LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (3)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (3)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

VII. ESEMPI

Cari giovani, giovani generosi e bennati, m’accorgo che cosiffatti esempi vi piacciono, vi consolano, vi esaltano l’anima. Toglietene un altro levato di peso dalle s. Scritture. – « Eleazaro adunque; uno dei primi dottori della legge, uomo d’età avanzata e di venerando aspetto, volean quelli (i pagani) costringere a mangiar della carne di porco, aprendogli a forza la bocca. Ma egli, preferendo una gloriosissima morte ad una vita da vigliacco, volontariamente s’incammina al supplizio. E mirando a quel che gli conveniva fare, serbando stabile la pazienza, determinò di non far cosa illecita per timor della vita. « Ma quelli ch’eran presenti (suoi amici e congiunti), tocchi d’iniqua compassione, e per l’amore che a lui porvano da lungo tempo, prendendolo a parte, lo pregavano a permettere che si portassero delle carni di quelle che potevansi mangiare per fingere d’aver mangiato, secondo l’ordine del re, delle carni del sacrificio, affinché per tal mezzo si liberasse dalla morte: e questa umanità usavano con lui per l’antico affetto che gli portavano. Ma egli investitosi d’altri sentimenti degni di sua età e vecchiezza, memore dell’antica sua nobiltà e dell’ottima maniera di vita osservata fin da fanciullo, secondo i dettami della legge santa di Dio; rispose pronto e disse che avrebbe preferito l’inferno. Perocché (diss’egli) non è cosa conveniente alla nostra età il fingere: e di ciò n’avverrebbe che molti giovani, immaginandosi che Eleazaro di novant’anni fosse passato alla vita dei gentili, eglino pure per la mia finzione, e per questo poco di vita corruttibile, cadrebbero in errore; ed io, alla mia vecchiezza procaccerei infamia ed esecrazione. –  Perocché, quand’anche potessi io adesso sottrarmi al supplizi degli uomini, non potrei però né vivo né morto fuggire di mano all’Onnipotente. – Per la qual cosa, fortemente morendo, darommi a conoscere degno della mia vecchiezza; e un grand esempio lascerò alla gioventù, sopportando con animo volenteroso e costante una morte onorata per le gravissime e santissime nostre leggi. – E detto questo veniva trascinato al supplizio…. E mentre martoriando il coprivano di piaghe, gettò un sospiro e disse: – Signore, Iddio santo, che tutto vedi e conosci, tu sai che io potevo liberarmi dalla morte, e vedi i dolori atroci ch’io sostengo nel mio corpo, ma secondo lo spirito volentieri patisco tali cose per rispetto di te. – E in tal modo finì di vivere, lasciando, non solo al giovani, ma anche a tutta la nazione, la memoria della sua morte per esempio di fortezza e di virtù. – D’esempi cosiffatti ce ne somministra non pochi la storia antica sacra e profana; ma per trovarli a migliaia bisogna volgersi a’primi secoli del Cristianesimo, i secoli dei martiri. Oh quelli là sì ch’erano uomini e Cristiani! E che esercito immenso!… figuratevi, che sì contano a milioni. E quel che più ci fa meravigliare, e dirò ancora meglio, vergognare della nostra piccolezza, gli è che  quei tempi là gli stessi fanciulli e le delicate fanciulle, ci appaiono giganti. – Togliete s. Agnese. Fanciulla di tredici anni, bella, ricca, nobile, vagheggiata, invidiata da tutta Roma … Quanti giovani patrizi sospiravano a guardarla! Quanti principi ambivano la sua mano! I parenti stessila sollecitavano alle nozze, le avevano preparato lo sposo; ma la fanciulla, occultamente cristiana, a Cristo aveva votato il suo fiore, e: – che nozze, che sposo mi dite? Ah io l’ho già lo sposo! Uno sposo che mi ha eternamente inanellata con la sua gemma, uno sposo che ha cinto il mio collo di celestiali margarite, uno sposo che col castissimo bacio fa rifiorire vie più candidi e belli nel cuor mio i gigli della mia verginità. – Scoperta cristiana e tratta ai tribunali, sprezza le lusinghe, sorride alle minacce; posta ai tormenti, mentre il gentile corpicello è lacerato dai pettini ferrati, fissa gli occhi lucenti al cielo e pur favella con lo sposo; trascinata al supplizio, vi si avvia con passo così franco, con fronte così serena, che se a vece di catene fosse cinta di rose, l’avreste tolta in cambio d’una sposa che s’avvia alle nozze sospirate. – Si giunse al luogo fatale: mezza Roma era corsa al pietoso spettacolo! Ecco il ceppo funereo, e presso ad esso ritto in piedi il carnefice, che appoggiato il, fianco sulla scure, aspetta la sua vittima. Agnese vi corre bramosa col sorriso sulle labbra, s’inginocchia, china il capo, incrocia le braccia sul petto, prega alquanto in silenzio. Indi levata la testa, e girato sul folto cerchio dei pagani uno sguardo raggiante, piega il biondo capo sul ceppo e sguardando al carnefice: — suvvia! percuoti; son pronta. — A questo punto un brivido corre per l’ossa ai riguardanti, un suon confuso di gemiti e di sospiri si diffonde all’intorno, e: — povera agnelletta! (s’ode sussurrar d’ogni parte) Salvatela! non merita la morte. – Il carnefice si turba, impallidisce, sente anch’egli qualche cosa nel cuore … Alza il braccio colla scure, ma a guardare quella bionda testina, quel volto di rosa, quella pace, quella calma diffusa sull’angelica sembiante, il braccio gli trema; il colpo non scende …Agnese, che cogli occhi socchiuse aspetta l’istante che deve congiungerla allo sposo, gli apre anco una volta, e guardando il carnefice: – che non percuoti ancora? … cadde la scure sul candido collo, e l’anima bella col volo della colomba levossi al cielo. O generosa verginella del Signore, deh! Un poco della tua fortezza spira in petto ai giovanetti cristiani! – Nobile generoso giovine era pure Sebastiano. Iscrittosi fin dai primi anni alla milizia, aveva dato prove di tal valore che Diocleziano il volle alla corte tribuno della prima coorte e l’ebbe carissimo più anni. Occultamente Cristiano, i Cristiani favoriva e soccorreva largamente d’oro, di opera e di consiglio; di che scoperto e denunziato all’imperatore, tentato invano or colle carezze, or colle minacce, fu condannato alla morte; esecutori della sentenza quegli stessi soldati che poc’anzi ubbidivano ai suoi cenni. Ed ecco il valoroso tribuno, uso altre volte a combattere come un leone contro i nemici della patria, mutato in mansuetissimo agnello, lasciarsi prendere e legare dai soldati. Lo traggono in un bosco, gli strappano l’armi onorate e le vesti, lo legano ad un tronco; indi ritrattisi addietro quanto è un trar di pietre, dar di piglio ai giavellotti, e fra il crosciar delle risa e degli scherni brutali frecciarlo a gara, qual fosse una belva. Volavano fischiando per aria gli strali, e penetrando nelle candide carni, le rigavano di sangue. Il martire cogli occhi al cielo pregava. E già il suo corpo era tutto irto di frecce, il sangue scorreva a rivi e faceva pozza ai suoi piedi; quando fu visto volgere gli occhi errabondi, e piegare il capo sulla spalla. – Morto, è morto! – gridano i soldati; raccolgono l’armi, dan di piglio alle vesti dell’ucciso, ne scuotono il denaro, sel dividono altercando fra loro, e in sul partire, volgendo anco uno sguardo alla vittima, or l’uno, or l’altro, gli mandano, beffando, il saluto: — Addio, bel tribuno. — Ormai potete essere contento de’ vostri soldati. — Sicuro! e v’han servito per bene. — Addio, dormite il buon sonno. — Questi pochi ce gli andremo a bere alla vostra salute. — Cala la notte e la luna levasi tacita a compier suo viaggio pei campi solitari del firmamento. Il corpo di Sebastiano è pur là candido e vermiglio che pende legato dal tronco, come un giglio cui l’uragano ha piegato sul fragile stelo. Ma sta: sentesi un fruscio tra le piante: chi viene? Una giovine donna in abito dimesso, neglette le chiome, cogli occhi pregni di lagrime, s’appressa al sacro corpo, si prostra, gli bacia i ginocchi, lo bagna di pianto. Indi levatasi, si ritrae alquanto. e volta a due servi che silenziosi l’han seguita sin là: — scioglietelo, dice loro. — Sciolto il corpo, e distesolo su un candido lenzuolo facean prova di svellerne gli strali dalle carni, quando sentono, o par loro, un sospiro: Ei vive ; vive ancora! — La donna di subito si china sul corpo, gli pone la mano sul cuore e: (ripete) vive ancora. Oh Dio, ti ringrazio! Il santo martire è portato a casa d’Irene, trattato dalla pia donna con infinite cure e rispettoso amore; tantoché a poco a poco sì rimargina ogni ferita e Sebastiano torna sano e vigoroso come prima. — Giovani miei, or che credete facesse Sebastiano di una vita così prodigiosamente recuperata. Non conoscete ancora il giovine valoroso. Ei presentasi all’imperatore mentre usciva di palazzo circondato dai suoi favoriti, scortato dalle sue guardie, e con fronte alta e ferma voce: – Mi conosci tu, o imperatore? … Diocleziano allibisce, trema, s’arresta, e con voce soffocata dallapaura: – Sebastiano!…. Chi ha richiamato in vita costui? … – Il mio Dio (risponde Sebastiano) il mio Dio mi ha salvato prodigiosamente la vita; e questo Dio onnipossente or mi manda a te ad intimarti: cessa dall’incrudelire più oltre nel sangue cristiano, se no, l’ira del cielo…. — L’ira del cielo sovra te, sciagurato! (gli tuona contro l’imperatore). Guardie, incatenatemi costui e flagellatelo a morte. Così fu fatto, e Sebastiano due volte martire lasciò in quel momentola vita. – O invitto eroe di Cristo, volgi uno sguardo dal cielo sulla care gioventù; e intenda una volta qual è valor d’uomo e virtù di cristiano.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (4)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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