LA GRAZIA E LA GLORIA (33)

  LA GRAZIA E LA GLORIA

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

Opera depositata conformemente alle leggi, nel maggio, 1901

LA GRAZIA E LA GLORIA

O

La filiazione adottiva dei figli di Dio studiata nella sua realtà, nei suoi principi, il suo perfezionamento e il suo finale coronamento.

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

Nuove edizione riveduta e corretta

TOMO SECONDO

PARIS – P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR; 10, RUE CASSETTE, 10

LA GRAZIA E LA GLORIA (33)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

LIBRO VII

LA CRESCITA SPIRITUALE DEI FIGLI ADOTTIVI DI DIO. – IL MERITO COME PRIMO MEZZO DI CRESCITA

CAPITOLO PRIMO

Nozioni preliminari. La possibilità della crescita spirituale, sua misura e sua durata.

1. – Crescere è la legge dei figli di Dio, finché non abbiano raggiunto lo stato di uomo perfetto, fino alla misura dell’età della pienezza del Cristo (Ef. IV, 14). Nell’ordine spirituale siamo figli, cioè uomini in formazione nel Cristo. Generati nel Battesimo, dobbiamo continuare a nascere, per così dire, finché Cristo non sia completamente formato nella nostra anima (Galati IV, 19). – Per questo la Chiesa è sempre una Madre per noi: Madre perché ci ha dato la vita della grazia nel Battesimo; Madre anche perché è incaricata da Gesù Cristo, suo Sposo divino, di presiedere alla nostra crescita, di aiutarla e dirigerla. È ciò che avviene, fatta la debita proporzione, della nostra vita soprannaturale come della vita puramente naturale; nell’una come nell’altra i principii che compongono un essere vivente sono infusi fin dall’inizio, ma hanno bisogno di tempo per svilupparsi. Aristotele ha detto una bella parola in qualche luogo. Tra gli esseri ordinati verso la perfezione, alcuni la ottengono senza movimento; altri, mediante un movimento; altri infine, con una successione più o meno lunga di movimenti (Arist., de Cœlo, L. I, c. 2, n. 9; col, S, Thom, 1, 2., q. 5, a. 7). Possedere la perfezione senza movimento è proprio di Dio, poiché Egli è per natura la perfezione sussistente, sovrana, immutabile, infinita. Raggiungere la perfezione in un unico movimento è ciò che si addice agli Spiriti angelici, poiché Dio, loro Creatore e santificatore, ha richiesto solo un atto di amorevole e libera adorazione davanti alla sua suprema Maestà per ammetterli alla beatitudine eterna. E questo ordine della provvidenza si combinava armoniosamente con la loro natura. Perfetti fin dall’inizio nelle loro facoltà naturali, era giusto che potessero pervenire tutto d’un tratto anche al terminale. – Non esaminerò se gli Angeli avrebbero potuto tornare indietro sulla decisione presa, da questo primo uso della loro libertà, gli uni per sottomettersi alla volontà di Dio, gli altri per ribellarsi ai suoi ordini sovrani. È una questione dibattuta nella Scuola e tra i teologi. Se dovessi scegliere tra le opinioni opposte, propenderei, mi sembra, per il sentimento del Dottore Angelico, quando insegna la naturale e necessaria immobilità degli Spiriti nelle loro libere determinazioni. È con questo che attestano la perfezione suprema della loro natura. Comprendendo a colpo d’occhio tutte le ragioni e tutte le conseguenze dei loro atti, in pieno possesso della loro intelligenza e della loro volontà, liberati dal loro essere spirituale da tutte le influenze che impediscono in noi il regolare svolgimento delle nostre deliberazioni, perché dovrebbero tornare sulle decisioni prese? – Qualunque sia il caso di questa impossibilità, sia che la si ritenga assoluta o solo relativa, è certo che la condizione degli Spiriti puri è molto diversa dalla nostra. Ecco perché l’uomo raggiunge la sua suprema perfezione solo attraverso una successione di movimenti, cioè di operazioni. Infatti, ci vogliono anni perché la sua natura raggiunga la piena maturità fisica, intellettuale e morale. L’infermità della nostra ragione è tale che di solito non riesce a fare una scelta adeguata senza una più o meno lunga riflessione: si brancola, si esita, si avanza e si ritorna; perché ci sono delle oscurità, dei lumi e delle attrazioni in direzioni opposte, lotte tra l’elemento inferiore del nostro essere e la parte superiore che dovrebbe avere il controllo; in una parola, perché spesso non abbiamo piena luce e pieno possesso di noi stessi, spesso falliamo. – Io ho già mostrato nel terzo libro di quest’opera (L. III, c. 2) fino a che punto si estenda questa legge di perfezionamento successivo, nell’ordine della natura e in quello della rivelazione. È applicabile anche all’ordine della grazia? Chi può dubitarne, visto che tutto lo afferma e ci obbliga a crederlo? Innanzitutto la Scrittura: « Crescete sempre più nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo » (II Pt., III, 18). Queste sono le parole che San Pietro lascia ai fedeli come ultimo saluto, alla fine della sua seconda lettera. Nella prima aveva già scritto loro: « Come bambini appena nati, desiderate il latte spirituale e puro, perché vi faccia crescere per la salvezza » (I. S. Piet., II, 2). S. Paolo ci parla spesso di questa crescita: crescita nella scienza di Dio (Col. III, 10), crescita nella carità, crescita fino alla pienezza di Cristo (Efes. IV, 14, 15). Gesù Cristo ha voluto darcene il modello nella sua santa umanità: « E Gesù – leggiamo in San Luca – cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e agli uomini » (S. Luca II, 52). Non certo che si faccia interiormente in Lui lo stesso progresso che debba essere fatto in noi. Nostro Signore, fin dal primo momento della sua esistenza umana, era pieno di grazia e di verità. Pertanto, dal lato della grazia abituale e della sapienza divina che l’accompagna, non c’è stata alcuna crescita soprannaturale. Ma se i doni infusi non ammettono accrescimento in Lui, gli atti di cui essi sono il principio potrebbero essere di per sé di una perfezione più o meno sublime. Altra fu in Gesù Cristo la saggezza che manifestò nella sua infanzia, altra la saggezza che faceva dire alle folle: « Nessun uomo ha mai parlato come quest’uomo! ». È vero che Gesù ha mostrato obbedienza, pazienza e umiltà a Nazareth, ma quanto più eclatanti sono stati gli atti di queste virtù nel Cenacolo, nel Pretorio e sul Calvario! Così il sole, pur essendo sempre la stessa fonte di calore e di luce, non emette i suoi raggi e il suo calore allo stesso modo all’alba e a mezzodì. Una parola che Gesù disse una volta ai suoi discepoli ci farà capire meglio cosa sia questa crescita per i figli di adozione. « Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli » (Mt. V. 44-45). Erano essi già figli del Padre; e con l’amore per i loro nemici occorreva che lo diventassero. Cosa significa questo, se non che un figlio di Dio può sempre diventarlo ancor di più, e man mano che compie opere più degne del Padre, diventare più simile alla bontà divina? La Chiesa, impregnata di questi insegnamenti divini, non ha mai smesso di chiedere la crescita spirituale a cui sono chiamati i suoi figli. « O Dio eterno e onnipotente – dice in una delle sue preghiere – donaci un aumento della fede, della speranza e della carità » (Or. per la 13ª Domenica dopo Pentecoste).

2. – Vedremo presto in dettaglio come avviene la nostra crescita e dimostreremo che non possa essere negata senza una manifesta eresia. Ma la ragione stessa, illuminata dalla fede, ci mostra, una volta supposta l’ordine della grazia per gli uomini, non solo che nulla si opponga a questa crescita spirituale, ma anche che essa possa andare indefinitamente oltre ogni limite determinato. Infatti, se ci fosse un’impossibilità di crescita, o almeno un limite alla crescita possibile, dovremmo cercarlo o nella natura stessa della grazia, o nell’infermità del soggetto che potrebbe riceverla solo secondo una certa misura, o infine nella causa stessa della grazia, cioè in Dio, che non potrebbe o non vorrebbe darla oltre una quantità fissata dalla natura delle cose e da Lui stesso. Ora, nulla di tutto ciò ostacola l’aumento indefinito della grazia santificante e, di conseguenza, la dimora sempre più intima di Dio nelle anime, l’unione sempre più stretta del Padre con i suoi figli adottivi (cfr. S. Thom., 2. 2, q. 24, a. 7). Non è la natura della grazia a impedire questo sviluppo. Che cos’è, infatti, la grazia? Una partecipazione alla natura divina, l’immagine e la somiglianza di Dio nell’anima santificata. Aggiungete grado a grado, perfezioni a perfezioni; forgiate una somiglianza finita, completa quanto volete, l’immagine di Dio, cioè la grazia, forma e principio di questa immagine, sarà sempre infinitamente distante dall’Archetipo sovrano, e nulla impedirà quindi di supporne indefinitamente un’altra più perfetta. Un’unica immagine di suprema bellezza esclude ogni idea di incremento e ogni perfettibilità. È l’immagine adeguata del Padre, il Figlio unigenito, il carattere infinito della sostanza infinita. Ora, poiché la perfezione creata potrebbe avvicinarsi eternamente ad essa senza mai riuscire ad eguagliarla, ne consegue che la perfettibilità della nostra grazia è di per sé indefinita. Non cercate quindi il limite preciso in cui la perfezione, in virtù della natura stessa delle cose, dovrà un giorno fermarsi: questo limite non esiste. Dio stesso, che conosce chiaramente tutti i possibili gradi di accrescimento per le grazie, non può dire quale sia il punto supremo oltre il quale la grazia creata non possa più salire, perché Dio non conosce il chimerico e l’impossibile. Così, anche nell’ordine della natura, non ci sono limiti alla perfezione delle specie che l’onnipotenza può trarre dal nulla. Nessun essere creato, per quanto grande sia la sua intelligenza e di qualunque splendore possa brillare nel firmamento degli spiriti, non può, se Dio vuole, non vedere al di sopra di sé altri esseri creati più belli nella loro natura e più perfetti nelle loro facoltà, perché rimarrebbero sempre infinitamente al di sotto della perfezione del modello. Se l’impossibilità di crescere non ha fondamento nella natura della grazia, non lo ha forse nella condizione stessa del soggetto che la riceve? La risposta è negativa. In altre parole, bisogna notare che ci sono due stati ben distinti per il figlio di Dio: lo stato di via e quello di fine, status viæ e status termini. Questi sono coloro che, avendo raggiunto la visione di Dio, sono entrati nel pieno possesso del loro fine ultimo e nel godimento del Bene sovrano. È qui che li ha condotti il desiderio della felicità, motivo e ragione di tutti i nostri passi in questa vita mortale; è qui che, soprattutto, intendeva condurli quella provvidenza ugualmente potente e soave con cui Dio si compiace di dirigere e muovere i suoi figli adottivi. – È evidente che per coloro che hanno raggiunto questo stato beato non sia possibile un’ulteriore crescita, poiché la loro grazia è consumata nella gloria. So bene cosa si potrebbe obiettare. Per quanto perfetta possa essere questa grazia, essa non è infinita; la stessa disuguaglianza che regna tra i beati ne è una palese dimostrazione. Sì, certo, se guardiamo questa grazia in sé, materialmente, come dicono i teologi, possiamo, anzi dobbiamo considerarla capace di una crescita illimitata. Ma per coloro che la considerano come una grazia formale del termine, come grazia consumata nella visione, essa non può ricevere alcun nuovo grado di perfezione. San Tommaso (S, Thom. 1 p. , q. 62, a. 9) ne dà una ragione molto convincente, che riassumo in poche parole. Dio, che muove sovranamente l’uomo verso la beatitudine, deve necessariamente aver fissato il termine a cui piace alla sua provvidenza condurlo, come al suo fine ultimo: poiché è della saggezza di un motore intelligente e libero il non agire su un mobile per muoverlo all’infinito, ma per farlo arrivare ad una meta. Ora – aggiunge il nostro grande dottore – vedere Dio, godere di Dio, non è questo un termine definito, poiché questo godimento e questa visione comprendono gradi senza numero. Quindi, per concludere, l’intenzione di Dio non è solo che la creatura raggiunga la beatitudine, ma un determinato grado di questa beatitudine, come fine ultimo. Ed è per questo che lo stato del termine è incompatibile con qualsiasi aumento della grazia santificante: perché se la gloria è nel grado voluto da Dio, la grazia proporzionata alla gloria è anche per ciascuno nella misura che Egli ha stabilito. Se volessimo qui usare termini scolastici, diremmo che, una volta raggiunto questo termine, la grazia e la gloria potrebbero, per lo meno, ancora aumentare secondo la potenza assoluta, de potentia absoluta; ma che questo aumento sia impossibile secondo la potenza ordinata, de potentia ordinata: perché ciò è possibile solo da quest’ultima potenza che, infatti, rientra nell’ordine della sapienza e della volontà di Dio (S. Thom. III, d. 1, q. 2, ad 3; col. 1 p., q. 25, a. 5, ad 1; Alex. Halens, 1 p., q. 20, m. 5). – Ma finché siamo lungo la via, non c’è nulla da parte del soggetto che rappresenti un ostacolo invincibile al perfezionamento della grazia. Non ditemi che la capacità della mia natura sia finita! Questo dimostra, è vero, che una grazia infinita ripugna alla mia essenza, poiché non posso diventare Dio; ma il progresso nella grazia non toglie l’infinità di questa stessa grazia. Se la natura può ricevere la grazia in sé, può più propriamente riceverne nuovi gradi. Perché i favori che ha già ricevuto, lungi dall’ostacolare o restringere la capacità di ricezione, la dilatano ulteriormente e la aprono a nuove e più abbondanti effusioni. Di due uomini, uno di intelligenza incolta, l’altro di mente già molto coltivata, sarebbe il primo a sembrarvi più capace di fare ulteriori progressi nelle scienze: come se le conoscenze acquisite fossero un ostacolo e non un aiuto? Quindi, più si ama Dio, più si partecipa alle sue grazie, più si è in grado di ricevere gli effetti della bontà divina. Grazia e carità sono legate: l’aumento dell’una è la perfezione dell’altra. Non sappiamo che amando acquistiamo nuova forza per amare? Il cuore che ama si anima e si entusiasma e lo Spirito Santo, che lo possiede, lo ispira con nuova forza ad amare sempre di più. Dare dei limiti al proprio amore significa ignorare la natura e la legge dell’amore, perché più si ama e più si vuole amare. – Chi ha amato come San Paolo, che sfidava il cielo e la terra dal separarlo dall’amore di Cristo Gesù? S. Paolo che si reputava egli stesso nel numero classificato dei perfetti (Fil. III, 15). E questo grande Apostolo non si crede ancora giunto al termine del punto ove vuole andare. « Mi resta – dice – una cosa da fare: dimenticando ciò che è dietro di me, rivolgermi a ciò che è davanti a me ». (Ibid., 13). E perché questa corsa ed i tanti sforzi a cui invita i suoi fratelli? È perché la meta a cui tende è sempre infinitamente lontana da lui, poiché la vocazione divina ci spinge all’imitazione di Gesù Cristo (Ibid. 17). Così, la grazia chiama la grazia. A Dio non piace che l’anima umana voglia che l’anima umana sia come un piccolo vaso in cui si versa un liquido. Se volete un paragone materiale, guardate piuttosto il mare dove scorrono i fiumi e che non deborda mai. (Eccl. I, 7). – Per trovare qualche ostacolo a questa perfezione indefinita della grazia, dovrà risalirsi alla causa da cui essa deriva? Ma questa causa, nell’ordine fisico, è Dio, la cui potenza non è fermata da alcun limite. Ma questa causa, nell’ordine morale, sono i meriti di Gesù Cristo Nostro Signore; meriti di valore infinito, come la dignità della Persona stessa; capaci, quindi, di ripagare con sovrabbondanza tutti i doni della grazia, scorressero anche a torrenti, senza misura e senza tregua, dal cuore di Dio sulle anime. – Ma, si dirà, se questo è il caso della crescita spirituale, chi può impedirci di ammettere che una creatura pura, attraverso un meraviglioso progresso di santità, possa arrivare alla pienezza di grazia che ammiriamo in Nostro Signore? Nulla, se non la sovreminenza della grazia del Salvatore Gesù. Questa grazia, infatti, considerata in tutto ciò che comporta, è di ordine superiore alla nostra; essa è alla grazia di una creatura pura, nel rapporto di una causa universale con una causa particolare, poiché è dalla sua pienezza che tutti abbiamo ricevuto. Mai la luce di un focolare, di qualsiasi materia comunque attivata, ha eguagliato lo splendore del sole (S. Thom., 3 p., q. 7, a, 11 in corp. e ad 3,1). Non sarebbe né meno temerario, né meno insensato per una semplice creatura aspirare alla santità della Vergine che l’Angelo ha salutato piena di grazia. La dignità di Madre di Dio esigeva da Maria, fin dal primo momento della sua esistenza, una pienezza inferiore, senza dubbio, a quella del suo Figlio, Dio fatto uomo, ma incomparabilmente superiore alla grazia conferita dal Battesimo ai figli adottivi. E poiché la crescita nella Vergine divina ha risposto costantemente e perfettamente a questa pienezza iniziale, chi non vede che la distanza che separa la sua grazia dalla nostra, lungi dal diminuire col tempo, cresceva al contrario come all’infinito? Per questo la Chiesa ci insegna su Maria, osservata ogni proporzione, ciò che crediamo su suo Figlio. La sua grazia è come una sorgente molto abbondante da cui sgorga la nostra stessa sorgente in relazione a noi, anche se è solo un ruscello alimentato dalla grazia di Gesù Cristo, nostro e suo santificatore.

3. – Ho detto che l’aumento della grazia e delle virtù, la crescita spirituale quindi, appartiene allo stato della Via. Ma qual è il confine estremo per noi di questo stato della via? La morte. Non esiste uno iato tra il tempo e l’eternità, tra la durata della crescita e la perfetta maturità che respinge il cambiamento. Finché l’anima non è separata dal corpo, siamo lontani dal Signore, pellegrini in cammino verso la dimora del Padre nei cieli. È per questo che i Santi desiderano ardentemente lasciare questo corpo per arrivare al termine e godere della presenza del Signore (II Cor. V, 6-8). Pertanto, lo stato di fine, quando cesserà per noi la crescita nella grazia, ha come primo momento l’ultimo della nostra vita mortale. Che i Santi, per un favore infinitamente raro, abbiano intravisto il volto di Dio prima di morire, come di sfuggita, non lo affermo né lo nego; in ogni caso, non si trattava della visione permanente riservata alla fine. La tenda che ci vela la gloria di Dio può essere stata aperta per un momento, ma il sipario non era stato ancora alzato: è necessario per questo la mano della morte. – Potrebbe sembrare che quelle anime che lasciano la vita presente, sante davanti a Dio, ma incompletamente purificate, e di conseguenza allontanate per un tempo più o meno lungo dalla beata contemplazione di Dio, possano ancora crescere nella grazia, poiché non sono giunte alla fine. No, non è possibile alcuna crescita per loro, perché non sono più sulla strada. Se la morte non li porta in possesso di Dio, è in un certo senso per accidente. D’ora in poi sono immobilizzati nel bene e il loro diritto all’eredità è inamovibile. La sala banchetti è lì ad attenderli. Per entrare nella porta è necessaria una purificazione finale, ma nulla può impedirne irrevocabilmente l’ingresso. Sono figli arrivati alla casa del Padre, ai quali il Padre ordina di togliere le macchie della strada, prima di ammetterli al bacio del suo amore, e di questo bacio hanno l’assoluta certezza che ne godranno per l’eternità. Di principio queste anime sono al termine (« Dicendum quod, quamvis animæ (purgantes) post mortem non sint simpliciter in statu viæ, tamen quantum ad aliquid adhuc sunt in via, in quantum scilicet earum progressus adhuc retardatur ab ultima retributioné: et ideo simpliciter earum via est circumsepta, ut non possint ulterius per aliqua opera transmutari secundum statum felicitatis et miseriæ: sed quantum ad hoc non est circumsepta quin, quantum ad hoc quod detinentur ab ultima retributione, possint ab aliis juvari, quia secundum hoc adhuc sunt in via ». S. Thom., Supplem. Q. 71, a 2 ad 3; col.2-2, q. 13, a. 4 ad 2 ; q. 182, a. 2; ad 2, 3p., q. 19, a. 3, ad 1).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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