LO SCUDO DELLA FEDE (XII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

PRATICA DELLA RELIGIONE.

Dovere della, religione. — Non basta essere galantuomini. — La vera onestà. — Il culto esterno. — La religione è buona solo per il popolo, per le donne e pei bambini?

— È proprio indispensabile il praticare la religione?

Indispensabilissimo. La religione è un dovere assoluto che l’uomo ha verso di Dio quale primo principio di tutte le cose. Poiché Dio esiste, e ha dato l’esistenza a noi, e noi, sue creature ragionevoli, siamo in dovere di onorarlo con quel culto, che Egli si merita.

— Ma che cosa può importare a Dio che noi l’onoriamo o no?

Gli importa moltissimo. Essendo Egli infinitamente giusto, deve volere come tale ciò che è conforme alla ragione e all’ordine, e l’ordine e la ragione esigono che l’uomo, creatura ragionevole, onori il suo Creatore con la pratica degli omaggi della Religione.

— Ma Iddio non è forse infinitamente beato in se stesso? Dunque che bisogno ha egli dei nostri omaggi!

Certamente Dio si trova in una beatitudine perfetta, ed Egli non ha bisogno alcuno della nostra Religione. Tutti quanti gli omaggi, non solo degli Angeli e degli uomini esistiti, esistenti, e che esisteranno, ma di miliardi e miliardi di altri Angeli e di altri uomini, che Dio potrebbe far esistere, non accrescerebbero di un etto solo la beatitudine interiore, che Dio gode da tutta l’eternità, perché Egli è l’Essere pienamente perfetto, in cui non v’è, a nostro modo di dire, un atomo solo né da togliere né da aggiungere. Ma siamo noi che abbiamo bisogno di Dio; noi, che abbisogniamo di essere da Lui conservati, benedetti, protetti, difesi, perdonati, aiutati. E pretenderemmo noi che Egli ci usasse tutti questi riguardi senza che noi ci curassimo di Lui, senza che lo onorassimo e gli rendessimo gli omaggi della religione?

— Pure ho inteso dire le tante volte che basta essere galantuomini, gente onesta, e che ciò costituisce la miglior religione del mondo.

Ed è questo propriamente uno dei più grossi strafalcioni che si dicano. E primieramente, che s’intende dai più per galantuomo? per gente onesta? Credilo? amico mio, qui ci troviamo di fronte a termini di significato molto elastico nella realtà dei fatti. Ed invero anche i libertini, gli scialacquatori, i truffatori, gli usurai, gli avari, i poltroni, ed altra simile genia, tutti si vantano di essere galantuomini, tutti pretendono di essere gente onesta. Forse ci saranno appena i galeotti, che non avranno tale pretesa. E dico forse, perché non ci sarebbe poi troppo da meravigliare, se vi fossero dei galeotti che dicessero : « I ladri e gli assassini sono i carabinieri che ci hanno arrestati, e i giudici che ci hanno condannati, ma noi siamo galantuomini ». Lo sai bene il fatto di quel re, che visitando le prigioni, s’intese a dire da tutti i carcerati, che tutti erano innocenti? Ci fu un solo che si confessò colpevole, sicché il re, voltosi a lui disse: Or se è così, tu stai male fra tutti questi innocenti: esci fuori di qui; e diede ordine che fosse rimesso in libertà. Pare dunque a te che sia questa l’onestà, questo il galantomismo da sostituire alla religione?

— Ma no. Per galantuomo si intende chi compie i suoi doveri, fa il bene ed evita il male.

E allora se un uomo riesce ad essere tale senza l’aiuto della Religione è l’ottava meraviglia del mondo. Anche quelli, che praticano la Religione, trovano difficoltà ad essere buoni ed onesti, tanto sono terribili gli assalti del demonio, del mondo e delle nostre passioni, e vuoi che un uomo riesca di per sé, senza l’aiuto della Religione a vincerli sempre?

— Ma quando un uomo sia ben compenetrato dall’idea del dovere, e da quella dell’onore, quando un uomo si imponga di non la sciarsi guidare che dalla sua ragione, perché non potrà riuscire ad essere un vero galantuomo?

L’idea del dovere, caro mio, si fonda sopra la Religione. Togli il pensiero di Dio, nostro padrone, di Dio che vede anche i nostri più reconditi pensieri, che premia i buoni e castiga i cattivi, e l’idea del dovere svanisce, e questa parola dovere diventa una parola vuota, o talmente vaga da non avere la forza di indurti a compiere il bene ed evitare il male. – In quanto all’idea dell’onore, devi comprendere che molto facilmente si può apparire nel mondo come uomini d’onore anche allora che si commettono dei gravissimi delitti. Tutto sta nel farla franca, nel coprire con destrezza e fina ipocrisia il male che si fa. E in quanto poi all’impero della ragione, devi pure ammettere che è un impero assai poco efficace, perciocché quante volte la passione piglia alla ragione il sopravvento! No, no, mantenersi buoni, onesti, galantuomini senza l’aiuto della Religione è impossibile. Chi pensasse di riuscirvi, e peggio ancora di esserlo, o è un povero illuso, o è un solenne bugiardo, che mentisce contro la voce della sua coscienza.

— Eppure, a me pare che si diano nel mondo uomini, che anche senza la Religione, abbiano un’onestà naturale a tutta prova.

Ebbene dato pure che vi siano gli uomini che tu dici, non perciò meritano di essere chiamati onesti. Ti reco qua in proposito una bella pagina del Bougaud: « L’uomo onesto onora il proprio padre e la propria madre. E Dio non ci tien luogo di padre e di madre? – L’uomo onesto è riconoscente dei beni, che ha ricevuti. E Dio non glie ne ha elargiti a piene mani? – L’uomo onesto obbedisce alle leggi del proprio paese, anche alle più onerose. E Dio non gli ha data alcuna legge da osservare? – L’uomo onesto è fedele alla propria parola. Non l’ha mai impegnata con Dio? Non si è mai legato con Lui con alcuna promessa? – L’uomo onesto rende a ciascuno ciò che gli si deve. E a Dio non è dovuta l’adorazione, la preghiera, l’azione di grazia, il culto, essendo Egli il nostro sovrano, il nostro benefattore, il nostro tutto? Dunque non corriamo dietro a chimere. Finché non si prega, non si adora, non si rende a Dio l’omaggio della Religione, diciamo pure che non si è uomo onesto nel vero senso della parola ».

— Questa pagina è d’una chiarezza ed evidenza incantevole. Sì, lo ammetto il praticare la Religione è un dovere assoluto.

E tanto più che Dio lo comanda. È sì, o no, in diritto Iddio di imporci dei precetti? Chi mai lo potrebbe negare? Or bene fra gli altri, anzi in capo agli altri, ci ha imposto anche questo in quelle parole: Io sono il Signore Iddio tuo: vale a dire: « Uomo, riconoscimi per quello che sono e rendimi l’onore, il culto, che mi è dovuto ».

— Benissimo. Ma in confidenza, coloro i quali praticano la Religione non sono alla fin fine come tutti gli altri? non commettono anch’essi le loro marachelle?

Ammetto che anche tra gli uomini di Religione ve ne siano di quelli, che non fan bene, perché anch’essi come tutti gli altri uomini hanno di quel d’Adamo. Ma anche in questo caso non avranno sempre costoro un aiuto per reagire contro se stessi? Eppoi se anche costoro, uomini di Religione, fan male, è forse per colpa della Religione, oppure di quel mondo miscredente e irreligioso, tra cui vivono, e di cui subiscono una perniciosa influenza? Del resto considera un po’ bene le cose: confronta un po’ a fondo gli uomini di Religione con quelli che non ne vogliono sapere, e poi vedrai se i primi possono stare alla pari coi secondi nel fare d’ogni erba fascio! Riconoscerai che sì ancor essi, gli uomini religiosi, cadranno in qualche disordine, ma che i delitti più neri, più esecrandi, più orribili sono la privativa pressoché esclusiva di coloro, che non credono e non hanno Religione.

— Non ho difficoltà ad ammettere che la cosa stia così. Ma dacché bisogna proprio praticar la Religione non basta forse praticarla col cuore? Che bisogno c’è di manifestarla esteriormente in pubblico con riti, con preghiere, con cerimonie esteriori?

Che bisogno? Per Iddio nessuno certo, per noi moltissimo. Prima di tutto perché  Dio ce lo comanda; poi perché, anche non ce lo comandasse, dovremmo renderglielo egualmente, essendoché noi siamo anima e corpo, e dobbiamo perciò con l’anima e col corpo manifestare a Dio la nostra sudditanza; e da ultimo perché il culto esteriore serve efficacemente a farci rendere a Dio anche quello interiore.

— Come? questo non lo capisco.

Hai mai provato qualche effetto nel tuo cuore prendendo parte a qualche pubblica manifestazione di fede? I cantici della Chiesa, il suono degli organi, i riti compiuti con solenne maestà dai sacerdoti non ti hanno mai interiormente colpito?

— Oh! sì. Debbo dire la verità. Molte volte mi hanno commosso, ed anche senza che io ci avessi pensato prima, mi sono sentito attratto da una forza per me inesplicabile a stare raccolto, a pregare, e persino a piangere.

Vedi adunque di qual maniera il culto esteriore ci giova per rendere a Dio anche quello interiore. Aggiungi poi che il culto esteriore torna sommamente utile alla società. La sola esperienza del passato è sufficiente a provarlo; la stessa ragione poi ce lo assicura, giacché per mezzo del culto esterno è predicato del continuo e all’individuo e alla società l’esistenza di un Dio sommamente giusto, che premia i buoni e castiga i cattivi, verità questa fondamentale del dovere e dell’ordine; per mezzo del culto esterno è mantenuto più vivo il sentimento dell’universale fratellanza; per mezzo del culto esterno viene esercitata la più forte influenza sopra le arti e sopra la civiltà, per mezzo del culto esterno infine, per tacere di altro, il sentimento della patria si fa grande e gagliardo.

— A dir il vero non aveva mai riflettuto a tutto ciò, e sono contentissimo di averlo appreso. – Nondimeno lo spendere tanti denari come si fa alle volte per certe feste religiose non è troppo? Non sarebbe meglio farne delle elemosine?

Questa osservazione non è tua certamente, ma di coloro che vogliono rivaleggiare con Giuda, il quale vedendo la Maddalena versare unguento sui piedi di Gesù diceva: « Non era meglio venderlo, e il denaro ricavato darlo ai poveri? » Ma per rispondere a questa osservazione potrei domandare a te: E non sarebbe meglio che in occasione di visite reali, imperiali, di feste civili e carnevalesche, anziché spendere tanti denari negli apparati esteriori si facessero delle elemosine? Del resto forsechè non si possa far l’una cosa e l’altra? E alla fin fine a questi apparati esteriori non ci tengono gli stessi poveri, i quali alle volte anche con maggior sacrificio dei ricchi ci concorrono con le loro spontanee oblazioni? E poi quegli apparati esteriori in certe speciali solennità non ci parlano con maggior efficacia della grandezza di nostra Religione e non ci spronano più efficacemente a praticarla?

— Sì, è verissimo. Ma ora vorrei un po’ sapere perché vi sono molti che dicono la Religione essere buona per il popolo, per le donne…

È facile a spiegarsi. In questi motti escono coloro che son dominati dalla superbia, che credono di abbassarsi a praticare quella Religione, che specialmente praticano il popolo e le donne. Ma appunto perciò devi capire come costoro non dicano la verità. La Religione o è vera, o è falsa. Se è vera, e per conseguenza buona, lo è tanto per gli uomini elevati come per il popolo e per le donne, e se è falsa, lo è parimenti per tutti. Certamente la religione è di un conforto e vantaggio inestimabile al povero popolo ed alle donne, che sembrano specialmente destinati a soffrire. Ma qui si tratta non solo di vantaggio e conforto, ma anche, e specialmente, di dovere. Ora l’uomo, e particolarmente l’uomo di classe elevata o per natali, o per censo, o per scienza, o per qualsiasi altra condizione, non si trova ad essere anch’egli suddito di Dio? Del resto se si guarda bene che gli uomini, e specialmente i giovani, corrono più gravi i pericoli, sentono più vive le passioni e sono più proclivi ai cattivi costumi, ben si conosce che la Religione si manifesta anche più indispensabile nell’uomo. No, la Religione non è buona soltanto pel popolo e per le donne, ma è buona per tutti.

— E che devo pensare di coloro che dicono che è vero che un po’ di Religione ci vuole, ma non troppa per non cadere nel fanatismo?

Devi pensare che costoro la sbagliano Il fanatismo, ossia l’immaginazione riscaldata che induce a fare pratiche religiose o che sembrano tali in modo eccessivo, disordinato, inopportuno, è certamente un male, dal quale dobbiamo sperare di essere da Dio liberati. Ma se questo è un male per eccesso, il « po’ di religione », di cui costoro vorrebbero accontentarsi, è un male per difetto. – La Religione non è già una specie di pepe, di cui si debba solo metterne un po’ nelle vivande per farle più saporite, ma è la vivanda, il cibo istesso dell’anima nostra, che perciò deve essere sostanzioso, tale quale ce lo ha preparato Iddio medesimo. Un po’ di Religione anziché la Religione nella sua integrità, è una contraddizione manifesta. È lo stesso che dire che Dio sì, bisogna ma onorarlo, non troppo, ma non sempre, ma non a quel modo che Egli vuole esser onorato.

— Ciò è chiaro. E che dire di quelli che, capi di famiglia, si vantano magari di non praticare essi la Religione, ma asseriscono di volerla per i loro bimbi, perché è utile?

Costoro fanno male per due riguardi. Prima di tutto perché, se sono convinti che la Religione è utile, dovrebbero praticarla anch’essi dandone l’esempio ai propri figliuoli; in secondo luogo perché essi considerano la Religione come uno spediente e non già come un dovere. Essi vanno precisamente d’accordo con quei politici, che riguardando nel prete un alleato del carabiniere, un gendarme in sottana, e nella Religione da lui predicata un aiuto a tenere a freno la società, la vorrebbero unicamente per questo motivo, disposti però a farne a meno, se dalla Religione non ridondasse tale utilità. La Religione, caro mio, si deve volere per noi, per tutti, siccome sacrosanto obbligo, che ci incombe verso di Dio.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.