LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (2)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

IV.

VILE LORENZO.

Giovani miei, l’avete le ali?… Che ridete? non dico mica le ali degli uccelli !… Dico l’ali del pensiero, della fantasia. Oh l’avete di certo: e che voli!.. Or bene, io non vi domando che un volo di pochi anni per veder giovinotto e studente di legge quel Renzino, che ha incominciato da ragazzo col vergognarsi di sua madre. – Entriamo in quella trattoria. Vedete quella sala, quella tavola, quei piatti che fumano? Son capponi, costolette, bei pezzi d’arrosto… Sentite che odore! e’ portano via il naso, e’ par vi dicano: Mangia! E vedete quella fila di giovinotti che lietamente vociando siedono a tavola, come trinciano e diluviano a due palmenti!… Ma sta: oggi è venerdì, e la santa Chiesa…. Questo pensiero s’affaccia penoso alla mente d’ uno che sta là su quell’angolo… lo vedete? Con quei baffetti biondi, con quegli occhi celesti?… gli è desso Renzino; ché ora tutti chiamano Lorenzo. Oh il bel giovine che s’è fatto. Alto, spigliato, grazioso… Or bene, è la prima volta, vedete, che Lorenzo si trova a una tavola come quella; invitato dai camerata non seppe dir di no, e ora, mentre siede e guarda gli sovvengono certi ricordi della mamma, che gli fan mirare quelle carni con ribrezzo: sbircia sottecchi i compagni, cerca collo sguardo l’insalata, il burro … tende la mano … Ma ecco il vicino frugarlo col gomito, presentargli un bel pollo or ora tranciato; infilzarne una coscia col forchettone,  mettergliela sul: piatto. E come Lorenzo fa atto di schernirsi: – Eh via! Ancor questi scrupoli, Lorenzo mio bello? Mangia, mamgia che non ti farà groppo alla gola … E Lorenzo vien rosso: – Oh, non ho scrupoli io! E abbassa il capo e chiude gli occhi, e addenta le male carni, e le manda giù con angoscia. Non ne gusta neanche il sapore, poveretto! ben sente una voce dentro, che si leva dal fondo del cuore e gli dice: vile! –  Mi contava mia nonna, buon’anima, d’un bell’umor di Cristiano, che trovandosi un giorno nel caso del nostro Lorenzo, seduto in venerdì a una tavola dove andavano in giro vivande d’ogni ragione, tirava giù imperterrito e franco d’ogni piatto che passava, una buona porzione, e s’era magro, mangiava allegramente, se grasso, zittiva al cane, pigliava il piatto, gliel metteva in terra, e: — Mangia, barbone; che buon pro ti faccia! — E come i commensali si mostravano di ciò meravigliati: — Signori, di che si meravigliano? Il mio cane non è mica obbligato al magro: proprio come loro! — Un saputello volle replicare non so che; ma ebbe in risposta un altro frizzo, e si finì con una generale risata. Un’altra volta, berteggiato per la stessa ragione, la prese per un altro verso.— Ditemi, amici: come si chiama chi manca di riguardo a una signora? — Malcreato, villano! — risposero a coro i commensali. — Bene (ripigliò colui) io ci ho una brava signora, vedete, che se mangio di questa roba s’offende, di disgusta, e … – Sarà tua moglie, la conosciamo… una beghina bell’e buona… ; No, mia moglie: è la Chiesa. Questa non la conoscete mica voi?… Tanto bastò per sconcertare i compagni, e si volse ad altro il discorso. Giovinetti miei, è un vile costui? Tutt’altro! E perché?  Perché non silascia comandare agli altri, non si lascia por piedi addosso dalla mala bestia dell’umano rispetto. Ma torniamo ancora una volta al nostro Lorenzo. Coraggio, figliuoli! Un altro volo di fantasia, e vel faccio vedere a quarant’anni.

V.

VILE LORENZONE.

Lorenzo dunque ha quarant’anni, è un avvocato di credito, è ricco, è ammogliato, ha figliuoli, e s’è messo cos’ bene in carne che tutti lo chiamano il signor Lorenzone. Volete vederlo? Venite con me, saliamo quello scalone, spingiamo quella porta…. silenzio: cavatevi i cappelli. Ecco i padri della patria seduti in giro ai loro scanni. Quel là in mezzo dalla fronte calva, dalle folte basette, con gli occhiali montati in oro, è il sindaco; a’ suoi fianchi di qua e di lì i signori della Giunta, il segretario, il cassiere e via gli altri di seguito. Attenti figliuoli miei: l’affare intorno a cui oggi si deve deliberare è di sommo rilievo: ne dipende la pubblica salute. Si tratta nulla meno che d’un convento di monache da mutare in caserma; la macchina è montata da più mesi, una parte dei voti assicurata; ma, ma… tra quei della padri della patria e’ ci ha ancora dei codini… Vedete il signor Lorenzone, quel là in giubba nera, con quel giornale alla mano, che mentre il sindaco parla fa vista di legger la politica, e da quando a quando sbircia di qua, di là i vicini… Egli è desso, proprio il Renzino che abbiamo veduto alle prese co’ monelli; proprio il Lorenzo che sedeva a favola coi compagni d’Università. Sua madre, di cui si vergognava, è morta; ma le sue massime, i suoi consigli gli stanno ancor fitti nel cuore. Egli è in voce di codino, perché va a messa, e tiene due suoi figli in educazione presso i P. Somaschi di Novi. Ora, poi che trattasi di snidare quelle povere monachelle, egli è venuto al Consiglio col fermo proposito di votare per loro. Pensate! ei ci ha una zia là dentro e una cara sorella, alle quali ha promesso colle lagrime agli occhi, che avrebbe fatto di tutto per salvarle; povere colombe spaventate! E anche senza questa promessa, cacciar quelle innocenti, metterle sulla strada… gli sa così villano e crudele!… Ma vediamo che sa fare per esse, ora che siede in Consiglio. – Ecco, il sindaco si leva, parla serio e grave come un Catone. Le parole spirito dei tempi prosperità pubblica, esigenze sociali, progresso, libertà, gli ricorrono ad ogni poco sulle labbra; finché conchiude la sua solenne pappolata col delenda Carthago; e Cartagine, s’intende, sono nel caso nostro le monache. – Dopo il sindaco si levano parecchi altri; parlano, a alcuni pro, alcuni contro la proposta. Ma i primi timidi e rimessi nel dire, si contentano di mostrare la poca utilità che può ricavarsi dalla caldeggiata caserma, l’incertezza che il governo voglia abbigliarsi a uno stabile presidio … Nessuno ardisce difendere a viso aperto le ra, non le nominano nemmeno, quasi il lor nome debba scottar loro la lingua … Gli avversari invece declamano a fronte alta, a voce concitata, con gesti da energumeno. Gridano … passato il Medioevo, caduti i pregiudizi, depurata la religione, brillano sui popoli il sole della libertà; deplorano le vittime rinchiuse del fanatismo, citano, coma storia sacrosanta, la favola della monaca di Cracovia, inveiscono contro i preti e l’inquisizione, deplorano che in tanta luce dei tempiseggano ancora in Consiglio dei Gesuiti !!! … Povero signor Lorenzone! Gli è proprio lui che va a ferire l’amaro sarcasmo… guardatelo; ei trema tutto,abbasso gli occhi, e soffia e si dimena, proprio come sedesse sulle spine, e: – non parlerò (pensa), perché sarebbe un espormi … Ma quanto al mio voto … no, no, bricconi, non l’avrete mai: jamais! Jamais! Dice col Rouher… Ma che? Si viene alla votazione … sperava fosse segreta, e invece è per alzata e seduta. – Chi approva il progetto si alzi! – Grida il Sindaco. E il signor Lorenzone dà uno sguardo in giro, vede i colleghi, quasi tutti levati, e anch’egli … anch’egli si leva. Vile Lorenzone! Ha incominciato da piccolo a vergognarsi di sua madre, ha continuato vergognandosi della Chiesa, ha finito coll’aver vergogna dell’onestà, della virtù, del mdovere. Vile Lorenzone.

VI.

SERVITÙ CHE ONORA

Giovinetti, voi d’anima ingenua e di sentimenti generosi nessuna taccia tanto temete quanto quella di vili, e avete ragione. Ma! badate a incominciare fin d’ora a fuggire ogni viltà. È un cuor bello e generoso che Dio vi ha chiuso nel petto; non l’avvoltolate nel fango. È un’anima libera e immortale la vostra, che riferisce le fattezze degli Angeli, anzi di Dio stesso che l’ha creata a sua immagine e somiglianza: non la degradate, non l’avvilite col farla miserabile schiava. Oh così possa sempre la vostra fronte levarsi incontaminata al cielo e rifletterne la serenità e la luce! – ma quando v’esorto a mantenervi liberi e fuggire coni viltà, non intendo spinGervi a rompere ogni giogo, a sottrarvi a qualunque servitù. V’ha una servitù che avvilisce e degrada, e v’ha una servitù che esalta ed onora. Servitù che degrada, rispettare l’uomo al di sopra di Dio; servitù che onora, rispettare Dio al di sopra dell’uomo. Egli è appunto quest’ultimo, dignitoso rispetto che a quei poveri pescatori usciti dalla scuola di Gesù, e per Gesù imprigionati e percossi, metteva sul labbro delle franche parole: — Se sia giusto che obbediamo agli uomini più che a Dio, giudicatelo voi stessi. — La si sente subito che è una nobile risposta, è  vero? Or fate caso, che all’intimazione di tacere che faceva loro il Sinedrio, quei poveri pescatori avessero cagliato, se ne fossero andati mpgi mpgi a capo basso, corsi a rinchiudersi, e lì zitti! … Che avreste pensato di loro? Tant’è l’uomo sottomettendosi a Dio non si avvilisce, ma si nobilita, non si abbassa ma s’innalza, perché, umiliandosi così, confessa la sua origine divina, si dichiara servo, anzi figlio dell’Altissimo. Or dite; vi può essere sulla terra dignità maggiore di quella di figliuolo di Dio? Di quel Dio, cui servire, regnare est? – Che fate? che fate? — chiedeva già un bell’imbusto a un buon giovinetto, che giunto in chiesa, la prima cosa, si metteva a ginocchi e faceva il segno della croce. E il giovinetto, senza scomporsi: — Adoro Iddio, mio Signore e mio padre; e voi? … siete venuto a bravarlo forse? … Pur troppo si vedono dei giovani, e non sol giovani, ma uomini talvolta dal pelo brizzolato e dalla calva fronte, quand’hanno a recarsi alla messa festiva, cercar l’angolo più riposto ed oscuro di chiesa. – Sarà per pregare con maggiore raccoglimento. – Proprio la scusa che cercano certuni a non parere vigliacchi. Il fatto è che han paura d’essere veduti. Oh i giovani liberi! Oh, gli uomini indipendenti! Oh fior di Cristiani!…. Non s’inginocchiano, non s’inchinano dunque mai costoro? Oh si inginocchiano anch’essi, non dubitate. – Guardate quel giovanotto azzimato alla moda: entra a messa, s’apposta dietro un pilastro, e lì duro, impalato, guardar qua e là, lisciarsi la zazzera, scalpitare come un cavallo, tossire, ammiccare degli occhi… Ma sta: suona un campanello; quel campanello avvisa che il Dio Salvatore discende in quell’istante chiamato dalla voce sacerdotale, in mezzo al suo popolo … Si piega egli il nostro giovanotto? Non c’è caso. Si direbbe che a forza d’amoreggiare i pilastri, per virtù di simpatica assimilazione, sia diventato pilastro anche lui. — Ma che l’ha il filo della schiena tutto d’un pezzo costui? — Oh anzi flessibile, flessibilissimo. Vedetelo nel gabinetto di quel segretario capo, da cui dipende la sua promozione all’impiego, che scappellate, che strisciamenti, che inchini! È par l’altalena, che alla prima scossa va su, va giù, di qua; di là, e stenta un buon tratto a rimettersi in bilico, e posare. – Lascio nel calamaio un visibilio di simili casi, e domando a voi, miei cari giovinetti: non vi fa ribrezzo tanta viltà? E son uomini costoro?.. e voi pensereste farvi uomini simili a loro?… Oh la bella immagine di Dio, come è da tanti vilmente prostituita!… Ma via! lasciamo di rimestar questo pattume e consoliamoci con qualche bell’esempio tratto dalle storie; ché a guardar mondo qual è ai dì nostri, e’ ci sarebbe da perder la fede nella umana dignità. – Arrigo VIII re d’Inghilterra s’annoia della sua legittima moglie Caterina d’Aragona e vuol disfarsene per impalmarsi ad una sgualdrina di Corte, Anna Bolena. Il Papa fermo gl’intima, come 2già il Battista ad Erode, il non licet. Ed egli: — Che Papa, io farò senza. — Scorona, discaccia ed imprigiona la regina, si stringe in nefande nozze alla Bolena, e: — ora il Papa son io, — E nol dice mica per celia! Fa proporre al Parlamento una legge: — Capo di religione il re; chi neghi riconoscerlo e serbi fede al Papa di Roma, la confisca dei beni; la prigione, la morte. — Incredibile a dirsi! Il parlamento piega, la mostruosa legge è sancita. L’anime strappate a Cristo e al suo l’appresentante sulla terra, saranno d’ora innanzi umilissime schiave al più sozzo fra i tiranni, a quel mostro di libidine e di ferocia, che non mai sazio di mutar donne, due ne ripudiò, altre due ne diede in mano al carnefice, e della quinta avrebbe fatto altrettanto, se la morte non s’affrettava a torlo dal mondo. – Ma vivaddio! Non tutte in Inghilterra erano anime di fango. Non parlo de’ vescovi, de’ monaci, dei Sacerdoti che per aver resistito alle inique voglie del re furono a migliaia o giustiziati, o cacciati in esilio: ma pur tra le persone del scolo, tra’ grandi della Corte trovossi un uomo. – Tommaso Moro, gran Cancelliere del regno, uomo d’ingegno e d’ onestà a tutta prova, benemerito da molti anni del re e della patria, aveva adoperato tutto il credito che godeva presso Arrigo per dissuaderlo da rompere il sacro vincolo delle legittime sue nozze, ed avvilirsi a sposar la Bolena. Quando udì la legge della supremazia spirituale del re: – io non mi sottometto (rispose), mel vietano la mia dignità d’uomo e la mia coscienza di Cristiano. — Disse e non dié crollo. Tutti strisciavano a terra; ed egli in piedi. Minacciato, degradato, spogliato de’ beni, chiuso in prigione sta saldo. Gli manda la cara moglie coi figlioletti; entra la misera nel tetro carcere, l’empie di lamenti e di guai, gittasi scapigliata per terra a’ piè del marito, gli tende colle sue braccia i teneri pargoletti, e: — Salvati, deh! Salvati, Tommaso!… Almeno per pietà di questi innocenti… Una parola! dimmi una sola parola … — Ma quella parola il Moro non la dirà, no, non la dirà. Una terribile burrasca, a dir vero, gli agita il cuore: quella vista, quelle parole della sua donna desolata gli danno uno schianto!… Ma l’uomo forte non cede. Leva gli occhi al cielo, indi abbassandoli sulla supplichevole: — Luisa mia (le dice), guarda questa fronte, questi grigi capelli; e di’: quanto può rimanermi di vita sulla terra? Dieci, vent’anni …? Ebbene, sappia che per vent’anni di vita non mi sento di perdere un’eternità – Ha detto e non muta. La donna disperata si ritira; egli fra pochi giorni salirà con pié fermo il patibolo: un popolo immenso, muto per terrore, vedrà la sua nobile testa rotolare nel fango. – Giovani miei, mandategli un plauso. Viva Tommaso Moro! Viva l’uomo ed il Cristiano! E quei signori del parlamento?… un branco di vigliacchi!… Non ragioniam di loro, ma guarda e passa.