fama propria. Si riprova: difendere o rivendicare il proprio onore —: col duello: vd. K 4da; — con l’uccisione del calunniatore 2037s; —: con una falsa incriminazione 2143s; — con amfibologia 2127; —: con procurato aborto 2134.

K 3c. c. — BENI CORPORALI PROPRI.

Dio concesse all’uomo il diritto dell’integrità della vita e del corpo

(inclusi i a.mezzi necessari ad un onesto genere di vita, b.funzioni sociali in tempo di inopia) a3771 b3774.

La stessa natura delle cose comanda di conservare la vita propria 3268 3270; è proibito esporre la propria vita per legge divina 3272; i suicidi o duellanti sono privati della sepoltura eccl. CdIC 1240, § 1, 3°-4°; circa il duello vd. K 4da.

L’uomo nelle membra del suo corpo non ha altro dominio che quello che è pertinente ai fini naturali 3723; non gli è lecito, danneggiare le sue membra, mutilare, o per altra via rendersi inetto se non quando non si possa provvedere diversamente al bene dell’intero corpo (a.applicando il principio della totalità) 3723 3760 3763 S128a aS128a°; proibita è la castrazione volontario di se stesso 762 S128a.

Integrità sessuale: si riprova la masturbazione direttamente procurata (a.anche per fini medici) 687s a3684; asserzione riprovata della peccaminosità che investe qualunque atto carnale 897 1367 2044s 2109 2148 2149 -2241 2247; si proibiscono i libri lascivi 1857.

K 3d. d. — BENI MATERIALI ESTERNI.

Obbligo di lavorare per procurarsi il vitto 3268-3271; tuttavia, non per questo è riprovevole la mendicità religiosa 1174 (1491);

Il lavoro della madre di famiglia e degli infanti per il salario insufficiente del padre, è un abuso 3735.

K 4. Esercizio delle virtù nei confronti del prossimo.

(Beni del singolo richiesti al prossimo)

K 4a. a. — PRINCIPI GENERALI.

Si rivendica l’obbligatorietà di amare il prossimo con atto interno e formale. 2110s.

Peccati generici ctr. la carità: si riprov. l’ass. più blando a.circa il gaudio dela male altrui, b.il desiderio del male dell’altro, c.la tristezza per il bene altrui abc2113 b2114 a2115.

Lo scandalo al prossimo per l’occultazione della fede CdIC 1325, §4 ; scandalo può sorgere dal modo insano di declamare in pubblico 1405 1820.

Cooperazione al male—: nell’onanismo matrim. 2715 2758 3634 3917a; – : dell’ufficiale cattol. nel divorzio civile 3190-3193; —: nel duello 3162; —: coinvolgere il servo nel peccato 2151; —: nel cremare i cadaveri 3278s: —: nel suffragare i comunisti 3865.

K 4b. b. — I BENI RELIGIOSI DELL’ANIMA.

Si espongono i principi circa l’educazione religiosa. 3685-3690; in qual senso è riprovata l’educazione sessuale 3697s.

K 4c. c. — I BENI IMMATERIALI TERRENI.

4ca. Verità e veracità.

Si riprovano le asserzioni (più blande) —: scusanti la menzogna e l’amfibologia (2124) 2125-2128; – : la testimonianza giuridica dannosa 1112 2046 2102; — circa la detrazione e la falsa incriminazione.

Si Riprova la simulazione della.Messa, b.dei Sacramenti, c.del battesimo a789 b2129 b2560s.

4cb. Fedeltà. Si riprova l’asserzione più blanda circa la fedeltà nella promessa 2030.

4cc. Libertà personale. Dal potere civile di deve assicurare la libertà che richiede la dignità della persona umana 3250.

Tra i diritti fondamentali dell’uomo, spetta la personale libertà in particolare: — la libertà di sequire la coscienza propria, 3250.

— : libertà dalla coercizione nella pratica della fede: nessun recalcitrante è da obbligare al battesimo 647 698 773 781 (1998) 2552-2554 2557 3177; non è lecito battezzare i figli di genitori nolenti 1998 2552-2554 2557;

Cristo non obbliga nessuno ad agire con violenza, ma è riservata l’esortazione alla libertà del proprio arbitrio 698. — : tolleranza della persuasione religiosa degli altri (a.e tutela del culto ctr. i perturbatori), che viene comandata o raccomandata 480 698 772 a773 3176 (3250) 3251s; si riprova: [gli eretici sono da bruciare ctr. la volontà dello Spirito S.] 1483.

Ripugna la libertà Illimitata di pensare, scrivere, insegnare 2731 2850-2859 2875 2979 3252.

Si protegge la Libertà della donna nel matrimonio 3709;

Libertà dalla schiavitù: Empia è la vendita degli uomini per questo si proibisce ctr. I diritti dell’umanità e della giustizia 668 1495 2745s.

Si riprovano I mezzi violenti dell’inquisizione giudiziaria (per estorcere una confessione di crimini); 648; cf. anche le ordalie: K 2fa.

4 cd. L’onore e la fama.

La Confessione è segreta e vi è obbligo del sigillo: vd. J 6ad; asserzioni riprovate circa il danno all’onore degli altri 2143s.

K 4d. d. — BENI CORPORALI

4da. Vita. È vietato dalla legge divina e naturale ferire o uccidere qualcuno all’infuori di una causa pubblica senza essere costretto da alcuna necessità. 3272; il giudizio del sangue è lecito da parte del potere secolare purché non proceda da odio, ma per giudizio e riflessione 795; la milizia può essere innocente 321; si rivendica il diritto di combattere contro gli infedeli (Turchi) 1484; si riprova l’uccisione innocente per ordine della pubblica autorità. 3790.

Si riprova l’ass. scusante l’uccisione — del calunniatore e del falso giudice 2037s 2130; — : del tiranno 1235; — : il ladro per una sola moneta 2131; — : persona che turba la legittima speranza di possesso 2132s; — per adulterio colto i flagranza 2039.

Si riprova l’uccisione del feto o aborto (a.come omicidio) a670 2134s 3258 3298 3337 3719-3721 CdIC 2350, § 1; si giudicano i diversi modi di estrazione del feto: a.accelerazione del parto, b.aborto, c.operazione cesarea, d.laparotonmia, e.craniotomia e3258 be3298 a3336 bc3337 b3338.

Si. riprova il duello (monomachia) ed il a.quasi-duello 799 1111 1113s 1830 2022 2571-2575 3272s 63672 CdIC 1240, § 1 2351; il duello è tentazione a Dio, b.temerarietà nell’esporre la propria vita, b.temerarietà, perversione del diritto come punizione privata a799 bc3272s; non è lecito ad un medico o confessore assistere al duello 3162.

4db. Integrità del corpo. La pubblica autorità non ha diretta potestà sui membri dei sudditi (3272) 3722 3760-3765; questione della liceità quanto —: castrazione e mutilazione 762 S128a; — sterilizzazione 3722 3760-3765 3788; in quanto alla sostanza l’atto non è intrinsecamente illecito, ma lo è per difetto di diritto di agire, se si configura come impedimento alla prole 3760.

4dc. Cura dei corpi dei defunti. Si proibisce la cremazione dei cadaveri (a.ragione addotta) 3188 3195s 3276-3279 a3680 CdIC 1240 §, 1,5°; non è in sé un male e si permette in casi particolari 3680; questione della liceità quanto alla cooperazione 3278s.

Violazione dei cimiteri. Si riprova la dissepoltura dei cadaveri fatta con prava intenzione 773.

K 4e. e. — BENI DELLA VITA SESSUALE.

4ea. Diritto a contrarre il matrimonio (ed istituire una famiglia) 3702 3771.

4cb. Beni che preludono alla prole 3704s; la continenza, consenzienti entrambi i coniugi, può evitare onestamente la prole 3716; il modo di agire dei coniugi che convivono in modo naturale è legittimato dai fini secondari del matrimonio, dal momento che,o per causa naturale, o per il tempo, o a causa di difetti non possa generare la vita. 3718; lecita è l’osservanza dei tempi agenesiaci 3148 3748; si riprova l’onanismo matrimoniale (specialmente indotto con a.strumento, b.coito sodomitico) 2715 2758-2760 2791-2793 a2795 3185-3187 b3634 a3638-3640 3716-3718 ab3917a; si scusa la moglie obbligata al peccato 2715 2758 3634 3718.

Questione della liceità quanto alla —: copula dimezzata 3660-3662; —: ampiesso riservato 3907.

La Fecondazione artificiale è illecita 3323.

4ec. Si disapprova la vita sessuale più libera — : matrimonio a tempo, ad esperimento 3715; —: dissoluzione dell’unione coniugale 283; — divorzio delle presunte vedove da altro marito, al ritorno del primo (creduto morto) 314.

Si riprovano i giudizi più lassi quanto alla peccaminosità degli atti carnali 2060 2109 2148-2150; la fornicazione del soluto con una soluta è peccato a.mortale a835 2148; si riprov. l’asserzione più lassa circa il modo di considerare i peccati sessuali 2044s 2150.

Il Chierico costituito negli ordini sacri e i regolari solennemente professi, contraggono il matrimonio invalidamente 1809 CdIC 1072s (2388, § 1); in cosa di sollecitazione venerea non è ammessa parvità di materia 2013;

asserzione riprovata circa la denunzia della sollecitazione 2026s.

4ed. Istruzione sessuale. L’educazione sessuale in qual senso è riprovata 3697; riprovata l’educazione dei sessi 3698; sono proibiti i libri lascivi 1857.

K 4f. f. — BENI MATERIALI ESTERNI.

4fa Si raccomanda l’Elemosina come opera buona (a.soddisfattoria per i peccati, b.in suffragio per i defunti) b797 9713 b856 9304 b1405; si rivendica il modo di vivere degli ordini mendicanti 844 1170 1174 1184 1491.

L’obbligo all’elemosina non viene dalla giustizia, ma dalla carità, eccetto nelle cose estreme 3267;. I ricchi sono gravemente obbligati a dare da libere donazioni (a.negato il supposto dell’asserzione lassa) a2112 3729.

4fb. Giustizia nell’acquistare e nel possedere. Il diritto al dominio e alla proprietà è fondato sulla legge divina e naturale 3133 3265s 3271 3726 (3728) 3771; si difende come diritto ondamentale specialmente nelle genti oppresse dell’uomo 773 1495 2746; si riprovano le asserzioni che negano al peccatore il diritto alla proprietà civile o all’eredità 1121-1125 11541 1165 1230; la proprietà non impedisce la salvezza dell’uomo 797; il comunismo contrasta il diritto alla proprietà 2786.

Il diritto alla proprietà ha indole individuale e sociale (3267) 3726 3728 3773; da evitare è sia a.l’individualismo quanto il b.collettivismo ab3726 a3741.

Nel possesso occorre distinguere l’uso dei beni 3267 3727; l’uso dei beni materiali riguarda tutti (a.in equa parte) 3267; l’abuso o il non uso non è ammesso nel diritto di proprietà 1126s 1137s 1166 1168 3727;

l’autorità pubblica non può negare il diritto al possesso, ma temperarne l’uso e concorrere al bene comune 3271 3728. Circa il bene comune e la giustizia sociale vd. K 5ca 5cb.

Titoli per acquistare il dominio -: l’occupazione di una cosa di nessuno 3730;

l’industria o la specificazione (così come gli dà una nuova specie o aumento della proprietà) 3730;

– il lavoro personale equo tuttavia non è l’unico titolo legittimo 3265 3268s 3731 .3732 3773; principi del giusto salario: vd. K 4fc;

– diritto all’eredità (a.che nessuno della civile autorità può portar via) 1122s a3728;

– prescrizione, supposta buona fede 816 CdIC 1512.

lesione della proprietà. Il furto e la rapina sono divinamente proibiti 3133;

I rapitori della cose dei naufraghi sono scomunicati come fratricidi 706;

riprov. le ass. più lasse -: favoreggiamento nei furti 1368 2136-2138; -: peccati ctr. la giustizia nel risolvere le obbligazioni ecclesiastiche per lo stipendio ricevuto 2028-2030 2040-2042 2053-2055 2063 2147 (2154);

sentenza del giudice con accettazione di denaro con parti ugualmente probabili 2046; -: ctr. l’obbligo della restituzione 1115 2040 2053 2138s.

4 fc. Giustizia nel contrarre. In forza del prestito, nessuno può percepire un guadagno. 3105: 4fc.

un lucro è legittimato da titoli estrinseci 3106s; principi determinanti la quantità del lucro 3108s.

L’Usura è definita come studio del lucro non germinante dall’uso della cosa, da alcun lavoro, nessun rischio, nessun pericolo 1442 (2546) CdIC 1543; si riprova l’usura (a.e le specie di contratti affini) 280s 716 a753 a764 906 2062 a2140 2141s S747; si condannano i cambi 1981s; cause scusanti ed i contratti scusati (in specie i Monti di Pietà) 828 1355-1357 a1442-1444 2548-2550; usura a solo legis titolo di legge è considerata di dubbia fede 2743.

Locazione dell’opera. Il Salariato di per sé non é ingiusto 3733;

Si raccomanda la temperanza nel contratto dell’opera contro il contratto di società e la partecipazione attiva del lavoratore alle strutture da amministrare 3733

Principi per la mercede diminuita giustamente (tra le quali a.la necessità della famiglia, b.stato economico dell’officina, c.il bene comune) (a3266) 3269s 3271 (a3726) 3733 a3735 3736 c3737 3773.

K 5. Esercizio delle virtù contro la suprema società.

K 5a. a. – BENI RICHIESTI ALLA SOCIETÀ IN GENERE.

5aa. Il diritto di formare una società è dato da Dio 3771.

5ab. Circa la giustizia sociale quale principio economico vd. K 5cb.

I beni sia esterni sia all’anima sono dati all’uomo tanto per la perfezione propria che per l’utilità degli altri 3267.

5ac. L’autorità imperante (in genere).

L’autorità legittima è difesa ctr. i denigratori: [l’uomo perfetto si emancipa dall’obbedienza] 893 2265; [il Popolo arbitrariamente recusante la legge non pecca 2048;] [il Popolo può a suo arbitrio correggere i signori che delinquono] 1167: si riprova il concetto materialistico dall’autorità 2960; il diritto di dominare non si estingue nell’uomo peccatore o prescito 1121 1165 1230.

Ogni autorità umana ha i limiti nella legge eterna 3248s;

K 5b. b. — BENI RICHIESTI ALLA FAMIGLIA.

Il diritto a formarsi una famiglia è dato da Dio 3771; il convito domestico per ragione e cosa è prioritario rispetto alla comunità civile 3728; si riprov.: [la famiglia trae la ragione della sua esistenza dal diritto civile] 2891; l’ordine dell’amore e la sottomissione nella famiglia 3707-3709; il diritto ed il compito della famiglia di educare e procurare l’istruzione 3685 3690 CdIC 1372 1374; questo diritto precede il diritto dello stato 2891s 3690 3693.

Si riprova il lavoro della madre di famiglia e degli infanti obbligati alle officine dalla esiguità del salario paterno 3735 3737; la giusta mercede del lavoro è determinata dal rispetto e dalla necessità della famiglia (3266) 3271 (3726) 3735.

K 5c. c. — BENI RICHIESTI ALLA SOCIETÀ CIVILE.

5ca. Genere di beni provenienti dalla società civile. Beni comuni economici: obbligo di intendere la richiesta del bene comune dall’indole del dominio sociale 3728; questa cura deve estendersi a tutto il mondo (oltre la propria gente); casi speciali ove urge il rispetto al bene comune 3737 3772

Adeguamento degli uomini rispetto ai diritti e ai beni della cultura terrestre (La ragione considera la dignità della persona umana), in specie per ciò che spetta all’indipendenza politica della gente 3255.

Pace – : si spera conservarla —: tra gli ordini dei cittadini: (3170)

5cb. Principi dell’intercessione della potestà civile nella vita sociale. La giustizia sociale è il principio direttivo economico esigente dal singolo quanto sia necessario al bene comune 3732 3737-3741 3774.

Il principio si sussidiarietà deve reggere qualsiasi ordine sociale 3738.

Si riprov. l’ass. circa il diritto assoluto di tassare del potere civile 2939 3782s 3785; principi di resistenza ctr. l’abuso del potere civile (a.dissuadere la sedizione, b.si riprova il tirannicidio) a1235 a3132 a3170 3252s 3775s.

La societas civile ha il diritto di educare, non assoluto ed antecedente il diritto della famiglia 2891s 3685 3690-3596; non ha il diritto di sciogliere in vincolo del matrimonio (a.neppure nei legittimi matrimoni naturali) 2992 (3190-3193) a3724; non può togliere il diritto di proprietà ed eredità 3728.

Ai cittadini compete la facoltà di eleggere o temperare la forma della cosa pubblica 3173 3253s; —di partecipare attivamente ai negozi della repubblica 3174; — di riunirsi in società di lavoratori 3740.

5cc. Sistemi dell’ordine sociale. Si riprende il liberalismo (ed il suo individualismo) 3772.

Il Socialismo (anche a.mitigato) contrasta con i principi cristiani 2892 2918 3742-3744.

Il Comunismo rovescia le necessità dei cittadini e della società 2786 3773; è proibito il suo favireggiamento 3865.

K 5d. d. — BENI RICHIESTI ALLA CHIESA.

Sottomissione all’autorità della Chiesa —: rivendicata in genere 102 161 704 1215 2895; nessun uomo a.giustificato né b.perfetto (o contemplativo) è esente dai precetti della Chiesa b393 a1570 b21895; — dall’insegnamento: vd. H la c 2a-c; — dal riconoscere il primato del S. Pontefice: vd. G 4db; rifiutare la sottomissione al S. Pontefice e ricusare di comunicare con i membri della Chiesa è scismatico 446 468s CdIC 1325, § 2.

Diritto della Chiesa è obbligare e punire i disobbedienti: vd. G 4b; diritto ai beni temporali vd. G 4a.

6. Vita della perfezione cristiana.

K 6a. a. — NATURA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA.

6aa. Cooperazione con la grazia divina. Si riprova l’ass. che nega il valore e la necessità dell’umana attività [come: Dio solo vuole operare in noi senza di noi; l’uomo deve annichilare le sue potenze; ogni progresso della virtù deve attribuirsi unicamente all’azione divina] 2201//2255 3817 3846; reprob.: [l’uomo può perfezionarsi a tal punto da non poter più progredire nella grazia] 891.

6aa. Effetto o frutto della vita di perfezione. Riprov. l’ass. esagerante: [si può pervenire alla perfetta libertà dalle passioni, dalla cupidigia, alla morte della sensualità, alla pace imperturbabile] 892 2254-2256 2262s:

[Si può giungere anche alla libertà dal peccato veniale fino ad essere a.impeccabile] a891 2256-2261.

Alle Tentazioni devono resistere anche i contemplativi a192 2217-2224 2237 2241-2253; l’atto e peccato anche per l’uomo perfetto 897 2248 (2241-2253).

L’unione con Dio è da raggiungere in terra, si riprov. l’ass. esagerante: [a.l’uomo si trasforma totalmente in Dio, b.si fa uguale a Dio c.gode la beatitudine e la comunione illimitata con Dio, d.opera una cooperazione comune con Dio] b959s ac9615 c963 b970-972.

6ac. Sottomissione a Dio e alla Chiesa. Anche i contemplativi vi sono tenuti 893 2189s; ad essi non conviene omettere l’atto di riverenza prescritto nei confronti della S. Eucaristia 898.

K6b. b. — VIA DELLA PERFEZIONE CRISTIANA.

6ba L’Esercizio delle virtù conviene pure agli studenti 896 2188 2231 2368; anche l’atto esterni ha valore per la vita di perfezione 966-969.

6bb. Orazione. L’ Orazione contemplativa è riconosciuta legittima ed eccellente 2182 2185 2188; il suo oggetto non è solo la presenza di Dio 2185-2187; l’orazione meditativa e riconosciuta legittima e di valore per la vita di perfezione 2181-2185; negando ad essa la necessità per la salvezza 2192: si rivendica la legittimità dell’orazione discorsiva ctr. le detrazioni 2218-2223 2225 2229 1232 2264 2365-2368; all’uomo perfetto conviene pure l’Orazione impetratoria 957-959 2214; reprob. l’asserzione ctr. la devozione sensibile (2218) 2227//2235 2263.

6bc. Le opere di penitenza e di mortificazione hanno il loro valore anche per i perfetti 2238-2240.

6bd. Rinunzia all’amor proprio. Si riprova l’asserzione esagerata soprattutto circa la necessità della rinuncia all’amore proprio, ai beni spirituali e alla salvezza eterna 957-959 2201-2217 2224s 2232//2253 2351//2373 2433.

6be. Consigli evangelici o voti religiosi. Si rivendica la loro legittimità 321 (381) 797 3345; non impediscono la perfezione 2203; si riprovano le asserzioni esagerate circa la povertà — di Cristo e degli Apostoli 930s 1087//1097; —: forza del voto 908 10871097.

6bf. 6bf lo Stato religioso è il modo stabile di vivere in comune in cui oltre ai precetti comuni si praticano anche i consigli evangelici CdIC 487; si rivendica li stato religioso (ctr. gli avversari) 844 11691174 1181 1184s 1194s 1270 CdIC 487; riprov. le asserzioni circa la riforma dei regolari e dei monacali 2680-2692; si difende come legittimo lo stato dei religiosi mendicanti 841-844 1170 1174 1184 1491.

6bg. Stato di verginità e celibato. Obbligatorio per i chierici (a.negli ordini maggiori)

117° 118s 185 711 a1809 2972 CdIC a132 1072s.

La verginità ed il celibato superando stato matrimoniale 1810 3911s; il mutuo aiuto dei coniugi non è un mezzo di maggior perfezione per la santità come la verginità. 3912.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (53)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

CONCLUSIONE.

A chi, dopo d’aver contemplato nel suo spirito animatore l’etica nostra e d’averne sentito l’intimo palpito, ripensa ai vari sistemi filosofici che hanno voluto tracciare all’umanità una norma di vita, ricorre alla memoria l’osservazione di Alessandro Manzoni nella sua Morale Cattolica: «Che, anche dopo il Cristianesimo, alcuni filosofi si siano affaticati per sostituirgliene un’altra, è un fatto pur troppo vero. Simili a chi, trovandosi con una moltitudine assetata e sapendo d’esser vicino a un gran fiume, si fermasse a fare con de’ processi chimici qualche gocciola di quell’acqua che non disseta, hanno consumato le loro cure nel cercare una ragione suprema e una teoria completa della morale, assolutamente distinta dalla teologia: quando si siano abbattuti in qualche importante verità morale, non si sono ricordati ch’era stata loro insegnata, ch’era un frammento o una conseguenza del catechismo; non si sono avvisti che avevano soltanto allungato la strada per arrivare ad essa, e che, invece di avere scoperto una legge nuova, spogliavano della sanzione una legge già promulgata ». – V’è bensì in ogni sistema morale un punto luminoso, un raggio di verità: ed è ciò che attrae, affascina, seduce le menti frettolose. Così ad esempio, quando gli scettici negheranno la serietà della vita, risponderà loro il vanitas vanitatum di Salomone, l’affermazione, cioè, che le cose di quaggiù, separate dall’Assoluto, sono un nulla e ci tuffano nelle onde del relativismo, del dilettantismo, del pessimismo. Persino quando il concetto di utile cercherà di ingoiare e di distruggere il concetto di bene, avremo un lato di verità, che l’utilitarismo illustrerà con tutti gli sforzi: la virtù, infatti, porta la felicità agli individui ed ai popoli. Kant, che si soffermerà con rigoroso esclusivismo sul dovere ed escluderà ogni idea di utilità, non farà altro se non proclamare che il valore morale dell’atto non dev’essere giudicato dall’esterno, ma nell’intimità del suo spirito. Nietzsche, che canterà il Superuomo, esprimerà a modo suo il bisogno profondo che sentiamo di elevarci sopra la nostra miseria e le nostre deficenze, e di aspirare alla divinizzazione. Hegel e gli idealisti, per i quali l’individuo non è se non un momento del Tutto, sottolineeranno il grande errore di una visione atomistica dell’universo e, di conseguenza, dell’orientamento egoistico dell’individuo. Sono tutti « frammenti di vero per dirla col poeta lombardo, misti ad esagerazioni ed a spropositi. Nè bisogna dimenticare il vantaggio che lo studioso può ottenere dalla loro meditazione: giova, infatti, far attraversare un prisma di cristallo da un raggio di sole, per infrangerlo in tanti colori distinti, che dapprima l’occhio nostro non poteva cogliere. Anzi, la futura storia della morale dovrà appunto esser condotta, non già dal semplice punto di vista critico-negativo della confutazione, ma con le preoccupazioni serene di una critica costruttiva, che tutti i raggi di luce raccoglie pazientemente, che tutte le anime di vero organizza sistematicamente, che alla fine mostra come tutti i risultati delle umane ideologie si sintetizzano e vengono infinitamente superati dalla morale divina dell’Amore. Ma la storia della morale, che l’avvenire ci darà, non potrà essere soltanto una disamina filosofica di sistemi: essa sarà necessariamente la storia dell’Amore nei secoli cristiani. Siccome, a differenza dei vari pensatori, Gesù Cristo non si è limitato ad enunciare una dottrina, ammirata da molti, ma praticata da pochi, bensì ha istituito una società, che ormai da due millenni si ispira alla sua morale, è evidente che, per capire la morale dell’Amore bisogna guardarla non tanto nelle formule astratte, quanto nella concretezza della vita vissuta. – Questo piccolo libro non potrebbe avere altra conclusione, se non una traccia, un sommario, un indice di un futuro Sillabario della storia della Chiesa, che indichi come la vita del Cristianesimo è la storia dell’amore e che chiunque non comprende questo, è destinato a non penetrare mai nell’essenza della religione nostra. Il dogma ci ha cantato l’Amore: tutti i precetti della morale li abbiamo visti vivificati dall’Amore; anche il corpo mistico di Cristo, la Chiesa, non è altro, e non può essere altro, se non il trionfo dell’Amore nel tempo, che prepara le vittorie di esso negli anni eterni.

1. – I due metodi storici.

Diciamo subito che due metodi si possono seguire nello studio della storia del Cristianesimo. In genere si considera quest’ultimo nelle sue manifestazioni esteriori ed allora i secoli cristiani li dividiamo in epoche ed ogni epoca in fatti ed in vicende. Abbiamo così il Cristianesimo sotto l’Impero Romano, il Cristianesimo all’epoca dei barbari, il Cristianesimo nell’età di ferro, il Cristianesimo nel Medio Evo, durante l’Umanesimo ed il Rinascimento, nel periodo della Riforma, dell’Illuminismo, dell’Enciclopedia, della Rivoluzione francese, del Romanticismo, nel secolo ventesimo. Questa però non è ancora la vera storia, come io non conoscerei ancora la storia d’una persona, se mi accontentassi di raccogliere un mondo di fotografie, fatte al bimbo in culla, al bambino in fasce, al fanciullo, al giovane e via dicendo, od anche se radunassi in una cronaca scrupolosa tutta la narrazione delle gesta e delle vicende di quell’individuo. Avrei, in questo modo, un materiale ottimo, prezioso, necessario; ma fin quando da esso non riuscissi ad entrare nell’animo e nel cuore di quella persona e mi restasse ignota la fonte unica interiore, da cui sono zampillati tutti gli atteggiamenti esterni nelle varie situazioni di fatto, non avrei dinanzi a me una persona conosciuta, ma un enigma misterioso da decifrare. – La vera storia del Cristianesimo non la si può cogliere se non ponendoci nella sua vita profonda. Gesù è unito ai suoi seguaci e questo mistico organismo, animato dallo Spirito Santo, si sviluppa nei tempi. Più che baloccarsi coi fenomeni esterni, giova scendere nella sorgente soprannaturale vivificatrice, che unisce tutte le anime in Cristo, le fa vivere d’una vita divina, fa giungere ad ognuna di esse la linfa vitale. Noi, insomma, vogliamo la storia del Cristianesimo nella sua intima unità, non solo nella molteplicità delle manifestazioni esteriori. Partendo da quella, si chiariscono anche queste; non si confonde la vita di Cristo nelle Chiesa con le colpe e gli errori di chi, pur essendo battezzato o magari sacerdote o Vescovo o Papa, non vive la vita cristiana; non si spezzetta in mille parti staccate l’unità organica della vite coi suoi numerosi tralci, che, attraverso i secoli, prosegue in una ininterrotta continuità a produrre con incessante ricchezza pampini e frutti.

2. – L’amore di Dio e la storia del Cristianesimo.

Se, non al di fuori, ma nel Cristianesimo stesso noi ci poniamo, consapevoli dell’unione di Cristo con tutti i fedeli, dell’umanità con Dio; se, cioè, vogliamo tratteggiare lo svolgimento di questa pianta maestosa, le cui radici si sprofondano nell’antichità, la storia si può descrivere nel modo seguente.

1. In principio era l’Amore. E solo per amore Dio ha creato l’universo ed ha innalzato l’uomo alla dignità della divinizzazione. Ma l’uomo non ha risposto all’Amore con l’amore; ma col peccato originale ha iniziato la serie delle sue ribellioni all’Amore di Dio. Le civiltà pagane rappresentano lo sforzo dell’uomo a vivere, non secondo la legge dell’amore divino, ma secondo la legge dei diversi egoismi. L’idolatria stessa altro non è se non un mettere al centro del mondo creature, che venivano proclamate divinità, al posto di Dio. Solo il popolo prediletto conservava la visione chiara del male commesso, della riparazione necessaria, del Messia invocato, in una parola dell’Amore di Dio, che ancora avrebbe unito a sè i cuori degli uomini.

2. Nella pienezza dei tempi, apparve in mezzo a noi il Dio salvatore nostro, nella sua benignità e nell’umanità, e, siccome Dio è carità, visse una vita d’amore. La scena della Incarnazione, la mangiatoia di Betlemme, le preghiere della vita privata, i prodigi della vita pubblica, il Cenacolo eucaristico, l’orto degli Olivi, la colonna della flagellazione, la corona di spine, la croce del Calvario, le parole dell’agonia furono un canto divino d’amore. La sua dottrina fu da Lui compendiata in una parola: « Amatevi! ». Amare Dio sopra ogni cosa; amare il prossimo per amore di Dio; pregare Dio chiamandolo col dolce nome dell’amore, ossia « Padre nostro »; essere e vivere tutti nell’amore, l’Amore del figlio incarnato che a sé ci unisce, l’Amore dello Spirito Santo che ci santifica, l’Amore del Padre che col Figlio e con lo Spirito è unito a noi; vivere d’Amore quaggiù per prepararci un’eternità di Amore ineffabile; ecco la dottrina di Cristo.

3. Risorse da morte, perché l’Amore non teme pietre sepolcrali; inviò lo Spirito Paraclito sopra il gruppo dei suoi eletti, ossia sugli Apostoli dell’amore. Fiamme di fuoco, simbolo di questo Amore soprannaturale, trasformarono la piccola Chiesa nascente; e dal Cenacolo uscirono tutti per far echeggiare sino agli estremi confini della terra l’annuncio dell’amore di Dio per noi e l’appello agli uomini perchè tutti amassero Dio. « L’amore di Dio — esclamava nella lettera ai Romani Paolo di Tarso, difensore del principio universalistico dell’Amore, contro i rimasugli egoistici dell’ebraismo — è diffuso nei cuori nostri, per lo Spirito Santo, che è stato dato a noi… ». E parlando prima ai Cristiani di Corinto, aveva detto: « Quand’io parlassi la lingua degli uomini e degli Angeli, se non ho l’Amore, non sono che bronzo che risuona o un cembalo squillante. E se avessi profezia e conoscessi i misteri tutti e tutto lo scibile, ed avessi tutta la fede così da trasportare le montagne, se non ho l’Amore, sono un niente. E quand’anche distribuissi tutto il mio per nutrire i poveri, ed abbandonassi il mio corpo ad essere arso, se non ho l’Amore, non mi vai nulla… Tutto fra voi si faccia nell’Amore… E se alcuno non ama il Signore, sia anatema!… L’amor mio con tutti voi, in Cristo Gesù! ». Ed ai Romani ancora insegnava: « Dio fa risplendere per noi il suo Amore, dacché, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo morì per noi… Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, o la angoscia, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?… No: in tutto questo noi più che mai sopravvinciamo, con l’aiuto di Colui che ci ha amato. Io sono certo che nè morte, né vita, né Angeli, né Principati, né presente, né futuro, nè possanza, nè altezza, né profondità, né altra creatura alcuna potrà separarci dall’Amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore ». Ogni parola dell’Apostolo delle genti fu parola d’amore, sia che egli spiegasse il mistero della nostra incorporazione a Cristo, sia che inviasse a Filemone lo schiavo Onesimo, fuggito da quella casa. E San Giovanni incalzò nelle sue Lettere: « Diletti, l’Amore viene da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha imparato a conoscere Iddio, perchè Dio è Amore. L’amor di Dio per noi è stato manifestato a questo modo: Iddio ha mandato nel mondo il suo Figliolo unigenito, perchè per mezzo di Lui noi avessimo la vita. E l’Amor suo si vede da questo: non siamo noi che abbiamo amato Iddio, ma è Dio che ha amato noi, ed ha mandato il Figlio suo, quale vittima di propiziazione per i nostri peccati… ». – « Diletti, se Iddio ha così amato noi, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri… Se ci amiamo gli uni gli altri, Iddio dimora in noi ». « Questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri, e non facciamo come Caino… Noi, perchè amiamo i fratelli, sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita. Chi non ama, ri-mane nella morte… Noi abbiamo imparato a conoscere che cosa sia l’amore da questo: che Gesù ha dato la sua vita per noi; e noi pure dobbiamo quindi dar la vita per i fratelli… Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da Lui; chi ama Dio, deve amare anche il fratello ».

4. Era la prima volta, che simili accenti si diffondevano dovunque. Quando le labbra degli Apostoli pronunciavano il nome soave di « fratello », i cuori intuivano che qualcosa di nuovo v’era nel mondo, dinanzi alla quale non reggevano al paragone né l’arte od il pensiero di Atene, nè le aquile di Roma. E cominciò la battaglia: da un lato, il piccolo drappello dell’Amore; dall’altro, tutte le forze umane, ribellate a Dio e sacre all’egoismo. Lo scontro era inevitabile: e vi furono tre secoli di persecuzioni; vi furono i martiri. – « Ecco — esclamava il padre Monsabré — i rosai tagliati, prima che mettano il fiore. — Salvete, cari innocenti, primizia dell’umanità perseguitata! Salvete, piccoli cari, che in questo mondo non conoscete che Cristo e le vostre madri, e fra le braccia loro moriste per Cristo! «Ecco i gigli immacolati. — Salvete, o vergini, amanti fedeli del migliore e del più santo fra gli sposi! Salvete, figli ammirabili, che alla veste della castità aggiungeste il manto regale imporporato del vostro sangue! « Ecco gli olivi fecondi. — Salvete, donne incomparabili, il cui amore materno fu vinto dal sommo degli amori! « Ecco gli uomini della plebe. — Salvete uomini che usciste dal nulla, dall’oscurità e dall’abbiezione e ascendeste fino alla confessione sublime della fede! « Ecco le palme superbe. — Salvete, nobili! Salvete, patrizi! Salvete, o principi di questo mondo, liberamente discesi dalla gloria nell’obbrobio e dalle delizie nei dolori! « Ecco i cedri del Libano. — I cedri, anch’essi son caduti. Salvete, o Sacerdoti! Salvete, o Pontefici! Salvete, o apostoli della buona novella, i più alti nella luce ed i primi nella morte! ». Questa schiera di martiri ha vinto. La parola d’ordine d’ognuno di questi eroi è quella partita dalle labbra della vergine Agnese: « Amo Christum! ». I figli dell’Amore, morendo, vincevano. Invano le Catacombe moltiplicavano i sepolcri. Come a Gerusalemme, dopo tre giorni, risonava lo squillo della resurrezione, così a Roma, dopo tre secoli, l’Amore usciva vittorioso dai corridoi sotterranei; in cielo, l’emblema dell’Amore, la croce, appariva a Costantino e sopra di essa era scritto: In hoc signo vinces. Nell’Amore la vittoria è sicura.

5. Divenne allora più furente una seconda battaglia e gli Eretici presero il posto dei persecutori. La storia delle eresie mostra a luce meridiana la seguente verità: siccome il dogma è la sintesi dell’Amore di Dio per noi, ogni eresia è una negazione di amore. Dai gnostici che volevano sostituire una filosofia inutile ed ingannatrice alla rivelazione dell’Amore eterno, ai Montanisti che opposero il loro dissennato rigore alla bontà di Cristo; dagli Ariani che, colpendo al cuore la divinità del Verbo, venivano a negare il mistero d’amore dell’Incarnazione di Dio, ai Pelagiani che rifiutavano o falsificavano l’amore infinito di Dio manifestantesi nell’elevazione nostra all’ordine soprannaturale; dai Monofisiti e dai Monoteliti ai Giansenisti di questi ultimi secoli, abbiamo sempre questo fenomeno: l’eretico non crede all’Amore.

6. I Padri della Chiesa ci presentano lo spettacolo opposto. Il vero modo di esaminarli e di comprenderli è la chiave dell’Amore. Per capire sant’Agostino, bisognerà definirlo il Padre della Grazia, ossia dell’amore di Dio che ci eleva alla dignità di figli suoi. Per capire l’eloquenza di san Giovanni Crisostomo, occorrerà prendere una sua frase: « Il cuore di Paolo è il Cuore di Cristo » ed applicarla anche a lui. E quando sant’Ambrogio, dopo che i Goti, sbaragliato Valente, fecero un numero enorme di prigionieri, volle provvedere agli infelici divenuti schiavi, e non solo dispose a loro favore dei suoi beni, ma mutò in verghe d’oro i tesori dei templi, inviò una deputazione di cittadini ai barbari ed ottenne il riscatto di molti; quando, al rimprovero del mícrocefalismo, rispose: « E’ meglio che gli altari siano adorni di anime viventi, che non di vasi preziosi », il grande Vescovo di Milano non faceva altro se non ripetere con un gesto il suo insegnamento d’amore.

7. Calarono i barbari, flagello sulle terre cristiane, seminando dovunque rovina e morte. Le spaventose invasioni di quelle orde selvagge, le città distrutte, gli abitanti massacrati o ridotti in schiavitù, gli incendi e le stragi fecero sviluppare sempre più l’antica fiamma della Chiesa. L’Amore di Cristo affrontò i feroci conquistatori, li convertì, li trasformò. San Leone Magno di fronte ad Attila e tutta la serie di Vescovi, da sant’Eusperio a san Lupo, da san Germano a sant’Aurelio, da sant’Egnano a san Geminiano, che sfidarono i barbari, non sono altro se non i simboli dell’Amore cristiano che vince la violenza brutale. In san Remigio, che nella cattedrale di Reims conferisce il battesimo a Clodoveo; in donne nobili ed egregie, come Clotilde e Teodolinda, che tanto fecero per la conversione di re e di popoli; in tutti i generosi che contribuirono alla rigenerazione del mondo barbarico invasore, noi salutiamo l’Amore! E furono ispirazioni dell’Amore cristiano la tregua di Dio, il diritto di asilo, la Cavalleria e cento altre istituzioni sorte nei secoli di odio e di prepotenza, quando bisognava educare le belve umane alla carità di Cristo.

8. Tutta la storia delle Missioni, dai primi tempi della Chiesa ai giorni nostri, si riassume con una parola: l’Amore. San Gregorio Magno, che spediva quaranta monaci in Inghilterra a convertire quelle popolazioni, non mandava solo quaranta uomini, ma con essi inviava l’Amore. Ed anche oggi, ogni volta che un Missionario giunge nel centro dell’Africa od in un villaggio dell’Asia, portando una croce, noi non riusciamo a trovare la spiegazione del suo eroismo oscuro se non in questo segreto, sempre antico e sempre nuovo. Nelle nostre chiese, di notte, brilla sempre una lampada dinanzi al Tabernacolo; nel mondo fra le tenebre della barbarie, abbiamo questi cuori d’apostoli, simili a lampade vive, accese dallo Spirito Santo, che diffondono raggi di luce e di salvezza.

9. Nulla si può scoprire nei secoli dopo Cristo che sia veramente cristiano e non si riduca all’amore di Dio e dei fratelli. La verginità fu ed è un grido d’amore. Gli anacoreti ed i monaci, nei deserti e nei chiostri, fra macerazioni e preghiere, alimentano la fiamma dell’Amore. E se, ad esempio, i figli di san Benedetto seppero compiere prodigi; se i monasteri di Montecassino in Italia, di Fulda in Germania, di san Gallo nella Svizzera, di Cluny in Francia furono oasi di fede e di civiltà, lo si deve all’Amore, che divampava nelle loro anime e faceva loro apprezzare, conservare e svolgere gli stessi valori umani.

10. Si spiega, allora, tutta l’opera di carità individuale e sociale, che sempre ha caratterizzato il Cristianesimo. Si comprende, anche, il vero ed unico metodo cristiano – Per la redenzione degli schiavi, ad esempio, la Chiesa non ha ricorso all’arma della ribellione e dell’odio di classe, ma al principio della carità. Col dogma dell’eguaglianza di tutti gli uomini nei doveri morali e religiosi dinanzi a Dio, trasformò virtualmente la schiavitù: il padrone non ebbe più davanti a sè una cosa, ma una persona, un’anima redenta dal sangue di Cristo; la sua autorità sullo schiavo era quindi limitata; l’uccisione proibita; la santità, la monogamia, l’indissolubilità del matrimonio degli schiavi riconosciuta; il trattamento di essi mitigato. Un rivolgimento interiore fu il lievito della rigenerazione civile, che ne doveva essere la naturale conseguenza; fu la causa delle numerose iniziative private e pubbliche per la cristiana redenzione degli schiavi, dagli atti di spontanea affrancazione in massa da parte dei padroni, al riscatto della beneficenza ed all’obbligo ai chierici di liberarli; dalla vendita dei beni e degli arredi delle Chiese, alla fondazione di Ordini religiosi per redimerli; dalle dignità ecclesiastiche e civili conferite agli schiavi, sino all’opera emancipatrice universale di Papa Gregorio Magno, preparata e seguita da oltre 200 decisioni autorevoli di Concili, di Pontefici e del Diritto Canonico. E quando le oblazioni dei fedeli e le donazioni di terre e case formarono un grande patrimonio ecclesiastico, la Chiesa, ponendo in pratica la sua dottrina della funzione sociale della proprietà, iniziò un nuovo periodo di redenzione delle classi umili. Fu l’enfiteusi, ossia il dominio utile di case, campi, poderi, boscaglie, concesso dalla Chiesa ai privati o per un tempo determinato o generalmente in perpetuo, dietro compenso di esiguo canone annuo. E così tanti lavoratori divennero possidenti ed iniziarono la loro fortuna. Furono i censi, per cui la Chiesa cedeva ai privati case, campi, poderi, dietro un esiguo sborso del prezzo di stima, lasciando loro in mano il rimanente prezzo, con l’obbligo di pagarvi il frutto. Con questo mezzo un individuo poteva diventare possidente, acquistare vari appezzamenti, lavorarli, renderli fertili, ricavarne ottimi prodotti. Furono inoltre gli usi civici, che davano al povero il diritto di raccogliere frutti, far legna e carbone, falciare erba per fieno, cavar pietre, ed inoltre il diritto di pascolo, di seminar terreni non coltivati, di coltivare piccoli appezzamenti e così via. Siccome poi la Chiesa non poteva imporre a tutti i proprietari queste nuove riforme sociali, che essa andava attuando, ricorse ad un altro mezzo di redenzione economica con l’associazione del capitale al lavoro, facendo sorgere le colonie e le mezzadrie, in cui il proprietario poneva fondi, case, bestiame, capitale, macchine, anticipi di spese, mentre il lavoratore poneva la fatica, dividendo poi il frutto a metà. – E non dimenticò neppure gli artigiani, facendo trionfare con essi il principio dell’organizzazione e suscitando quelle Corporazioni d’arti e mestieri, che erano animate dal soffio del Cristianesimo. Non è possibile qui accennare, neppure in succinto, ciò che hanno prodotto i principi cristiani dell’Amore nell’ordine sociale in venti secoli di storia. Tutte le istituzioni di carità, che sorsero in ogni tempo, ispirate e create dalla religione e che sostituirono gli antichi circhi, i Colossei, gli anfiteatri; gli ospedali, i brefotrofi, gli orfanotrofi, gli istituti per la vecchiaia, per i ciechi, per i sordomuti, per i deficienti, per i derelitti, per ogni genere di dolore e di sventura; coloro che, come Vincenzo de’ Paoli, Camillo De Lellis, il Cottolengo, don Orione, don Calabria, hanno promosso mille opere a sollievo degli infelici; le istituzioni stesse economiche e sociali, dai Monti Frumentari e dai Monti di Pietà alle odierne opere di assistenza ed alle diverse organizzazioni per la tutela degli umili, sorte nei vari paesi, tutto questo canta la fecondità dell’Amore cristiano e ci fa comprendere quale importanza essenziale esso conservi per l’avvenire.

11. Come appare chiaramente, il Cristianesimo è l’epopea dell’Amore. E santi sono proclamati coloro che più hanno amato Dio, che più si sono sacrificati per il prossimo, che tutto hanno fatto per amore, che hanno trasformato la loro esistenza in un inno d’amore. Ogni santo ha la sua speciale fisionomia, né vi sono due figure identiche nel cielo della santità; ma l’anima è unica ed è data da questo divino elemento a tutti comune. Uno, anzi, dei modi efficaci per tracciare la storia della Chiesa, potrebbe essere questo: seguire durante i secoli la storia dei Santi, i quali pure hanno vissuto nella loro epoca e del loro tempo, ma che sino in grado eroico hanno esplicato la morale dell’Amore.

12. Se, del resto, altri preferisse un diverso metodo, potrebbe gettare il suo sguardo ai singoli secoli. Ecco, il secolo XIII, aperto da san Francesco, il Santo che, forse, più di tutti, ha amato Gesù Cristo, e da un altro serafico d’amore, Domenico di Guzman. Tommaso d’Aquino giungerà all’amore sulle ali del pensiero, robuste come ali di aquila: e non solo la sua vita, la sua morte, il suo commento sul letto dell’agonia del Cantico dei Cantici resteranno un mistero per chi se lo raffigurerà come un freddo intellettualista, ma anche il suo sistema immortale non sarà intuito nella sua anima da chi prescinderà dall’Amore che gli illuminava la mente sovrana. Bonaventura da Bagnorea, il Dottore serafico, indicherà nell’Amore stesso l’itinerario della mente a Dio. Dai monasteri della Germania risponderà il saluto al Cuore di Cristo di santa Gertrude e delle due Matilde; e saranno canti meravigliosi, vibranti di amore, come sempre lo furono gli accenti dei mistici, belli come le basiliche che con le loro guglie venivano allora lanciate verso l’azzurro a proclamare a Dio l’amore degli uomini. Dante chiude quel secolo col poema dell’Amore. Là « dove l’amor sempre soggiorna » sale con progressiva ascensione il poeta di nostra gente. Lo guida San Bernardo, il grande cantore del divino Amore, che lo aveva estasiato col carme delicato e soave, col commento della Cantica, e che gli suggerì il coronamento della Divina Commedia. « Drizzeremo gli occhi al primo Amore », all’« Amor che muove il sole e l’altre stelle ».

13. Quando nei secoli cristiani l’Amore si afferma e divampa, vi sono periodi di sviluppo, glorie di spirituali conquiste, orizzonti sereni di paradiso. Quando l’Amore impallidisce e s’offusca, abbiamo tramonti foschi e inverni desolati. – I Papi e i Vescovi che s’avviavano al martirio perdonando, benedicendo, amando, facevano fiorire sui loro passi rose primaverilmente fresche e candidi gigli. Ma il giorno in cui, mentre la sinistra impugnava un Pastorale, la destra brandiva una spada, abbiamo avuto la nefandità della simonia e del concubinato, e la lotta per le investiture. – Se l’Umanesimo ed il Rinascimento prepararono la culla della Riforma, fu perchè l’amore delle cose umane e dell’umana grandezza fece troppo dimenticare Dio e l’Amore soprannaturale. Non si creda però che quello sia unicamente il tempo di Alessandro VI: no; fu l’epoca delle Compagnie del divino Amore e dei Santi più accesi d’amore per Cristo e per i fratelli.

Contro Lutero, Dio suscitò Ignazio di Loyola, che alla stolta teoria della giustificazione mediante la sola fede, oppose la solenne affermazione del dovere di tendere a Dio con tutta la nostra attività; e fu questa nota attivistica che non solo ispirò i suoi Esercizi Spirituali, ma animò la Compagnia dei suoi figli valorosi. – Contro Calvino, il negatore dell’amore di Dio, che si foggiava con le solite fantasticherie della predestinazione un Dio feroce, s’alzò Francesco di Sales, col suo Traité de l’amour de Dieu, ad illustrare dolcemente la misericordia, la bontà e la facilità dell’amore divino. Ed intorno a loro vi fu una pleiade di anime grandi. Era il Borromeo, il quale mostrava l’amore del buon Pastore alle sue pecorelle, che egli risanava dall’ignoranza religiosa e dalla morale rilassata, sollevava nei bisogni della carestia, assisteva fra le miserie della peste. Era Filippo Neri, con l’amore alla gioventù; Camillo de Lellis, con l’amore agli infermi; erano i Somaschi, i Teatini, gli Scolopi, i Barnabiti, che si consacravano al popolo, agli orfani, al culto divino, alla gioventù studiosa, alle scuole popolari e via dicendo; questi erano i veri riformatori, che basavano la loro costruzione sull’Amore. Frattanto Giovanni della Croce e Teresa d’Avila intonavano un inno d’Amore, che certo non morrà. – E sorse un altro eretico, ossia un altro nemico dell’Amore: sorsero Giansenio ed i tristi seguaci, che vollero dipingere Iddio come perennemente irritato contro gli uomini, severo nello scrutarne le minime colpe, rigidissimo nella punizione, implacabile nel rifiuto delle grazie; e si raffigurarono un Gesù dalle mani serrate in pugni e minacciose. Non importa. La nazione dove il giansenismo fece le sue avanzate più rapide divenne anche la terra di Maria Margherita e del beato de La Colombière; fu la terra dove Gesù mostrò il suo Cuore, dicendo: « Ecco il cuore che tanto ha amato » e dove implorò amore: dove Alessandro Manzoni doveva ritrovare la fede perduta, per divenire in seguito il cantore della Morale Cattolica. – L’Illuminismo e l’Enciclopedia prepararono la Rivoluzione francese e, mentre funzionava la ghigliottina, le scimmie dell’amore cristiano urlarono: liberté, égalité, fraternité. L’umanitarismo voleva prendere il posto del Cristianesimo; l’Aufkldrung, il Progresso, la Civiltà, la Cultura moderna, la Ragione pretendevano offuscare coi loro splendori l’incendio d’Amore di Cristo. Il secolo XIX, con tutte le armi — dalla storia alla scienza, dalle lettere e dalle arti alla filosofia, dalla democrazia anticlericale alle prepotenze dei governanti, — tentò di continuare l’opera spegnitrice dell’Amore cristiano. Ahimè! Il risultato è stato ben descritto da Giovanni Papini, nel capitolo mirabile che chiude la sua Storia di Cristo. « In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo — egli constata — l’abbiettezza è stata così abbietta e l’arsura così ardente. La terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole ». Son scoppiati i conflitti mondiali: e dalla melma in cui s’erano tuffati, gli uomini si levarono « frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi ». Invano. « L’amor bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per se medesima, di ogni popolo per sé solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l’odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d’ossami la terra. L’amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l’odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servi padroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori… – Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona dal fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale. Anche gli uomini ch’eran rimasti intatti nella pace dell’ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire. Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l’aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e più della propria scontentezza. Gli uomini, nell’ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e, pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l’alcool, i giuochi, le armi prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie… ». « In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d’una salvazione spirituale ». Abbiamo bisogno d’Amore! E tutto ciò che ne preannunzia la risurrezione è oggi salutato da coscienze angosciate, trepide ed ansiose. Nessuno più vorrebbe prostrarsi dinanzi alla Dea Ragione; al contrario le folle si recano all’Immacolata di Lourdes ed a Fatima. Basta una piccola anima, come Teresa di Lisieux, che vive d’amore e muore d’amore, perché il mondo intero venga scosso da un fremito soprannaturale. Nelle varie Confessioni protestanti si vanno moltiplicando le voci augurali d’un ritorno all’unità della Chiesa, nell’amplesso dell’Amore. Il movimento missionario si intensifica sempre più. A Roma dall’alto del Vaticano Pio XI fra il plauso del mondo ha inneggiato alla Regalità di Cristo. Ed alla Regina dell’amore Pio XII ha consacrato i cuori dell’umanità. Al Vicario del Dio della Carità si recano in pio pellegrinaggio i popoli della terra, come all’unico che abbia parole di vita eterna. A lui, dopo le disillusioni subite ed i disinganni provati, molti, ancora una volta, rivolgono gli sguardi anelanti. Quando, ogni anno, nella festa dell’Amore Eucaristico, si spalancano le porte di S. Pietro ed esce il Pontefice bianco con l’Ostia della pace, individui e nazioni dimenticano un passato di orgoglio, di miserie e di ribellioni, e si protendono verso un avvenire, che segnerà le glorie di Cristo Re. – Tale è la morale cristiana vissuta; tale è il Cristianesimo, che nei suoi dogmi, nella sua etica, nella sua storia, ci appare sempre come Amore. E non senza un profondo significato, nell’Italia nostra, un’Università cattolica, inaugurando la sua vita e la sua attività, proponendosi di sintetizzare tutto il sapere e di ispirarlo con un’anima cristiana, ha creduto doveroso scrivere a caratteri d’oro sul suo frontone il nome del Sacro Cuore, ossia dell’Amore. Quel nome è un ideale, una speranza, un programma.

3. – Conclusione.

Forse qualcuno, dopo una simile visione, potrà chiederci come mai venti secoli di morale cristiana hanno lasciato nelle coscienze e nei popoli tanti odi e tante bassezze. Ma l’abbiezione è superficiale. Non solo nelle istituzioni sociali e nella vita civile il Cristianesimo ha suggerito in ogni campo, incoraggiato e promosso numerose conquiste; ma è da osservarsi altresì che la morale dell’Amore non è una battaglia che si possa vincere una volta per sempre. Ogni uomo che viene a questo mondo, ogni popolo che si sviluppa, ha il suo problema da porre, da affrontare, da risolvere. Ogni persona ed ogni nazione ha le sue lotte quotidiane, che si rinnovano sempre sotto forme nuove e che in questo Sillabario abbiamo cercato di ritrarre nella loro realtà. In morale, non si è Cristiani una volta per sempre; ma, finché viviamo quaggiù, bisogna conservarsi e divenire ogni giorno più Cristiani. L’educazione degli individui e dei popoli tende appunto a fortificare le anime per questo quotidiano combattimento, svolto con la grazia divina, che, se costituisce il nostro assillo da un lato, forma per noi anche, dall’altro, il merito e la gloria.

Non basta, quindi, essere nati in terra santificata dal sangue dei martiri ed irrorata dalle virtù dei Santi. Non basta aver ricevuto il Battesimo ed essere stati incorporati a Cristo ed alla Chiesa. Ciò sarebbe per noi un titolo di ignominia e di condanna, se non vivessimo cristianamente. È necessario seguire nella vita la morale di Cristo e della sua Chiesa: « Quella morale — chiuderò anch’io col Manzoni — che sola potè farci conoscere quali noi siamo; che sola, dalla cognizione di mali umanamente irrimediabili, potè far pascere la speranza; quella morale che tutti vorrebbero praticata dagli altri, che praticata da tutti condurrebbe l’umana società al più alto grado di perfezione e di felicità che si possa conseguire su questa terra; quella morale a cui il mondo stesso non potè negare una perpetua testimonianza di ammirazione e di applauso.

Riepilogo.

La morale cristiana:

a) sintetizza tutte le anime di verità che si trovano sparse nei vari sistemi filosofici e le completa;

b) non è, come le altre teorie morali, una dottrina puramente speculativa, ma ha avuto un influsso immenso su due millenni di storia, che possono essere definiti la storia dell’amore. Nulla come la storia della Chiesa conferma la divina verità e la soprannaturale efficacia dell’etica insegnata.

LO SCUDO DELLA FEDE (269)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

RISPOSTE POPOLARI ALLE OBIEZIONI PIU’ COMUNI CONTRO LA RELIGIONE (12)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XII.

FEDE

I. Io non posso credere. II. Mi bastano le verità naturali. III. La mia ragione non può ammettere altro.

Che ci voglia una religione, sia pure in buon’ora, ma sia la religione che insegna la stessa natura. Alla contemplazione dei cieli e della terra, delle campagne, dei fiori, delle marine surgono naturalmente nell’uomo di vani affetti: la mente è rapita in estasi di ammirazione, il cantico dell’amore si sprigiona dal cuore, l’inno di ringraziamento sale come incenso al cielo; ed ecco la religione. A che dunque metterci sempre dinanzi la vostra fede che è lo scoglio, la morte, l’annientamento di quella nobil ragione che il Signore ci ha data? Io per me non posso credere, non posso riconoscere la vostra soprannaturalità, ed è la mia ragione stessa che ne lo vieta. – Così discorrono certe teste romantiche ed irreligiose: ma con quanto onore di quella ragione che tanto vantano, ora lo vedremo.

I. Prima di tutto, dicono, io non posso credere: ma hanno costoro mai compreso una volta ed un po’ chiaramente quello che sia la fede? Ecco, o lettore, la prima cosa che si vuol discorrere un istante. La fede, in quanto oggetto delle nostre credenze, non è altro che una serie, una collezione preziosa di verità che Iddio, veracità infinita, si è compiaciuto di palesare agli uomini: la fede, in quanto è in noi, non è altro che l’assenso dell’intelletto a quelle medesime verità: assenso prestato sull’autorità di Dio medesimo che le ha rivelate: ondeché credere non è altro che prestare assenso ad un Dio che parla. – Ora io vi domando, qual è in questo atto così semplice il punto sì arduo che voi non potete superare? Qual è quello intorno a cui la vostra ragione urta sì gravemente? Forse la vostra ragione v’insegna che Dio non possa parlare agli uomini? Ma sarebbe pur bella che quegli, che ha formato l’uomo, che gli ha dato la favella, non potesse far intendere la sua voce e la sua volontà. A niuno, credo, cadde mai in mente pazzia così solenne. Forse non conviene a Dio il parlare? Ma qual ragione, anche solo apparente, può persuadere che disconvenga a chi ha formato l’uomo l’averne anche provvidenza, e rifornirlo di tutte quelle cognizioni ed ammaestramenti che possono tornargli giovevoli? Sarebbe un paradosso l’affermarlo. Forse manca a Dio il diritto per farlo? Ma questo sarebbe più che un paradosso, sarebbe una bestemmia. Imperocché, come fonte di tutti gli esseri, Egli ha pieno diritto d’imporre ad ogni uomo i suoi voleri, senzaché vi sia in cielo od in terra chi possa appellare dalla sua suprema autorità. Certo la ragione vostra non potrà mai persuadervi alcuna di quelle storture, niuno di que’ deliri. Fin quì dunque non si vede troppo perché, in nome della vostra ragione, non possiate credere. – Resterebbe dunque che ciò avvenisse per una di queste due ragioni, o perché non siate certo che Dio abbia parlato, o perché, essendo certo che Dio ha parlato, possiate sospettare della sua veracità. Questa seconda supposizione, oltre all’esser empia, è così assurda, che mai nessuno né eretico né incredulo osò affermarla; non vo’ dunque fare al mio lettore il torto di confutarla: ci riduciamo adunque alla prima, del non essere voi ben certo se poi veramente Iddio abbia parlato. – Il proporre e spinger oltre questa difficoltà proviene solo dal non conoscere in qual modo ci sia proposta ad esercitare la fede. Presupponete dunque che nell’esercizio di essa vi sono due atti: l’uno è l’atto del credere, l’altro di voler credere. Il primo atto è dell’intelletto, il quale si sottopone all’autorità di Dio che parla, l’altro è l’atto della volontà, la quale comanda, dirò così, all’intelletto che si sottoponga. Ciascuno di questi due atti ha il proprio motivo. L’atto dell’intelletto ha per motivo l’autorità di Dio che parla, l’atto della volontà ha per motivo tutte quelle prove, per cui ci appare fuori di ogni dubbio che Dio abbia parlato. Così in una corte si crede a quello che dice un. ambasciatore, perchè è ambasciatore : ma the egli sia tale non si crede se non perché ha mostrato le sue credenziali. Ora la nostra fede ci nasconde forse le credenziali, vo’ dire le prove che dimostrano che è un Dio quello che ha parlato, che è quel solo che possiamo chiedere ragionevolmente? Tutto l’opposto: ce le schiera dinanzi e belle e limpide ed evidenti, ed in tanto gran numero che si può dire che non solo siano bastevoli ma pur soverchie: Testimonia tua credibilia facta sunt nimis. – Sarebbe lungo il mettervele qui tutte in nota e spiegarle in tutta lor forza, perché non basterebbero ampi volumi: tuttavia ricordate così in confuso che a provare che Cristo è Dio, e che quindi è un Dio che ha parlato, vi sono quaranta secoli di oracoli e profezie che, raccolte insieme, formano tutta la vita del Redentore, ed autentiche per testimonianze dei Gentili non meno che dei Giudei; che vi è la vita stessa di Gesù piena di prodigi strepitosissimi operati in confermazione dì tal verità; che vi è la propagazione e la conservazione del Cristianesimo, ottenuta per mezzi che umanamente dovevano anzi spegnerlo e metterlo in fondo; che vi è una cattedra di verità da Lui eretta, ed inconcussa ed immota dopo diciannove secoli di lotte e contraddizioni; che vi è in favore di tal verità la testimonianza di legioni intere di Martiri e l’eletta degli ingegni più preclari che abbia avuto il mondo: che se dopo tante prove il mondo fu ingannato, l’errore è partito dal trono della stessa divinità. Vedete adunque che la nostra fede non lascia di rischiararci in quel solo punto che può ragionevolmente chiamarsi ad esame. Ma dopo che ha bene stabilito che Dio ha parlato, ci fa poi forse torto a pretendere che noi ci sottomettiamo a quello che un Dio ha manifestato? Sarebbe un oltraggio gravissimo il non arrendersi prontamente ad ogni sua parola. Anche voi che siete un omiciattolo della terra vi avete per male che alcuno mostri di non credervi, quando favellate da senno: eppure potreste anche allora voler ingannare per malizia, poiché siete capace di colpa, od essere ingannato per ignoranza, perché siete fallibile. Fate ragione adunque se competa a Dio l’esser creduto sulla parola, mentre Egli è suprema verità in sé stesso; e veracità infinita rispetto a noi. Resta adunque evidente che non è per verun modo contrario alla nostra ragione che Dio ci obblighi a credere, e che quindi quel non posso credere altro non è che un superbo non voglio piegarmi alla divina autorità.

II. Io ho bisogno, replicano, di altre verità; mi basti quello che la mia ragione m’insegna. Questa replica è sacrilega e blasfema per ogni verso. Basta a voi.., ma non si tratta di vedere quello che basta a voi, si tratta di quello che basta a Dio. E se Dio volesse per sua bontà manifestarvi verità, cui non può arrivare la vostra ragione, vi darebbe l’animo di rifiutarle e gettargliele sul volto? E se Dio volesse colla sua autorità imporsi obbligazioni, e darvi precetti che non può naturalmente conoscere la vostra ragione, avreste mai qualche diritto di sottrarvici? Ebbene questo appunto è accaduto. Gesù Cristo volle manifestarvi che il fine ultimo degli uomini non è una felicità qualunque, ma una beatitudine consistente nella visione chiara di Lui; che per conseguirla ci volevano opere fatte in istato di grazia; che per ottenere queste grazie s’aveva da credere al divin Redentore, che Egli aveva legato i mezzi della salute ad un sacrificio determinato ed a riti speciali che chiamiamo Sacramenti; che in una società sola, qual è la Chiesa, sono accolti tutti i mezzi della salute; che Egli non avrebbe riconosciuti per suoi se non quelli che fossero vissuti conformemente a queste sue leggi; che avrebbe condannato a fiamme eterne quanti non si fossero arresi a’ suoi dichiarati voleri; ha dilatato, in una parola, i confini della natura, ha perfezionata la ragione, ha sublimato l’uomo, l’ha innalzato per grazia alla dignità di figliuolo di Dio, l’ha fatto Dio per partecipazione, e vuole che viva ed operi siccome tale: non ha forse diritto a tutto ciò? Sto a vedere che l’uomo ormai farà la legge a Dio, e che gli prescriverà quello che basta e quello che non basta, che porrà limiti alle comunicazioni divine, che farà le Condizioni sotto cui si contenta di accettarle! Quando avete questi diritti potevate anche crearvi da voi, da voi conservarvi, da voi provvedervi, e formarvi da voi l’ultima beatitudine: così sarebbe compiuta la vostra indipendenza. Il ridicolo non è qui congiunto col blasfemo? – E tuttavia v’è da fare un passo più oltre. La fede non solo non è in opposizione colla ragione, ma anzi le è conformissima. E come no, se noi per mano di natura siamo condotti a non vivere se non di fede, accíocché l’essere lungamente avvezzi alla fede umana ci prepari a quella tanto più nobile che è la divina? L’osservazione è di antichissimi Padri e di molti tra i moderni, e voi la potete fare a vostro agio. Che cosa è tutta la nostra infanzia e gioventù se non un credere cieco ai genitori, un fidarci sicuro ai maestri? Che cosa è il commercio intimo della vita se non un credere perpetuo agli uomini? Cominciando dal credere che questi e non altri sono i nostri genitori, crediamo al servo che così s’ha da lavorare, al cuoco che così s’hanno da governare le vivande, all’artiere che così si ha da condurre l’opera, al contadino che così si ha da arare il campo, al leggista che così abbiamo da racconciare i nostri interessi, al medico che così abbiamo da trattare la nostra infermità, e crediamo tanto che giungiamo a mettere loro in mano le nostre sostanze, i nostri interessi e persino la nostra vita: non è vero? Ora comprendiamo noi forse le ragioni intime dell’operare di tutti costoro? Niuno v’ha al mondo che possa promettersi tanto di sé: crediamo che ognuno in particolare sappia quello che si fa, e noi ci sottomettiamo pienamente. E chi volesse prima di accettare l’opera di alcuno •farsi dar conto di ogni motivo della sua condotta, sarebbe stimato un pazzo, e trattato qual pazzo da tutta la società. E con tutto ciò non si è mai inteso che fosse contrario alla nostra ragione l’aver sempre in atto la fede umana? Se già non si vogliono condannare come irragionevoli tutti gli uomini, non certo. Ma se non è contrario alla ragione il credere agli uomini, perché sarà contrario alla ragione il credere a Dio? Oh che? Saremo di una natura per quello che risguarda le cose terrene, e di un’altra per le celestiali? Chi sa che non si faccia un bel giorno anche questa scoperta. Finché però non è fatta, noi continueremo a credere che la nostra ragione abbia nulla di ragionevole da opporre alla fede. – Anzi più, tanto crederemo ragionevole la fede che stimeremo cosa al tutto da pazzi il rifiutarvisi. Se non vi farò toccare con mano che sia così, non mi date più retta. Non è egli vero che è ugualmente assurdo il credere quando non vi è fondamento di credere, ed il non credere quando questo fondamento vi è? La sana ragione condanna il primo perché è troppo credulo, perché beve grosso: ma condanna anche l’altro perché è capocchio, è ostinato. Difatti immaginate che io ricusassi di credere che esista l’America perché ormai non vi ho navigato, o che non sia stato al mondo il primo Napoleone perché mai non l’ho veduto, che concetto fareste di me? Senza farmi gran torto, mi potreste confinare all’ospedale dei pazzi. Come! È piena l’Europa dei prodotti dell’America, vi sono fra noi degli Americani, molti de’ nostri concittadini l’hanno percorsa, e se ne può dubitare? Similmente abbiamo tutta la storia di quell’Imperatore minutamente descritta, sono al mondo anche molti che lo hanno veduto, persino i fanciulli sanno a mente i nomi di Marengo, di Ulma, di Dresda, della Beresina dove ha fatto le sue imprese, e tuttavia si perfidia a negare la sua esistenza? Vedete adunque che può operarsi contro ragione anche nel discredere un fatto. Ora è da sapere che niun fatto consegnato nella storia, comprovato coi monumenti è così solenne, così indubitato, così innegabile, che non sia ad assai inferiore nel numero e nella autenticità delle prove al gran fatto della venuta di Cristo e della sua rivelazione. Qui convengono la storia, la tradizione, i monumenti eretti dagli amici e dai nemici, dai dotti e dagl’ignoranti, dai creduli e dagli increduli, dai barbari e dai civili, sì che non si possa recare in dubbio senza dare una mentita solenne a tutto l’umano genere: come dunque non sarà un’assurdità agli occhi stessi della ragione il non credere un fatto così provato? E dunque vero a tutto rigore quello che affermano i savi che, per discredere al Cristianesimo e per gittare la fede, bisogna prima aver perduta la ragione. Pensate adunque se la ragione possa opporsi alla fede! – E si conferma tutto ciò con due ragioni di gran peso: La prima è che di fatto gli uomini, che ebbero maggior potenza di ragione che sono i grandi ingegni, tutti credettero. Niuno sarà per negare che quelli, che noi chiamiamo Padri della Chiesa, fossero in ogni secolo quello che il mondo ebbe di più chiaro e profondo in sapere. Levate dall’Africa Tertulliano, S. Agostino, S. Fulgenzio, S. Cipriano ed Arnobio, e poi ditemi in quelle età quali fossero i veramete dotti Africani. Togliete dalla Grecia i Basili, i Crisostomi, i Gregori, gli Origèni, i Teodoreti, in una parola i Padri, e poi indicate uomini che in quell’età abbiano lasciati monumenti uguali ai loro. Fate lo stesso intorno ai Latini: mettete Girolamo; Ambrogio, Leone, Gregorio, Ruffino in confronto dei dotti di quell’età, e vedete se non sopravvanzino tutti nel paragone. Nei secoli di mezzo le fiaccole che rompono le tenebre più dense sono senza stanco veruno Beda , Alcuino , S. Anselmo, Lanfranco, Alberto Magno, d’Ales, lo Scoto, S. Tommaso, S. Bonaventura. Or questi che furono i maggiori uomini de’ loro secoli, quelli che più usarono la ragione, come ne fanno fede indubitata i loro volumi che riempiono le nostre biblioteche, tutti credettero, e credettero sì fermamente, che operarono quasi tutti eroicamente in favore della lor fede: che cosa vuol dir questo? Non è una evidente confermazione che la ragione tanto non si oppone alla fede, che anzi le rende la chiara testimonianza? In caso contrario, converrebbe ‘dire che l’errore fosse il retaggio principalmente de’ savi; ma spero che il lettore n0n sarà tanto pazzo da affermarlo. – L’altra osservazione in confermazione dello stesso vero, si tolga dal contrario. Chi sono stati in tutti i tempi quelli che non hanno potuto credere? Quelli che hanno usato meno della ragione. Non solo per sentenza degli uomini di Chiesa, ma pure per autorità dei filosofi, gli uomini che adoperano meno la ragione, sono gli ignoranti ed i passionati. Quelli sono incapaci di formare discorsi e deduzioni più ampie, poste le tenebre in cui giacciono immersi; questi ne sono incapaci, perde la passione falsa loro in capo il giudizio e dà il tracollo all’intelletto. E siccome fra le passioni, le due più veementi sono la superbia dello spirito e la corruzione del cuore, così queste due tolgono più che qualunque altra l’uso della ragione. Ora, mirate fatalità! da queste classi appunto, cioè dagli stupidi per ignoranza, dai frenetici per orgoglio, dai fracidi per immondezza, si riempiono le file degl’increduli. – Degli ignoranti in primo luogo. Questa è questione di fatto, e col fatto si vuol definire. L’incredulità pullula a’ dì nostri pur troppo fra la gioventù e fra le classi operaie e cittadinesche, come deplorano tutti i savii. Ma dove e come si forma tale la gioventù? Essa esce da que’ collegi che, tolti agli uomini di Chiesa e confidati a mani o inesperte o infedeli, ricevono solo una cognizione superficiale di religione, o non ne ricevono punto. Come si formano increduli gli artieri? Col distorglierli che si è fatto con mille arti di seduzione dall’apprendere nelle Chiese nei dì festivi un po’ chiaramente la verità di essa fede. E le classi cittadine come giungono a perder la fede? Si sono totalmente per rispetto umano sviate dalla Chiesa, e col non udir mai dichiarazioni opportune, annebbiandosi sempre più in loro quelle imperfettissime cognizioni della fede che ebbero nell’infanzia, sono diventati la vittima di ogni più meschino sofisma. – E come potrebbe essere diversamente? Se vivete in mezzo alla società, dovete aver conosciuto più d’uno di quelli che fanno professione d’incredulità; se usate legger giornali, avete dovuto imbattervi spesso in chi bestemmia da incredulo. Ora, ditemi con sincerità: E gli uni e gli altri sono poi quello che di più savio, di più dotto, di maggiormente istruito possiede la società? Vi sembrano proprio quelli gli uomini che debbono avere scoperte ragioni novissime, che erano sfuggite all’acutezza di un Agostino, di un Tommaso e di tanti Dottori che hanno logorata tutta la vita nello studiare ed ammirare le profondità santissime della fede? Possono essi adunque per scienza che ne abbiano, sfatare tutta l’antica sapienza? Essi cogli studi che hanno fatto…. colle occupazioni gravissime in che li vediamo inabissati tutto il giorno, di godere la vita, di deliziare, di giocare, di trescare, e peggio? Il solo guardarli in faccia basta a dimostrare con ogni evidenza che è ignoranza crassa, ignoranza brutale quella che li fa miscredenti. – Che se aprono poi la bocca e fanno sentire le profonde ragioni, sopra le quali stabiliscono la loro incredulità, la dimostrazione prende l’evidenza che ha il sole nel pien meriggio. Che cosa hanno finalmente da opporsi alla fede? Sofismi volgari, triviali, ripetuti le mille volte, e mille volte già esposti e risoluti con tutta chiarezza dai sacri Dottori. S’avvolgono in una confusione che è una pietà a vederli. Non sanno quale sia la dottrina cartolica, quale l’eterodossa. Impugnano quello che nessun difende, difendono quello che nessuno impugna; attribuiscono alla Chiesa quello che la Chiesa tanto non professa, che anzi condanna: si fingono avversari dove non li hanno, per aver la gloria dell’eroe celebre della Mancia di combatterli sino all’ultimo sangue; mentre non sanno poi profferir parola contro quello che è veramente dottrina della Chiesa e verità. Le profonde speculazioni teologiche dei Renan, degli’About, dei Botteri, dei Govean, dei Bianchi-Giovini, dei Bonavini, ed anche del Siécle e dei Débats , e di altri paladini della miscredenza odierna bastano a far ampia fede della peregrina scienza di religione onde sono adorni. E proprio tutta luce quella che li acceca! – Qualche anno fa un Sacerdote gravissimo trovossi in una vettura pubblica a fare un viaggio, e come uomo un po’ astratto che era, stava tutto immerso nella lettura di un suo libro senza por mente ai suoi compagni di viaggio. Una signora che s’annoiava di tanto silenzio, un tratto che quegli aveva deposto il libro, colse il destro di avviare un poco di conversazione, e cominciò col protestare e vantarsi che essa, in fatto di religione, era incredula pienamente. Avrà, replicò allora il Sacerdote, avrà la signora letto qualche cosa, io mi penso, di Bossuet, di Fénélon, di La Luzerne, di Bergier. Non perdo il mio tempo in quelle cianciafruscole. Ma almeno il Valsecchi, il Segneri, qualche Catechismo un po’ ampio. Sì, proprio autori da occuparsene! Quando è così, perché dice di essere incredula? essa non è mai stata incredula, l’assicuro io; ella è semplicemente una stolida, un’ignorante. E questa conclusione quadra a cappello a moltissimi che si vantano d’incredulità. – L’altra fonte della incredulità è la superbia. Lasciando in disparte le prove che ne danno tutti gli eresiarchi antichi, è certo che i due padri dell’incredulità moderna sono Lutero e Calvino. Or l’orgoglio del primo fu tale, che lo portò ad insultare tutti i principi e re ed imperatori del suo tempo, a disprezzar tutti i Padri della Chiesa, a protestare che mille Cipriani ed Agostini non valevano quanto lui, Che prima di lui mai nessuno aveva inteso nulla della Chiesa, della fede, della legge, dei Sacramenti, delle Scritture, e ciò con tanta frenesia, che, per sentenza anche dei suoi, diede nel pazzo. L’arroganza, la superbia, l’impudenza resero Calvino sì intollerabile a’ suoi seguaci, che ne uscì allora il detto, esser meglio ire all’inferno con Teodoro Beza, che andare in cielo con Calvino. E la superbia che fondò il regno della incredulità è poi quella che lo mantiene a’ dì nostri. Ricusarono quelli per orgoglio diabolico di sottomettersi a quello che credettero tutti i loro contemporanei, ricusano tanti spiriti superbi al presente di sottomettersi a quello ché credono i fedeli odierni. Come! dicono tra sé, io che ho tanti studi, tante cognizioni, ho da credere quello stesso che crede un uomo dozzinale, ho da praticar quello stesso che usa una femminuccia? Non è possibile. E qui lo spirito della superbia li punge, gli aizza, non li lascia quetare: per brama di apparir singolari si appartano dagli altri, vantano nuove dottrine, la fanno da increduli e bestemmiatori. – Un mediconzolo, qualche tempo fa, davanti a varie persone che parlavano di religione: non so perché, disse, i preti abbiano tanta difficoltà ad ammettere la transustanziazione, quando. . . . Ma, scusi, l’interruppe un altro, non vi hanno alcuna difficoltà, poiché la difendono contro i luterani. Volevo dire, ripigliò il dottore, con tanto calore la difendono, quando.. . . Non vada oltre, gli disse allora uno che lo aveva a maraviglia compreso, anche senza quella dramma d’incredulità, sappiamo che ella è uomo di gran polso. E questo è per molti tutta la ragione dell’essere increduli, il voler apparire uomini tanto agli altri superiori, quanto audaci e più singolari. – Così certo l’hanno confessato al letto di morte tutti gli increduli più svergognati del secolo scorso. Alla luce tuttoché fioca della candela mortuaria hanno veduto le cose alquanto meglio che non le avevano vedute in vita. Tutte le grandi obiezioni e difficoltà erano scomparse, restava solo in piè la colossale superbia da confessare e da detestare in tempo per non dovere incorrere i castighi che la fede aveva minacciato. – La sorgente però che mena in maggior copia le acque fangos della incredulità è, a detta dei savi, senza alcun dubbio la corruzione del cuore. L’uso soverchio dei diletti corporei turba la mente e non lascia più concepir nulla che non sia animalesco; gli affetti del cuore impigliati nelle sordidezze non possono volgersi alla fede che è purissima, e soprattutto il bisogno di non credere alla fede per non doverne temere i castighi, aguzza l’ingegno ad investigare ragioni, affine di persuadersi che la fede non è altro che una finzione. – Se io dovessi parlare a quattr’occhi ad uno di costoro, vorrei convincerlo in questo modo: Orsù, io gli direi, voi affermate di non poter credere: ma da quanto tempo è che vi sono entrati in mente dubbi sì gravi? Forse nei primi anni di vostra giovinezza, quando costumato, sobrio, pudico menavate con tanta tranquillità giorni innocenti? Eh allora la vostra fede vi pareva pur bella, e non vi saziavate di ammirarne le glorie. Era bello per voi vederla sorgere maestosa fra le rovine dell’idolatria da lei conquisa, e di sotto le mannaie dei proconsoli e degli imperatori che la volevano spegner nel sangue. Le si presentavano contro tutti i vizi armati per farle ostacolo, la superbia, l’avarizia, la libidine, ogni abominazione, ed essa passava oltre calpestandoli tutti, e rendeva casti i dissoluti, umili i superbi, amanti solo del cielo quei che non sospiravano che alla terra. Che se non bastando a contenerla già soverchiante verun riparo, si corse al ferro ed alle stragi, oh allora sì che cominciano le sue glorie. Cadeva una vittima e cento sorgevano ad occuparne il luogo; uno era tolto e cento gliene invidiavano la sorte. Vi ricordate di quelle dolci memorie che forse vi hanno cavato un tempo le lagrime, di una Cecilia, di un’Agata, di un’Agnese, di un Vito, di un Primo, di un Valeriano, e di altri innumerevoli o verginelle delicate, o fanciulletti innocenti che volavano al cospetto de’ proconsoli infelloniti, e col cuore pieno di Gesù e coll’anima giubilante pel vicino martirio li sfidavano ad arrotare le seghe, ad affilare i rasoi, a liquefare i piombi, ad appaiare i graffi, ad affamare i leoni, per esserne così più straziati, più laceri, più martoriati? Chi sa quanto non v’hanno commosso allora narrazioni tanto pietose! E quando poi, levata di sotto la mannaia la testa, presero nei secoli posteriori eretici di ogni maniera ad impugnarla, nuovo spettacolo vi appariva dinanzi: levarsi dall’Oriente e dall’ Occidente i più chiari ingegni, le anime più generose, i Santi più perfetti a farle schermo de’ petti loro e combattere quei mostri, fintantoché non fossero rientrati nell’abisso donde erano sbucati. Insomma, ammiravate questa fede riempir le valli più cupe di santi monaci, popolar le boscaglie più incolte di fervidi anacoreti, fiorire le balze più inospite di austeri penitenti, colmare il mondo di portenti e di maraviglie. Oh allora la fede vi appariva qual è, illustre di profezie, gloriosa di miracoli, chiara di martiri, santa di opere, ricca di popoli; e la vedevate con giubilo veleggiar sulla navicella di Pietro affrontando scogli, correnti e tempeste senza niun pericolo mai di affondare. Questo e tanto più di questo vi appariva allora, e chi vi avesse detto che un giorno sareste stato nemico della fede, vi avrebbe ricolmati di orrore. Che però? Più tardi vi assalirono passioni violente, e non domandandolo voi da principio, s’afforzarono, s’aggrandirono, s’impossessarono di voi. Per alcune volte forse risorgeste dalle vostre cadute, ma stanco alfine di sì duro contrasto, cominciaste a lasciar orazioni chiese, Sacramenti, esercizi di pietà quali vi pareva di non conciliare coi vostri sfoghi. Per attutire i rimorsi della coscienza vi volgeste a dissipazioni, a letture laide, a libri irreligiosi per vedere se vi riusciva di mettere in dubbio la fede che vi minacciava l’inferno. Aggregandovi poi con compagni della medesima risma, e crescendo ogni dì più la dissolutezza del vivere, vi siete condotto finalmente al punto di potere in certi momenti, in cui siete come un mare in tempesta, dubitare della vostra fede internamente e nell’esterno vantarvi d’incredulità. Ed ecco, conchiuso finalmente, ecco tutte le vie per cui giungeste ad essere miscredente. Lettore, quello che fosse per rispondermi questo infelice, io non so: ma più d’uno che ha voluto esser sincero, ha confessato schiettamente, questa essere la storia veritiera del suo misero cuore. – Il perché ad assommare in poche parole il ragionato fin qui, quella formula: io non posso credere; la mia ragione mel vieta, torna in quest’altra: io non posso credere o perché un’ignoranza brutale non mi lascia levare gli occhi più in là di questa misera terra, perché la superbia mi ha levato il cervello, o perché i vizi hanno sommerso il cuore nel fango: quindi non posso fare quel che la sana ragione mi consiglia, mi comanda, m’inculca, benché sotto pena di essere infelice nel tempo e più infelice nella eternità. Lettore, converrete meco che si può usare un po’ meglio la ragione per tenere un po’ più salda la fede.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (IX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (IX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (5).

9. GLI UOMINI-

La creazione dell’uomo.

La creazione dell’uomo è raccontata da Mosè all’inizio del suo 1° libro (Genesi). – La Bibbia non dice quando Dio creò l’uomo. Si è accettato che sia avvenuta circa 4000 anni prima di Gesù Cristo (rappresentate dalle quattro settimane di Avvento).

1. DIO FORMÒ IL CORPO DELL’UOMO DALL’ARGILLA E GLI ISPIRÒ UN’ANIMA (Genesi II, 7).

Come il vapore muove la macchina, così il soffio comunicato da Dio all’uomo vivifica il suo corpo. L’esistenza dell’anima è dimostrata dai movimenti del corpo. (S. Theof. d’Ant.) La scrittura telegrafica presuppone una persona pensante. Allo stesso modo le parole pronunciate dagli organi vocali, messe in moto dal sistema nervoso, presuppongono un essere pensante. A chi diceva di non credere all’anima, perché non riusciva a vederla, un altro rispose: “Allora tu non hai ragione, perché non puoi vederla”. Diciamo anima, quando parliamo della sua unione con il corpo, e di spirito, quando si tratta delle facoltà intellettuali della ragione e volontà. – In noi c’è una sola anima, allo stesso tempo iniziatrice della vita corporea e dotata di ragione e libertà (IV Conc. di Costantinopoli, 862). Dal fatto che l’uomo abbia diverse inclinazioni, che sia, per esempio, attratto da un lato dai piaceri sensuali e che dall’altro sia portato a combattere questa attrazione, alcuni hanno concluso che l’uomo abbia due anime, un’anima materiale e un’anima spirituale. Ma queste inclinazioni derivano semplicemente dalla diversa attrazione esercitata sull’anima dai vari beni, da quelli sensibili e da quelli spirituali. – Ecco il rapporto tra l’anima e il corpo. Il corpo è il luogo in cui risiede l’anima come una mandorla nel suo nocciolo, come un gioiello nella sua custodia, un uomo nella sua veste, un eremita nella sua cella. Il corpo è lo strumento dell’anima, il corpo è per l’anima ciò che la sega, la pialla e il martello sono per l’artigiano, il pennello per il pittore, l’organo per l’artista. L’anima è la guida del corpo, svolge per esso il ruolo di cocchiere, di pilota. (S. G. Cris..) Come il cavaliere guida il suo cavallo con le redini, così l’anima deve guidare e domare il corpo. (S. Vinc. Ferr.) Ahimè, l’anima spesso si lascia guidare e domare dalle passioni malvagie del corpo, degrada l’uomo al livello della bestia e si rende eternamente infelice. Che confusione”, dice San Bernardo, “quando la padrona serve e il servo comanda! L’anima anima il corpo, cioè gli dà vita. L’uomo non era vivo finché Dio non gli ha dato un’anima (Gen II,7); non appena l’anima lascia il corpo, esso cessa di vivere e torna alla terra (Eccles. XII, 7): il corpo senza anima è un cadavere (S. Giac. II, 26). – L’anima umana è essenzialmente diversa dall’anima degli animali; quest’ultima ha facoltà e bisogni completamente diversi. L’anima delle bestie è incapace di cercare il progresso: la rondine costruisce il suo nido oggi come lo faceva secoli fa; è incapace di ricercare le cause, e quindi non può elevarsi alla conoscenza del Creatore. Guidato dal solo istinto, l’animale è inconsapevole delle sue azioni, non ha bisogni intellettuali o morali e nessun desiderio di felicità suprema; è perfettamente soddisfatto dei suoi piaceri corporei. L’anima animale non può quindi essere della stessa natura dell’anima umana: potremmo quindi dire che l’animale abbia un’anima, ma non che abbia una mente.

Sono in balia all’errore coloro che immaginano che il corpo umano sia stato prodotto dall’evoluzione di esseri inferiori.

Molti sostengono che l’uomo, o almeno il suo corpo, si sia evoluto da esseri inferiiri attraverso l’evoluzione. Credono che questo spieghi le parole della Bibbia, (Genesi II, 7). Questa dottrina non è accettata dalla Chiesa. Il principale sostenitore di questa ipotesi è stato Darwin, un naturalista inglese, che ritiene che l’uomo sia disceso dalla scimmia attraverso uno sviluppo successivo. Questo è impossibile come la discendenza di un pisello da un castagno, perché l’uomo e la scimmia differiscono fondamentalmente sia nella struttura corporea che nella forma del cranio. (Huxley dice: “Ciascuna delle ossa del gorilla presenta caratteri facilmente distinguibili dalle corrispondenti ossa dell’uomo”. La differenza tra un cranio di gorilla e un cranio umano è immensa. Inoltre, il cervello di un uomo è molto diverso da quello della scimmia più perfetta). L’uomo ha anche il vantaggio rispetto alla scimmia della parola, il vantaggio di esprimere i sentimenti nella fisiognomica. La scimmia è incapace di sorridere; non ha l’andatura eretta. L’uomo, a causa della sua crescita, ha bisogno di molti anni ed ha un’infanzia abbastanza lunga; lo stesso non vale per la scimmia, che si sviluppa rapidamente. L’uomo può vivere fino a cento anni, mentre la scimmia può vivere al massimo fino a trent’anni. Gli uomini più degenerati sono capaci di cultura, ma non la scimmia. I paleontologi non hanno mai trovato uno scheletro che indicasse questo passaggio dalla scimmia all’uomo; in migliaia di anni, lo scheletro dell’uomo non ha subito alcun cambiamento. I più antichi monumenti dell’arte e della scienza dimostrano che l’uomo non è nato come una scimmia, ma come un essere umano; al contrario, le tradizioni e la linguistica rimandano ad una civiltà e a tempi migliori, e portano alla conclusione di una cultura da cui degradano sempre più nel peccato. Inoltre, le scimmie assomigliano all’uomo, ma gli assomigliano solo in un punto, nella forma apparente delle mani, piedi e cranio, per il resto ne differiscono radicalmente. Le scimmie, con la loro stupidità e bestialità, sembrano essere state create da Dio per mostrare all’uomo come sarebbe stato senza la sua anima immortale e quanto debba essere grato al suo Creatore, “Faccio fatica a credere – ha detto Seb. Brunner, (scrittore austriaco) – che l’uomo discenda dalla scimmia”. Il peccato contro la castità produce spesso nella fisionomia dei bambini e degli adolescenti tratti scimmieschi. (Alb. Stoltz).

2. I PRIMI UOMINI CREATI DA DIO FURONO ADAMO ED EVA.

Eva fu formata dalla costola di Adamo addormentato (Genesi II, 21). Secondo i Padri il sonno fu un’estasi, perché quando Adamo si svegliò sapeva esattamente cosa fosse successo.

3. TUTTI GLI UOMINI DISCENDONO DA ADAMO ED EVA.

S. Paolo disse all’Areopago di Atene: “Dio ha fatto discendere l’intera razza umana da un solo uomo e lo ha fatto abitare su tutta la terra” (Act. Ap. XVII, 26).

Tutti gli uomini formano dunque una sola famiglia e sono figli di uno stesso Padre. (S. G. Cris.).

Le razze umane non hanno differenze essenziali. (Ce ne sono cinque; ma non sono più chiaramente definite dei colori dell’arcobaleno). Il colore della pelle e la forma del cranio derivano dal clima e dallo stile di vita. Infatti, queste caratteristiche si perdono gradualmente nei discendenti emigrati. Gli stessi fenomeni si osservano nel regno animale: i bovini perdono le corna nel nord e subiscono profondi cambiamenti nella formazione del loro cranio; le pecore trasportate in Guinea assumono la forma di un cane, in Angora gli animali si ricoprono di peli lunghi e setosi, e così via. Le proprietà più essenziali del corpo, lo scheletro, la durata della vita, la temperatura corporea normale, la frequenza del polso ed i fenomeni morbosi sono comuni a tutte le razze; tutte hanno le stesse strutture spirituali: intelligenza, memoria, volontà, ecc. Le lingue e le antiche tradizioni di tutti i popoli, sulla caduta originaria, sul diluvio, ecc. indicano un’origine comune. Inoltre, l’incrocio tra famiglie di razze diverse è indefinitamente fertile. (Lo stesso non vale per gli incroci tra specie animali diverse).

Gli uomini discendono da Adamo solo corporalmente, perché l’anima è creata da Dio.

L’anima di ogni uomo è creata da Dio. Non è l’uomo, ma Dio che comunica l’anima. (V. Conc. Later.), è Lui, dice Zaccaria (XII, 1) che ha creato lo spirito nell’uomo, ed è in questo senso che Cristo ha detto “Io e il Padre mio”, sempre continuiamo ad agire (S. Giovanni V, 17). Come nel Battesimo e nella Penitenza, lo Spirito Santo scende nell’uomo per dargli la vita spirituale, così è con Dio quando si forma il corpo. Dio, al momento della formazione del corpo, gli comunica un’anima per vivificarlo. Egli infonde un’anima in ogni uomo come ha fatto con Adamo; la crea nel momento in cui la infonde. Questa infusione è creazione. (S. Bonav.) È pertanto un errore credere (con Platone e Origene) che Dio abbia creato tutte le anime all’inizio, allo stesso tempo degli Angeli. Tertulliano cadde in un altro errore, sostenendo che le anime discendono dalle anime dei loro genitori, come una fiaccola si accende su un’altra fiaccola. Altri arrivano a sostenere che tutti gli uomini hanno una sola anima. Ne conseguirebbe che tutti gli uomini avrebbero un’unica coscienza, il che è contraddetto dai fatti.

10. L’ANIMA UMANA.

1. L’ANIMA UMANA È UN’IMMAGINE DI DIO PERCHÉ È UNO SPIRITO SIMILE A DIO.

Prima della creazione dell’uomo, Dio aveva detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, e abbia il dominio sulle bestie e su tutta la terra.” (Gen. I, 26). – L’uomo è dunque creato ad immagine e somiglianza di Dio e deve quindi avere alcune analogie con Dio. Queste analogie si trovano nell’anima; come Dio, ha un’intelligenza libera ed una volontà libera, che lo rendono capace di conoscere ed amare il bene, ed è attraverso di esse che domina il mondo visibile, che è il re della creazione visibile, così come Dio è il re dell’universo. Non è dunque senza ragione che Dio abbia unito nella stessa espressione, sia la somiglianza dell’uomo con Dio sia la sua regalità terrena. L’uomo diventa un’immagine ancora più perfetta di Dio quando egli possiede la grazia santificante, perché in tal caso viene elevato alla partecipazione con la natura divina (II S. Pietro, II, 4) ed a una più esatta somiglianza con essa. Quando un uomo è santo, domina veramente la terra e le sue creature. Quando è peccatore, è il loro schiavo. Infine, nello stato di grazia, l’uomo è in grado non solo di conoscere ciò che è vero, bello e buono, ma anche di vedere Dio stesso nella sua gloria, di amarlo, e di goderne. – Così come l’orbe terrestre è un’immagine bella ma debole della terra, l’anima è un’immagine bella ma molto debole di Dio. È persino un’immagine della Santissima Trinità, perché ha tre facoltà, memoria, intelletto e volontà, pur essendo un’unica sostanza. Nella memoria assomiglia al Padre, nella ragione al Figlio e nella volontà allo Spirito Santo. (San Bernardo). Le parole pronunciate da Dio al momento della creazione dell’uomo avevano quindi un significato profondo, perché la forma plurale che ha usato indicava che voleva formare l’uomo ad immagine e somiglianza della Santa Trinità. Il valore di un’anima agli occhi di Dio è quindi immenso, come possiamo vedere dalla redenzione; un’anima vale più di tutto il mondo siderale (S. G. Cris.). – Il corpo non è un’immagine di Dio che non ha corpo, essendo un puro spirito; l’uomo è quindi ad immagine di Dio solo nella sua anima. Senza dubbio, questa somiglianza divina dell’anima si manifesta anche nel corpo, che è lo strumento dell’anima, ha un’andatura eretta, segno evidente della sua regalità sulla natura; così come le sue mani, abili in ogni tipo di lavoro, nel maneggiare ogni tipo di strumento e di arma, gli conferiscono il dominio su tutta la natura animata e inanimata. – Da qui il grido di ammirazione di Davide: “Signore, nostro Dio, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi, tu l’hai posto solo un po’ al di sotto degli Angeli, tu l’hai coronato di onore e di gloria” (Sal. VIII, 2-7).

2. L’ANIMA È IMMMORTALE, CIOÈ NON PUÒ CESSARE DI ESISTERE.

Il corpo muore in breve tempo, l’anima sussisterà in eterno. L’anima non può cessare di esistere, ma può perdere la grazia santificante ed essere spiritualmente morta, cosa che avviene attraverso il peccato mortale. “L’anima muore e non muore. perché è sempre cosciente di se stessa; muore quando abbandona Dio. (S. Aug.) Un ramo tagliato dal tronco è ancora un essere, ma cessa di essere un ramo vivo; così è per l’anima che ha commesso un peccato mortale. È separata da Dio, e quindi morta, ma continua a esistere. Il corpo, allo stesso modo, non ricade nel nulla assoluto dopo la morte; ma cessa di vivere non appena l’anima si separa da esso. L’anima può quindi cessare di vivere senza cessare di esistere quando abbandona Dio attraverso il peccato mortale. “I peccatori sono morti anche quando vivono, i giusti vivono anche dopo la loro morte”. (S. G., Cris.). Contraddizione apparente, facilmente risolvibile da quanto appena detto.

Noi sappiamo dalle parole di Gesù Cristo che l’anima sia immortale.

Non temete, dice, coloro che possono uccidere il corpo, ma non l’anima. Inoltre disse al ladrone penitente: “Oggi sarai con me in paradiso”. (S. Luc. XXIII, 43). Cristo ha insegnato questo dogma anche nella parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (S. Luca XVI, 19), e dice anche (S. Matth. XXII, 32) che il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe non è il Dio dei morti, ma dei vivi.

Inoltre, le apparizioni dei morti sono innumerevoli.

Alla trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, apparve Mosè, morto da tempo. (S. Matth. XVII, 3). Molti morti apparvero a Gerusalemme alla morte di Cristo. (ibid. XXII 1,53). Il profeta Geremia e il sommo sacerdote Arias apparvero a Giuda Maccabeo prima della battaglia (II. Mach. XV). La Vergine Maria è apparsa spesso nel corso dei secoli, tra l’altro a Lourdes nel 1858. “Non c’è stato, dopo Gesù Chr. un solo secolo senza numerose apparizioni di anime sante, per consolare i morti, o di anime del purgatorio, per chiedere preghiere” (Scaram). L’apostolo di Vienna, B. Cl. Hofbauer, apparve al suo amico Zacharie Werner della stessa città, splendente, portando una palma, un giglio ed un ramoscello d’ulivo, e annunciò all’amico la sua imminente morte (B. Cl. Hofbauer) (1820). La stessa cosa accadde quando morirono molti Santi. La maggior parte dei teologi rifiuta l’apparizione dei dannati come impossibile, perché nessuno torna dal luogo della riprovazione. Essi ammettono che i demoni appaiono sotto forma di dannati. – Queste apparizioni sono fatte attraverso il ministero degli angeli (S. Aug.), che assumono corpi eterei (S. Grég. Gr.) o che provocano una certa percezione ai nostri occhi. (S. Thom. Aq.). Se per mezzo del telescopio possiamo vedere chiaramente oggetti impercettibili ad occhio nudo, l’onnipotenza divina può anche permetterci di percepire gli spiriti (Scar.). Non dobbiamo né credere ingenuamente a tutte le apparizioni che ci vengono raccontate (è necessario un esame molto serio), né dobbiamo ridere di queste apparizioni come di una vana immaginazione. Chi ride è come un animale che crede solo a ciò che vede. (Scar.) L’intelligenza di un uomo carnale non va oltre il suo occhio corporeo. (S. Aug.). Molti uomini non vogliono esaminare seriamente i casi di apparizioni, perché se li vedessero sarebbero costretti a cambiare vita, cosa che non vogliono fare.

La nostra stessa ragione ci dice che la nostra anima è immortale.

L’uomo ha dentro di sé la sete, il desiderio di una felicità duratura e perfetta. Questo desiderio è comune a tutti gli uomini, quindi è stato depositato in noi dal Creatore stesso. Ma questa sete non può essere placata quaggiù da nessun bene, da nessun godimento terreno. Ora, se questo desiderio non potesse essere soddisfatto da nessuna parte, né mai, l’uomo sarebbe più miserabile della bestia che non è tormentata da questo desiderio, e Dio, l’essere perfetto, non sarebbe più buono ma crudele: una supposizione assurda. – Se l’anima non fosse immortale, l’uomo malvagio che ha commesso solo crimini sulla terra resterebbe impunito, e l’uomo giusto che si è reso la vita difficile combattendo le sue passioni, non verrebbe ricompensato. Un Dio sovranamente perfetto sarebbe ingiusto: una supposizione assurda quanto la precedente. Se, dunque, esiste un Dio, l’anima deve essere immortale. – Noi conserviamo la nostra coscienza psicologica e morale, i nostri ricordi giovanili, nonostante la trasformazione della giovinezza, nonostante la trasformazione del nostro corpo, le cui molecole si rinnovano ogni sette anni; queste facoltà rimangono intatte, anche se perdiamo un arto importante, un braccio, una gamba, persino una parte del cervello. C’è quindi una sostanza nel corpo che è indipendente dalla materia che cambia e che cambia, e quindi anche nonostante la morte, rimane indistruttibile. – Nel sogno vediamo, sentiamo e parliamo, anche se gli occhi, le orecchie e la lingua non sono attivi; allo stesso modo, dopo la morte, viviamo e pensiamo anche se i nostri sensi sono completamente inattivi. S. Agostino racconta che Gennadius, un medico di Cartagine, che si rifiutava di credere nell’immortalità dell’anima, fece il seguente sogno. Egli vide un bel giovane vestito di bianco che gli chiese: “Mi vedi? – Io ti vedo, Ti vedo. – Riesci a vedermi con gli occhi? – No, sono addormentati. – Come mi vedi? – Non lo so. – Riesci a sentirmi? – Con le tue orecchie? – No, sono addormentate. – Allora con cosa mi senti? – Non lo so. – Ma infine, parli adesso? – Sì. – Con la bocca? – No. – Con cosa allora, con cosa? – Beh, non lo so. – Allora! Ora dormi, ma parli, vedi, senti; verrà il sonno della morte e sentirai, vedrai, parlerai. “Il medico si svegliò e capì che Dio gli aveva insegnato, attraverso un angelo l’immortalità dell’anima (Mehler I, 494). Nulla, nemmeno il più piccolo atomo di polvere, va perduto in natura. La materia cambia forma, ma la sua massa in natura rimane sempre la stessa. Il corpo dell’uomo non sarà quindi annientato; e lo spirito umano, così elevato al di sopra del mondo visibile, sarebbe peggiore della materia inerte, del nostro povero corpo? Le stelle sopra di noi, la terra sotto di noi, che non pensano, né sentono, né sperano, mantengono intatta la loro forma esteriore; e l’uomo, il coronamento della creazione, viene creato solo per poche e fugaci ore?

Tutti i popoli credono nell’immortalità dell’anima.

Prima di tutto gli Ebrei. – Giacobbe voleva raggiungere suo figlio Giuseppe nel regno dei morti. (Gen. XXXVI 1,35). Tra gli Ebrei era vietato evocare i morti. (Deut. XVIII, 11). I Greci parlavano del Tartaro e dei Campi Elisi. Gli Egizi credevano in una migrazione di tremila anni delle anime. Le usanze di tutti i popoli: onoranze funebri, sacrifici funebri, ci portano a concludere che essi credessero nell’immortalità delle anime. “Il dogma della vita futura è antico quanto l’universo, diffuso come l’umanità” (Gaume). – Coloro che dicono che tutto finisce con la morte sono uomini che vivono nel peccato mortale e hanno paura del futuro. Con queste parole cercano di dissipare le loro paure, come i bambini impauriti fischiano al buio per nascondere e dissipare la paura dei fantasmi. Ma ciò che dicono singoli individui non può prevalere sulla fede universale; un individuo può sbagliarsi, ma non il genere umano. Chi desidera vivere come un animale, ovviamente non può desiderare la vita futura. “Anche il suicida, che è troppo vigliacco per sopportare il peso della vita, non ha alcuna intenzione di precipitarsi, vuole semplicemente trovare la pace che ha invano cercato quaggiù”. (Sant’Agostino).

11. I DONI SOPRANNATURALI.

I primi uomini erano felici quasi quanto gli Angeli buoni; “Signore – disse Davide -lo hai posto solo un po’ al di sotto degli Angeli; lo hai coronato di onore e di gloria” (Sal. VIII, 6). Tutte le mitologie pagane parlano della felicità dei primi uomini; i Romani la chiamavano l’Età dell’Oro ed Esiodo scrisse che la razza umana primitiva viveva come gli dei in perfetta felicità.

1. I PRIMI UOMINI POSSEDEVANO LO SPIRITO SANTO E ATTRAVERSO DI ESSO I PRIVILEGI SPECIALI PER L’ANIMA ED IL CORPO.

Erano “partecipi della natura divina” (II S. Pietro I, 4). Adamo era in stato di giustizia e santità (Conc. Tr. V, 1). Gli uomini non avevano da sé questa giustizia e santità, l’hanno avuta solo da Dio. L’occhio non produce luce, per vedere deve riceverla dall’esterno (Alb. Stolz).

I loro principali privilegi dell’anima erano i seguenti: avevano una ragione illuminata, una volontà priva di debolezza e la grazia santificante; erano quindi graditi a Dio, erano suoi figli ed eredi del cielo.

La ragione dei primi uomini era molto illuminata. (Sap. XVII, 5-6);

Adamo ne diede prova chiamando tutti gli animali con un nome che corrispondeva loro perfettamente. Egli riconobbe anche, dalle luci dello Spirito Santo l’indissolubilità del matrimonio. (Conc. Tr. S. 24). La loro volontà non era indebolita dalla concupiscenza. Rivestito della sola grazia che veniva dal cielo (S. G.. Cris.), non si vergognavano di se stessi; non c’era quindi la sensualità che eccitava i loro corpi contro la loro volontà. (S. Aug.). Per peccare, dunque, dovevano combattere una battaglia altrettanto violenta come la nostra per fare il bene. – Attraverso lo Spirito Santo che abitava in loro, i nostri primi genitori possedevano la grazia santificante, erano quindi simili e graditi a Dio. Avevano anche un grande amore per Dio, inseparabile dalla grazia santificante. – Poiché lo Spirito Santo abitava in loro, erano figli di Dio, perché “tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio sono suoi figli” (Rm VIII, 14). ed “essendo figli, erano anche eredi, cioè eredi di Dio e coeredi di Cristo” (ibid. 17). I figli hanno sempre diritto all’eredità del padre.

I loro principali privilegi nel corpo erano i seguenti: anch’esso era immortale e libero da ogni malattia; essi abitavano il paradiso e avevano sotto il loro dominio tutte le tutte le creature inferiori. Dio ha creato l’uomo immortale (Sap. II, 23). Da questo fatto risulta chiaro che Dio minacciò gli uomini di morte come castigo, dicendo loro dell’albero della conoscenza: “Nel giorno in cui ne mangerete, morirete della morte della vostra vita” (Gen. II, 17). Ma non si trattava solo di morte spirituale; Dio aveva in mente anche la morte corporea. Infatti, quando pronunciò la sentenza, disse: “Polvere sei e in polvere ritornerai. ” (Gen. IJJ, 19). L’uomo primitivo era privo di malattie; la malattia è il precursore della morte e siccome non esisteva la morte, non doveva esistere nemmeno la malattia. Senza dubbio, anche in paradiso, l’uomo doveva lavorare; ma questo lavoro faceva parte della sua felicità. “Il lavoro dava loro gioia ed era esente da ogni fatica; essi lo desideravano volontariamente come una gioia (Leone XIII).

– Il Paradiso era un magnifico giardino di delizie dove c’erano alberi splendidi con i frutti più gradevoli, molti animali belli e un fiume diviso in quattro rami. Accanto all’albero della conoscenza (quest’albero era la l’obbedienza di Adamo) c’era l’albero della vita: il frutto di quest’ultimo lo avrebbe salvato dalla morte. (Questo albero è stato sostituito dal SS. Sacramento). Gli studiosi ritengono che il paradiso fosse situato vicino ai fiumi Tigri ed Eufrate. Secondo le visioni di Caterina Emmerich, il paradiso esisterebbe ancora oggi e non sarebbe su questa terra; gli esseri umani sarebbero stati collocati sulla terra solo dopo la caduta, nel luogo del Giardino degli Ulivi dove il Cristo passò la notte in preghiera e dove soffrì la sua agonia la sera del Giovedì Santo. (Brentano, letterato tedesco che ha raccolto i racconti della Emmerich). L’uomo del paradiso dominava gli animali; essi erano docili davanti a lui: gli apparivano perché li vedesse e desse loro un nome adatto. (Gen. II, 19). La ragione di questa mansuetudine degli animali non è assolutamente da ricercare in una differenza di natura: è difficile, secondo S. Tommaso, ammettere un cambiamento di natura dopo la caduta, come se i carnivori non fossero stati carnivori in precedenza; dobbiamo piuttosto pensare che la fisionomia dell’uomo, una certa grandezza e maestosità esercitasse una grande influenza sugli animali. Dio ha reso l’uomo terribile per tutte le creature viventi” (Sap. XVII, 4). Anche oggi l’uomo ha conservato un po’ di quella maestosità; è capace con la sua presenza di terrorizzare gli animali. Dio disse anche a Noè: “Che tutti gli animali siano colpiti dal terrore e tremino davanti a te” (Gen. IX, 2). Gli animali feroci mostrano quale impero l’uomo possa esercitare sulle bestie più crudeli; ma questo impero è molto imperfetto rispetto a quello che era prima del peccato. Si dice di diversi Santi, tra cui San Francesco d’Assisi, che molti animali erano molto mansueti in loro compagnia; questo sembra essere una conseguenza della loro eminente santità: Dio avrebbe reso l’impero ai suoi servitori fedeli la cui innocenza era vicina a quella del paradiso.

2. QUESTI PRIVILEGI SPECIALI DEI NOSTRI PRIMI GENITORI SI CHIAMANO DONI SOPRANNATURALI PERCHÉ ERANO UN SUPPLEMENTO ALLA NATURA UMANA.

Alcuni esempi ci aiuteranno a comprendere questa dottrina. Un sovrano, per compassione fa impartire ad povero orfano un’educazione adeguata alla sua situazione: si occupa del suo cibo, dei suoi vestiti, della sua abitazione, della sua istruzione, del suo apprendistato di mestiere. (È così che Dio ha dato all’uomo doni assolutamente a lui indispensabili). Ma il sovrano può spingersi ancora oltre nella sua benevolenza: può adottarlo come suo figlio, ospitarlo nel suo palazzo, vestirlo come un principe, riceverlo alla tavola reale, assicurargli la successione al trono, ecc. (Allo stesso modo, Dio ha dato ai primi uomini doni soprannaturali che li hanno elevati ad un ordine superiore). L’acqua è composta da idrogeno e ossigeno. Togliete una di queste sostanze e l’acqua cesserà di essere acqua, perché ognuna di esse costituisce la propria natura. – (Così la natura dell’uomo è costituita dalla ragione, dalla libertà e dall’immortalità, senza le quali l’uomo cesserebbe di essere uomo e cadrebbe al livello degli animali). Ma quando a quest’acqua si aggiunge zucchero o vino, essa subisce un cambiamento, ha più sapore, più colore, più forza, in una parola, è più preziosa. (È così che Dio ha aggiunto molte qualità alla natura di Adamo ed Eva, qualità che l’hanno migliorata ed impreziosita, abbellita, nobilitata ed elevata. Si trattava di doni soprannaturali, che cioè non erano indispensabili alla natura dell’uomo e che potevano quindi scomparire in qualsiasi momento, senza che l’uomo cessasse di essere uomo). Questi doni soprannaturali producevano una più spiccata somiglianza con Dio; senza di essi una certa somiglianza, attraverso l’anima ragionevole ed immortale, sarebbe comunque esistita, ma non in questa misura. Un pittore può, con pochi tratti definire la figura di una persona, ma se usa ancora i colori e ne dipinge gli occhi, le guance, i capelli, ecc. il ritratto sarà più realistico, più bello e più prezioso. Lo Lo stesso vale per i doni naturali ed i doni soprannaturali; quelli costituiscono l’immagine naturale, questi l’immagine soprannaturale di Dio. Quando Dio, prima di creare l’uomo disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, la parola immagine si riferiva ai doni naturali, mentre la parola somiglianza ai doni soprannaturali. (Bellarmino).

12. IL PECCATO ORIGINALE.

Il racconto della caduta originale ci viene dato da Mosè come un vero racconto storico, non come un mito o una favola. Questa è l’opinione di tutti i Dottori della Chiesa.

1. DIO NEL PARADISO DIEDE AI PRIMI UOMINI UN COMANDAMENTO: PROIBÌ LORO DI MANGIARE IL FRUTTO DI UN ALBERO PIANTATO AL CENTRO DEL PARADISO.

L’albero era al centro del paradiso, e l’uomo era al centro tra Dio e satana, tra la vita e la morte. (S. G. Cris.). Questo frutto non era cattivo di per sé, perché come avrebbe potuto Dio, in un paradiso così felice, creare qualcosa di malvagio? Questo frutto era cattivo e dannoso solo nella misura in cui era proibito. (Sant’Agostino).

L’osservanza di questo comandamento doveva far guadagnare ad Adamo ed Eva la beatitudine eterna.

Indubbiamente gli uomini, essendo figli di Dio per la grazia santificante, dovevano ottenere la felicità eterna come dono, come eredità. Ma una felicità meritata è una felicità più grande, e Dio, nella sua bontà, ha voluto anche che gli uomini meritassero il paradiso come ricompensa. – Se i nostri primi genitori non avessero trasgredito questo comandamento, tutti gli uomini sarebbero nati come la Santa Vergine, in stato di santità e, se fossero stati fedeli a Dio, sarebbero entrati in paradiso senza morire (S. Thom. Aq.). I discendenti di Adamo, pur essendo nati in santità, avrebbero potuto peccare e sarebbero morti come Adamo. Ma la colpa di questi singoli peccatori non sarebbe passata alla loro posterità, perché Dio aveva costituito l’unico Adamo come capo della razza umana (S. Thom. Aq).

2. GLI UOMINI SI SONO LASCIATI SEDURRE DAL DEMONIO E TRASGREDIRONO IL COMANDO DI DIO.

Il diavolo invidiava questi uomini che erano così felici in paradiso. “L’invidia del diavolo ha prodotto il peccato nel mondo” (Sap. II, 23); egli è stato omicida fin dal principio. (S. Giovanni VIII, 44). Nei confronti di Eva ricorse alla menzogna, ecco perché Cristo lo chiama padre della menzogna (ibid.). Egli prese una forma visibile, come gli Angeli buoni e cattivi, come Dio stesso, quando si rivelano agli uomini; egli prese la forma di serpente, perché Dio gli ha concesso solo la forma di questo animale che, con il suo veleno e la sua astuzia, è l’immagine esatta dell’astuzia e della malizia mortale del diavolo (S. Aug.; S. Th. Aq.). Il demone era costretto a prendere in prestito una forma visibile e ad attaccare gli uomini con l’esterno, perché interiormente non aveva ancora alcuna azione su di loro, in quanto le loro anime non erano ancora rovinate dalla concupiscenza. Sant’Agostino dice che Dio ha permesso questa tentazione, perché i nostri primi genitori, prima di peccare di disobbedienza si erano già resi colpevoli di negligenza, pensando poco a Lui e distraendosi nella contemplazione delle cose visibili; da qui la rapida comparsa della tentazione. (Eccles. VII, 30). La loro felicità originaria aveva reso imprevidenti i nostri primi genitori. (Mehler racconta la storia molto istintiva di un taglialegna. Un giorno, mentre lavorava davanti al principe con cui lavorava, pronunciò orribili imprecazioni contro Adamo ed Eva, che avevano trasgredito ad un comando così facile e avevano fatto precipitare la loro posterità in una miseria spaventosa. Mia moglie e io – disse – non saremmo stati così insensati”. – Bene rispose il principe, vedremo. D’ora in poi, tu e tua moglie sarete con me in paradiso come Adamo ed Eva. Ma verrà il giorno di Eva”. La coppia ricevette vestiti ed una casa magnifica, furono esonerati dal lavoro, sedettero alla tavola del principe, in breve, non conobbero nulla delle loro lacrime e del loro sudore. Poi arrivò la prova. Un giorno di festa il principe organizzò uno splendido banchetto, fece servire le pietanze più squisite, tra cui un piatto coperto da un piattino. Puoi mangiare tutto”, disse, “ma non devi mangiare il piatto coperto con un piattino fino al mio ritorno. Non dovrete nemmeno toccarlo, altrimenti la vostra felicità sarà finita”. Con ciò si recò nel suo giardino e impiegò molto tempo per tornare. La curiosità dei suoi due ospiti cresceva di minuto in minuto, e alla fine la donna non poté più resistere dal sollevare leggermente il coperchio. La disgrazia era compiuta: un bellissimo uccello che era stato dentro saltò fuori dal piatto e volò fuori dalla finestra. In quel momento apparve il principe che cacciò la coppia dal suo castello, dopo aver dato loro alcuni consigli salutari. Questo è un esempio lampante della debolezza umana.). – La maggioranza dei dottori ritiene che la caduta sia avvenuta a partire dal 6° giorno della creazione, lo stesso giorno e la stessa ora della redenzione, un venerdì alle 3. In effetti, è notevole che, secondo le Sacre Scritture, Dio, quando chiese ai nostri primi genitori un resoconto delle loro azioni, stava passeggiando nel giardino nel fresco del pomeriggio. (Gen. III, 8).

3. LA TRASGRESSIONE DEL COMANDAMENTO DIVINO EBBE TERRIBILI CONSEGUENZE: GLI UOMINI PERSERO LO SPIRITO SANTO E CON ESSO I DONI SOPRANNATURALI, INOLTRE SUBIRONO DEI DANNI NEI LORO CORPI E NELLE LORO ANIME.

Questo peccato è stato punito così severamente perché il comandamento era facile da adempiere (S. Aug.) e perché gli uomini hanno perso lo Spirito Santo e i doni soprannaturali ed avevano un’intelligenza molto illuminata. Questo peccato era mortale; lo sappiamo dalla morte che dovette subire un Dio per ripararlo, perché dalla forza del rimedio possiamo dedurre la gravità del male; dal rimedio possiamo dedurre la profondità e la pericolosità del danno. (S. Bern.) – Peccando, ad Adamo è successo quello che succede ad un uomo che cade nel fango. (S. Greg. Nys.) Il samaritano, che andava da Gerusalemme a Gerico, cadde nelle mani dei briganti e non solo fu spogliato di tutte le sue sostanze, ma venne anche coperto di ferite; gli uomini erano anche spogliati dei doni soprannaturali. Ma anche i doni naturali erano diminuiti. In altre parole, la somiglianza con Dio scomparve completamente e l’immagine naturale fu sfigurata. “Con il peccato originale l’uomo si è corrotto nel corpo e nell’anima”. (Concilio di Trento 5, 1).

Il peccato ha danneggiato l’anima dei nostri primi genitori, 1º oscurando la loro ragione, 2º indebolendo la loro volontà e inclinandola al male, 3° privandola della grazia santificante per cui hanno dispiaciuto a Dio e non hanno potuto entrare in paradiso.

La loro ragione era oscurata, cioè non conoscevano più così chiaramente il Dio buono, né la sua volontà, né lo scopo della loro vita, ecc. – La loro volontà era indebolita. Peccando, l’uomo aveva disturbato l’armonia tra le sue facoltà spirituali e le sensibili. I sensi non si sottomettevano più senza resistenza al dominio della ragione e della volontà. Per punirlo di essersi ribellato a Dio, la carne dell’uomo si è ribellata a lui. Per questo l’uomo si vergogna del proprio corpo (S. Euch.). S. Paolo dice anche: “Sento nelle mie membra un’altra legge, che ripugna alla legge dello spirito”. (Rom. VII, 23). La carne cospira contro lo spirito” (Gal. V, 17). Come la pietra è attratta dalla sua gravità verso il suolo, così la volontà dell’uomo è costantemente diretta verso le cose terrene. “Lo spirito dell’uomo e tutti i pensieri del suo cuore sono inclini al male fin dalla giovinezza” (Gen. VIII, 21). Il peccato originale ha prodotto in noi in modo particolare le inclinazioni malvagie che satana aveva suscitato nei nostri primi genitori: dubitare della parola di Dio o l’incredulità, la messa in dubbio della sua giustizia o leggerezza, l’orgoglio, le passioni sensuali. (Hirscher) Eva, che per prima scrutava gli alberi del paradiso, che conversava colpevolmente con satana e poi con il marito, che per prima voleva essere come Dio, ha trasmesso al suo sesso i vizi della curiosità, della loquacità e della vanità. Ma le facoltà spirituali dell’uomo, la ragione ed il libero arbitrio, sono state solo indebolite dal peccato originale, non distrutte come sosteneva Lutero. L’uomo ha quindi ancora il suo libero arbitrio, nonostante la caduta (Conc. Tr. S. 6, 5); se l’avesse perso del tutto, perché avrebbe deliberato prima di compiere le sue azioni, perché si sarebbe talvolta pentito? Così Agostino dice: ” anche se Dio ci avesse creato così come siamo dopo la caduta, la nostra anima avrebbe ancora qualità preziose e avremmo motivo di essergli molto grati. – I nostri primi genitori hanno perso la grazia santificante, cioè la giustizia e la santità in cui erano stati creati (Conc. Tr. S. 6, 1), e di conseguenza l’amicizia di Dio. Chi muore con il peccato originale non raggiunge la visione di Dio, ma non è affatto condannato alle pene dell’inferno. La pena del peccato originale – dice Innocenzo III – è la privazione della visione di Dio, la pena del peccato personale è il fuoco eterno dell’inferno. – Da questo possiamo trarre le conclusioni circa i bambini morti senza Battesimo.

Nel loro corpo i nostri primi genitori hanno sofferto i seguenti mali: 1. furono soggetti alla malattia e alla morte; 2. furono espulsi dal paradiso e sottoposti a lavori forzosi e la donna fu messa sotto la dominazione dell’uomo; 3. le forze della natura e le creature inferiori potevano nuocere all’uomo, e infine lo spirito maligno era in grado di tentarlo più facilmente e, con il permesso di Dio, di danneggiare i suoi beni temporali.

A causa del peccato originale, l’uomo fu condannato a morire. Diodisse ad Adamo: “Mangerai il tuo pane con il sudore della fronte, finché non tornerai sulla terra da dove sei uscito; perché polvere sei e in polvere ritornerai. (Gen. III, 19). Il Sacerdote ci ripete questa frase il mercoledì delle Ceneri, mentre ci cosparge la fronte di cenere. La morte è la peggiore conseguenza del peccato originale. La morte corporea è solo una piccola immagine della morte spirituale ed eterna, ancora più terribile, decretata contro l’umanità e dalla quale può essere salvata soltanto dalla Redenzione e penitenza. – La chiusura delle porte dell’Eden era anche un simbolo della chiusura del paradiso celeste (S. Th. Aq.). Gli uomini del peccato furono sottoposti a lavori penosi. Dio infatti disse ad Adamo: “Sia maledetta la terra a causa della vostra azione, produca rovi e spine… mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” (Gen. III, 17). È stato per eliminare questa maledizione, che la Chiesa istituì un gran numero di benedizioni. – Da quel momento in poi, la donna fu sottomessa all’uomo, perché lo aveva sedotto. “Sarai sotto il potere dell’uomo – disse Dio – ed egli avrà il dominio su di te”. (Gen. III, 16). Anche la donna subirà molte tribolazioni attraverso i suoi figli (ibidem), perché li ha resi infelici con il suo peccato. – Le creature inferiori da quel momento in poi furono in grado di fare del male all’uomo: dato che si era ribellato a Dio, suo padrone, è giusto che a loro volta le creature si ribellino a colui che doveva essere il loro re. Dio non allontana più dall’uomo le influenze nocive degli elementi, piante e animali, da cui le varie piaghe del fuoco, dell’acqua e delle bestie. Queste fuggono tutte dall’uomo e molte gli sono addirittura ostili. Gli uomini, che prima terrorizzavano tutti gli animali, ora hanno tutti paura”. (S. Pier Chris.) – Anche il diavolo ha ora una grande influenza sull’uomo, in base al principio che chi è sconfitto, diventa schiavo del suo conquistatore”. (2 S. Pietro II,19). Il diavolo, soprattutto ora che l’uomo è incline al peccato, può tentarlo molto più facilmente e condurlo al peccato mortale (ad esempio Giuda) e, con il permesso di Dio, danneggiare anche i suoi beni temporali. (Giobbe, ad es.) Per questo il diavolo è chiamato principe di questo mondo. (S. Giovanni XII, 31; XIV, 30), il principe della morte (Eb. 11, 14). – Siamo viaggiatori su questa terra, viaggiatori sul cui cammino i demoni tendono agguati come briganti. (S. Greg. M.) Il mondo intero (I S. Giovan. V, 19) è sotto l’impero dello spirito maligno. Un pesante giogo grava sui figli di Adamo dal giorno della loro nascita fino al giorno della loro sepoltura. (Eccl. XL, 1). È per questo che il bambino inizia la sua vita piangendo. – Tutti questi castighi inflitti all’uomo erano anche un rimedio per lui. La malattia, la morte, la necessità di lavorare, l’assoggettamento e sottomissione agli altri uomini sono utili per frenare l’orgoglio e la sensualità. Egli fu espulso dal paradiso perché non mangiasse dallalbero di vita; questo lo avrebbe reso da immortale in una terribile miseria; questa espulsione è stata anche un mezzo efficace per eccitarlo alla penitenza.

4. IL PECCATO DEL PRIMO UOMO, CON TUTTE LE SUE INFELICI CONSEGUENZE PASSÒ A TUTTI I SUOI DISCENDENTI. (Conc. Tr. S. 5, 2).

Ogni giorno sento il dolore del peccato e, poiché sento il dolore, ne ricordo anche la colpa. (S. Greg. M.) Tuttavia, non è solo il dolore che ci è stato trasmesso, ma il peccato stesso, la colpa di Adamo, perché sarebbe empio pensare che un Dio giusto voglia punire qualcuno che è assolutamente esente da colpe. (S. Prosp.) Siamo nati figli dell’ira (Ef. II, 3), abbiamo tutti peccato in Adamo (Rom. V, 12). Abbiamo peccato in Adamo, come le membra del corpo cooperano al peccato, quando sono mossi da una volontà malvagia dell’anima. È possibile avvelenare tutti i frutti di un albero avvelenando la radice; questo processo riuscì al diavolo in paradiso (Segneri). Ecco altre analogie. Il Signore dà, per esempio, una terra a uno dei suoi servi a condizione che gli sia fedele. Se non mantiene la promessa, perde la terra non solo per sé ma anche per i suoi figli. Qualcosa di simile è accaduto nel peccato originale. (Atti del Conc. Tr.) Supponiamo ancora un padre nobile. Se manca gravemente al suo signore, gli verranno tolti sia la nobiltà che i feudi. I figli erediteranno il titolo e la fortuna? No, ma erediteranno la povertà e la miseria del padre. Il peccato originale è ereditario come alcune malattie del corpo. – Questo è un errore condannato dalla Chiesa (Conc. Tr. ô) credere che siamo peccatori in Adamo per imitazione del suo peccato. Come spiegare la morte dei bambini piccoli che non imitano il peccato di Adamo? La dottrina della Chiesa, secondo cui anche noi siamo diventati peccatori attraverso l’atto libero di Adamo, è un mistero della fede. –

Questo peccato è chiamato originale, perché lo abbiamo fin dalla nostra origine in Adamo.

Siamo infettati dal peccato prima di respirare l’aria (S. Ambr.), concepiti nel peccato (Sal. L, 7), perché siamo figli della concupiscenza. (I figli dei cristiani non sono esenti dal peccato originale. – Conc. Tr.) Non si nasce Cristiani, ma con il battesimo si rinasce Cristiani (S. Girol.). Così è per le olive: anche i noccioli degli ulivi coltivati producono solo olive selvatiche. (S. Aug.).

Gesù Cristo e la Beata Vergine Maria furono i soli esenti dal peccato originale.

Alcuni dottori credono che Geremia (Ger. I, 5) e 8. Giovanni Battista (S. Luc. I, 15), sebbene affetti dal peccato originale, fossero santificati prima della loro nascita. (S. Ambr., S. Athan.) Tutti gli altri uomini sono purificati dal peccato originale solo con il Battesimo (di acqua, di sangue o di desiderio). – Rifiutare il peccato originale significa condannarsi a non comprendere nulla della storia dell’umanità; ammetterlo significa comprendere se stessi e la storia del mondo (Ketteler – Vescovo di Magonza). Quanto grande è la miseria in cui il peccato originale ha fatto precipitare il genere umano. Sono pochi quelli che se ne rendono conto; molti pensano addirittura di essere molto felici qui! Sono come un bambino nato in una prigione buia, nella quale gioca, si diverte, perché non sa cosa sia la luce: la madre, invece, è triste e geme. Allo stesso modo i figli del mondo sono pieni di gioia, ma i Santi, che conoscono le gioie del paradiso, sono pieni di tristezza e versano lacrime quaggiù. (Didac.).