DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA VIII DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi

Durante la festa di Pentecoste la Chiesa ha ricevuto la manifestazione dello Spirito Santo e la liturgia di questo giorno ce ne mostra le felici conseguenze. Questo Spirito ci rende figli di Dio, tanto che possiamo dire in tutta verità: Padre nostro; siamo quindi assicurati dell’eredità del cielo (Ep.): ma per questo bisogna che, vivendo per opera di Dio, noi viviamo secondo Dio (Oraz.) lasciandoci indurre in tutto dallo Spirito di Dio (Ep.), cosi Egli ci accoglierà un giorno nei tabernacoli eterni (Vang.). Sta qui la vera sapienza di cui ci parla la storia di Salomone, della quale in questa settimana si continua la lettura nel Breviario; qui sta la grande opera alla quale il re dedicò tutta la sua vita. – Salomone costruì il Tempio del Signore nella città di Gerusalemme, secondo la volontà di David suo padre, che non aveva potuto edificarlo egli stesso per le continue guerre che i nemici gli avevano mosso contro. Salomone impiegò tre anni a preparare il materiale, cioè le pietre che ottantamila uomini estraevano dalle cave di Gerusalemme e il legno di cedri e cipressi che trentamila uomini abbattevano sul Libano nel regno dell’Iram (V. Domenica prec.). – Quando tutto fu pronto si cominciò, nel 480° anno dopo l’uscita dall’Egitto, la costruzione che durò sette anni. Pietre da taglio, legno e fregi ornamentali erano stati così esattamente misurati prima, che i lavori si compivano nel più grande silenzio. Nella casa di Dio non si sentiva colpo di martello, né ascia, né altro strumento di ferro durante il tempo che si edificava. Salomone prese come piano quello del tabernacolo di Mosè; ma gli diede proporzioni più vaste e vi accumulò tutte le ricchezze che poté. I soffitti e i pavimenti di legni preziosi erano rivestiti da placche di oro, gli altari e le tavole erano ricoperti di oro, i candelabri e i vasi erano di oro massiccio. Tutte le mura del tempio erano ornate da cherubini e da palmizi coperti di oro. A lavori terminati, Salomone consacrò con grande solennità questo Tempio al Signore. In presenza di tutti gli Anziani di Israele e di un popolo immenso appartenente alle dodici tribù, i sacerdoti trasportavano l’Arca dell’alleanza nella quale si trovavano le tavole della legge di Mosè, sotto le ali spiegate di due cherubini, ricoperte di oro e alte dieci cubiti, che si innalzavano nel santuario. Si immolarono anche migliaia di pecore e di buoi e, quando i sacerdoti uscirono dal Sancta Sanctorum, una nube riempì la casa del Signore. Allora Salomone levando gli occhi verso il cielo, domandò a Dio di ascoltare le suppliche di tutti quelli, Israeliti o estranei, che sarebbero venuti in differenti circostanze, felici o infelici, nella loro vita, a pregarlo in questo luogo che era stato a Lui consacrato. Gli domandò anche di esaudire tutti quelli che, con la faccia rivolta verso Gerusalemme e verso il Tempio, gli avrebbero indirizzato le loro suppliche, per mostrare che Egli aveva scelta questa casa per sua residenza e che non vi era in nessun luogo altro Dio, che quello d’Israele. – Le feste della Consacrazione del Tempio durarono quattordici giorni in mezzo a sacrifici e banchetti sacri. E il popolo se ne tornò benedicendo il re e sentendo riconoscenza per tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele dal giorno dell’alleanza sul Sinai. Il Signore apparve allora una seconda volta a Salomone e gli disse: « Ho esaudita la tua preghiera, ho scelto e benedetto il tempio che mi hai innalzato; là saranno sempre i miei occhi e il mio cuore per vegliare sul mio popolo fedele ». Nella Messa di questo giorno la Chiesa canta alcuni versetti di sei Salmi differenti che riassumono tutti espressi da Salomone nella sua preghiera: « Il Signore è grande e degno di lode nella città del nostro Dio, sulla sua montagna santa » (l’Intr., Alt.). « Chi è dunque Dio se non il Signore?» (Off.). È nel suo tempio che si riceve la manifestazione della sua misericordia » (Intr.) e che « si prova e si sente quanto il Signore sia dolce » (Com.), poiché Egli è « per tutti quelli che sperano in Lui, un Dio protettore e un luogo di rifugio » (Grad.), — Come il regno di Salomone fu una specie di abbozzo e di figura del regno di Cristo (2° Nott.), cosi il tempio che egli innalzò a Gerusalemme non fu che una figura del cielo nel quale Dio risiede ed esaudisce le preghiere degli uomini. È sulla montagna santa e nella città di Dio (All.) che noi andremo un giorno a lodarlo per sempre. L’Epistola ci dice che se noi vivremo di Spirito Santo, facendo morire in noi le opere della carne saremo figli di Dio, e che da quel momento, eredi di Dio e coeredi di Cristo, entreremo nel cielo che è il luogo della nostra eredità. Ed il Vangelo completa questo pensiero dicendoci, sotto forma di una parabola, quale sia l’uso che dobbiamo fare delle ricchezze d’iniquità per assicurarci l’entrata nei tabernacoli eterni. Un fattore infedele, accusato di aver dissipato i beni del padrone, si procura degli amici con i beni che questi gli aveva affidato, per avere, dopo essere stato cacciato, « persone pronte ad accoglierlo nelle proprie case ». I figli della luce, dice Gesù, contendano per zelo coi figli del secolo, e, imitando la previdenza di questo fattore, utilizzino i beni, che Dio ha messi, a disposizione loro per venire in. aiuto dei bisognosi e si facciano amici nel cielo, perché quelli che avranno sopportato cristianamente le privazioni sulla terra, entreranno lassù e renderanno testimonianza ai loro benefattori nel momento in cui tutti dovranno rendere conto al divino Giudice della loro amministrazione (Vang.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVII: 10-11.

Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Ps XLVII: 2. Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitate Dei nostri, in monte sancto ejus.

[Grande è il Signore, e degnissimo di lode nella sua città e nel suo santo monte.]

Ps XLVII: 10-11 Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio; la tua lode, come si conviene al tuo nome, si stende fino alle estremità della terra: la tua destra è piena di giustizia.]

Oratio

Orémus.

Largíre nobis, quǽsumus, Dómine, semper spíritum cogitándi quæ recta sunt, propítius et agéndi: ut, qui sine te esse non póssumus, secúndum te vívere valeámus.

[Concedici propizio, Te ne preghiamo, o Signore, di pensare ed agire sempre rettamente; così che noi, che senza di Te non possiamo esistere, secondo Te possiamo vivere.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 12-17

Fratres: Debitóres sumus non carni, ut secúndum carnem vivámus. Si enim secúndum carnem vixéritis, moriémini: si autem spíritu facta carnis mortificavéritis, vivétis. Quicúmque enim spíritu Dei aguntur, ii sunt fílii Dei. Non enim accepístis spíritum servitútis íterum in timóre, sed accepístis spíritum adoptiónis filiórum, in quo clamámus: Abba – Pater. – Ipse enim Spíritus testimónium reddit spirítui nostro, quod sumus fíli Dei. Si autem fílii, et herédes: herédes quidem Dei, coherédes autem Christi.

(“Fratelli: Non abbiam alcun debito versa la carne per vivere secondo la carne. Se, pertanto, vivrete secondo la carne, morrete; se, al contrario, con lo spirito farete morire le opere della carne, vivrete. Poiché, quanti sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Invero, non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere nel timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, per il quale gridiamo «Abba! (o Padre)». E lo Spirito Santo stesso attesta al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. Ora, se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo”).

Che grande parola ha detto il Cristianesimo agli uomini quando ha detto loro: voi siete figli di Dio! Fuori del Cristianesimo, osservate, l’uomo o è avvilito o è adulato. Gli spregiatori dicono all’uomo: sei una scimmia, appena un poco più perfezionato. Gli adulatori dicono: sei un Dio, sei Dio… E gli uni e gli altri dicono parole che hanno sapore di falsità e riescono moralmente funeste; perché è funesta l’abbiezione del bruto, come è funesto l’orgoglio di un falso iddio, di un idolo. Il Cristianesimo appaga e non solletica i nostri istinti, le nostre aspirazioni di grandezza, quando ci dice: voi siete figli di Dio. Purtroppo noi abbiamo fatto l’abitudine a questa parola, ed essa, che dovrebbe riempirci di gioia e di legittimo orgoglio, per poco non ci lascia indifferenti. – Ma non fu così per le prime generazioni cristiane. San Paolo si esalta, si entusiasma analizzando e quasi assaporando la frase. Per meglio gustarla e illuminarla, Paolo contrappone la sorte nostra, di noi Cristiani, a quella dei Giudei, che furono pure per tutto il mondo antico, e prima che venisse Gesù, i depositari della religione vera. Ma quella loro religione era pervasa da un suo spirito, perché dominata da una sua idea. Lo spirito onde l’anima giudaica era pervasa nel suo momento religioso, ben s’intende, era spirito di timore, anzi di timore servile, perché per il fedele giudeo cresciuto alla scuola di Mosè e della sua Legge, Dio era il Padrone, il grande, il vero padrone, il Re, il Sovrano, alla guisa orientale. L’anima, davanti a quel padrone, temeva e tremava. Era la forza specifica della sua adorazione. San Paolo ne aveva fatta l’esperienza: aveva tremato anche lui e sofferto insieme e goduto di quel timore. Più sofferto che goduto, perché la sua anima avrebbe voluto aprirsi a sensi più nobili, come sono i sensi dell’affetto. Ma la vecchia legge non glielo consentiva. Ed ecco sopraggiungere Gesù, non più semplice profeta, e servo, ma Figlio di Dio veracemente, propriamente. Ed ecco annunziare agli uomini, coll’autorità sua di Figlio, che Dio è per noi e vuole essere Padre « Pater noster; » Padre già per diritto e fatto di creazione, ma assai più e meglio per diritto e fatto di redenzione; Padre dacchè ci ha dato per fratello vero il vero e unico suo Figlio. – Chiamarsi così per noi non è più una usurpazione — come non fu usurpazione per Gesù il dirsi eguale al Padre — o una metafora: è un diritto. Guardate — dirà un altro Apostolo agli stessi primi Cristiani, — quale carità ci ha usato il Signore, dandoci nome e realtà di suoi figlioli: «ut filì Dei nominemur et simus ». Il Cristianesimo ha fatto e fa lievitare in noi, in noi esalta tutti quegli elementi che già costituiscono un fondo di sbiadita rassomiglianza con Dio. Esalta col lume della fede il lume dell’intelletto, orma di Dio nella nostra anima; ci solleva a quelle verità che sono il segreto di Dio, che nessuno dei principi di questo mondo sarebbe arrivato a scoprire. Esalta la nostra coscienza e la spinge a desiderare e volere forme nuove e più atte al bene. È qui anzi, nella fornace dell’amore al bene, della carità, che si compie questa meravigliosa trasformazione del Cristiano, in figlio di Dio, simile — non uguale, privilegio questo di Gesù Cristo — simile al Padre. Trasformazione dovuta alla grazia, ma alla cui completa realizzazione noi dobbiamo collaborare, operando da figli di Dio. I filosofi dicono che l’opera segue l’essere e lo dimostrano. « Operari seguitur esse ». Siamo figli di Dio! E operiamo allora da figli di Dio, non da estranei, non da nemici. Siano divine le nostre opere, sia divina la nostra condotta. Per fortuna, quale sia la divina condotta di un uomo noi lo sappiamo, guardando a N. S. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio. Verrebbe voglia di riepilogare con parola evangelica questa condotta divina, superiore sovrannaturale in un binomio: spirito e verità. Seguiamo le ispirazioni dello spirito e non le suggestioni della carne; queste fanno l’uomo animale, bruto, inferiore, degenere; lo spirito, al contrario, ci dà l’uomo superiore, spirituale. E della verità siamo solleciti ed entusiasti: Dio in ciascuno di noi… Se procederemo così secondo spirito e verità, avremo la soddisfazione arcana e profonda di sentirci davvero figli di Dio: quello che pareva sogno superbo, sarà diventato per noi realtà consolante.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.]

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXX: 1 V. Deus, in te sperávi: Dómine, non confúndar in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[V. O Dio, in Te ho sperato: ch’io non sia confuso in eterno, o Signore. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XLVII: 2

Alleluja, Alleluja

Magnus Dóminus, et laudábilis valde, in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja.

[Grande è il Signore, degnissimo di lode nella sua città e sul suo santo monte. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. (Luc XVI: 1-9)

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Homo quidam erat dives, qui habébat víllicum: et hic diffamátus est apud illum, quasi dissipásset bona ipsíus. Et vocávit illum et ait illi: Quid hoc audio de te? redde ratiónem villicatiónis tuæ: jam enim non póteris villicáre. Ait autem víllicus intra se: Quid fáciam, quia dóminus meus aufert a me villicatiónem? fódere non váleo, mendicáre erubésco. Scio, quid fáciam, ut, cum amótus fúero a villicatióne, recípiant me in domos suas. Convocátis itaque síngulis debitóribus dómini sui, dicébat primo: Quantum debes dómino meo? At ille dixit: Centum cados ólei. Dixítque illi: Accipe cautiónem tuam: et sede cito, scribe quinquagínta. Deínde álii dixit: Tu vero quantum debes? Qui ait: Centum coros trítici. Ait illi: Accipe lítteras tuas, et scribe octogínta. Et laudávit dóminus víllicum iniquitátis, quia prudénter fecísset: quia fílii hujus saeculi prudentióres fíliis lucis in generatióne sua sunt. Et ego vobis dico: fácite vobis amicos de mammóna iniquitátis: ut, cum defecéritis, recípiant vos in ætérna tabernácula

 (“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Eravì un ricco, che aveva un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui, come so dissipato avesse i suoi beni. E chiamatolo a sé, gli disse: Che è quello che io sento dire di te? Rendi conto del tuo maneggio; imperocché non potrai più esser fattore. E disse il fattore dentro di sé: Che farò, mentre il padrone mi leva la fattoria? non sono buono a zappare; mi vergogno a chiedere la limosina. So ben io quel che farò, affinché, quando mi sarà levata la fattoria, vi sia chi mi ricetti in casa sua. Chiamati pertanto ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Di quanto vai tu debitore al mio padrone? E quegli disse: Di cento barili d’olio. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo; mettiti a sedere, e scrivi tosto cinquanta. Di poi disse a un altro: E tu di quanto sei debitore? E quegli rispose: Di cento staia di grano. Ed ei gli disse: Prendi il tuo chirografo, e scrivi ottanta. E il padrone lodò il fattore infedele, perché prudentemente aveva operato: imperocché i figliuoli di questo secolo sono nel loro genere più prudenti dei figliuoli della luce. E io dico a voi: Fatevi degli amici per mezzo delle inique ricchezze; affinché, quando venghiate a mancare, vi dian ricetto ne’ tabernacoli eterni”).

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul giudizio particolare.

Redde rationem villicationis tuæ.

(Luc. XVI, 2).

Possiamo seriamente riflettere, Fratelli miei, sulla severità del giudizio di Dio, senza sentirci presi da vivo timore? Ecchè! F. M., i giorni delia nostra vita, sono contati; e per di più ignoriamo l’ora ed il momento in cui il nostro Giudice Supremo ci chiamerà al suo tribunale, e forse quel momento sarà quello in cui meno vi penseremo, e saremo meno disposti a rendere questo terribile conto!… Vi assicuro, F. M., che pensandovi bene, ci sarebbe da darsi alla disperazione, se la religione non ci insegnasse che possiamo render meno terribile questo momento con una vita la quale possa sempre farci sperare che il buon Dio avrà pietà di noi. Badiamo bene, F. M., di non trovarci imbarazzati in quel momento, come quel fattore di cui Gesù Cristo ci parla nell’Evangelo. Vi mostrerò dunque, F. M.:

1° che v’è un giudizio particolare in cui renderemo esattissimo conto del bene e del male che avremo fatto;

2° quali sono i mezzi che dobbiamo usare per prevenire il rigore di questo conto.

I. — Noi tutti sappiamo, F . M., che saremo giudicati due volte: una volta nel gran giorno delle vendette, cioè alla fine del mondo, quando davanti all’universo intero, le nostre azioni buone o cattive, saranno a tutti manifeste. Ma prima di quel giorno terribile e sventurato pei peccatori, avremo subito un giudizio al momento della nostra morte, dopo esalato l’ultimo respiro. Sì. F. M., la sorte dell’uomo sta tutta in queste tre parole: vivere, morire ed essere giudicato. È una legge fissa ed invariabile per tutti gli uomini. Noi nasciamo per morire, moriamo per essere giudicati, e questo giudizio deciderà della nostra felicità eterna o della nostra eterna sventura. – Il giudizio universale in cui tutti compariremo, non sarà che la pubblicazione della sentenza particolare pronunciata subito dopo la nostra morte. Voi tutti sapete che Dio ha contato i nostri anni (Breves dies hominis sunt; numerus mensium ejus apud te est – Job xiv, 5), ed in questo numero d’anni, che Egli ha fissato d’accordarci, ne ha segnato uno che sarà l’ultimo per noi; in quest’ultimo anno un ultimo mese; in quest’ultimo mese un ultimo giorno, ed in questo giorno un’ultima ora, dopo la quale non vi sarà più tempo per noi. Ahimè! che ne sarà di quel peccatore e di quell’empio che si promettono sempre una vita più lunga? Aspettino pure, poveri disgraziati, fin che vogliono; dopo quest’ultima ora non vi sarà più ritorno, non più speranza, non più rimedio! Nello stesso istante. M. F. ascoltate bene voi che non temete di passare i vostri giorni nel peccato, nello stesso istante in cui l’anima si separerà dal vostro corpo, essa sarà giudicata. — Ma, mi direte, lo sappiamo. — Sì, ma non lo credete. Ditemi, se lo credeste seriamente, come potreste restare in uno stato che vi mette nel continuo pericolo di cadere nell’inferno? No, no, amico mio, voi non lo credete; perché se lo credeste, non vi esporreste ad una sì grande disgrazia. Verrà il momento che il buon Dio applicherà sul vostro debito l’impronta della sua immortalità ed il sigillo della sua eternità, e quel sigillo e quell’impronta non saranno levati mai più. O  momento terribile! eppure così poco meditato, così breve e così lungo, che vola con tanta rapidità, e che trascina con sé un susseguirsi spaventoso di secoli! Che cosa ci avverrà dunque in questo momento che tanto fa orrore? Ahimè F. M., compariremo tutti, ciascuno in particolare, davanti al tribunale di Gesù Cristo, per esservi giudicati, e render conto del bene e del male che avremo fatto. Il giudizio particolare, F. M., è così certo, che il buon Dio per convincercene, ne ha fatto scorgere i segni a parecchi quand’erano ancor vivi, affinché noi vi ci preparassimo.Leggiamo nella storia che un giovane libertino si era dato ad ogni sorta di vizi; ma essendo stato istruito da una pia madre, una notte che teneva dietro al giorno in cui era caduto nei più gravi eccessi, fece un sogno. Si vide trasportato al tribunale di Dio. Non si può dire quale fu la sua vergogna, la sua confusione e l’amarezza della sua anima. Quando si svegliò aveva una febbre ardente, sudava ed era fuori di sé, i suoi capelli erano diventati bianchi. “Lasciatemi solo, diceva, sciogliendosi in lagrime, a quelli che pei primi lo videro in quello stato, lasciatemi solo; ho visto il mio Giudice. Ah! quanto è terribile! Perdono, Dio mio! perdono!„ I suoi compagni di stravizi, sentendo che il loro amico era ammalato e si desolava, vennero per confortarlo. “Ritiratevi da me, diceva loro, voi non siete più i miei amici, non vi voglio più. Ah! ho visto il mio Giudice. Ah! quant’è terribile! Di quanta maestà! di quanta gloria è rivestito! Ah! quante accuse e domande, alle quali non ho potuto rispondere! Tutti i miei delitti sono scritti; li ho letti tutti! Ah! quanto grande ne è il numero! Solo ora ne conosco tutta l’enormità! Ahimè! Ho visto una schiera di demoni, i quali non aspettavano che il segno per trascinarmi nell’inferno. Ritiratevi, falsi amici, non voglio più vedervi! Quanto sarei felice, se potessi, coi rigori della penitenza, placare un Giudice così terribile! Ahimè! ben presto dovrò presentarmigli davvero! forse oggi stesso!… Dio mio, perdonatemi!… Dio mio, usatemi misericordia!… Ah! di grazia, non perdetemi, abbiate pietà di me!… Farò penitenza per tutta la mia vita. Oh! quanti peccati ho commesso! Quante grazie disprezzate!… quanto bene avrei potuto fare e non ho fatto!… Dio mio, non gettatemi nell’inferno!„ E non si fermò lì, F. M. Passò il resto della sua vita a piangere e far penitenza. Quanto sarà terribile questo momento, F. M., per chi non avrà fatto alcun bene e molto male. Sì, F. M., renderemo conto di tutte le nostre azioni, buone e cattive: tutto comparirà davanti al nostro giudice nel momento in cui l’anima si separerà dal nostro corpo. Sì, F. M., il buon Dio si farà render conto dei beni che abbiamo ricevuti. Vi sono i beni di natura, di fortuna e di grazia. Tutti questi beni entreranno nel conto. I beni di natura riguardano il corpo e l’anima; bisognerà render conto dell’uso che avremo fatto del nostro corpo. Domanderà il Giudice se avremo usate le nostre forze a render servizi al nostro prossimo, a lavorare per avere di che far elemosine, a far penitenza, a visitare i luoghi privilegiati dal buon Dio (come Nostra Signora di Fourvière, S. Francesco Regis ed altri). Ma, se invece, non abbiamo usato della nostra salute e del nostro corpo, che per correre ai divertimenti, alle osterie, per derubare il prossimo, per lavorare alla domenica, per viaggiare in questi santi giorni, invece di passarli nel pregare, onorare il buon Dio, istruire gli ignoranti, dar loro buoni consigli, condurli a Dio ed allontanarli dal male… Esaminerà poi se non ci siamo serviti della nostra intelligenza pel male: cioè per istruirci di cose cattive. Se abbiamo letto libri perversi, frequentato gli empi, insegnata la malizia agli altri. Se ce ne siamo serviti per ingannare nelle vendite e nelle compere, per giurare il falso, suscitare liti, indurre altri a vendicarsi, a parlar male della religione, a insegnar loro cose empie: come, per esempio, voler far loro credere che la religione non è buona, che tutto ciò che si dice non è vero, che i preti dicono ciò che vogliono. Ed esaminerà altresì se abbiamo usato la nostra intelligenza per comporre cattive canzoni contro la purità, contro l’onor del prossimo; se abbiamo comunicato ad altri le nostre cattive cognizioni. Ci domanderà se ci siamo serviti della nostra mente per istruirci; se ci siamo invaniti della bellezza del nostro corpo, invece d’ammirare in noi la sapienza e la potenza di Dio. Se ce ne siamo serviti per indurre gli altri al male; come per esempio, chi si veste in modo d’attirare su di sé gli occhi altrui. Dio ci domanderà se abbiamo bene usato di ciò che ci ha dato, ricordandoci che noi non siamo che amministratori, e che tutto ciò di cui avremo usato male ci verrà imputato a colpa. Allora il buon Dio farà vedere a quei padri ed a quelle madri tutti gli oggetti di vanità che essi hanno comperato ai loro figli, e che servirono soltanto a perdere la loro anima; mostrerà loro tutto quel denaro consumato nei divertimenti, nelle osterie, nelle danze ed in tutte le altre spese inutili. E poi tutto ciò che abbiamo lasciato andar a male e che avremmo potuto dare ai poveri. Ahimè! quanti peccati ai quali non avremmo mai pensato, e che ora non vogliamo riconoscere; ma che in quel momento riconosceremo, troppo tardi! Veniamo ora, F. M., ad un altro conto ben più terribile, quello della grazia. Il buon Dio comincerà a mostrarci i benefizi accordatici, facendoci nascere nel seno della Chiesa cattolica; mentre tanti altri sono nati e morti fuori di essa, Ci farà vedere che anche tra i Cristiani, un numero infinito sono morti senza aver ricevuta la grazia del Battesimo. Ci farà vedere per quant’anni, mesi, settimane, giorni, ci ha conservata la vita mentre eravamo nel peccato; e che se, in quel momento, ci avesse fatto morire, saremmo stati precipitati nell’inferno. Ci metterà davanti agli occhi tutti i buoni pensieri, tutte le buone ispirazioni, i buoni desideri che ci ha dato durante la nostra vita. Ahimè! quante grazie disprezzate! Ci ricorderà tutte le istruzioni ricevute e sentite; tutte le letture messe a nostra disposizione affinché ne approfittassimo. Tutte lo nostre confessioni, le comunioni, e tante altre grazie del cielo che abbiamo ricevuto. E quanti Cristiani non ne hanno ricevuto la centesima parte, eppure si sono santificati! Ma, che cosa è stato, F. M., di tutti questi benefizi e di tutte queste grazie? qual profitto ne abbiamo  ricavato? … Triste momento per un Cristiano che ha disprezzato tutto, e di nulla seppe approfittare! … Vedete che cosa ci dice S. Gregorio: “Ah! amico, osserva quella croce, e vedrai quanto ha costato ad un Dio il ridonarci la vita.„ E per questo che S. Agostino quando meditava sul conto da rendersi delle grazie ricevute e disprezzate; esclamava: “Ahimè! disgraziato, che diventerò dopo tante grazie ricevute? Ahimè! temo ancor più per le grazie ricevute, che per i peccati commessi, per quanto siano numerosi! Dio mio, quale sarà la mia sorte? „ Leggiamo nella vita di S. Teresa che, nell’ultima sua malattia, fu trasportata davanti al tribunale di Dio; ritornata in sé, le si domandò perché temesse dopo aver fatta tanta penitenza. “Ahimè! disse, temo molto.„ — “Avete paura della morte?„ le si domandò. — “No, „ rispose. ” Dell’inferno?„ — ” No. „ Che cosa dunque la faceva tremare? “Ahimè! bisogna che la mia vita sia confrontata con quella di Gesù Cristo; ah! guai a me, se ho la minima ombra di peccato! „ E che sarà di noi, F. M., quando Gesù Cristo ci rimprovererà il disprezzo e l’abuso che abbiamo fatto del suo Sangue prezioso e di tutti i suoi meriti? “Ahi ingrato peccatore, ci dirà, vigna infruttuosa, albero sterile, che avrei dovuto fare per la tua salute e non ho fatto? Non dovevo io attendere da te buoni frutti per la vita eterna? Dove sono le buone opere da te fatte? Dove sono le tue fervorose preghiere, che mi sieno piaciute, e che mi abbiano commosso? Dove sono le tue buone confessioni? Le buone Comunioni che m’abbiano fatto rinascere nella tua anima, e ricompensato, in qualche modo dei tormenti che ho sopportati per la tua salute? Ove sono le penitenze e le lagrime da te sparse per cancellare i peccati che hai commesso? Dove sono le buone opere che hai fatte, suggerite da tanti buoni pensieri e desiderii e da tante occasioni che ti ho presentato? Dove sono quelle Messe ben ascoltate, in cui avresti potuto soddisfarmi per i tuoi peccati? Va, disgraziato, non hai fatto che opere d’iniquità, non hai lavorato che a rinnovare i dolori della mia passione e della mia morte. Va, ritirati da me, io ti maledico per tutta l’eternità! Va, nel giorno del giudizio universale, manifesterò il bene che avresti potuto fare e che non hai fatto, e tutte le grazie che ti ho accordate e che hai disprezzato.„ Ahimè! quanti rimproveri, e quanti peccati, ai quali non abbiamo mai pensato! Ahimè! quanto sarà terribile questo rendiconto! Eccone un esempio che ve lo proverà. Racconta S. Giovanni Climaco, (La scala santa, settimo gradino) che un anacoreta, chiamato Stefano, dopo aver condotto una vita delle più austere e delle più sante, essendo molto vecchio cadde ammalato e ne morì. La vigilia della sua morte, trovandosi improvvisamente fuor di sé, pure avendo gli occhi aperti, guardava a destra ed a sinistra, come se vedesse qualcheduno che gli faceva render conto delle sue azioni. Si sentiva una persona che l’interrogava, e l’ammalato rispondeva a voce così spiccata, che tutti quelli che erano nella stanza potevano sentire. Lo si sentiva dire: “Sì, è vero, ho commesso quel peccato, ma per questo ho digiunato tanti anni.„ Poi l’altra voce diceva che aveva commesso il tal altro peccato, ed il morente rispondeva: “No, non è vero, non l’ho commesso.„ Poco dopo lo si sentiva dire: “Sì, lo confesso, l’ho fatto; ma Dio è tanto misericordioso che me l’ha perdonato. „ Era, ci dice S. Giovanni Climaco, uno spettacolo spaventoso assistere al rendiconto così esatto che si chiedeva a quel solitario di tutte le sue azioni. Ma, ciò che spaventava ancor più era il sentire che lo si accusava anche di peccati, ch’egli non aveva mai commesso. Ecchè! F. M., un santo solitario, che aveva passato quarant’anni nel deserto, che aveva versate tante lagrime, confessa egli stesso che non può giustificarsi di qualche accusa che gli è fatta!!… Egli ci lasciò, ci dice S. Giovanni Climaco, in una grande incertezza per la sua salute. Ma, che sarà di un peccatore che, in quel momento non vedrà che male e niente di bene? Momento terribile! momento di disperazione! E non aver nulla su che affidarsi! Voi sapete che quel giudizio avverrà fra tre testimoni: Dio che giudicherà, il nostro Angelo custode che mostrerà le buone opere che avremo fatte, ed il demonio che manifesterà tutto ciò che di cattivo avremo commesso durante la nostra vita. Dopo le loro deposizioni, Dio ci giudicherà e fisserà la nostra sorte per tutta l’eternità. Ahimè! M. F., quale deve essere il timore d’un povero Cristiano che aspetta il suo giudizio e che, tra qualche minuto, sarà nell’inferno o nel cielo! – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. II, p.452)  che un santo abate, chiamato Agatone, al momento di spirare restò sempre cogli occhi fissi verso il cielo senza distaccarneli. I religiosi gli dissero: “Dove credete di essere ora, padre?„ — “Sono alla presenza di Dio, di cui aspetto il giudizio. — “Non lo temete ? „ — “Ahimè! non so se tutte le mie azioni saranno accette a Dio; credo di aver osservato i suoi comandamenti; ma i giudizi di Dio sono diversi da quelli degli uomini. „ In quel momento esclamò: “Ahimè! sono in giudizio.„ Ahimè! F. M., quanti rimorsi per aver perduto tanti mezzi di salvarci, e disprezzate tante grazie che il buon Dio ci ha fatte per aiutarci a guadagnare il cielo; e vedere che tutto ciò per noi è perduto, anzi, tutto torna a nostra condanna! Ma, se è già così terribile render conto delle grazie che il buon Dio ci ha fatte per preservarci dall’inferno, che cosa sarà dunque quando saremo esaminati e giudicati su tutti i peccati che avremo commesso? Forse, per consolarvi, dite che non avete commesso di quei peccati, che agli occhi del mondo sono mostruosi. Ma quei peccati interni, F. M. ?… Ahimè! quanti pensieri d’impurità, desideri! impuri, pensieri di odio, di vendetta e d’invidia sono passati per la vostra mente durante una vita di trenta o quarant’anni, o fors’anche di ottanta! Ahimè! quanti pensieri di superbia, gelosia, quanti desideri di vendetta, di far del male al proprio prossimo, di ingannare! E quando si verrà ai peccati di opere?… Ahimè! quando il buon Dio prenderà il libro dalle mani dei demoni, per esaminare tutte quelle azioni d’impurità quelle corruzioni, turpitudini, sguardi vergognosi, confessioni e comunioni sacrileghe: tutti quei raggiri e malizie usate per sedurre quella persona… Ahimè! che diverranno quelle vittime d’impurità! Oh! quanto sarebbero più felici se Dio le precipitasse nell’inferno prima della loro morte, per evitare ad esse di comparire davanti ad un Giudice così giusto! Secondo ogni apparenza questo giudizio avverrà al letto e nella camera del moribondo. Ahimè! quei poveri disgraziati che non furono più riservati degli animali, e forse meno, vedranno, al pari dell’empio Baldassarre (Dan. V), la loro condanna scritta sui muri o meglio in tutti gli angoli della loro casa. Potranno essi negare, quando Gesù Cristo, col libro in mano, mostrerà loro il luogo e l’ora in cui hanno peccato? “Va, disgraziato, dirà loro, ti condanno e ti maledico per sempre!„ Ahimè! quand’anche il buon Dio offrisse loro il perdono, è quasi certo che non lo vorrebbero, tanto il peccato avrà indurito il loro cuore. Ah! Gesù Cristo potrebbe far loro le stesse minacce che fece a quell’empio di cui si parla nella storia. Essendo ridotto a morire Gesù Cristo gli disse: “Se vuoi domandarmi perdono, io te lo darò. Ma no! quando si ha passata la vita immersi nel peccato, non se ne esce più. — “No,„ rispose il morente. — “Ebbene! gli disse Gesù Cristo, gettandogli una goccia del suo prezioso Sangue sulla fronte; va: nel gran giorno del giudizio questo Sangue adorabile, disprezzato e profanato per tutta la tua vita, sarà il marchio della tua riprovazione.„ Dopo queste parole il peccatore morì e fu precipitato nell’inferno. O terribile momento per un peccatore, il quale non vedrà più nulla che possa fargli sperare il cielo! Il povero peccatore, tutto tremante, non avendo nulla da rispondere, vorrebbe già essere nell’inferno. Egli muore e non può che dire: “Sì, ho meritato l’inferno, è giusto ch’io vi sia precipitato; poiché ho tante volte profanato quel Sangue adorabile, che voi avevate sparso sulla croce per la mia salute. „ Gesù Cristo, tenendo sempre dinanzi il libro nel quale sono scritti i suoi peccati, vedrà tutte le preghiere tralasciate o mal fatte, fors’anche fatte col sentimento dell’odio e della vendetta in cuore, e forse, che dico? col cuore arso dal fuoco dell’impurità. No, no, mio Dio, non esaminatelo più, gettatelo presto nell’inferno; è la grazia più grande che potreste fargli se, prima di gettarlo nel fuoco eterno, dovete fargliene ancora una. Sì, Gesù Cristo, volterà pagina, dove vedrà scritte tutte le bestemmie, le imprecazioni, le maledizioni che l’infelice non ha cessato di vomitare durante la sua vita, con una lingua ed una bocca, tante volte bagnate dal suo Sangue adorabile. Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vi troverà scritte tutte le profanazioni dei santi giorni della domenica. Ah! no, no, non vi saranno più pretesti, tutto sarà messo in evidenza. Vedrà tutte le ubriachezze perpetrate in quei santi giorni, gli stravizi, i giuochi e le danze che hanno profanato i giorni consacrati a Dio. Ahimè! quante Messe non ascoltate od ascoltate male! Quante Messe in cui non ci siamo quasi affatto occupati del buon Dio! o forse, vi avremo commesso più peccati che durante un’intera settimana! Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vedrà scritti tutti i delitti dei figli ingrati che hanno disprezzato il padre e la madre, che li hanno maledetti, che hanno loro augurata la morte per essere padroni delle loro sostanze, che li hanno fatto soffrire nella vecchiaia, che, coi loro cattivi trattamenti … Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina e vedrà scritte tutte quelle ingiustizie ed usure nelle vendite e nei prestiti. Sì, tutte quelle rapine verranno manifestate. Ahimè! quel povero infelice sentirà leggere i particolari di tutta la sua vita, e senza poterne trovare una sola scusa. Ahimè! come sarà avvilito quel povero superbo che voleva sempre aver ragione, che disprezzava tutti, che si rideva di tutto? Dio mio. in quale stato di disperazione l’ha ridotto quell’esame! Sì, F. M., in questo mondo abbiamo sempre qualche pretesto per diminuire i nostri peccati, se non possiamo del tutto nasconderli. Ma, con Gesù Cristo, F. M., non sarà più possibile. Egli stesso ci farà riconoscere tutto ciò che avremo fatto, e saremo costretti ad ammettere che tale è stata la nostra vita, e che giustamente saremo condannati all’inferno ed esclusi per sempre dalla presenza del nostro Dio. O spaventosa disgrazia! E senza speranza di ripararla! Ah! chi vi pensasse seriamente, quanto più saggio sarebbe! Ma questo ancora non basta: il demonio, che ha lavorato per tutta la nostra vita a perderci, presenterà a Gesù Cristo un libro dove saranno scritti tutti i peccati che avremo fatto commettere agli altri. Ahimè! quanto ne sarà grande il numero; e solo in quel momento potremo conoscerlo. Ahimè! che cosa sarà allora di quei padri e di quelle madri, di quei padroni e di quelle padrone che hanno tante volte impedito la preghiera ai loro figli, ai loro servi, per non perdere un momento del loro lavoro? Quante Messe non hanno fatto perdere al loro mandriano? Quanti vespri, istruzioni, catechismi e sacramenti i loro dipendenti non hanno potuto frequentare, perché mancava ad essi il tempo! Quante volte li hanno fatti lavorare di festa, e si sono burlati di essi quand’adempivano qualche pratica religiosa! E quante volte li hanno impediti di farle! Quanti libertini colle loro sollecitazioni e promesse hanno indotto giovinette al peccato! E fra le giovani non ve ne sono che coi loro modi affettati e ricercati hanno indotto altri a cattivi pensieri, a sguardi impuri? Quanti ubriaconi sono stati causa che altri si siano dati al vino, ed abbiano passato la domenica nell’osteria mancando alle funzioni! Ahimè! quanti peccati hanno lasciato commettere gli osti dando da bere agli ubriaconi! Quante parole sconce ed azioni impure, perché tutto è permesso nelle osterie! Là si fa sgorgare dal proprio cuore il veleno dell’impurità, che inebria coi suoi infami piaceri quasi tutti quelli che si trovano nell’osteria. Ahimè! quale conto da rendere! Quanti giovani rubano ai loro genitori per aver di che andare all’osteria! e chi ne porta la colpa? Nessun altro se non l’oste. Ahimè! quanti dubbi questi empi hanno fatto nascere colle loro empietà, divulgando ogni sorta di invenzioni, per indebolire la fede nel cuore di quelli che erano in loro compagnia. Quante calunnie contro i preti! come se il difetto di uno rendesse colpevoli gli altri. Ahimè! quanti Cristiani hanno cessato di frequentare i Sacramenti, solo perché si sono trovati in compagnia di amici che hanno insegnato loro tante falsità contro la Religione, per cui l’hanno abbandonata del tutto. Chi potrebbe contare le anime ch’essi hanno perduto? Ed ora tutto questo sarà loro imputato, tutto sarà causa della loro condanna. Tutte le anime da essi rovinate verranno in quel momento a domandar vendetta… Ahimè! se il santo re Davide diceva di temer più per i peccati altrui che per i propri, che ne sarà di quei poveri disgraziati i quali non hanno passata la loro vita che a perdere delle povere anime coi loro cattivi esempi e coi loro cattivi discorsi? Ahimè! quale stupore quando vedranno tante anime da essi gettate nell’inferno! Chi di noi non tremerà, F. M., pensando che Dio non lascerà nulla senza esame, neanche le buone opere, per sapere se esse sono state ben fatte, e per Lui solo? Ahimè! quante azioni fatte unicamente per il mondo, per il desiderio d’esser notati e di passare come uomo dabbene! Quante buone azioni saranno senza valore davanti a Dio! Ahimè! quante ipocrisie, quanti rispetti umani ne hanno fatto perdere tutto il merito! Se i Santi, F. M., i quali non erano colpevoli che di qualche piccolo difetto, hanno tanto temuto questo momento, hanno fatto sì aspre e lunghe penitenze, come vogliamo sperare che Dio avrà pietà di noi? Ahimè! quanti ogni giorno cadono nell’inferno, e sono meno colpevoli di noi. Dio mio, non ci precipitate nell’inferno! Fateci piuttosto soffrire tutto ciò che vorrete durante la nostra vita. Per farvi ben sentire quanto rigorosamente Dio ci giudicherà,  il che non è difficile a credersi… Ecché! non è giusto che Dio esamini con un rigore spaventoso un Cristiano colmato di tanti benefizi, che ha ricevute tante grazie per salvarsi, ed a cui nulla è mancato fuorché la volontà? Leggiamo nella storia un esempio raccontato da S. Giovanni Climaco, che sembra mostrarci in parte il rigore della giustizia di Dio verso il peccatore. Egli ci dice che uno dei suoi amici, chiamato Giovanni Sabaita, gli aveva detto che, in un convento dell’Asia, viveva un giovane il quale, vedendo che il superiore lo trattava con troppa bontà e dolcezza, pensava che ciò avrebbe potuto nuocergli, e domandò il permesso d’andare in un altro monastero. Partito che fu, la prima notte che passò nel nuovo monastero vide in sogno un personaggio che gli domandava conto delle sue azioni. Dopo un severissimo esame, si trovò debitore verso la giustizia divina di somme considerevoli, e Dio gli fece vedere che non aveva ancor fatto nulla per espiare i suoi peccati. Spaventato da quella visione, restò ancor tre anni in quel luogo, dove Dio, volendo fargli espiare i suoi peccati, permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti. Sembrava che ciascuno si prendesse spasso di farlo soffrire; eppure egli non si lamentò mai. Dio gli fece vedere in una seconda visione ch’egli non aveva pagato che un terzo di quanto doveva alla sua giustizia. Spaventato si finse pazzo, e continuò simil genere di vita per tredici anni: e poi il Signore gli disse che aveva pagato solo una metà. Non sapendo più come fare, per tutto il resto di sua vita non fece che implorare misericordia dal Signore. Non aveva più limite, né misura nelle sue penitenze. “Ah! Signore, non avrete pietà di me? fatemi soffrire tutto ciò che vorrete, ma perdonatemi. „ Finalmente, prima di morire, Dio gli disse che i suoi peccati gli erano perdonati. Ebbene! F. M., chi oserà sperare che i nostri peccati siano cancellati, quando li abbiamo solo confessati, e detto al buon Dio che gliene domandiamo perdono? Ahimè! quanti Cristiani sono ciechi, credendo d’aver fatto molto, mentre invece vedranno d’aver fatto nulla. Il buon Dio farà loro vedere ciò che meritavano i loro peccati, e le penitenze ch’essi hanno fatto. Ahimè! quanti Cristiani perduti! Ma nel giudizio particolare, F. M., si farà ancora un altro esame. Sebbene quanto vi ho detto sembri già rigoroso, questo non sarà meno terribile; voglio dire che Gesù Cristo ci giudicherà sul bene che avremmo potuto fare e che non avremo fatto. Gesù Cristo metterà davanti agli occhi del peccatore tutte le preghiere che non ha fatte, e che avrebbe potuto fare, tutti i Sacramenti che avrebbe potuto ricevere durante la sua vita. Quante volte di più, avrebbe potuto ricevere il suo Corpo ed il suo Sangue, se avesse voluto condurre una vita più santa! Gesù Cristo gli domanderà conto anche di tutte le volte che ebbe il pensiero di fare qualche buona azione e non l’ha fatta. Quante preghiere, quante Messe! Quante confessioni, quante penitenze! quanti atti di carità verso il prossimo! quante privazioni nei pasti, nelle visite! Quante visite di più al Ss. Sacramento nei giorni di festa! Ahimè! quante buone opere tralasciate delle quali saremo giudicati! Gesù Cristo domanderà anche conto di tutto il bene che i nostri buoni esempi avrebbero fatto fare agli altri. Ah! gran Dio! che ne sarà di noi?

II. — Ma, mi direte, che cosa dobbiamo dunque fare, per rassicurarci in un momento così disgraziato per chi avrà vissuto nel peccato, e senza pensare a placare la giustizia di Dio, che le sue colpe hanno sì grandemente irritata? Eccolo.

1° Dobbiamo rientrare in noi stessi, pensare seriamente che non abbiamo ancor fatto cosa che possa darci speranza per quel momento; e che tutti i nostri peccati sono scritti in un libro che il demonio presenterà a Dio affinché Egli ci giudichi, e conosca i nostri peccati anche i più nascosti.

2° Restituire, come Zaccheo, tutto ciò che non è nostro; altrimenti non potremo mai evitare l’inferno. Avere un gran dolore dei nostri peccati, piangerli come fece il santo re Davide, che pianse il suo peccato fino alla morte e non ne commise più. Umiliarsi profondamente davanti al buon Dio, ricevendo tutto ciò che Egli vorrà mandarci, non solo con sottomissione, ma con grande gioia : poiché non c’è via di mezzo: o piangere in questo mondo o piangere nell’altro, là dove le lagrime non servono a nulla, e la penitenza è senza merito. Non dimenticarsi mai che non sappiamo il giorno in cui saremo giudicati, e che se disgraziatamente siamo trovati in peccato, saremo perduti per tutta l’eternità. Che dobbiamo dunque concludere, F. M.? – Che siamo assolutamente ciechi; poiché esaminato bene tutto, nessuno potrebbe dire di esser pronto a comparire davanti a Gesù Cristo, e, malgrado questa certezza di non esser pronti, nessuno di noi farà un passo di più verso il buon Dio per assicurarsi una sentenza favorevole. Dio mio! quanto è cieco il peccatore! Ahimè! quanto è deplorevole la sua sorte! No, no, F. M., non viviamo più come insensati, poiché quando meno v i penseremo, Gesù Cristo batterà alla nostra porta. Beato chi non avrà atteso quel momento per prepararsi! Ciò che vi auguro…

Credo … IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XVII: 28; XVII: 32

Pópulum húmilem salvum fácies, Dómine, et óculos superbórum humiliábis: quóniam quis Deus præter te, Dómine?

[Tu, o Signore, salverai l’umile popolo e umilierai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio all’infuori di Te, o Signore?]

Secreta

Súscipe, quǽsumus, Dómine, múnera, quæ tibi de tua largitáte deférimus: ut hæc sacrosáncta mystéria, grátiæ tuæ operánte virtúte, et præséntis vitæ nos conversatióne sanctíficent, et ad gáudia sempitérna perdúcant.

[Gradisci, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che noi, partecipi dell’abbondanza dei tuoi beni, Ti offriamo, affinché questi sacrosanti misteri, per opera della tua grazia, ci santífichino nella pratica della vita presente e ci conducano ai gaudii sempiterni.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXXIII: 9 Gustáte et vidéte, quóniam suávis est Dóminus: beátus vir, qui sperat in eo.

[Gustate e vedete quanto soave è il Signore: beato l’uomo che spera in Lui.]

Postcommunio

Orémus.

Sit nobis, Dómine, reparátio mentis et córporis cæléste mystérium: ut, cujus exséquimur cultum, sentiámus efféctum.

[O Signore, che questo celeste mistero giovi al rinnovamento dello spirito e del corpo, affinché di ciò che celebriamo sentiamo l’effetto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL GIUDIZIO PARTICOLARE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sul giudizio particolare.

Redde rationem villicationis tuæ.

(Luc. XVI, 2).

Possiamo seriamente riflettere, Fratelli miei, sulla severità del giudizio di Dio, senza sentirci presi da vivo timore? Ecchè! F. M., i giorni delia nostra vita, sono contati; e per di più ignoriamo l’ora ed il momento in cui il nostro Giudice Supremo ci chiamerà al suo tribunale, e forse quel momento sarà quello in cui meno vi penseremo, e saremo meno disposti a rendere questo terribile conto!… Vi assicuro, F. M., che pensandovi bene, ci sarebbe da darsi alla disperazione, se la religione non ci insegnasse che possiamo render meno terribile questo momento con una vita la quale possa sempre farci sperare che il buon Dio avrà pietà di noi. Badiamo bene, F. M., di non trovarci imbarazzati in quel momento, come quel fattore di cui Gesù Cristo ci parla nell’Evangelo. Vi mostrerò dunque, F. M.:

1° che v’è un giudizio particolare in cui renderemo esattissimo conto del bene e del male che avremo fatto;

2° quali sono i mezzi che dobbiamo usare per prevenire il rigore di questo conto.

I. — Noi tutti sappiamo, F . M., che saremo giudicati due volte: una volta nel gran giorno delle vendette, cioè alla fine del mondo, quando davanti all’universo intero, le nostre azioni buone o cattive, saranno a tutti manifeste. Ma prima di quel giorno terribile e sventurato pei peccatori, avremo subito un giudizio al momento della nostra morte, dopo esalato l’ultimo respiro. Sì. F. M., la sorte dell’uomo sta tutta in queste tre parole: vivere, morire ed essere giudicato. È una legge fissa ed invariabile per tutti gli uomini. Noi nasciamo per morire, moriamo per essere giudicati, e questo giudizio deciderà della nostra felicità eterna o della nostra eterna sventura. – Il giudizio universale in cui tutti compariremo, non sarà che la pubblicazione della sentenza particolare pronunciata subito dopo la nostra morte. Voi tutti sapete che Dio ha contato i nostri anni (Breves dies hominis sunt; numerus mensium ejus apud te est – Job xiv, 5),ed in questo numero d’anni, che Egli ha fissato d’accordarci, ne ha segnato uno che sarà l’ultimo per noi; in quest’ultimo anno un ultimo mese; in quest’ultimo mese un ultimo giorno, ed in questo giorno un’ultima ora, dopo la quale non vi sarà più tempo per noi. Ahimè! che ne sarà di quel peccatore e di quell’empio che si promettono sempre una vita più lunga? Aspettino pure, poveri disgraziati, fin che vogliono; dopo quest’ultima ora non vi sarà più ritorno, non più speranza, non più rimedio! Nello stesso istante. M. F.; ascoltate bene voi che non temete di passare i vostri giorni nel peccato, nello stesso istante in cui l’anima si separerà dal vostro corpo, essa sarà giudicata. — Ma, mi direte, lo sappiamo. — Sì, ma non lo credete. Ditemi, se lo credeste seriamente, come potreste restare in uno stato che vi mette nel continuo pericolo di cadere nell’inferno? No, no, amico mio, voi non lo credete; perché se lo credeste, non v i esporreste ad una sì grande disgrazia. Verrà il momento che il buon Dio applicherà sul vostro debito l’impronta della sua immortalità ed il sigillo della sua eternità, e quel sigillo e quell’impronta non saranno levati mai più. O  momento terribile! eppure così poco meditato, così breve e così lungo, che vola con tanta rapidità, e che trascina con sé un susseguirsi spaventoso di secoli! Che cosa ci avverrà dunque in questo momento che tanto fa orrore? Ahimè. F. M., compariremo tutti, ciascuno in particolare, davanti al tribunale di Gesù Cristo, per esservi giudicati, e render conto del bene e del male che avremo fatto. Il giudizio particolare, F. M., è così certo, che il buon Dio per convincercene, ne ha fatto scorgere i segni a parecchi quand’erano ancor vivi, affinché noi vi ci preparassimo.Leggiamo nella storia che un giovane libertino si era dato ad ogni sorta di vizi; ma essendo stato istruito da una pia madre, una notte che teneva dietro al giorno in cui era caduto nei più gravi eccessi, fece un sogno. Si vide trasportato al tribunale di Dio. Non si può dire quale fu la sua vergogna, la sua confusione e l’amarezza della sua anima. Quando si svegliò aveva una febbre ardente, sudava ed era fuori di sé, i suoi capelli erano diventati bianchi. “Lasciatemi solo, diceva, sciogliendosi in lagrime, a quelli che pei primi lo videro in quello stato, lasciatemi solo; ho visto il mio Giudice. Ah! quanto è terribile! Perdono, Dio mio! perdono!„ I suoi compagni di stravizi, sentendo che il loro amico era ammalato e si desolava, vennero per confortarlo. “Ritiratevi da me, diceva loro, voi non siete più i miei amici, non vi voglio più. Ah! ho visto il mio Giudice. Ah! quant’è terribile! Di quanta maestà! di quanta gloria è rivestito! Ah! quante accuse e domande, alle quali non ho potuto rispondere! Tutti i miei delitti sono scritti; li ho letti tutti! Ah! quanto grande ne è il numero! Solo ora ne conosco tutta l’enormità! Ahimè! Ho visto una schiera di demoni, i quali non aspettavano che il segno per trascinarmi nell’inferno. Ritiratevi, falsi amici, non voglio più vedervi! Quanto sarei felice, se potessi, coi rigori della penitenza, placare un giudice così terribile! Ahimè! ben presto dovrò presentarmigli davvero! forse oggi stesso!… Dio mio, perdonatemi!… Dio mio, usatemi misericordia!… Ah! di grazia, non perdetemi, abbiate pietà di me!… Farò penitenza per tutta la mia vita. Oh! quanti peccati ho commesso! Quante grazie disprezzate!… quanto bene avrei potuto fare e non ho fatto!… Dio mio, non gettatemi nell’inferno!„ E non si fermò lì, F. M. Passò il resto della sua vita a piangere e far penitenza. Quanto sarà terribile questo momento, F. M., per chi non avrà fatto alcun bene e molto male. Sì, F. M., renderemo conto di tutte le nostre azioni, buone e cattive: tutto comparirà davanti al nostro giudice nel momento in cui l’anima si separerà dal nostro corpo. Sì, F. M., il buon Dio si farà render conto dei beni che abbiamo ricevuti. Vi sono i beni di natura, di fortuna e di grazia. Tutti questi beni entreranno nel conto. I beni di natura riguardano il corpo e l’anima; bisognerà render conto dell’uso che avremo fatto del nostro corpo. Domanderà il Giudice se avremo usate le nostre forze a render servizi al nostro prossimo, a lavorare per avere di che far elemosine, a far penitenza, a visitare i luoghi privilegiati dal buon Dio (come Nostra Signora di Fourvière, S. Francesco Regis ed altri). Ma, se invece, non abbiamo usato della nostra salute e del nostro corpo, che per correre ai divertimenti, alle osterie, per derubare il prossimo, per lavorare alla domenica , per viaggiare in questi santi giorni, invece di passarli nel pregare, onorare il buon Dio, istruire gli ignoranti, dar loro buoni consigli, condurli a Dio ed allontanarli dal male… Esaminerà poi se non ci siamo serviti della nostra intelligenza pel male: cioè per istruirci di cose cattive. Se abbiamo letto libri perversi, frequentato gli empi, insegnata la malizia agli altri. Se ce ne siamo serviti per ingannare nelle vendite e nelle compere, per giurare il falso, suscitare liti, indurre altri a vendicarsi, a parlar male della religione, a insegnar loro cose empie: come, per esempio, voler far loro credere che la religione non è buona, che tutto ciò che si dice non è vero, che i preti dicono ciò che vogliono. Ed esaminerà altresì se abbiamo usato la nostra intelligenza per comporre cattive canzoni contro la purità, contro l’onor del prossimo; se abbiamo comunicato ad altri le nostre cattive cognizioni. Ci domanderà se ci siamo serviti della nostra mente per istruirci; se ci siamo invaniti della bellezza del nostro corpo, invece d’ammirare in noi la sapienza e la potenza di Dio. Se ce ne siamo serviti per indurre gli altri al male; come per esempio, chi si veste in modo d’attirare su di sé gli occhi altrui. Dio ci domanderà se abbiamo bene usato di ciò che ci ha dato, ricordandoci che noi non siamo che amministratori, e che tutto ciò di cui avremo usato male ci verrà imputato a colpa. Allora il buon Dio farà vedere a quei padri ed a quelle madri tutti gli oggetti di vanità che essi hanno comperato ai loro figli, e che servirono soltanto a perdere la loro anima; mostrerà loro tutto quel denaro consumato nei divertimenti, nelle osterie, nelle danze ed in tutte le altre spese inutili. E poi tutto ciò che abbiamo lasciato andar a male e che avremmo potuto dare ai poveri. Ahimè! quanti peccati ai quali non avremmo mai pensato, e che ora non vogliamo riconoscere; ma che in quel momento riconosceremo, troppo tardi! Veniamo ora, F. M., ad un altro conto ben più terribile, quello della grazia. Il buon Dio comincerà a mostrarci i benefizi accordatici, facendoci nascere nel seno della Chiesa cattolica; mentre tanti altri sono nati e morti fuori di essa, Ci farà vedere che anche tra i Cristiani, un numero infinito sono morti senza aver ricevuta la grazia del Battesimo. Ci farà vedere per quant’anni, mesi, settimane, giorni, ci ha conservata la vita mentre eravamo nel peccato; e che se, in quel momento, ci avesse fatto morire, saremmo stati precipitati nell’inferno. Ci metterà davanti agli occhi tutti i buoni pensieri, tutte le buone ispirazioni, i buoni desideri che ci ha dato durante la nostra vita. Ahimè! quante grazie disprezzate! Ci ricorderà tutte le istruzioni ricevute e sentite; tutte le letture messe a nostra disposizione affinché ne approfittassimo. Tutte lo nostre confessioni, le comunioni, e tante altre grazie del cielo che abbiamo ricevuto. E quanti Cristiani non ne hanno ricevuto la centesima parte, eppure si sono santificati! Ma, che cosa è stato, F. M., di tutti questi benefizi e di tutte queste grazie? qual profitto ne abbiamo  ricavato? … Triste momento per un Cristiano che ha disprezzato tutto, e di nulla seppe approfittare! … Vedete che cosa ci dice S. Gregorio: “Ah! amico, osserva quella croce, e vedrai quanto ha costato ad un Dio il ridonarci la vita.„ E per questo che S. Agostino quando meditava sul conto da rendersi delle grazie ricevute e disprezzate; esclamava: “Ahimè! disgraziato, che diventerò dopo tante grazie ricevute? Ahimè! temo ancor più per le grazie ricevute, che per i peccati commessi, per quanto siano numerosi! Dio mio, quale sarà la mia sorte? „ Leggiamo nella vita di S. Teresa che, nell’ultima sua malattia, fu trasportata davanti al tribunale di Dio; ritornata in sé, le si domandò perché temesse dopo aver fatta tanta penitenza. “Ahimè! disse, temo molto.„ — “Avete paura della morte?„ le si domandò. — “No, „ rispose. ” Dell’inferno?„ — ” No. „ Che cosa dunque la faceva tremare? “Ahimè! bisogna che la mia vita sia confrontata con quella di Gesù Cristo; ah! guai a me, se ho la minima ombra di peccato! „ E che sarà di noi, F. M., quando Gesù Cristo ci rimprovererà il disprezzo e l’abuso che abbiamo fatto del suo Sangue prezioso e di tutti i suoi meriti? “Ahi ingrato peccatore, ci dirà, vigna infruttuosa, albero sterile, che avrei dovuto fare per la tua salute e non ho fatto? Non dovevo io attendere da te buoni frutti per la vita eterna? Dove sono le buone opere da te fatte? Dove sono le tue fervorose preghiere, che mi sieno piaciute, e che mi abbiano commosso? Dove sono le tue buone confessioni? Le buone Comunioni che m’abbiano fatto rinascere nella tua anima, e ricompensato, in qualche modo dei tormenti che ho sopportati per la tua salute? Ove sono le penitenze e le lagrime da te sparse per cancellare i peccati che hai commesso? Dove sono le buone opere che hai fatte, suggerite da tanti buoni pensieri e desiderii e da tante occasioni che ti ho presentato? Dove sono quelle Messe ben ascoltate, in cui avresti potuto soddisfarmi per i tuoi peccati? Va, disgraziato, non hai fatto che opere d’iniquità, non hai lavorato che a rinnovare i dolori della mia passione e della mia morte. Va, ritirati da me, io ti maledico per tutta 1’eternità! Va, nel giorno del giudizio universale, manifesterò il bene che avresti potuto fare e che non hai fatto, e tutte le grazie che ti ho accordate e che hai disprezzato.„ Ahimè! quanti rimproveri, e quanti peccati, ai quali non abbiamo mai pensato! Ahimè! quanto sarà terribile questo rendiconto! Eccone un esempio che ve lo proverà. Racconta S. Giovanni Climaco, (La scala santa, settimo gradino) che un anacoreta, chiamato Stefano, dopo aver condotto una vita delle più austere e delle più sante, essendo molto vecchio cadde ammalato e ne morì. La vigilia della sua morte, trovandosi improvvisamente fuor di sé, pure avendo gli occhi aperti, guardava a destra ed a sinistra, come se vedesse qualcheduno che gli faceva render conto delle sue azioni. Si sentiva una persona che l’interrogava, e l’ammalato rispondeva a voce così spiccata, che tutti quelli che erano nella stanza potevano sentire. Lo si sentiva dire: “Sì, è vero, ho commesso quel peccato, ma per questo ho digiunato tanti anni.„ Poi l’altra voce diceva che aveva commesso il tal altro peccato, ed il morente rispondeva: “No, non è vero, non l’ho commesso.„ Poco dopo lo si sentiva dire: “Sì, lo confesso, l’ho fatto; ma Dio è tanto misericordioso che me l’ha perdonato. „ Era, ci dice S. Giovanni Climaco, uno spettacolo spaventoso assistere al rendiconto così esatto che si chiedeva a quel solitario di tutte le sue azioni. Ma, ciò che spaventava ancor più era il sentire che lo si accusava anche di peccati, ch’egli non aveva mai commesso. Ecchè! F. M., un santo solitario, che aveva passato quarantanni nel deserto, che aveva versate tante lagrime, confessa egli stesso che non può giustificarsi di qualche accusa che gli è fatta!!… Egli ci lasciò, ci dice S. Giovanni Climaco, in una grande incertezza per la sua salute. Ma, che sarà di un peccatore che, in quel momento non vedrà che male e niente di bene? Momento terribile! momento di disperazione! E non aver nulla su che affidarsi! Voi sapete che quel giudizio avverrà fra tre testimoni: Dio che giudicherà, il nostro Angelo custode che mostrerà le buone opere che avremo fatte, ed il demonio che manifesterà tutto ciò che di cattivo avremo commesso durante la nostra vita. Dopo le loro deposizioni, Dio ci giudicherà e fisserà la nostra sorte per tutta l’eternità. Ahimè! M. F., quale deve essere il timore d’un povero Cristiano che aspetta il suo giudizio e che, tra qualche minuto, sarà nell’inferno o nel cielo! – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. II, p. 452)  che un santo abate, chiamato Agatone, al momento di spirare restò sempre cogli occhi fissi verso il cielo senza distaccarneli. I religiosi gli dissero: “Dove credete di essere ora, padre?„ — “Sono alla presenza di Dio, di cui aspetto il giudizio,, . — “Non lo temete ? „ — “Ahimè! non so se tutte le mie azioni saranno accette a Dio; credo di aver osservato i suoi comandamenti; ma i giudizi di Dio sono diversi da quelli degli uomini. „ In quel momento esclamò: “Ahimè! sono in giudizio.„ Ahimè! F. M., quanti rimorsi per aver perduto tanti mezzi di salvarci, e disprezzate tante grazie che il buon Dio ci ha fatte per aiutarci a guadagnare il cielo; e vedere che tutto ciò per noi è perduto, anzi, tutto torna a nostra condanna! Ma, se è già così terribile render conto delle grazie che il buon Dio ci ha fatte per preservarci dall’inferno, che cosa sarà dunque quando saremo esaminati e giudicati su tutti i peccati che avremo commesso? Forse, per consolarvi, dite che non avete commesso di quei peccati, che agli occhi del mondo sono mostruosi. Ma quei peccati interni, F. M. ?… Ahimè! quanti pensieri d’impurità, desideri! impuri, pensieri di odio, di vendetta e d’invidia sono passati per la vostra mente durante una vita di trenta o quarant’anni, o fors’anche di ottanta! Ahimè! quanti pensieri di superbia, gelosia, quanti desideri di vendetta, di far del male al proprio prossimo, di ingannare! E quando si verrà ai peccati di opere?… Ahimè! quando il buon Dio prenderà il libro dalle mani dei demoni, per esaminare tutte quelle azioni d’impurità quelle corruzioni, turpitudini, sguardi vergognosi, confessioni e comunioni sacrileghe: tutti quei raggiri e malizie usate per sedurre quella persona… Ahimè! che diverranno quelle vittime d’impurità! Oh! quanto sarebbero più felici se Dio le precipitasse nell’inferno prima della loro morte, per evitare ad esse di comparire davanti ad un Giudice così giusto! Secondo ogni apparenza questo giudizio avverrà al letto e nella camera del moribondo. Ahimè! quei poveri disgraziati che non furono più riservati degli animali, e forse meno, vedranno, al pari dell’empio Baldassarre (Dan. V), la loro condanna scritta sui muri o meglio in tutti gli angoli della loro casa. Potranno essi negare, quando Gesù Cristo, col libro in mano, mostrerà loro il luogo e l’ora in cui hanno peccato? “Va, disgraziato, dirà loro, ti condanno e ti maledico per sempre!„ Ahimè! quand’anche il buon Dio offrisse loro il perdono, è quasi certo che non lo vorrebbero, tanto il peccato avrà indurito il loro cuore. Ah! Gesù Cristo potrebbe far loro le stesse minacce che fece a quell’empio di cui si parla nella storia. Essendo ridotto a morire Gesù Cristo gli disse: “Se vuoi domandarmi perdono, io te lo darò. Ma no! quando si ha passata la vita immersi nel peccato, non se ne esce più. — “No,„ rispose il morente. — “Ebbene! gli disse Gesù Cristo, gettandogli una goccia del suo prezioso Sangue sulla fronte; va: nel gran giorno del giudizio questo Sangue adorabile, disprezzato e profanato per tutta la tua vita, sarà il marchio della tua riprovazione.„ Dopo queste parole il peccatore morì e fu precipitato nell’inferno. O terribile momento per un peccatore, il quale non vedrà più nulla che possa fargli sperare il cielo! Il povero peccatore, tutto tremante, non avendo nulla da rispondere, vorrebbe già essere nell’inferno. Egli muore e non può che dire: “Sì, ho meritato l’inferno, è giusto ch’io vi sia precipitato; poiché ho tante volte profanato quel Sangue adorabile, che voi avevate sparso sulla croce per la mia salute. „ Gesù Cristo, tenendo sempre dinanzi il libro nel quale sono scritti i suoi peccati, vedrà tutte le preghiere tralasciate o mal fatte, fors’anche fatte col sentimento dell’odio e della vendetta in cuore, e forse, che dico? col cuore arso dal fuoco dell’impurità. No, no, mio Dio, non esaminatelo più, gettatelo presto nell’inferno; è la grazia più grande che potreste fargli se, prima di gettarlo nel fuoco eterno, dovete fargliene ancora una. Sì, Gesù Cristo, volterà pagina, dove vedrà scritte tutte le bestemmie, le imprecazioni, le maledizioni che l’infelice non ha cessato di vomitare durante la sua vita, con una lingua ed una bocca, tante volte bagnate dal suo Sangue adorabile. Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vi troverà scritte tutte le profanazioni dei santi giorni della domenica. Ah! no, no, non vi saranno più pretesti, tutto sarà messo in evidenza. Vedrà tutte le ubriachezze perpetrate in quei santi giorni, gli stravizi, i giuochi e le danze che hanno profanato i giorni consacrati a Dio. Ahimè! quante Messe non ascoltate od ascoltate male! Quante Messe in cui non ci siamo quasi affatto occupati del buon Dio! o forse, vi avremo commesso più peccati che durante un’intera settimana! Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina, e vedrà scritti tutti i delitti dei figli ingrati che hanno disprezzato il padre e la madre, che li hanno maledetti, che hanno loro augurata la morte per essere padroni delle loro sostanze, che li hanno fatto soffrire nella vecchiaia, che, coi loro cattivi trattamenti … Sì, F. M., Gesù Cristo volterà pagina e vedrà scritte tutte quelle ingiustizie ed usure nelle vendite e nei prestiti. Sì, tutte quelle rapine verranno manifestate. Ahimè! quel povero infelice sentirà leggere i particolari di tutta la sua vita, e senza poterne trovare una sola scusa. Ahimè! come sarà avvilito quel povero superbo che voleva sempre aver ragione, che disprezzava tutti, che si rideva di tutto? Dio mio. in quale stato di disperazione l’ha ridotto quell’esame! Sì, F. M., in questo mondo abbiamo sempre qualche pretesto per diminuire i nostri peccati, se non possiamo del tutto nasconderli. Ma, con Gesù Cristo, F. M., non sarà più possibile. Egli stesso ci farà riconoscere tutto ciò che avremo fatto, e saremo costretti ad ammettere che tale è stata la nostra vita, e che giustamente saremo condannati all’inferno ed esclusi per sempre dalla presenza del nostro Dio. O spaventosa disgrazia! E senza speranza di ripararla! Ah! chi vi pensasse seriamente, quanto più saggio sarebbe! Ma questo ancora non basta: il demonio, che ha lavorato per tutta la nostra vita a perderci, presenterà a Gesù Cristo un libro dove saranno scritti tutti i peccati che avremo fatto commettere agli altri. Ahimè! quanto ne sarà grande il numero; e solo in quel momento potremo conoscerlo.Ahimè! che cosa sarà allora di quei padri e di quelle madri, di quei padroni e di quelle padrone che hanno tante volte impedito la preghiera ai loro figli, ai loro servi, per non perdere un momento del loro lavoro? Quante Messe non hanno fatto perdere al loro mandriano? Quanti vespri, istruzioni, catechismi e sacramenti i loro dipendenti non hanno potuto frequentare, perché mancava ad essi il tempo! Quante volte li hanno fatti lavorare di festa, e si sono burlati di essi quand’adempivano qualche pratica religiosa! E quante volte li hanno impediti di farle! Quanti libertini colle loro sollecitazioni e promesse hanno indotto giovinette al peccato! E fra le giovani non ve ne sono che coi loro modi affettati e ricercati hanno indotto altri a cattivi pensieri, a sguardi impuri? Quanti ubriaconi sono stati causa che altri si siano dati al vino, ed abbiano passato la domenica nell’osteria mancando alle funzioni! Ahimè! quanti peccati hanno lasciato commettere gli osti dando da bere agli ubriaconi! Quante parole sconce ed azioni impure, perché tutto è permesso nelle osterie! Là si fa sgorgare dal proprio cuore il veleno dell’impurità, che inebria coi suoi infami piaceri quasi tutti quelli che si trovano nell’osteria. Ahimè! quale conto da rendere! Quanti giovani rubano ai loro genitori per aver di che andare all’osteria! e chi ne porta la colpa? Nessun altro se non l’oste. Ahimè! quanti dubbi questi empi hanno fatto nascere colle loro empietà, divulgando ogni sorta di invenzioni, per indebolire la fede nel cuore di quelli che erano in loro compagnia. Quante calunnie contro i preti! come se il difetto di uno rendesse colpevoli gli altri. Ahimè! quanti Cristiani hanno cessato di frequentare i Sacramenti, solo perché si sono trovati in compagnia di amici che hanno insegnato loro tante falsità contro la Religione, per cui l’hanno abbandonata del tutto. Chi potrebbe contare le anime ch’essi hanno perduto? Ed ora tutto questo sarà loro imputato, tutto sarà causa della loro condanna. Tutte le anime da essi rovinate verranno in quel momento a domandar vendetta… Ahimè! se il santo re Davide diceva di temer più per i peccati altrui che per i propri, che ne sarà di quei poveri disgraziati i quali non hanno passata la loro vita che a perdere delle povere anime coi loro cattivi esempi e coi loro cattivi discorsi? Ahimè! quale stupore quando vedranno tante anime da essi gettate nell’inferno! Chi di noi non tremerà, F. M., pensando che Dio non lascerà nulla senza esame, neanche le buone opere, per sapere se esse sono state ben fatte, e per Lui solo? Ahimè! quante azioni fatte unicamente per il mondo, per il desiderio d’esser notati e di passare come uomo dabbene! Quante buone azioni saranno senza valore davanti a Dio! Ahimè! quante ipocrisie, quanti rispetti umani ne hanno fatto perdere tutto il merito! Se i Santi, F. M., i quali non erano colpevoli che di qualche piccolo difetto, hanno tanto temuto questo momento, hanno fatto sì aspre e lunghe penitenze, come vogliamo sperare che Dio avrà pietà di noi? Ahimè! quanti ogni giorno cadono nell’inferno, e sono meno colpevoli di noi. Dio mio, non ci precipitate nell’inferno! Fateci piuttosto soffrire tutto ciò che vorrete durante la nostra vita. Per farvi ben sentire quanto rigorosamente Dio ci giudicherà,  il che non è difficile a credersi… Ecché! non è giusto che Dio esamini con un rigore spaventoso un cristiano colmato di tanti benefizi, che ha ricevute tante grazie per salvarsi, ed a cui nulla è mancato fuorché la volontà? Leggiamo nella storia un esempio raccontato da S. Giovanni Climaco, che sembra mostrarci in parte il rigore della giustizia di Dio verso il peccatore. Egli ci dice che uno dei suoi amici, chiamato Giovanni Sabaita, gli aveva detto che, in un convento dell’Asia, viveva un giovane il quale, vedendo che il superiore lo trattava con troppa bontà e dolcezza, pensava che ciò avrebbe potuto nuocergli, e domandò il permesso d’andare in un altro monastero. Partito che fu, la prima notte che passò nel nuovo monastero vide in sogno un personaggio che gli domandava conto delle sue azioni. Dopo un severissimo esame, si trovò debitore verso la giustizia divina di somme considerevoli, e Dio gli fece vedere che non aveva ancor fatto nulla per espiare i suoi peccati. Spaventato da quella visione, restò ancor tre anni in quel luogo, dove Dio, volendo fargli espiare i suoi peccati, permise che fosse disprezzato e maltrattato da tutti. Sembrava che ciascuno si prendesse spasso di farlo soffrire; eppure egli non si lamentò mai. Dio gli fece vedere in una seconda visione ch’egli non aveva pagato che un terzo di quanto doveva alla sua giustizia. Spaventato si finse pazzo, e continuò simil genere di vita per tredici anni: e poi il Signore gli disse che aveva pagato solo una metà. Non sapendo più come fare, per tutto il resto di sua vita non fece che implorare misericordia dal Signore. Non aveva più limite, né misura nelle sue penitenze. “Ah! Signore, non avrete pietà di me? fatemi soffrire tutto ciò che vorrete, ma perdonatemi. „ Finalmente, prima di morire, Dio gli disse che i suoi peccati gli erano perdonati. Ebbene! F. M., chi oserà sperare che i nostri peccati siano cancellati, quando li abbiamo solo confessati, e detto al buon Dio che gliene domandiamo perdono? Ahimè! quanti Cristiani sono ciechi, credendo d’aver fatto molto, mentre invece vedranno d’aver fatto nulla. Il buon Dio farà loro vedere ciò che meritavano i loro peccati, e le penitenze ch’essi hanno fatto. Ahimè! quanti Cristiani perduti! Ma nel giudizio particolare, F. M., si farà ancora un altro esame. Sebbene quanto vi ho detto sembri già rigoroso, questo non sarà meno terribile; voglio dire che Gesù Cristo ci giudicherà sul bene che avremmo potuto fare e che non avremo fatto. Gesù Cristo metterà davanti agli occhi del peccatore tutte le preghiere che non ha fatte, e che avrebbe potuto fare, tutti i Sacramenti che avrebbe potuto ricevere durante la sua vita. Quante volte di più, avrebbe potuto ricevere il suo Corpo ed il suo Sangue, se avesse voluto condurre una vita più santa! Gesù Cristo gli domanderà conto anche di tutte le volte che ebbe il pensiero di fare qualche buona azione e non l’ha fatta. Quante preghiere, quante Messe! Quante confessioni, quante penitenze! quanti atti di carità verso il prossimo! quante privazioni nei pasti, nelle visite! Quante visite di più al Ss. Sacramento nei giorni di festa! Ahimè! quante buone opere tralasciate delle quali saremo giudicati! Gesù Cristo domanderà anche conto di tutto il bene che i nostri buoni esempi avrebbero fatto fare agli altri. Ah! gran Dio! che ne sarà di noi?

II. — Ma, mi direte, che cosa dobbiamo dunque fare, per rassicurarci in un momento così disgraziato per chi avrà vissuto nel peccato, e senza pensare a placare la giustizia di Dio, che le sue colpe hanno sì grandemente irritata? Eccolo.

1° Dobbiamo rientrare in noi stessi, pensare seriamente che non abbiamo ancor fatto cosa che possa darci speranza per quel momento; e che tutti i nostri peccati sono scritti in un libro che il demonio presenterà a Dio affinché Egli ci giudichi, e conosca i nostri peccati anche i più nascosti.

2° Restituire, come Zaccheo, tutto ciò che non è nostro; altrimenti non potremo mai evitare l’inferno. Avere un gran dolore dei nostri peccati, piangerli come fece il santo re Davide, che pianse il suo peccato fino alla morte e non ne commise più. Umiliarsi profondamente davanti al buon Dio, ricevendo tutto ciò che Egli vorrà mandarci, non solo con sottomissione, ma con grande gioia: poiché non c’è via di mezzo: o piangere in questo mondo o piangere nell’altro, là dove le lagrime non servono a nulla, e la penitenza èsenza merito. Non dimenticarsi mai che nonsappiamo il giorno in cui saremo giudicati, e che se disgraziatamente siamo trovati in peccato, saremo perduti per tutta l’eternità. Che dobbiamo dunque concludere, F. M.? – Che siamo assolutamente ciechi; poiché esaminato bene tutto, nessuno potrebbe dire di esser pronto a comparire davanti a Gesù Cristo, e, malgrado questa certezza di non esser pronti, nessuno di noi farà un passo di più verso il buon Dio per assicurarsi una sentenza favorevole. Dio mio! quanto è cieco il peccatore! Ahimè! quanto è deplorevole la sua sorte! No, no, F. M., non viviamo più come insensati, poiché quando meno v i penseremo, Gesù Cristo batterà alla nostra porta. Beato chi non avrà atteso quel momento per prepararsi! Ciò che vi auguro…

LO SCUDO DELLA FEDE (165)

A. D. SERTILLANGES O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (I)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. –

Torino 1944]

INTRODUZIONE

Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo..,

D. Che fai?

R. Segno l’opera mia. Un catechismo è un libro religioso.

— Un segno di croce di solito inaugura una preghiera, e tu parli a increduli.

— La preghiera che io intendo di suggerire è una preghiera universale; chiunque appartenga all’umanità la può intendere.

Il Pater di Cristo.

Padre nostro che sei ne’ cieli, sia santificato il tuo nome: venga il tuo regno: sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dà a noi oggi il nostro pane quotidiano; e rimetti a noi è nostri debiti, comye noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Così sia.

— Io non potrei ancora pregare così.

— Allora di’ quest’altra preghiera:

Il Pater dell’Incredulo.

Padre nostro, se tu esisti, io oso rivolgermi a te. Se tu esisti, il tuo Nome è santo: sia santificato. Se tu esisti, il tuo regno è l’ordine, e anche il suo splendore: venga il tuo regno. Se tu esisti, la tua volontà è la legge dei mondi e la legge delle anime: la tua volontà sia fatta in noi tutti e in tutte le cose, in terra come in cielo. Dà a noi, se esisti, il nostro pane d’ogni giorno, il pane di verità, il pane della sapienza, il pane della gioia, il pane soprassostanziale che si promette a chi lo può riconoscere. Se tu esisti, io ho dei grandi debiti verso di te: degnati di rimettere i miei debiti, come io stesso li rimetto volentieri a’ miei debitori. Per l’avvenire, non mi abbandonare alla tentazione, ma liberami da ogni male.

D. Bene; ma ho io veramente il diritto di esprimermi in tal modo?

R. Anzi ne hai il dovere. È possibile dubitare; ma quale anima sincera, che vada a fondo di se stessa, può negare Dio con la certezza della propria negazione? La preghiera condizionale è dunque un obbligo, nello stesso tempo che una utile domanda.

LIBRO PRIMO

I PRELIMINARI DELLA FEDE

I. — Dio.

D. Sono io obbligato a far ricerche intorno all’esistenza di Dio?

R. Rifletti a questo: Se Dio esiste, Egli è tutto; se Dio esiste, tu gli devi tutto; se Dio esiste, tu da Lui devi attendere tutto. Concludi.

D. Ma come sì propone il problema di Dio?

R. Noi siamo posti, con una intelligenza, di fronte all’universo, di fronte alla vita, di fronte a noi stessi: noi non possiamo trattenerci dal cercare di intendere, per vivere, e domandiamo al reale le sue carte.

D. Il reale presenta ben altri enigmi.

R. Enigmi parziali, sì; ma, nel suo tutto, anche la realtà universale è un enigma, e appunto a questo risponde l’affermazione di Dio.

D. Neghi tu che la scienza spiega il mondo?

E. La scienza spiega il mondo a modo suo; ma questa spiegazione non è completa, non è totale.

D. Perché non sarebbe completa?

E. Perché le spiegazioni scientifiche, per necessità di metodo, sono tolte dall’esperienza, e allora il voler considerare la spiegazione come completa per mezzo della scienza, sarebbe un volere spiegare il mondo non servendosi che di esso. Ora non si spiega lo stesso per lo stesso.

D. I fenomeni della natura hanno cause che la scienza riesce a spiegare.

R. Sì; ma queste cause hanno le stesse deficienze che i loro effetti; sono esse stesse effetti e domandano altre cause. Rispetto a una spiegazione vera, non si è dunque fatto un passo avanti; la causa e l’effetto si confondono in una comune indigenza. Di tutte le spiegazioni che la scienza elabora si può dire che sono altrettante questioni. Solo al di là si può trovare la spiegazione sufficiente, il cui nome proprio è Dio.

D. Ma la risposta Dio non offre essa stessa le sue oscurità?

R. Sì, offre quella specie di oscurità che si chiama mistero.  Ma questa oscurità è normale, nei riguardi d’una mente limitata. Quello che non è normale è un preteso sistema di spiegazioni che, invece di fermare la mente e di chiudere il suo lavoro, fosse pure nel mistero, la trascina sempre più lontano e, tutto considerato, la inganna, poiché, relativamente al vero problema, il problema universale, essa non si trova in una migliore condizione, e così non si avanza affatto.

D. Resta però qualche paradosso a volere spiegare il chiaro per l’oscuro.

R. Non che essere un paradosso, è una necessità del problema. Se la causa universale fosse per noi chiara come sono i fatti della nostra esperienza, essa stessa formerebbe parte della nostra esperienza, e non potrebbe servire a spiegarcelo. Il mistero di Dio si fa accettare dalla mente appunto perché  oltrepassa la mente e tutto ciò che si misura alla stregua della mente. Senza ciò la mente si sentirebbe obbligata a procedere più avanti nelle sue indagini, e il supremo anello delle cause non sarebbe raggiunto.

D. Insomma, a te preme di spiegare il giorno per la notte.

R. Non diciamo la notte, perché Dio è luce di un’altra specie; ma questa luce unica è inaccessibile ai nostri sguardi mortali, e appunto per questo la si può chiamare una notte. Comprendi che se vuoi spiegare la luce, la nostra, quella di cui si nutrono i nostri occhi o la nostra mente, bisogna che tu arrivi a qualche cosa che non sia luce; finché tu resti nella luce, la luce non ha spiegazione.

D. Ciononostante mi ripugna aumentare la dose del mistero.

R. Non è un aumentare la dose del mistero il concentrarlo in un punto dov’esso è al suo posto, per cacciarlo dagli altri luoghi dove urta la mente.

D. Io ne aumento la dose supponendo Dio; perché Dio è un mistero più grande della composizione dei corpi e delle origini della vita.

R. Qui il mistero si rende accettevole appunto portandolo al suo massimo; se non fosse assoluto, esso sarebbe vano; perché  un misto di luce percettibile ai nostri sguardi, in Dio, rigetterebbe Dio per una parte nel mondo della nostra esperienza, e questo preteso Dio avrebbe dunque lui stesso bisogno d’una spiegazione. La verità intorno a Dio è una verità che cessa di essere verità quando le si toglie il suo velo. Concepire Dio sarebbe in qualche modo fabbricarlo con la mente, e se Dio è, è lui il Fabbricatore della mente. Concepire Dio sarebbe non averlo trovato.

D. Così tu ammetti quello che dicono molti pensatori e che i Cristiani sembrano respingere, cioè che Dio è inconoscibile.

R. Bisogna qui distinguere diligentemente. Dio è pienamente inconoscibile per la scienza, nel senso attuale di questo termine; Egli è a un tempo conoscibile e inconoscibile per la filosofia; è eminentemente conoscibile per l’intuizione, supponendo che le condizioni di questa intuizione trascendente un giorno si verifichino.

D. Vuoi tu spiegarti distintamente?

R. Dio è inconoscibile scientificamente, perché le leggi tratte dai fenomeni non possono oltrepassare il mondo dei fenomeni. Una dimostrazione scientifica dell’esistenza di Dio, nel senso moderno della parola, è una impossibilità, e a più forte ragione uno studio de’ suoi attributi. La scienza non ha per questo né principii né metodo; essa non conosce che fatti e collegamenti di fatti; può classificare, spiegare e prevedere questo dominio; ma le cause prime non la riguardano affatto, appunto perché sono prime, cioè anteriori a tutto il suo lavoro.

D. Ma la filosofia?

R. Per essa, Dio è a un tempo conoscibile e inconoscibile. Ed è quanto dire che si può dimostrare razionalmente che Dio è; perché la ragione oltrepassa i fenomeni e domanda loro delle ragioni; essa procede dagli effetti alle cause, e di causa in causa, là dov’esse si dispongono a scala, la ragione può giungere a una causa prima, o se si vuole a una supercausa. Ma il carattere stesso di questa causa, perché possa fare la parte che le si attribuisce, è di essere infinita e per conseguenza inaccessibile in se stessa. La nomineremo, ma dal creato; la caratterizzeremo, ma con caratteri che non serviranno se non per il nostro modo di concepire, i quali in Dio stesso andranno a risolversi nell’Uno ineffabile, nella suprema indistinzione del Perfetto.

D. Tu parlavi d’intuizione.

R. Sì; l’intuizione ha già i suoi accessi presso Dio in rari individui e in rare occasioni di questo mondo, e più tardi la ritroveremo in tutti gli eletti, perché essa sfugge al funzionamento zoppicante della ragione ragionante, alla sua necessità di ridurre tutto in concetti e in proposizioni, non conoscendo così se non come «in uno specchio », «in enigmi », al contatto delle immagini interiori, invece di afferrare l’oggetto con una presa immediata e con una sintesi di vita. Dio è in se stesso eminentemente conoscibile, essendo tutto idea e spirito. La questione è di essere al suo livello. Vi ci mette Egli stesso se così vuole. Noi crediamo che Egli vi ci mette mediante il soprannaturale, mediante la grazia e la gloria; vi ci solleviamo remotamente con lo sforzo titubante del pensiero filosofico; non vi ci troviamo più affatto al piano della scienza. Di qui contesa fra coloro che rifiutano di distinguere i piani; accordo nella diversità per gli altri.

D. Il fatto è che Egli per noi, quaggiù, è inconoscibile in se stesso; e allora perché studiarlo?

R. Difatti, Dio è per noi, quaggiù, inconoscibile in se stesso. ,Nessun concetto è abbastanza largo per questa sostanza illimitata. Lui solo può definire se stesso; Lui solo può dire se stesso con una parola viva, che è il suo Verbo; Lui solo, come espressione, è uguale a se stesso come fatto. Tuttavia l’indagine intorno a Lui è sempre aperta; le sue opere ce lo rivelano con le loro analogie e coi loro simboli, e quanto più la mente vi si avanza, tanto più si arricchisce. Lo studio di Dio è una navigazione in un mare fastoso, e splendido, e salutare.

D. Ammetto un arricchimento occasionale; la storia dello spirito umano ne fa testimonianza; ma è tuoi modi di pensare Dio e di parlare di Dio non sono in opposizione con quello che tu stesso hai detto del mistero di Dio?

R. Bisogna ben che gli uomini « esprimano come possono quello che non possono esprimere abbastanza come Egli è ». (BOSSUET).

D. A che servono queste espressioni?

R. A vivere di Dio per lo spirito, dovendo viverne moralmente, a fine di raggiungerlo un giorno.

D. Non temi la puerilità?

R. Puerilità, forse, ma allora in un senso nobilissimo e dolcissimo. L’idea di Dio incoraggia la mente con la sua stessa grandezza, che è al di sopra della grandezza. Se Dio fosse solamente grande, sarebbe grande a tal segno che noi non ne potremmo più dire niente; ma, poiché Egli oltrepassa infinitamente ogni grandezza e l’uguaglia alla piccolezza, Egli ridiventa familiare, e noi ne parliamo con la libertà dei bambini a riguardo di tutti.

D. Non ti pare che l’idea di Dio, concepita come la spiegazione delle cose, non sia che un’anticipazione, preludio della scienza?

R. In ciò che dici vi è del vero; ma vi è soprattutto del falso, ed ecco, io credo, come si fa la spartizione. Al principio, non avendo nessuna spiegazione immediata dei fenomeni e ubbidendo a quel senso dell’assoluto che è un fatto umano, per rendersi conto di ciò che si vede, si ricorre all’unica causa prima. Dio sostituisce l’esperienza, la scienza, la metafisica delle cause, la morale. A tutto, si risponde: Dio! e si trascurano le altre risposte. Poi, credendo di trovare e trovando di fatto delle spiegazioni, si rinnegano le credenze primitive; la scienza si laicizza, e i sapienti orgogliosi scivolano nell’ateismo, nell’agnosticismo, o sembrano ad ogni modo prestare argomenti alle negazioni di una folla ignorante o semidotta. Finalmente, rendendosi conto del carattere relativo delle spiegazioni della scienza, degli acquisti dell’esperienza e dei dati della metafisica, generale se la si vuota del primo Principio, si ritrova al di là il mistero, e, con esso, il « Dio nascosto ».

D. Ma, d’altra parte, e generalizzando, Dio non sarebbe semplicemente l’accumulamento semplificato dei nostri sogni, la «categoria dell’ideale », come dice Renan?

R. Dio è questo; difatti noi lo concepiamo, rispetto alla natura, come la Causa; rispetto alla ragione, come la Verità; rispetto alla volontà, come il Bene; rispetto al cuore, come il Padre; rispetto alla ricerca universale, come la Felicità; il tutto con delle lettere maiuscole, cioè come categoria dell’ideale, poiché in ogni cosa Egli è il Perfetto. Ma Dio non può essere il Perfetto e l’Ideale se non a patto di essere reale; infatti che cosa è una perfezione senza esistenza? Io oserò dire: è a forza di idealità che Dio è reale, ed è a forza di realtà che egli è ideale.

D. Non vi è qui del paradosso?

R. Niente affatto. L’ideale è la più reale delle cose, o non è l’ideale; parimenti il reale è la più ideale delle cose, sotto pena di essere imperfetto, cioè semireale. Il proporci, noi stessi, un ideale, non è forse un dare a noi stessi qualche cosa da realizzare? Il proporci un ideale perfetto e ottenerlo sarebbe un porre Dio. Ma Dio è, senza del quale nessun ideale parziale sarebbe concepibile, non essendo mai altro che un imprestito, un frammento di blocco del quale cerchiamo le origini e le fasi. La natura ci conduce più lontano di se stessa; la natura non è se non l’immagine movente di un eterno Pensiero; vi è una chiamata essenziale dell’imperfetto al Perfetto, degli esseri all’Essere.

D. Se Dio è reale, e se è Realtà perfetta, l’Essere, come dici tu, Dio non si confonde forse con l’universo, col Tutto?

R. Tu ci dai così la formula del panteismo, e bisogna confessare che il panteismo è seducente.

D. Donde viene secondo te questa seduzione?

R. Dall’abbagliamento dell’infinito. Da ciò proviene questa poesia da cui molti si lasciano prendere, e questa metafisica profonda benché fallace. Il filosofo cristiano, moralmente annientato davanti all’infinito, non si lascia abbagliare, Egli serba, del panteismo, tutta la poesia e tutto ciò che vi è di positivo nella sua filosofia; e ne è assicurato in grazia del suo concetto dell’intima presenza di Dio in tutte le cose, della vita in Dio di tutte le cose, ma senza pregiudizio dell’essere proprio e dell’attività di ciascuna cosa, che, sprofondandosi in Dio, suo Principio, trova se stessa e si conforta, invece di abolirsi.

D. Non hai risposto alla mia obiezione: se Dio è la Realtà perfetta, egli è il Tutto, e coincide così con l’universo.

R. Dio è il tutto, in questo senso che tutto l’essere gli appartiene, tutto l’essere è in lui, tutto l’essere è di lui, « Egli è ogni essere eminentemente e virtualmente » (S. Tommaso

D’AQUINO); è «il Tesoro dell’essere » (idem). Ma appunto per questa ragione Egli non è l’universo, cosa imperfetta e mutevole, dove la sua unica pienezza si avvilirebbe.

D. Se Dio non è l’insieme degli esseri, dunque è un essere determinato, cioè finito.

R. Dio non è un essere determinato nel senso della tua frase; ma se Egli è indeterminato, è per la sua perfezione stessa, che nessuna determinazione esaurisce, e perciò non è finito.

D. Allora Dio infinito e l’universo distinto da Lui si addizionano; Dio e l’universo sono più che Dio, cioè più che l’infinito il che è assurdo.

R. Il mio corpo e la sua ombra sul muro, il mio corpo e il suo riflesso nell’acqua, sono forse più che il mio corpo affatto solo?

D. Lo so: l’ombra e il riflesso non sono reali; ma il mondo è reale.

R. Il mondo è reale per noi e reale in se stesso; ma esso non è tale affatto per rapporto a Dio, essendo impotente a posare in faccia a Dio, come una cosa che sussisterebbe fuori di Dio. A questo riguardo, non è che un’ombra, una manifestazione della divina Presenza, un’effusione dell’Amore. La creatura non ha di proprio altro che il niente; per Dio essa esiste; ma non avendo niente di proprio, il fatto che essa esiste per mezzo di Dio non aggiunge niente a Dio, non si compone con Dio, non cambia niente alla totalità dell’Essere, del quale il nome proprio è Dio.

D. Dio è personale, è un’immensità resa impersonale dalla sua ampiezza?

R. Dio è un’immensità senza sponde, e perciò non è personale alla maniera di un uomo. Noi non crediamo al Dio-finito di Renouvier, o al Dio-uomo di Swedenborg. Ma Dio è sommamente personale per la sua stessa immensità, cioè per la sua perfezione; perché, quanto più la perfezione sale, quanto più l’intellettualità e la coscienza si concentrano, tanto più la personalità si compie. Del resto non andare a dire a un Cristiano che Dio non è personale, quando quello che egli trova in Gesù Cristo è Dio in persona. Dio ha dimostrato la sua personalità apparendoci, come si dimostra il movimento camminando, checché ne sia delle difficoltà di Zenone d’Elea e de’ suoi seguaci.

D. E che dici della filosofia che sfugge a tutte queste questioni sotto il nome di materialismo?

R. Il materialismo ha due vantaggi: fà dell’universo un trastullo magnifico per il nostro orgoglio e un covo libero per le nostre passioni. Fuori di questo, è una « filosofia » che non merita neppure un posto nel catalogo degli errori.

D. Potresti giustificare una tale severità?

E. Il materialismo è una dottrina che alle meraviglie visibili assegna imbecilli spiegazioni, e alle meraviglie invisibili, quelle dell’anima, spiegazioni inesistenti, non accostando in nessun modo l’ordine dei fatti che essa vuole spiegare,

D. Almeno le sue spiegazioni sono semplici, e non contradittorie.

R. Le sue spiegazioni sono semplici fino all’ingenuità; esse consistono nel costruire i corpi con dei corpi più piccoli, « come se si costruissero le case con delle case» (ARISTOTILE), e in quanto allo spirito e alle cose dello spirito, il materialismo non le spiega, ma se le attribuisce, trovandosi esausto quando ha dichiarato in quali condizioni si constatano. Tu dici che esso non è contradittorio: ma non c’è una contradizione evidente tra il materialismo e questo semplice enunziato: le leggi della materia, che i materialisti hanno continuamente in bocca? Dire che la materia è retta da leggi, non è forse uno schierarla sotto il regno dello spirito? « La legge è un dettame della ragione », dice S. Tommaso d’Aquino, e nessuno può accusare di falso una definizione così lucida. Quei che non credono se non agli atomi combinati sotto certe « leggi » dovrebbero ben dire chi ha insegnato agli atomi l’autorità di queste leggi e li inclina all’ubbidienza. E se dalle leggi elementari ti elevi alle leggi più complesse della chimica e della mineralogia, della vita e della comunicazione della vita, della sensazione e del pensiero, della psicologia superiore e della moralità, chi non vede crescere indefinitamente l’assurdità di attribuire tutto ciò a materia senza finalità immanente, senza idea direttrice, direbbe Claudio Bernard, per conseguenza senza un Pensiero anteriore e superiore ad essa, e, poiché l’idea immanente alle cose è evidentemente costitutiva, e non semplicemente motrice, senza un Creatore? Ancora ho trascurato di osservare che la « materia » dei materialisti fugge sempre più davanti alla scienza contemporanea, come se alla fine dovesse svanire a profitto della legge stessa, e proclamare così il regno universale dello spirito. Tutto quaggiù è forma, numero, armonia, ripetizione e ritmo, danza e musica; niente è materia inerte e cieca. Ogni essere tende, cerca, gravita, raggiunge altre gravitazioni, altre ricerche, altre tendenze, e un universo si forma in cui lo spirito splende maggiormente, svelando una Sorgente di idealità che si espande, un’armonia fondamentale, un Pensiero primordiale, un supremo Spirito.

D. Tu tendi così a dimostrare Dio per mezzo dell’ordine del mondo; è la tua unica prova, o ne hai delle altre?

R. Vi sono tante prove dell’esistenza di Dio quante se ne vogliono, e non ce n’è che una sola. Tutte si riducono a questo: Vi è qualche cosa, dunque Dio c’è. Dopo ciò puoi sminuzzare il qualche cosa e fare de’ suoi frammenti altrettante prove. Del resto, siccome uno sminuzzamento intelligente dovrà procedere per gradi, per generi di cose, troverai prove privilegiate, specifiche. In tal modo S. Tommaso riconobbe cinque vie per far capo al sommo Essere.

D. Qual è secondo te la prova più certa?

R. Sono tutte certe.

D. Qual è quella che colpisce di più?

R. Appunto quella per l’ordine della natura, i pensatori più refrattari, come Emmanuele Kant, hanno dovuto concederne il valore.

D. Qual è la sua sostanza?

R. « L’ordine è l’opera del sapiente », disse Aristotile. Noi crediamo alla sapienza umana perché vediamo le sue opere, cioè l’ordine che introduce attorno a se stessa, ne’ suoi dominii, nelle creazioni della sua industria, nelle istituzioni che fonda, nelle regole d’azione che dà a se stessa e che intima a ciò che essa deve reggere. Ma la sapienza umana non trova da applicarsi se non perché un’altra sapienza la precede, e questa sapienza anteriore, quella della natura, sulla quale s’innesta la nostra, è ben più profonda. Chi può sfaccettare una pietra con tant’arte com’essa è sfaccettata dentro, per il fatto della sua costituzione stessa, così sconcertante per la scienza che vi penetra a tentoni? Chi può fare, con della canapa, un tessuto così maraviglioso come lo stelo della canapa, e come la sua foglia, e come il suo seme? E così avviene di tutto. Se dunque io credo alla sapienza umana, come non crederei alla sapienza che essa utilizza, alla sapienza che essa dischiude, e se questa sapienza della natura è tanto incosciente quanto meravigliosa, come non cercarne la sorgente in qualche Intelligenza suprema di cui tutta l’arte della natura non è che una manifestazione? « Il visibile, dice Leone Bloy, è la traccia dell’invisibile ».

D. Quali sono, secondo te, i segni essenziali dell’ordine, in seno alle cose?

R. Ordine di ciascuna cosa in se stessa; — ordine di produzione di ciascuna cosa per una convergenza di elementi, per un concorso di serie causali; — ordine delle cose tra loro per fare degli insieme e degli insieme per fare un cosmo; — ordine del cosmo e dell’anima che s’incontrano nella sensazione, nel pensiero, le due più sublimi realtà che esistano.

D. Vi è un rapporto tra quest’ordine di manifestazione del reale e l’ordine intimo del pensiero stesso?

R. « Un albero germoglia per sillogismo », disse Hegel.

D. E con l’arte?

R. Quando dall’arte, dal ritmo, dalla poesia e dalla musica, tu stesso ti senti trascinato nell’ordine del mondo e comunichi a’ suoi movimenti, di’ se l’emozione provata nelle parti alte dell’anima tua non ha un carattere religioso. L’arte è una « religione », perché la bellezza è ordine, e l’ordine è divino.

D. Puoi completarne la prova?

R. I rapporti delle cose tra loro, degli elementi tra loro, delle serie causali che s’incrociano e organizzano concorsi, degli insieme parziali che ne incontrano altri in sempre più vaste combinazioni, tutto ciò dà prova di un pensiero che mette insieme e adatta come progetto, di una preconcezione che il fatto realizza. L’occhio è organizzato per vedere, il frutto per germogliare; le potenze della vita come le potenze astrali sono fidanzate prima del connubio dell’azione e delle evoluzioni comuni. «Il mondo è il risultato di accordo infinito », scrive Novalis. Gli scambi universali ci appariscono a un tempo come fenomeni e come tendenze, come effetti e come disegni, e l’idea di una sapienza organizzatrice brilla al contatto. Quest’idea è in noi, e l’ordine è nelle cose; ma al di sopra, per giustificare l’idea e per fondare le cose tali quali sono, armoniche e sagge, ci vuole qualche idealità. superiore, una sapienza, un’arte, e non è forse questo uno degli aspetti di Dio? La natura è come un volto la cui fisonomia esprime l’anima segreta e quest’anima è Dio) La natura è un macchinario meraviglioso, il meccanico del quale è Dio. Dietro il fatto vi è l’energia, dietro l’energia la legge, oltre la legge il piano, sopra il piano l’architetto e l’architetto è Dio. E devi notare che nella natura, l’ordine è tanto più ammirabile quanto più gli esseri sembrano formati di un piccolissimo numero di elementi, sotto leggi alla loro volta pochissimo numerose. L’autore dell’ordine sembra che possa fare tutto con tutto, anzi con un solo cenno. Per negare quest’autore divino, bisogna ammettere una inintelligenza o una non-intelligenza più intelligente dell’intelligenza stessa. L’universo come lo conosciamo e specialmente come lo congetturiamo, l’universo con la sua organizzazione di un’estensione e di una profondità così sbalorditive, è un peso che Dio solo può portare; nessun Atlante, figlio di un Giove sottomesso al Destino, potrebbe essere a ciò sufficiente. Se Dio non esiste, non ci vuole molta immaginazione né molto sentimento per essere invasi da un senso di assurdità spaventosa, da un’immensa oscurità. Dio è veramente la Luce del mondo, creatrice della verità delle cose e del suo riflesso in noi. È lui lo Spirito nascosto di tutte le creature, l’Essere del loro essere, la Verità di cui esse non sono, per così dire, che i fantasmi, poiché senza di Lui, senza l’influsso permanente della sua presenza, esse non sarebbero affatto.

D. A queste condizioni, non si dovrebbe pensare che a Dio, o per lo meno a niente senza Dio.

R. «Dimenticato Dio, più nulla è degno di memoria» (CARLYLE).

D. Tu parli dell’influsso divino come d’un fattore permanente delle cose: è veramente opportuno cercare qualcosa di « permanente » in questo mondo dove tutto muore?

E. Non si può dire: tutto muore. È vero che le cose di questo mondo non ci son note e non sono da noi adoperate se non secondo che passano; noi registriamo la loro fuga; appunto in grazia della loro morte noi le assimiliamo; ma bisogna che qualcosa resti; se tutto passasse, non ci sarebbe territorio del passaggio, non legge reggente il passaggio, non potenze stupefacenti per i fatti particolari, non trama per la decorazione. E bisogna che ciò che resta abbia di che restare, di che mantenersi così saldo, così immortale. Bisogna che il necessario ci sia, e al di sopra del necessario che è tale solo di fatto e non per se stesso, ci vuole il Necessario primo, necessario per definizione, nel quale scorre tutto quel che scorre. Quel che muore, muore in Dio.

D. Ciò suppone l’ubiquità; ora come può Dio essere presente dovunque nello stesso tempo, e tuttavia essere invisibile?

R. Pascal matematico ne fornisce questa immagine: «un punto che si muove dappertutto con una velocità infinita; infatti esso è uno in tutti i luoghi ed è tutto intero in ciascun luogo ». Abbiamo qui solamente un’immagine spaziale, che non ha valore se non nell’ordine astratto. Ma se tu la trasporti nell’ordine dell’esistenza, ti fai un’idea di quella realtà indivisa e infinita, che avviluppa tutto immediatamente col suo potere creatore e organizzatore.

D. Io ho udito ragionare così: Non sì ha bisogno di Ordinatore; perché il caso, disponendo dell’infinità del tempo, ha davanti a sé un’infinità di combinazioni possibili, dunque anche quella che è sotto è nostri sguardi.

R. Quando un uomo ragiona in tal modo, io non faccio appello ai matematici per rispondergli; ma gli domando: Sei  matto? Queste idee reggono davanti alle idee, ma crollano davanti ai fatti. Pensa alla struttura di un occhio di moscerino, al moscerino, alla sua vita, alla sua riproduzione ammirabile, alla sua eredità secolare, alla stabilità dinamica dell’universo in cui si evolve questa piccola specie in compagnia di milioni d’altre, e tu riderai di codeste stoltezze.

D. Ma altri dicono, con più verosimiglianza: Il cammino del mondo è impeccabile e d’un rigore infrangibile, dunque non ha bisogno di Dio.

R. Che lode di Dio!

D. Che cosa intendi di dire?

R. Che questa apparente inutilità di Dio è anzi quello che lo esige con maggiore forza, come l’orologio dà prova dell’orologiaio camminando da sé solo meglio che se egli dovesse spingerne le ruote. Il cammino del mondo è d’un rigore infrangibile una volta posto il mondo, una volta caricato questo meraviglioso automa che nessuna sorpresa dei fatti sconcerta; ma io domando ancora una volta: Chi ha fatto il mondo?

D. Si dice che è il frutto dell’evoluzione.

R. Se l’ipotesi dell’evoluzione è vera, Dio è dimostrato due volte, una volta dal mondo stesso e una volta dall’evoluzione.

D. Come ciò?

R. Perché creare una macchina utensile di una tale perfezione e d’una tale potenza è più difficile che creare un oggetto. Il mondo è un oggetto sorprendente; ma che dire di quella miracolosa forza di evoluzione che lo fabbrica ciecamente! Di quale perspicace pensiero è l’organo una tale cecità! L’evoluzione che si pretende creatrice al posto di Dio, è un sistema di conseguenze sempre più ricco senza che vi sia alla base alcun principio; è una geometria eterna senza « Assioma eterno ». In vero io capisco Descartes che dice: « L’esistenza di Dio è più certa che il più certo dei teoremi di geometria ». Per me, se l’evoluzione esiste — ed esiste necessariamente in qualche misura — essa dimostra, oltre la potenza sovreminente di Dio, la discrezione generosa che lo fa agire per mezzo della stessa opera sua, dopo aver reso quest’opera attiva e potente. In tal modo Cristo seminò alcuni germi immortali e affidò a’ suoi Apostoli, alla sua Chiesa, le sue speranze dell’avvenire.

D. Mi pare che tu attribuisca così alla natura un immenso sforzo, dei piani meravigliosi. Ora Enrico Bergson dice all’opposto: La natura non ha nessun piano preconcetto; essa inventa a proposito, e « per lei è così facile fare un occhio come per me alzare la mano ».

R.Tutto ciò non si contradice affatto. La natura non ha piano preconcetto; neppure l’ape, e in nessuna parte del mondo vi è un modello dell’alveare. L’alveare è una «invenzione» del genio della specie, sia pure, un’invenzione spontanea, senza partito preso antecedentemente, in tal modo che il piano non esiste che in noi, dopo un atto di riflessione, per il fatto delle analisi che facciamo del meraviglioso lavoro. Ciò non m’incomoda affatto. Ma io domando sempre che mi si trovi un’origine prima a questo sforzo d’invenzione, all’invenzione quando esiste, alla nostra mente che l’analizza, al piano che è il prodotto della nostra mente, al tutto di quest’ordine di fatti, che non basta descrivere per renderne ragione. Bergson non si oppone a questa richiesta, tutt’altro. In quanto allo sforzo della natura, è un modo di parlare. La natura è un’arte, e l’arte non fa sforzo salvo che quando è imperfetta. Un occhio non è che un arpeggio complicato; la natura lo produce con la squisita facilità di un perfetto virtuoso; ma quanto più la sua arte è impeccabile e semplice ne’ suoi mezzi, tanto più la natura ha bisogno di una sorgente sublime.

D. E se il mondo, tal quale, è sempre esistito?

R. La durata non è una spiegazione. Per quanto sia lunga, le si deve chieder ragione di ciò che essa contiene. Spiegheresti una locomotiva e forniresti la ragione del suo cammino dicendo che essa ha sempre camminato? La ragione del cammino non è qui in addietro; i motivi delle cose non si raggiungono nella corsa. Il cammino si spiega per la complicazione intelligente del congegno, cioè per l’arte del meccanico; si spiega per le proprietà del vapore, dell’aria, del suolo, dei materiali adoperati, dell’ambiente universale in cui tutto s’immerge, cioè per l’arte della natura che il meccanico ha saputo utilizzare. L’armonia di tutto l’universo si trova impegnata in questo semplice fatto; essa non sarebbe meno impegnata in qualsiasi altro, e tutti i fatti provano così un Ordinatore.

D. Che cosa dici tu a quelli che non arrivano a dimostrarsi Dio per via di ragione?

R. Di cercarlo nel loro cuore, e di cercarlo all’uopo per il tramite della fede.

D. È questa una cosa possibile?

E. Non solo è cosa possibile, ma anche frequente, Poiché Dio si è rivelato nel mondo, se ne può trovare la traccia nei fatti di rivelazione come nei fatti di natura. Era il procedimento raccomandato da Pascal come il più efficace. La credenza in Dio, che è l’ultima parola della filosofia, è la prima della fede: «Io credo in Dio, Padre onnipotente, ecc…. ». In filosofia, tutta la cognizione umana mira appunto a rischiarare debolmente la nozione di Dio. Nella fede, l’ordine è inverso; è Dio, sorgente di ogni luce, che sfavilla anzitutto e rischiara potentemente tutto il resto. Se la natura ci parla di Dio, la fede ce ne dice a suo riguardo, in poche parole, più che tutto l’universo insieme, e allontana i pensieri ingannevoli che sottili apparenze provocano in tante menti.

D. La dimostrazione razionale di Dio ti pare însomma poco utile?

R: È utile come preambolo della fede; ma in se stessa è insufficiente alla salute degli uomini, La ragione affatto sola di fronte a Dio non può comunicare con Dio; le manca la scala viva, le manca il ponte. Il Dio che bisogna conoscere non è il « Dio dei filosofi e dei sapienti », ma il « Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe », il « Dio di Gesù Cristo ». «È un Dio di amore e di consolazione; è un Dio che riempie l’anima e il cuore di quelli che Egli possiede; è un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la sua misericordia infinita; che si unisce al fondo dell’anima loro, che la riempie di umiltà, di gioia, di confidenza e di amore; che la rende incapace d’altro fine che non sia Lui stesso » (PASCAL).

D. Il sentimento prende così una grande importanza nella credenza în Dio.

R. «Si crede in Dio in virtù di ciò che si ama, assai più che in virtù di ciò che si sa » (PIETRO LASSERRE).

D. Che cosa pensi tu dell’ateo?

R. In un certo senso non vi sono atei: vi è solo gente inconseguente, che affermando Dio tutte le volte che proferiscono una parola o fanno un passo, si servono nondimeno della parola per negare Dio. Sotto tutte le idee che si oppongono a Dio, vi è l’idea di Dio. Sotto i sentimenti che allontanano da Dio, vi è una sete che è la sete di Dio. Ogni uomo crede alla verità, apprezza il bene e tende alla felicità; tutta quanta la nostra vita gravita attorno a queste nozioni, e sempre più a misura che il mondo s’incivilisce. Ora ciascuna di queste nozioni conclude per Dio nel modo più manifesto, e nel loro senso assoluto sono attributi divini. Nietzsche lo riconobbe, dicendo: « È con la fede in Dio che, nel mondo moderno, si è significato il congedo a questa stessa fede » « L’ateo parla della natura come di una madre che è nei cieli» (Enrico Bidou). Nondimeno l’ateismo esiste in quanto affermazione volontaria, ed ecco quel che ne penso. Io faccio una gran differenza tra l’ateo gaudente, « simile alla bestia, che grufola nella pozzanghera senza vedere in fondo il riflesso del ciélo » (GIUSEPPE SERRE), e l’ateo per errore, per deviazione intellettuale, anzi per reazione contro falsi deismi che egli sa rigettare e non sa sostituire.

D. Vi sono dunque falsi deismi?

R. Sì, coloro che pongono un Dio da invetriata o un « Dio della buona gente » senza nessun valore filosofico.

D. Ci possono dunque essere degli atei di buona fede?

R. Ognuno di noi ne può incontrare ogni giorno.

D. Non si dice il contrario, nelle vostre scuole di teologia?

R. Si dice con ragione che una cosa così certa, per una coscienza retta, come l’esistenza di Dio, non può essere disconosciuta senza peccato. Ma anzitutto vi sono sincerità peccaminose, quelle che risultano da gravi negligenze o da infedeltà anteriori. Poi, non è necessario che il peccato così affermato sia un peccato individuale; ciò può essere un delitto collettivo, i cui effetti si comunicano a innocenti ingannati. I responsabili sono appunto coloro che creano tali correnti; quei che le seguono per un attraimento involontario devono essere assolti e soccorsi.

D. E come sì spiega che Dio, così evidente secondo te, possa essere così abbandonato?

R. Dio è abbandonato — e offeso — come il vecchio da una generazione troppo ardente. L’eccesso anarchico della vita materiale, della vita sensibile, della vita intellettuale stessa, cagiona questo spaventevole abbandono.

D. Non c’è nulla di elevato, nell’ostracismo inflitto all’idea di Dio?

R. La disgrazia degli uomini è di volgere contro la propria salute gli stessi loro pensieri salutari. Si è fatto credere all’umanità che l’idea di Dio era un ostacolo alle sue aspirazioni, una preoccupazione estranea o ostile a’ suoi compiti; ed essa ritornerà a Dio quando avrà capito che l’idea di Dio non allontana precisamente se non ostacoli; che solamente questo preteso nemico delle sue soddisfazioni rende la vita degna di essere vissuta, e che tutti i compiti umani, in ciò che hanno di sacro e di durevole, sono resi più facili e più dolci col suo concorso. « L’uomo potrà dominare e la sua propria natura e il mondo che egli abita, prendendo il suo punto di appoggio al di sopra di sé, nell’idea stessa del Fine per il quale egli è nato » (EMILIO BOUTROUX).

D. Intanto vi sono degli atei che sono forti.

R. «Ateismo, segno di forza di spirito, scrive Pascal, ma solamente fino a un certo punto ».

D. E che sono tranquilli.

R. Io credo alla calma della loro angoscia.

D. In ultima analisi, qual è, secondo te, l’atteggiamento degli uomini riguardo a Dio?

R. «Gli uni temono di perderlo, gli altri temono di trovarlo » (PASCAL).

LO SCUDO DELLA FEDE (166)