QUARESIMALE (XXXVII)

QUARESIMALE (XXXVII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).


PREDICA TRENTESIMASETTIMA
Nella Feria seconda dopo Pasqua
.

Della Divina Beneficenza. S’ammirano le Divine Beneficenze e si
rimprovera l’ingratitudine di chi non corrisponde

Et aperti sunt oculi eorum et cognoverunt eum. San Luca Cap. XXIV, 31

.Se mai meritaste il titolo di fortunata, o Roma, certo allora fu, quando assunto al suo impero, Adriano, solo a caratteri di beneficenza ti si mostrò monarca. Questi appena stretto lo scettro, bramò subitamente più d’ogn’altra cosa, l’amore de’ cittadini, come gemma la più preziosa de’ diademi, e cercò d’obbligarsi il popolo, liberandolo dalle obbligazioni, e di renderselo debitore con l’esenzione de’ debiti. Gran somma gli doveva il pubblico, grande il privato, e tutto il valore ascendeva a sette milioni d’oro. Liquido appariva il debito, facile a convincersi dalle carte da’ chirografi, dalle autentiche scritture che si trovavano presso la camera cesarea. Adriano, dunque, per guadagnare l’amore de’ cittadini, e l’amor dell’Imperio, fece adunare nel Foro Trajano a gran fasci, quelle tante carte, e d’esse alzarsi in più mucchi un monte, indi a vista del popolo, con una torcia accesa di sua mano gli dié fuoco. Fortunata, replico, o Roma mentre sortiste un imperatore che sol bramava mostrarsi Signore col beneficare. Molto più però fortunato ognun di noi, mentre siamo creature d’un Dio che solo cerca mostrarsi assoluto Padrone col beneficare; ma noi a guisa di misere talpe non abbiamo occhi bastanti per riconoscere i diluvi delle benedizioni che di continuo ci dispensa a pro del corpo, a salute dell’anima. – Deh amabilissimo Redentore, rinnovate il miracolo, ed anche a noi, come a’ discepoli d’Emaus, aprite gl’occhi, acciocché vediamo le vostre beneficenze, e deploriamo le nostre ingratitudini. Se si nega a Dio il beneficare, gli si toglie l’esser di Dio, tanto asserì Clemente Alessandrino, allor che disse Deus esse cessaret, si unquam benefacere cessaret. Chi vuol conoscere, se veramente è proprio di Dio il beneficiare, basta che rifletta che anche prima di crearci pensò a beneficarci. Quando Iddio sul bel principio, creò il cielo e la terra, veduto che per mancamento di splendori rimaneva acciecato il mondo, perché tenebræ erant super faciem terræ, si risolse di produrre la luce, fiat lux, e dubitando che non fosse riuscita di tutta perfezione, esaminolla. O Dio, esaminar la luce, e non è ella al parer d’Agostino, il corpo più perfetto, più nobile e più bello che possa darsi, benché da altri puro accidente si stimi; non è ella chiamata da Ambrogio, Creaturarum omnium pulchritudo? Perché dunque esaminarla, interroga qui Oleastro, ed a sé stesso, rispondendo asserisce che solo l’esaminò, quia nobis eam erat traditurus. Sapeva che doveva servire all’uomo, e perciò vuole esaminarla per provvedere a’ nostri bisogni e perfettamente beneficarci, prima ancora che noi venissimo alla luce del mondo. Ah, che la Beneficenza Divina ha operato con noi a guisa della natura ne’ fonti: queste non nascono dove sgorgano, ma l’origine loro l’hanno sulla cima de’ monti. Così appunto il beneficio di Dio nella Creazione, non cominciò dal tempo in cui fummo creati, ma ebbe il suo principio fin dall’eternità. Opus novum, dice Agostino, sed consilium antiquum, l’opera è nuova, ma il disegno è sempiterno. – Prima dunque di crearci, cercò Iddio di beneficarci; e se ci creò, ci creò per motivo di beneficenza. E che ciò sia il vero, portatevi meco col pensiero fin all’Empireo, ove vedrete che quelle tre Persone Divine quasi non sapessero contenere dentro i confini dell’esser loro infinito, l’infinita abbondanza della loro gloria; determinarono fino ab æterno, come parlano le scuole, di comunicarla e di diffonderla. Ond’è che a tale effetto die’ l’essere a milioni d’Angeli, e si formò Adamo capo d’uomini innumerabili, affinché nello spirito di questi, quasi in urne d’oro si trasfondessero le divine beneficenze, tanto ci lasciò scritto San Gregorio Nazianzeno nella Orat. 42. Bonitati minima satis erat sua ipsius solum contemplatione moveri, sed bonum diffundi, ac propagari oportebat, ut plura essent que beneficio assicerentur. Non creò Iddio i nove cori degl’Angeli, perché solamente il lodassero colassù ne cieli, né formò gl’uomini perché solamente l’adorassero, e l’incensassero in terra; no! Ma diede l’essere, sì agl’uni, come agl’altri, per avere ove trasmettere i tesori delle sue grandezze, per aver a chi conferire le perfezioni del suo Essere; la santità della sua Grazia, per avere in somma con chi mostrarsi, che era tutto beneficenza. Ut plura essent, quæ beneficio afficerentur. Eccovi dunque creati, per mera beneficenza divina. V’ha dato l’essere, ma qual essere mai v’ha comunicato, miei uditori? Ah, che v’ha provveduti d’un corpo fabbricato con tant’arte con tanta sapienza, che Galeno poté sfidare tutti gl’uomini, e poteva egualmente sfidare anche gl’Angeli a mirar se in cento anni riuscisse loro di cambiare solamente il sito, o la forma d’una sola parte di questa grand’opera; senza stroppiarla, e toglierle qualche cosa del bello, e del nobile, che ella contiene. Omnia in sapientia fecisti, e questo è il meno, poiché al corpo mortale ha unito uno spirito immortale, formato ad immagine del suo Fattore, padrone delle sue azioni, fornito del libero arbitrio, con un intendimento capace di conoscere il suo Autore, d’ammirar le sue opere, di contemplare le sue divine perfezioni, con una volontà capace d’amarlo di possederlo, di goderlo per sempre. O bontà infinita quanto mai ti dobbiamo, per averci sì altamente beneficato, organizzandoci d’attorno questo corpo, ed infondendoci quell’anima immortale. E quanto più poi ti siamo obbligati, mentre non solo hai donato noi a noi stessi ma hai donato a noi tutto il creato. Una madre che abbia in seno il suo portato, certo è, che prima che venga il tempo di darlo in luce, apparecchia la culla, le fasce, e quanto fa di mestiere per allevar la creatura. Così appunto ha fatto Iddio verso di noi, ci ha provveduti d’un numero senza numero di creature destinate fin dal principio a sollevar la nostra indigenza, ad impiegarsi tutte a nostro pro. Quante fiere vivono ne’ boschi tutte per noi; quanti animali abitano la terra tutti per noi; quanti pesci guizzano nelle acque tutti per noi; quanti augelli volan per l’aria tutti per noi; per noi crescono le selve; per noi fioriscono i prati; per noi pendono frutti dagl’alberi; per noi la terra tutto produce; l’aria ci nutre; il cielo ci influisce. Non vi crediate però miei UU. che qui finiscano le Divine Beneficenze ne’ benefici fattici finora; ha impiegato, è vero, una infinita potenza, ma questa si è solo applicata sopra del nulla. Adesso vi paleserò un benefizio, che per farcelo impiega la sua potenza sopra di sé medesimo con quello sforzo che si richiede per esinanisti, il Dio della Maestà, fecit potentiam in brachio suo. Voi ben sapete, che per il peccato del nostro primo Padre Adamo, eravamo tutti condannati alle fiamme eterne: cosa ha fatto il nostro Iddio, è arrivato tant’oltre che per liberarci dall’infermo, ha spiccato dal suo seno Divino l’Unigenito suo Figliuolo, mandandolo in terra, cinto di questa nostra carne passibile e mortale. Fatto di Creatore, creatura; di Signore, servo; di Dio Onnipotente, uomo poverissimo, e dopo aver patito per trentatré anni continui disagi, s’è contentato che per nostra salute di dare il suo Santissimo Corpo ai flagelli, alle spine, ai chiodi, alla lancia, alla croce, morendo di morte sì penosa e disonorata, come un’infame ladro ed assassino di strada … Ut servum redimeres proprio Filio non pepercisti. Intendetela o Cristiani. Noi eravamo schiavi del demonio, e Iddio c’ha ricomprati con la sua morte. Deh, Serafini del Cielo, voi che come più vicini al trono di Dio, siete più disposti a saperne gl’altissimi segreti, diteci se mai potevate immaginarvi un eccesso di tanta beneficenza, che un Dio eterno dovesse prender carne, patire e morire, per riscattar dal fuoco eterno noi miseri vermiccioli della terra. Io non so capire che chi considera un sì gran benefizio, possa continuare a vivere tra peccati. Allorché Alberto (attenti) re d’Inghilterra guerreggiava nella Soria restò disgraziatamente offeso in un braccio, di ferita che poteva dirsi leggiera, se non glie l’avesse convertita in gravissima l’iniquo costume che regnava in quei barbari d’avvelenar le saette, e già si disperava la vita d’un sì gran buon re; attesocché l’unico rimedio che rinvenissero i medici a quella piaga, sarebbe stato trovar chi ne volesse succhiare con le labbra l’umore infetto; ma Alberto con moderazione ammirabile in un suo pari, ripugnava a tal cura come crudele, negando costantemente di non voler tramandare in alcuno, benché privato, il rischio della sua vita, reale sì, ma pur anche essa mortale. Non poté però con tutto questo difendersi dalle amorevoli insidie della regina consorte. Questa, mentre Alberto più profondamente dormiva, gli entrò cheta cheta di notte in camera, e, scopertogli il braccio, levò gentilmente la fascia dalla ferita, indi accostatavi più volte la bocca, ne succhiò ben bene il veleno, con quel cuore, che se era di donna, era però reale e così bevendosi la morte, dovuta al re per la ferita, a lei, per amore. Restarono sopraffatte le storie d’affetto sì generoso. Fu grande il benefizio di questa Regina in prender la morte per sé, per dar la vita al marito. Ma o quanto è maggiore quello di Dio, salito in Croce a morir per uno schiavo, ed uno schiavo che tante volte con tanti peccati l’avrebbe offeso. O Divina beneficenza, e chi mai abbastanza può comprendervi questo benefizio della Redenzione, miei Uditori, sì grande, che la medesima parola del Padre non può ridirlo adeguatamente agli uomini; onde ragionandone ne parlò come in cifra e disse: Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum Unigenitum daret. E a questo benefizio universale, ne ha pure aggiunto uno a voi specialissimo, ed è stato il farvi nascere nel grembo della Santa Chiesa Romana: se v’avesse fatto nascere tra’ Turchi, vivreste tra le sozzure di Maometto. Se foste nati eretici, vivreste tra le laidezze di Calvino o di Lutero. Se tra’ gentili adorereste le statue, i marmi, le cipolle, i serpi, e queste sarebbero le vostre deità; e Iddio benefico verso di voi, v’ha fatto nascere tra’ Cattolici, ove siete avvivato da tanti esempi, istruito dalla divina parola, vivificato con tanti Sacramenti, tra’ quali, contentatevi che io vi ponga sotto degli occhi quello della Penitenza, della Confessione, per cui vi giustificate, e da rei, divenite figli. Figuratevi che, navigando voi sopra d’un piccolo legno, foste venuto in poter de corsari, e che un pietoso benefattore senza conoscervi, senza sperar nulla da voi v’avesse con molto danaro ricomprato e ricondotto nella vostra patria; non credo già, che lascereste alcun termine di gratitudine verso d’un tal benefattore. Ma figuratevi di più, che la seconda e la terza volta voi foste ritornato nelle barbare mani, e che la seconda e la terza volta, dal medesimo benefattore amorevolmente foste stato riscattato: certamente le catene della vostra schiavitù non sarebbero state sì forti, quanto sarebbero forti le catene d’amore, con cui vi stringerebbe la gratitudine al vostro liberatore. Confesso il vero: mi vergogno d’applicare il paragone. Voi, con quel primo peccato mortale cadeste, non in mano dei corsari, ma de’ diavoli, le di cui catene non vi legavano il piè, ma l’anima, eravate destinati non alla fatica del remo per qualche tempo, ma ad un carcere eterno in mezzo al fuoco e ciò seguì, non per accidente, ma per vostra perversa volontà, che volle anteporre alla servitù di Dio, quella del demonio. E pure Iddio di propria mano ha rotte le catene e col prezzo d’un immenso tesoro v’ha riscattato, restituendovi la grazia perduta, per mezzo della santa Confessione. Una volta sola che Dio v’avesse fatto sì gran dono non sarebbe bastevole, né tanto lunga l’eternità per ringraziarlo; e pure Egli ha raddoppiato il benefizio, non una, ma due, ma tre, ma cento… o Dio, e più volte, cioè in ogni Confessione, e pure voi ve ne restate ingrati, ed il vostro cuore non sa dare una scintilla di corrispondenza. – Sebbene che meraviglia di ciò; i peccatori son materiali e grossolani, né si muovono, salvo da quel che veggono con gli occhi corporali e da quel che ricevono a benefizio del corpo. Se così è, dunque così io vi dico. Ah, che se io potessi battere ad ogni casa sarei sicuro di fare arrossire e confondere più d’un ingrato; poiché loro direi: Ditemi, di quanti benefizi ha Iddio cumulata la vostra famiglia, certo, che ciascheduno ne numererebbe infiniti. Chi liberò quel figlio dalla morte, chi rese la sanità a quel capo di casa, che se moriva precipitavano gl’interessi, chi benedisse quei campi, acciò rendessero ottimo il frutto; chi ridusse quelle mercanzie in porto, in cammino con felicità quei negozi, vi concesse quel figlio tanto bramato, chi…, chi? Se non il vostro Dio. Quante grazie vi son piovute dal Cielo: Quanti tesori ha sparso sopra di voi la benefica mano di Dio. Quante benedizioni sono diluviate sopra la vostra casa, la vostra famiglia, la vostra persona: sanità, bellezza, nascita, comodi, ingegno, talenti, non formano il mare di quelle Divine Beneficenze, nelle quali dal nascere fino al tramontar di vostra vita nuotate? Sì, dove è dunque la gratitudine, come fruttate a queste piogge, come baciate quella mano che vi benefica, come corrispondete a tante grazie? O Dio, o Dio, m’arrossisco a pensarvi, non che a ridirlo. Se si tratta di mondo e de’ nostri capricci, siamo tutti Argo, siamo tanti Briarei. Se si tratta di Dio, siamo tante statue; tant’ore del giorno, fra le quali non ne trovate neppure una mezza per darla a Dio, come liberamente le spendete, come volentieri l’impiegate ne’ giuochi, nelle conversazioni, sulla finestra, allo specchio. Quel danaro di cui siete sì poveri per pagar quei legati, per far dir quelle Messe, per ajutar quel mendico; come e come ne siete abbondanti per spendere nella gola, per comprare una vanità, per donare ad un saltimbanco, ad un commediante, ad una impudica. Quel figlio, quella figlia richieste da un principe della terra, si donano con allegrezza e ve ne stimate onorati. Se li chiede Iddio vi storcete, si addolora la casa e si riempie tutta di lacrime. Quella persona, che per formar serenate veglia le notti intiere; per correre dietro ad una fiera si strugge in sudori; per soddisfare ad una curiosità è tutta viaggi; se si tratta di Dio, non ha passo da muovere; non ha testa che regga; non ha braccia che possano, tutta è podagra, tutta è catarri, tutta dolori. O Dio, o Dio, tutto si dà al mondo, che è traditore, al senso, che è nemico, a’ demoni, che sono assassini; a Voi nulla, mio Signore; a Voi, che siete Padre, tutt’occhio per custodirci, tutto cuore per consolarci. Che stravaganze, che ingratitudini sono queste, miei uditori, chi non conosce i benefici divini è cieco; ma chi li conosce ed è ingrato, è un tronco, è una rupe, è più disamorato d’una tigre d’Ircania, più stolido d’un giumento d’Arcadia. Sì, si, le fiere stesse son pur grate a chi le beneficò; Officia, ci lasciò scritto Seneca, etiam feræ sentiunt. Se leggerete le storie, troverete, come un leone nella Soria non si saziava d’accarezzare un tal Mentor Siracusano, perché trassegli da un pié un pruno pungente; troverete, che un altro leone nell’Africa prestò servitù non ordinaria ad un tal Sammio, perché lo liberò dal travaglio, che gli causava un osso traversatogli in una mascella. Troverete, che una pantera tra’ boschi divenne non solo amica, ma custode fedele d’un uomo, che gli cavò pietosamente da un fosso i suoi teneri figlioletti. Deh lasciate ora che io esclami: Cristiani miei, peccatori seguitatemi, venite me che io vo’ condurvi là tra’ deserti , tra le rupi, tra le caverne, perché apprendiate dalle fiere la gratitudine che dovete usare con Dio. Queste beneficate da voi, si rendono se non altro più mansuete, odono le vostre voci, obbediscono a vostri cenni, seguono le vostre pedate, e non arrotano i denti per lacerarvi, se siete stati loro benefattori … Beneficia etiam feræ sentiunt . E voi verso Dio, tanto vostro benefattore, costumate affatto il contrario; anzi i più beneficati son quelli che più strapazzano Dio. Sentite a questo proposito ciò che racconta Erodoto: dice trovarsi al mondo alcuni popoli sì nemici del sole, che quando spunta gli vanno rabbiosi incontro, gli dicono degli improperi, gli scaglion pietre e saette: Non vi credeste già miei uditori, che questi fossero i popoli settentrionali, che quasi del tutto abbandonati dal sole, rare volte lo vedono, e perciò meno partecipano de’ suoi splendori, della sua bellezza, de’ suoi influssi; appunto, anzi questi subito che lo vedono, si portano a salutarlo, e lo ricevono con danze di cetre, e suoni. Inorridite, sapete quali sono i popoli che lo strapazzano? Quelli, verso de quali il sole è più benefico, secondando le loro miniere, e d’oro, e d’argento, quelli, a cui colma più i loro mari, e di coralli e di perle. Questi sono i popoli Atlantici. E non è vero, che tali siamo ancor noi di quelli appunto, de’ quali, dice San Gregorio, che, magis contra Deum elevantur, qui magis ditantur. Chi è più ricco, chi è più nobile, chi è più potente, questi più strapazzano Dio, quei che sono più beneficati. Vediamo questa verità in Jeroboamo nel terzo de’ Regi ed io v’assicuro che, se non fosse di fede, non mi indurrei a crederlo. Jeroboamo di servitore di Salamone, passò ad essere successore al padrone nella maggior parte del principato. Iddio gli spedì il Profeta acciocché gli desse l’investitura reale anche vivente Salamone. Or chi non avrebbe creduto, che il nuovo principe non dovesse esser gratissimo a Dio che tanto l’aveva beneficato, portandolo dalla servitù al regno, e l’aveva assicurato, che essendogli lui fedele, l’avrebbe sempre protetto, assistito e mantenuto nel Soglio. Ognuno avrebbe detto, che Iddio non era per aver principe più obbediente, e pure non passò molto, che l’empio Jeroboamo voltate le spalle a Dio, a dispetto di Dio, con pubblico editto proibì ogni pellegrinaggio in Gerusalemme, ogni gita al tempio. Né qui si ferma, fabbrica due vitelli d’oro, e chiama tutti i popoli ad un solenne sacrificio, e tanto fece, che deviò dal culto del vero Dio quei Popoli, Ecce Dii tui Israel. Questo è l’operare di tanti che, quanto più beneficati, tanto più voltano le spalle a Dio. Anzi nel tempo medesimo nel quale Egli con tanta liberalità vi benefica, l’oltraggiate. Ditemi uditori, che aborrimento non concepireste voi verso di uno il quale, allorché voi gli porgeste un regalo, egli vi desse uno schiaffo; oppure
quando voi lo liberaste da morte, egli vi girasse una stilettata, certo che scongiurereste il Cielo, perché piovesse saette sopra di quell’empio, o chiamereste a suoi danni le furie dell’inferno; e pure voi fate peggio contro di Dio, quando peccate; né solo voi l’offendete nel tempo stesso che vi benefica, ma vi servite degli stessi benefizi per oltraggiarlo. Peggio, chiedete grazie e benefizi di sanità, ricchezze ed ogn’altro bene temporale per esser superiore agl’altri, per sfogare i vostri appetiti, e così offenderlo con tanta maggior libertà, con quanta maggior liberalità vi benefica. O che ingratitudine! Sono arrivati gli uomini ad esser grati al diavolo, e non lo vogliono esser a Dio. Esortato un certo uomo a ritrattar la parola data al diavolo, e confermata la polizza scritta col proprio sangue di donargli l’anima… no! Rispose, no, gli sono troppo obbligato, perché m’ha fatto avere quanto ho bramato. Oh Dio, oh Dio! Ed a Dio? nulla. Specchiatevi nel seguente caso, ed in esso riconoscete la vostra ingratitudine. Io vi narro il successo, e voi in tanto siate giudici d’un imperatore, che vi conduco per reo. Basilio assai famoso tra’ monarchi d’Oriente, portossi un giorno per spasso a caccia dentro folti boschi, quando incontratosi in un cervo di smisurata grandezza, l’assaltò, l’arrestò, e già con l’asta stava per ucciderlo; il cervo bravamente schermandosi, tanto s’avanzò, che fittogli un ramo delle corna nel cingolo delle reni, già stava per togliergli la vita; accorse a caso sì funesto con la spada un gentiluomo, e tagliato con somma celerità il cingolo, salvò l’imperatore dalla morte. Divulgatosi la sera per corte la fama del caso, non vi fu neppur uno, che non si congratulasse col cortigiano a cui toccò in sorte di salvar la vita al suo principe. Ognuno si credeva che egli dovesse avere il primo luogo tra’ favoriti, ognuno gli augurava superbi donativi, splendide parentele, titoli speciosi. Quando l’ingratissimo imperatore, intollerante di vedersi debitore d’un inferiore, chiamato a sé il capitano della giustizia, sotto pretesto che il cortigiano avesse ardito di sfoderar ferro alla imperial presenza, ordina che pubblicamente gli sia tagliata la testa. S’eseguì l’empio comando con universale stordimento di quelli che videro palpitante sopra d’un palco colui che si credevano dover esser ammesso a parte del trono. Ecco il fatto esecrando. Ditemi, qual è il vostro sentimento verso del re? Io per me credo che, assieme con me, se voi l’aveste tra le mani, lo lacerereste con le unghie e lo sbranereste con i morsi. Ma piano, piano, perché un simil parlare è un sentenziar contro di voi. Certo è, che Dio ha fatto a voi maggiori benefici di quelli che Basilio ricevette dal cortigiano; finalmente il beneficio ricevuto da Basilio non fu altro che esser liberato dal pericolo della morte. Ma Dio immortale, da quanti mai di questi pericoli v’ha liberato Iddio nel corso de’ vostri anni, sì in terra, come in acqua, sì dal fuoco, come da aria; da uomini, da demoni. Ditemi, non sareste voi già ad abbruciar nell’inferno se Dio avesse dato licenza a quella febbretta che vi succhiasse le vene, a quel catarro che vi chiudesse le fauci, ad una cancrena che vi rodesse le viscere; a quella goccia che vi colpisse il cuore; ma no, Iddio vostro benevolo ha sfoderata la spada, v’ha liberato da tanti mali, e voi qual pariglia, qual guiderdone gl’avete reso? Udite, avete pigliato in mano martelli e chiodi, e di nuovo siete tornati a crocifiggerlo, iterum crucifigentes Filium Dei; e perché dunque sdegnarvi contro Basilio, mentre più ingrati e traditori siete voi verso di Dio? Arrossitevi della vostra ingratitudine, pensate alla corrispondenza dovuta, se non volete che quanto prima, diluvino sopra della vostra casa severissimi castighi.

LIMOSINA

Dio è verso di voi tutto benefico; e voi come fate benefizio ai poveri? Chiedete un poco a quel mendico a quanti ha egli oggi domandata la limosina: a venticinque persone, quanti l’hanno fatta? Dio sa, se neppur uno. Sono i poveri ridotti a tal segno, che possono dire col paralitico, Hominem non habeo. Perché infracidiscano nelle carceri i poveri prigioni, Hominem non babeo, non hanno chi stenda la mano a beneficarli. Perché stentano negli ospedali gl’infermi? Hominem non babeo, non hanno chi li soccorra; perché si muoiono di fame, quelle povere verginelle, chiuse ne’ sacri chiostri? Perché non son sovvenute da mano misericordiosa; perché vi sono di quegli uomini, i quali vogliono più tosto satollar le lupe d’un postribolo, che le Spose di Cristo.

SECONDA PARTE.

Navigava Alessandro il Grande per suo diporto, sopra d’un legno nel fiume Eufrate, a vista di quella sì felice e sì bella parte dell’Asia, compiacendosi col guardare, col godere, che l’occhio ancora si stendesse al possesso delle sue vittoriose conquiste. Sorgevano a tre ordini i remi, co’ quali volava sull’acque; quando non so se fosse o rabbia di vento, o insidia di fiume, cadde al monarca di capo il diadema in mezzo alla corrente; ma un nocchiero prestamente gettatosi a nuoto, tosto il ritolse all’acque, e per esser più libero con le braccia al nuotare, si pose il diadema in capo, e coronato si presentò al re. Mirollo Alessandro e tutto insieme premiò il valor delle braccia con isborsargli un talento, e punì la temerità del capo con fargli troncar la testa. Ecco le parole di Plutarco, Homini pro eo recuperato talentum donavit, sed quod illud capiti suo indigne posuerat, caput abstulit. Volle Alessandro esser riconosciuto per Signore non solo con la beneficenza, ma anche col castigo. Così appunto farà Dio, si farà conoscere per Dio con severi castighi a chi non l’ha voluto conoscere a caratteri di beneficenza. – Tanto appunto intervenne ad Eva prima fra le donne e madre di tutti i viventi. Sposa d’Adamo, compendio delle maraviglie Divine. Fu Eva sì ricca, che ebbe la monarchia dell’universo in dote; per sua stanza le fu assegnato un Paradiso di delizie. E che più poteva bramare, e pur fra tanti e segnalati favori non si lasciò mai cader dalla bocca una parola di gratitudine verso del suo Benefattore, anzi trasgredì i suoi comandi. Bene, eccola dunque, incorsa nelle mortali miserie, eccola diseredata di quel gran bene che godeva; bandita dal Paradiso, e sottoposta a’ dolori del parto esclama: possedi hominem per Deum. O Dio, eccola grata, eccola riconoscente de’ benefici divini. Non vi meravigliate, dice qui il Seleuciense, se Eva non volle riconoscere Dio a caratteri di beneficenza quando gli diede l’essere, quando la concede in moglie a marito sì qualificato, Lo riconosce ora, come punitore del suo fallo, docta cognoscere punitorem. O quanti sono i figli, quante sono le figlie d’Eva oggidì, i quali, allorché sono felicitati da Dio e favoriti con continue grazie, chiudono gl’occhi e vivono alla cieca, senza dare un minimo tributo al Benefattore Divino. So ben io perché così operano, mio Dio, la cagione è: perché troppo li beneficate. Deh, da’ benefici passate a’ castighi; fate che quel padre di famiglia perda l’annata, infirmategli la sanità, mandategli i travagli, e vedrete che apriranno gli occhi, e diranno come Eva: Ah, che non avendo voluto riconoscere Iddio a caratteri di beneficenza, adesso lo riconosco a’ castighi, doctus sum cognoscere punitorem. Che s’ha dunque da fare, mi dirà taluno, per corrispondere a’ Divini benefici? De’ quali tutti, ancorché miserabilissimi, o per nascita o per roba, siete circondati. – Che si ha da fare? Vivere secondo i suoi Comandamenti. Attenti, v’ha beneficato Iddio concedendovi la prole che bramavate; allevatela col suo santo timore. V’ha fatto nobile e ricco, sovvenite i poveri, e non v’insuperbite: ha posta la vostra bottega in credito, avvertite di non abusarvene con usure o con traffici illeciti. V’ha concesso sposa di vostro genio, vivasi dunque con fedeltà e pace; Vi perdonò i vostri peccati, perdonate voi le ingiurie al vostro nemico. La lingua detesti gli errori che commise ne’ giuramenti, nelle bestemmie, nelle mormorazioni! Gli occhi paghino con lagrime quei tanti sguardi che macchiarono e la propria e l’altrui coscienza; e finalmente corrispondete a quel gran benefizio de’ sacrosanti Sacramenti. Non ve ne abusate, e frequentateli almeno ogni mese, per estirpare i vizi, o per accrescimento di virtù. Sento voci di popolo obbligato, che mi risuonano alle orecchie. Padre … siamo
dolenti d’aver offeso un Dio che tanto c’ha beneficato, e per assicurarsi quanto
è possibile di non volerlo più offendere, vi preghiamo, che supplichiate l’Eterno Padre, che ci dia grazia di non commettere più peccati. Sì lo voglio fare, ed acciò che la supplica sia più accetta, la voglio stendere col sangue medesimo del suo Figlio. Angeli Santi, giacché le mie mani non ardiscono tanto, prendete voi vi prego, dal Sacro Costato qualche goccia di quel Sangue Divino, perché con esso stenda il memoriale. Ecco che do principio. Noi peccatori ben conosciamo d’aver corrisposto a’ vostri benefici con offese, e però pentiti di cuore ne domandiamo il perdono, con un fermo proposito di non più peccare. Fermate… Padre, fermate! E qual voce ardita m’interrompe opera sì degna? Fermatevi dico, voi stendete il memoriale a nome di tutti, ed io non prometto, non voglio abbandonar l’amicizia, non voglio licenziar di casa, voglio passeggiar quella strada, quella Chiesa ha da essere il teatro de’ miei amori. Fermate, dico, io son madre di famiglia, non prometto, no, perché ho caro che la mia figlia segua gli amori, la voglio comportar libera nel parlare, e sfrontata nel vestire, ed io non son decrepita e perciò bramo di vedere ed esser veduta. Fermate, vi dico, io son mercadante; non prometto, perché l’usura mi porta degl’utili, e le bilance non giuste mi danno de’ guadagni, né voglio restituire la roba male acquistata. Angeli, Angeli, dove siete … avete inteso? Tornate, vi supplico a ripigliar quel Sangue adorato, riponetelo nel Divin Costato, giacché i peccatori non vogliono che io con esso stenda la supplica. Ma no, lasciatelo, che giacché non lo vogliono per la salute, l’abbiano senza rimedio per loro perdizione. Ecco, che tutto io ve lo scaglio sull’anima, o peccatori ingrati a’ divini benefici; abbiasi da voi ostinati, da questo Sangue prezioso la dannazione, questo assai più del fuoco vi bruci nell’inferno; questo sia la bevanda, che assai più vi tormenti del piombo liquefatto; prendete iniqui, che io vi affogo dentro, perché v’abbiate un naufragio eterno, ed impariate a vostro costo che, chi non vuol conoscere Dio benefico, lo provi severo punitore per tutta l’eternità…

QUARESIMALE (XXXVIII)