FESTA DI CRISTO RE (memoria della XXI Domenica dopo Pentecoste)

Messa della DOMENICA DI CRISTO RE (2022)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

DOMENICA In festo Domino nostro Jesu Christi Regis ~ I. classis

L’ULTIMA DOMENICA D’OTTOBRE

Festa del Cristo Re.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di prima classe. – Paramenti bianchi.

La festa del Cristo Re, per quanto d’istituzione recente, perché stabilita da Pio XI nel dicembre 1925, ha le sue più profonde radici nella Scrittura, nel dogma e nella liturgia. Merita, a questo riguardo d’esser riportato qui integralmente in versione italiana dall’ebraico, il famoso salmo messianico, che nel Salterio reca il n. 2. Il salmista comincia dal descrivere la congiura di popoli e governanti contro il Messia, cioè il Cristo:

A che prò si agitano le genti

e le nazioni brontolano vanamente?

Si sollevano i re della terra

e i principi congiurano insieme

contro Dio ed il suo Messia:

« Spezziamo i loro legami

e scotiamo da noi le loro catene ».

Popoli e governanti considerano come legami e catene intollerabili i precetti divini e cercano di ribellarvisi: tentativo ridicolo, conati di impotenti contro l’Onnipotente:

Chi siede nei cieli ne ride,

il Signore se ne fa beffe.

Poi loro parla con ira

e col suo sdegno ti sgomenta.

Dio stesso dichiara che il Re da Lui costituito su tutto il mondo è il Messia:

« Ho consacrato io il mio Re,

(l’ho consacrato) sul Sion, il sacro mio monte »..

Alla sua volta il Cristo Re dichiara:

« Promulgherò il divino decreto.

Dio m’ha detto: Tu sei il mio Figlio;

Io quest’oggi t’ho generato.

Chiedi a me e ti darò in possesso le genti

e in tuo dominio i confini della terra.

Li governerai con scettro di ferro,

quali vasi di creta li frantumerai ».

Il Salmista conchiude, rivolgendo un caldo appello ai governanti:

Or dunque, o re, fate senno:

ravvedetevi, o governanti della terra!

Soggettatevi a Dio con timore

e baciategli i piedi con tremore;

affinché non si adiri e voi siate perduti,

per poco che divampi l’ira sua.

Felici quelli che ricorrono a Lui!

(Trad. Vaccari)

Un altro salmo (CIX), il più celebre di tutto il salterio, insiste sugli stessi concetti: regalità del Cristo, il quale, nello stesso tempo cheRe dei secoli, è anche sacerdote in eterno; ribellione di re e popoli contro il Cristo; trionfo finale, schiacciante ed assoluto del Cristo sui propri nemici:

Responso del Signore (Dio) al mio Signore (il Cristo):

« Siedi alla mia destra,

finché io faccia dei tuoi nemici

lo sgabello dei tuoi piedi ».

Da Sionne stenderà il Signore

lo scettro di tua potenza;

impera sui tuoi nemici…

Il Signore ha giurato e non se ne pentirà;

« Tu sei sacerdote in eterno

alla guisa di Melchisedecco…».

(Ps. CIX).

Attraverso queste espressioni metaforiche ed orientali infravediamo delle grandi verità religiose e storiche: la dignità assolutamente regale e sacerdotale del Cristo; i suoi diritti, per generazione divina e per la redenzione del genere umano (vedi Merc. Santo, lez. di Isaia, c. LIII 1-12); la signoria di tutto il mondo (vedi Fil. II, 5-11); la feroce guerra mossa al Cristo dagli avversari in tutto ciò che sa di religioso e particolarmente di cristiano; la vittoria del Cristo Re. Venti secoli di storia cristiana dicono eloquentemente quanto siasi già avverata la Scrittura. Da Erode, così detto il Grande, che s’adombra del Cristo bambino, a Caifa, che paventa per la sua nazione, e Pilato, che teme per la sua sedia curule, ai Giudei, uccisori del Cristo e persecutori degli Apostoli, agli imperatori romani, che ad intervalli perseguitano la Chiesa per oltre due secoli, fino alle moderne rivoluzioni, che tutte si accaniscono anzitutto e soprattutto contro la Chiesa, è una lunga incessante storia di ribellioni di popoli e principi contro Dio ed il Cristo Re. Se guardiamo semplicemente al nostro secolo, alla persecuzione sanguinosa dei Boxer contro i Cattolici cinesi, alle persecuzioni del Messico, a quelle di quasi tutta l’Europa, dalla Russia alla Spagna, che guerra al Cristo Re! È fatale; ma altrettanto fatale la vittoria del Cristo. Ai suoi discepoli il Cristo Re dice: Confidate: io ho vinto il mondo (Giov., XVI, 33). Ai suoi nemici: Chiunque cadrà su questa pietra sarà spezzato; e colui sul quale la pietra cadrà sarà stritolato, Luc. XX, 18). Per impartirci tale dottrina « un’annua solennità è più efficace di tutti i documenti ecclesiastici, anche i più gravi» (Pio XI, Enciclica 11 dic. 1925). La festa di oggi è una grande lezione per tutti: lezione specialmente di illimitata fiducia pei veri fedeli: Felici quelli che ricorrono a Lui (al Cristo Re). Lezione anche di devoto, generoso servizio sotto il vessillo del Cristo Re. La Messa odierna ricorda soprattutto la gloria tributata al Cristo Re dai beati del Cielo (Introito); il regno del Figlio Unigenito, ed il suo primato assoluto in tutto e su tutto (Epistola); quel regno celeste che Gesù ha rivendicato davanti a Pilato, il quale non credeva che al proprio grado e stipendio (Vangelo). Il Prefazio canta le caratteristiche sublimi del regno del Cristo.  – Gesù-Cristo è il Verbo creatore, è l’Uomo-Dio seduto alla destra del Padre, è il nostro Salvatore. Sono questi i tre titoli di regalità.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confiteor

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum.

[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Ps LXXI: 1
Deus, iudícium tuum Regi da: et iustítiam tuam Fílio Regis.

[Dio, da al Re il tuo giudizio, ed al Figlio del Re la tua giustizia] –

Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum…

[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza. Forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in dilécto Fílio tuo, universórum Rege, ómnia instauráre voluísti: concéde propítius; ut cunctæ famíliæ géntium, peccáti vúlnere disgregátæ, eius suavissímo subdántur império: Qui tecum …

[Dio onnipotente ed eterno, che ponesti al vertice di tutte le cose il tuo diletto Figlio, Re dell’universo, concedi propizio che la grande famiglia delle nazioni, disgregata per la ferita del peccato, si sottometta al tuo soavissimo impero: Egli che …].

Commemoratio Dominica XXI Post Pentecoste n I. Novembris

Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut a cunctis adversitátibus, te protegénte, sit líbera, et in bonis áctibus tuo nómini sit devóta.

[Custodisci, Te ne preghiamo, o Signore, con incessante pietà, la tua famiglia: affinché, mediante la tua protezione, sia libera da ogni avversità, e nella pratica delle buone opere sia devota al tuo nome.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 12-20
Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.]

Graduale

Ps LXXI: 8; LXXVIII: 11
Dominábitur a mari usque ad mare, et a flúmine usque ad términos orbis terrárum.

[Egli dominerà da un mare all’altro, dal fiume fino all’estremità della terra]

V. Et adorábunt eum omnes reges terræ: omnes gentes sérvient ei.

[Tutti i re Gli si prostreranno dinanzi, tutte le genti Lo serviranno].

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Dan VII: 14.
Potéstas ejus, potéstas ætérna, quæ non auferétur: et regnum ejus, quod non corrumpétur. Allelúja.

[La potestà di Lui è potestà eterna che non Gli sarà tolta e il suo regno è incorruttibile]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. – Joann XVIII: 33-37

  • In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo, disse Pilato a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”.  Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”].

OMELIA

 [Giov. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle Feste del Signore e dei Santi – Soc. Edit. Vita e Pensiero, Milano, VI ed. 1956]

CRISTO RE DEI CUORI

Il vecchio Giacobbe, presagendo imminente la sua fine, chiama dattorno i suoi dodici figliuoli. Non era giusto che portasse con sé nel segreto della tomba la gran promessa che Dio gli aveva fatto. Per ciò, prima di morire sentì il bisogno di confidarla ai figli e parlò loro con accento profetico: « Venite e ascoltate, figliuoli di Giacobbe; ascoltate vostro padre ». E dopo aver predetto ad alcuni il proprio avvenire, si rivolse a Giuda: « Giuda, mio piccolo leone! tu regnerai sopra i tuoi fratelli, e la tua mano premerà la cervice dei tuoi nemici. Regnerai; ma fin quando verrà colui che deve venire. Tutte le genti lo aspetteranno, allora; sarà di una bellezza sovrumana; avrà gli occhi più fulvi del vino e i denti più bianchi del latte. Giuda, tu gli cederai il tuo scettro e il tuo impero » (Genesi, XLIX). – I dodici capi delle dodici tribù, con gli occhi aperti, sognavano il gran re, che sarebbe venuto, ed il loro cuore balzava, attraverso i secoli, incontro a Lui. Da Giacobbe, tutti i patriarchi prima di morire chiamavano i figli e i nipoti per richiamare in loro la speranza del re venturo, poi in pace chiudevano gli occhi nella morte. E Noè benedirà Sem perché nei suoi padiglioni nascerà il gran re. E Mosè dirà al popolo di non piangere per la sua morte, perché verrà un condottiero più grande di lui. – Quando i tempi furono maturi, quando tutte le generazioni erano in attesa, il gran re venne: Gesù Cristo. — Ma i Giudei lo rifiutarono e lo condussero davanti a Pilato, che gli disse: «Sei tu il re dei Giudei? » Risponde Gesù: « Lo dici da te, o perché altri te l’ha suggerito?» Risponde Pilato: « Forse ch’io son Giudeo? È la tua gente, sono i tuoi sacerdoti che ti hanno trascinato a me: che hai fatto? ». Risponde Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo. Se fosse di questo mondo, vedresti come i miei sudditi, con le armi, mi strapperebbero dalle mani dei Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù ». Allora Pilato gli domanda: « Dunque, tu sei Re? Risponde Gesù: «Tu lo dici: io lo sono ». – Fu un urlo brutale che salì dalla folla aizzata: « Non sappiamo che farne di questo re. Vogliamo Barabba ». – Gesù Cristo allora patì il più acerbo dei suoi dolori, e la più bassa delle sue ingiurie: il re era tra i suoi sudditi, e i sudditi non lo volevano. In propria venit et sui eum non receperunt (Giov., I, 11).Ma oggi i popoli hanno compreso lo sbaglio fatale di quel branco di Giudei. È passata la guerra che ci ha fatto piangere e sanguinare tanto, ed ognuno ha sentito il bisogno di un re, che non ha regno nelle ingiustizie e nelle iniquità di questo mondo, di un re che comprenda i nostri dolori e le nostre aspirazioni e ci voglia bene,di un re di pace. Princeps pacis (Isaia). E tutti i popoli nell’anno santo andarono a Roma dal Papa a contare i propri bisogni, e passando sotto al Vaticano, tutti gridavano la parola di S. Paolo: « Questo abbiam bisogno; che Egli regni ». Pio XI comprese; e nella sua enciclica, dell’11 dicembre 1925 impose che si facesse una festa a Cristo Re, ogni anno, all’ultima Domenica di Ottobre, e tutti consacrassero il proprio cuore a Lui. Cristo è Re, e Re dei cuori! « O popoli, battete le mani; tutti! Cantate un canto di gioia. Il Signore altissimo, il Signore terribile, il Re grande su tutta la terra finalmente regna ». (Salmi, XLVI, 1-3).1. CRISTO È RE. Davide vide il Messia seduto sopra un trono di maestà e di gloria nell’atto d’umiliare la baldanza sciocca dei suoi nemici; e l’udì pronunciare queste parole: « Io sono stato costituito re da Dio. Il Signore mi ha detto: tu sei il figlio mio: oggi ti ho generato. Domandalo, e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini di tutta la terra » (Salmi, II). – Se Dio stesso l’ha creato re, chi oserà contestargli la dignità regia? Cristo è re perché ne ha tutti i diritti: di nascita e di conquista. È re perché lo hanno proclamato i profeti, e lo proclamano oggi tutti i popoli del mondo. Re per diritto di nascita. — Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo: due nature in una persona. Come Dio è Figlio di Dio e possiede tutto quello che Dio possiede. Per ciò è padrone di tutte le cose e regna dall’uno all’altro mare. Dominabitur a mari usque ad mare. (Ps., LXXI, 8). Anzi non solo è re, ma il re dei re, per il quale soltanto i re possono regnare; perché ogni potestà viene da Lui. Come uomo, Gesù è figlio di re e discende direttamente da Davide. Ecco perché  l’Arcangelo nell’Annunciazione dirà alla Vergine: « Il Signore lo porrà sul trono di Davide, padre suo » (Lc., I, 32). – Re per diritto di conquista. — Il peccato d’origine ci aveva resi schiavi e figli della maledizione: Gesù Cristo ci ha conquistati, tutti, non sborsando oro e argento come un vile mercenario, ma tutto il suo sangue, generosamente come non saprebbe il più coraggioso dei re (I Petr., I, 18). – Re per diritto di proclamazione. — I patriarchi, i profeti, i re lo proclamano. Isaia dice che nascerà bambino, che gli porranno sulle spalle l’imperio, e sarà un imperio di pace (IX, 6-7). E Davide canta che ai piedi di questo re si prostreranno gli Etiopi, e i suoi nemici davanti a lui lambiranno la polvere. I re di Tarso e gli abitanti dell’isola, gli offriranno doni; i monarchi degli Arabi e di Saba gli faranno offerte. Tutti i re della terra l’adoreranno; tutti i popoli della terra si metteranno sotto il suo impero (Salmi, LXXI). Oggi la magnifica profezia si è avverata: in quest’ultima domenica d’Ottobre, di qua e di là dei mari, un coro unisono s’eleva: « Viva Cristo re ».! – 2. RE DEI CUORI. I Dori, con arma e con incendio, invadevano l’Attica. In fretta s’arruolarono uomini per arrestare l’invasore: e già gli eserciti erano schierati a battaglia. Narra la leggenda che sia gli Atticesi che i Dori consultarono l’oracolo sul risultato dell’impresa e n’ebbero in risposta che la vittoria sarebbe toccata a quella parte il cui re fosse morto in guerra. Re d’Attica era Codro. Costui fu preso da tanto amore per i suoi che si travestì da contadino, si insinuò nel campo nemico e si fece uccidere. Quando i Dori seppero che il re d’Attica era morto, si spaventarono e fuggirono urlando. Codro è una favola; Gesù Cristo è una realtà. Egli ha dato la sua vita per noi. E perché potesse morire per la nostra salute, da Dio si è travestito da vero uomo, si è cacciato in mezzo ai suoi nemici, che l’hanno messo in croce. Ma la sua morte fu la vittoria: il demonio vinto ritornò nell’inferno. – Ma che re può essere quello che dà la vita per i suoi, se non un re d’amore? Cristo allora è re d’amore; re dei cuori. Osservate. Quando Gesù venne al mondo fu posto in una greppia vicino a due animali. Pure si capì che era un re. Una gran luce attraversò il cielo nel cuor della notte, gli Angeli cantarono, occorsero i pastori, accorsero tre re. Una bella occasione per cominciare il suo regno, se Gesù avesse voluto regnare con soldati e con oro. Ma re di questo mondo, Cristo non ha voluto esserlo: e lasciò tornare, per un’altra via i Re Magi. – Quando Gesù nel deserto moltiplicò i pani e sfamò migliaia di persone, tutto il popolo delirante d’entusiasmo per la sua persona lo proclamava re. Bella occasione se avesse voluto regnare come un re dei corpi, che sa nutrirli prodigiosamente. Ma re dei corpi, Cristo non ha voluto esserlo; e fuggì a nascondersi in mezzo alle montagne. – Quando Gesù fu mostrato al popolo dal litostrato di Pilato aveva in testa una corona, ma di spine; aveva sulle spalle e sul petto la porpora, di sangue suo; stringeva nelle mani lo scettro, ma di canna. Pilato gridò al popolo: « Ecco il vostro Re ». Ecce rex vester (Giov., XIX, 14). Il popolo ghignava. Bella occasione di far piovere fuoco e zolfo, di soffocare eternamente quegli uomini crudeli. Ma re di terrore di strage, Cristo non ha voluto esserlo, mai. Cristo è re, e re del cuore. Eccolo in trono: sulla croce. In alto in diverse lingue sta scritta la sua dignità, re dei Giudei. Porta la corona di spine, la porpora di sangue, decorazioni di piaghe atroci. Un soldato, con la lancia gli trapassa il petto, gli mostra il cuore. Ora veramente è re. Dominus regnavit a ligno. – Guardiamolo, Cristiani, il nostro re sopra quel legno! Dal suo lato perforato esce un grido regale: « Figlio, dammi il tuo cuore! » – So di un’anima, di una giovane anima che, durante la persecuzione messicana del 1927, gli ha risposto: « Sì, Cristo re, il mio cuore te lo do ». Il suo nome, che bisogna dire con venerazione come quello dei martiri è Juan Sanchez dello stato di Ialisco nel Messico. Ricco e nobile di famiglia, più ricco e più nobile per sentimenti cattolici, fu arrestato dai legionari di Calles. Pretendevano che apostatasse. Pubblicamente gli fu imposto di rinunciare alla Religione; egli rispose: « Viva Cristo Re ». Il martirio fu cruento e degno dei carnefici, i quali cominciarono a tagliargli un orecchio poi l’altro e quindi ad amputargli le gambe. Ma benché immerso nel suo sangue non cessava d’acclamare a Cristo Re. – Con un vero furore satanico i carnefici gli squarciarono la gola: ma dalla gola squarciata insieme al gorgoglio del sangue usciva un rantolo: « Viva Cristo Re! ». Non potevano farlo tacere, e gli strapparono la lingua. E fu finita (« Civiltà Catt. » 16 luglio 1927). Appena compiuto il truce misfatto la folla si precipitava sulla salma martoriata per intingere in quel sangue i pannolini; né minacce, né colpi, né scoppi valsero a rattenerla. – Poveri barbari che strappate le lingue! Se anche le lingue tacessero, lo gridedebbero le pietre. Anzi, e meglio, voi stessi lo griderete, in un giorno non lontano: « Galileo, hai vinto! ». E noi preghiamo perché Cristo re li vinca nella forza del suo amore e non in quella della sua vendetta.

VENTUNESIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

(Mt., XVIII, 23-35)

IL RE E IL SERVO

« Signore, — domandò Pietro, — basterà perdonare fino a sette volte a una medesima persona?» E gli sembrava d’aver già fatto una concessione enorme. Gesù gli rispose: « Non dire fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ». E raccontò questa parabola. « Dovete sapere, — diceva il Maestro divino, — che nella mia Chiesa accade ciò che una volta avvenne tra un re e il suo servo. Il re volle fare un rendiconto generale e chiamò i suoi dipendenti a uno a uno. Ma c’era un servo che gli doveva una cinquantina di milioni e non possedeva niente per pagare. Quando il disgraziato fu davanti alla maestà del sovrano, quando sentì che lui, la sua donna, i suoi figli, le sue robe dovevano essere venduti sul mercato, si buttò per terra singhiozzando: « Pazienza, e pagherò tutto ». Buon per lui che il re era dolce e umile di cuore, e si lasciò commuovere, e non solo ebbe pazienza, ma rimandò il servo condonandogli il debito fin all’ultimo centesimo. Ebbene, nell’uscire di là, s’incontrò in un suo camerata che gli doveva un centinaio di lire: una vera inezia a confronto coi milioni del suo debito. Subito lo prese per la gola, e strozzandolo gli gridava: « Pagami! ». Invano quel meschino supplicò un poco di pazienza, poiché, trascinato davanti alla giustizia, fu condannato al carcere. Per fortuna ci fu della gente coscienziosa che vide quella scena raccapricciante e deferì ogni cosa al re, il quale ne fu adiratissimo. Richiamò il servo e lo fulminò con queste parole: « Iniquo! Io ti ho perdonato dei milioni e tu non sei stato capace di perdonare qualche lira!… Sarai chiuso in un carcere tenebroso fin tanto che non mi avrai reso fin l’ultimo quattrino ». Qui la parabola era finita, ma Gesù conchiuse: « Allo stesso modo tratterà il mio celeste Padre chiunque tra voi non perdonerà di cuore al fratello da cui è stato offeso ». Qui la parabola è chiara: il Re è Dio, il servo è l’uomo. Consideriamo la condotta dell’uno e dell’altro, e ci apparirà la generosità divina e la grettezza umana. – 1. GENEROSITÀ DIVINA. Due verità possiamo dedurre dalla prima parte del racconto di Gesù: 1) ogni peccatore contrae un debito con la giustizia del Signore; 2) questo debito è così grosso che l’uomo non riuscirebbe mai a pagarlo se Dio non glielo condonasse. a) Ogni peccato è un debito. Lo diciamo nel « Pater noster »: rimetti a noi i nostri debiti. Attendete se non è vero. Come si contraggono i debiti? Anzitutto col non restituire quello che ad altri è dovuto. Ebbene noi dobbiamo dare gloria a Dio nostro Creatore: col peccato, invece, ci rifiutiamo di onorarlo e pretendiamo di glorificare noi stessi, le nostre passioni, i nostri piaceri. Noi dobbiamo dare a Dio l’ubbidienza perché è il nostro Re che ci governa con la santissima legge dei dieci comandamenti: col peccato, invece, ci rifiutiamo di pagargli questo ossequio, e ripetiamo il grido di ribellione che risonò la prima volta sulla bocca di Lucifero: « Non ti voglio servire ». Non ti voglio servire quando mi comandi di rispettare il tuo Nome tremendo; non ti voglio servire quando mi imponi di santificare la festa; quando mi dici di superare gli istinti disonesti; quando mi proibisci di toccare la roba degli altri: « L’ubbidienza che ti viene, io non te la rendo » così dice praticamente il peccatore. Inoltre si contraggono debiti anche con sciupare danaro o roba avuti in prestito. Ebbene Dio ci ha prestato la vita per salvare l’anima, e col peccato noi usiamo della vita in perdizione dell’anima; Dio ci ha prestato salute e tempo per compiere opere buone e noi sciupiamo questi doni nel fare il male; Dio ci ha dato la lingua per lodarlo e noi con la lingua esprimiamo discorsi osceni; Dio ci ha dato la mente per pensare a Lui, e noi lasciamo entrare nella mente ogni fantasia più laida; Dio ci ha dato il cuore per amarlo e noi tutto amiamo fuor che Dio. Quanti debiti! b) Osservate ancora che il peccato è un debito così grosso che non potremmo mai cancellarlo se Dio stesso non ce lo perdona. Il peccato è un male infinito, è un’offesa infinita di Dio. Ora quale uomo può dare a Dio una soddisfazione infinita? Per il peccato noi perdiamo tutti i nostri beni, e dovremmo essere rinchiusi nel carcere dell’inferno per tutta l’eternità. Ma Iddio è un Re buono, basta che il suo servo si getti ai piedi di un Crocifisso, nel Sacramento della Confessione, gli dica: « Pietà di me! » e subito condona tutto il debito fino all’ultimo centesimo. Quante volte noi stessi abbiamo sperimentata la misericordia del Signore! Quante volte gli abbiamo giurato: « È proprio l’ultima volta; Signore cambio vita » e poi siamo tornati da capo, abbiamo accumulato peccati su peccati e Dio ci ha sempre perdonati, ci ha riempiti ancora di grazia, e di benedizione come se fossimo stati sempre i suoi migliori amici. Perché Dio è così generoso? Perché vuole che anche noi lo abbiamo ad imitare. Invece quanto gretti sono gli uomini tra loro! – 2. GRETTEZZA UMANA. Una mattina, il vecchio Vescovo S. Gregorio fu destato improvvisamente da grida e da rumori insoliti nella sua stanza ove da giorni giaceva ammalato. Aprendo gli occhi credette di sognare ancora: i suoi familiari stringevano per le braccia un giovane losco con in mano un pugnale che si dimenava per svincolarsi. Era un eretico che aveva giurato di uccidere il Vescovo nel suo letto: con quel nero disegno in cuore era riuscito ad eludere ogni sorveglianza, e penetrare silenzioso nelle stanze di S. Gregorio che erano sempre aperte , stringendo sotto il mantello una lama micidiale. Ma alla vista di quella cella così povera, di quel letto ove un uomo santo tormentato già dalla morte dormiva con un sorriso celestiale, il giovane cominciò a tremare e fu sorpreso nel suo turbamento. « Che è? » domandò dolcemente Gregorio svegliandosi « che vuol dire quel pugnale? ». « E non vedete — gridavano i familiari — che stava per uccidervi? Noi lo arrestiamo e pagherà il « sacrilegio ». « Che nessuno me lo tocchi! » ingiunse il santo e poi volgendosi all’eretico: « Figliuolo, avanzati: io ti perdono. Uscirai libero dal mio palazzo come vi entrasti ». Il giovane diede in uno scoppio di lagrime: « Ah padre! da questo momento io sono cattolico ». S. Gregorio aveva compreso fino all’eroismo la parabola del Re e del servo, ma ci sono troppi Cristiani che non sanno metterla in pratica nemmeno nei casi più comuni. — Troppo sono stato offeso: è impossibile perdonare — dicono alcuni. Non può essere impossibile, perché Dio è ragionevole e non comanda le cose impossibili; difficile sì, anzi perdonare ai nemici e amarli è il precetto più duro della nostra religione, con la preghiera bisogna ottenere la grazia di saperlo compiere, poiché senza eseguirlo non si entra in paradiso. — Non posso perdonare, perché ne andrebbe il mio onore — dicono altri. E l’onore di Dio non è qualche cosa di più dell’onore di noi misere creature? Eppure Dio perdona sempre a tutti quelli che gli domandano sinceramente pietà. — Ma è un ingrato! se gli perdonassi ritornerebbe a far peggio! non lo merita proprio il perdono! — E noi non fummo ingrati col Signore? non ritornammo tante volte, nonostante le promesse e i giuramenti, a far peggio di prima? lo meritiamo noi il perdono che Dio è sempre pronto a concederci? — Che cosa dirà il mondo? io non voglio. che si dica che l’ho persa. — Il mondo dirà che siete un vero Cristiano; e chi perdona vince e non perde. Infine, ci sono dei mezzi Cristiani i quali credono di adempiere il precetto di Dio col dire: « Io me ne sto a casa mia, non faccio del male a nessuno: e lui se ne stia a casa sua. Ciascuno nella vita va per la sua strada ». Questo non basta ed è segno di un falso perdono. « Io lo lascio qual è » si dice; ma intanto se gli capitano disgrazie si è contenti, se gli van bene gli affari ci vien malinconia. Intanto si tengono inchiodate nel cuore le offese ricevute, si ruminano giorno e notte, non si finisce di raccontarle agli altri ingrandendo o inventando le accuse. Intanto si schiva di incontrare quella persona, si finge di non vederla quando la si incontra, le si nega il saluto. Questo non basta, perché Gesù concludendo la parabola ha imposto di perdonare non di apparenza ma di cuore. De cordibus nostris. È duro talvolta perdonare, ma è necessario. È scritto che con quella misura che usammo per gli altri, saremo anche noi misurati! Sta scritto che sarà perdonato solo a chi perdonerà. Noi fortunati se nel giorno del nostro giudizio gli Angeli potranno testimoniare di noi così: « Ha perdonato tanto ». Allora il Giudice divino esclamerà: « Gli sia perdonato tutto ». – Ricordate il gran martire S. Cristoforo. Un uomo abbietto lo assaltò un giorno sulla pubblica via e gli diede uno schiaffo in mezzo alla folla. Arse di sdegno subitamente il santo e rincorse l’offensore: atterra e sguaina la spada per trafiggerlo. Tutta la gente intorno gridava: « Uccidilo, Uccidilo! ». In quel momento si ricordò della parola del Signore: « Così il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore »; in uno sforzo supremo represse la collera, ripose la spada nel fodero, e al popolo che domandava vendetta rispose: « La farei, ma non posso perché son Cristiano ». Facerem, si non essem christianus. In certe ore in cui la vendetta ci tornerebbe facile e piena di gusto l’esempio di S. Cristoforo ci stia dinanzi e la sua parola ci sia di freno: « O perdonare o rinunziare di essere Cristiani ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps II: 8.
Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, et possessiónem tuam términos terræ.

[Chiedi a me ed Io ti darò in eredità le nazioni e in dominio i confini della terra]

Secreta

Hóstiam tibi, Dómine, humánæ reconciliatiónis offérimus: præsta, quǽsumus; ut, quem sacrifíciis præséntibus immolámus, ipse cunctis géntibus unitátis et pacis dona concédat, Jesus Christus Fílius tuus, Dóminus noster:Qui tecum …

[Ti offriamo, o Signore, la vittima dell’umana riconciliazione; fa’, Te ne preghiamo, che Colui che immoliamo in questo Sacrificio, conceda a tutti i popoli i doni dell’unità e della pace: Gesù Cristo Figliuolo, nostro Signore, Egli …]

Præfatio
de D.N. Jesu Christi Rege

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui unigénitum Fílium tuum, Dóminum nostrum Jesum Christum, Sacerdótem ætérnum et universórum Regem, óleo exsultatiónis unxísti: ut, seípsum in ara crucis hóstiam immaculátam et pacíficam ófferens, redemptiónis humánæ sacraménta perágeret: et suo subjéctis império ómnibus creatúris, ætérnum et universále regnum, imménsæ tuæ tráderet Majestáti. Regnum veritátis et vitæ: regnum sanctitátis et grátiæ: regnum justítiæ, amóris et pacis. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigenito, Gesú Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacifica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVIII:10;11
Sedébit Dóminus Rex in ætérnum: Dóminus benedícet pópulo suo in pace.

[Sarà assiso il Signore, Re in eterno; il Signore benedirà il suo popolo con la pace]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimóniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, qui sub Christi Regis vexíllis militáre gloriámur, cum ipso, in cœlésti sede, júgiter regnáre póssimus: Qui

[Ricevuto questo cibo di immortalità, Ti preghiamo o Signore, che quanti ci gloriamo di militare sotto il vessillo di Cristo Re, possiamo in cielo regnare per sempre con Lui: Egli che …]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (226)

LO SCUDO DELLA FEDE (225)

MEDITAZIONI AI POPOLI (XIII)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. e libr. Sales. 1883

MEDITAZIONE XIV

Il Santissimo Sacramento (1)

Inveni quem diligit anima mea.

Io ho rinvenuto il mio Bene amato, dice la santa Sposa della Cantica, che significa l’anima in cerca di Gesù. Io, sì l’ho trovato il mio unico Bene. E qual è il mio e il vostro Bene amato, o fratelli? Il cuor ce lo dice: è Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento qui con noi, che non ci abbandona più mai. Per poco possiamo dire come la Sposa santa: girai pei campi, errai pei monti, ma in tutti i luoghi non trovò che solitudine e disinganno il mio povero cuore. Scontrai le scolte per la città e le pregai: Deh mi dite, io vi scongiuro, dove è mai Colui che io sento di amare tanto, e non mi è dato di ritrovare in questo povero mondo? Le guardie poste al santuario del suo amore m’introdussero nella tenda delle sue tenerezze; ed io riposai in seno al ben amato nostro Gesù! Ah, miei fratelli, finiamo di tradirci lusingando questa povera anima nostra! La mente, il genio, il cuore, l’umanità tutta sente bisogno di Dio. Il filosofo nelle speculazioni, allorquando sì slancia nell’indefinito e cerca quel Sommo Vero, quel Sommo Bene, quell’Ente fonte di tutti gli esseri, quella prima Cagione insomma che sostiene tutte le cose, e che vi deve pur essere, il filosofo, senza pur nominarlo, va in cerca di Dio. L’uomo di genio, che sull’ali dell’ispirazione errando, alla lontana vagheggia un bello ideale col suo pensiero; e ognun col cuore ansioso di un amore infinito, se nella foga del desiderio lo cerca coll’avido sguardo sulle bellezze in terra, se si slancia nelle creature per ritrovarlo in esse è costretto di ripetere presto a se stesso: Ei non è qui!… e cadere in lena affannata!… O uomini dalla potente parola, i quali dite ai popoli: venite con noi, e troverete i bene che sospirate, vedeteveli ora con voi come si trovano! Eglino s’arrovellano nella rabbia del disinganno, sorgono come i marosi in tempesta … si battono in rivoluzioni, e i fratelli i fratelli trafiggono senza forse sapere la ragione. Ah la somma delle ragioni e perché li avete traditi allontanandoli da Dio; è perché  supremo Bene dei popoli è Dio; e Dio vogliono compagno del loro peregrinaggio, amico nelle loro famiglie, alla testa dei loro eserciti: a lui la gloria delle loro vittorie; Dio costituire protettore dei loro diritti: da tutti i punti dell’universo essi lo sospirano e chieggono di averlo in mezzo di loro. Quindi tutti i popoli vogliono avere un sacrario, un tempio, e, se non fosse altro, una cella, un bosco, un antro per trattare con Dio e versargli nel seno tutti i loro bisogni. Da per tutto erigono altari per trovarlo sopra essi. Ma nel salirvi manca loro il coraggio; e si sentono troppo meschini: il proprio cuore li accusa tutti, tutti sentono di esser colpevoli. Per questo si affannano a portar vittime, a scannarle, ad arderle nei sacrifici, affinché, accoltele Iddio in odore di soavità, resti placato con essi. Ma che è mai?… Corrono tutte le genti sugli altari, e vogliono mangiare delle offerte istesse, che credono di aver posto in mano del loro Dio! E tutti i popoli fecero sempre così. Come ciò non potevano satollarsi nelle lor case? E perché  correre a cibarsi nei templi? E che ha mai da fare il mangiare coi riti delle religioni? Ah! Miei fratelli, è che gli uomini in fondo al loro cuore sentivansi dire da una primitiva parola, che avrebbero trovato sugli altari Iddio. L’umanità ha bisogno di unirsi con Dio, ha una santa fame della Divinità; e piglia quindi di quelle cose offerte, se le mangia per metterle nel proprio petto, riporle sul proprio cuore, e coll’inviscerarsi quella cosa diventata sull’altare santa con Dio, vedere così di stare al contatto e come cuore a cuore con Dio… Benedetto Gesù Cristo, il quale provvede a tutti i bisogni degli uomini, e a questo supremo bisogno provvede da Uomo Dio, sì veramente nel santissimo Sacramento! Egli, Dio col Padre in cielo, Uomo con noi in terra, ci chiama tutti: venite ad me omnes, e come una madre ci vorrebbe sempre attorno; onde ci viene ripetendo: Vi porterò con me al cielo: omnia traham ad me ipsum (Giov. XII, 32). Poi quando noi ci facciamo a Lui appresso, quando gli stendiamo le braccia, quando gli allarghiamo il cuore, Egli ci abbraccia divinamente; e questo amplesso, in cui si abbondona Dio e si unisce personalmente cogli uomini, è la santissima Comunione!… Miei figliuoli, aprirovvi il mio cuore. In tutto che io dissi, che io feci con voi io mirava sempre qui, ad unirvi con Gesù nel santissimo Sacramento!… Ora ci siamo giunti!… è qui Gesù, che sta in mezzo di noi. Di che io non posso fare altro che esclamare: eccovi, Egli è proprio qui con noi sull’altare! eccovi, eccovi che vuol venire con noi nella santissima Comunione! È questa la nostra più cara Meditazione che divideremo in due punti. I. punto: Gesù è qui con noi nel Santissimo Sacramento colla sua Presenza reale; e noi come lo trattiamo? e noi come lo dobbiamo trattare? II. punto: Gesù Cristo dà tutto se stesso nella santissima Comunione; e a noi non resta che di gettarci in seno a Gesù, e far quello che vuole il cuor Suo amantissimo, il che vuol dire salvarci. Gesù adunque colla sua Presenza Realr nel SS. Sacramento qui con noi, Gesù che si dà a noi nella santa Comunione, ecco tutto il nostro argomento. Io per me mi gitterei col volto sul pavimento appiè dell’altare, e nel silenzio del labbro sfogherei l’animo mio non con altro che col pianto. Ma dovendovi parlare, datemi il vostro cuore che io ne ho bisogno per dirgli con voi: Gesù, Gesù! col tremito della tenerezza noi vi baciamo col cuor tutti insieme nel vostro Cuore amantissimo. E giacché ci lasciate fare, io metto la mia bocca al vostro Costato!… Deh che io mi risenta dell’esservi così vicino! Deh che io palpiti dei vostri palpiti; e che dal vostro Cuore mi fluisca quella parola calda del vostro Sangue, la quale pur passando su questa mia lingua di terra, infonda nei nostri figliuoli la vita eterna. O Maria, benedetta Madre di Gesù e Madre nostra, io ho bisogno di tutto il vostro Cuore e della vostra materna parola, per trattare il vostro più caro interesse, che è quello, di fare amare, come già voi in terra, Gesù nostro nel SS. Sacramento. –  Intanto io respiro già in mezzo di voi, consolato più che una madre la quale ha intorno alla mensa i suoi figliuoli tutti pieni di vita, a cui ella dà proprio volentieri il cuore… Oh sì, che io vi amo tanto; e troppo più che io non vi dica!… Nel vedervi correre tutti per ricevere Gesù io tranquillizzo il mio cuore per voi (vel confesso, già sempre agitato) colla consolante confidenza che nessuno di voi, sì, proprio nessuno di voi, uniti essendo con Gesù, si abbia da perdere ancora. No, Gesù mio, ve l’assicuro: sempre uniti con voi nel Sacramento li avremo tutti salvi in paradiso! – Deh, che mai ci dice la fede del santissimo Sacramento? Che Gesù è proprio qui in Persona. Santa fede!… Noi, per goder meglio della nostra sorte, fermiamoci col cuore a Lui, e contemplandolo guardiamo in quel suo Costato aperto; poi, quasi non credessimo nemmeno a noi stessi tanta nostra fortuna, fissiamogli come gli occhi in volto, col cuor che credendo l’ama tanto, consoliamoci rassicurati, esclamando: Gesù nostro!… Voi siete proprio qui?… Rendiamocene come più consapevoli col sentirlo dalla sua bocca stessa che ci sicura. Parla Gesù; e noi ascoltiamo, adorando la sua parola. Sono mille ottocento anni i quali provano che Gesù dice sempre la verità. Difatti, sono ben mille ottocento e più anni dacché Gesù là dinanzi alla maestosa mole del tempio di Gerusalemme fissando di mezzo ai discepoli quella smisurata montagna di marmi sclamava: Tempio, sarai distrutto; e prima che passi questa generazione: né di te rimarrà pur una pietra sopra altra pietra. — Ora sono mille ottocento anni che il tempio restò distrutto là così, da non poter fissarsi esattamente il luogo, in cui s’innalzava quel superbo edifizio. Ciò prova che Gesù Cristo son mille ottocento anni che dice sempre la verità. Fan mille ottocento anni che Gesù così piangeva: Povera Gerusalemme! tu non mi ascoltasti! Resterai sepolta sotto le tue rovine, e i Giudei saranno dispersi per tutta la faccia della terra, senza tempio, senza sacerdozio, senza esser un popolo, in mezzo a tutte le nazioni a fine di render testimonianza alla mia parola. — E i Giudei restano dispersi da per tutto tra le genti, senza mai confondersi con esse, senza mai potersi raccogliere a formare un popolo; e qui, là provano in faccia a tutto il mondo che sono mille ottocento anni che Gesù dice sempre la verità. – Tristi ai Giudei cui l’imperator Giuliano, nemico feroce di Gesù Cristo, chiamava da tutto il mondo, ed aiutava di forza a far risorgere dalle spaventose rovine più bello il tempio in onta della parola di Gesù Cristo! Allora i Giudei a portar tesori per la sospirata impresa; le donne offrire i gioielli e gli ori, e fin le proprie braccia a rifabbricarlo. Si scavano le fondamenta, rimossa pietra di sopra pietra; ma sbucano fuori le fiamme che, consumandoli, danno tale lezione, che più non ritenteranno per tutti i secoli la sacra impresa contro la parola di Gesù, il quale da mille e ottocento anni dice sempre la verità. – Su su, io vorrei dire agli increduli, volete un bel miracolo, che provi vera la parola di Gesù? Ve lo avete davanti; e pensate che concorrete voi stessi a farlo risaltare in faccia all’universo. Voi,  i quali colla potenza delle vostre sette scoronate a voglia i monarchi che non vi servono, voi che annettete i popoli, cambiate la carta geografica, create i regni, voi, dico, potreste dar la mentita a Gesù Cristo. Raggranellate i vostri giudei, formate un piccolo regno, sia pur microscopico: comprate un palmo di terra in quella squallida Gerusalemme, da erigervi su il tempio… – Che vi pare? Il Gran Turco, che è il padrone, lasciossi già vender l’Egitto, ed ora va cedendo le provincie: egli vi venderebbe anche il serraglio, perché non ne può più pel bisogno di danaro. I vostri Giudei tengono in lor cassa i denari di mezzo il mondo. Dei governi d’Europa sono indifferenti per Gesù Cristo, altri malignamente desidererebbero che la sua parola fosse smentita. Ma non è questo un miracolo! si vorrebbe vendere, nessuno impedirebbe di vendere; si hanno danari da comperare, è il desiderio il più ardente di tanti secoli di far questa compera; eppur non si compera mai… Questo miracolo lo fa la parola di Gesù che disse, da mille ottocento anni or sono: Tempio, resterai distrutto. Giudei, non regnerete più fino alla fine dei secoli. — E son mille ottocento anni che Gesù Cristo dice sempre la verità. – Era Gesù Cristo sulle rive di un laghetto in mezzo a pescatori poverini, i quali rattoppavano le reti, e loro con amabil parola diceva: Ma io vi farò pescatori di anime per tutto il mondo; tu poi, o Pietro, sarai la Pietra sopra cui edificherò la mia Chiesa, e neppur le potenze d’inferno ti abbatteranno. — E fu veramente così. Quei villanelli della Giudea eccoli dispersi per tutto l’universo: hanno successori a raccogliere anime, e sopra la prima Pietra il successore di Pietro sta a dispetto di tutte le eresie, a dispetto di tutte le potenze, a dispetto di tutte le rivoluzioni, immobile in mezzo a regni che cadono, tra le rovine del tempo sopra la terra: a scorno dell’inferno il Papa sta da mille ottocento anni, per la parola di Gesù Cristo che dice sempre la verità. – Ma se Gesù Cristo disse fino prima di nascere, e continua per mille ottocento anni a dire sempre la verità, ascoltate, ché ne dovrete intenerire alle lagrime. Un dì una povera donnicciola, a vederla, sposa di un artigiano andava su per una montagna a fine di visitare una sua parente. Quella vecchiotta, che vide venire a sé la donnina, esclama in giubilo: Oh che fortuna!… La madre del mio Signore che viene a me? — Allora l’ospite come rapita esclama: Magnificat anima mea Dominum: L’anima mia esalta il Signore!… Quia respexit humilitatem ancillæ suæ, ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes. Ma, sentite che diceella? « Perché il Signore guardò l’umiltà dellasua servetta, ecco che mi diranno beata tutte le generazioni! » Avrebbero detto gl’increduli: Donninamia, che di’ tu mai?… Che tutte le generazionidel mondo si abbiano ad interessarsi per te,meschinella?… Che tutte le generazioni dell’universoti abbiano a chiamare beata: beatam me dicent?…Oh vaneggia la poverina!… — Profani… tacetelà: quell’umile vergine è l’Eletta dall’eterno CreatorePensiero di Dio; è la più grande di tutte lecreature nella sua umiltà… è Maria Santissima, laquale ha in seno Gesù che le spira sul vergine labbro l’eternasua verità!… Figliuoli, voi l’avetein mano nel vostro uffizio la Sua profezia, e lacantate sempre nei vesperi: beatam me dicent omnes generationes.Ora guardate voi se d’allora sino aquesti dì non dice sempre la verità! Increduli e credenti, dite: non è egli vero che dal sommo Pontefice nel più gran tempio dell’universo,dai re,  dalle regine, fino alla povera figlia appié della Madonnina di gesso, tutti acclamano alla benedetta:« Oh Maria, tu sei beata! » Mettete pure tutti i monarchi ed i conquistatori, tutti i grandi eroi delmondo insieme, sì che mostrino se banno tantimonumenti eretti alla lor propria gloria quantiMaria ha santuari e chiese; altari e tabernacoletti.Sino sopra il letticciuolo del tapinello sta laimmaginetta appesa; e dappertutto tutte le genti delmondo la acclamano: Beatam me dicent omnenerationes… Maria SS. era inspirata da Gesù cheaveva in seno: e noi lo ripeteremo sempre, e doponoi tutti i secoli ripeteranno che Gesù Cristo dicesempre la verità. -Che dice adunque Gesù del Santissimo Sacramentocolla sua parola? Sentite la verità di Dio! QUESTO È IL MIO CORPO!… QUESTO È IL MIO SANGUE! …splendor di chiarezza del Verbo Divino sfolgora la  mente umana; e Se voi, o increduli, potete non credere, come potete anche morire senza speranza,  pur crede il mondo cattolico con tutti i suoi piùgrandi uomini dell’universo. Noi tutti adunqueadoriamo nel Santissimo sacramento il Corpo e ilSangue di Gesù Cristo.Meditiamo qui in prima come è qui proprio Gesùpresente di una presenza vera, reale, sostanziale inAnima e in Corpo; come vi è Dio-Uomo nellasua Persona divina. Meditiamo poi che Egli è quicon quel suo Corpo che combatté per noi sino all’ultimo sangue; meditiamo eziandio consolati che Egli è qui con quelle piaghe, con quel Cuore apertoe che ci vuole seco d’intorno in comunione di vitaper condurci salvi in paradiso.Nessuno mai; e neppure i popoli di tutte le falsereligioni che si creavano i loro déi a fantasia, e seli facevano a seconda delle loro passioni, no, nongiunsero ad immaginarsi che un Dio si potesse abbassarea questo modo. I Giudei provocavano arditamentele nazioni a mostrare se mai avessero unDio, il quale si fosse avvicinato a loro come il Diode’ cieli a trattar col popolo d’Israele era disceso.E per vero una volta re Salomone e tutto il popoloinsieme, dedicatogli il più gran tempio dell’universo,videro una maestosa nube discendere dalcielo, ingombrar tutto il gran santuario, e teneresopra di esso adombrata la gloria di Dio. Allora ree popolo in ispavento caddero bocconi per terragridando: Eh si deve pur credere ergo ne putandum est… che Dio si degni di abbassarsi così? —Anche là nel deserto, quando scorsero altra voltauna gran nube avvolgere intorno la montagna del Sinaiin tenebrore, e guizzarne lampi, rombare tuoni,traballare il monte in sussulto, la vetta andare infaville, ed una tempesta di folgori e di saette tenerliin pauroso rispetto davanti alla Maestà di Dio chesi mostrava presente, caddero tutti come un soluomo colla faccia nella polvere alle radici di essomonte, mettendo costernati le strida: Tremendo Dio,cui non osiam nominare, non parlate a noi, chénoi cadremmo morti alla vostra parola: parlate alvostro servo Mosè; ed ei ci ridica li vostri comandamenti!…— Passata poi la visione, gridavanoin vanto di gloria: No, no, non vi è nazione cosìgrande che abbia come noi così avvicinato Iddio! —Anzi, benché poi Dio si fosse lasciato intendereper mezzo dei profeti, e detto avesse come preparandoagli uomini un grandissimo dono, farebbe delconversare cogli uomini la sua delizia: Deliciæ meæ esse cum filiis hominum. (Prov. VIII, 31): eglino al tuttoal tutto non potevano giungere ad immaginarsi ilgran miracolo, d’ogni aspettazione maggiore, dellabontà del Salvatore nostro Dio, di volere cioè rimanere per tal modo nel Santissimo Sacramento. –  Deh! noi spargiamo la terra di fiori, vestiamo diarazzi preziosi le auguste magioni di Dio. Mille e mille, sul candor di quelle candele, svavillino lefiammelle tremolanti come i cuori nostridel santo amore; si slancino al cielo le cupole sublimi come la fede che le inspira… giacchéDio, è qui Dio con noi. Su su, verginelle e figliuoledi Maria; su, giovinetti dal puro cuore,attorno in terra quei cantici che gli ricantano gliangioli in cielo…. È qui Dio? E in qual contegnosta Dio?!! Gran Signore, dov’è quella destragettò, come una manata di polvere, i mondi nelfirmamento e li sorregge nell’ordine e nell’armoniadei moti? Dove è quel piede che, se tocca, riduce incenere i monti? Dove quella voce che chiamò fuoridal nulla l’universo, che se intimerà all’universo diritornare al nulla, l’universo non sarà più? Onnipotenza d’amore! Egli scorona dei raggianti baleniil volto divino e stassene qui muto: annichila pelpensiero nostro l’immensità, e rimane sotto le apparenze del pane mutato, dove gli uomini lo vogliono, o meglio, dove vuole Egli trovarsi, cioèdappertutto dove sono i suoi cari. Sia pure raccolto in poche capanne e catapecchie un piccologruppo di povera gente; ed Egli là si contenta didimorare in un ripostiglio a mezzo di loro. In unachiesuola coperta di edera, tappezzata di muschio, eziandio grommata di muffe, dentro untabernacoletto meschino, sotto poveri cenci è sempre Gesù,il quale accarezza l’anima più meschinella del mondose viene a Lui; ed è il vero tesoro di tutti, anche dei più piccoli cuori. Qui egli è l’amico, qui loSposo delle anime nostre: qui il Padre che accoglie a qualunque ora i suoi figliuoli… Ma non basta,  Egli è come il capo, il quale raccoglie intorno intorno noi come le più care membra del suo Corpo.Ed oh per miracolo d’amore quanto sa farsi piccino!Nol direi io, mai no!… Ma lo dice la suaamabile bocca. Sentite: Io sono come la chiocciasull’aia che chiama i suoi pulcini sotto dell’ali. Perriscaldarli col proprio petto! Quemadmodum gallina congregat pullos suos sub. alas (Matt. XXVII, 37). Tenerissimospettacolo, dice s. Agostino, è il contemplarecome la gallina madre in mezzo dell’aia stende leali, crocchia, crocchia e chiama in crocchiando tuttii pulcini intorno. I pulcini a lei si fan sotto, e voglionostarvi proprio tutti; ed ella arruffa le piume,la si fa grossa grossa a far il posticino per tutti.Quando se li tien insieme in se stessa ripiega il collo,se li accarezza e pipila pipila con essi sul cuore!Buon Gesù! Voi fate proprio così: « Venite, venite ad me omnes, venite a me, venitemi tutti, ci andateripetendo, reficiam vos; vi scalderò io tutticoi miei palpiti, vi ristorerò col Sangue mio! — AGesù adunque il pensiero, il cuore, a Lui intornotutta la nostra vita.Del sicuro, per un fedele, il quale ha cuore, nonv’è nel mondo santuario più devoto, né più caro diuna chiesuola dove dimora in Persona il nostro benamato Gesù. Vanno i devoti ai santuari, massime ,a quelli di Maria Santissima. In essi nel dì dellavisita sentonsi come in casa propria di nostra santaMadre; e appendono con cura amorosa quei lorovoti d’argento, quasi vi attaccassero il cuore, dall’unae dall’altra parte dell’Immagine sacra alla divozionedei popoli. Bene sta: è una tenerezza versoalla nostra beata Madre in cielo. Ma per me e pervoi, il santuario più caro è il tabernacoletto in cuialberga il Santissimo Sacramento. Si, Gesù, buonDio nostro, quanto è dolce cosa abitare nella vostratenda! Chi ci concede che noi vi troviamo, etroviamo Voi solo? che godiamo di Voi, né creaturaalcuna da Voi ci allontani; né guardi pure anoi, ma che Voi ci parliate come amico ad amico? (Imit. Di G. C. lib. 4).Deh, vi preghiamo, trasformateci in Voi; poiché, sesiamo cuore a cuore con Voi, si ristora la nostra persona,e respira in seno a voi il profumo di unavita migliore; e un giorno, un’ora goduta insieme con Voi solo consola l’anima più che mille anniperduti per questo mondo che finisce di non accontentarenessuno: Quam dilecta tabernacula tua, Domine! (Ps. LXXXIII, 2). Cerchiamo, fratelli, di stare col cuorein Gesù, e cesseremo di essere infelici!Ai tempi di fede più viva si vedevano principi ere, lasciate le mollezze dei loro palazzi, a capo deiloro eserciti, cavalieri a capo di popolazioni intieree fino schiere folte di giovanetti, come in Ungheriaed in Polonia, muovere alla volta di Terra Santa.Pigliata che avevano la croce sul petto, sfidavanopericoli di viaggi più disastrosi; e con una fedeche comanda ai venti, cimentavansi attraverso ai mari, montavano sulla testa alle tempeste, e intimavanoai furenti marosi di gettarli sulle turchecoste marine. Là sbarcati, rizzavano alto il Crocifisso, sventolavangli sotto lo stendardo della Madonna;poi, serratisi intorno con una selva di lance,brandendo con una mano la spada, col Rosario nell’altra pregavano e combattevano. I Turchi in agguato dalle giogaie del Tauro irrompevano lor addosso; ed essi aprivansi il varco in mezzo ai feroci, seminavano di ossa il deserto, ma sempre col grido di guerra: avanti! ché chi muore per Gesù, trionfa sempre! Si sentivano contenti che pochi potessero giungere alla Terra Santa a compiere il voto del devoto peregrinaggio. Arrivati sotto le mura delle città liberate dai Turchi fuggiti dall’assedio al sopraggiungere dei prodi crociati, uscivano fuori respirando i Cristiani, e correvano in mezzo alle loro tende per medicare le piaghe ai loro liberatori. Quindi: venite, dicevano a quei bravi, qui giù in questa grotta di Betlemme. Questo è il Presepio, li la greppia, e in fondo su quel sasso la Madonnina santa depose il Bambino Gesù nella più bella notte del mondo. — Quei guerrieri cadevano per terra ginocchioni con quelle ispide facce riarse dalle battaglie; baciavan quel sasso in singhiozzi come le femminette, e pareva lor di baciare i piedi al Bambino Gesù! Poi conducendoli in giro: è questo il villaggio dove abitava sovente Gesù; questo il pozzo, e su quel davanzale lì Ei si sedette a convertire la Samaritana. — Quei guerrieri nelle loro estasi popolavano quei cari luoghi immaginandosi le turbe su per quei poggi correre appresso a Gesù coi cuori affamati del pane della vita. Entrati nell’orto di Getsemani indicavano: Qui sotto questi olivi, su quelle antiche ceppaie, che sono ancora le stesse, Gesù sudava Sangue pei nostri peccati!… — E quei prodi caduti per terra si battevano i petti coperti dell’usbergo di ferro, gridando misericordia! Pareva loro di fissare gli 0occhi a Gesù nello spasimo della sua agonia; e facevano atti di contrizione unendo il proprio al suo dolore divino. Poi in Gerusalemme loro si diceva: eccovi la via per cui passò Gesù Cristo portando la croce; e di li gli correva appresso Maria. Ancora adesso, vedete, fino i Turchi la chiamano la via di tutti i dolori… Ah la Madre addolorata vedeva su quei sassi le strisce di Sangue che perdeva il suo Gesù… Questo ceppo di colonna è quello che segna il luogo dove ella giunse ad abbracciarlo sotto la croce!… — Quei valorosi si protendevano colle braccia larghe sulla strada, e coi gemiti: Gesù e Maria! sospiravano, quasi baciassero a loro i santissimi piedi! — Levatevi su, dicevan loro, venite nella chiesa al santo Calvario. Qui pigliando per mano quei trepidanti: montate su, dicevano, sopra questo santo Monte. Vedete? questa è la rupe che si spezzò nell’ora dell’agonia e restò qui così. Proprio in questo buco era piantata la croce: Maria Santissima dovette star li; e il Sangue di Gesù pioveva su questi sassi!… e l’addoloratissima nostra Madre, pensate! … restava tutta bagnata di Sangue!… — A tutti scoppiava il cuore; tremavano le loro ginocchia; e buttatisi bocconi col fremito di compunzione e con acuto dolore baciavano quella roccia bagnata del Sangue di Gesù, la riscaldavano col proprio ardore, e parlavan coi palpiti del cuore sopra essa. Ma: eccovi il santo Sepolcro qui, il quale non ha più cadaveri da gettar fuori pel di del giudizio. Di li Gesù risorse glorioso: mettete dentro il capo ad osservarlo. — A quei buoni campioni pareva di metter proprio la testa sulla porta del paradiso: poi raccoglievano un po’ di polvere, staccavano un sassolino da quei luoghi consegrati dal Sangue di Gesù portandoli quali preziosa reliquia per le loro famiglie, le quali li riabbracciavano salutandoli: oh i fortunati! Fortunati, noi pure ripetiamo, fortunati i discoli e le turbe che poterono avvicinare Gesù, e toccargli fino le vesti. E Maddalena non fu fortunata? la benedetta sedevasi proprio ai piedi di Gesù, e beveva estatica le parole che piovevano celesti consolazioni da quel labbro divino. E gli Apostoli, che sempre d’intorno venivano pascolati di celeste dottrina da quell’amabilissima bocca? Ma più di tutti fortunata Maria. Ella è ben la cara divozione dei popoli quella di contemplare la Verginella Madre beata col divin Bimbo in grembo; né il genio dei pittori restò mai esaurito nel presentarla nelle più amabili e devotissime forme: ché la Madonnina col Bambino Gesù attrae sempre gli occhi e il cuore dell’uomo a contemplarli. Eppure io qui vorrei dirvi, e fatene pur le meraviglie, ché ne avete ragione, anche noi essere fortunati con Essa. Poiché abbiamo proprio Gesù medesimo qui con noi. Anzi, se si può parlare così di Dio, il quale merita di essere amato sempre sopra ogni tosa, pare che qui abbia maggiore merito, ove possibil fosse, di essere amato di più, essendo Egli qui con noi dopo di averci salvati a costo della propria vita. Ora meditiamogli sulle sue Piaghe. Ma giova innanzi osservare che, siccome Gesù è Dio eterno, così i tempi sono in Lui come un solo momento. Quindi noi possiamo adorarcelo, o come Bambino, o là come era nella casa di Nazaret, o in passione sulla croce, o col cuore squarciato e tutto una piaga sulle ginocchia di Maria, ovvero com’è nel cielo. In questo momento facciamo noi di contemplarcelo Bambino a guisa di quell’anima tenera di s. Bernardo, il quale gli diceva: Gesù mio, quando vi contemplo piccino di più, e più amabile mi siete. — Or via. datemi voi, o fratelli, qui tutti il vostro cuore, e facciamo di baciare tutti il Bambino Gesù, perché ce lo permette Maria Santissima, la quale lo lasciò baciare ai pastori. O Bambino nostro Gesù, deh lasciateci baciare la vostra Testina… Oh ve’… sotto questi ricciolini dorati vi sono ancora i fori che vi fecero le spine, quando siete venuto su grande a morire per noi… O Bambino Gesù, lasciateci baciare le vostre Manine!… Oh ve’… in queste vostre Manine vive vive ancora appaiono le Piaghe che vi fecero quei chiodi per noi!… Gesù nostro! vi vorremmo baciare nel Cuore… Ah questo Cuoricino geme ancor Sangue tra quelle vampe d’amore e palpita tutto per noi!… – Dite ora voi, o fratelli, se non si debba amare, troppo più che non si possa, nel Sacramento Gesù, solo che ridestiate la fede. Pensate infatti, quando un prode guerriero, dopo di aver combattuto per la patria; per le spose, pei figliuoli e per gli altari, ritornava in trionfo tra i suoi diletti, come era una festa per tutti. Tutto il popolo intiero muoveva ad incontrarlo in folla; e al vederlo comparire era un evviva unanime. Ristavansi poi tutti un istante… e lasciavano andare innanzi chi? il vecchio padre tremolante. Ei gettavaglisi tra le braccia, e pareva a lui di ringiovinire alla vita in gloria sul petto del figliuol glorioso. Poi la vecchierella madre, la buona madre lo mostrava ad ognuno trionfante, com’era, e felice di quel suo gran figliuolo: i suoi Tarchi a strincersi alle ginocchia di lui, e su a baciargli le mani; e la sposa in estasi di gioia stracciare i veli più fini per medicargli sul petto le piaghe onorate; e tutti a disputarsi una parolina da lui, un sorriso almeno, un’occhiata, un cenno di saluto. Era una consolazione ed un gaudio che mai lo maggior per tutti. Deh, deh! meglio noi colle lacrime della più viva gioia festeggiamo Gesù trionfante dalla battaglia, la quale dall’inferno ci liberò. Egli è qui risorto, e porta sulla divina Persona quelle Piaghe gloriose che ebbesi a toccare nel battersi per noi: egli è qui, e ci porge quelle membra che si son battute a nostro vantaggio fino all’ultimo Sangue. Egli è qui con quel Sangue, cui egli ha versato fino all’ultima goccia. Oh cara vita del nostro Gesù, e dove ho il mio cuore, quando non l’ho qui tutto con voi? Ah quando si pensa che lo lasciamo tanto tempo senza dargli un pensiero, per non sentirne disdegno bisogna proprio avere compassione delle povere anime nostre, cui tanti nonnulla del mondo portano lontano dal Sommo Bene nostro Gesù! Ridestiamo la fede, fermiamo un poco il pensiero; ed il nostro cuore allora dovrà troppo più teneramente che io non dica amare Gesù. Fate voi questa prova.