CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: APRILE 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA:

APRILE 2023

Nel mese di aprile, la Santa Chiesa cattolica festeggia, con i riti che la precedono e la seguono, la Pasqua di Resurrezione, del N. S. Gesù Cristo, evento centrale della vita di ogni Cristiano. – Sii dunque benedetto e glorificato, vincitore della morte, che durante questo solo giorno ti sei degnato di mostrarti agli uomini fino a sei volte, per soddisfare il tuo amore e per confermare la nostra fede nella tua divina Risurrezione. Sii benedetto e glorificato per aver consolato, con la tua presenza e dolci carezze, il cuore così oppresso della tua e nostra Madre. Sii benedetto e glorificato per aver calmato la desolazione della Maddalena con una sola parola del tuo amore. Sii benedetto e glorificato per aver asciugato le lacrime delle pie donne con la tua presenza e per aver dato loro da baciare i tuoi sacri piedi. Sii benedetto e glorificato per aver dato, con la tua stessa bocca, l’assicurazione a Pietro del suo perdono e per aver confermato in esso i doni del suo Primato, rivelando a lui, prima che agli altri, il dogma fondamentale della nostra fede. Sii benedetto e glorificato per aver rassicurato, con tanta dolcezza, il cuore vacillante dei due discepoli sulla strada di Emmaus e per aver completato questo favore, svelandoti ad essi. Sii benedetto e glorificato per non aver lasciato finire questa giornata senza visitare i tuoi Apostoli e senza aver loro dato delle prove della tua adorabile condiscendenza alla loro debolezza. Sii benedetto e glorificato, infine, o Gesù, perché oggi ti degni di farci partecipare, dopo tanti secoli, per mezzo dell’istituzione della tua Chiesa, alle gioie che gustarono in un simile giorno Maria, tua Madre, Maddalena con le sue compagne, Pietro, i discepoli di Emmaus e gli Apostoli riuniti insieme. –  Niente qui ne è cancellato; tutto è vivo, tutto è rinnovato; tu sei sempre lo stesso e la nostra Pasqua, oggi, è pure la medesima di quella che ti vide uscir dalla tomba. Tutti i tempi sono tuoi; e il mondo delle anime, vive per mezzo dei tuoi misteri, come il mondo materiale si sostiene per mezzo del tuo potere, dal momento in cui ti piacque di cominciare l’opera tua, creando la luce visibile, fino a che essa impallidisca e si annienti davanti all’eterna luminosità che tu oggi ci hai conquistata.

PREGHIAMO

O Dio, che in questo giorno per mezzo del tuo Unigenito hai debellata la morte e ci hai riaperto le porte dell’eternità; fa’ che col tuo aiuto si adempiano le buone aspirazioni della grazia.

(Dom. P. Guéranger: L’anno liturgico, 1956)

201

En ego, o bone et dulcissime Iesu, ante conspectum tuum genibus me provolvo ac maximo animi ardore te oro atque obtestor, ut meumin cor vividos fidei, spei et caritatis sensus, atque veram peccatorum meorum paenitentiam, eaque emendandi firmissimam voluntatem velis imprimere: dum magno animi affectu et dolore tua quinque Vulnera mecum ipse considero, ac mente contemplor, illud præ oculis habens, quod iam in ore ponebat tuo David Propheta de te, o bone Iesu: Foderunt manus meas et pedes meos; dinumeraverunt omnia ossa mea (Ps. 21, V. 17 et 18).

Fidelibus, supra relatam orationem coram Iesu Christi Crucifixi imagine pie recitantibus, conceditur: Indulgentia decem annorum;

(ai fedeli che recitano questa orazione piamente davanti ad una immagine di Gesù crocifisso, si concedono 10 anni di indulgenza)

Indulgentia plenaria,

si præterea sacramentalem confessionem instituerint, cælestem Panem sumpserint et ad mentem Summi Pontificis oraverint

(… se preceduta dalla confessione sacramentale e dalla Comunione – Pane celeste – pregando secondo le intenzioni del Sommo Pontefice: Indulgenza plenaria.)

(S. C. Indulg., 31 iul. 1858; S. Paen. Ap., 2 febr. 1934).

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Deus, qui Unigeniti Filii tui passione, et per quinque Vulnera eius Sanguinis effusione, humanam naturam peccato perditam reparasti; tribue nobis, quaesumus, ut qui ab eo suscept Vulnera veneramur in terris, eiusdem pretiosissimi Sanguinis fructum consequi mereamur in caelis. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen (ex Missali Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo oratio quotidie per integrum mensem pie iterata fuerit

(S. Paen. Ap., 12 dee. 1936).

Queste sono le feste della Chiesa cattolica del mese di APRILE (2023)

2 Aprile Dominica in Palmis    Semiduplex I. classis

               S. Francisci de Paula Confessoris    Duplex

3 Aprile Feria Secunda Majoris Hebdomadæ    Feria privilegiata

4 Aprile Feria Tertia Majoris Hebdomadæ   

                   S. Isidori Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

5 Aprile Feria Quarta Majoris Hebdomadæ    Feria privilegiata

                    S. Vincentii Ferrerii Confessoris    Duplex

6 Aprile Feria Quinta in Cena Domini   

7 Aprile Feria Sexta in Parasceve    Feria privilegiata

8 Aprile Sabbato Sancto    Feria privilegiata

9 Aprile Dominica Resurrectionis    Duplex I. classis

10 Aprile Die II infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

11 Aprile Die III infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

12 Aprile Die IV infra octavam Paschæ    Semiduplex

13 Aprile Die V infra octavam Paschæ    Semiduplex

                     S. Hermenegildi Martyris    Semiduplex

14 Aprile Die VI infra octavam Paschæ    Semiduplex

                      S. Justini Martyris    Semiduplex

15 Aprile Sabbato in Albis    Semiduplex

16 Aprile Dominica in Albis in Octava Paschæ    Duplex I. classis

17 Aprile S. Aniceti Papæ et Martyris    Simplex

21 Aprile S. Anselmi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

22 Aprile SS. Soteris et Caji Summorum Pontificum et Martyrum    Semiduplex

23 Aprile S. Georgii Martyris    Semiduplex

24 Aprile S. Fidelis de Sigmaringa Martyris    Duplex

25 Aprile S. Marci Evangelistæ    Duplex II. classis

26 Aprile SS. Cleti et Marcellini Paparum et Martyrum    Semiduplex

27 Aprile S. Petri Canisii Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

28 Aprile S. Pauli a Cruce Confessoris    Duplex m.t.v.

29 Aprile S. Petri Martyris    Duplex

30 Aprile Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                 S. Catharinæ Senensis Virginis    Duplex

FESTA DEI SETTE DOLORI DI MARIA SANTISSIMA (2023)

FESTA DEI SETTE DOLORI DI MARIA SANTISSIMA (2023)

I SETTE DOLORI DI MARIA SANTISSIMA

(Dom Guéranger: L’Anno Liturgico, vol. I, ed. Paoline, Alba, 1956)

La compassione della Madonna.

La pietà degli ultimi tempi ha consacrato in una maniera speciale questo giorno alla memoria dei dolori che Maria provò ai piedi della Croce del suo divin Figliolo. La seguente settimana è interamente dedicata alla celebrazione dei Misteri della Passione del Salvatore, e sebbene il ricordo di Maria che soffre insieme a Gesù sia sovente presente al cuore del fedele, il quale segue piamente tutti gli atti di questo dramma, tuttavia i dolori del Redentore e lo spettacolo della giustizia divina che s’unisce a quello della misericordia per operare la nostra salvezza, assillano troppo la mente, perché sia possibile onorare come merita il mistero della compassione di Maria ai patimenti di Gesù. Conveniva perciò che fosse scelto un giorno, nell’anno, per adempiere a questo dovere; e quale giorno meglio si addiceva del Venerdì della presente settimana, ch’è di per se stesso interamente dedicato al culto della Passione del Figlio di Dio?

Storia di questa festa.

Fin dal xv secolo, nel 1423, un arcivescovo di Colonia, Thierry de Meurs, inaugurava tale festa nella sua chiesa con un decreto sinodale (Labbe, Conciles, t. XII p. 365. – Il decreto esponeva la ragione dell’istituzione di tale festa: « Onorare l’angoscia che provò Maria quando il Redentore s’immolò per noi e raccomandò questa Madre benedetta a Giovanni, ma soprattutto affinché sia repressa la perfidia degli empi eretici Ussiti ».). Successivamente si propagò, sotto diversi nomi, nelle regioni cattoliche, con tolleranza della Sede Apostolica; fino a che il Papa Benedetto XIII, con decreto del 22 agosto 1727, non l’inserì solennemente nel calendario della Chiesa universale, sotto il nome di Festa dei sette Dolori della Beata Vergine Maria. In tal giorno, dunque, la Chiesa vuole onorare Maria addolorata ai piedi della Croce. Fino all’epoca in cui il Papa non estese all’intera cristianità la Festa, col titolo suindicato, essa veniva designata con differenti nomi: La Madonna della Pietà, La Madonna Addolorata, La Madonna dello Spasimo; in una parola, questa festa era già sentita dalla pietà del popolo, prima che fosse consacrata dalla Chiesa.

Maria Corredentrice.

Per ben comprendere l’oggetto, e meglio compiere in questo giorno, verso la Madre di Dio e degli uomini i doveri che le sono dovuti, dobbiamo ricordare che Dio, nei disegni della sua sovrana Sapienza, ha voluto in tutto e per tutto associare Maria alla restaurazione del genere umano. Tale mistero ci mostra un’applicazione della legge che rivela tutta la grandezza del piano divino; ed ancora una volta ci fa vedere il Signore sconfiggere la superbia di satana col debole braccio di una donna. Nell’opera della salvezza, noi costatiamo tre interventi di Maria, tre circostanze, nelle quali è chiamata ad unire la sua azione a quella stessa di Dio. La prima, ne\l’Incarnazione del Verbo, il quale non assume carne in Lei se non dopo averne ottenuto il consenso con quel solenne FIAT che salvò il mondo; la seconda, nel Sacrificio di Gesù Cristo sul Calvario, ove ella assiste per partecipare all’offerta espiatrice; la terza, nel giorno della Pentecoste, quando riceve lo Spirito Santo come lo ricevettero gli Apostoli, per potere adoperarsi efficacemente alla fondazione della Chiesa. Nella festa dell’Annunciazione esponemmo la parte ch’ebbe la Vergine di Nazaret al più grande atto che piacque a Dio intraprendere per la sua gloria, e per il riscatto e la santificazione del genere umano. In seguito avremo occasione di mostrare la Chiesa nascente che si sviluppa e s’ingigantisce sotto l’influsso della Madre di Dio. Oggi dobbiamo descrivere la parte che toccò a Maria nel mistero della Passione di Gesù, spiegare i dolori che sopportò presso la Croce, ed i nuovi titoli che ivi acquistò alla nostra filiale riconoscenza.

La predizione di Simeone.

Il quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù, la Beata Vergine venne a presentare il Figlio al Tempio. Questo fanciullo era atteso da un vegliardo, che lo proclamò « luce delle nazioni e gloria d’Israele ». Ma, volgendosi poi alla madre, le disse: «(Questo fanciullo è posto a rovina e risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; anche a te una spada trapasserà l’anima » (Lc.. II, 34-35). L’annuncio dei dolori alla madre di Gesù ci fa comprendere che le gioie natalizie erano cessate, ed era venuto il tempo delle amarezze per il figlio e per la madre. Infatti, dalla fuga in Egitto fino a questi giorni in cui la malvagità dei Giudei va macchinando il più grave dei delitti, quale fu lo stato del figlio, umiliato, misconosciuto, perseguitato e saziato d’ingratitudini? Quale fu, per ripercussione, il continuo affanno e la costante angoscia del cuore della più tenera delle madri? Noi oggi, prevenendo il corso degli eventi, facciamo un passo avanti ed arriviamo subito al mattino del Venerdì Santo.

Maria, il Venerdì Santo.

Maria sa che questa stessa notte suo figlio è stato tradito da un suo discepolo, da uno che Gesù aveva scelto a suo confidente, ed al quale ella stessa, più d’una volta, aveva dato segni della sua materna bontà. Dopo una crudele agonia, s’è visto legare come un malfattore, e la soldatesca l’ha condotto da Caifa, suo principale nemico. Di là l’hanno portato al governatore romano, la cui complicità era necessaria ai prìncipi dei sacerdoti e ai dottori della legge, perché potessero versare, secondo il loro desiderio, il sangue innocente. Maria si trova allora a Gerusalemme, attorniata dalla Maddalena e da altre seguaci del Figlio; ma esse non possono impedire che le grida di quel popolo giungano fino a lei. Del resto, chi potrebbe far scomparire i presentimenti nel cuore d’una tal madre? In città non tarda a spargersi la voce che Gesù Nazareno è stato consegnato al governatore per essere crocifisso. Si terrà forse in disparte Maria, in questo momento in cui tutto un popolo s’è mosso per accompagnare coi suoi insulti fino al Calvario, questo Figlio di Dio che ha portato nel suo seno ed ha nutrito del suo latte? Ben lungi da tale viltà, si leva e si mette in cammino, fino a portarsi al passaggio di Gesù. L’aria risuonava di schiamazzi e di bestemmie. La moltitudine che precedeva e seguiva la vittima era composta da gente feroce od insensibile; solo un gruppetto di donne faceva sentire i suoi dolorosi lamenti, e per questa compassione meritò d’attirare su di sé gli sguardi di Gesù. Poteva Maria, dinanzi alla sorte del suo Figlio dimostrarsi meno sensibile di queste donne, che avevano con lui solo legami di ammirazione o di riconoscenza? Insistiamo su questo punto, per dimostrare quanto abbiamo in orrore il razionalismo ipocrita che, calpestando tutti i sentimenti del cuore e le tradizioni della pietà cattolica ha tentato, sia in Oriente che in Occidente, di mettere in dubbio la verità della Stazione della Via dolorosa, che segna il punto d’incontro del figlio e della madre. Questa setta che non osa negare la presenza di Maria ai piedi della Croce, perché il Vangelo è troppo esplicito al riguardo, piuttosto di rendere omaggio all’amore materno più devoto che mai sia esistito, preferisce dare ad intendere che, mentre le figlie di Gerusalemme si mostrarono intrepide al passaggio di Gesù, Maria si recò al Calvario per altra via.

Lo sguardo di Gesù e di Maria.

Il nostro cuore di figli tratterà con più giustizia la donna forte per eccellenza. Chi potrebbe dire il dolore e l’amore che espressero i suoi sguardi, quando s’imbatterono in quelli del figlio carico della Croce? E dire con quale tenerezza e con quale rassegnazione rispose Gesù al saluto della madre? E con quale affetto Maddalena e le altre sante donne sostennero fra le loro braccia colei che doveva ancora salire il Calvario, per ricevere l’ultimo respiro del suo dilettissimo figlio? Il cammino è ancora lungo sulla Via dolorosa, dalla quarta alla decima Stazione, e se fu irrigato dal sangue del Redentore, fu anche bagnato dalle lacrime della madre sua.

La Crocifissione.

Gesù e Maria sono giunti sulla sommità della collina che servirà da altare al più augusto dei sacrifici; ma il divino decreto ancora non permette alla Madre d’accostarsi al Figlio; solo quando sarà pronta la vittima, s’avanzerà Colei che deve offrirla. Mentre aspetta questo solenne momento, quali scosse per la Vergine ad ogni colpo di martello che inchioda sul patibolo le delicate membra del suo Gesù! E quando finalmente le sarà permesso d’avvicinarsi a Lui col prediletto Giovanni, la Maddalena e le compagne, quali indicibili tormenti proverà il cuore di questa Madre nell’alzare gli occhi e nello scorgere, attraverso il pianto, il corpo lacerato del figlio, stirato violentemente sul patibolo, col viso coperto di sangue e imbrattato di sputi, e col capo coronato da un diadema di spine! – Ecco dunque il Re d’Israele, del quale l’Angelo le aveva preannunziato le grandezze; ecco il Figlio della sua verginità, Colui che Ella ha amato come suo Dio e insieme come frutto benedetto del suo seno. Per gli uomini, più che per sè, Ella lo concepì, lo generò, lo nutrì; e gli uomini l’hanno ridotta in questo stato! Oh, se, con uno di quei prodigi che sono in potere del Padre celeste, potesse essere reso all’amore di sua madre, e se la giustizia alla quale s’è degnato di pagare tutti i nostri debiti volesse accontentarsi di ciò che egli ha sofferto! Ma no, deve morire, ed esalare lo spirito in mezzo alla più crudele agonia.

Il martirio di Maria.

Dunque, Maria è ai piedi della Croce per ricevere l’addio del Figlio, che sta per separarsi da lei; fra qualche istante, di questo suo amatissimo Figlio non le resterà che un corpo inanimato e coperto di piaghe. Ma cediamo qui la parola a S. Bernardo, del cui linguaggio si serve oggi la Chiesa nell’Ufficio del Mattutino: « Oh, Madre, egli esclama, considerando la violenza del dolore che ha trapassata l’anima tua, noi ti proclamiamo più che martire, perché la compassione che hai provato per tuo Figlio, sorpassa tutti i patimenti che il corpo può sopportare. Non è forse stata più penetrante d’una spada per la tua anima quella parola: Donna ecco il figlio tuo? Scambio crudele! In luogo di Gesù, ricevi Giovanni; in luogo del Signore, il servo; in luogo del Maestro, il discepolo; in luogo del figlio di Dio, il figlio di Zebedeo: un uomo, insomma, in luogo d’un Dio! Come poté la tua anima sì tenera non essere ferita, quando i cuori nostri, i nostri cuori di ferro e di bronzo, si sentono lacerati al solo ricordo di quello che dovette allora soffrire il tuo? Perciò non vi meravigliate, fratelli miei, di sentir dire che Maria fu martire nella sua anima. Di nulla dobbiamo stupirci, se non di colui che avrà dimenticato ciò che S. Paolo annovera tra i più gravi delitti dei Gentili, l’essere stati disamorati. Ma un tale difetto è lungi dal cuore di Maria; che sia lungi anche dal cuore di coloro che l’onorano! » (Discorso delle dodici stelle). Nella mischia dei clamori e degl’insulti che salgono fino al Figlio elevato sulla Croce, nell’aria. Maria ascolta quella parola che scende dall’alto fino a lei e l’ammonisce che d’ora in poi non avrà altro figlio sulla terra che quello di adozione. Le gioie materne di Betleem e di Nazaret, gioie così pure e sì spesso turbate dalla trepidazione, sono compresse nel suo cuore e si cambiano in amarezza. Era la Madre d’un Dio, e suo figlio le è stato tolto dagli uomini! Alza per un’ultima volta i suoi sguardi al caro Figlio, e lo vede in preda ad un’ardentissima sete, e non può ristorarlo; contempla i suoi occhi che si spengono, il capo che si reclina sul petto: tutto è consumato!

La ferita della lancia.

Maria non s’allontana dall’albero del dolore, all’ombra del quale è stata trattenuta fino adesso dal suo amore materno; ma quali crudeli emozioni l’attendono ancora! Sotto i suoi occhi, s’avvicina un soldato a trapassare con una lanciata il costato del Figlio suo appena spirato. « Ah, dice ancora S. Bernardo, il tuo cuore, o madre, è trapassato dal ferro di quella lancia ben più che il cuore del Figlio tuo, che ha già reso l’ultimo suo anelito. Non c’è più la sua anima; ma c’è la tua, che non può distaccarsene » (Ivi). L’invitta Madre rimane immobile a custodire i sacri resti del Figlio; coi suoi occhi lo vede distaccare dalla Croce; e quando alla fine gli amici di Gesù, con tutte le attenzioni dovute al Figlio ed alla Madre, glielo rendono così come la morte l’ha ridotto, Ella lo riceve sulle sue ginocchia, che una volta furono il trono sul quale ricevette gli omaggi dei prìncipi dell’Oriente. Chi potrà contare i sospiri ed i singhiozzi di questa Madre, che stringe al cuore la spoglia esamine del più caro dei figli? Chi conterà le ferite, di cui è coperto il corpo della vittima universale?

La sepoltura di Gesù.

Ma l’ora passa; il sole declina sempre più verso il tramonto: bisogna affrettarsi a rinchiudere nel sepolcro il corpo di colui ch’è l’autore della vita. La Madre di Gesù raccoglie in un ultimo bacio tutta la forza del suo amore, ed oppressa da un dolore immenso come il mare, affida l’adorabile corpo a chi, dopo averlo imbalsamato, lo distenderà sulla pietra della tomba. Chiuso il sepolcro, accompagnata da Giovanni suo figlio adottivo, dalla Maddalena, dai due discepoli che hanno assistito ai funerali e dalle altre pie donne, Maria rientra nella città maledetta.

La novella Eva.

Vedremo noi, in tutti questi fatti, solo lo spettacolo delle sofferenze sopportate dalla Madre di Gesù, vicino alla Croce del Figlio? Non aveva forse Dio una intenzione, nel farla assistere di persona alla morte del Figlio? E perché non la tolse da questo mondo, come Giuseppe, prima del giorno della morte di Gesù, senza causare al suo cuore materno un’afflizione superiore a quella di tutte la madri prese insieme, che si sarebbero succedute da Eva in poi, lungo il corso dei secoli? Dio non l’ha fatto, perché la novella Eva aveva una parte da compiere ai piedi dell’albero della Croce. Come il Padre celeste attese il suo consenso prima d’inviare sulla terra il Verbo eterno, così pure richiese l’obbedienza ed il sacrificio di Maria per l’immolazione del Redentore. Non era il bene più caro di questa incomparabile Madre, quel Figlio che aveva concepito solo dopo aver accondisceso alla divina proposta? Ma il cielo non poteva riprenderselo, senza che Lei stessa lo donasse. Quale terribile conflitto scoppiò allora in quel cuore sì amante! L’ingiustizia e la crudeltà degli uomini stanno per rapirle il Figlio: come può Lei, la Madre, ratificare, col suo assenso la morte di chi ama d’un duplice amore, come suo Figlio e come suo Dio? D’altra parte, se Gesù non viene immolato, il genere umano continua a rimanere preda di satana, il peccato non è riparato, ed invano Lei è divenuta la Madre d’un Dio. Per lei sola sarebbero gli onori e le gioie; e noi saremmo abbandonati alla nostra triste sorte. Che farà, allora, la Vergine di Nazaret, dal cuore così grande, la creatura sempre immacolata, i cui affetti non furono mai intaccati dall’egoismo che s’infiltra così facilmente nelle anime nelle quali è regnato il peccato originale? Maria, per la sua dedizione unendosi per gli uomini al desiderio di suo figlio, che non brama che la loro salvezza, trionfa di se stessa: una seconda volta pronuncia il suo FIAT, ed acconsente all’immolazione del Figlio. Non è più la giustizia di Dio che glielo rapisce, ma è lei che lo cede: e, quasi a ricompensa, viene innalzata a un piano di grandezza che mai la sua umiltà avrebbe potuto concepire. Un’ineffabile unione si crea fra l’offerta del Verbo incarnato e quella di Maria; scorrono insieme il sangue divino e le lacrime della Madre, e. si mescolano per la redenzione del genere umano.

La fortezza di Maria.

Comprendete ora la condotta di questa Madre ed il coraggio che la sostiene. Ben differente da quell’altra madre di cui parla la Scrittura, la sventurata Agar, la quale dopo aver cercato invano di spegnere la sete d’Ismaele, ansimante sotto la canicola solare del deserto, fugge per non vedere morire il figlio. Maria inteso che il suo è condannato a morte, si alza, corre sulle sue tracce fin che non lo ritrova e l’accompagna al luogo ove dovrà spirare. Ed in quale atteggiamento rimane ai piedi della Croce di questo figlio? La vediamo forse venir meno e svenire? L’inaudito dolore che l’opprime l’ha forse fatta cascare al suolo, o fra le braccia di quelli che l’attorniano? No; il santo Vangelo risponde con una sola parola a tutte queste domande: « Maria stava (in piedi) accanto alla Croce ». Come il Sacrificatore sta eretto dinanzi all’altare, così Maria, per offrire un sacrificio come il suo conserva il medesimo atteggiamento. S. Ambrogio, che col suo tenero spirito e la profonda intelligenza dei misteri, ci ha tramandato preziosissimi trattati del carattere di Maria, esprime tutto in queste poche parole: « Ella rimase ritta in faccia alla Croce, contemplando coi suoi occhi il figlio, ed aspettando, non la morte del caro figlio, ma la salvezza del mondo » (Comment. su S. Luca. c. XXIII).

Maria, madre nostra.

Così la Madre dei dolori lungi dal maledirci, in un simile momento, ci amava e sacrificava a nostra salvezza perfino i ricordi di quelle ore di felicità che aveva gustate nel figliol suo. Facendo tacere lo strazio del suo cuore materno, ella lo rendeva al Padre come un sacro deposito che le aveva affidato. La spada penetrava sempre più nell’intimo dell’anima sua; ma noi eravamo salvi: da semplice creatura, essa cooperò insieme col figlio alla nostra salute. Dopo di ciò, ci meraviglieremo se Gesù scelse proprio questo momento per eleggerla Madre degli uomini, nella persona di Giovanni che rappresentava tutti noi? Mai, come allora, il Cuore di Maria era aperto in nostro favore. Sia dunque, ormai, l’Eva novella, la vera « Madre dei viventi ». La spada, trapassando il suo Cuore immacolato, ce ne ha spalancata la porta. Nel tempo e nell’eternità, Maria estenderà anche a noi l’amore che porta a suo figlio, perché da questo momento ha inteso da lui che anche noi le apparteniamo. A riscattarci è stato il Signore: a cooperare generosamente al nostro riscatto è stata la Madonna.

Preghiera. Con tale confidenza, o Madre afflitta, oggi noi veniamo con lasanta Chiesa, a renderti il nostro filiale ossequio. Tu partoristi senzadolore Gesù, frutto dal tuo ventre; ma noi, tuoi figli adottivi, siamo penetrati nel tuo Cuore per mezzo della lancia. Con tutto ciòamaci, o Maria, Corredentrice degli uomini! E come potremmo noinon cantare all’amore del tuo Cuore sì generoso, quando sappiamoche per la nostra salvezza ti sei unita al sacrificio del tuo Gesù?Quali prove non ci hai costantemente date della tua materna tenerezza,tu che sei la Regina di misericordia, il rifugio dei peccatori, l’avvocatainstancabile di tutti noi miseri? Deh! o Madre, veglia su noi; fa’ che sentiamo e gustiamo la dolorosa Passione di tuo figlio. Non si svolse, essa, sotto i tuoi occhi? non vi prendesti parte? Facci dunque penetrare tutti i misteri, affinché le nostre anime, riscattate dal sangue di Gesù, e lavate dalle tue lacrime, si convertano finalmente al Signore e perseverino d’ora innanzi nel suo santo servizio.

QUARESIMALE (XXXIII)

QUIARESIMALE (XXXIII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).

PREDICA TRENTESIMATERZA
Nella feria sesta della Domenica di Passione.

Il peccatore disonesto è per verità gran peccatore; grande per la qualità del fallo; grande per il numero de’ peccati; grande per la malizia con cui li commette.

Fornicatio autem, et omnis immunditia, nec nominetur in vobis sicut
decet Sanctos.
L’Apostolo San Paolo, Epist. Eph. 5.

Eccomi su questo pulpito stamane, risoluto di prendermela a faccia scoperta col brutto mostro della disonestà, giacché egli è quello che col piede indegno calpesta il più bel fiore della Cristianità, con l’alito pestilente l’avvelena, e col dente maligno la lacera. È vero, che d’un vizio di tal sorta neppure converrebbe parlarne o nelle contrade egiziane o nelle moschee de’ Turchi. È vero che l’Apostolo ci vieta eziandio il nominarlo, ma come può tacersi, mentre l’ammorbato lago delle sue abominazioni si è talmente dilatato che la povera colomba non ha ormai ove posare innocente il piede, e dappertutto s’incontrano sozzi amori. Entrate nelle case, ecco gli amori; andate nelle piazze, ecco gli amori, portatevi alla campagna … ecco gli amori. Che più? Penetrate i Santuari, le Chiese, e quivi pure troverete indegni amori: che occorre di più? Basti dire che talora le lordure si nascondono sotto gli abiti stessi più sacrosanti. Si, dico dunque, ne parlerò di questo brutto mostro. Ma tu, o sole, intanto nascondi per l’orrore i tuoi raggi. Me la prendo dunque con zelo apostolico contro de’ disonesti, i quali, dopo d’essersi satollati de’ frutti pestiferi di questa pianta infernale, si ricoprono poi con le sue fronde; spacciando che il loro fallo alla fine non è altro che una mera fragilità. Orsù, io voglio strapparvi d’intorno queste fronde d’una scusa del tutto bugiarda, la quale raddoppia più tosto la vostra malizia e farvi veramente toccar con mano, che un uomo disonesto è per verità gran peccatore. Qua, qua, alle strette, alle prese. Che cosa si richiede perché uno possa dirsi gran peccatore? Tre cose: la qualità de’ falli, il numero, la malizia. Vediamo se tutte tre concorrono in un disonesto, e poi negate, se potete, che il disonesto non sia un gran peccatore. Se vogliamo ben conoscere questa verità non bisogna che consideriamo il peccato della disonestà con l’occhio de’ disonesti per una debolezza, per una fragilità, per una quasi necessità di natura alla condizione dell’uomo troppo connaturale; ma bensì come ce lo rappresenta la Fede ed i sacri Dottori. – La Fede ce lo rappresenta per una colpa tale, che basta tenere un’anima sommersa nel fuoco per una eternità per colpa tale, che se Dio fosse capace di dolore, più disgusto gli recherebbe un peccato disonesto che non gli recano di consolazione tutti gli ossequi di quanti regnano in Cielo: colpa tale che mai potrebbe pagarsi adeguatamente da tutte le opere buone di mille mondi; ancorché fossero pieni d’anime sante, ed ognuna di loro fosse più Santa che ora non è la Vergine Santissima. Or io dico, una colpa sì pestifera potrà chiamarsi da gente battezzata il minor male che commetta l’uomo? Ah lingua sacrilega, lingua scomunicata! Taci, taci … E di’ piuttosto che questo peccato è una grandissima iniquità: nefas est, et iniquitas maxima. Né solo è grande in sé stesso il peccato della disonestà, ma è grande anche paragonato con gli altri. L’Angelico San Tommaso insegna che tra quei peccati o che offendono la carità del prossimo o di noi stessi, toltone l’omicidio, il più grave è la disonestà: più grave che non è il furto, che tanto s’odia, privandoci de’ nostri averi; più grande della detrazione della fama, della reputazione che dalle persone onorate si stima più della vita. E la ragione si è, perché i peccati de’ disonesti, sebbene non sono contro la vita d’un uomo già nato, come sono gli omicidi, sono però contro la vita di un uomo che può nascere, o privandolo affatto d’essa vita, o dandogliela con modo disordinato e contrario a quello che intende la natura. Oh che peccato è mai questo della disonestà! E se è tanto male in gente libera, che sarà se vi è parentela d’affinità? Peggio di consanguineità? Peggio, spirituale? Che farà se si manchi di fede al marito, alla consorte, se si manchi di fede a Dio oltraggiando il voto di castità? Che sarà se si irriti il Cielo ad incenerirti con i cittadini delle pentapoli nefande? Sebbene, che dico? I disonesti non sono capaci di prove sì chiare; merceché dalla Scrittura sono paragonati agli ubriachi privi di senno: Fornicatio, ebrietas auferunt cor. È necessario che io per convincerlo mi serva d’argomenti più grossi. Diciamo dunque così: quel peccato che la giustizia Divina ha sempre più severamente perseguitato in terra e più acerbamente punito, convien dire che sia quello che ella più abomina; giacché siccome i benefizi sono manifesti segni d’amore, così i castighi lo sono d’odio. Or se così è, o disonesti, bisogna, che voi affermiate queste due proposizioni: la prima, che niuno eccesso ha Iddio vendicato con pena più universale e più tremenda, di quello che abbia vendicato la disonestà; la seconda, che niuno altro eccesso è solito Egli di vendicare con simil pena. Angeli Santi, che foste ministri della Divina Giustizia; allorché rotte le cataratte del cielo, lasciaste cadere a diluvi le acque sopra la terra. Ecco rotto ogni lido a’ mari, ogni argine a’ fiumi; ecco, che il mondo si sommerge, uomini e donne, grandi e piccioli, nobili e plebei, principi e sudditi, monarchi e vassalli; tutti alla rinfusa restano sommersi sotto dell’acque. E perché, Angeli Santi, un mondo intero affogato sotto dell’acque? Eccone la ragione, rispondono quegli Spiriti Angelici. Dovete sapere, che gli uomini a quel tempo, s’erano ingolfati nelle abominazioni del senso, e però erano divenuti sì odiosi agli occhi divini, che Iddio non potendoli più sopportare ebbe a dire: non permanebit spiritus meus in homine in æternum, quia caro est, che vale a dire, come spiega la Glossa, troppo dato a’ vizi della disonestà; idest nimis implicatus peccatis carnalibus. Onde Iddio affogo’ i colpevoli, perché  infetti nelle disonestà affogò gli innocenti perché  non si infettassero: mostrando in tal forma nella morte degli uni e degli altri, l’odio che porta alle disonestà. Disonesti qua: un’occhiata a questo gran monte di cadaveri: specchiatevi, e nel vederlo dite, se vi dà l’animo, che la disonestà è il minor male che commetta l’uomo. Ditemi: se Iddio per eccessi simili mandasse in rovina tutta la vostra città, ardireste di dire che è poco peccato? E se passasse a mandare in rovina tutta l’Italia, direste che è un male di poco rilievo? No per certo. Ah iniqui! Ed ardirete di dire che l’esser disonesto è poco male, mentre ha tirato seco la rovina del mondo tutto? Da qui avanti, o disonesti, o negate fede alle Divine Scritture, o strappatevi di bocca quella lingua malvagia, prima che torniate a dire che la disonestà è il minor male che si commetta. O che gran male è la disonestà! Basta dire, come osserva San Tommaso di Villanuova, che Iddio non manda certe stragi universali per altro delitto che per questo. È comune opinione degli espositori, che la desolazione intimata già a Ninive, adbuc quadraginta dies, et Ninive subvertetur, non per altro seguisse che per la disonestà. Cari miei UU. se sono infettate da pestilenza le città, date la colpa alle lascivie; se sono scosse da terremoti, sicché non rimanga, quasi dissi, pietra sopra pietra: sia la colpa de’ disonesti. La disonestà porta le carestie, la disonestà arma le milizie, e se mi direte: Padre abbiamo riscontri che questi castighi, e particolarmente i terremoti, siano mandati da Dio, non per le disonestà, ma per il poco rispetto alle Chiese? Io vi rispondo che avete ragione. Ma ditemi, perché si rispettano poco le Chiese? Per parlarci disonestamente, per farci all’amore, come se si stesse ne’ postriboli, contrattandosi l’onor della maritata, la castità della donzella. – Il vizio della disonestà tanto abominevole agli occhi di Dio, è abominato anche da’ Santi in Cielo, dalle bestie in terra, da’ demoni dell’inferno. Era già Maria Maddalena de Pazzi ad abitare tra’ Serafini del Cielo, quando nel suo medesimo cadavere mostrò d’aborrir tanto un giovane impuro venuto a vederla … che così morta gli voltò le spalle. San Francesco di Paola abominò tanto una donna intaccata di questa pece che, essendo ella con le altre venuta in Napoli per baciare un dente del Santo racchiuso in un prezioso cristallo, il dente si ruppe per mezzo. Santa Francesca Romana passando d’avanti la porta d’una donna malvagia, ebbe a venir meno; ed a Santa Caterina di Siena si rendeva intollerabile il fetore di alcuni peccatori disonesti. Ma che gran cosa che sia in odio a’ Santi, mentre è abominato anche dalle bestie? Racconta Tommaso Cantipratense, come una certa femmina data in preda agli amori andava di male in peggio: quando Iddio per ravvederla, mentre ella dormiva gli si fece vedere assiso in trono in forma di giudice, assistito da numerose squadre d’Angeli ed Arcangeli, e da schiere beate di Vergini, Martiri e Confessori, e già stava per udire la sentenza di dannazione. Si raccomandò allora la giovane, ed ottenne la grazia di non esser condannata ma di aver tempo di far penitenza, e sentì dirsi: lascia veglie, lascia balli, lascia amori. Giovò questa visione per qualche tempo; ma perché era tanto invischiata in quei maledetti amori, tornò come prima a vagheggiare, ed a farsi vagheggiare barattando colpe, e con gli occhi, e con fatti. Volete altro? non potendo più Iddio tollerare la di lei disonestà, la buttò ammalata in un letto; indi a poco la mandò la morte, e passò all’altra vita senza Sacramenti. Sollevato il cadavere, secondo il costume, fu posto sopra una tavola in una camera: quando ecco si vedono entrare due cani mastini, che ben mostrarono d’essere avidi di saziarsi di quelle laide carni: s’avventarono, ma ne furono respinti la prima volta, non così nel secondo assalto; poi che addentarono fieramente quel cadavere, che tutto ridussero in pezzi, e con il loro urlo chiamarono quanti erano cani nella città a saziarsene. Né solo i disonesti sono in odio alle bestie, ma agli stessi demoni: sì, sì, a’ diavoli stessi. È certo che vari demoni sono occupati a tentarci, chi d’interesse, chi di vendetta, chi di superbia. A tentare di disonestà, credete voi che siano occupati i compagni di lucifero, che vale a dire, i più nobili? Appunto, i più vili, i più sozzi. Ecco le parole di San Tommaso: dicuntur magistri aliquot dæmones, qui memores antiquæ nobilitatis dedignatur de luxuria tentare. Non occorre altro: siete in odio, o lascivi, anche a’ diavoli; ed appunto uno di questi si lasciò vedere ad una rea femmina, allorché lordava col corpo l’anima e dissegli: ohibò, ohibò! Lasciandola ivi tramortita. – Dite ora, se potete, che il peccatore disonesto non sia un gran peccatore, mentre è in odio fino a’ diavoli. Dite, che la disonestà è il peccato più leggero; che io ve ne do la smentita; soggiungendo che in radice è il maggiore, perché e padre di furti, di risse, di omicidi, d’irriverenze alle Chiese, e di quanti prescrive precetti Dio e ne comanda la Chiesa. Datemi mente: confesserete ancor voi la gravezza della disonestà. E se sono detestabili i disonesti per la gravezza del fallo; niente meno lo sono per il numero delle loro lascivie; certo che con ogni ragione quel demonio che teneva gli uomini di disonestà si chiama nella Scrittura Sacra: Asmodeo che, secondo la forza della lingua santa vuol dire: abbondanza di peccati; perché chi si dà in preda a questo vizio ne commette tanti e tanti, che egli stesso non ne sa rinvenire il numero. O quanto mai cresce la gravezza di questo peccato per la moltitudine che se ne commettono! Sacri confessori se a’ vostri piedi si presenta un ladro, un assassino di strada, un bestemmiatore, è pur vero che sanno ridirvi il numero delle loro colpe: ma se vi viene un disonesto, tanti sono i peccati commessi ne’ pensieri, nelle parole, nell’opere, che non ve ne sa dire il numero, e se voi nuovamente l’interrogate: quanti? Egli vi risponde: non lo so, … ma lo sa il diavolo, se non lo sai tu, che li ha registrati tutti a tua dannazione. Quanto tempo è che divenisti infedele a Dio per osservar la fede di una donna infedele al suo consorte. Sono mesi, sento rispondermi, sono anni, ed i peccati commessi chi può saperli? Quanto tempo è, o femmina, che ti adorni disonestamente per piacere a chi non devi? Quanto tempo è che vivi nelle braccia del diavolo? Sono anni, ed i peccati chi li sa? Quanti, o Dio, a tre peccati mortali il giorno in quindici anni, sono più di sedici mila peccati mortali, e pure vi saranno tanti e tanti, e forse anche in questo luogo, che tra compiacenze malvagie, tra desideri iniquità, tra scandalosi tentativi ed opere consumate, arriveranno … Iddio sa a quanti peccati il giorno, e ciò non per lo spazio solo di quindici anni, ma di venti, ma di trenta e più; e però chi può sommare il conto delle loro colpe? E poi ardite di dire, che non sono nulla i peccati di senso; mentre non cedono, ma superano ogn’altro nel numero.  Aggiungete di più, che ogni peccato disonesto, e ben spesso come quel frutto del Malabar, che ognuno ne racchiude più di trecento; sguardi, cenni, parole,
mezzi malvagi, ond’è che giustamente San Pietro chiamò questo vizio: diletto che non ha fine: oculos habentes plenos adulteri, et incessabilis delicti; perché ben spesso si principia dagli anni più teneri, e non si finisce finché la morte non viene col suo freddo fatale a smorzar quelle fiamme di disonestà; trovandosi ben spesso chi a guisa del mongibello di fuori e bianco per la canizie, di dentro avvampa di lascivia. Prima che la Santa Fede dileguasse nella gran Città del Messico le tenebre della idolatria, ogn’anno si sacrificavano al demonio i cuori di ventimila fanciulli raccolti da tutto il Paese, e miseramente scannati. È bontà del nostro Iddio, che a nostri giorni e ne’ nostri Paesi non si pratichino sacrifici tanto inumani; ma è altresì malizia esecranda di satanasso l’aver tra’ Cristiani addomesticata sì fattamente questa furia infernale della disonestà, che per essa si sacrificano al demonio ogni dì un numero senza numero di Cristiani; e se gli sacrifica non solo il cuore materiale, ma l’anima ed il corpo; ed in ogni luogo, ed in ogni momento s’alza altare e si compisce l’orribile sacrificio. Dissi che gli si sacrifica non solo l’anima, ma tutto il corpo ancora, perché  gli altri peccatori offendono la loro anima; ma i disonesti offendono ancora il corpo: qui fornicatur in corpus suum peccat; di più se gli offre in olocausto perché non si riserba parte alcuna: non gli occhi, che come tante spie vanno sempre in cerca di nuovi oggetti; non le orecchie sempre attente ad udire laide canzoni e ragionamenti disonesti, non la lingua sempre occupata a promuoverli; non le mani, non i piedi tutti ministri d’oscenità. Dissi in ogni tempo ed  in ogni luogo; perché non dirò quale strada, qual piazza, ma qual casa, e qual Chiesa dove l’onestà abbia ai dì nostri un sicuro riparo, e qual tempo, ove ella possa quietamente posare? E non è vero che il sonno stesso non è in costoro innocente abbastanza, mentre aggirandosi per la fantasia quei fantasmi d’impurità che hanno un franco commercio tutta la giornata, espongono anche ad occhi chiusi in vista de’ miserabili disonesti, laide rappresentazioni che, quasi mercanzie di gran pregio, sono da loro comprate con un libero consenso, quando gli svegliano; e pagate allegramente con rinunziar per esse al Paradiso. Una vita dunque così pestifera, il di cui ordito sono perpetui desideri, perpetui incitamenti, ed il ripieno sono perpetui eccessi talora sconosciuti fino alle bestie; una vita, dunque, di tal sorta chiamerete fragilità? Il minor male che si commetta? Eh, che bisogna una volta gettar giù dalla faccia questa maschera che vi sta sì male; non bisogna più dire: che peccato è? Che mal è una fragilità? Bisogna bensì dire che mal è un numero senza numero di migliaia de’ più abominevoli peccati che commetta l’uomo, un numero senza numero di peccati, de’ quali si vergogna lo stesso demonio, un numero senza numero di peccati che allontanano l’anima affatto da Dio, più che comunemente non fanno gli altri; giacché al dire di San Tommaso: Homo per luxuriam maximè recedit a Deo, un numero senza numero di peccati per cui l’uomo è divenuto tutto del diavolo; così asserisce San Cipriano demon totum hominem agit in triumphum libidinis; un numero senza numero di quei peccati per i quali si riempie l’inferno; così attesta San Remigio exceptis parvulis per carnis vitium pauci salvantur. E questo è quel peccato che voi chiamate da nulla, e lo ricoprite col nome di fragilità, che la volete far comparire per una febbre necessaria allo sconcerto della vostra natura e per una necessità di condizione umana. Ah stolti indegni! Ben si vede che non solo siete ciechi, per aver gli occhi chiusi, ma siete ciechi perché ve li cavate, per non vedervi. Piacesse al Cielo che questa nostra cecità bastasse per alleggerire le vostre colpe; appunto non può essere, perché le vostre colpe sì gravi per la qualità, e sì intollerabili per il numero, si rendono gravissime, perché le commettete con una strana malizia. Uditemi. Chi pecca per abito, dice San Tommaso, non pecca per infermità, o fragilità, ma pecca per malizia. Ditemi: evvi ́mai niun peccatore, il quale più pecchi per abito del disonesto? No per certo, il peccatore disonesto, con atti tanto intensi e tante volte replicati, produce in sé un abito fortissimo. Un atto solo vizioso basta talora per formare una dura catena del male costume. O giudicate voi, le basteranno poi tanti e tanti, che vi si aggiungono
alla giornata: questi rinforzeranno ogni dì più quei legami infernali e li renderanno più difficili ogni volta che di a sbrigarsene, aggravabit compedes vestros, ut non egrediamini; ed ecco donde nasce principalmente quella adesione al bene creato, per la quale sebbene il peccator disonesto non è sempre il maggior di tutti secondo la sua specie; diventa il maggior di tutti nel suo individuo; tanto segue ad insegnare l’Angelico: si hoc peccatum secundum speciem non fit majus aliis: est majus in individuo quia fit cum adhæsione maxima. Ad Alessandro Magno furono donati alcuni cani sì bravi, i quali afferrata che avevano una volta la preda, non lasciavano mai più: e per farne la prova; ad un di essi, che aveva addentata una fiera, gli fu tagliata prima una zampa, e poi l’altra, indi le cosce, e poiché tuttavia teneva stretti i denti fu tagliato per il mezzo, e non bastando anche questo, gli fu reciso il collo; credereste, anche col collo reciso, e così morto seguiva a tener stretta la preda. Queste bestie così avide ed indivisibili da quelle fiere alle quali s’attaccano, sono il vero ritratto de’ disonesti, i quali quantunque si vedano della età già cadente fare in pezzi; benché provino la mancanza delle forze; pur seguono a tenersi co’ desideri quel diletto infelice che fugge loro dalle mani, finché tagliati per mezzo dalla morte, lasciano talora un buon legato all’amica; non volendo che neppure la sepoltura abbia tante ceneri da sorpassar l’ardor maledetto del loro amore. E questo operare, voi ardirete chiamare peccar per fragilità; ed il vivere in questa foggia farà commettere il minore de’ mali? Mi meraviglio di voi! Questo è un peccar da demonio vestito d’umane membra: questo è un non volere abbandonar il peccato, finché il peccato non abbandona: fornicati sunt et non cessaverunt. Dite pure, e direte con tutta verità, che il peccatore disonesto è per verità un gran peccatore, ed è pur vero che a tutte queste prove, vi son di quelli che tanto ardiscono dire: che cosa è un peccato di disonestà? Se così è, che posso io far di più: so io quello che farò, verrò a praticare stravaganze; e giacché i disonesti sono ottusi per le loro lascivie, né hanno mente per piegarsi alle ragioni, gli farò vedere con i propri occhi, e toccar con le proprie mani; quanto siano gran peccatori, con esser disonesti. Olà peccatori disonesti, fissate gli occhi in questo Cristo ed in vederlo così maltrattato, ravvisate la grandezza del vostro peccato: udite le parole dell’Eterno Padre, il Quale vi rende la ragione, perché Egli abbia posto su questa Croce il suo Figliuolo: propter scelus populi mei percussi eum, per la scelleraggine del mio popolo; qual è la scelleraggine popolare? Gli amori indegni, le sozze disonestà, le sue grandi lascivie. Eccolo, dunque, per questa scelleraggine popolare, lacero da capo a piedi. Eccolo confitto, e pendente in un legno, ricoperto di sangue, e di piaghe, trapassato da tante spine nel capo: eccolo agonizzante, privo d’ogni conforto. Questo è l’operato da te o disonesto, propter scelus populi mei percussi eum. Tu, dunque, con andare in quella casa, con mantenere quella pratica, col durare in quella occulta corrispondenza hai piagato, hai crocifisso il tuo Signore, il tuo Dio? Ed ardirai di chiamare fragilità un tale eccesso? Taci, e se vuoi apri bocca, aprirla solo per detestare le tue colpe, per domandare misericordia. Sebbene a che riscaldarmi? Merceché ai peccatori disonesti nulla premono i patimenti o la morte di Cristo. Non so pertanto chi mi tenga che io non venga qui a stravaganze. Una onorata fanciulla
vedendosi lungamente perseguitata da un giovine disonesto, tentò tutte le arti per rigettarlo: usò preghiere, adoprò ammonizioni; mischiò minacce; ma tutto invano, perché lo sfacciato giovine avendo un dì osservato esser sola rimasta in casa la donzella; ebbe ardire d’aprir la porta, salir le scale, giungere alla sala e finalmente arrivare alla camera della fanciulla, la quale in vedersi comparir davanti improvviso quel giovine indegno, s’impallidì, intimorì come alla vista d’un orribile serpente; e non sapendo in quello sbigottimento d’animo, in quella contusione di pensieri come difendersi, nel cercar che voleva scampo e nell’alzar che fece gli occhi per domandare aiuto dal Cielo, vide un gran Crocifisso, che ella teneva appeso nella sua stanza, e presolo, corse frettolosa alla porta della camera, e quivi attraversato alla soglia, lo collocò: indi con volto acceso, con guardo fosco, con voce più che femminile ripiena di tanto ardire gridò: vieni pure, vieni e sfogati, o scellerato; ma ecco d’onde ti convien passare: su questo Cristo. Se ti dà l’animo di prima conculcare le sue membra, io sto per dire, avrò pazienza, che poi profani le mie. Restò a tal atto quel giovine ed a quelle voci non so se più stupito per la novità, o se più confuso per la vergogna, cambiò il sembiante in mille colori, e prostrato a’ piedi di quel Cristo, parlò assai più con gli occhi che con la lingua; si disfece in pianto, si dolse dell’ardire; ne domandò il castigo; ne propose l’emendazione; ma se quel giovine miei UU. avesse operato tutto l’opposto, ed avesse posto il piede sulla faccia, sulle piaghe di quel Cristo, voi v’inorridireste al racconto; e se l’aveste potuto aver presente con le vostre, meritatamente l’avreste sbranato. Or sappiate che voi non potete entrare in quella casa; né potete penetrare in quella camera; non potete passare per quella strada, voi m’intendete; senza mettere i piedi sulle piaghe adorate di questo Cristo; se non visibile, almeno certo invisibile. Se così è, disonesti, saziatevi, conculcatelo, strapazzatelo: eccovelo sotto de’ piedi. O Dio! In che modo barbaro bisogna mai predicare! Andate pure, o disonesti, a sfogare i vostri capricci, che Gesù intanto si rimarrà a scontar con le sue pene i vostri delitti: voi andrete a posarvi su morbide piume, egli si rimarrà a spasimare sì duro patibolo: voi andrete ad inghirlandarvi di molli fiori; egli rimarrassi a languire fra spine acute: voi andrete a passar le ore in trastulli libidinosi, e Gesù rimarrà ad enumerarle fra mortali agonie. Voi finalmente a godere, e Cristo a patire. Possibile che ad ogn’altro si abbia da dare l’amore fuorché a Gesù? Qui non amat Dominum Jesum anathema sit; chi non ama Gesù gli sia strappato il cuore dal petto, sia scomunicato. Ma voi singolarmente vorrei l’amaste. Donzelle, voi che andate così perdute dietro a quei vostri innamorati: che pensate, che vogliono? Belle parole, belle promesse: ti piglierò; ti sposerò; ti renderò l’onor tuo, fin tanto che siano giunti a contaminare, a togliervi l’onestà; e dopo poi darvi de’ calci, voltarvi le spalle: non voler più saper nulla di voi. Eh via, siate voi le prime a sprezzarli, non li guardate più; mandateli alla malora. Ecco l’Amante vostro, eccolo, eccolo, donatevi a Lui; consacratevi à Lui! O che bell’Amante è Gesù. Questi errori malnati partano da voi, e tornino ad abitare negli abissi, donde sono usciti. Tra di noi chi ha da regnare? L’amor di Gesù, viva, viva Gesù, viva Gesù! Questo ricolmi i nostri cuori, e vi benedica.

LIMOSINA

Gli antichi Cristiani che ben conoscevano, la limosina esser il vero modo d’ottenere il perdono dei peccati, se non avevano con che far limosina, digiunavano e davano parte del loro cibo a’ poveri. Che dirò io di coloro i quali senza togliersi nulla di bocca hanno tanto che dare, son comodi, son ricchi, e pure non danno un soldo? E gli pare d’aver usato gran atto di carità se dicano al povero: Dio ve ne dia, andate in pace, perché molti li scacciano con le brutte.

SECONDA PARTE.

Voi avete inteso, miseri disonesti, siete gran peccatori, e quel che a me dà pena maggiore, è il vedere che quantunque siate in tante miserie, ad ogni modo non cercate rimedio al vostro male. Ditemi: quando mai si trova un disonesto che cerchi rimedio al suo male, che si raccomandi a Dio, che ricerchi l’aiuto di Maria; che a questo effetto digiuni, faccia limosina; in una parola, ponga qualche mezzo per sfangare dalle disonestà. Eripe me de luto. Sebbene, che dissi? Non pigliano rimedio al loro male? Dissi poco; farebbe meno male: il peggio è che non solo non li cercano, ma quando il confessore a guisa di medico dell’anime loro, gli prescrive il modo che devono tenere di loro vita per guarire; né  meno le ne prevalgono. Fate che un confessore imponga ad uno di questi languidi talora di trentotto anni, che per uscire dal letto delle loro invecchiate miserie, si comunichi per un anno, ogni mese ed ogni giorno per un anno ricorra con alcune poche orazioni alla Santissima Vergine, come rifugio de’ Peccatori. Voi vedrete, che in breve tempo, o se ne scorda; o si attedia; o lascia affatto la medicina preferitagli per guarire. E questi direte voi, che non peccano per somma malizia, mentre subito sposta, ed avvedutamente vogliono? Non occorre altro, il peccare disonesto è il peccare più malizioso di tutti; poiché non solo non cerca i rimedi, non li riceve, quando gli sono offerti; ma egli va sempre studiosamente cercando le occasioni, ed immergendosi in quelle nelle quali sono state maggiori le cadute… e poi direte, che peccano per fragilità! Che l’esser disonesto è il minor de mali? Chi così discorre, può dire d’aver totalmente perduto il senno. Se un nocchiero urta una volta in uno scoglio, e rompe la nave che guida, potrà per avventura darsene la colpa o alla fragilità del legno, o alla forza de’ venti o alla furia del mare: ma se ogni giorno rompesse una nuova barca, e se a bello studio andasse ad investire gli scogli, e se a questo fine spiegasse tutte le vele per andarvi con maggior impeto; chi potrebbe mai scusarlo con la debolezza del legno o con l’imperversare de’ venti? Così è de’ disonesti; vanno ad ogni veglia: si trattengono a guardare: stanno le femmine allo specchio, e poi dicono … fragilità ed arrivano a disprezzare questo peccato come peccato da nulla: rimediate al vostro male or che potete, e pius cum in profundum venerit contemnet ed intanto non si accorgono i meschini, che questo medesimo dipingere loro la disonestà per poco male è un’arte finissima del demonio affinché, non vedendo la rete, v’entrino allegramente, e dopo esservi entrati non ne escano mai più. Che si ha dunque da fare per liberarci da quelle disonestà, che ci costituiscono si gran peccatori? Raccomandarci a Dio, alla Vergine Santissima, ed a Lei a tale effetto ricorrere con qualche particolare devozione, portarsi da qualche buon confessore; scoprirgli tutte le nostre piaghe; pregarlo di rimedio sopra tutto fuggir balli, fuggir veglie, ritirarsi dagli amori, svilupparsi con ogni sforzo da tutti gli effetti peccaminosi, giacché si tratta di troppo, si tratta di perdere in eterno, per un diletto bestiale, quanto ci apparecchio’ Dio di bene in Paradiso, e di addossarci in eterno quanto Dio ci preparò di male nell’inferno. L’uomo disonesto non è, torno a dire, un peccatore ordinario, ma un peccatore grande; sì per la qualità de’ falli, sì per la moltitudine, sì per la malizia con cui il commette. Rimediate al vostro male or che potete, e Dio vi benedica.