L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (15)

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (15)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°) P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929

Approbation de l’ordre:

fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).

Imprimatur:

Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd.

Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900.

E. THOMAS, V. G.

QUARTA PARTE

SCOPO ED EFFETTI DELLA MISSIONE INVISIBILE DELLO SPIRITO-SANTO E DELLA SUA INABITAZIONE NELLE ANIME.

CAPITOLO VII

Ultimi effetti dell’inabitazione di Dio  in noi: I FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO E LE BEATITUDINI.

Conosciamo ora, se non in dettaglio, almeno con una veduta d’insieme, i principi di attività conferiti ai giusti dallo Spirito Santo, un magnifico e complesso organismo di santità che, secondo la bella espressione di un Padre della Chiesa, fa dell’uomo uno strumento musicale mirabilmente disposto a cantare la gloria e la potenza divina: Instrumentent musicum a Spiritu pulsatum, divinamque gloriam et potentiam canens (S. Greg. Naz., Orat. Ad Popul. XLIII, 67). E quando ha così preparato tutto, lo Spirito Santo, l’Artista incomparabile, si mette alla tastiera e, se non incontra resistenza, trae da questo strumento spirituale, meravigliosi accordi che deliziano il cuore di Dio e non tralasciano di piacere al mondo stesso, affascinato, malgrado tutto, da questa santa armonia. È la dolce e casta Agnese che canta sulla terra, per continuare in cielo, il canto delle vergini: « Io amo Cristo, di cui presto diventerò la sposa; il Cristo, di cui la Madre è vergine ed il Padre celeste genera senza corruzione….. Io sono fidanzata con Colui che è servito dagli Angeli e la cui bellezza è ammirata dal sole e dalla luna » (ex Offic. S. Agnetis). – È il martire Ignazio, esposto nell’anfiteatro e che, sentendo il ruggito dei leoni, grida nella sua impazienza di soffrire: « Io sono il frumento di Cristo; sarò macinato dai denti delle bestie per diventare un pane veramente puro. » È il grande Apostolo Paolo, che lancia questa fiera sfida a tutte le potenze nemiche: « Chi mi separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione? L’angoscia? La fame? La nudità? Il pericolo? La persecuzione? La spada?….. Sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né qualsiasi altra creatura potrà mai separarmi dall’amore di Dio in Gesù Cristo, nostro Signore » (Rom. VIII, 35-39). – È l’innumerevole moltitudine dei Santi sparsi in tutto il mondo e che formano un immenso concerto, dove ognuno fa la sua parte e canta in modo speciale il trionfo della grazia sulla natura: una deliziosa sinfonia, dove tutte le voci si uniscono e si fondono in una meravigliosa armonia. Voci di bambini e di anziani, di vergini e di adolescenti, di uomini e di donne, che salgono dalla terra al cielo. Voci di innocenze preservate o faticosamente riconquistate. Voce di misericordiosa carità che richiama, per bocca di Vincenzo de’ Paoli, a tutte le miserie per alleviarle. Voce di fede trionfante nella persona di Pietro di Verona colpito a morte dall’eresia, e che ancora trova la forza di tracciare con la porpora del suo sangue questa parola sublime: Io credo. Voce di umiltà pronunciata dall’organo di Giovanni della Croce, una delle parole più belle ed eroiche mai pronunciate da una bocca umana, quando, alla domanda di Cristo di quale ricompensa chiedesse per tanto lavoro, rispondeva: « Signore, soffrire ed essere disprezzato per Voi. »  – Che mirabile fioritura di virtù il soffio dello Spirito Santo fiorisce in anime docili alla sua azione! O piuttosto che frutti deliziosi e variegati fa loro produrre! Questi sono quelli di cui Nostro Signore ha parlato quando ha detto ai suoi Apostoli: « Io vi ho scelto e vi ho costituito perché andiate avanti senza sosta, perché portiate frutti e questi frutti rimangano: Ego elegi vos, et posui vos ut eatis, et fructum afferatis, et fructus vester maneat. » (Giov. XV, 16). Il giusto, in effetti, è paragonato, nei nostri Libri sacri, ad un albero piantato sul bordo delle acque e che dà i suoi frutti nel suo tempo (Ps. I, 3). Cosa sono questi frutti? L’Apostolo san Paolo ce li fa conoscere in questa bella enumerazione che leggiamo nel capitolo V della Lettera ai Galati: « I frutti dello Spirito Santo, dice, sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la dolcezza, la fede, la modestia, la continenza e la castità . » (Gal. V, 22-23). – Cosa intendiamo con questi “frutti dello Spirito Santo”? Perché sono così chiamati? Come si differenziano dalle virtù e dai doni? Qual è il loro numero?

I.

E innanzitutto, cosa si intende per frutti dello Spirito Santo? Con questo intendiamo – dice san Tommaso – « tutti gli atti di virtù che hanno raggiunto una certa perfezione e in cui l’uomo si diletta: Sunt enim fructus quæcumque virtuosa opéra in quibus homo delectatur » (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). Si chiamano frutti – dice sant’Ambrogio – perché riempiono l’anima di pura e santa delizia. – In senso naturale, il frutto è il prodotto finale e gustoso di una pianta o di un albero che ha raggiunto la perfezione, adattato alla sua specie (Ibid. ad 1); è il termine regolare della vegetazione, il risultato definitivo di questo meraviglioso lavorio in cui è impegnata la vita della pianta. Diversi in quanto diversi sono gli alberi da cui sono stati raccolti, i frutti hanno in comune il fatto che sono l’ultimo prodotto della pianta e che, una volta giunti a maturazione, hanno tutti un certo sapore, diverso a seconda della specie. Fructus sensibilis est id quod ultimum ex arbore expectatur, et cum quadam suavitate percipitur (S. Th., Ia IIæ, q. XI, a. 1).  Quand’anche deliziassero la vista con la luminosità dei loro colori e deliziassero l’olfatto con la dolcezza e la finezza del loro profumo, né le foglie né i fiori meritano questo bel nome di frutto; perché non è da questi ciò che ci si aspetta definitivamente dall’albero: quod ultimum ex arbore expectatur.  – Il frutto non è solo l’ornamento e la perfezione dell’albero, è la sua ragion d’essere, il suo scopo, il suo fine; è il frutto che conferisce all’albero il suo pieno valore e compensa la cura dedicata alla sua coltivazione. Ecco perché, parlando nella parabola di un albero di fico che aveva smesso di dare frutti diversi anni prima, il Salvatore ha detto: « Tagliatelo; perché occupa inutilmente il posto? Succide ergo illam; ut quid etiam terram occupât ? » (S. Luc. XIII, 7). Una grande lezione per il Cristiano, che, sotto pena di essere tagliato come un ramo inutile e gettato nel fuoco, non deve lasciare inattive le energie divine che gli sono state conferite come germi destinati a fiorire sotto il soffio dello Spirito di Dio e a produrre quelle opere sante degne della vita eterna che la Scrittura chiama i frutti dello Spirito Santo. Infatti, per analogia, nell’ordine spirituale, questo nome di frutto è dato al prodotto finale della grazia nelle anime, cioè agli atti di virtù, se non a tutti indistintamente, almeno a quelli che possiedono un certo grado di perfezione e di sapore. I frutti dello Spirito Santo non sono dunque delle abitudini, delle qualità permanenti, ma degli atti; non possono quindi essere confusi con le virtù e con i doni, ma si distinguono da essi come l’effetto si distingue dalla sua causa, il torrente dalla sua sorgente. – E sebbene l’Apostolo san Paolo elenchi tra questi frutti la carità, la pazienza, la dolcezza, ecc., non è da intendere con queste espressioni le virtù stesse, ma le loro operazioni; poiché, per quanto perfette possano essere le virtù, esse non possono essere considerate come l’ultimo prodotto della grazia, essendo esse stesse ordinate, come principii, a dei prodotti successivi, cioè ai loro atti.  – Tuttavia per meritare il nome di frutto, gli atti di virtù devono essere accompagnati da una certa soavità. All’inizio, questi atti si compiono solo con difficoltà, richiedono fatica, alcuni sono addirittura amari per natura come un frutto non ancora maturo. « Ma – osserva un pio autore –  quando si è da tempo praticato con fervore nella pratica delle virtù, si acquisisce la possibilità di produrre i propri atti. Non proviamo più la ripugnanza che abbiamo provato all’inizio. Non dobbiamo più combattere o essere violenti. Siamo felici di fare quello che facevamo una volta con difficoltà. Poi succede alle virtù quello che succede agli alberi. Come questi frutti che, giunti a maturità, non hanno più l’acredine, ma sono dolci e di piacevole sapore; allo stesso modo, quando gli atti di virtù abbiano raggiunto una certa maturità, si fanno con piacere, e li si trova di un gusto delizioso » (Lallemant, Doctrine spirit.). Il mondo non capisce nulla di questo genere di delizie; perché – secondo l’osservazione di San Bernardo – vede la croce, ma non l’unzione: Crucem quidem vident, sed non etiam unctionem (Serm. 1 de Dedicat.); le afflizioni della carne, la mortificazione dei sensi, le fatiche della penitenza colpiscono il suo sguardo solo per il loro lato doloroso, e li ha in orrore, le consolazioni dello Spirito Santo sfuggono ad essa. Le anime sante, invece, dicono volentieri con la sposa del Cantico: « Mi sono seduto all’ombra di colui che avevo desiderato, e il suo frutto è dolce al mio palato » (Cant. II, 3). Sono numerosi i frutti dello Spirito Santo? San Paolo ne conta dodici, come abbiamo visto sopra. Perché questo numero di duodenario? Sembra che dovrebbero essere ammessi così tanti anche gli atti virtuosi. Questa è, infatti, la conclusione di san Tommaso: « I frutti – egli dice – sono tutti atti di virtù nei quali l’uomo trova piacere: Sunt fructus quæcumque virtuosa opera in quibus homo delectatur ». (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). – L’Apostolo avrebbe potuto includerne un numero maggiore o minore nella sua enumerazione, perché non pretendeva di elencarli tutti. Se si è fermato al numero di dodici, è stato prima perché questo numero, nello stile della Scrittura, si riferisce all’universalità; poi, perché tutti gli atti di virtù possono essere opportunamente ridotti a quelli nominati dall’Apostolo, poiché abbracciano l’intera vita cristiana. (Ibid. a 3, ad 4). – Noi parliamo di frutti; ma potremmo anche chiamarli fiori, se, invece di considerare le nostre buone opere come l’ultimo prodotto della grazia in questo mondo, le considerassimo in relazione alla vita eterna, di cui sono come l’annuncio e la promessa. Perché, così come si vede apparire il fiore, si concepisce la speranza di raccogliere un frutto, così  il darsi alla pratica delle opere sante e meritorie ci dà la speranza di raggiungere la vita e la beatitudine eterna.

II.

Al culmine della vita spirituale, quindi al di sopra degli atti di virtù ordinaria, al di sopra dei frutti dello Spirito Santo, vi sono le beatitudini, il coronamento dell’opera divina in noi, l’ultimo e più sublime effetto della presenza di Colui che il Padre si è degnato di inviarci per la nostra santificazione, l’anticipazione della felicità celeste.  Cosa intendiamo per beatitudini? Quante ce ne sono? Sono diversi da frutti, virtù e doni?  – Il nome “beatitudini” si riferisce ad alcuni atti della vita presente che, per la loro particolare perfezione, conducono direttamente e sicuramente alla beatitudine eterna. Sono chiamate così, beatitudini metonimiche, perché sono allo stesso tempo il pegno, la causa meritoria e, in una certa misura, i primi frutti della vera e perfetta beatitudine. La beatitudine propriamente detta, è essenzialmente una sola, e consiste nel possesso di Dio. È chiaro, infatti, che Dio, essendo il Bene sovrano, il Bene infinito, l’unico capace di soddisfare tutti i desideri, nessuno è felice se non nella misura in cui lo possiede. Da questo mondo, è vero, lo possediamo per grazia, ma imperfettamente; lo portiamo dentro di noi, ma nascosto alla vista; lo amiamo, lo godiamo, ma con il pericolo di perderlo. « Quindi, se parliamo di beatitudine qui sulla terra, possiamo solo intendere, naturalmente, una beatitudine imperfetta, una beatitudine desiderata e meritata, tutt’al più cominciata. » (Mgr. Gay: Sermons de l’Avent). – Le beatitudini menzionate nel Santo Vangelo e di cui ci stiamo occupando attualmente non significano, quindi, felicità assoluta, felicità vera e propria. Non è manifesto che la povertà, le lacrime, la fame e la sete, foss’anche di giustizia, le persecuzioni subite per la causa di Dio, non possono costituire una vera e perfetta beatitudine? Ma Nostro Signore afferma che questi sono mezzi, dei gradi, delle salite per raggiungere la beatitudine assoluta: mezzi così potenti, così efficaci, così sicuri, che chiunque li usi con perseveranza può ripetere seguendo l’Apostolo: « Sono salvato nella speranza » (Rom. VIII, 24). Non si dice di qualcuno che è giunto alla fine dei suoi voti, quando ha una fondata speranza di ottenerli? Ma come non concepire la speranza di ottenere un fine determinato, quando ci si muove verso di esso in modo costante e regolare, quando ci si avvicina, quando soprattutto si comincia già a gustare la dolcezza del bene atteso? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 1.) Quando, dunque, un Cristiano, docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, avanza quotidianamente nel cammino di bontà attraverso gli atti di virtù ed i doni, quando lo si vede realizzare gradualmente queste mirabili ascese di cui parla il Salmista (Ps LXXXIII, 6), ed avvicinarsi sempre di più al termine, come non sentire la fiducia che egli raggiungerà la perfezione del cammino e quella della patria, e non proclamarlo benedetto in anticipo? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 2). Ma quali sono questi mezzi che conducono così sicuramente al termine della salvezza eterna, questi atti così pieni di soavità che possiamo considerarli come l’inizio della beatitudine? – Il Salvatore stesso ce li ha fatti conoscere in questo famoso sermone della montagna che apre il periodo della sua vita pubblica. « Beati – Egli dice – i poveri in spirito, perché il regno dei cieli è loro. Beati i miti, perché possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno confortati….. Otto volte di fila ripete, con delle varianti, la stessa espressione « Beati », annunciando così al mondo stupito quelle che il linguaggio cristiano ha chiamato le otto beatitudini. Sono otto: la povertà di spirito, la mitezza, le lacrime, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l’amore per la pace, le persecuzioni subite a causa di Dio; ma l’ottava è solo la conferma e la manifestazione delle altre (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 3 ad 5.). Infatti, dal momento in cui l’uomo è rafforzato nella povertà spirituale, dalla mitezza e dalle altre beatitudini, la persecuzione non è più in grado di staccarlo da questi beni. – Le beatitudini non sono né virtù né doni dello Spirito Santo, ma degli atti che queste abitudini ci portano a produrre (Ibid. a. 1). Tuttavia, per la loro eccellenza e perfezione, questi atti devono essere considerati più come un prodotto dei doni che come un’emanazione delle virtù. Infatti, la virtù della povertà può anche ispirare questo distacco che fa usare con moderazione dei beni terreni, ma è il dono del timore, che ne ispira il disprezzo. La virtù della mitezza dà all’uomo l’energia necessaria a superare l’impetuosità della rabbia e a stare entro i limiti della giusta ragione; ma è il dono della pietà che assicura la calma, la serenità dell’anima, il perfetto possesso di sé e la completa sottomissione alla volontà di Dio. La temperanza mette il freno alle passioni che tendono al piacere sensibile e le mantiene entro i limiti; il dono della scienza eleva l’anima più in alto, e illuminandola sulla fragilità, la vanità, la breve durata di questi piaceri, insegna a rifiutarli del tutto, se necessario, e ad abbracciare volontariamente il dolore e le lacrime. Le beatitudini si distinguono anche dai frutti dello Spirito Santo, perché, benché  dilettando come questi, abbiano anche il vantaggio di perfezionare chi le possiede: sono, se volete, dei frutti, ma i più eccellenti, i più belli, i più squisiti; frutti giunti, con gli ultimi tocchi del Sole divino, ad una perfetta maturità; anch’esse contengono una dolcezza e perfezione tale da farci sentire e gustare in anticipo qualcosa della felicità celeste. Così è coronata da opere perfette, segni precursori della beatitudine di Dio e del suo pieno possesso, questa serie di meraviglie che lo Spirito Santo compie nelle anime dove ha stabilito la sua dimora.

III.

Prima di concludere questo già lungo studio, diamo un ultimo, rapido sguardo alle verità che ne sono state oggetto, così come, prima di varcare la soglia di un edificio che è stato visitato ed esaminato nel dettaglio, diamo uno sguardo per comprenderne le linee principali e ammirarne la sapiente armonia. Dio è ovunque, in ogni essere e in ogni luogo, come causa immediata di tutto ciò che esiste fuori di Lui; ma abita solo nel giusto, al quale si unisce in modo singolare, come oggetto di conoscenza e di amore. E non è solo con la sua immagine, la sua memoria, o i suoi doni, che Egli è così presente in essi; Egli stesso viene personalmente, inaugurando fin da quaggiù questa vita di unione e di godimento che deve essere consumata in cielo. Non appena una creatura che, fino ad allora era stata peccaminosa, ritorna in grazia al suo Creatore, Colui che è in Dio l’Amore sussistente, lo Spirito Santo, gli viene inviato a suggellare in qualche modo con la sua presenza il patto di riconciliazione, a lavorare alla grande opera di santificazione e a diventare in lui il principio efficace di una nuova vita, incomparabilmente superiore a quella della natura. Non è dunque una visita temporanea, per quanto preziosa, che si degna di fare, ma Egli viene a stabilirsi nell’anima con il Padre e il Figlio e per fissarvi la sua dimora. Quando vi entra, si dà Egli stesso, e questo è il suo grande dono. Si tratta quindi di abbellire e decorare il tempio vivente dove gli piace risiedere. A tal fine, c’è questa Grazia, di un valore infinito, chiamata santificante, che ha l’effetto di purificare da ogni sozzura, di cancellare il peccato, di giustificare, trasformare, divinizzare chi la riceve, farne un figlio di Dio e l’oggetto dei suoi piaceri, con diritto all’eredità celeste. Ma non è tutto, perché la grazia non va mai da sola; essa è sempre accompagnata da una moltitudine di virtù e di qualità sovraeminenti, che sono sia un ornamento per le nostre potenze, sia una fonte di attività soprannaturale. Queste sono le virtù teologali, la fede, la speranza e la carità; le virtù morali infuse e i doni dello Spirito Santo: essi sono i semi fecondi dei frutti che Dio vuole raccogliere in noi; le energie divine, fonte di quegli atti eccellenti che portano il nome di beatitudini perché sono la causa meritoria ed una sorta di anticipazione della felicità che speriamo. – In questo modo possiamo andare avanti; e, per spostarci efficacemente e in sicurezza verso le sponde eterne, tutto ciò che dobbiamo fare è ricevere questo impulso dallo Spirito Santo che è la parte dei figli di Dio (Rom. VIII, 14). Essa non si farà attendere. Dal profondo dell’anima dove Esso risiede, questo Spirito divino illumina la nostra intelligenza, riscalda i nostri cuori, ci eccita e ci spinge al bene. Chi conterà tutti i santi pensieri che suscita, i buoni movimenti che provoca, le sane ispirazioni di cui è la fonte? Perché invece ci sono sventurate e troppo frequenti resistenze che vengono più o meno a paralizzare la sua azione benefica e ad ostacolarne gli effetti? Questo spiega perché tanti Cristiani, abitualmente in possesso della grazia e delle energie divine che la accompagnano, rimangono tuttavia così deboli e lassi al servizio di Dio, così poco zelanti per la loro perfezione, così inclini verso la terra, così dimentichi delle cose del cielo, così facili da portarsi al male. Pertanto, l’Apostolo ci esorta a « non contristare lo Spirito Santo » con la nostra infedeltà alla grazia: Nolite contristare Spiritum sanctum Dei (Ephes. IV, 30), e soprattutto “non spegnerlo nei nostri cuori: Spiritum nolite extinguere. » (1 Tessal. V, 19). C’è un’altra causa che cerca di spiegare perché una semenza di grazie così abbondante spesso produca solo un raccolto così scarso. Questo avviene perché, conoscendo solo molto imperfettamente il tesoro di cui sono custodi, molti hanno solo una bassa stima di Esso e si impegnano poco nel farlo fruttificare. Eppure, quale forza, quale generosità, rispetto di sé, quale vigilanza, ma anche quale consolazione e quale gioia non li ispirerebbero per questo pensiero costantemente nutrito e piamente meditato: lo Spirito Santo abita nel mio cuore. Esso è lì, potente protettore, sempre pronto a difendermi dai miei nemici, a sostenermi nelle mie battaglie, ad assicurarmene la vittoria. Amico fedele, è sempre pronto a darmi udienza, e, « lungi dall’essere fonte di amarezza e di noia, la sua conversazione porta allegria e gioia:  Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec tædium convictus illius, sed lætitiam et gaudium. » (Sap.. VIII, 16). – Egli è lì, veglia sempre sui miei sforzi e sacrifici, contando, per ricompensarli un giorno, ognuno dei miei passi, seguendo tutti i miei passi, senza dimenticare nulla di quello che faccio per il suo amore e la sua gloria. – Lo Spirito Santo abita nel mio cuore! Io sono il suo tempio, il tempio della santità per essenza; devo quindi diventare io stesso santo, perché il primo carattere della casa di Dio è la santità. Domum tuam, Domine, Domine, decet sanctitudo (Ps XCII, 5). Dirò dunque con il Salmista, con la mia condotta più che con le mie parole: « O Signore, ho amato la bellezza della tua casa e del luogo dove abita la tua gloria: Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ. » Cosa c’è di più efficace di queste riflessioni per determinarci a vivere, secondo la parola di san Paolo, « in modo degno di Dio, sforzandoci di piacergli in ogni cosa e di portare ogni sorta di frutti di buone opere? Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes, in omni opera bono fructificantes » (Col. X, 10). Lavoriamo dunque per crescere nella scienza di Dio, crescentes in scientia Dei, applicandoci ogni giorno per conoscere meglio, per apprezzarli di più, i doni divini. Amiamo, onoriamo, invochiamo spesso lo Spirito Santo, siamo docili alle sue ispirazioni; e se un giorno vogliamo occupare il trono di gloria che ci è stato preparato in cielo, iniziamo glorificando qui sulla terra e nella nostra anima e nel nostro corpo questa Santissima Trinità di cui siamo dimora e tempio. Glorificate et portate Deum in corpore vestro! (1 Cor. VI, 20).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.