DOMENICA II DOPO EPIFANIA 2023

DOMENICA II DOPO L’EPIFANIA (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio – Paramenti verdi.

Fedele alla promessa che aveva fatta ad Abramo ed ai suoi discendenti, Dio inviò il Figlio suo per salvare il suo popolo. E nella sua misericordia, Egli volle anche riscattare tutti i pagani. Gesù è il Re che tutta la terra deve adorare e celebrare come suo Redentore (Intr., Grad.). Morendo sulla croce Gesù è diventato il nostro Re, e col S. Sacrifizio – ricordo del Calvario – applica alle nostre anime i meriti della sua redenzione ed esercita quindi la sua regalità su di noi. Così col miracolo delle Nozze di Cana – simbolo dell’Eucaristia – Gesù manifesta per la prima volta in modo aperto ai suoi Apostoli la sua divinità, cioè il suo carattere divino e regale, ed è allora che « i suoi discepoli credono in Lui ». – La trasformazione dell’acqua in vino è il simbolo della transustanziazione, che S. Tommaso chiama il più grande di tutti i miracoli, e in virtù del quale il vino Eucaristico diviene il Sangue dell’Alleanza di Pace (Or.) che Dio ha stabilito con la sua Chiesa. E poiché il Re divino vuole sposare le nostre anime, è con l’Eucaristia che si celebra questo sposalizio mistico, poiché essa aumenta la fede e l’amore che ci fanno membri viventi di Gesù nostro Capo. (« L’unità del corpo mistico è prodotta dal vero corpo ricevuto sacramentalmente » – S. Tommaso). Le nozze di Cana raffigurano anche l’unione del Verbo con la Chiesa sua sposa. « Invitato alle nozze – dice S. Agostino – Gesù vi andò per confermare la castità coniugale e per mostrare che Egli è l’autore del Sacramento del Matrimonio e per rivelarci il significato simbolico di queste nozze, cioè l’unione del Cristo con la sua Chiesa. In tal modo anche quelle anime che hanno votato a Dio la loro verginità, non sono senza nozze, partecipando esse con tutta la Chiesa a quelle nozze in cui lo Sposo è Cristo ».

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXV: 4

Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Ps LXV: 1-2

Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.

[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: canta salmi al suo nome e gloria alla sua lode.]

Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui coeléstia simul et terréna moderáris: supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi; et pacem tuam nostris concéde tempóribus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che governi cielo e terra, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XII: 6-16

“Fratres: Habéntes donatiónes secúndum grátiam, quæ data est nobis, differéntes: sive prophétiam secúndum ratiónem fídei, sive ministérium in ministrándo, sive qui docet in doctrína, qui exhortátur in exhortándo, qui tríbuit in simplicitáte, qui præest in sollicitúdine, qui miserétur in hilaritáte. Diléctio sine simulatióne. Odiéntes malum, adhæréntes bono: Caritáte fraternitátis ínvicem diligéntes: Honóre ínvicem præveniéntes: Sollicitúdine non pigri: Spíritu fervéntes: Dómino serviéntes: Spe gaudéntes: In tribulatióne patiéntes: Oratióni instántes: Necessitátibus sanctórum communicántes: Hospitalitátem sectántes. Benedícite persequéntibus vos: benedícite, et nolíte maledícere. Gaudére cum gaudéntibus, flere cum fléntibus: Idípsum ínvicem sentiéntes: Non alta sapiéntes, sed humílibus consentiéntes.

[Fratelli, avendo noi dei doni differenti secondo la grazia che ci è stata donata, chi ha la profezia (l’eserciti) secondo la regola della fede; chi il ministero, amministri, chi l’insegnamento, insegni; chi ha l’esortazione, esorti; chi distribuisce (lo faccia) con semplicità; che fa opere di misericordia, con ilarità. La vostra carità non sia finta. Odiate il male; affezionatevi al bene. Amatevi scambievolmente con amore fraterno, prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore. Non pigri nello zelo, ferventi nello spirito, servite al Signore. Siate allegri per la speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera. Provvedete ai bisogni dei santi; praticate l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano: benedite e non vogliate maledire. Rallegratevi con chi gioisce; piangete con chi piange, avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro. Non aspirate alle cose alte, ma adattatevi alle umili.]

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA CARITÀ PIÙ DIFFICILE.

San Paolo in materia di carità è un Maestro straordinario; grande in tutto, è grandissimo in questo. Assurge al grido più sublime, discende alle considerazioni più pratiche e in questo terreno pratico che pare umile, spiega un’abilità, una finezza che lo mette in contrasto, vittorioso da parte sua, con le idee che hanno più facile e maggior voga nella società. Ecco qua un binomio nel quale si riassume l’esercizio pratico della carità: « gaudere curri gaudentibus, flere cura flentibus ». Dove il consiglio o precetto di piangere con chi piange appare a tutti un precetto caritatevolissimo. Non è egli giusto e bello compiangere chi soffre? aiutarlo, per stimolo di compassione sincera a non soffrire più? a superare il suo dolore? È così bella e caritatevole questa funzione del piangere coi dolenti che per molti la carità predicata da Cristo si riduce lì. La carità per lo meno più autentica, più meritevole è questa. Gli altri, quelli che non soffrono né punto né poco anzi godono, se la scialano, se la ridono, che bisogno hanno di carità? O come la possiamo esercitare verso di loro? Come possiamo essere con loro e verso di loro caritatevoli? Domanda che S. Paolo non ammette in quanto tendono a rimpicciolire l’esercizio della carità nel campo della miseria umana. La. carità spazia in termini più vasti. È possibile anche coi felici, solo che è più difficile. È molto difficile. Impietosirsi cogli infermi è più facile. Strano, ma vero. E neanche strano. Il nostro egoismo in fondo è carezzato, vellicato, soddisfatto quando vede soffrire gli altri, quando incontra il dolore. E assumiamo volentieri l’attitudine della pietà perché è un’attitudine universalmente apprezzata, facciamo il gesto del soccorso perché esso pare a tutti un bel gesto. Ci dà una doppia superiorità, la superiorità di chi non soffre e quella di chi benefica. Impalcatura psicologica che crolla quando il nostro prossimo è fortunato; quando invece di passare lagrimando dalla gioia al dolore, dalla ricchezza alla povertà, dalla salute alla malattia, passa allegramente, ridendo, cantando dal dolore alla gioia, e per esempio dalla povertà alla ricchezza. Quando una famiglia ricca per un rovescio diventa povera, quanti dicono, e abbastanza sinceramente: povera gente! e piangono e aiutano. Ma quando accade il rovescio, quando il povero diventa ricco sono molti che si rallegrano sinceramente? Attenti a questo sinceramente! Perché la commedia delle congratulazioni la recitano molti, troppi: ma è una commedia. Sotto sotto, dentro di sé, in realtà crepano d’invidia. Il buon Cristiano, il vero caritatevole si rivela in quel « gaudere cura gaudentibus » prima e più che nel « flere cura flentibus », nel partecipare alle altrui gioie prima e più che nel dividere gli altrui dolori.

Graduale

Ps CVI: 20-21

Misit Dóminus verbum suum, et sanávit eos: et erípuit eos de intéritu eórum.

[Il Signore mandò la sua parola e li risanò: li salvò dalla distruzione.]

V. Confiteántur Dómino misericórdiæ ejus: et mirabília ejus fíliis hóminum. 

[V. Diano lode al Signore le sue misericordie e le sue meraviglie in favore degli uomini. ]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps CXLVIII: 2

Laudáte Dóminum, omnes Angeli ejus: laudáte eum, omnes virtútes ejus. Allelúja.

[Lodate il Signore, voi tutti suoi Angeli: lodatelo, voi tutte milizie sue. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. [Joann II: 1-11]

In illo témpore: Núptiæ factæ sunt in Cana Galilaeæ: et erat Mater Jesu ibi. Vocátus est autem et Jesus, et discípuli ejus ad núptias. Et deficiénte vino, dicit Mater Jesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Jesus: Quid mihi et tibi est, mulier? nondum venit hora mea. Dicit Mater ejus minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant autem ibi lapídeæ hýdriæ sex pósitæ secúndum purificatiónem Judæórum, capiéntes síngulæ metrétas binas vel ternas. Dicit eis Jesus: Implete hýdrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Jesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut autem gustávit architriclínus aquam vinum fáctam, et non sciébat unde esset, minístri autem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est. Tu autem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Jesus in Cana Galilaeæ: et manifestávit glóriam suam, et credidérunt in eum discípuli ejus.

[In quel tempo: Vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e li vi era la Madre di Gesù. E alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù disse a Lui: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho a che fare con te, o donna? La mia ora non è ancora venuta. Disse sua Madre ai domestici: Fate tutto quello che vi dirà. Orbene, vi erano lì sei pile di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù disse loro: Empite d’acqua le pile. E le empirono fino all’orlo. Gesù disse: Adesso attingete e portate al maestro di tavola. E portarono. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapeva donde l’avessero attinta, ma i domestici lo sapevano; chiamato lo sposo gli disse: Tutti servono da principio il vino migliore, e danno il meno buono quando sono brilli, ma tu hai conservato il vino migliore fino ad ora. Così Gesù, in Cana di Galilea dette inizio ai miracoli, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL PRIMO MIRACOLO E I SUOI SIGNIFICATI

C’era uno sposalizio a Cana, paese lontano un tre ore di strada da Nazareth. Qualcuno degli sposi doveva essere parente della Santa Famiglia, perché la Madonna era stata invitata e si trovava là. Anche Gesù era stato invitato e vi giunse con un gruppo di discepoli. O perché non avevano fatto bene il calcolo, o per l’improvviso arrivo dei discepoli condotti da Gesù, sul più bello del banchetto, il vino venne a mancare. Maria fu la prima ad accorgersi dell’imbarazzo, e si chinò verso suo Figlio sussurrandogli: « Non c’è più vino ». Gesù le rispose: « E che c’entriamo noi? La mia ora non è questa ». Il cuore delle madri va più in là di quel che le parole dei figli suonano: e Maria, non persuasa d’aver ricevuto un rifiuto definitivo, osò dire ai servi: « State pronti al cenno ». E il cenno fu che riempissero d’acqua fino all’orlo le sei idrie di pietra che stavano lungo il muro fuor della sala, di cui ciascuna era capace di cento litri circa. Tutta quell’acqua fu vino. Il direttore di tavola, come ne assaggiò, fece una faccia piena di meraviglia, non sapendo spiegarsi di dove quel vino eccellente giungesse. Ma ben lo sapevano i servi. Questa trasformazione dell’acqua in vino è il primo miracolo di Gesù e i suoi discepoli lo videro e credettero in Lui. Quando l’acqua diviene vino sull’istante; senza preghiera, senza movimento di mani, senza emetter voce, senza fare un comando, ma soltanto per un atto interiore di volontà, bisogna pur confessare che si è alla presenza non di un uomo, ma di Dio stesso. Ma la trasformazione miracolosa avvenuta alle nozze di Cana è un segno preannunziatore di altre più alte e misteriose trasformazioni. Quel Gesù che trasmuta acqua in vino di nozze saprà trasmutare il contratto matrimoniale in Sacramento, gli uomini in figli di Dio. – 1. IL CONTRATTO MATRIMONIALE TRASMUTATO IN SACRAMENTO. S. Francesco di Sales aveva ospite in casa da alcuni giorni un suo amico. Ed ogni sera, fatto un poco di conversazione, lo accompagnava fino alla sua camera. L’altro protestava e non voleva che un Vescovo si disturbasse tanto per un laico. « Amico mio, non siete voi sposato? ». « Non ancora ». Allora avete ragione di protestare: vi tratterò con più confidenza e minori riguardi ». Per il santo dunque una persona sposata doveva essere circondata di una maggior venerazione. Perché? per la dignità del sacramento del matrimonio che conferisce agli sposi una grazia che li rende capaci d’amarsi soprannaturalmente, e di educare i figli per il Paradiso, e di sopportare con serenità i pesi del loro stato. – Appunto per santificare le nozze, Gesù volle trovarsi a quelle di Cana. Come ha preso la lavanda a simboleggiare e a conferire la grazia che lava dal peccato originale, nel Battesimo, così ha preso il mutuo e perpetuo impegno degli sposi a donarsi l’uno all’altra per simboleggiare la sua unione con la Chiesa e per conferire la grazia d’amarsi indissolubilmente come Egli e la Chiesa si amano. Perciò in Cristo e nella Chiesa il matrimonio è diventato un grande sacramento. Se è un Sacramento, ed un Sacramento dei vivi, bisogna prepararsi con retta intenzione; accostarsi con pura coscienza; perdurarvi secondo la legge di Dio. a) Prepararsi con retta intenzione: non per calcoli umani, né per stimoli unicamente passionali. « Stammi a sentire: — diceva l’Angelo Raffaele al giovane Tobia — io ti mostrerò chi sono quelli sui quali può prevalere il demonio. Quelli che vanno al matrimonio dimenticando Dio, solo per sfogare la propria libidine, come il cavallo ed il mulo che non hanno intelletto: su quelli il demonio ha potestà ». Ma Tobia pregava: « Signore, tu sai ch’io prendo moglie non per lussuria, ma per desiderio di figli nei quali il tuo Nome sia benedetto nei secoli dei secoli » (Tob., VI, 16 – 17; VIII, 9). – b) Perdurarvi secondo la legge di Dio: non significa appena la condanna di ogni infedeltà, ma anche la condanna di ogni uso del matrimonio che non rispetti il fine per cui il Signore l’ha istituito. – 2. L’UOMO TRASMUTATO IN FIGLIO DI DIO. Quel Gesù che alle nozze di Cana trasmutò l’acqua fredda e insapora in vino, forte e generoso, nelle mistiche nozze della Divinità con la umanità avvenute nella sua Incarnazione trasmutò noi da poveri decaduti figli di Adamo in figli di Dio. Come rami di un ulivo selvatico siamo stati staccati dal vecchio e maligno tronco, siamo stati innestati nel divino ulivo Gesù, ed ora assorbiamo la linfa della sua vita, e uniti a Lui possiamo produrre frutti degni della Santissima Trinità. Orbene, ogni innesto richiama una doppia ferita: una nel tronco che deve ricevere il ramo, l’altra nel ramo che deve essere tagliato via dal ceppo maligno. Cristo ricevette la sua ferita sul Calvario. Noi dobbiamo infliggercela di giorno in giorno per strapparci ai desideri e alle opere degli figli del secolo, per vivere soltanto nei desideri e nelle opere di figli di Dio. Liberato dalla schiavitù egiziana, attraversando il deserto verso la Terra Promessa, il popolo d’Israele arrivò alla frontiera del paese degli Edomiti, pagani e crudeli. Mosè inviò alcuni messaggeri al loro re, che dicessero così: « Ci sia concesso di passare attraverso il tuo territorio. Non devasteremo i tuoi campi, né assaggeremo l’uva dalle tue vigne, né berremo l’acqua dei tuoi pozzi: ma andremo per la via maestra, finché avremo oltrepassato i tuoi confini» (Num., XX, 14-17). – Liberati dalla schiavitù del demonio, fatti figli di Dio in viaggio nel deserto di questa vita verso il Paradiso promesso, dobbiamo anche noi attraversare un territorio pagano e pericoloso assai alle nostre anime. Nessuno si lasci incantare dai vigneti del mondo, pieni di lusinghe ma fatali; nessuno abbeveri la sua sete di felicità alle acque contaminate della lussuria e dell’orgoglio e dell’avarizia. Avanti per la strada maestra dei comandamenti, senza voltarsi a destra o a sinistra, diritto fino al regno eterno del Padre celeste dove ci è preparato un posto con eterno amore. – Ricordate la meravigliata espressione del direttore di tavola: « Tutti bevono prima il vino migliore e serbano per ultimo lo scadente… tu hai fatto il contrario ». Sono gli stolti seguaci del mondo che eleggono il vino buono e allegro per questa vita e nell’altra si riserbano lo scadente… Noi Cristiani, seguaci dello Sposo divino Gesù, in riconoscenza delle preziose trasmutazioni che per nostro amore ha operata, eleggiamo per questa vita il vino amaro della mortificazione, ed Egli nell’altra ci riserberà quello ottimo del gaudio eterno.LA MADONNA A NOZZE.Questo fu il primo miracolo di Gesù ed accadde alla presenza di Maria, per sua intercessione. A considerarlo attentamente, si rivela la bontà e la potenza di Maria.1. LA BONTÀ DI MARIA. a) La Madonna è la prima ad accorgersi del serio imbarazzo in cui si trovano sposi. Essi, forse, non lo sapevano ancora, e già il cuore della Madre divina è trepidante per loro: le pare già di assistere alla delusione, alla meraviglia e alle proteste dei convitati che si trovano senza vino nel momento in cui lo si desidera maggiormente; di assistere allo sgomento e alla vergogna degli sposi novelli che si vedono offuscata anche l’ora più gioiosa della vita. Ella si preoccupa e soffre come di una sventura sua, capitata nella propria casa. Noi, chiusi nel cerchio dei nostri interessi personali, noi egoisti e dimentichi di chi soffre nell’anima e nel corpo, come siamo indegni d’essere figli d’una Madre così buona! Sappiamo che ci sono nazioni intere a cui manca il vino della fede, e ci sono missionari estenuati e insufficienti perché senza mezzi; sappiamo che anche nelle mostre parrocchie il male e l’ignoranza trionfano perché i Sacerdoti non bastano, se non sono aiutati; eppure viviamo nella beata indifferenza, come se fossero bisogni le pene che non ci riguardano. Sappiamo che non lontano da noi c’è una famiglia in miseria, c’è un infermo, c’è una disgrazia; sappiamo che, mentre cade la neve e tira il vento freddo, c’è gente senza casa, o senza coperte, o senza fuoco, o senza scodella di minestra calda; noi bene pasciuti, ben riscaldati, allegri e sani, ci chiudiamo nella felicità di casa nostra. Non si arriva talvolta a provare un istintivo e malvagio senso di gioia per qualche infelicità toccata agli altri, quasi che l’umiliazione altrui aumenti la nostra gloria, quasi che il dolore altrui aumenti il nostro benessere? E, per contrario, non si arriva a provare un istintivo e malvagio senso di pena per la fortuna toccata ad altri? Perfino nella preghiera, portiamo il nostro egoismo, la grettezza del nostro cuore, e, pregando non ci ricordiamo che dei nostri dolori, dei nostri bisogni. La vera preghiera dei figli di Dio non è egoistica, ma s’impietosisce anche dei dolori e alle disgrazie altrui, allarga le braccia verso i peccatori, gli infedeli, le anime purganti, la gerarchia ecclesiastica, il Papa, la Chiesa universale, la gloria immensa di Dio. Non viviamo soli al mondo, Cristiani, ma siamo uniti tutti in una sola famiglia che è la Chiesa, siamo membri di un sol corpo che è il mistico Corpo di Cristo. Niente è più contrario alla religione dell’individualismo egoistico. Torniamo alla Madonna, e aggiungiamo un’altra riflessione sul suo buon cuore. b) La Madonna non sa criticare. Un’altra persona al suo posto, vedendo mancare il vino, avrebbe fatto due sorte di ragionamenti. Avrebbe detto: « Che gente irriflessiva, senza giudizio, senza avvedutezza! Ti fanno un banchetto, invitano gente, e non pensano a provvedere almeno l’indispensabile. Se adesso resteranno scornati, se lo sono meritato: un’altra volta ci penseranno meglio ». Oppure avrebbe detto: « Che spilorci! come si fanno compatire in una circostanza in cui anche i più miserabili sanno apparire signori! Pretendevano che si venisse a festeggiarli bevendo più acqua che vino ». Simili pensieri non attraversarono mai, neppure lontanamente, il cuore di Maria. Ella non sa criticare, sa provvedere e aiutare. Invece sono moltissimi che sanno inasprire le sofferenze altrui con i loro giudizi, le loro assennate disapprovazioni, i loro pareri per l’avvenire, ma non muovono un dito per correre efficacemente. Oh; sapessero almeno tacere! c) La Madonna non sa tardare. Un’altra persona al suo posto non si sarebbe mossa, dicendo fra sé e sé: « Aspettiamo che me lo dicano ». Invece la Madonna non sa aspettare: benché non informata, ella indovina la situazione; benché non pregata, soccorre liberamente. La bontà di Maria vede due cose nel nostro cuore. La prima è che spesso siamo così distratti, così pieni di sonno, che non ci accorgiamo neppure d’essere sull’orlo dell’abisso; come i due sposi non s’accorgevano che non c’era più vino. Siamo tutti come i bambini che si mettono nei pericoli senza saperlo. Ma una madre non aspetta che il suo fanciullo la chiami, ma ella accorre quando un veicolo, una bestia, o qualsiasi altro accidente minaccia la sua vita. Chissà quante volte la Madonna è accorsa a salvarci, ha interceduto e pianto per noi! Se avesse aspettato sempre che la pregassimo, a quest’ora forse saremmo già all’inferno. – Come sei buona, dolce madre Maria, non ho parole per ringraziarti! La Madonna sa un’altra cosa di noi. Ed è che ci brucia terribilmente aprire agli altri la nostra miseria, abbassarci a chiedere aiuto: si preferirebbe soffrire, anche morire. E Maria, la buona, la dolce Regina, c’insegna che la carità migliore si deve fare senza essere richiesti e senza umiliare, e, se fosse possibile senza farsi conoscere da nessuno, neppure dal beneficato. Nei « Promessi Sposi » gran libro di sapienza cristiana, c’è un buon sarto che doveva aver imparato dalla Madonna a far la carità. Era povero, ma sapeva di una persona più povera di lui, benché non gli avesse detto nulla. Un giorno di festa mise insieme in un piatto delle vivande che erano sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per quattro cocche, disse alla sua bimbetta maggiore: « Va’ qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po’ allegra co’ suoi bambini. Ma con buona maniera ve’: che non paia che tu le faccia l’elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere ». (cap. XXIV). – Osservate il delicato accorgimento di accettare qualcosa dai bambini. Cristiani, mandate spesso i vostri bambini a fare l’elemosina. Osservate ancora che saggi avvisi dà il sarto, soprattutto non dimenticate le parole: « … che non paia che tu le faccia l’elemosina ». Cristiani, dobbiamo essere riconoscenti ai poveri quando si degnano d’accettare il nostro superfluo, perché essi ci arricchiscono nel cuore di bene essenziali.2. LA POTENZA DI MARIA.La parte più interessante del miracolo di Cana è in quel sommesso dialogo di Maria con Gesù. C’è come un combattimento tra la misericordia e la giustizia, tra l’ansioso cuore d’una madre e la volontà imperscrutabile dell’Onnipotente, tra la Madonna e Dio. Il meraviglioso è che vince la Madonna. O Vergine potentissima, vinci, anche per noi, così! Dice Maria sottovoce: « Gesù, non hanno più vino ». Risponde Gesù: « Né io, né tu abbiamo colpa; noi non c’entriamo ». La Madonna non è contenta: il suo amore non si volge soltanto a quei casi dove in qualche modo è interessata; la sua carità non cerca mai il proprio tornaconto. Ripete Maria sottovoce: « Gesù, non hanno più vino ». Risponde Gesù: « Lascia andare! Non è questo il momento per farmi conoscere Figlio di Dio ». Solo una madre sa capire perfettamente le parole di un figlio; e la Madonna sentì che sotto a quel no, in fondo in fondo tremava un sì. Subito ne approfittò con un atto che diremmo audace, se non fosse della Vergine prudentissima. – Chiamò i servi e li mandò davanti al Figlio pronti a ricevere ordini. E Gesù disse loro: « Riempite d’acqua le sei pile ». Come ella udì, tremò tutta di gioia. Aveva vinto. Aveva ottenuto di far lieti due cuori. La Madonna è vittoriosa! E che vittoria! Ciascuna pila conteneva più di cento litri: bastava dunque che l’acqua d’una sola fosse tramutata in vino. Ma la Madonna non fa le grazie su misura, Ella abbonda e sovrabbonda, è magnificentissima. Le sei pile si trovarono tutte colme di gustoso e redolente vino. I due sposi ne ebbero per quel giorno e per un anno intero. Cristiani, nella nostra vita manca forse il vino del fervore, dell’amore di Dio. Purtroppo da tanti e tanti l’amor di Dio non si conosce neppure. Amore alla carne, amore ai danari, amore agli onori, amore a questo mondo bugiardo: ecco quel che hanno in cuore. Se ci troviamo in questo numero, preghiamo Maria perché per noi si rivolga a dire al suo Gesù: « Non hanno più vino ». Pregatela così, e sentirete un generoso vino, dolce e forte, riempire i vostri cuori, e vi troverete cangiati da quei di prima.Può darsi che qualcuno, pur convinto della bontà e della onnipotenza di Maria, non osi invocarla per sé, perché da moltissimo tempo in balìa del vento d’ogni più brutto piacere, più non l’ha pregata e forse l’ha oltraggiata. Ora è triste in fondo al cuore, vorrebbe ritornare, ma dispera. Per costui voglio ricordare una graziosa leggenda tessuta intorno a un convento di Vienna, detto il convento della Celeste Portinaia. Si racconta che, moltissimo tempo fa, la suora portinaia di quel convento, disamorata della vita claustrale, fu presa da una forte smania di ritornare al mondo e appressare le sue smunte labbra al vino della felicità mondana, Una notte, che tutte le suore dormivano nella pace purissima, ella non poteva dormire per la veemenza di quel desiderio. La sciagurata non era cattiva ma debole, e ad un certo momento non seppe più resistere. Si alzò, discese in portineria, aprì; poi prese la chiave e il suo velo di suora e li depose dietro la statua della Vergine Maria che stava vicino alla porta, con queste parole: « Regina del Cielo, ecco la chiave; fate di buona guardia al convento… » E, senza voltarsi, uscì. La notte oscura era senza stelle. Per sette anni visse nel mondo e bevve al suo calice lunghi sorsi, ma non erano di felicità. Il mondo è cattivo, bugiardo, ingannatore; non era vino quello che dava alla sua sete, ma liquidi melmosi e piccanti ed esasperanti. La delusione fu terribile. Dopo sett’anni quella povera suora senza velo, umiliata, distrutta, pentita, con la promessa d’una severa penitenza, colla volontà d’un totale rinnovamento, s’avvicinò al suo chiostro. Era ancora notte, ma una notte piena di stelle. Il cuore le batteva forte. Fece per bussare alla porta, ma era aperta: dietro la statua della Vergine c’era un velo e le chiavi. Il suo velo e le sue chiavi. Al giorno dopo riprese il suo ufficio di portinaia, senza che alcuno facesse meraviglie del suo ritorno o le dicesse alcunché. Nessuno si era accorto della sua lontananza perché la Vergine benedetta s’era messa ogni giorno il suo velo, aveva preso la sua sembianza, ed aveva fatto al suo posto la portinaia. Cristiani, se delusa dagli avvelenati piaceri del demonio e del mondo, un’anima vuol ritornare a bere il vino casto della pace e della gioia di Dio, per quanto male abbia commesso, non abbia disperazione o timore veruno. Troverà la porta aperta. Una dolce madre, da tanto tempo, gliela tiene aperta, aspettando, piangendo, pregando.LA SANTA MESSA. L’ora sua era un’altra: e venne nell’ultima cena quando non l’acqua in vino, ma il vino cambiò nel suo Sangue vero. E quel Sangue lo diede da bere alle anime nostre. Sciens Jesus quia venit hora in finem dilexit eos. E istituì la S. Messa. Un umile Sacerdote sale l’altare, offre a Dio una sottile ostia di pane sulla paterna, e il vino nel calice; pronunzia quelle medesime parole che disse Gesù Cristo nel cenacolo, ed ecco quel pane e quel vino diventano il vero corpo e il vero sangue del Figlio di Dio. O res mirabilis! Meraviglioso mistero: i nostri occhi, le nostre mani non s’accorgono di nulla, tutto rimane come prima per i sensi. Ma i cieli sono spalancati, Dio si è fatto presente, intorno prorompono i cori angelici nell’altissimo cantico: santo! santo! santo!Nel Vangelo si legge di un uomo che fu disavveduto. Possedeva un campo con un tesoro nascosto e non lo sapeva. Poteva farsi ricchissimo come un re, e invece si è lasciato comprare il terreno da un altro più furbo che scovò il tesoro e se lo fece suo. Anche nei nostri paesi, anche tra le nostre case, a pochi passi dal nostro uscio, c’è un tesoro che noi non sappiamo. C’è una favolosa ricchezza alla portata delle nostre mani e non l’afferriamo. Potremmo diventare ricchissimi, non di danari, ma di grazia e di meriti per il cielo; invece non ce ne curiamo. Io voglio mostrarvi oggi questo tesoro, perché tutti ne possiate approfittare: è la santa Messa. Nulla sopra la terra v’è di più sublime. Nulla sopra la terra v’è di più utile.1. NULLA DI PIÙ SUBLIME. L’Apocalisse (c. IV-V) descrive una gran visione. Nel cielo s’ergeva un trono altissimo, in giro stavano ventiquattro seniori vestiti di bianco e coronati d’oro. Ed ecco in mezzo al trono ed ai seniori venne un Agnello ritto in piedi, ma come ucciso. Tutti si prostrarono davanti a Lui ed avevano in mano cetre e le coppe d’oro piene di profumi e cantavano un cantico nuovo, dicendo: « Degno è l’Agnello di ricevere la gloria e la benedizione, perché è stato ucciso e col suo sangue ci ha redenti ». Quest’agnello che sta ritto come un leone e pure è ucciso, questo agnello che sta sul trono e ci redense col suo sangue, è figura di Gesù Cristo che sull’altare, nel Sacrificio della Messa, sta ritto come sacerdote offerente ed è ucciso come vittima offerta. – Nel giorno del S. Natale, nella Chiesa, si ricorda la nascita del Signore: ma non è vero che in quel giorno il Signore nasca nuovamente. Nel giorno di Pasqua e della Pentecoste si celebra la resurrezione di Cristo e la discesa dello Spirito Santo: ma non è vero che in quel giorno Gesù risorga nuovamente, e lo Spirito Santo nuovamente discenda. Invece nella S. Messa non v’è appena una rappresentazione, un ricordo della morte del Signore, ma è lo stesso sacrificio della croce che avvenne un giorno tra spasimi e sangue sul Calvario che ora qui si rinnova senza spasimo e senza sangue, ma in tutta la sua realtà. – Infatti, medesimo è il Sacerdote, medesima è la vittima, medesimo è il Dio a cui si offre. – Sulla croce fu Gesù Cristo che placò la maestà offesa del divin Padre, offrendogli la sua vita: la sua povera vita passata in miseria, in fatica, in dolore, morendo di sua propria volontà (perché se voleva poteva non morire) egli la pose nelle mani di Dio come prezzo del nostro riscatto. E poi, chinato il capo, spirò. Ebbene, il Sacerdote che celebra la S. Messa non è che un rappresentante del vero Sacerdote Gesù Cristo. È Cristo che celebra, è Cristo che, per nostra salute, transustanzia il pane e il vino nel suo sangue e nel suo corpo, è Cristo che si pone sull’altare, vero e vivo ma come ucciso, Vidi agnum stantem tanquam occisum. Ecco la sublimità della S. Messa. O res mirabilis! sole della Chiesa, cuore della fede, salute delle anime nostre! Se ascoltando la S. Messa, pensassimo sempre che ascendiamo il Calvario per assistere alla morte di Cristo, non ci verremmo con aria distratta ed annoiata e con abbigliamenti immodesti! La Maddalena sotto la croce non certo vestiva e trattava come quand’era creatura perduta del mondo. E pure non pochi Cristiani assistono al divin Sacrificio senza una preghiera, sbadigliando, o peggio, con chiacchiere, con risa, con sguardi sacrilegamente profanatori. Se chi contamina l’opera di Dio sarà maledetto (Geremia; XLVIII, 10); maledettissimo colui che ne contamina l’opera più sublime: la santa Messa.2. NULLA DI PIÙ UTILE. Povero figliuolo! d’inverno camminava, lacero e scalzo, per le vie di Ravenna con le mani arrossate dal freddo e screpolate dal gelo, abbandonato da tutti fuor che dalla fame; di primavera, appena la bella stagione col suo lume nuovo e con il suo alito tiepido svegliava le erbe nei campi e le gemme sugli alberi, gli mettevano in mano una verga lunga, e lo cacciavano tutto il santo giorno a pasturare i porci. Non così aveva sognato l’avvenire del piccolo Piero la mamma sua! Morendo, aveva affidato al fratello maggiore, e l’aveva scongiurato perché lo trattasse bene e lo crescesse buono. Invece il fratello maggiore non gli dava che tante botte e poco pane ed al piccolo Piero non restava al mondo che piangere e patir la fame. Un giorno in cui l’angoscia del suo stato lo tormentava più che mai, camminando per una via solitaria vide luccicare qualcosa. Si curvò: una moneta d’oro. Sobbalzò di gioia il cuore del fanciullo, ché gli pareva d’aver trovato un gran tesoro. Come spenderla? La sua miseria, i suoi patimenti, la sua fame quanti consigli non gli davano mai! Ma alla fine decise di donarla a un Sacerdote perché gli celebrasse la S. Messa. Fece così. Di lì a pochi giorni, provò quanto sia utile all’uomo il sacrificio dell’altare. Damiano, un altro suo fratello, venne a sapere, chi sa come, le pene del fratellino; lo prese con sé, lo fece studiare, e gli volle tutto il bene che dalla morte di mamma più nessuno gli aveva voluto. E il piccolo custode dei porci crebbe, e divenne celebre nel mondo per la sua scienza e per la sua santità. Fu segretario di papa Clemente II, e poi fu Cardinale. E noi lo veneriamo come Santo: S. Pier Damiano. Oh benedetta la Messa che tanto gli giovò! Benedetta la Messa perché nulla v’ha di più utile: sia per i vivi che per i morti. – a) Per i vivi: ci allontana i castighi di Dio. Molti si meravigliano come il Signore non sia più l’antico delle armate, che appariva tra i fulmini e le nubi, l’antico Dio che per un sol adulterio fece passare a fil di spada 25.000 persone della tribù di Beniamino, che fece morir di peste 70 mila uomini per la superbia di Davide, che atterrò 50.000 Betsamiti per un solo sguardo curioso. Se Dio non manda il diluvio di acqua o quello di fuoco non è già perché gli uomini siano migliori, ma perché sulla terra, in ogni parte, si celebra la S. Messa. Ecco il sole di S. Chiesa che dissipa le nubi temporalesche e riconduce il sereno, ecco l’arco di perdono e di pace che congiunge la terra col cielo. Dio non solo perdona, ma tutto concede quello che gli chiediamo per mezzo della S. Messa. Quando abbiamo da impetrare una grazia che ci preme, forse la propria vocazione, forse la conversione d’una persona cara, forse anche una grazia materiale, ascoltiamo la S. Messa: Dio che in essa ci dona perfino il suo Unigenito, quale altra grazia ci potrà rifiutare? – b) Per i morti: S. Gerolamo afferma che quando si celebra per un’anima purgante, quel fuoco voracissimo sospende il suo tormentoso vigore per tutto il tempo che la Messa dura. E la madre di S. Agostino, sul letto di morte, nel tremito della agonia, raccolse le forze per supplicare alcuni sacerdoti che, lei morta, la ricordassero al santo altare.Ci sono, nella vita, certi giorni d’oscura angoscia in cui l’anima è oppressa da un incubo immenso e la morte ci appare come una liberatrice. In tale stato, racconta una leggenda, si trovava un principe di Germania e il demonio lo stimolava a stringersi un laccio intorno al collo, a gettarsi da un ponte, a bere il veleno. Una volta che già stava per finirla con quella disperata vita, trovò una persona amica che gli disse: « Se vuoi la pace del tuo cuore, ascolta la S. Messa tutti i giorni ». Gradì il consiglio quel principe di Germania e così fece per molti mesi. Ma un giorno, non so per qual impedimento, indugiò tanto che venendo alla chiesa, prima di giungervi udì da un contadino che la Messa era già finita, e non ve n’erano altre. Allora, turbato, cominciò a piangere, pensando se quello non fosse l’ultimo della sua vita. Il contadino, stupito di quelle lacrime e di quei sospiri, gli disse: «Signore, non V’affliggete: se mi date il vostro mantello rosso io vi venderò la Messa che ho ascoltato ». « Ma non sai — rispose l’altro — che la Messa non si può vendere? ». « Che me ne importa! — soggiunse loscamente il contadino. — Pur che mi diate il vostro mantello rosso io ve la cedo ». « Prendete pure, — concluse il principe — per una Messa darei anche la casa e la vita ».E ognuno proseguì il suo cammino.Prima di sera, tristi cose si narravano in paese. Alcuni avevano visto nella faggeta un uomo appeso ad un albero per un mantello rosso; vestiva da contadino e la sua faccia era come la faccia di Giuda. Questo fatto di due cose ci rende istruiti: Se vogliamo essere felici anche in mezzo alle tribolazioni, ascoltiamo la Santa Messa tutti i giorni. Guai a quelli che vendono la S. Messa, ossia tralasciano d’ascoltarla, e forse in giorno di festa, per amor di denaro o di divertimento o di pigrizia.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps LXV: 1-2; 16

Jubiláte Deo, univérsa terra: psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: cantate un salmo al suo nome: venite, e ascoltate, voi tutti che temete Iddio, e vi racconterò quanto Egli ha fatto per l’anima mia. Allelúia.]

Secreta

Oblata, Dómine, múnera sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.

[Santifica, o Signore, i doni offerti, e mondaci dalle macchie dei nostri peccati.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann II: 7; 8; 9; 10-11

Dicit Dóminus: Implete hýdrias aqua et ferte architriclíno. Cum gustásset architriclínus aquam vinum factam, dicit sponso: Servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc signum fecit Jesus primum coram discípulis suis.

[Dice il Signore: Empite d’acqua le pile e portate al maestro di tavola. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino disse allo sposo: Hai conservato il vino migliore fino ad ora. Questo fu il primo miracolo che Gesù fece davanti ai suoi discepoli.]

Postcommunio

Oremus.

Augeátur in nobis, quǽsumus, Dómine, tuæ virtútis operatio: ut divínis vegetáti sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda, tuo múnere præparémur.

[Cresca in noi, o Signore, Te ne preghiamo, l’opera della tua potenza: affinché, nutriti dai divini sacramenti, possiamo divenire degni, per tua grazia, di raccoglierne i frutti promessi.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (235)

LO SCUDO DELLA FEDE (235)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

Art. IV.

L’EVANGELO.

Preparazione per leggerlo al popolo.

Ecco finalmente il tempo salutato per tanti secoli dai Profeti (Heb. I, 1), che il videro collo spirito del Signore; ecco l’ora che ha fatto giubilare col pensiero i santi Patriarchi (Jov. VIII, 56), in cui finalmente avrebbe parlato agli uomini Iddio di sua bocca. Ecco Gesù Cristo, che parla nel suo santo Vangelo; perocché quando i fedeli ascoltano la lettura del santo Vangelo, è il Verbo eterno che riflette sui cuori un raggio diretto della Divinità; è il Verbo eterno che si abbassa, e cerca in certo qual modo ancora incarnarsi nel cuor dell’uomo (Orig. Hom. 53 in Matt,), informando l’anima colla parola divina: « Beati quelli che sono di Dio, e perciò ascoltano la sua parola (Luc. XI.).» – Una volta una buona donna, che dovette essere una madre, bevendo le parole di vita, che fluivano dal labbro di Gesù Cristo, ne andò sì ripiena di consolazione, che si mise ad e clamare: Beate le viscere che ti hanno portato; beato il seno che ti ha allattato, o Gesù! » E Gesù Cristo, forse per farle meglio gustare la sua ventura: « che anzi, le disse, beato chi ascolta la parola di Dio, e la custodisce nel cuore. » Quasi volesse dire: la mia Madre sì veramente è beata; ma la ragione più bella di tenerla per tale, è perché ha ascoltata e custodita la mia parola (Beda, Homil. Lib. 4, c. 40, in Luc. II); e questa beatitudine, o buona donna, ecco, la puoi tu pure godere. Questa beatitudine nella Messa è assicurata a ciascun di noi se vogliamo ascoltare e conservare nel cuore la lettura del santo Vangelo. Prepariamoci intanto colla devota considerazione dei riti, che la accompagnano. In quest’istante la Chiesa si prepara per godere della sua ventura. Gli accoliti portano in mano i candelabri ardenti, e si presentano dall’uno all’altro lato dell’altare per accompagnare il santo verbo di Dio, che è 1’Evangelo. Il turiferario si affretta ad agitare il braciere infuocato; affinché consumi il prezioso profumo innanzi alla Divinità nel momento, che si degna parlare cogli uomini, per accendere in essi la carità. L’accolito presenta al Sacerdote l’ardente turibolo. Il diacono, che tiene in mano affidata la navicella, che porta dalle più lontane regioni il peregrino profumo, bacia la man del Sacerdote, e lo prega di benedirlo, affinché non sia indegno di Dio. Il Sacerdote versa l’incenso a consumarsi in forma di croce, affinché quell’offerta dell’incenso, che rappresenta la povera gratitudine nostra pel gran dono del santo Vangelo, possa venire accetta a Dio per la memoria di quella grande offerta, che gli ha fatto il Figliuol suo sopra la croce. – Il diacono va a prendere il libro del santo Evangelo, e lo pone in mezzo dell’altare come in trono, sopra le spoglie dei martiri, che versarono il sangue per sua difesa, e sotto la croce su cui sta come agnello svenato Gesù, che ruppe i suggelli, e diede da leggere scritto tutto col suo sangue il gran libro dei Misteri di Dio.

Il libro del Vangelo.

Due cose sono necessarie all’anima cristiana, cioè la luce della verità, e il pane della vita; e Gesù (Imit. Chr. lib. 4) gliele provvide e amministra dall’altare. Preparato il popolo dopo l’umile confessione colla remissione dei peccati, colle benedizioni e colle preghiere, e dispostolo nella lettura dell’epistola cogli ammonimenti, colle promesse, colle figure, e colle profezie a ricevere la pienezza della verità; ora il Figliuol di Dio stesso di sua bocca vuole ammaestrarlo, per dargli poi il pane della vita. Sull’altare è il libro dell’Evangelo: in esso non più figure enigmatiche, non più segni oscuri; ma è il gran profeta della Chiesa cristiana, è il gran dottore della giustizia, il legislatore del Nuovo Testamento; anzi, molto più che profeta, dottore e legislatore, è il Desiderato delle genti, è Gesù Cristo stesso, che dice le sue parole, come amico ad amici. Oh bontà del divino Gesù! sì veramente ci si donò tutto, interamente: mentre sotto i veli del Sacramento ci vuol donare se stesso prima colla sua viva parola spira in noi l’alito della carità, affinché possiamo vivere a Lui uniti. Gesù è il Verbo di Dio, è presente in ogni luogo, e nella sua eternità i tempi altro non sono che un tutto presente. Egli è dunque qui, e nel Vangelo vivifica la sua parola, che diventa parola viva sul labbro suo. Egli è proprio Lui, che qui ora vagisce bambino, fanciulletto vive soggetto a Maria e a Giuseppe nella casa di Nazaret: ci dice beati noi, che viviamo fra le tribolazioni con quell’amabile parola: ci comunica di sua mano: ci guarda in volto grondante di sangue in passione: ci tira sotto la croce con ansioso lamento; ci piove il sangue sulle persone; ci fa metter la mano nel suo Costato; non ci abbandona più; ci piglia in Cuore, per portarci in paradiso. Ci pare adunque vedere Gesù nel Vangelo. – A differenza di ogni altra parola consegnata nei libri, che è cosa morta, e quasi scheletro di pensieri e materiale segno di alcune idee, qui la parola del Vangelo è quella medesima, che, spirando da Dio per mezzo del consostanziale suo Verbo, diede l’essere ed il movimento a tutte le cose, e che poi uscita di bocca al Verbo stesso umanato a foggia di Spirito animatore, ebbe corsa e rinnovata la faccia della terra. Qui questa parola nel libro del santo Evangelo, e dallo Spirito di Dio vivificata, è come un raggio di vera luce vivida ed immortale; ella è il verbo del Verbo divino; e, non sapendo dir meglio, diremo, che ella è come una emanazione continua, che esce dal seno della Divinità ovunque presente! La Chiesa in fatti le adopera un culto particolare, anzi le presta adorazione come a cosa divina; perciò il Sacerdote, che sempre nel pregare, pronunciando il santo Nome di Dio, si volge, e s’inchina alla croce, se gli avviene di nominarlo nel leggere il Vangelo, s’inchina al libro stesso, come a Gesù Cristo in persona, adorandolo nella sua parola. – La Chiesa poi confida così nella virtù di quella parola, che l’usa come una potenza a fugare il demonio. Quindi nel dare benedizioni e nell’assistere ai moribondi, fa che si legga porzione del santo Evangelo; perché allo scintillare di quella luce divina fuggano le potenze delle tenebre, come da fulmine che le percuota. Per questa ragione alcuni degli antichi fedeli si portavano con tenera venerazione il santo Vangelo sempre sul seno; altri ne appendevano al collo alcuni versetti; altri non contenti d’averlo avuto indivisibil compagno nel pellegrinaggio della vita, morivano stringendoselo al cuore, volevano che si ponesse sul petto seco nel sepolcro, testimonio delle fede, argomento della speranza d’aver a risorgere, e mallevadore della vita eterna. Così sul petto dell’Apostolo S. Barnaba si trovò nel  sepolcro scritto di propria mano l’Evangelo di S. Matteo. – Furono poi nelle chiese con ogni più fina cura dai fedeli guardati i sacri codici evangelici, e si conservarono in ceste d’oro tempestate di gemme (S. Greg. Turon., De glor. confess. Cap. 63); e nei tesori delle cristiane antichità li troviamo coperti d’oro e d’argento, ricchi d’ogni più prezioso ornamento e del più squisito lavoro. Come osserva s. Clemente Alessandrino, Gesù nel Vangelo non solo ci comunica la sua dottrina; ma ci si rimette sotto gli occhi quasi presente nei misteri, e in tutte le azioni della sua vita; e così continuerà quasi presente a parlare di sua bocca ai fedeli Egli stesso fino alla consumazione dei secoli. Quindi negli antichi concili, come in quello di Efeso ed in tutti i concili ecumenici (Baronius. Annal. Eccles., 325, n. 40), si collocò il libro dell’Evangelo in maestoso trono, perché fosse testimonio parlante delle verità, che con lui concordi lo Spirito Santo avrebbe coll’ispirazione dichiarato pel ministero dei Padri. Ancora al tempo presente. quando Si vuole attestare la verità con un solenne giuramento, si mette dinanzi il Vangelo, s’accendono i lumi, simbolo della fede, con cui si adora il Verbo del Dio vivente in esso, e mentre stende la mano, chi intende giurare, con quell’atto solenne fa appello alla veracità di Dio, che si adora presente chiamandolo testimonio e giudice del vero, che si protesta di dire. – Gioverà qui ricordare un bel fatto. A Cesarea di Palestina viveva s. Marino, uno dei primi ufficiali della corte del governatore; e gli toccava per ragion di grado di essere fatto centurione. Un cotale suo competitore, per escluderlo da questa carica va, e denunzia lui essere Cristiano, e perciò per legge escluso, perché non sacrificava agli imperadori. Aceo governatore il dimanda se fosse vero; e Marino a lui francamente: « Sono e mi glorio d’essere Cristiano. » Il governatore gli dà tre giorni di tempo. Era in sull’uscire dal Pretorio, e gli si fa incontro Teoteno Vescovo, che lo prende per mano, lo mena innanzi all’altare, e, sollevatagli la clamide, gli scopre la spada al fianco; e, facendogli posar una mano sull’elsa e l’altra sul libro del santo Evangelo, « Marino! gli dice quel santo Vescovo, eleggi o questa, o questo: o la spada, o l’Evangelo. » Marino, senza esitare, prende il Vangelo, se lo pone sul petto, e, « questo dice, sì, questo eleggo. » E il Vescovo: « ben sia teco, ché hai scelto il tuo migliore. Statti fermo con Dio, e va in pace. » Esciva di chiesa, e andava a versare il sangue in supplizio a difesa dell’Evangelo, che aveva scelto per sua porzione. – In tante persecuzioni i martoriati fedeli, nella consolazione di possederlo, dimenticavano il furore delle tempeste, e con esso rifugiati negli antri, gli cantavano allegre lodi d’intorno, e si lasciavano tagliuzzare le membra, ed abbruciar vivi, piuttosto che consegnare una copia di questo libro, che ci tramandarono in eredità col loro sangue (Cantù, vol. 5, Persecuzioni, Storia Univers.). Qui ci pare di vedere gli antichi fossori raccogliere le salme dei fedeli squartati, comporle nei sepolcri, e quasi a consolare quei cadaveri mutilati orribilmente, porger sul petto una particella del divin libro e dire: « riposate, povere membra, riposate per poco qui nel tempo: risorgerete presto alla vita eterna, che v’è promessa: e questo libro nel dì della manifestazione presenterete come titolo della vostra fede e dell’eredità del paradiso. »

I.

Il canto del Vangelo.

Perché, come osserva s. Tommaso nell’Evangelo s’istruisce il popolo perfettamente, la Chiesa lo fa leggere dal diacono ministro maggiore: e mentre il suddiacono sta già pronto appiè della predella per accompagnarlo alla tribuna, quegli prostrato  sui gradini dell’altare, è tutto in preparare l’anima sua. Colle mani giunte sul petto, cogli occhi fissi alla terra, tremante pel grande incarico a cui sobbarcare si debbe, quest’uomo ripieno dello spirito di Dio non sa fare altro, che dire gemendo: « mondate il cuor mio ed il mio labbro, o Dio onnipotente; voi, che al profeta Isaia avete le labbra purificate coll’acceso carbon dell’altare. Deh! colla vostra gratuita misericordia degnatevi di mondare questo uomo peccatore, e farvelo degno di servirvi d’organo a parlare al popolo vostro la vostra parola. Fatelo per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore. » Sorge! va diritto in mezzo all’altare, s’inchina in atto di chiedere in grazia, gli sia concesso di prendere il Vangelo. Con quel pegno divino fra le mani cade in ginocchio a piedi del Sacerdote, « O padre, esclamando, o Signore, comandatemi voi affinché da un vostro cenno io prenda ardimento alla grande azione, confortato dalla vostra benedizione. » Il Sacerdote benedice con queste parole: « Dio ti possieda il cuore; Dio ti muova le labbra, affinché colla tua bocca santificata annunci con dignità, come si conviene, la sua parola. Va nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. » – Il diacono bacia la mano ripiena dei balsami del Signore, venerando nel Sacerdote l’autorità che Dio gli ha comunicata; s’inginocchia col suddiacono sotto la croce adorando Gesù; indi, preceduto dagli accoliti cogli accesi doppieri e col sacro fuoco ardente, accompagnato dal suddiacono, portasi alla tribuna, dove depone con gran religione il santo libro, e lo apre: passando esso profondamente tutti s’inchinano innanzi al Verbo di Dio (Mansi, De vero Eccl.). Alla vista di quel libro divino aperto sopra quel trono, pare ai fedeli di vedere sopra il ricco origliere trapuntato d’oro e adorno di fiori, che mai non appassiscono, riposare l’Agnello divino, ritornato a vita immortale dall’altare, su cui fu svenato. Vedon in fatti in quel libro il titolo originale della riconciliazione, la tavola del gran patto stretto tra il cielo e la terra, il pegno dell’eredità del paradiso, promesso ai figliuoli adottati nel Sangue del loro primogenito Figliuolo di Dio; insomma il libro della vita aperto per tutti. Gli splendono i lumi d’intorno, e anticamente nelle chiese d’oriente s’accendevano tutti i lumi per esprimere la letizia e la vigilanza delle anime e lo splendor di verità, che dall’Evangelo si diffonde per tutto l’orbe. – Ciò si fa ancora da noi nella festa della purificazione di Maria, forse per esprimere la luce divina, che Gesù ha portato in terra, e la fiamma della carità, di che fa ardere i cuori, e per festeggiare il Bambino Gesù, che appare nel tempio fra le braccia della Madre Santissima; come pure nella domenica delle Palme si prendono in mano le palme quasi per festeggiare in trionfo Gesù, che viene a parlarci. – Il popolo sorge in piedi come un sol uomo. Anticamente i re deponevano la lor corona, che avevano ricevuta sul capo consacrato per grazia di Dio; (ma allora potevano stare tranquilli che la mano sacrilega dei popoli in rivolta non l’avrebbe mai tocca): i guerrieri sguainavano la spada e l’appuntavano a terra, per mostrarsi assoldati all’Evangelo, e pronti sotto la croce a combattere per la patria e la famiglia, per ogni bene di Dio: monarca, milizia, e popolo sotto il vessillo di Gesù, alla lettura del Vangelo stavano in atto di chi aspetta i comandi di Colui, che li conduce alla conquista del regno de’ cieli. Il diacono grida loro: « Fratelli, il Signore sia con voi: » « e collo spirito tuo » rispondono tutti. « Eccovi ciò che vi dice Gesù nel Vangelo. » Tace un momento, si affretta d’abbruciare l’incenso, in atto di adorare Dio nella sua parola. Momento solenne! Terra, terra, ascolta Iddio medesimo! Figliuoli degli uomini, questa è la parola creatrice, che vi ritorna all’immortalità, per cui ella vi aveva creato! Beato chi l’ascolta, e la custodisce! – Qui è da notare, come il Sacerdote sta sull’altare a piè della croce. Rappresentante di Gesù Cristo, da quell’altezza, quasi dall’alto della casa del Padrone Evangelico, si vede spiegato dinanzi nell’universo il gran campo da farvi la raccolta, e vi spedisce l’operaio. Questo atto del celebrante, che manda il suo ministro a pubblicare l’Evangelo, significa, che dal divin Padre ricevette Gesù ogni potestà sulla terra, e da Gesù Cristo il sacerdozio ha il diritto ed il dovere di conquistare in essa tutte le nazioni alla verità (Natt, XXVIII, 18). Ma sì però che nessuno dei ministri abbia d’arrogarsi questo onore di predicare in nome di Dio, se non è, come l’antico Aronne (Heb. C. 5, v. 4), chiamato da Dio e delegato da chi è posto da lui a reggere la sua Chiesa, coll’ordine della Gerarchia.

La Gerarchia.

Essendo la verità il primo bene degli uomini, ed ogni bene venendo di cielo dal Padre dei lumi, che è Dio; Egli il tesoro delle sue verità affidava alla Chiesa, cioè alla congregazione da lui ordinata degli uomini chiamati a salute, e consegnata come gregge d’agnelli da pascolare e reggere a Pietro ed ai suoi successori (Jo.  XXI, 16). Questa società di fedeli con Dio, non può essere se non che una; perché uno è Dio, ed una sola è la verità, e deve essere universale, cioè cattolica, e nella sua unità abbracciar l’universo, ed illuminare, come il sole, tutta la terra. Gesù Cristo per fondarla sicura in unità, la costituiva sopra una pietra destinata a metter in pezzi coloro, che vi cadranno sopra, e quelli altresì sopra di cui ella cadesse (Matth. XXV, 44); e dava cominciamento al mistero dell’unità della Chiesa collo scegliere dodici fra i suoi discepoli. Ecco la prima separazione, questa degli Apostoli dal resto dei fedeli; ma volendo consumare il mistero dell’unità, fra dodici ne scelse uno; e per porre l’immancabile pietra, sopra la quale meditava di sollevare tutto il suo edificio, scelse Simone, a cui diede il nome di Pietro col dirgli: « Tu sei Pietro, e sopra di questa pietra edificherò la mia Chiesa. » Col mezzo di lui fondò la Chiesa, soggiungendo: « Le porte d’inferno non prevarranno contro di essa, » Poi disse: « Ti darò le chiavi del regno de’ cieli; e qualunque cosa avrai legato sopra la terra, sarà legata ne’ cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche ne’ cieli. » Con questa parola qualunque ha messo sotto il potere di Pietro il mondo universale; e questo potere dato a lui solo, sopra tutti senza eccezione, porta seco la pienezza, non avendo a dividersi con alcuna altra potenza. Sin qui s. Cipriano, che saldava la sua fede con morir martire per essa l’anno 258. Quindi con tutti ì dottori conchiude Bossuet (Expos. de la Doct. Cathol. Art. 22), ecco che il sommo Pontefice è il centro necessario, è il vincolo immortale dell’unità del corpo di Chiesa santa. Dov’è adunque Pietro ed il Pontefice suo successore, là è la Chiesa (S. Ambr.): e solo in esso i Vescovi trovano l’unità dell’episcopato indivisibile (Bossuet l. c.). – Ed ecco, prosegue Bossuet, il mistero dell’unità cattolica, ed il principio immortale della bellezza della Chiesa. Essa è una nel suo tutto, ed una in ciascun membro; perché v’ha un legame divino, che unisce tutte le parti, che formano il tutto. Non basta che essa sia unita al di dentro dallo Spirito Santo; ma ha altresì un vincolo comune dell’esterna sua comunione, e dee rimaner unita con un governo, in cui l’autorità di Gesù sia rappresentata. Affinché nel governo istituito da Gesù Cristo l’autorità di Gesù fosse rappresentata, bisognava stabilirvi un capo, costituito da Gesù Cristo per condur tutto il gregge nelle sue vie (Bussuet, l. c.). Perché poi il Vangelo doveva propagarsi per tutto il mondo; e gli Apostoli dovevano istituire Vescovi e ministri inferiori in tutti i paesi, in cui avessero portata la luce; bisognava (dicono qui con s. Cipriano nella loro esposizione tutti i Vescovi di Francia dell’Assemblea del 1791), per mantenere nell’unità di una medesima fede e di uno stesso governo tutte le chiese particolari disperse sulla superficie della terra e tutto il popolo immenso delle nazioni, bisognava una potenza superiore, a cui tutte le chiese fossero subordinate, e che potesse reprimere le discordie, che fossero nate in mezzo ad essi. –  Questa potenza, questo capo di tutto il gran corpo è Pietro, l’abbandonar il quale è fonte di scismi e di tutti gli errori di quelli che dicendosi Cristiani, camminano nelle tenebre della notte. Così nell’esposizione suddetta contessano tutti i Vescovi di Francia. – Stabilito il vincolo dell’unità, fondò il ministero dell’Apostolato; cioè ordinò gli uomini destinati ad estendere la Chiesa in tutte le parti del mondo; ed ebbe così Gesù Cristo stabilita nella Chiesa la gerarchia, cioè un’adunanza di uomini subordinata ad un Capo per operare ad un medesimo fine; la quale colla diversità dei gradi e dei misteri forma l’episcopato, poi il clero cattolico. In esso è un Capo, che è il Sommo Pontefice, che con un cenno muove questo gran corpo diffuso per tutto il mondo, e lo  fa agire in ordine al disegno ricevuto da Dio. in esso pure sono i Vescovi, come capitani, che tengono l’ordine, eseguiscono i cenni, e dirigono le mosse, operano entro il cerchio, loro assegnato. Monarchia per l’unità del Papa; aristocrazia per l’unità dei Vescovi; democrazia, perché tratto dal popolo, l’Apostolato cattolico si confonde col popolo in cui trasfonde la sua forza vitale. Questo corpo abbraccia la terra, e mira a conquistar l’universo alla verità del Vangelo. Questi apostoli o missionari hanno già una storia di meravigliose vittorie in loro favore. Senza armi conquistarono i popoli conquistatori; e, quando i barbari invadono i regni, essi li adocchiano come loro facile preda, solita a conquistarli alla civiltà. Combattuti, trionfano morendo; e la loro vittoria è condurre gli uomini a salvarsi in Dio. Son la vera crociata di Dio che il Papa capitana da Roma. Intanto ecco un vero miracolo, il miracolo d’ogni di nella Chiesa Cattolica. – Questo povero vecchio, inerme, sempre guerreggiato, e sempre invincibile, sono ormai quasi duemila anni, che manda i suoi discepoli ad insegnare a tutto l’universo le verità necessarie per far migliori gli uomini. È tutto dire: quest’uomo solo ha fatto più per insegnare la verità, che non tutte le potenze antiche, e tutti i dotti di ogni tempo. Di fatto l’India, la China, l’Egitto, la Grecia, Roma; ecco ciò che ha di grande l’antichità. E che fecero mai tutte queste potenze per istruire e far migliore l’umanità? L’India se seppe alcun vero, lo tenne nascosto per la casta privilegiata; e tutto adoperò a tenere come maledette e schiave nell’ignoranza le caste dipendenti. La China fece delitto dell’uscire ad insegnare il vero agli altri, e decretò pena la testa a chi volesse a lei venire ad insegnarlo. L’Egitto del vero fece un mistero, che tenne celato nei geroglifici, e per giugner a scoprirvi qualche cosa, eh! bisogna ben esser cima di dotto. La Grecia con tutte le sue grazie, collo splendor delle sue parole, con quella potenza di genio, che pareva ispirasse il pensiero fino ai sassi, tradusse in mille forme brillanti il bello, che lusinga i sensi e pascola l’immaginazione; ma insegnò ella un nulla del vero, di che abbisognano gli uomini per divenire migliori? Roma pagana corse il mondo, ma per incatenare i popoli; e, portando seco gli errori di tutti, lasciò tutti schiavi nella più abbietta ignoranza. – Bisogna nondimeno essere sinceri, e confessare la difficoltà. Gli uomini ben sovente non vogliono il vero; e guai a chi a loro dispetto un vero che dispiaccia, voglia insenare! Allora conviene essere disposti a morire per istruirli. Ora conviene egli morire per istruire gli uomini, e farli migliori? Che cosa risponderebbero i dotti a questo quesito? Le scuole antiche avevano già data una risposta simile a quella, che danno i moderni umanitari. I dotti sono sempre usati a raccogliersi nelle loro accademie, meglio ancora sotto l’ombra del trono di un principe palpeggiato e adulato; e, gravemente sdraiati sui loro stalli, sanno leggere le loro dicerie sapute. Così se l’intendono fra loro, e tronfi del loro sapere, sprezzano un volgo ignorante; se pur, politici sino alla perfidia, come il nemico di ogni bene, non tentano i popoli a mangiar il frutto d’una scienza avvelenata, per trasfondere in essi le loro idee, dominare le masse, e strascinarle nel vortice delle rivoluzioni al loro disegno di perdizione. Del resto, i dotti di tutti i tempi, che si vantano maestri dell’umanità, ed anche, a quel che pare, ì giornalisti, che si vendono per tali al popoletto, non si sentirono mai grande vocazione al martirio; e per quanto noi sappiamo, non è mai che se n’ncontri qualcheduno incapricciato d’insegnare a fare il bene a chi vuol dare in cambio la morte. Essi credono essere meglio conservarsi al bene della patria, e lasciar andare a cimentarsi cogli antropofagi, chi? I missionari, cui il sommo Pontefice coi Vescovi di tutto l’orbe, consacrandoli  nell’ordinazione, dà in mano il Vangelo, ed, accennando alla croce, dice con Gesù: « or via andate, insegnate a tutte le creature; » e così gli spedisce colla missione.

La Missione ed i Gesuiti.

Sono mille ottocento e più anni, che per eseguire questo comando, gli apostoli non aspettano che gli uomini vengano a chiedere; ma si gettano per tutte le contrade, attraversano i mari, si arrampicano sulle più dirupate montagne, si inselvano nelle foreste in cerca degli uomini dovunque, d’ogni colore, d’ogni clima per avviarli al Padre loro in Cielo. Corrono essi per ogni verso la terra, assalgono gli uomini, che da sé li ributtano, si attaccano a loro; predicano opportunamente; s’affannano,, gridano tanto e fanno tanto, che impongono a credenza, e mettono dentro, per dir così, a questi per forza la dottrina, che gli ha da salvare. – Ma quali fanno guadagni questi franchi predicatori del vero? Non sapremmo, sé forse questi a certa morte devoti avessero già il bel piacere di essere attaccati al patibolo, come S. Pietro e Perboyfre, o d’essere ammozzati del capo, come san Paolo e il Padre Bernard, o d’essere scorticati vivi, come s. Bartolomeo e Coinay. Sarà forse stato loro gusto particolare il goder dentro in quei raffinati martori d’indescrivibili morti. Certo con quel loro programma, vogliam dire l’Evangelo, da far adottare in pratica, dovettero e dovranno scontrarsi nel mondo con fieri nemici ed accaniti. Eh! ci voleva bel coraggio per venire a Roma, quando gl’imperatori Romani si facevano adorare per déi, ed intimare predicando al Giove del Campidoglio: « uomo di fango, umiliati al Crocifisso, che ti prepara l’inferno, se non diventi di cuore come l’ultimo dei tuoi schiavi. » Gli offesi imperatori, che non si piccavano d’umiltà, gridavano subito: « tagliate la testa a questi nemici, rei della nostra maestà divina. » Venire a dire in mezzo al popolo d’allora: « uomini, rispettate le donne, che sono le sorelle della Madre di Dio; e Dio stringe indissolubile in cielo il matrimonio, che a loro vi lega. » Quegli sguinzagliati, che mutavan le mogli col mutarsi dei consoli, (che alla più lunga a quei dì duravano un anno), gridavano subito: « alle tigri, ai leoni questi perturbatori del popolo romano. » Venire a quei tempi in nome di Dio e dell’umanità oltraggiata ad intimare ai prepotenti padroni, che tenevano due terzi degli uomini in conto di cose da scapricciarsene a volontà: « gli schiavi che tenete in catene, son vostri fratelli; rispettateli, ché son membra del corpo del Figliuol di Dio. » Quei feroci, che trucidavan nel lago Fucino diciannovemila servi per giuoco in una festa data all’imperatore Claudio, e che degli uomini facevan carne da ingrassare le anguille nei serbatoi, gridavano subito furiosamente: « La croce, la croce a questi congiuratori »contro lo stato romano. » Sì, la verità tira addosso l’odio, lo disse il filosofo, lo ripete il volgo, ed il Sacerdote lo prova sempre: perché la verità assale i pregiudizi, combatte le passioni, e ferisce l’egoismo; e pregiudizi, passioni ed egoismo sono gli elementi, che del potente fanno il tiranno. Quindi imperatori, legisti, filosofi, tutti si collegarono per soffocare nel sangue questi predicatori di un vero tanto abborrito. La Palestina, la Grecia, le Gallie, la Spagna, l’Africa, l’Asia e l’Europa tutta sono bagnate dal sangue dei martiri. Roma, basta nominarla, era il macello dei martiri (macellum martyrum). Si scoprono mondi novelli, le due Americhe e 1’Oceania; ed i Sacerdoti sono già là col predicare il vero e farsi ammazzare. La  enumerazione è inutile qui; perché l’odio della verità non è negli uomini un eccesso di furore, che passa; ma è una malattia cronica, che dura da Adamo a noi. Odiare il vero, calunniarlo e tratto tratto rispondere col pugnale alle ragioni, che non si possono altrimenti combattere, è la solita impresa che ha un’antichissima storia, e sempre nuova. Gli annali del mondo sono sempre lì a dire, che da s. Pietro a questo di i Sacerdoti ebbero sempre a combattere; sempre combattuti e sempre freschi, strascinati sul patibolo, muoiono col sorriso del trionfatore sul labbro, guardando sotto il patibolo una turba di prodi, che corrono a raccogliere l’eredità di sangue, successori all’impresa. Ricorderemo gli ultimi tempi, in cui Voltaire: « mi arrabbio, diceva, di sentire sempre a dire, che dodici uomini hanno potuto fare il mondo cristiano; io ho voglia di mostrare, che basta un solo a distruggere il Cristianesimo; » e poi invece stringeva in lega tutti i filosofi e letterati, molti potenti, ministri, e fino alcun re. Allora impaziente vantava già il trionfo, gridando: « Morte ai preti, schiacciamo l’infame (Gesù Cristo !): da qui a cinquanta anni Dio avrà fatta la bancarotta. » E i preti?…. Sentasi ciò che scrive Violet (Barruel), commissario presidente dei carnefici, nell’occasione che vedeva tagliare la testa, e scannare alla rinfusa in una volta 197 preti: « Io mi smarrisco, io strabilio; io non intendo più nulla: i vostri preti vanno alla morte dei carnefici colla medesima gioia come si cercava di salvarne, buttandone dietro ad un uscio .quanti poteva. Bene! I preti nella morte per la verità van proprio a nozze, vanno di fatto a sposare l’anima coll’Eterno Verbo, in seno al Padre in Paradiso. – Questo è il miracolo d’ogni dì nella Chiesa cattolica. In questo istante l’aere è negro; la bufera romba; guizzano or qua or là certi lampi, che la fan vedere spaventosa sul capo: fischiano certe urla che dicono: « Preti, il dì della vendetta è vicino… a momenti!… e il vostro sangue!… » E i preti? I preti sempre al posto. Anzi provocano, per dire così, i nemici; e pare che dicano: « all’erta. all’erta, voi, che ci minacciate la morte dai vostri club: sorprendeteci in chiesa, e ci troverete al posto, a che fare? a predicarvi di salvare l’anima vostra. » I politici adoratori dello stato gridano ai preti: « usurpatori! che volete mettere la mano fino sopra la corona dei re, e disporre delle leggi del matrimonio; » e i preti al loro posto predicano alto: « frenate la carne, e poi andremo d’accordo. » Or ora dappertutto dai nemici si chiamavano i preti avari, sozzi e trafficanti; e i preti da per tutto al loro posto a guadagnarsi, se vien bene, la peste per convertir quelli almeno alla morte. Si, proprio oggi (anno 1854) ì predicatori della cattolica Chiesa, minacciati in Inghilterra, affamati in Irlanda, perseguitati nella Nuova Granata, scannati nella Cina, nel Tonchino, nella Polinesia, questa fazion clericale, così temuta, così calunniata, che fanno? Là ed in certi altri paesi d’Europa… che macchinano?… a che si preparano? Macchinano di salvar tutti, e colgono il momento dell’invasione del colera-morbus per correre al letto dei moribondi ad eseguire il disegno;… e si preparano al martirio!… Anzi il martirio, che taglia la gola, è la breve cosa; ma durarla in mezzo agli insulti e alle calunnie dei vili, alle minacce dei truci, in mezzo alle persecuzioni ipocrite alla sordina; quando col dare un passo indietro, come fa per lo più il ministro protestante, col dire sempre ai dominanti: « va bene, » si potrebbe inebriare ai vapori della popolarità; ed invece trangugiare il calice delle amarezze ogni dì: sia lode a Dio, questa è politica inusitata, questa è virtù che viene dal cielo! « Sì eh! dirà taluno; ma se venisse la persecuzione davvero… allora? » Allora, noi rispondiamo, i predicatori dell’Evangelo, come hanno sempre fatto, esclamerebbero ancora: « Emmanuele! Dio è con noi! » E gli aiuterebbe Iddio. Ecco un bel fatto. – Era appena scoperta l’America, e alcuni missionari colle navi formate di scorza d’alberi si cimentarono sopra il gran fiume, il Rio della Plata, e remigando contro acqua adagino penetrarono in mezzo alle negre selve del Paraguay. I selvaggi, color di rame, stupiti al comparir di quei bianchi in veste nera, s’arrampicavano su per gli alberi, o guatavanli tra le fronde paurose. Quegli europei sapienti incantatori suonavano il flauto, cantavano e facevano graziose moine, per attirare i selvaggi appresso; e intanto vogavano innanzi. Ma i selvaggi nel vederli avanzarsi correvano, come orsi, a rinselvarsi tra le macchie più folte, e nei più oscuri buscioni. Così non veniva loro mai fatto di averne pur uno per convertirli. Eppure prendon terra alla fine. Ora che sarà mai di loro? Essì attraversano foreste e paludi nell’acqua fino alla cintura, s’arrampicano a rocce scoscese, corrono presso ai selvaggi negli sconosciuti deserti, costretti a mangiarsi fino le vesti per non morir di fame: penetrano nei precipizi, frugano per gli antri, dove trovavano spesso serpenti invece di uomini, di cui vanno in cerca, e lì restano divorati dai selvaggi… Ed ecco una delle molte avventure. Un bel di trovano sopra una rupe tutto crivellato di frecce un cadavere, già mezzo dilaniato dagli avvoltoi. Lo riconoscono; era del compagno padre Lisardi gesuita… « Oh sciagura, sciagura! avrebbe esclamato più d’uno di noi.. Che fare adunque in mezzo a queste belve umane, le mille miglia lontani dagli Europei? Chi vuol fermarsi ancora per far Cristiani questi feroci? » In simil frangente il padre compagno col suo breviario sotto del braccio, col Crocifisso fuor della cinta sul cuore, corre sulla rupe vicina, e canta: « Te Deum laudamus etc. »Vi lodiamo o Signore, confessando la vostra bontà! L’America si farà cristiana, perché è bagnata del sangue dei Martiri missionari. » Dunque, se venisse la persecuzione, i Sacerdoti vincerebbero morendo, perché viene da Gesù la virtù della missione. – Per mostrare tradotto in atto nella più splendida maniera il disegno della missione, vorremmo poter esporre qui in compendio la storia di un solo Istituto cattolico, quello della Società di Gesù. « Che cosa è il sacramento dell’Ordine? È il sacramento incaricato di operare e continuare sino alla fine dei tempi il prodigio dei prodigi. Così nella preziosa operetta: La sveglia del popolo (Lez. X). E gli annali delle missioni dell’universo sono lì, per attestare splendidamente questa verità. Ma qui senza nulla sminuire dei meriti luminosi di tutti gli altri apostoli innumerevoli degli Ordini secolari e regolari del clero cattolico; poiché contro quello dei Gesuiti fervono tutt’ora, come quasi sempre, più acre le ire maligne dell’empietà, fermiamo per poco appunto sopra le loro missioni, siccome le più combattute, il nostro sguardo; e si parrà più manifesta la prova, che veramente divina è la virtù che vigoreggia nell’apostolato di quegli uomini, che si assumono la generosa missione di far conoscere il Nome di Dio nella redenzione dell’umanità. Sono più di tre secoli che alla guida del guerriero sant’Ignazio da Loyola questa eletta di prodi sì stringe sotto il vessillo, che ha per impresa — ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO — e per conseguirla si dà in mano al gran Vicario del suo regno in terra. –  Nel lungo tirocinio passando gli ascritti per le molteplici ingegnose prove degli Esercizi di quella Perfezione, che traduce nel Cristiano l’immagine della perfezione celeste, come assunsero il nome, tendono a vivere della vita di Gesù, non avendo altro che un solo volere, fare la volontà del Padre celeste in quella del Superiore. Questi in ogni maniera di disciplina, per tutti i gradi di scuola, come il sacerdotal ministero, forma di essi in segreto ed educatore dei pargoli del Signore, ed il maestro potente in sana dottrina, e l’accademico colto; e il Sacerdote della carità, come il martire delle missioni straniere, gli uomini insomma del più deciso eroismo, strumenti della grazia ad operare i prodigi dell’apostolato. Eccoli nell’esercizio delle svariate loro missioni; collocati nei collegi e nelle scuole, in mezzo ai bimbi sono i padri della tenerezza, gli amici più confidenti dell’altera gioventù, che si tempera al vigor di loro pietà. Diffusi nelle campagne consolano i popoli coll’unzione di lor santità; dappertutto, dove è ignoranza da istruire, e vizio da correggere, virtù da sostenere, e povertà da pascere, dove sono perseguitati da proteggere; e patimenti da dividere, là il gesuita ha la sua porzione. Nelle missioni straniere lo trovi antiquario illuminato, dotto filologo in Oriente, accurato naturalista in cento luoghi delle Americhe, difensore temuto dell’umanità dei poveri schiavi in mezzo alle colonie di quei tiranni europei, che mercanteggiano la carne umana. Di essi introdotti nella Cina, chi si dà maestro dell’imperatore celeste, e in mezzo alla sua corte gira tra le mani i pianeti, accenna le costellazioni, per far dire dalla grandezza del firmamento una parola di gloria al Creatore; chi svolge o disegna carte geografiche, per coglier occasione di parlar del regno di Cristo in terra; chi dà lezioni di geometria, o d’architettura per intromettervi un’osservazione sulla morale cattolica. Perseguitati si ritirano, per ritornare sotto forme novelle; or son merciaioli, che colle loro ceste girano per tutti i viottoli, e trovano da battezzare a migliaia i bambini gettati pascolo gi cani; ora sono medici solleciti al letto dei morenti, per aprir loro, almeno all’uscir dalla terra, le porte del paradiso; penetrano da per tutto; par che si ridano del mandarino, che spia, come del doganiere europeo; che sta a guardia, perché non entrino nei regni. Mirabilmente vari come la carità, che gli inspira, sono invitti e potenti piucché la morte, perché nel morire trovano il loro trionfo; e pure spenti pare che godano il privilegio della risurrezione. Colla irrevocabile decisione del martire in animo, corrono per mille vie al loro scopo. E il loro scopo? Solo si lasci un campo nelle foreste, colla mirabile loro repubblica del Paraguay ne danno prova, è fare il Cristianesimo felice. – Ma il nemico degli uomini, che s’arrabbia d’ogni ben di Dio, come già dalle latebre della terra trasse fuori invasato il serpente, spinge contr’essi da tenebrosi antri arrovellate le segrete società, che dovunque gli assalgono alla vita. Se gli scacciano dai paesi d’Europa, scuotono la polvere della civiltà, che si corrompe avvelenata da quelle, e vanno a crear popoli novelli in mezzo alle orde dei selvaggi antropofagi. Per richiamarli a più miti costumi, facendosi artigiani, coltivatori, tutto a tutti si dedican sconosciuti a benefici ignorati, si consumano della vita in sacrifici inauditi di carità, secondo i nomadi, ridotti nelle loro emigrazioni a mangiarsi fino le vesti; nel pericolo di momento in momento di essere abbruciati vivi trovano in compenso degli indescrivibili stenti nel guadagnar un’anima a Dio, e tengono le persecuzioni in conto di premio. –  Oh! poteva il cielo a questi, che pigliarono a seguire Gesù colla croce così generosi, negar di compiere con Gesù il sacrificio? Ecco che accorda le palme tanto da loro desiderate, e nell’intrepidità dei suoi apostoli si manifesta la gloria di Gesù Cristo. Il padre Daniele corre in mezzo ai suoi neofiti, e li battezza mentre cadono trucidati dai loro assalitori, coperto di frecce come s. Andrea in patibolo predica, minaccia ai barbari la collera di Dio (Charleroix, Hist le la nouv. France, tom. I). Il padre Garnier colpito da due palle sorge di terra, per dare l’assoluzione ad un neofito, che gli spira non lungi, e ricade percosso di scure (ivi). Brèbveuf predica colle labbra tagliate a quelli, che con torchi accesi gli abbruciano tutte le parti del corpo, mentre altri gli divorano le proprie carni sugli occhi; e al giovane padre Lallemant alquanto atterrito dal fuoco, che già l’abbruciava , sorride dai mutilati suoi labbri, per incoraggiarlo dal martirio a volare in cielo. Il padre Bobola spira alla fine tra i barbari, furiosi per non sapere come più spietatamente tormentarlo dopo tali crudeltà, che per ribrezzo rifugge l’animo di ricordare, quasi tardasse a morire in quegli indescrivibili martiri per provare tutta la potenza della grazia nell’apostolo di Gesù Cristo. – Noi non andiamo più in là. Questi sono una vera recluta di venduti alla morte per la crociata di Dio, guardie avanzate, sempre in mezzo al minaccianti pericoli in tutti gli attacchi contro alla Chiesa cattolica. Le prime lance sì rompono in loro; hanno già dato settemila martiri al paradiso; possono essere (dicono taluni) politici, ma la loro politica è diversa da quella del mondo.

Virtù della Missione.

Ma d’onde viene tanta virtù nei missionari dell’Evangelo? Dall’altare noi rispondiamo, dall’altare! Dove i giovani preti vanno a sposare la loro casta colla Persona di Gesù Cristo. La santa Messa è un atto di solenne testamento, saldato coll’effusione del Sangue di Gesù, che a loro lega l’eredità dei suoi patimenti. Che fecero e che fanno madunque gli apostoli di tutti i tempi? Alla mattina posando il capo sul petto a Gesù, mettono la bocca al suo Costato; e ne attingono col suo Sangue quel coraggio, quella fortezza sacerdotale, eredità di eroi. Discendono colla croce in mano, colla fiducia del trionfator sulla fronte, e colla irrevocabile decisione del martire in cuore; invincibili, come chi non teme la morte, gridano agli uomini col fervore della carità: « vogliamo salvarvi! di noi scapricciatevi fino al delirio, imprigionateci; calunniateci; fate di noi come d’agnel da macello: noi neppur zittiremo; ma voi intanto pensate, che mai vi giovano tutte le cose, se voi perdete l’anima per tutta l’eternità? » – Il seme è gettato, la verità ha la forza di attecchire, e dal cielo vien l’incremento. Come l’acqua che cade dal cielo, e per mille canali scorre ad irrigare la terra con un’immensa rete di fiumi, di torrenti, ruscelli e gorelli, e porta d’alto in basso la vita; e l’arida terra ride del più bel verde, e s’abbella di fiori, e lussureggia di porporine e dolcissime frutta, di biade dorate, così per tutto il mondo si diffonde la dottrina del santo Vangelo a ristorare l’umanità riarsa, e consunta dai vizi. L’impero romano n’è subito invaso; Cesare, Pompeo e Crasso, che tanto s’avventurarono colle trionfatrici legioni, sono lasciati indietro da questi avventurieri di nuovo genere, la cui parola si burla dei doganieri della verità. Una mano di ferro al collo del missionario tenta di strascinare oggi in carcere la verità, e la verità corre per le piazze a scorno del carceriere. Ella è luce, calorico, magnetismo, un po’ di tutto, come il fluido elettrico, che si diffonde colla rapidità del baleno e dà scossa a tutto. – Sull’altare adunque mangia il Pane dei forti quest’invincibile generazione d’eroi, i quali, ricevendo il Corpo di Gesù, e bevendo il suo Sangue, diventano inebbriati di carità. La gente, che non intende il mistero, quando li vede affannarsi, venire noiosi a disturbare chi gode i piaceri, e tanto fare e gridare, al tutto di sé spensierati, va dicendo talvolta: « Eh! sono fanatici, o pazzi questi frenetici? » Ed hanno in qualche modo ragione. L’amore è una vera pazzia; ma pazzia sublime, che ispira il coraggio al sacrificio di tutto se stesso. Hanno sì, hanno dentro di sé un fuoco, che li abbrucia, e offusca la mente, e fa loro vedere dappertutto Gesù: vedono Gesù nei poveri più disgraziati e più abietti, e si affrettano a raccoglierli nelle case di carità e li trattano con religioso rispetto; vedono Gesù negli infermi derelitti, e creano gli ospedali, innalzandoli a modo di templi, e collocato sull’altare in mezzo il Crocifisso, in quello adorano il Capo, e tengono in conto di membra gl’infermi stesi sui letti d’intorno; vedon Gesù negli schiavi cui tutte le umane leggi davan diritto di trattare come bestie, e per liberarli da quella legale catena s. Paolino di Nola si vende, S. Pietro Nolasco, San Raimondo di Pennafort, san Felice di Valois, San Pietro Pascal e S. Giovanni di Matha si obbligavano con tutti i loro seguaci a darsi in pegno e restare per essi in catene; vedono Gesù anche nei bambini buttati pascolo ai cani, e corrono a raccoglierli, e li consegnano in braccio alle madri di Carità, perché n’abbiano cura, come del Bambino di Maria Santissima; vedono Gesù negli appestati, e non sapendo staccarsi da quelli, cadono morti sopra i loro cadaveri, e ne portano l’anime abbracciate in paradiso. Insomma credono di vedere Gesù negli afflitti d’ogni maniera, e a tutte le miserie e a tutti i dolori umani consacrano con riti di religione ordini di persone, che servono devote al loro Dio incorporato cogli infelici. E perché non basta l’uomo a tutte le tenerezze della carità, chiamano in aiuto le spose di Gesù Cristo. Oh! al veder timide verginelle in mezzo all’oceano ridere delle tempeste, cui affrontano intrepide per seguire i missionari fino tra i patiboli, come Maria tenne appresso a Gesù fino sotto alla croce; o quando sì scorgono nel manicomi e nelle prigioni, o quando nelle infermerie al letto di chi agonizza msenza una sposa, senza una figlia, senza un parente che s’interessi per loro, sì fanno vedere le notti come apparizioni celesti, tu le diresti angeli, cui Dio impresti un corpo, per portare le consolazioni di madre a quei sofferenti. Che voglion dunque cotesti, che si piglian tanta faccenda? Qual è lo scopo di questa loro missione così svariata ed immensa? Che vogliono? Vogliono chiamare a Gesù, unire a Gesù, consolare in Gesù i loro prossimi sull’altare in terra, per portarli come membra del suo Corpo con Gesù in paradiso. Ecco perché non curati, sprezzati e ributtati corrono appresso ai mondani fratelli, con loro frammischiati in tutte le condizioni della vita. Hanno questa speranza, che gl’incoraggisce fino alla morte. Al tutto, al tutto per loro non vi è condizione, né stato di uomo perduto così, che non sperino di farne ancora un figliuolo da serbare a Dio; e fino quando la terribil giustizia umana col suo braccio di ferro strascina sul patibolo il malvagio, che ella dispera di fare migliore; mentre la fiera vibra il giusto, ma terribile colpo, gridando « muori, o uom di delitto, indegno di vivere in terra; » ancora là corre il Sacerdote, ed abbracciandolo gli grida: « Figliuol del pentimento e del perdono, pel sangue di Gosù Cristo vola in paradiso. » – Ah! s’egli è ver che siamo circondati da tante miserie in vita, s’egli è ver che moriamo, e alla morte ci troviamo sopra l’abisso dell’eternità; è pure Vero, che abbiamo bisogno di un uomo di grazia, qual è il Sacerdote di Gesù Cristo, che ci aiuti con carità! Ma l’uomo della Carità invano si cerca nelle storie di tutte le opere, tra i prodigi di invenzione dell’ingegno umano. Ben, a dir vero, la filosofia, senza il merito di aver mai asciugato una lagrima ad un infelice, avrebbe detto di possederlo quando i filosofi del secolo passato nel Direttorio di Parigi decretavano (Cesari, Fiori di storia ecclesiastica, Ragionamento: S. Vincenzo de’ Paoli.): « una statua all’uomo della carità, a Vincenzo de’ Paoli filosofo. » Che?… Vincenzo de’ Paoli fra quegli alteri sapienti?… Quel rozzo prete? Con quell’ariona di bonomia? Raffazzonato alla grossa? Con quei bimbi raccolti dal fango, involti nella nera sottana, come nel grembiule di una mamma? Il buon uomo Vincenzo farebbe troppo cattiva figura in mezzo a quei filosofi in largo paludamento, dal truce sguardo di tigri, sitibondi di sangue; che ha da fare con quei filosofi quel prete, che non se ne intende? Quegli avevano la lor parola d’ordine: « Schiacciamo l’infame; » e volevano dire Gesù Cristo! Questi predicava ogni dì: « niente altro fuorché Gesù Salvatore del mondo! » Perché quest’uomo della carità era un missionario dell’Evangelio.