LA GRAZIA E LA GLORIA (40)

LA GRAZIA E LA GLORIA (40)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO VIII

LA CRESCITA SPIRITUALE DEI FIGLI ADOTTIVI DI DIO. — I SACREMENTI, E SPECIALMENTE L’EUCARISTIA, SECONDO MEZZO DI CRESCITA.

CAPITOLO II

I principali effetti del cibo eucaristico: la vita divina e l’unione sempre più stretta dei comunicanti nell’unità della stessa Persona morale con il Figlio di Dio fatto uomo.

.1. Questo titolo indica due dei tratti principali sotto i quali l’effetto proprio dell’Eucaristia divina è presentato dalla rivelazione. Dopo averli meditati, considereremo gli altri e potremo vedere come tutti contribuiscano insieme allo stesso obiettivo di crescita. – Il primo effetto del cibo eucaristico è la vita. Chi ci insegna questo? Colui stesso che ce l’ha donato così liberamente. Raccogliamo con amore ciò che Egli stesso si è degnato di raccontarci nel Vangelo di San Giovanni. Parlò alla folla che, deliziata dal miracolo della moltiplicazione dei pani, era andata a cercarlo oltre il lago di Tiberiade: « Io sono il pane di vita; i vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti. Io sono il pane disceso dal cielo, perché chiunque ne mangi non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che Io darò è la mia carne per la Darò la mia carne per la salvezza del mondo » (S. Giov., VI, 48-52). I Giudei, a questo linguaggio, esclamano: « Come può egli darci la sua carne da mangiare? » E Gesù disse loro: « In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda » (S. Giov. VI, 53-56). – È dell’Eucaristia che Gesù Cristo parlava; e farei un torto al lettore se mi soffermassi a dimostrargli una verità così evidente. Ma vedete con quale insistenza Egli afferma il frutto di vita che questo pane dal cielo debba produrre in colui che lo riceve. Non gli basta fare una sola affermazione, anche se questa affermazione, uscendo dalla sua bocca, è infallibile nella sua certezza; occorre che Egli ne ritorni sopra più di dieci volte nel corso della stessa conversazione, tanto vuole che la sua dottrina entri profondamente nel nostro cuore. Fa anche di più. « Come mio Padre – Egli dice – che è vivente (la Vita stessa), mi ha mandato, e Io vivo per il Padre mio, così anche chi mangia me vivrà per me » (Ibid. 58). Questa è la ragione ultima che rende la carne di Cristo viva e vivificante: essa è la carne dell’eterno Figlio di Dio. « Come il Padre ha la vita in sé, così ha dato al Figlio la vita in sé » (S. Giov. V, 26). E questa carne, che con l’Incarnazione è diventata la carne del Figlio di Dio, è dunque la carne della Vita. Come può non essere vita e vivificante? Ma per chi sarà così, se non per coloro che lo ricevono come cibo divino e che se ne nutrono? – È qui che dobbiamo ricordare la legge che presiede ai Sacramenti della Nuova Alleanza: ciò che essi significano con simboli esterni, lo producono. Ora, il cibo è il mezzo naturale per mantenere o conservare la vita in noi; un mezzo così indispensabile che, secondo il corso ordinario delle cose, non mangiare più significa essere morti o avanzare rapidamente verso la morte. Pertanto, l’effetto del cibo eucaristico, per essere analogo a quello del cibo comune, le cui apparenze rivelano la carne di Gesù Cristo, deve essere anche la vita: non più, ovviamente, la vita sensibile e mortale nutrita dalla manna nel deserto, ma la vita soprannaturale, immortale e divina. Innanzitutto, vita dell’anima perché questa è la vita dei figli di Dio; ma anche vita gloriosa del corpo risorto, coronamento e corollario della vita spirituale. – Di tutti gli effetti dell’Eucaristia, questo è forse quello che compare più spesso negli scritti dei Padri e dei Dottori. Cominciamo con il grande campione dell’unità della persona in Gesù Cristo, san Cirillo di Alessandria, il vittorioso avversario di Nestorio che, con il pretesto di salvaguardare la distinzione delle nature, separava Dio dall’uomo, il Figlio dal Padre e il figlio dalla Vergine, privando così quest’ultima della gloria della sua maternità divina. Ecco l’argomentazione inoppugnabile con cui il nostro grande Dottore sconfiggeva l’eresiarca: « La carne di Cristo non è solo carne viva, ma carne che dà vita. Da dove lo sappiamo? Da Lui stesso, perché ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Se il ferro penetrato dal fuoco diventa esso stesso fonte di luce e di calore, come può essere non credibile che il Verbo del Padre, che è vita per essenza, renda vivificante la carne che si è unita? Perché essa è davvero la sua carne e non quella di un uomo distinto e separato da Lui. – « Ma se, rompendo l’unione reale, si separa questa stessa carne dal Verbo di vita, come si potrà mai dimostrare che essa possiede la virtù di vivificare? Poiché dunque il corpo del Verbo è vivificante, questo corpo, diventato suo con un’unione ineffabile ed incomprensibile; noi, che l’Eucaristia rende partecipi di questa carne divina, riceviamo la vita: perché in noi il Verbo abita, non solo come Dio attraverso lo Spirito Santo, ma anche come uomo attraverso il suo sacro Corpo e il suo preziosissimo Sangue » (S. Cirillo. Alex, L. IV, c. Nestor. P. Gr., vol. 76, p. 189, ss; col. Apolog. c. Orieut, ibid. p. 373 ss.). – Così il Sacramento produce vita in noi, perché contiene il vero Corpo di Dio fatto uomo. La stessa influenza vivificante della carne di Cristo Gesù è ancora un’arma che è servita ai Padri per combattere vittoriosamente altre eresie. Nessuno l’ha impugnata in modo più affidabile e prepotente di Sant’Ireneo di Lione, nella sua lotta contro gli gnostici. Egli Scrive: « Quanto sono vani coloro che, disprezzando l’economia universale del nostro Dio, rifiutano di credere nella salvezza della carne e si fanno beffe della sua futura rigenerazione, con il pretesto che non sia in grado di ricevere mai l’incorruttibilità. No, se non c’è salvezza per la nostra carne, né il sangue del Signore ci ha riscattato, né il calice dell’Eucaristia è la comunione dello stesso sangue, né il pane che spezziamo, quello del suo stesso corpo. Il legno della vite piantato nella terra porta frutto a suo tempo; il chicco di grano, caduto in terra e passato attraverso la corruzione, esce moltiplicato dalla benedizione di Colui che conserva tutte le cose, per servire agli usi dell’uomo. E questi frutti della vite e del grano, in virtù della parola onnipotente di Dio diventano l’Eucaristia, cioè il corpo e il sangue di Cristo. Così i nostri corpi, nutriti dall’Eucaristia e deposti nella terra per tornare alla polvere, risorgeranno a suo tempo, a gloria di Dio Padre (S. Iren, c. Hæres, L. IV, c. 33 n. 2, e L V. c. 3, n.2 e 3 P. Gr. t. 7, p. 1073, 1125, sqq.).

2. – Un altro carattere degli effetti dell’Eucaristia: l’unione del capo con le membra e delle membra tra loro, nell’unità del Corpo mistico di cui Gesù Cristo è il Capo. – Che l’Eucaristia sia un principio di unione tra Gesù Cristo che vi si dona e il Cristiano che ne viene nutrito, è il Salvatore stesso che ce lo insegna, proprio nel luogo in cui ce lo propone come fonte di vita: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui » (S. Joan. VI, 37). Può esistere un’alleanza più stretta? S. Agostino, fondando sulla parola del Maestro, vuole che si riconnetta a questo effetto la vera manducazione del corpo di Gesù Cristo: « Il segno che un uomo ha mangiato il corpo e bevuto il sangue del Signore è che egli dimora e rimane in Cristo, e che Cristo dimora e rimane in lui. Signum quia manducavit et bibit, hoc est; si manet et manetur; si habitat et inhabitatur » (S. August. In Joan. Tract. 27, n. 1; 26, n. 18; col. Serm. 227e 272). I peccatori non ricevono il corpo e il sangue di Gesù Cristo? Sì, essi lo ricevono; ma nel riceverlo non mangiano e non bevono come bisogna bere e mangiare. È una comunione solo corporea, laddove dovrebbe esserci una comunione secondo lo spirito. E poiché il mangiare spirituale deve essere il necessario coronamento di ogni mangiare sacramentale, da ciò consegue che per il santo Dottore unirsi corporalmente all’Eucaristia, senza che l’unione passi alla parte più intima del cuore, non è aver mangiato questo cibo divino (Questo è ciò che lo stesso Sant’Agostino scrisse contro i Donatisti il cui scisma stava allora frantumando l’unità del Corpo mistico di Gesù Cristo in Africa. Nella sua controversia con i pelagiani che, negando il peccato originale, promettevano la vita eterna ai bambini morti senza battesimo, e non rifiutando che il regno di Cristo lo stesso santo non teme di invocare contro di loro la parola del Signore: « Se non avrete mangiato la carne del Figlio dell’uomo, non avrete la vita in voi ». Non che egli consideri la ricezione effettiva e sacramentale dell’Eucaristia come universalmente necessaria per la salvezza: San Fulgenzio, suo illustre discepolo, lo vendicò di tale accusa; ma è che non c’è giustificazione per coloro che non sono entrati nel Corpo mistico di Gesù Cristo. Il Battesimo, che ci rende figli di Dio, ci inserisce come nuovo membro in questo corpo spirituale e vivente. « Ora – si chiede San Fulgenzio – colui che diventa membro del corpo del Cristo, come fa a non ricevere ciò che egli diviene? Perciò, con la rigenerazione del santo Battesimo, egli diventa ciò che deve ricevere, nel Sacrificio dell’altare. Pertanto, non si può dubitare che ogni fedele partecipi al corpo e al sangue del Signore, quando il Battesimo lo unisce a Gesù Cristo come suo membro; e anche se lascia questo mondo prima di aver realmente mangiato questo pane e bevuto questo calice, vi comunica, poiché questo è ciò che l’uno e l’altro significano. » S. Fulgent, ep. 12, n, 24-26; col. s. August, de Peccat. merit, et remiss, L III, c. 4; L. I, c. 2, 3; etc.). – La stessa virtù dell’Eucaristia ci viene dimostrata anche dalla legge del simbolismo sacramentale. Come abbiamo detto, i nostri Sacramenti non sono solo segni; hanno anche la virtù di produrre ciò che significano. Se Gesù Cristo si dona a noi sotto forma di cibo è perché vuole unirci a sé in un’unione non identica, è vero, ma analoga all’unione del cibo con colui che lo incorpora. – Questa stessa conclusione è necessaria anche se consideriamo la fonte da cui scaturisce il Sacramento dell’altare. –  « Prima della festa di Pasqua – dice il discepolo prediletto – Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre suo, come aveva amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine ». (S. Joan. XIII, 1); fino all’eccesso, traducono alcuni interpreti. E cosa ha fatto per mostrare loro questo amore incomparabile? Senza dubbio, Egli va incontro alla morte per loro, e « nessuno può avere un amore più grande che dare la vita per i suoi amici » (S. Joan. XV, 14).  Tuttavia, queste parole del racconto evangelico, venendo immediatamente prima della narrazione della cena in cui fu istituita la Santa Eucaristia, devono riferirsi ad essa, e quindi significano che essa ha come principio un eccesso di amore. – Ora, la prima esigenza dell’amore è l’unione; perché esso è per natura e per eccellenza « una virtù unitiva », per usare la nota espressione del grande Areopagita (Dionigi, de Div., nom., c. 4). Chiedete alle madri, chiedete agli amici, chiedete a ogni cuore amorevole se non sia così. L’amore umano desidera costantemente la presenza di coloro che ama; e quando la separazione è necessaria, non ha industrie sufficienti a mitigarne gli effetti. Da qui questi pegni di ricordo, queste rappresentazioni di persone care che vengono scambiate, questo commercio di lettere, questa ansia di tornare e queste gioie del ritorno (Lessius, de Summo bono, L. II, c. 12). – Ma ancora più veementi sono le aspirazioni dell’amore soprannaturalizzato dalla grazia. Non è stato forse questo che ha fatto dire a San Paolo: « Ho sete della mia dissoluzione per essere con Cristo » (Fil. I, 23), esso che rende la terra un luogo di esilio, una valle di lacrime, un soggiorno così intollerabile per le anime santificate dall’amore divino, che solo questo amore può ispirare loro pazienza per sopportarne le tristezze. – Gesù Cristo Nostro Signore stava per lasciare i suoi discepoli; stava tornando da Colui che lo aveva mandato e li stava lasciando in un mondo malvagio e corrotto dal quale sarebbero stati perseguitati, come Lui stesso era stato perseguitato. Altri discepoli che, nel corso del tempo, si sarebbero uniti in gran numero a questo primo nucleo della Chiesa, non avrebbero avuto nemmeno la consolazione di aver goduto per qualche giorno della sua presenza visibile. Fate questo – dice – in memoria di me, ed ecco, io rimango con voi fino alla consumazione dei secoli. Questa è l’istituzione e il fine dell’Eucaristia. Egli se ne va, ed Egli resta; sale al cielo e resta sulla terra; assente e presente. Non solo Egli resta con noi, ma vuole essere in noi. Mangiate, bevete, saziatevi della mia carne e del mio sangue: la mia carne è cibo e il mio sangue è bevanda. Ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio, che può mettere l’onnipotenza al servizio dell’amore. – Ecco l’unione corpo a corpo e cuore a cuore. Se amo il mio Salvatore Gesù come Lui ama me, devo ringraziarlo infinitamente per questo grande dono, e non ho desiderio o felicità più grande che sedermi a questo banchetto di unione così divinamente preparato per me nell’Eucaristia. – Ma, per quanto possa essere dolce per il mio amore avvicinare la carne di Cristo alla mia carne, è comunque una cosa da lasciarmi dei rimpianti. Perché è molto fugace. Non dobbiamo pensare che la Comunione ci metta in possesso permanente del corpo e del sangue di Gesù Cristo. La loro presenza in noi dipende, come abbiamo notato, dal destino delle specie sacramentali. Quando, quindi, l’azione dell’organismo ha fatto perdere loro le proprietà costitutive, il corpo e il sangue di Gesù Cristo possono anche essere in un altro petto, ma non saranno più nel nostro. Immaginare che la sacra carne del Salvatore sia permanente nel corpo del comunicante, una permanenza che corrisponderebbe o alla conservazione della grazia o all’eccellenza della carità, è alimentare una pura chimera, che nulla autorizza e che tutto ci obbliga a rifiutare. È vero che, essendo stato battezzato, ho ancora il diritto di partecipare al Sacramento, se ne sono degno, e questa è la mia felicità e la mia gloria; ma non posso illudermi di essere sempre la teca dove riposa la carne del mio Salvatore. Ancor meno potrei ammettere, come alcuni con più pietà che conoscenza immaginavano un tempo, che non avendo più il corpo, io conservi in me l’anima del Cristo, se almeno l’ho meritata con l’intensità del mio fervore. Questo significherebbe dimenticare che l’anima sia nel sacramento solo per concomitanza. Gesù Cristo non ha detto, e il sacerdote sull’altare non ripete in suo nome: Questa è la mia anima; oppure: Questo è il mio corpo e la mia anima. Egli dice: Questo è il mio corpo; e poiché il corpo di Cristo è vivo di vita immortale, l’anima segue, per così dire, il corpo, dal quale è ormai inseparabile. Ora, se l’anima è nell’Eucaristia solo per la sua unione con il corpo, è evidente che essa non vi rimarrà senza di esso. Ne deriverebbe, inoltre, un’altra conseguenza che il buon senso e la filosofia rifiutano: è che quest’anima, inseparabile da un corpo immortale, sarebbe allo stesso tempo separata da esso, poiché rimarrebbe dove ha cessato di essere. – Per essere nel vero, rappresentiamo la carne di Gesù Cristo, nell’Eucaristia, come lo strumento con cui la divinità ci tocca nel modo più profondo del nostro essere per comunicarci la sua vita. Ora, a questo scopo, un contatto è sufficiente. Non fu forse in questo modo che il Salvatore risuscitò la figlia di un principe della sinagoga e che operò quell’altra guarigione che gli faceva dire: una virtù è uscita da me? Ma allora, mi direte, l’unione eucaristica non è più un’unione; è al massimo una visita di pochi istanti, un contatto transitorio. Sì, senza dubbio, se si guarda solo all’unione corporea; no, se si tiene conto del fine per il quale Gesù Cristo ci ha donato il suo corpo come cibo e il suo sangue come bevanda e l’effetto che producono: l’unione della carne di Gesù Cristo con la nostra carne ha il suo compimento nell’unione permanente dello spirito, che essa realizza simboleggiandola. – Questo è ciò che spiega mirabilmente il nostro grande Bossuet in una magnifica pagina che trascriverò interamente, tanto essa getta luce sulla questione che ci occupa. Egli voleva mostrare, a gloria di Maria, quanto l’alleanza spirituale, questa alleanza che si realizza con la grazia, sia stretta e perfetta, tra Gesù e la sua divina madre, « poiché deve essere giudicata in proporzione a quella del corpo ». Ecco come parla: « Permettetemi, vi prego, di approfondire un sì grande mistero e di spiegarvi una verità che non sarà meno utile per la vostra istruzione di quanto sarà gloriosa per Maria. Questa verità, Cristiani, è che Nostro Signore Gesù Cristo non si unisce mai a noi con il suo corpo se non con l’intenzione di unirsi più strettamente nello spirito. Tavole mistiche, banchetto adorabile, e voi, altari santi e sacri altari, vi chiamo a testimoniare la verità che vi sto proponendo. Ma siate voi stessi testimoni, voi che partecipate a questi santi misteri. Quando vi siete avvicinati a questa mensa divina, quando avete visto Gesù Cristo venire a voi nel suo stesso Corpo, nel suo stesso Sangue, quando in voi lo ha messo la bocca, ditemi, avete pensato che volesse fermarsi al corpo? Dio non voglia che tu lo abbiate creduto, e che lo abbiate ricevuto solo nel corpo Colui che corre da voi per cercare la vostra anima. Coloro che l’hanno ricevuto in questo modo, che non sono uniti nello spirito a Colui di cui hanno ricevuto la carne adorabile, hanno invertito il suo proposito, hanno offeso il suo amore. Ed è questo che fa dire a san Cipriano queste belle ma terribili parole: Vis infertur corpori et sanguini (Lib. de lapsis). – « E cos’è, fratelli miei, questa violenza? Anime sante, anime pie, voi che sapete gustare Gesù Cristo in questo adorabile mistero, voi intendete questa violenza: Gesù cercava il cuore, ed essi lo hanno fermato nel corpo ove Egli non voleva passare; essi hanno impedito a questo Sposo celeste di completare nello spirito la casta unione a cui aspirava: essi lo hanno costretto a trattenere il flusso impetuoso delle sue grazie con cui voleva inondare le loro anime. Così il suo amore subisce violenza; e non dobbiamo stupirci se, violato in questo modo, passa all’indignazione e al furore: invece della salvezza che ha portato loro, opera la loro condanna in loro; e ci mostra con la collera, la verità che ho esposto, cioè che quando si unisce corporalmente, vuole che l’unione dello spirito sia proporzionata all’unione del corpo. (Bossuet, de serm. sur la nativ, de la sainte Vierge, 2° part.). L’ultima parola del mistero è che Cristo è nella sua umanità la via che ci conduce alla sua divinità; lo è con la sua dottrina, con i suoi esempi, con i suoi meriti; lo è, in modo più forte e dolce, con la comunione della sua carne e del suo sangue nel Sacramento eucaristico.

3. – L’Eucaristia, principio di unione tra il Dio-Uomo e ciascuno dei fedeli, è anche la causa dell’unione che deve legare le membra nell’unità del Corpo mistico di cui Gesù Cristo è il capo. Il Salvatore stesso ce lo fece capire quando, dopo aver istituito questo adorabile Sacramento e averlo distribuito ai suoi Apostoli, pronunciò questa memorabile preghiera: « Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola; Io sono in loro e Tu in me, perché siano una cosa sola . Io sono in loro e voi in me, perché si consumino nell’unità » (S. Giov. XVI, 11, 21-23). Questo è il frutto naturale dell’Eucaristia che Egli chiede al Padre per loro. Il grande Apostolo lo aveva capito bene, perché così parla di questo Sacramento dell’unità nella sua prima lettera ai Corinzi: « Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse la comunione del sangue di Gesù Cristo, e il pane che spezziamo non è forse la partecipazione al corpo del Signore? Poiché c’è un solo pane, siamo tutti un solo corpo, tutti noi che partecipiamo allo stesso pane » (1 Cor. X., 16-17). – Ammiro questa meravigliosa unità che regnava nei primi tempi della Chiesa, « quando la moltitudine dei credenti era di un sol cuore e di un’anima sola, e nessuno considerava come proprio ciò che possedeva » (Atti IV, 32). Ma da dove pensate che provenisse questa concordia e questa unità? Ascoltate: « Erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli, nella comunione della frazione del pane e nelle preghiere. E coloro che credettero, vissero insieme, e avevano tutte le cose in comune… Continuavano ogni giorno nel tempio, uniti nel cuore e nella mente, e spezzavano il pane nelle loro case » (Atti II, 42-46). La comunione della frazione, ricordata sia all’inizio che alla fine di questo delizioso quadro, ci dice abbastanza chiaramente da dove ha avuto origine questa comunità, senza pari nella storia del mondo. Non mi sorprende, quindi, sentire il Santo Concilio di Trento chiamare l’Eucaristia « segno dell’unità, vincolo della carità, simbolo della pace e della concordia » (Sess. XIII, c. 8), e presentarcela «come l’emblema divino di quell’unico corpo di cui Gesù Cristo è il capo, e al quale noi dobbiamo essere legati come membri dal più stretto vincolo di fede, speranza e carità” (ibid. c. 2). Questo è stato anche il pensiero del IV Concilio Lateranense quando ha insegnato che Cristo ci ha dato il suo corpo e il suo sangue « affinché, per completare il mistero dell’unità, ricevessimo dal suo ciò che lui ha ricevuto dal nostro » (Conc. Later. IV, cap. Firmiter). – I Padri sono inesauribili quando celebrano questo evento così importante del sacramento dell’altare. Si compiacciono di mostrarla visibilmente espressa dalle sostanze materiali, i cui accidenti esterni sono l’elemento sensibile della divina Eucaristia. Queste migliaia di chicchi di grano pestati insieme per formare un’unica pagnotta, tutti questi grappoli che versano il loro delizioso succo per riempire un’unica coppa, rappresentano per loro quell’unità dei fedeli che, nell’intenzione del Salvatore Gesù, il sacramento deve produrre simboleggiandola: perché, non bisogna mai dimenticarlo, ciò che il sacramento simboleggia, lo fa. (S. Gaudent, Brix, serm. 2, Pat. L., 120, p. 860, e S. August, passim). Un’altra immagine efficace dell’unione dei Cristiani. Quale altra efficace immagine dell’unione dei Cristiani tra loro se non questo « banchetto comune delle anime » (“Mensa communis animarum“, Gulielm. Paris, de sacr. alt., 2), dove tutti vengono a sedersi, ospiti dello stesso Dio, figli della stessa madre, mangiando lo stesso pane e bevendo la stessa bevanda. In tutte le epoche storiche, le feste hanno avuto il privilegio di essere segno e principio di unione. L’antichità sacra e profana ce ne offre infiniti esempi (Fustel de Coulanges. La cité antique, c. 7. La religion et la cité, p. 179, ss). Condividere lo stesso cibo, bere la stessa coppa, soprattutto quando questa coppa e queste carni erano state consacrate come un’offerta alla divinità, era di stipulare un’alleanza che non poteva essere infranta senza una specie di sacrilegio. Questo è ciò che producono i banchetti della terra. Quale deve essere allora, mio Dio, la virtù di questo cibo divino che hai preparato per noi nel tuo infinito amore per unirci tutti, poveri e ricchi, grandi e piccoli, nell’unità dello stesso cuore e dello stesso corpo? Alla vostra tavola non si condivide un cibo ordinario, ma il vostro unico Corpo e il vostro unico Sangue, che tutti ricevono per intero: il Corpo e il Sangue di un Dio. – Oserò dire ciò che ho letto nel più grande e più santo dei nostri e il più santo dei nostri Dottori? Con il potere di questo cibo sacro diventiamo concorporei e consanguinei tra di noi. « Perché riceviamo il santo elogio? Non è forse così che Cristo può abitare in noi corporalmente, attraverso la comunione della sua sacra carne? L’Apostolo ha scritto divinamente delle nazioni che sono diventate concorporee, co-partecipanti e coeredi di Cristo (Efes. III, 6). E come sono diventati concorporei? Attraverso la partecipazione all’Eulogio mistico, cioè l’Eucaristia (S. Cirillo Alessandrino L. IV, c. 4, c. Nestor, P. Gr; t. 76, D. 193). Così parla San Cirillo di Alessandria. Ora, fa notare a sua volta San Cirillo di Gerusalemme, questa unione dei fedeli poggia su un’altra unione: infatti, ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, siamo con Lui dello stesso corpo e dello stesso sangue, noi diventiamo veramente cristofori, attraverso l’ingresso nelle nostre membra di quella carne e di quel sangue divino (S. Cyrillus Hieros, Catech. 22, n. 3, P. Gr. 33, p. 1100).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.