DOMENICA XVII dopo PENTECOSTE

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Ps CXVIII:137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam. [Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Ps CXVIII:1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.
[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]

Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam. [Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]

Oratio

Orémus.
Da, quǽsumus, Dómine, pópulo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.
[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV:1-6
“Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in saecula sæculórum. Amen.”
[Fratelli: Io, prigioniero del Signore, vi esorto a procedere in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con carità, solléciti di conservare l’unità dello spirito mediante il vincolo della pace. Uno solo il corpo e uno solo lo spirito, come anche siete stati chiamati a una sola speranza della vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio, e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti e agisce in tutti, ed è in tutti noi. Egli è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.]

Omelia I

[Mons. Bonomelli, Omelie, vol. IV, Torino 1899 – Omelia IX].

Io, prigioniero nel Signore, vi scongiuro a vivere degnamente secondo la vocazione  alla quale foste chiamati. Con ogni umiltà e mansuetudine, sopportandovi con longanimità gli uni gli altri in carità. Usando ogni cura in mantenere l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un corpo ed uno spirito, come già voi foste chiamati in una sola speranza della vostra vocazione. Un Signore, una fede, un battesimo, un Dio, e padre di tutti, il quale è sopra tutti e per tutti e in tutti noi (1) „ (Agli Efesini, capo IV, 1-6).

Là dove si chiudeva il commento dell’omelia settima, comincia precisamente questo dell’odierna Epistola di S. Paolo agli Efesini. I versetti che vi devo spiegare sono pochi di numero, soltanto sei, ma ripieni dei più alti e pratici documenti, talché ciascuno potrebbe fornire argomento ad un discorso. Scopo dell’Apostolo in essi è di esortare caldamente i fedeli a comportarsi da cristiani, conservando la concordia, ed accenna in poche parole i principi e le cause che devono generare ed alimentare questa concordia. L’avervi accennato il soggetto capitale di questo commento è più che bastevole stimolo alla vostra attenzione. ” Io, prigioniero nel Signore, vi scongiuro a vivere degnamente secondo la vocazione, alla quale foste chiamati. „ Non posso nascondere a voi, o carissimi, il senso profondo che io provo nel mio cuore al solo leggere le prime parole di questo versetto, quale si trova nella Volgata (1): ” Obsecro vos — Vi scongiuro. „ Chi  è colui che esorta, che prega, che scongiura? E Paolo apostolo, che porta sul suo corpo le stimmate di Cristo, che fu chiamato da lui stesso vaso eletto, che ha lavorato e sofferto più di tutti gli altri Apostoli; è Paolo apostolo, che da Gerusalemme fu condotto a Roma carico di catene, attraverso ad infiniti pericoli e patimenti, e che detta queste righe dal fondo del suo carcere, a pochi metri dal palazzo imperiale, dove Nerone sta preparando lo sterminio dei cristiani; lo dice egli stesso, l’Apostolo, con un accento di santo orgoglio e come un titolo sopra tutti efficacissimo per ottenere ciò che domanda: “Io, prigioniero nel Signore, cioè, pel Signore, per la causa del suo Vangelo, vi scongiuro. „ E a chi rivolge queste parole sì accese? Ai suoi figli di Efeso, ch’egli ha guadagnato a Cristo con la sua parola, con la sua carità e c on i suoi miracoli. Ma come? Paolo apostolo, già vecchio, già martire tante volte per Cristo, già presso alla corona, rivestito di quella eccelsa autorità, ch’egli ricevette da Cristo stesso in modo al tutto straordinario, prega, anzi scongiura i fedeli, i suoi figliuoli? Ma dimentica egli la sua dignità, il potere che tiene? Perché pregare e scongiurare quelli che gli sono di tanto sotto ogni rispetto inferiori? Perché non comandare? No, Paolo non dimentica la propria dignità, il proprio potere, e al bisogno saprà usarne; Paolo, formato alla scuola di Gesù Cristo, al comandare preferisce il pregare: sa d’essere padre e ne tiene il linguaggio pieno di tenerezza: sa che l’autorità è un officio, un ministero, u n vero servizio; che il comando può offendere l’amor proprio, mentre la preghiera lo vince e lo guadagna, e perciò non scrive: “Io, prigioniero nei Signore, vi comando, ma sì vi prego, vi scongiuro: Obsecro vos ego vinctus in Domino. „ Questo linguaggio, tutto umiltà ed amore, esprime l’indole, l’intima natura del Vangelo, e ci fa sentire quanta differenza corra tra il potere laico, che usa l’impero e la forza, e l’autorità ecclesiastica, che usa la persuasione e la preghiera: Obsecro vos. Quella parola “prigioniero nel Signore „ è d’una forza e d’una eloquenza meravigliosa, e messa lì con un’arte da sommo oratore. E una sola parola: “Vinctus — prigioniero; „ non si diffonde a descrivere i suoi dolori, le privazioni, le noie e l’orrore del carcere; tutto questo lo lascia immaginare ai suoi figli, e si direbbe che ama nascondere tutto questo per non amareggiarli, e perciò racchiude tutto in una sola parola; “io prigioniero. „ Per ottenere ciò che vuole dagli Efesini, più che della sua autorità, si vale del suo stato di prigioniero per la fede: Obsecro vos ego vinctus in Domino. Quanta delicatezza e quanta forza di dire! Carissimi! Quale esempio per tutti quelli che esercitano u n potere qualunque, sia nella società domestica, come i genitori e i padroni, sia nella società civile e politica, sia nella società ecclesiastica! In luogo della parola voglio, comando, impongo, usiamo, se le circostanze particolari lo permettono, usiamo le parole vi prego, vi supplico, se vi piace, se non vi è grave, e con queste assai volte otterremo ciò che non otterremmo con quelle. Così vuole il sentimento della fratellanza, che abbiamo tra noi, e la eguaglianza dinanzi a Dio: così vuole la prudenza e il rispetto che dobbiamo ai nostri fratelli, che, quantunque inferiori, non cessano mai d’essere fratelli e l’amor proprio dei quali facilmente si offende; un linguaggio altezzoso ed imperioso. Paolo prega e scongiurai suoi fedeli di Efeso: e di che cosa li prega e li scongiura? ” A vivere degnamente secondo la vocazione, alla quale foste chiamati, „ che è quanto dire, la vocazione di cristiani. La vocazione cristiana comprende tutto l’insegnamento teorico e pratico, il simbolo e il decalogo, che il cristiano deve professare e praticare. Il soldato, che volontariamente segue un capitano e si schiera sotto il suo vessillo, giurando fedeltà in faccia alla sua coscienza ed in faccia agli uomini, è tenuto a mostrarsi degno del suo capitano e del suo vessillo. Ora chi è il cristiano? È un uomo che ha il dovere di seguire Gesù Cristo e volontariamente si è schierato sotto la sua bandiera: egli, in faccia al cielo ed alla terra, per il Battesimo, per la Cresima, ricevendo la sua Eucaristia, ed in cento altri modi, ha solennemente dichiarato d’avere per legge il Vangelo di Gesù Cristo, per vessillo la sua croce, che la sua professione è quella di cristiano, n’andasse la vita e l’onore. Egli dunque nella sua fede, nella sua condotta, nelle sue opere, in ogni luogo, in ogni tempo, in qualunque condizione, non deve né dire, né fare, e nemmeno pensare o desiderare cosa che non sia conforme alla sua vocazione di cristiano. Chiunque lo veda, o l’ascolti, o consideri la sua condotta, deve dire: Ecco un cristiano che fa onore alla sua vocazione, al nome che porta. Esaminando noi stessi alla luce della verità, troviamo noi di essere sempre vissuti e di vivere al presente in modo degno della nostra vocazione? Ohimè! Quante volte venimmo meno a questa vocazione, e pur professandoci, a parole cristiani, con le opere facemmo oltraggio al nome glorioso che portiamo! Deh! per l’avvenire viviamo come vuole l’Apostolo: ” Vi scongiuro, io prigioniero nel Signore, a procedere secondo la vocazione, alla quale foste chiamati. „ – Dalle esortazioni in genere S. Paolo discende al particolare, e dice in che devono i cristiani mostrarsi pari all’alta loro vocazione. Uditelo: ” Con ogni umiltà e mansuetudine, sopportandovi gli uni gli altri con longanimità.,, Nell’esercizio principalmente di due virtù, che poi si riducono ad una sola, vuole l’Apostolo che i cristiani vivano secondo la loro vocazione, e sono 1’umiltà e la mansuetudine, le quali due virtù sono fra loro inseparabili. Si dice umile chi sente bassamente di sé, dirò meglio, chi giudica se stesso secondo verità e conosce d’essere nulla, e per tale vuol essere trattato; mansueto è chi si rimette all’altrui giudizio e senza offendersi si lascia piegare e lavorare qual molle cera. – Il perché voi tutti comprendete che la mansuetudine è figlia della umiltà, per guisa che dove è quella, questa pure è forza vi sia. E cosa degna di osservazione, l’Apostolo volendo accennare le virtù principali onde deve onorarsi la vocazione cristiana, mette in primo luogo l’umiltà e la mansuetudine. Né qui s’arresta, ma vuole che codesta mansuetudine tocchi il sommo grado in quella, ch’egli chiama longanimità, che è quella pazienza che non si affanna mai, che è sempre eguale, inalterabile, che non conosce l’ira: mansuetudine e longanimità’ che naturalmente si esercitano, tollerando i nostri difetti, che è cosa facile, e i difetti dei fratelli, che è cosa assai difficile: Supportantes invicem. E nel sopportare le molestie, i difetti, e sopratutto le offese fatteci, che appariranno la nostra umiltà e la nostra mansuetudine. E stile dell’Apostolo addossare le frasi, e le parole, e i concetti, ma in guisa che l’uno sia o causa o effetto dell’altro. Egli ha nominato due virtù principalissime del cristiano, l’umiltà e la mansuetudine; poi vuole che questa al bisogno diventi anche longanimità, massime nella convivenza sociale; ma tosto alla sua mente si affaccia la domanda: Ma donde si potrà attingere la forza della longanimità in mezzo alle tante asprezze della vita? – Dalla virtù, madre di tutte le virtù, e perciò soggiunge: ” Sopportandovi gli uni gli altri con longanimità nella carità, „ quasi dicesse: È la carità la sorgente perenne e vivace della mansuetudine e della longanimità. Io immagino la società domestica, la famiglia; la società più in grande, la parrocchia o il comune; la società più in grande ancora, la nazione, lo Stato, in cui le virtù raccomandate e sì spesso inculcate da S. Paolo, l’umiltà, la mansuetudine, la longanimità, figlie tutte della carità, fossero esattamente osservate, e dico: la terra non sarebbe essa mutata in un paradiso ? Quanti mali rimossi e quanta felicità vi regnerebbe! Ah se la religione cristiana informasse davvero la società umana, che potremmo mai desiderare? Ma giova tener dietro all’Apostolo, che prosegue e scrive: “Usando ogni cura in mantenere 1’unità dello spirito nel vincolo della pace. „ Le virtù sopra dall’Apostolo accennate, nutrite dalla carità, vi porranno in cuore una cura continua, uno studio amoroso di conservare l’unità dello spirito, che ne sarà uno dei frutti più preziosi. Quanto ai corpi noi siamo separati: lo spazio ed il tempo necessariamente ci dividono: ma attraverso allo spazio ed al tempo, che separano i nostri corpi e ci tolgono di vederci, di parlarci, di udirci, noi possiamo tenderci le mani, parlarci, udirci e stringerci intimamente tra noi in modo da formare una sola famiglia, un solo cuore. E come ciò? Ascoltate. La verità è sempre la stessa ed in ogni luogo; per lei non vi sono né fiumi, né monti, né mari, né continenti: essa è come Dio, di cui è figlia; or bene : se con la mente io tengo salda la verità che viene da Dio, e ad essa si tiene saldo ciascuno di voi, tutti gli uomini, non è egli chiaro, che con la verità saremo tutti uniti con la mente, benché separati di corpo? Quella stessa verità che è in me, che è in voi, che è nei fratelli nostri di fede, sparsi da un capo all’altro del mondo, è il filo meraviglioso che tutti ci unisce nello spirito. Separati quanto al corpo da migliaia di chilometri, da decine di secoli: separati per lingua, per usi, per costumi, per mille altre cause, tutti diciamo lo stesso Credo, tutti invochiamo lo stesso Padre, che è nei cieli, tutti professiamo lo stesso decalogo, tutti riceviamo lo stesso Gesù Cristo nella Ss. Eucaristia, tutti aspiriamo allo stesso fine, al possesso della felicità. Ecco, o cari, l’unione dello spirito, che S. Paolo voleva nei suoi figliuoli, unione che nessuna forza né terrena, né infernale può rapire: Solliciti servare unitatem spiritus. E non è tutto: S. Paolo vuole che questa unità dello spirito nella stessa unità si conservi ” nel vincolo della pace — In vinculo pacis. „ Assolutamente parlando, potremmo avere l’unità dello spirito nella professione della stessa fede e dello stesso decalogo, e poi essere inquieti nell’animo nostro, o turbare gli altri e da loro essere turbati, come vediamo accadere ogni giorno intorno a noi; persone che hanno la stessa fede non solo, ma sono virtuose, non sanno vivere in pace sotto lo stesso tetto, e sono moleste le une alle altre. Ebbene: S. Paolo, a nome del Vangelo di Gesù Cristo, esorta tutti a coronare la loro unione nella verità della fede comune col vincolo della pace, che deve essere la dolce catena che lega tra di loro i cuori: In vinculo pacis. Questa verità sì cara dell’unione  nella pace con tutti, anche quando alcuni la turbano, l’aveva profondamente scolpita in cuore S. Bernardo, allorché scriveva queste parole ad un personaggio che si mostrava offeso con lui: Checché facciate, o fratello, io sono fermo in amarvi, anche non amato da voi. Sarò con voi, ancorché voi noi vogliate; sarò con voi, ancorché noi volessi io stesso. Mi son legato a voi con un forte vincolo, con la carità sincera, che non vien meno. Sarò pacifico coi turbolenti, darò luogo all’ira per non darlo al demonio. Vinto nelle ingiurie, vincerò cogli ossequi. Prenderò buoni uffici a chi non li gradisce, sarò largo con gli ingrati, onorerò quelli che mi disprezzano „ (Lettera 252 all’abate Premonstratese). Percorrete tutta la letteratura greca e latina, tutti i fasti della storia non cristiana, e non vi sarà possibile trovare dieci righe come queste, che mostrano a quale altezza di eroismo possa giungere la carità e la pace cristiana. – Ritorniamo al nostro testo: ” Un corpo ed uno spirito, come voi già foste chiamati in una sola speranza della vostra vocazione. „ Questa sentenza dell’Apostolo è quasi il riepilogo dei due versetti antecedenti, e vuol dire: ” Siate un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza della gloria e della immortalità, alla quale siete chiamati. „ Qui riapparisce quella immagine sì bella e sì famigliare all’Apostolo per adombrare l’unità della Chiesa, che esprime a capello il suo concetto. Vedete l’uomo : esso ha braccia, occhi, orecchi e membra tra loro distinte, anzi diversissime per se stesse e per il fine, a cui sono destinate; eppure il corpo è uno solo, e le membra, congiuntissime tra loro, si aiutano a vicenda, e se 1’una soffre, le altre tutte soffrono insieme. Perché tanta varietà di membra e tanta unità tra loro? Perché è una sola l’anima, che avviva tutte le membra secondo la loro natura, e tutte le muove e le ordina tra loro. Il somigliante deve essere nel corpo dei fedeli: essi sono distinti e differenti tra loro per natura, per grazia, per uffizi: ma informati tutti dallo spirito di Dio e dalla sua carità, e tutti camminando verso l’unico fine comune, formano un solo corpo, avente una sola anima e un solo cuore, come la Chiesa primitiva. L’Apostolo ha tanto a cuore questa unità dello spirito, quest’armonia delle membra, onde si compone la Chiesa, che sotto altra forma, e più completa, ne ripete il principio generatore, dicendo: “Un Signore, una fede, un battesimo. „ Il corpo dei fedeli, la Chiesa deve essere una sola, perché un solo è il Signore, il padrone assoluto ed universale, da cui ripete l’origine; un solo Gesù Cristo, che col suo sangue 1’ha riscattata e a sé disposata. Una sola è la fede, che a Lui ne conduce e ne unisce: Una fides, sempre la stessa ed immutabile, come Lui, che ne è l’oggetto. U n solo il battesimo: Unum baptisma, perché non si riceve che una sola volta, e perché è sempre lo stesso, ed è l’unica porta, per la quale si può entrare nel regno di Cristo, che è la Chiesa. In questa triplice causa della unità della Chiesa, che riducesi ad una sola, Dio, vi è un ordine che non può sfuggirvi. Vi è l’oggetto primo ed assoluto, che è Dio, Dio unico in cielo ed in terra. Come andiamo a Dio, unico nostro Signore, termine ultimo di ogni nostro desiderio ed amore? Per l’unica fede ch’egli stesso ci ha dato. E come riceviamo questa fede? come si suggella in noi? Coll’unico battesimo, che Dio ci ha dato: Dio, la fede, il battesimo; un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo: come non formeremo un solo corpo tra noi, avendo tutti un solo Dio, da cui veniamo ed a cui torniamo; una sola fede, che a Lui ci conduce; un solo battesimo, che stampa in noi la stessa fede e il carattere di figli di Dio? L’Apostolo, dopo aver nominato Dio, Dio che è solo, quasi rapito fuor di sé, e come se fissasse lo sguardo nella sua luce inaccessibile, nell’impeto d’amore, che lo strugge, esclama: “Sì, Dio, un Dio solo, che è Padre di tutte le creature del cielo e della terra, degli angeli e degli uomini, che sta sopra di tutti per la sua sapienza e bontà: Qui est super omnes, e che con la sua virtù e forza infinita tutto muove, penetra, avviva e feconda: Et per omnia, e che in modo affatto speciale abita in noi colla sua grazia e ci governa. In Dio, da cui tutto viene ciò che è vero, bello e buono; in Dio, che è uno per essenza, e che con la verità e con l’amore ci trae dolcemente e fortemente; in Dio, che è la causa prima e suprema d’ogni unità, siamo un solo corpo ed un solo spirito nel vincolo d’una pace inalterabile, figura e pegno di quella che avremo in cielo. – E qui il pensiero corre mestamente ad un fatto oltre dire doloroso, che ci sta sotto gli occhi. S. Paolo con un linguaggio sublime parla di Dio e dice, che è sopra tutti, per tutti e in tutti noi. E una verità proposta dalla fede e proclamata dalla stessa ragione naturale: Dio è tutto in tutti; viviamo in Lui, ci muoviamo in Lui, siamo in Lui. Eppure che vediamo noi,, o dilettissimi? Oggidì gli uomini della scienza, gli uomini del potere pressoché tutti o hanno vergogna di nominare Dio per un miserabile rispetto umano, o apertamente lo negano e lo respingono ed osano dire: Noi non abbiamo bisogno di Dio: la scienza può farne senza e cammina senza di lui: la società può vivere e prosperare senza Dio e l’onestà e l’ordine possono aversi con la scienza, col lavoro, con la forza, coll’industria dell’uomo. – Questo si dice e se non si dice con la lingua, lo si dice coi fatti, tantoché il nome di Dio più non si pronuncia nella scuola, nelle aule legislative, negli atti solenni dell’autorità, o lo si pronuncia per servire ad un uso, che si vuol cessare. O Dio buono e grande! Voi che siete principio e fine d’ogni cosa: voi che colla vostra provvidenza governate ogni cosa; voi che siete il Padre di tutti, perdonate a questi uomini, che, superbi della loro scienza e della loro potenza, vi disconoscono e bestemmiano: essi non sanno quel che si facciano. Illuminate le loro menti, toccate i loro cuori, fate che conoscano chi voi siete e ritornino a voi, che siete la via, la verità, la vita: che siete tutto in tutti!

Graduale
Ps XXXII:12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.
[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]
Alleluja

Verbo Dómini coeli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja [Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]
Ps CI:2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.
[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XXII:34-46
“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisaei: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege?
Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisaeis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogáre”. [ In quel tempo: I Farisei si avvicinarono a Gesú, e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il grande comandamento della legge? Gesú gli disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua ànima e con tutta la tua mente. Questo è il piú grande e il primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due comandamenti è racchiusa tutta la legge e i profeti. Ed essendo i Farisei radunati insieme, Gesú domandò loro: Che cosa vi pare del Cristo? di chi è figlio? Gli risposero: Di Davide. Egli disse loro: Com’è allora che Davide in spirito lo chiama Signore, dicendo: Dice il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, com’è egli suo figlio? E nessuno sapeva rispondergli: né da quel momento in poi vi fu chi ardisse interrogarlo.]

Omelia II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXII, 34-46)

Amore di Dio.

“Maestro, quale di tutti i comandamenti della legge è il più grande?!” Fu questa la maliziosa interrogazione che fece a Gesù Cristo un dottor della legge, come ci narra S. Matteo nel sacrosanto Evangelo della corrente Domenica. – La mira di quel dottor Fariseo, al dir di un interprete, era di costringere Gesù ad una dichiarazione della maggioranza di alcun de precetti riguardanti l’esercizio del divin culto o di altro spettante alle leggi scritte da Mose, per aprirsi strada a questioni. Troncò il maligno suo disegno il Redentore col rispondere: “Ecco il massimo di tutti quanti i precetti: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuor tuo, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua: “Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et in tota anima tua, et in tota mente tua”. È questo il primo e massimo comandamento. Egli è il massimo per la sovrana autorità di un Dio che l’ha imposto, è il massimo per quel commercio che passa tra i più nobili movimenti del nostro cuore e il suo principio che è Dio, e il massimo pel suo fine; è ricompensa d’eterna vita per quei che l’osservano. Se desiderate conoscere i modi coi quali deve da noi osservarsi questo grande e massimo comandamento, due sono necessariamente richiesti. Fissateli bene, cristiani amatissimi. Siamo obbligati ad amare Dio con amore di “preferenza”, lo vedremo da prima: siamo obbligali ad amare Dio con amor di “operazione”, lo vedremo dappoi, se mi favorite di benigna attenzione.

I. – La prima indispensabile qualità del nostro amore verso Dio è la “preferenza”. Non siamo già tenuti ad amare Dio con un amor tenero e sensibile. La tenerezza e la sensibilità, onde talvolta cert’anime si sentono dilatare il cuore, e spargono dolci lacrime, non é da Dio comandata. Possono essere naturali effetti di un temperamento sensibile e facile al pianto. – Né pur ci vien imposto di amare Dio con un amore sforzato; ma con amor libero e volontario; onde riflette l’angelico dottor S. Tommaso che Iddio nell’intimarci questo suo precetto non sì servì del verbo “Amabis, ma del verbo “Diliges per significarci che vuol essere amato con un amore, che seco porta una scelta ultronea, una spontanea elezione. – Non ci vien finalmente comandato con rigor di precetto un amore intenso, fervido e di sfera sublime. Il Signore ebbe riguardo alla nostra fiacchezza e non ci prescrisse il grado di questo amore, ma la sostanza soltanto. E qual è di quest’amor la sostanza? Ecco, la “preferenza”: vale a dire un amore di stima, di prelazione, di apprezzamento. Questi termini che hanno una sola significazione vogliono essere spiegati a favor de’ men colti. Iddio comanda d’esser amato da noi. Ora, siccome Dio è superiore a tutte le creature presenti e possibili, così dev’essere amato da noi sopra le creature tutte, presenti e possibili. E siccome da Dio portano e a Dio sono inferite tutte le cose create, così il nostro amore per le cose create deve da Dio discendere e riferirsi allo stesso Dio. Un cuore, un’anima che abbia questo amore, preferisce Iddio a sé stessa e ad ogni altra creatura: prepondera nel suo affetto più Dio, che qualunque altro bene creato: stima più Dio, che il mondo tutto: apprezza tanto Dio che non soffre che altr’oggetto venga con esso a paragone e competenza; e se l’umana, o diabolica tentazione forma un tal paragone e competenza, il cuore l’abbomina, l’odia, la distrugge e fa che in sé trionfi la stima e l’adesione, al suo Dio. – Dall’esempio e dalle parole dell’Apostolo Paolo meglio comprenderemo la qualità dell’amor di Dio a noi prescritto. Sfidava egli le creature tutte a separarlo, se era ad esse possibile, dalla carità dell’Uomo-Dio, dall’amor di Gesù Cristo. “Quis me separabit a charitate Christi(Ad Rom. VIII, 35)? “Forse la tribolazione, l’angustia, la fame, la nudità, la persecuzione, la spada? Eh no, che né la morte, né la vita, né l’altezza degli onori, né il profondo dell’avvilimento, né creatura alcuna potrà separarmi dalla carità di Dio, dall’amore di Gesù Cristo.” – Non crediate già, uditori, che qui S. Paolo abbia parlato con enfasi di fervore, come Apostolo disceso dal terzo cielo. No, egli qui parla da semplice cristiano, e dice il puro, il preciso a cui è obbligato qualunque privato fedele. Da ciò ne viene che ciascuno di noi è strettamente tenuto ad essere nelle medesime disposizioni di animo e di volontà, nelle quali protestava di essere il gran Dottor delle genti, onde ognun di noi è obbligato a dire in tutta osservanza e realtà: mediante l’aiuto di Dio, che mai non manca, non vi sarà creatura alcuna, che mi entri nel cuore fino ad escluderne Iddio. “Non altitudo”, non le cariche onorevoli e lucrose, se a quelle debbo ascendere per una via d’ingiustizia, o di simonia, o per altra strada obliqua. “Necque profundum”, non l’abbassamento e la depressione; e se da questa potesse togliermi la calunnia, o l’impostura, o la vendetta, io tutto sacrificherò all’Altissimo, e morrò nel profondo dell’abiezione piuttosto che trarmene con mezzi illeciti: non la fame coi suoi malvagi consigli, non la tribolazione coi suoi tentativi, non la persecuzione coi suoi pericoli, non finalmente la spada del tiranno, né qualunque altra creatura avrà forza in me di staccarmi da Dio, di farmi oltrepassare i suoi ordini e trasgredire i suoi comandi. Ecco l’amore solo, fermo, sostanziale di “preferenza”, di stima, che Dio rigorosamente c’impone nel primo precetto; perciocché Dio non sarebbe più Dio, se più di esso Lui, o al par di Lui, si potesse da noi amare lecitamente qualche altra cosa. Ma quest’amore di preferenza sarebbe un amor di semplice disposizione, se fosse disgiunto dall’opere: vi dissi perciò in secondo luogo, che deve essere amor di “operazione”.

II. – Dio, che si appella dall’Evangelista S. Giovanni, carità per essenza, “Deus charitas est” (Joan. IV, 16), si chiama altresì dall’Apostolo, fuoco consumatore, “Deus noster ignis consumens est(Hebr. XII, 21). – Questo mistico fuoco, di cui Dio arde per noi, soggiunge il nostro divin Salvatore, “son venuto dal cielo a portarlo su questa terra; e qual altro è il mio desiderio, se non che si accenda in tutti i cuori?” “Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi ut accendatur(Luc. XII, 49)? – Osservate ora il fuoco, egli è il più attivo di tutti gli elementi. La terra quando produce e quando riposa: l’aria talora è agitata e talora tranquilla: l’acqua ora scorre, ora è stagnante. Solo il fuoco è sempre in moto, sempre agisce; e se cessa di agire, di accendere, di consumare, cessa altresì dall’esistere. Tal è appunto l’amore verso Dio, dice il Magno Gregorio, “operatur magna, si est, si autem renuit operari, amor non est(Hom. 30 in Evan.). Vi son opere per Dio, per la sua gloria, pel suo servizio? Dunque vi è amore; non vi son opere? … non vi è amore. L’ opera, prosegue lo stesso S. Pontefice, è la prova più autentica dell’amore. “Probatio dilectionis cxhibitio est operis” (Ibid.). Infatti perché l’Eterno Padre amò il mondo ci diede il Figlio suo Unigenito per Salvatore. “Sic Deus dilexit mundum, ut filium suum Unigenitum daret (Joan. III, 16). E suo Figlio stesso per dare la maggior prova al mondo di quanto amava il celeste suo Genitore, andiamo, disse ai suoi discepoli, a compiere quel sacrificio, che placherà la sua giustizia, che comproverà la sua gloria, “ut cognoscat mundus quia diligo Patrem … surgite, eamus(Joan. XIV, 31). Persuasi ora che le opere sono i veridici contrassegni dell’amore, se mi chiedete quali debbano da noi praticarsi, vi risponderà Gesù Cristo nel Vangelo di S. Giovanni: “Se voi amate, dice Egli, fatemelo conoscere coll’osservanza dei miei comandamenti, “si diligitis me, mandata mea servate(Joan, XIV, 15). Invano vi lusingate di amarmi, se non mi ubbidite. Così è: i comandamenti della natura, del Decalogo, del Vangelo, della Chiesa, dei legittimi superiori, son tutti comandamenti di Dio. Se da noi sono osservati, possiamo avere una morale certezza, che regna in noi l’amor di Dio, un solo però che venga trasgredito basta ad estinguere questo amore e dar morte all’anima nostra. “Qui non diligit, manet in morte(Jo. III, 14). – Ad agevolare poi l’osservanza de’ divini precetti è espediente mettere in pratica i mezzi opportuni all’intento. Scelgo fra tanti, quei che ci suggerisce S. Lorenzo Giustiniani, e sono “Libenter de Deo cogitare, libenter Deo dare, libenter pro Deo pati(Lib. De L. vitæ c. 11). Riandiamo i sensi di questo gran Santo, che forse avremo da confonderci. “Libenter de Deo cogitare”. Un cuore che ama ha sempre presente al pensiero l’oggetto amato. Corre questo costume riguardo agli oggetti terreni, non corre per nostra sventura rapporto a Dio. Ditemi in grazia, fedeli amatissimi: il vostro primo pensiero nello svegliarvi lo date a Dio? Fra giorno vi occupate mai della memoria di Dio? Pensate mai che Iddio vi è presente, che è testimonio di ogni vostra azione? Vi tornano a mente i benefizi da Lui ricevuti, le grazie, che ogni dì vi comparte? Oh Dio! Si pensa al negozio, al lucro, alla lite, al divertimento, alla campagna, al lavoro, alla famiglia, insomma a tutto, ma non a Dio. Io già non vi condanno se pensate alla casa, ai figli, ai campi, alle officine, agli affari, e a tanti altri vostri giusti interessi. Possono essere questi pensieri una parte delle obbligazioni del vostro stato. Ma di grazia fra tanti e tanti pensieri non vi potrebbe aver luogo un pensiero per Dio? Possibile che Egli debba essere escluso dalla vostra mente per modo, che in tutto il dì non si trovino in essa neppur alcune reliquie di pensieri per Dio, “reliquiæ cogitationum, giusta la frase del re Profeta! O sconoscenza della creatura dimenticata di quel Dio, in cui vive, in cui si muove, per cui esiste! – In secondo luogo , “libenter Deo dare”. L’amore è liberale. Chi ama Dio dà a Lui volentieri il suo tempo per onorarLo, per supplicarLo. Gli fa di buon grado parte di sue sostanze nella persona dei poveri. Dava più volte al giorno il suo tempo a Dio il Profeta Daniele; dava di sue sostanze ai bisognosi il buon Tobia. I cristiani moderni san fare miglior uso del tempo e delle sostanze? Le ore della notte alla veglia e al riposo: le ore del giorno se le dividono il pranzo, la cena, la conversazione, le visite, il giuoco, il passeggio; e a Dio che resta? … e a Dio che si dà? Una Messa alle Domeniche, chissà come sentita, qualche volta un rosario detto tra il sonno e l’accidia, una predica per curiosità, una confessione all’anno, una comunione alla Pasqua. Caino non è più solo, che a Dio offriva le spighe più smunte del proprio campo. – Ora chi nega a Dio il tempo al suo culto, come gli sarà liberale in sovvenire i suoi poverelli? Il ricco Epulone neghittoso verso Dio, crudele verso Lazzaro ha i suoi successori. Altro che amor di Dio! Finalmente, “libenter pro Deo pati”. Ella è questa una gran prova di amore, patir volentieri per l’oggetto amato. Voi avete in casa quella suocera incontentabile, quella nuora arrogante, quel marito collerico, quella moglie fastidiosa, quel figliuolo che v’inquieta il giorno, che vi disturba la notte, quell’infermo che vi cruccia, quel vicino che vi molesta, e per che non farvi merito colla pazienza, perché non dare a Dio un segno del vostro amore col patir qualche poco per Chi ha tanto patito per voi? – Tanto si soffre per le creature, tanto si stenta pel mondo, e nulla si vuol soffrire per Dio! Deh! non sia più così. Il nostro amore verso Dio sia da qui innanzi amor di “preferenza”, di prelazione, di stima; ed acciò non resti sterile nella pura immaginativa si porti alla pratica, si dimostri colle opere, “non diligamus verbo, neque lingua, sed in opere et veritate(I Jo. IV). Allora sì che il nostro amore sarà come l’oro fra i metalli, come il sole tra i pianeti, come il fuoco fra gli elementi. Questo mistico fuoco non si estinguerà per morte, passerà anzi ad accrescere la sua fiamma nella celeste sfera, ove si vive di puro amore, e ove Iddio ci conduca.

Credo …

Offertorium
Orémus
Dan IX:17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.
[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]

Secreta
Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúris. [Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]

Communio
Ps LXXV:12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.
[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]

 Postcommunio
Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.
[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.