LA SUMMA PER TUTTI (3)

LA SUMMA PER TUTTI (3)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE PRIMA

CAPO IV.

Persone.

74. Che cosa intendete quando dite che Dio è uno Spirito in tre Persone?

Intendo che: sono Tre ad essere il medesimo Spirito che è Dio, con tutti gli attributi della Divinità (XXX, 2).

75. Quali sono i nomi di queste tre Persone che sono il medesimo Dio con tutti gli attributi della Divinità?

Si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo.

76. Che cosa è il Padre in Dio?

È Colui che senza avere avuto principio genera il Figlio, e dal quale procede lo Spirito Santo.

77. Che cosa è il Figliuolo in Dio?

Il Figliuolo è Colui che è generato dal Padre e dal quale, nello stesso tempo che dal Padre, procede lo Spirito Santo.

78. Che cosa è lo Spirito Santo in Dio?

È Colui che procede dal Padre e dal Figliuolo.

79. Queste tre Persone in Dio sono distinte da Dio stesso?

Queste tre Persone in Dio non sono distinte da Dio stesso.

80. Sono esse distinte tra loro?

Esse sono distinte tra loro.

81. Che cosa intendete col dire che le tre Persone in Dio sono distinte tra loro?

Intendo che il Padre non è il Figliuolo né lo Spirito Santo; che il Figliuolo non è né il Padre né lo Spirito Santo, e che lo Spirito Santo non è né il Padre né il Figliuolo.

82. Queste tre Persone possono essere separate l’una dall’altra?

Queste tre Persone non possono essere separate l’una dall’altra.

83. Sono esse insieme da tutta la eternità?

Esse sono insieme da tutta la eternità.

84. Il Padre, nella sua relazione col Figlio, ha in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio?

Sì; il Padre nella sua relazione col Figlio ha in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio.

85. Il Figlio, nella sua relazione col Padre, ha in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio?

Sì; il Figlio nella sua relazione col Padre ha in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio.

86. Il Padre ed il Figlio, nella loro relazione con lo Spirito Santo, hanno in Sé tutto ciò che abbiamo- veduto essere in Dio?

Sì; il Padre ed il Figlio nella loro relazione con lo Spirito Santo hanno in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio.

87. Lo Spirito Santo, nella sua relazione col Padre e col Figlio, ha in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio?

Sì; lo Spirito Santo nella sua relazione col Padre e col Figlio, ha in Sé tutto ciò che abbiamo veduto essere in Dio.

88. Sono tre Dei questi che hanno relazione tra loro da tutta la eternità?

Non sono tre Dei, ma tre Persone che si identificano ciascuna nel medesimo Dio, e che restano frattanto pienamente distinte fra loro.

89. Queste tre Persone in Dio formano tra loro una vera società?

Sì; queste tre Persone in Dio formano tra loro una vera società, che è la più perfetta di tutte le società (XXXI, ad 1).

90. Perché dite che la società delle tre Persone di Dio è la più perfetta di tutte le società?

Perchè sono Tre, ciascuno dei quali è il medesimo Infinito in perfezione, in durata, in iscienza, in amore, in potenza, in felicità; e godono di Loro stessi nel seno della Divinità.

91. Come sappiamo che in Dio vi sono tre Persone?

Noi sappiamo che in Dio vi sono tre Persone per mezzo della fede.

92. La ragione senza la fede potrebbe sapere che in Dio vi sono tre Persone?

No; la ragione senza la fede non potrebbe sapere che in Dio vi sono tre Persone (XXXII, 1).

93. E quando per mezzo della fede sappiamo che in Dio vi sono tre Persone, la ragione può comprenderlo?

No; neppure quando sappiamo per mezzo della fede che in Dio vi sono tre Persone, la ragione lo può comprendere (XXXII, 1 ad 2).

94. Come si chiamano queste verità che conosciamo per mezzo della fede, senza che la ragione possa comprenderle?

Si chiamano misteri.

95. La esistenza delle tre Persone in Dio è dunque un mistero?

Sì; ed è il più profondo di tutti i misteri.

96. Come si chiama questo mistero delle tre Persone in Dio? i sione (XXV!

Si chiama il mistero della Santissima Trinità (XXXI, 1).

97. Potremo un giorno conoscere in se stesso il mistero della Santissima Trinità?

Sì; potremo un giorno conoscere in se stesso il mistero della Santissima Trinità, e

tale conoscenza formerà la nostra eterna felicità in cielo.

98. Non possiamo su questa terra intravedere qualche cosa delle armonie del mistero della Santissima Trinità, considerando la natura delle operazioni che sono proprie degli spiriti?

Sì; perché queste operazioni implicano nel soggetto che: agisce un doppio rapporto di principio e di termine della operazione, sia nell’atto di pensare che in quello di amare; donde risulta che in Dio, secondo che la fede ci insegna, nell’atto di pensare, il Padre ha ragione del Principio che dice, ed il Verbo ha ragione del termine che è detto; e nell’atto di amare, il Padre ed il Figlio hanno ragione del Principio comune rispetto allo Spirito Santo che ha ragione di termine.

99. Che cosa è dunque che forma in Dio il mistero della Santissima Trinità?

È la infinita ricchezza e la fecondità della sua natura, per la quale hanno luogo in essa delle misteriose processioni d’origine (XXVII, 1).

100. Come si chiamano queste processioni di origine in Dio?

Si chiamano la generazione e la processione (XXVII, 2-8).

101. Che cosa si deduce da questa generazione e da questa processione in Dio?

Si deduce che fra ciascuno dei due termini della generazione e della processione esistono delle reali relazioni, costituite da questi diversi termini (XXVII, 1).

102. Quali sono queste relazioni in Dio?

Sono quattro: la paternità e la filiazione, la spirazione attiva e la processione o spirazione passiva (XXVIII, 4).

103. Queste relazioni in Dio sono la stessa cosa che le Persone divine?

Sì; queste relazioni in Dio sono la stessa cosa che le Persone divine (XL, 1).

104. Perché dunque vi sono quattro relazioni e non vi sono che tre Persone in Dio?

Perchè ‘una delle relazioni, la spirazione attiva, non opponendosi con opposizione relativa alla paternità ed alla filiazione, ma convenendo invece all’una ed all’altra, ne segue che le due stesse Persone costituite l’una dalla paternità e l’altra dalla filiazione, possono e debbono essere il soggetto della spirazione attiva, che perciò non costituisce una Persona, ma conviene insieme alla Persona del Padre ed alla Persona del Figlio (XXX, 2).

105. Vi è un certo ordine in Dio fra le Persone divine?

Vi è l’ordine di origine, che permette al Figlio di procedere dal Padre ed allo Spirito Santo di procedere dal Padre e dal Figlio (XLI, XLII).

106. Quando le Persone divine agiscono con azione diversa dagli atti nozionali che sono l’atto di dire o di generare e l’atto di spirare, agiscono con una sola e medesima azione comune a tutte e tre?

Sì; e così l’atto di pensare e quello di amare convengono a tutte e tre le Persone; e similmente tutte le azioni che scendono a qualche effetto fuori di Dio (XXXIX, XLI).

107. Vi sono però certi atti e certi princìpi di azione che si attribuiscono più specialmente a questa od a quella Persona?

Sì; e queste specie di attribuzioni avvengono in ragione di una certa armonia che questi atti o princìpi di azione presentano con le caratteristiche di questa o di quella Persona. Così, a modo di appropriazione, si attribuisce la potenza al Padre, la sapienza al Figliuolo e la bontà allo Spirito Santo, quantunque esse convengano ugualmente a tutte e Tre (XXXIX, 7, 8; XLV, 6).

108. Quando, dunque, parliamo di Dio nei suoi rapporti col mondo esterno, si tratta sempre di Dio nella unità della sua natura e nella Trinità delle Persone?

Sì; con la sola eccezione di ciò che riguarda la Persona del Verbo nei misteri della sua Incarnazione (XLV, 6).

Capo V.

Opera di Creazione.

109. Che cosa intendete col dire che Dio è il Creatore di tutte le cose?

Intendo che tutte le cose sono state da Lui create dal niente (XLIV, XLV).

110. Non esisteva dunque niente fuori di Dio, prima che Egli creasse tutte le cose?

No; niente esisteva fuori di Dio prima che Egli creasse tutte le cose; esistendo Egli solo da Sé e tutto il resto non esistendo che per Lui (XLIV, 1).

111. Quando ha creato Dio tutte le cose dal niente?

Dio ha creato dal niente tutte le cose quando Gli è piaciuto (XLIV).

112. Dunque se lo avesse voluto avrebbe potuto non creare le cose che invece ha create?

Sì; Dio avrebbe potuto, se lo avesse voluto, non creare le cose che ha create.

113. E perché Dio ha voluto creare in un dato momento le cose create?

Dio ha creato le cose per manifestare la sua gloria (XLIV, 4).

114. Che cosa intendete col dire che Dio ha creato le cose per manifestare la sua gloria?

Intendo che Egli ha voluto mostrare fuori di Sé la sua bontà comunicando ad altri qualche cosa del Bene infinito che è Egli stesso.

115. Non è dunque per bisogno né per acquistare qualche cosa che Dio ha creato le cose?

No; Egli invece ha creato le cose per dare ad altri qualche cosa di ciò che possiede infinitamente in Sé stesso e per pura bontà (XLIV, 4 ad 1).

Capo. VI.

Il mondo.

116. Come si chiama tutto l’insieme delle cose create da Dio?

Si chiama mondo oppure universo (XLVII, 4).

117. Il mondo od universo è dunque l’opera stessa di Dio?

Sì; il mondo od universo è la stessa opera di Dio (XLVII, 1, 2, 3).

118. Che cosa comprende il mondo od universo, opera di Dio?

Il mondo od universo opera di Dio comprende tre categorie di esseri che sono: i puri spiriti, i corpi e lo spirito unito ad un corpo.

119. Dunque Dio stesso ha creato i puri spiriti, i corpi e lo spirito unito ad un corpo?

Sì; Dio stesso ha creato i puri spiriti, i corpi e lo spirito unito ad un corpo.

120. Ha agito Egli stesso, da Sé stesso solo?

Sì; Dio ha fatto tutto da Sé stesso solo, essendo Egli solo in grado di creare

(XLV, 5).

121. In qual modo Dio, da Sé stesso e solo, ha creato il mondo degli spiriti e dei corpi?

Lo ha creato mediante la sua Parola o Verbo e col suo Amore (XLV, 6).

Capo VII.

Gli angeli. – Loro natura.

122. Perché Dio ha voluto che vi fossero dei puri spiriti nell’opera da Lui creata?

Dio ha voluto che nell’opera sua vi fossero dei puri spiriti, perché questi dovevano essere il coronamento dell’opera stessa (L, 1).

123. Che cosa intendete col dire che i puri spiriti dovevano essere il coronamento dell’opera di Dio?

Intendo che essi ne sono la parte più nobile, la più perfetta e la più bella (Ibid.).

124. Potreste dire quale è la natura dei puri spiriti?

Sì; i purì spiriti sono nature ossia sostanze che esistono scevre affatto di corpo e di materia (L, 1, 2).

125. Questi puri spiriti sono in grandissimo numero?

Sì; questi puri spiriti sono in grandissimo numero (L, 3).

126. Il loro numero supera il numero di tutte le altre nature create?

Sì; il loro numero supera il numero di tutte le altre nature create (/bid.).

127. Perché bisognava che fossero così numerosi?

Perché conveniva che ciò che vi era di più bello nell’opera di Dio superasse in grandezza tutto il resto (/bid.).

128. Come si chiamano ordinariamente questi puri spiriti?

Si. chiamano Angeli.

129. Perché i puri spiriti si chiamano Angeli?

Perché sono i messaggeri di cui Dio si serve per amministrare il rimanente della sua opera.

130. Possono gli Angeli prendere un corpo come noi?

No; gli Angeli non possono prendere un corpo come noi; e se talvolta si sono potuti mostrare rivestiti di un corpo, non ne avevano che l’apparenza esterna (LI, 1, 2, 8).

131. Gli Angeli stanno in qualche luogo?

Sì; gli Angeli stanno in qualche luogo (LII, 1).

132. Qual è il luogo ordinario degli Angeli?

Il luogo ordinario degli Angeli è il cielo (LXI, 4).

133. Gli Angeli possono recarsi da un luogo ad un altro?

Sì; gli Angeli possono recarsi da un luogo ad un altro (LIII, 1).

134. Occorre loro del tempo per recarsi da un luogo ad un altro?

Gli Angeli possono recarsi da un luogo ad un altro, fossero anche i luoghi più opposti, quasi istantaneamente (LIII, 2).

185. Possono anche lasciare lentamente un luogo e recarsi lentamente in un altro secondoché loro aggrada?

Sì; essi possono anche lasciare lentamente un luogo e recarsi lentamente in un altro secondoché loro aggrada; non essendo il loro movimento che una successiva applicazione della loro virtù e della loro azione a diversi esseri, ossia alle diverse parti di un medesimo tutto (LIII, 3).

Capo VIII.

Loro vita intima.

136. In che cosa consiste la vita degli; Angeli, secondo la loro natura di puri spiriti?

La vita degli Angeli secondo la loro natura di puri spiriti consiste nel conoscere e nell’amare.

137. Quale specie di conoscenza si trova negli Angeli?

Negli Angeli si trova la conoscenza intellettuale (LIV).

138. Non vi è negli Angeli nessuna conoscenza sensibile come in noi?

No; negli Angeli non si trova nessuna conoscenza sensibile come in noi (LIV, 5).

139. Perché non vi è negli Angeli la conoscenza, sensibile come in noi?

Perché la conoscenza sensibile avviene per mezzo del corpo, e gli Angeli non hanno affatto corpo (Ibid.).

140. La conoscenza intellettuale degli Angeli è più perfetta della nostra conoscenza inteltuale?

Sì; la conoscenza intellettuale degli Angeli è più perfetta della nostra conoscenza intellettuale.

141. Perché la conoscenza intellettuale degli Angeli è più perfetta della nostra conoscenza intellettuale?

Perché essi non hanno come noi da attingere la loro conoscenza nel mondo esterno, ed apprendono tutta la verità con un solo sguardo del loro spirito, senza aver bisogno come noi di ragionamento (LV, 2; LVIII, 3, 4).

142. Gli Angeli conoscono tutte le cose?

No; gli Angeli non conoscono affatto tutte le cose perché hanno una natura finita: Dio solo, essendo infinito, conosce tutte le cose (LIV, 1, 2, 3).

143. Conoscono essi tutto l’insieme delle creature?

Sì; essi conoscono tutto insieme delle creature, perché la loro natura di puri spiriti richiede che sia così (LV, 2).

144. Gli Angeli conoscono tutto ciò che avviene nel mondo esterno?

Sì; gli Angeli conoscono tutto ciò che avviene nel mondo esterno, perché le idee del loro intelletto manifestano loro le cose di mano in mano che accadono (ibid.).-

145. Conoscono i segreti dei cuori?

No; gli Angeli non conoscono affatto i segreti dei cuori; perché tali segreti essendo liberi non rientrano nella serie necessaria dei fatti esterni (LVII, 4). i i

146. Che cosa occorre perché gli Angeli conoscano i segreti dei cuori?

Occorre che Dio li riveli loro, oppure il soggetto stesso li faccia loro conoscere (Ibid).

147. Gli Angeli conoscono l’avvenire?

No; gli Angeli non conoscono l’avvenire, salvo che Dio lo riveli loro (LVII, 8).

148. Che specie di amore si trova negli Angeli secondo la loro natura?

Negli Angeli secondo la loro natura si trova un amore perfetto di Dio, di se stessi e di tutte le creature; purché il peccato, nell’ordine soprannaturale, non snaturi ciò che vi ha di libero nel loro amore di ordine naturale (LX).

Capo IX,

Loro creazione.

149. Tutti gli Angeli sono stati creati immediatamente da Dio?

Sì; tutti gli Angeli sono stati creati immediatamente da Dio, essendo ciascuno di essi un puro spirito che non è potuto venire alla esistenza che per via di creazione (LXI, 1).

150. Quando sono stati creati da Dio gli Angeli?

Gli Angeli sono stati creati da Dio istantaneamente, nel primo momento in cui creò anche tutti gli elementi del mondo corporeo (LXI, 8).

151. Gli angeli furono creati da Dio in un luogo corporeo?

Sì; gli Angeli furono creati da Dio in un luogo corporeo, perché l’armonia dell’opera divina vuole che fosse così (LXI, 4 ad 1).

152. Come si chiama il luogo dove gli Angeli furono creati da Dio?

Noi lo chiamiamo cielo semplicemente, e qualche volta anche cielo empireo (LXI, 4).

153. Che cosa significano queste parole: « cielo empireo »?

Significano un luogo tutto luce e splendore, che è la parte più bella del mondo corporeo

154. Il cielo empireo è lo stesso che il cielo dei beati o cielo semplicemente?

Sì; il cielo empireo è lo stesso che il cielo dei beati o semplicemente cielo (Ibid. ad 3).

Capo X.

Loro prova.

155. In quale stato furono creati gli Angeli da Dio?

Gli angeli furono creati da Dio in istato di grazia (LXII, 3).

156. Che cosa intendete col dire che gli Angeli furono creati da Dio in istato di grazia?

Intendo che al momento della loro creazione essi ricevettero da Dio «una natura rivestita della grazia santificante, che li rendeva figli di Dio e dava loro la possibilità di conseguire la gloria della vita eterna (LXII, 1,2,3).

157. Gli Angeli poterono conseguire la gloria della vita eterna con un atto del loro libero arbitrio?

Sì; gli Angeli poterono conseguire la gloria della vita eterna con un atto del loro libero arbitrio (LXII, 4).

158. In che cosa consisté l’atto del libero arbitrio degli Angeli, per mezzo del quale essi poterono conseguire la gloria della vita eterna?

Tale atto consisté nel seguire l’impulso della grazia che li induceva a sottomettersi a Dio, ed a ricevere da Lui con amore e riconoscenza il dono della propria gloria che offriva loro (ibid.).

159. Abbisognò molto tempo agli Angeli per decidersi, sotto l’azione della grazia, sulla scelta che Dio offriva loro?

Questa scelta fu fatta da loro istantaneamente (ibid.).

160. Gli Angeli furono ammessi alla gloria subito dopo aver fatta questa scelta?

Sì; gli Angeli furono ammessi alla gloria subito dopo aver fatta questa scelta (LXII, 5).

Capo XI.

Caduta degli angeli cattivi.

161. Tutti gli angeli fecero la scelta proposta loro da Dio come prova meritoria?

No; non tutti gli Angeli fecero questa scelta, e ve ne furono alcuni che la rifiutarono (LXII, 3).

162. Perché vi furono degli Angeli che rifiutarono di fare questa scelta?

Per sentimento di orgoglio e per essere simili a Dio; per bastare a se stessi come a Se stesso basta Dio (LXIII, 2, 3).

163. Questo sentimento di orgoglio fu un grave peccato?

Questo sentimento di orgoglio fu un peccato orribile che provocò immediatamente la collera di Dio.

164. Che cosa fece Dio nella sua giusta collera contro il peccato degli Angeli?

Li precipitò subito nell’inferno, che sarà eternamente il luogo del loro supplizio. (LXIV, 4).

165. Come si chiamano gli Angeli cattivi che si ribellarono a Dio e furono precipitati nell’inferno?

Si chiamano demoni (LXIII, 4).

LA SUMMA PER TUTTI (4)

LA SUMMA PER TUTTI (2)

LA SUMMA PER TUTTI (2)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA

DI S. TOMMASO DI AQUINO

IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE PRIMA

DIO ESSERE SOVRANO CREATORE E SIGNORE DI OGNI ESSERE

CAPO I.

Esistenza.

1. Dio esiste?

Sì; Dio esiste (II).

2. Perché dite che Dio esiste?

Perché se Dio non esistesse niente esisterebbe (II, 3).

3. Come dimostrate che se Dio non esistesse niente esisterebbe?

Si dimostra con questo ragionamento: Ciò che non esiste che da Dio, non esisterebbe se Dio non esistesse. Ora tutto ciò che esiste e non è Dio, non esiste che da Dio. Dunque se Dio non esistesse niente esisterebbe.

4. Ma come dimostrate che ciò che esiste e non è Dio non esiste che da Dio?

Con questo ragionamento: Ciò che esiste e non esiste da sé, in ultima analisi non esiste che per un altro che è da sé e che noi chiamiamo Dio. Ora ciò che esiste e non è Dio non esiste affatto da sé. Dunque ciò che esiste e non è Dio non esiste in ultima analisi che da Dio.

5. E come dimostrate che ciò che esiste e non è Dio non esiste affatto da sé?

Con questo ragionamento: Niente di ciò che ha bisogno di qualche cosa esiste da sé. Ora, tutto ciò che esiste e non è Dio ha bisogno di qualche cosa. Dunque ciò che esiste e non è Dio non esiste affatto da sé.

6. Perché dite che niente di ciò che ha bisogno di qualche cosa esiste da sé?

Perché ciò che esiste da sé non dipende né può dipendere da niente né da nessuno; e tutto ciò che ha bisogno di qualche cosa o di qualcuno, dipende da questo qualche cosa o da questo qualcuno.

7. E perché dite che ciò che esiste da sé non dipende né può dipendere da niente né da nessuno?

Perché esistendo da sé ha tutto in se stesso e da se stesso, e non può nulla ricevere da niente né da nessuno.

8. Dunque ogni essere che esiste ed ha bisogno di qualche cosa prova evidentemente, con la sua sola esistenza, che Dio esiste?

Sì; ogni essere che esiste ed ha bisogno di qualche cosa prova evidentemente, con la sua sola esistenza, che Dio esiste.

9. Che cosa fanno dunque quelli che negano Dio?

Essi affermano in modo equivalente che ciò che ha bisogno di tutto non ha bisogno di nulla.

10. Ma qui si ha una contraddizione?

Precisamente; e non si può negare Dio senza contraddirsi.

11. È dunque una vera follia negare Dio?

Sì; è una vera follia negare Dio.

CAPO II.

Natura ed attributi.

12. Che cosa è Dio?

Dio è uno Spirito in tre Persone, Creatore e Sovrano Signore di tutte le cose.

13. Che cosa volete dire dicendo che Dio è uno Spirito?

Voglio dire che Egli non ha corpo come noi ed è scevro da ogni materia, ossia da ogni natura distinta dal suo essere (III, 1-4).

14. Che cosa si deduce da questo, riguardo a Dio?

Si deduce che Dio non è un essere come gli altri, che non sono che tali o tali altri esseri particolarizzati; ma che Egli è, nel più vero senso, il più trascendente ed il più assoluto, l’Essere stesso (III, 4).

15. Dio è perfetto?

Sì; Dio è perfetto, perché non Gli manca niente (IV, 1).

16. Dio è buono?

Sì; Dio è la stessa bontà, perché Egli è il principio ed il termine di ogni amore (VI).

17. Dio è infinito?

Sì; Dio è infinito, perché da niente circoscritto (VII, 1).

18. Dio è dappertutto?

Sì; Dio è dappertutto, perché tutto ciò che esiste, esiste in Lui e per Lui (VII)

19. Dio è immutabile?

Sì; Dio è immutabile, perché non ha niente da acquistare (IX).

20. Dio è eterno?

Sì; Dio è eterno, perché in Lui non vi sono successioni (X).

21. Vi sono più Dei?

No; non vi è che un solo Dio (XI).

22. Perché affermate questi diversi attributi di Dio?

Perché se Egli non li possedesse non sarebbe più Dio.

23. Come dimostrate che se Dio non possedesse questi attributi non sarebbe più Dio?

Perché Dio non sarebbe più Dio se non fosse Colui che esiste da sé. Ora, Colui che esiste da sé deve essere perfetto, perché ha tutto in se stesso; e se Egli è perfetto, necessariamente è buono. Deve essere infinito, senza di che qualche cosa agirebbe su di Lui per limitarlo; e se Egli è infinito, bisogna che sia dappertutto. Deve essere immutabile, senza di che si troverebbe di fronte alla ricerca di qualche cosa; e se Egli è immutabile è anche eterno, essendo il tempo una successione che implica mutamento. D’altra parte, poiché è infinitamente perfetto, non può essere che uno, essendo assolutamente impossibile potersi dare due infinitamente perfetti, perché l’uno non avrebbe niente onde distinguersi dall’altro (III-XI).

24. Possiamo noi vedere Dio su questa terra?

No; noi non possiamo vedere Dio su questa terra, facendovi ostacolo il nostro corpo mortale (XII, 11).

25. Potremo vedere Dio nel cielo?

Sì; potremo vedere Dio nel cielo con gli occhi dell’anima glorificata (XII, 1-10).

26. Come possiamo conoscere Dio su questa terra?

Possiamo conoscere Dio su questa terra con la ragione e con la fede (XII, 12-13).

27. Che cosa vuol dire conoscere Dio su questa terra con la ragione?

Vuol dire conoscerlo per mezzo delle creature che Egli stesso ha prodotto (XII, 12).

28. Che cosa vuol dire conoscere Dio su questa terra con la fede?

Vuol dire conoscerlo per mezzo di ciò che Egli ci ha detto di Se stesso (XII, 13).

29. Di queste due Specie di conoscenza che noi possiamo avere di Dio su questa terra, quale è la più perfetta?

Senza dubbio la conoscenza che noi abbiamo di Lui per mezzo della fede, perché essa ci fa considerare Dio sotto una luce che la ragione non potrebbe neppure immaginare; e sebbene questa luce sia ancora mescolata per noi di ombra e di oscurità impenetrabile, è frattanto come un cominciamento della luce della visione celeste, la cui piena chiarezza costituirà il nostro bene per tutta la eternità (XII, 13).

30. Quando parliamo di Dio o ci intratteniamo intorno a Lui, le parole ed i termini che usiamo hanno un senso preciso che noi potremmo legittimare?

Sicuramente; perché questi termini o queste parole, sebbene usati anzitutto a designare le perfezioni della creatura, si sono potuti poi assumere a designare ciò che in Dio corrisponde a queste stesse perfezioni (XII, 1-4).

31. Questi termini o queste parole hanno il medesimo significato quando li diciamo di Dio e della creatura, oppure hanno un senso affatto differente?

Hanno il medesìmo significato, ma con una portata più alta. E ciò vuol dire che usati a designare le perfezioni delle creature, le designano nella loro pienezza e dicendo tutto ciò che esse sono; mentre usati a designare le perfezioni divine, ossia ciò che si trova in Dio, se tutto quello che dicono di perfezione si trova verissimamente in Dio, non dicono però tutto quello che sono in Lui le perfezioni che esprimono (XIII, 5).

32. È dunque vero che Dio rimane per noi ineffabile, checché possiamo dire di Lui e per quanto sublimi possano essere le nostre espressioni rispetto a Lui?

Sì; ma intanto noi non possiamo far niente di meglio né di più vero o di più perfetto. che parlare di Lui e di intrattenerci intorno a Lui, per quanto imperfetto riesca su questa terra tutto ciò che possiamo pensare o dire di Lui (XIII, 6-12)-

CAPO III

Operazioni.

33. Che cosa fa Dio in Se Stesso?

Vive della sua conoscenza e del suo amore (XIV-XXVI).

34. Dio conosce tutte le cose?

Sì; Dio conosce tutte le cose (XIV, 5).

35. Dio sa tutto ciò che avviene sulla terra?

Sì; Dio sa tutto ciò che avviene sulla terra (XIV; 11).

36. Dio conosce i segreti dei cuori?

Sì; Dio conosce i segreti dei cuori (XIV, 10).

37. Dio conosce l’avvenire?

Sì; Dio conosce l’avvenire (XIV, 13).

38. Perché dite che in Dio si trova questa scienza?

Perché essendo Dio al sommo grado di immaterialità, è di una intelligenza infinita; e non può niente ignorare di ciò che è o sarà o sarebbe o potrebbe avvenire in qualsivoglia essere, essendo tutto questo come in rapporto di effetto alla causa, a riguardo della sua scienza fatta di intelligenza e di volontà (XIV, art. 1-5).

39. Vi è dunque anche una volontà in Dio?

Sì; in Dio vi è anche una volontà, perché la volontà si trova sempre dove si trova la intelligenza (XIX, 1).

40. Tutto dipende dalla volontà di Dio?

Sì; tutto dipende dalla volontà di Dio, perché essa è la causa prima e suprema di tutto (XIX, 4-6).

41. Dio ama tutte le sue creature?

Sì; Dio ama tutte le sue creature, non avendole create che per amore (XX, 2).

42. L’amore di Dio per le sue creature produce in queste qualche effetto?

Sì; l’amore di Dio per le sue creature produce in queste il suo effetto.

43. Qual è l’effetto dell’amore di Dio nelle sue creature?

È tutto il bene che in esse si trova (XX, 3-4).

44. Dio è giusto?

Sì; Dio è la stessa giustizia (XXI, 1).

45. Perché dite che Dio è la stessa giustizia?

Perché Egli dà ad ogni essere ciò che la sua natura esige (XXI, 1-2).

46. Esiste una forma speciale della giustizia di Dio verso gli uomini?

Sì; esiste una forma speciale della giustizia di Dio verso gli uomini.

47. Quale è la forma special di Dio verso gli uomini?

La forma speciale della giustizia di Dio verso gli uomini è che Egli ricompensa i buoni e punisce i cattivi (XXI, 1 ad 3).

48. Dio ricompensa i buoni e punisce i cattivi su questa terra?

Solamente in parte Dio ricompensa i buoni e punisce i cattivi su questa terra.

49. Dove Dio ricompensa interamente i buoni

e punisce i cattivi?

Dio ricompensa interamente i buoni in Cielo e punisce i cattivi nell’inferno.

50. Vi è in Dio la misericordia?

Sì; in Dio vi è la misericordia (XXI, 3).

51. In che consiste la misericordia di Dio?

La misericordia di Dio consiste in questo, che Egli dà ad ogni essere ben più di quello che la sua natura esige; ricompensa i buoni oltre i loro meriti, e punisce i cattivi al di sotto di quello che meritano (XXI, 4).

52. Dio in Se stesso si occupa del mondo?

Sì; Dio in Se stesso si occupa del mondo.

53. Con qual nome si chiama la cura che Dio ha in Se stesso del mondo?

La cura che Dio ha in Se stesso del mondo si chiama Provvidenza (XXI, 1).

54. La Provvidenza di Dio si estende a tutte le cose?

Sì; la Provvidenza di Dio sì estende a tutte le cose, perché niente esiste nel mondo che Dio non abbia previsto e preordinato da tutta la eternità (XXII, 2).

55. Si estende anche agli esseri inanimati?

Sì; essa si estende anche agli esseri inanimati, perché questi stessi esseri fanno parte dell’opera di Dio (XXII, 2 ad 5).

56. Si estende agli uomini nei loro atti liberi?

Sì; si estende agli uomini nei loro atti liberi (XXI, 2 ad 4).

57. Che cosa intendete col dire che la Provvidenza, di Dio si estende agli uomini nei loro atti liberi?

Con questo io intendo che tutti gli atti liberi degli uomini sono soggetti alla disposizione della divina Provvidenza, e che niente accade in quegli atti che Dio non ordini o permetta, perché la libertà dell’uomo non implica in nessuna maniera la sua indipendenza da Dio (Ibid).

58. La Provvidenza di Dio riguardo ai giusti ha un nome speciale?

Sì; essa si chiama Predestinazione (XXI, 1).

59. Che cosa comporta la Predestinazione rispetto agli nomini che ne sono l’oggetto?

Comporta che questi uomini possederanno un giorno nel cielo la felicità della gloria (XXIII, 2).

60. Come si chiamano coloro che non debbono conseguire tale felicità?

Si chiamano reprobi, ossia non eletti (XXIII, 3)

61. Donde viene che i predestinati avranno questa felicità, mentre i reprobi o non eletti non l’avranno?

Ciò viene da questo, che i predestinati sono stati scelti da Dio o da Dio amati con un amore di preferenza, in virtù del quale Dio disporrà in maniera tale tutte le cose nella loro vita, che finalmente essi giungeranno alla felicità del cielo (XXIII, 4).

62. E perché i reprobi o non eletti non giungeranno finalmente alla stessa felicità?

Perché essi non saranno stati amati col medesimo amore dei predestinati (XXIII, 3 ad 1).

63. Ma questa non è una ingiustizia da parte di Dio?

No; perché Dio non è debitore a nessuno della felicità del cielo, e quelli che la otterranno non la otterranno che per grazia (XXIII, 8 ad 2).

64. Quelli che non la otterranno saranno puniti di non ottenerla?

Non saranno puniti se non in ragione di una colpa da parte loro per non ottenerla (XXIII, 3 ad 8).

65. Come può esservi colpa da parte degli uomini per non conseguire la felicità del cielo?

Può esservi colpa perché Dio avrà offerta questa felicità a tutti, e l’uomo essendo libero avrà potuto non corrispondere all’offerta che Dio gli faceva, oppure disprezzare questa offerta preferendole qualche altra cosa (ibid.).

66. Questo disprezzo oppure la scelta di una cosa contraria, è una ingiuria fatta a Dio?

È una gravissima ingiuria: fatta a Dio e meritevole dei più grandi castighi, quando è effetto di un peccato personale (Ibid.).

67. Coloro che corrispondono al dono di Dio ed arrivano alla felicità del cielo, debbono a Dio stesso di avere corrisposto al suo dono e meritata la propria felicità?

Sì; essi dovranno tutto questo alla scelta della predestinazione divina (XXIII, 8 ad 2).

68. Tale scelta. è avvenuta in Dio da tutta la eternità?

Tale scelta è avvenuta in Dio da tutta la eternità (XXIII, 4).

69. Che cosa comporta questa scelta rispetto a quelli che ne sono l’oggetto?

Comporta che Dio ha stabilito per essi una sede in cielo, e per l’azione della sua grazia li metterà in grado di possederla un giorno. (XXIII, 5-7).

70. Che cosa debbono fare gli uomini al pensiero di questa scelta eterna della Predestinazione?

Essi debbono con un completo abbandono all’azione della grazia dare a se stessi, in quanto è possibile su questa terra, la certezza di essere nel numero dei predestinati (XXIII, 8)

71. Dio è onnipotente?

Sì; Dio è onnipotente (XXV, 1-6).

72. Perché dite che Dio è onnipotente?

Perché essendo Dio l’essere stesso, tutto ciò che non ripugna ad esistere gli è soggetto (XXV, 3).

73. Dio è felice?

Sì; Dio è la stessa felicità, perché gode all’infinito del bene infinito che non è altri che Lui (XXVI, 1-4).

LA SUMMA PER TUTTI (3)

LA SUMMA PER TUTTI (1)

LA SUMMA PER TUTTI (1)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

Opera onorata di un Breve di S. S. il Papa Benedetto XV

Traduzione Italiana approvata e riveduta dall’autore del Sac. Don ARTURO ROMANI, TERZIARIO DOMENICANO

TORINO-ROMA

PIETRO MARIETTI- Editore

TIPOGRAFO PONTIFICIO E DELLA $, CONGREG., DEI RITI Casa fondata nel 1820 – 1922

Nihil obstat.

Pisciæ, 20 Septembris 1921.

† ANGELUS Episcopus Piscinns.

V. Nulla osta alla stampa.

Chieri, 19 Novembre 1921.

Fr. Stefano M. VALLARO O. P., Rev. Deleg.

Imprimatur.

Torino, 23 Giugno 1921.

C. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

BREVE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XV

Tradotto dall’originale latino

AL Diletto Figlio TOMMASO PÈGUES

DEI PREDICATORI

PROFESSORE. DI S. TOMMASO NEL COLLEGIO ANGELICO DI ROMA.

Diletto Figlio, Salute e Apostolica Benedizione. Gli specialissimi elogi che la Sede Apostolica ha fatto di Tommaso di Aquino non lasciano più a nessun cattolico dubitare che questo Dottore non sia stato suscitato da Dio, perché la Chiesa avesse un maestro della dottrina che Essa seguirebbe massimamente in ogni tempo. D’altra parte, sembrava conveniente che la sapienza unica di questo Dottore fosse direttamente manifestata non soltanto agli uomini del Clero, ma anche a tutti coloro, chiunque essi siano, che coltivano in un certo grado più alto gli studi religiosi, ed alla stessa moltitudine: avviene infatti naturalmente che più ci si avvicina alla luce, più se ne riceve abbondante splendore.

    Sei adunque grandemente degno di lode, tu che avendo intrapreso a spiegare con un commentario letterale francese la Somma Teologica, opera principale del Dottore Angelico — ed i volumi già pubblicati mostrano che il tuo disegno si va effettuando con successo — hai recentemente pubblicato la stessa Somma a modo di Catechismo. Così tu non hai meno acconciamente adattato le ricchezze di questo gran genio all’uso dei meno istruiti che a quello dei più dotti, dando sotto una forma breve e succinta, con la stessa perspicuità di ordine, tutto ciò che Egli aveva più copiosamente esposto. – Certamente Noi Ci congratuliamo con te di questo frutto di un lungo lavoro e di un lungo studio, in cui è dato riconoscere la tua grande conoscenza e la tua grande scienza della dottrina Tomistica. E Noi auguriamo — ciò che è il tuo voto per il grande amore che hai verso la Santa Chiesa — che questo lavoro serva a quanti più possibile per conoscere a fondo la dottrina cristiana. –  Auspice dei favori divini e testimonio della Nostra specialissima benevolenza, Noi impartiamo affettuosissimamente a te, diletto figlio, ed ai tuoi discepoli, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma presso S. Pietro il 5 Febbraio 1919

Anno Quinto del Nostro Pontificato.

BENEDETTO PP. XV.

PREFAZIONE DEL TRADUTTORE

Ho fatto del mio meglio per dare la esatta versione italiana del presente lavoro del chiarissimo P. Pègues, sulla Somma Teologica di S. Tommaso di Aquino ridotta in forma di Catechismo. Non so come vi sia riuscito. Certo che la cosa non era così facile, come a qualcuno a prima vista potrebbe sembrare. – In ogni modo mi sono impegnato di non tradire — anzichè tradurre — il pensiero dell’illustre autore, al quale debbo esprimere tutta la mia gratitudine per avermi egli stesso aiutato, rileggendo la traduzione italiana, a che la traduzione stessa riuscisse fedele al testo originale francese. – Non sto a fare gli elogi del volume che oggi esce in veste italiana. Ciascuno che lo legge e lo studia potrà farli e dovrà farli da sé; e tanto più lo leggerà e lo studierà, altrettanto ci troverà da cavarne tesori di verità e di sapienza. – Il libro poi non ha bisogno di altra raccomandazione, quando si sa che lo stesso Santo Padre Benedetto XV ne desiderò la traduzione, e nel Breve indirizzato all’autore esprime il voto che « questo lavoro serva a quanti più è possibile per conoscere a fondo la dottrina cristiana ». Ed anzi quando ripenso di aver avuto io la fortuna di appagare, sia pure così malamente, il desiderio sovrano del Santo Padre, mi sembra di potermi sentire legittimamente orgoglioso. – Ho inteso del resto di far tutto a gloria di Dio e per il bene delle anime, e spero che il Signore benedica anche la mia modesta fatica. –  In tanta aberrazione di intelletti, in tanto guasto di cuori, in tanto scadimento morale che oggi tutti lamentiamo, una sola è la via di salvezza: il ritorno alle verità religiose ed alle ptratiche cristiane. Non esito ad affermare che il presente libro ne è una guida sicura per tutti. Semplice e profondo al tempo Stesso, è accessibile a tutte le intelligenze desiderose di verità; frutto di quel tesoro inesauribile di dottrina e di bene che è la Somma do S. Tommaso, non può non essere veicolo di miglioramento per ogni volontà non asservita del tutto alla schiavitù morale della superbia e delle turpi passioni. Senza dire inoltre che può essere usato come ottimo libro di testo nelle Scuole di Religione, nei Collegi e nei Circoli, e come guida bene illuminata nei Corsi Parrocchiali. – In quanto a me, se con questa traduzione avrò potuto portare sia pure un minimo contributo alla propagazione della verità ed alla volgarizzazione della dottrina del grande Santo di Aquino, lustro della famiglia Domenicana che per la verità sorse e per la verità combatté e vinse tante battaglie, mi chiamerò contento e del tutto soddisfatto. Non ultimo motivo del mio lavoro, fu infatti di mostrare anche lo speciale mio attaccamento al glorioso Ordine di S. Domenico, al quale mi è sommamente caro di appartenere come il più umile dei Terziari. – E nella gloriosa celebrazione del settimo centenario Domenicano, sia questo ultimo ma non meno sentito omaggio al santo cavaliere della verità ed al suo inclito Ordine.

Pescia, 15 Settembre 1921.

Don ARTURO ROMANI

Terziario Domenicano.

AI LETTORI

Ridurre in forma di catechismo di non troppo grande mole, ed esporre per modo di brevi domande e risposte i tesori di dottrina contenuti nella Somma Teologica di S. Tommaso, è tale lavoro la cui perfezione sarebbe follia sperar. – Tuttavia è certo che il P. Pègues, che possiede a perfezione l’immensa dottrina della Somma, e che in grossi volumi la fa gustare anche ai profani della Teologia nel suo « Commentaire français littéral de la Somme Théologique de Saint Thomas », non ha tentato invano di darci il « Catéchisme de Saint Thomas »; ed è riuscito, superando difficoltà estreme, a restringere nelle due mila domande-risposte del suo lavoro gran parte delle dottrine di S. Tommaso, anche le più profonde, e le più proprie dell’Angelico Dottore. – Non si può negare che la lettura di queste pagine così condensate riesce piuttosto dura e faticosa; ma tuttavia quando i nostri giovani studenti universitari, i chierici dei nostri Seminari, i più colti nostri uomini cattolici, ed anche gli stessi Sacerdoti e Teologi si saranno con pazienza messi a meditarle e studiarle, senza dubbio ne sentiranno gusto, vedendosi aprir davanti gli occhi quegli ampi orizzonti dalla sommità dei quali l’angelica mente dell’Aquinate contemplava le divine armonie delle verità cristiane. – Anche il traduttore trovò difficoltà non lievi nel suo lavoro. Rendere in vero italiano il pensiero dell’autore, con quella precisione che è assolutamente necessaria nelle questioni teologiche, fu davvero fatica da non prendersi a gabbo. Confesserò anzi che la traduzione nel suo primo getto era in non pochi punti deficiente, e che fu necessario in più di un luogo ritoccarla notevolmente. Ma dopo il lavoro paziente di correzione si può sperare che essa non dispiacerà, e potrà servire a far conoscere anche ai nostri le sublimi speculazioni alle quali l’umana ragione, poggiando sulla rivelazione, s’innalzò Thomæ pennis evecta.

Fr. Stefano M. VALLARO O. P.

INTRODUZIONE

Crediamo di corrispondere al desiderio di molti lettori, dando qui brevemente qualche notizia su S. Tommaso di Aquino, autore della Somma Teologica, e sulla Somma Teologica stessa, di cui il presente volume non è che il riassunto catechistico. – S. Tommaso d’Aquino nacque in Italia, nel castello di Aquino o in quello di Roccasecca, dal conte Landolfo e dalla contessa Teodora, probabilmente nell’anno 1225. Nell’anno 1230, non avendo che cinque anni, fu affidato allo zio Sinibaldo abbate di Montecassino. Ivi ancora fanciullo proponeva ai suoi maestri la questione che domina tutto nella sua vita e nei suoi scritti: Che cosa è Dio? Egli non ha vissuto, né scritto, né insegnato se non per rispondervi. – Inviato a Napoli per completarvi gli studi, ebbe occasione di conoscere i primi figli di S. Domenico, che si erano stabiliti in quella città. Chiese subito di far parte della loro famiglia, e ne ricevé l’abito religioso. La madre contessa Teodora considerò come un disdoro che il proprio figlio abbracciasse il nuovo Ordine dei mendicanti, e cercò di distrarnelo. Ma Tommaso, piuttosto che rinunziare alla scelta ormai fatta, preferì di prendere la via di Roma e poi quella Francia, per sottrarsi alle resistenze della famiglia. Raggiunto dai suoi fratelli che servivano nell’esercito imperiale di Lombardia, fu condotto prigioniero e rinchiuso nel castello di famiglia a Roccasecca. Vi trattenuto quasi due anni; ma sempre più fermo nella risoluzione di essere di Dio., Tommaso utilizzava intanto il tempo della sua prigionia per imparare a memoria la Bibbia, le Sentenze e vari altri libri di Aristotele. La sua virtù fu sottoposta dai suoi fratelli ad una guerra difficilissima, ed il piccolo eroe ne uscì vittorioso: si era armato di un tizzone per scacciare da sé la tentazione vivente, mandata appositamente per trionfare della sua costanza. Due Angeli del cielo scesero a consolarlo in prigione, ed a cingerlo di un cordone misterioso, assicurando per sempre il trionfo della sua anima sui sensi. Restituito finalmente alla sua famiglia religiosa, fu inviato a Colonia per assistere alle lezioni di Alberto Magno. Quivi si mostrò così attento e così « Prodigiosamente taciturno » secondo la frase di Guglielmo di Tocco,  che i suoi Condiscepoli lo soprannominarono « il gran bue muto di Sicilia ». ma Alberto Magno, stupito del genio che scopriva nel suo discepolo, annunziò che i muggiti del « bue muto » avrebbero presto echeggiato sino alle ultime estremità della terra. – A ventisei anni appena ebbe la missione di andare ad insegnare nel convento di S. Giacomo a Parigi, ed il primo frutto di tale insegnamento fu il Commentario al libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, che era allora e doveva restare fino al secolo decimosesto il libro di testo nelle scuole di teologia. Dopo questo primo lavoro e queste prime lezioni, quegli che doveva essere per eccellenza il Maestro della Dottrina, apparì e si rivelò quale oggi la Chiesa lo ha consacrato con la sua autorità. Egli aveva una tale maniera di spiegare il testo; sapeva con tanta arte e tanto opportunamente. confrontare col testo stesso, raggruppandole in un ordine che faceva già presentire l’ordine meraviglioso della Somma Teologica, le questioni atte a rischiarare la intelligenza dei suoi discepoli; soprattutto inaugurava un metodo così preciso ed al tempo stesso così ampio e luminoso; parlava una lingua sì chiara, sì appropriata alle materie trattate; proiettava su tutto quanto toccava una tale chiarezza; emanava dal suo insegnamento una tal grazia, una soavità ed una forza tale, che ben presto non si parlò più, tra gli studenti ed i maestri di Ss. Giacomo, in tutta la Università e nel mondo intero, che delle lezioni di frate Tommaso (Histoire des Maîtres géneraux de l’Ordre des Frères-Précheurs, par le F. Mortier. — T. I., pag. 408). – Una volta Maestro, tutte le Università del mondo cristiano si disputano la gloria insigne di averlo come dottore. È chiamato a Roma, Orvieto, Anagni, Viterbo, Perugia, Bologna, Napoli. Ritorna a Parigi che deve poi lasciare di nuovo, ma con la promessa di ritornarvi; perché nessuno si rassegna a vederselo allontanare senza la speranza di riaverlo presto. Egli spande a torrenti impetuosi ed inesauribili gli splendori del suo insegnamento; e come se ciò fosse troppo poco, dagli innumerevoli allievi che si tengono avidamente intorno alle cattedre da lui occupate, da tutto il mondo cristiano gli giungono senza posa questioni e domande che lo pongono nella occasione di versare nelle umili celle dei religiosi, come sui troni dei duchi, dei principi e dei re; e fino sui gradini della cattedra di S Pietro, i getti di luce che il suo genio sprigiona. – Nello spazio di Ventiquattro o venticinque anni scrisse successivamente o contemporaneamente, oltre il Commentario sulle Sentenze, la Somma contro i Gentili; i Commentari sul libro di Giobbe, sui Salmi, sopra Isaia, sopra Geremia, sopra S. Matteo, sopra S. Giovanni, sulle Epistole di S. Paolo; la Catena aurea sui quattro Evangeli; i Commentari sopra Boezio, sopra S. Dionigi; le Questioni disputate e le Miscellanee, il Commentario sopra Aristotele e la Somma Teologica. – Noi vedremo tra breve la estensione e le proporzioni di questa ultima opera di S. Tommaso. Ci basti dire che il Commentario letterale francese, intorno al quale lavoriamo da quindici anni e che richiederà ancora, piacendo a Dio di concederceli, almeno altri dieci anni di lavoro continuo, non si occupa che della Somma Teologica; e comprenderà, non facendo che seguire il testo passo passo, almeno venti volumi in grande formato, di circa settecento pagine ciascuno. Ora, tutti insieme, gli scritti di S. Tommaso equivalgono a cinque o sei volte la Somma Teologica. D’altra parte in queste opere si trova una tale maestria ed una perfezione tale, sia di pensiero che di lingua e di espressione, che si crederebbero tutte scritte nello stesso tempo e nella stessa piena maturità, senza che S. Tommaso sia stato quasi mai obbligato a ritornare su ciò che una volta aveva insegnato. Perché egli aveva ricevuto da Dio, insieme con una missione unica, dei doni ed una tale sovrabbondanza di lumi, che non ne sono stati mai compartiti allo stesso grado o con la stessa pienezza, ad alcun altro genio comparso nella Chiesa. Cosicché la Chiesa non ha mai cessato di considerarlo e di riguardarlo in seno a sè, come il Maestro ed il Dottore per eccellenza. Egli ha per emblema il sole. Ed alla sua luce tutti debbono illuminarsi nella Chiesa di Dio. Essa stessa non esita nelle sue più solenni adunanze, di mettersi in qualche modo alla scuola di lui. Il Pontefice Leone XIII nella sua Enciclica Æterni Patris fa notare che dopo S. Tommaso non si è tenuto alcun Concilio generale, dove egli non sia stato presente con i suoi scritti, e che per così dire non abbia presieduto. Lo stesso Pontefice sottolinea soprattutto la gloria unica di cui la Chiesa circondò la Somma Teologica nel Concilio di Trento, ponendola accanto alla Sacra Scrittura ed ai Decreti dei Sommi Pontefici anche durante il Conclave, « per apprenderne gli avvisi, le ragioni, gli oracoli ».

(per la vita di S. Tommaso v. VITA DELL’ANGELICO DOTTORE SAN TOMMASO D’AQUINO (1)

La Chiesa intanto, ponendo il suggello a tutto ciò che finora aveva fatto per dimostrare la stima in cui tiene il suo Dottore preferito, ha inserito nel Codice del nuovo Diritto Canonico un testo formale di legge, che prescrive a tutti i professori di filosofia e di teologia di trattare accuratamente le materie dei loro corsi e di attendere alla formazione dei loro discepoli in siffatte scienze, secondo il metodo, la dottrina ed i principi di S. Tommaso di Aquimo, e di attenervisi scrupolosamente. – S. Tommaso morì il 7 Marzo 1274 appena cinquantenne, ed il 18 Luglio 1323 fu canonizzato da Papa Giovanni XXII. Le sue reliquie furono donate da Papa Urbano V alla Università di Tolosa, e rimasero nella Chiesa dei Domenicani di questa città fino alla grande rivoluzione. Da allora in poi esse si trovano nella Chiesa di S. Sernin della stessa città. – Noi non abbiamo bisogno d’intrattenerci sulle virtù e sulla eminente santità del Dottore Angelico, né sulle meraviglie di ordine soprannaturale che contrassegnarono la sua vita e sono continuate dopo la morte. Basterà dire che per un prodigio di grazia la sua vita fu luminosa come il suo insegnamento. Essa presenta gli stessi caratteri di maestosa semplicità, di serenità e di lucidità, di calma e di fortezza, di soavità, di dolcezza, di perfetta verità. Egli fu in tutto, nella vita e negli atti, come era e come rimane nel suo insegnamento ed in tutti i suoi scritti, una purissima e perfetta irradiazione di Dio. Tutto S. Tommaso, nella vita e negli scritti, fu una purissima e perfetta irradiazione di Dio; ma la sua Somma Teologica, che è come il riassunto per eccellenza di tutto lui stesso, lo è a titolo speciale. E si vedrà subito con la semplice lettura del presente volume che non è, lo abbiamo già detto, se non il riassunto catechistico della Somma nella sua assoluta fedeltà; si vedrà che non vi si fa questione che di Dio. Il suo unico obbietto S. Tommaso lo ha definito al principio della sua opera: Dio. Dio in Se stesso, nel Suo essere, nella Sua azione intima, nella Sua vita più misteriosa e feconda, ove senza perdere nulla della sua unità di essenza, si manifesta in una Trinità di Persone; sulla Sua opera di creazione: gli angeli attorno al Suo trono, all’estremo opposto il mondo materiale, e l’uomo sul confine dei due mondi; nella Sua opera di conservazione e di governo di questo triplice mondo dell’uomo, della materia e degli spiriti. Dio che attira a Sé, per inebriarla della Sua stessa felicità, la creatura ragionevole di cui S. Tommaso esamina con infinita attenzione i più piccoli atti, vale a dire gli atti morali che possono avvicinarla od allontanarla da Dio suo ultimo fine, secondoché saranno buoni o cattivi, meritori o demeritori, cioè conformi o no alla legge divina e soprannaturalizzati dalla grazia; atti morali che si distinguono e si dividono in atti relativi alle tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità, ed alle quattro virtù cardinali della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza, rivestenti talvolta il carattere più speciale impresso loro dallo stato di perfezione, quale si trova nel sommo sacerdozio e nella vita religiosa. Dio finalmente che ha pietà della sua povera creatura ammalata, decaduta, perduta dal peccato, e che viene col mistero. della sua vita e della sua morte, della sua Resurrezione e della sua Ascensione, a tracciare la via facile e sicura che permetta alla umanità rigenerata dai Sacramenti di incamminarsi verso quella meta radiosa della restaurazione finale dove essa, dopo essere venuta da Dio ed avere camminato con Dio, si troverà eternamente come immersa in Dio, oceano senza riva e senza fondo di ogni luce, di ogni amore, di ogni vita e di ogni felicità. Tale è l’obbietto, unico obbietto, ma tutto l’obbietto della Somma Teologica nelle tre parti che la compongono. – Ciascuna di queste parti si divide in questioni ed articoli. La prima comprende 119 questioni divise in 584 articoli. La seconda parte si suddivide in due sezioni: la prima sezione comprende 114 questioni divise in 618 articoli; la seconda sezione, 189 questioni divise in 924 articoli. La terza parte non è stata ultimata da S. Tommaso, avendo la morte interrotto il suo lavoro; è stata tuttavia completata con estratti ricavati da altra opera di S. Tommaso, che aveva già trattato le materie in parola. La parte trattata da S. Tommaso sulla Somma comprende 190 questioni divise in 559 articoli; la parte aggiunta che forma il supplemento comprende 99 questioni divise in 442 articoli; più un’appendice di 3 questioni divise in 10 articoli. Sono dunque in tutto 614 questioni e 3137 articoli. – Di queste tre parti della Somma, prese ciascuna nella integrità del proprio obbietto e nell’ordine stesso delle materie che vi sono svolte, il nostro presente lavoro offre il riassunto catechistico completo. Seguendo questo riassunto, i conoscitori della Somma ne riscontreranno ad ogni passo la dottrina essenziale, nella piena e perfetta chiarezza del suo ordine luminoso e del suo pensiero gelosamente conservato. Possiamo dire che niente è nostro in questo lavoro: ordine e pensiero, tutto è di S. Tommaso e di lui solo. Di nostro non vi si troverà che la scelta di ciò che bisognava prendere nello svolgimento delle questioni e degli articoli, o meglio il pensiero condensato in formule catechistiche ordinate e concatenate nell’ordine stesso della Somma Teologica, per mettere alla portata di tutte le intelligenze la Somma stessa tutta intera, in ciò che costituisce la midolla e la sostanza del suo insegnamento (Per facilitare da tutti i lati i richiami al testo della Somma, indicheremo sempre, con cifre romane per le questioni ed arabe per gli articoli, la questione e l’articolo corrispondenti al testo del presente riassunto).

Come cantore ispirato della Eucaristia S. Tommaso gode nella Chiesa di una gloria unica. I suoi inni che formano l’ammirazione delle menti più vaste, per la profondità del pensiero e la meravigliosa perfezione della forma, non cessano di essere i canti che tutti, anche i più umili, amano ripetere trovandovi le più pure delizie. Che maestà, che splendore ed insieme che soavità ed incanto nelle strofe del Lauda Sion, del Pange lingua, del Sacris Solemniis, del Verbum supernum, riassunti per tutti quotidianamente nell’O Salutaris Hostia e nel Tantum ergo Sacramentum, oppure nell’incomparabile Adoro Te! Forse si dubitava meno finora che la stessa gloria competesse a S. Tommaso nel campo della dottrina. Se egli è da tutti conosciuto come autore della Somma Teologica, di cui si nutrono le menti più poderose nel mondo del pensiero, era altresì conosciuto come il vero autore dell’insegnamento catechistico, in cui si trova il latte destinato ai piccoli, e la cui pura luce formava al tempo stesso le delizie di un Bonald, di un Jouffroy e di un Sully-Prud’homme. – Va bene che non è proprio S. Tommaso che ha dato a tale insegnamento la sua forma catechistica; ma oltrechè questo insegnamento non è che il puro estratto della sua dottrina — ed è soprattutto la purezza della dottrina che lo ha reso facile — vi è ancora questo che il primo catechismo redatto nella Chiesa per autorità della S. Sede — donde il suo nome di Catechismo Romano — subito dopo il Concilio di Trento, è stato in massima parte opera dei fratelli di S. Tommaso in S. Domenico. È stato pure un suo fratello in S. Domenico, ed uno dei più grandi tra i suoi più fedeli discepoli, il teologo spagnolo Giovanni di S. Tommaso, che nel secolo decimosettimo ridusse sotto forma di catechismo propriamente detto, ossia sotto forma dialogale, l’insegnamento di S. Tommaso, ma secondo l’ordine del catechismo, non sotto quello della Somma.

Noi vorremmo che il presente lavoro rendesse possibilmente ancora più sensibile questa assoluta e perfetta dipendenza dell’insegnamento catechistico nella Chiesa dalla grande dottrina di S. Tommaso di Aquino. Qui si troverà, come ne avverte e ne dà tutto il senso il titolo stesso del lavoro, « la Somma Teologica di S. Tommaso d’Aquino in forma di catechismo per tutti i fedeli »; e si vedrà, lo speriamo, che effettivamente la grande Somma di S. Tommaso si può trasformare in un semplicissimo e chiarissimo catechismo, che mette alla portata di tutti ciò che la Dottrina sacra ha di più profondo nel suo insegnamento, senza cessare di essere quello che è nella sua sostanza e nella forma essenziale. – Già da lungo tempo si manifestava nella Chiesa il desiderio che l’insegnamento della sacra Dottrina si semplificasse e si unificasse sempre più, non soltanto riguardo alla prima sostanza di questo insegnamento che deve essere la stessa per tutti nella Chiesa, ma anche riguardo alla sua espressione esterna ed alle sue formule. Per riuscirvi era necessario ricorrere all’autorità di un maestro sopra tutti i maestri, autorità che si impose a tutti nella Chiesa. Questo maestro, lo sappiamo, è il Dottore Angelico; e di lui come del suo insegnamento specialmente nella ultima forma che gli ha dato redigendo la Somma Teologica, si può dire a titolo affatto speciale ciò che giustamente è stato detto della Chiesa stessa e del suo insegnamento: « Che maestà! che splendore di misteri! Quale svolgimento e quale concatenazione di tutta la dottrina! Che ragione eminente! Che candore e che innocenza di virtù! Che forza invincibile e schiacciante di testimonianze rese successivamente » (La Bruyère — Caractères des esprits forts) e per tanti secoli, ma con fermezza ancora maggiore ai nostri giorni da tutto quanto di autorità, di genio, di pensiero luminoso esiste nella Chiesa, custode e focolare di tutte le divine verità e di ogni perfetta virtù. Altrettanto è di S. Tommaso e della lettera stessa della sua Somma Teologica, che la Chiesa ha voluto prendere per unificare il suo alto insegnamento dottrinale. Fra questo alto insegnamento dottrinale e l’insegnamento catechistico ordinario, che sarà pure prossimamente unificato anche nella sua forma letterale per tutta la Chiesa, doveva esservi posto per la unificazione che oggi tentiamo. Completando l’una e preparando l’altra delle due unificazioni accennate, questa deve facilitarle tutte e due, fornendo già un testo ed una dottrina emananti da quanto di più puro si trova nella dottrina e nel testo della Somma Teologica nella lettera del suo testo. (Ci sarà permesso di segnalare qui un’opera sorta in Roma, che potendo essere facilmente imitata un po’ dappertutto nel mondo cattolico, ci sembrerebbe destinata a produrre i migliori frutti. Si tratta di una Associazione per lo studio del Catechismo nel mondo sotto gli auspici di S. Tommaso di Aquino, il maestro per eccellenza dell’insegnamento cattolico. Uomini del secolo appartenenti anche alle classi ed alle condizioni più distinte, vi si riuniscono per istudiare la dottrina della Chiesa sotto forma catechistica. E si tratta di un vero studio, perché essi non hanno difficoltà di obbligarsi ad imparare a memoria il testo della lezione letta o spiegata nella riunione precedente, che ripetono interrogati per turno dal direttore o presidente nella riunione che segue. Il testo adottato è quello del presente lavoro, per la duplice ragione che pocanzi indicavamo, cioè che si tratta di un vero catechismo, ma di un catechismo tale che dando la midolla della Somma di S. Tommaso nello stesso ordine della Somma stessa, risponde mirabilmente alle esigenze intellettuali delle persone del mondo desiderose di istruirsi. – Non vi è centro nel mondo cattolico dove non possa fondarsi una simile organizzazione; poiché dappertutto sarà facile trovare un sacerdote in grado di completare al bisogno, con le spiegazioni di S. Tommaso stesso nella Somma, il presente testo dottrinale che ne è il riassunto continuo e fedele. E se pure il sacerdote mancasse, questo o quel cattolico più adatto potrebbe supplirvi, giovandosi a questo scopo dei volumi già pubblicati o da pubblicarsi del Commentaîre français littéral de la Somme théologique). – Più si estenderà nella Chiesa questa azione benefica dell’insegnamento di S. Tommaso di Aquino, per diffondersene anche al di fuori, più vedremo avverarsi sulla terra, attendendo di goderne pienamente nel cielo, quel bel voto che la Chiesa stessa esprime in un inno consacrato a festeggiare la prima manifestazione della sapienza divina apportata da Gesù alla terra: « Allora ogni errore scomparirà; allora la sposa ed i servi tutti camminando su tracce sicure, seguiranno la via regia della verità; allora gli uomini senza fede saranno cacciati di mezzo ai credenti; allora una sola e medesima dottrina, espressione della verità, nutrirà tutti gli spiriti »:

Tunc omnis error excidet, / Tunc sponsa, tunc et servuli, /Secura per vestigia; /

Viam sequentur regiam. / Gentem repellent perfidam /Credentium de finibus;/

Verax et omnes unica / Doctrina nos enutriet.

(Inno delle Laudi per la festa del Ritrovamento di Gesù al Tempio).

Senza dubbio, in previsione appunto di questa perfetta unità di insegnamento in tutti i gradi, la Chiesa ha voluto fare di S. Tommaso di Aquino il Patrono universale di tutte le scuole nel mondo cattolico. Non era stato già dichiarato tale dal Crocifisso miracoloso del convento di Napoli, che vivente ancora S. Tommaso, aveva portato sulla sua dottrina questo divino giudizio: Bene scripsisti de me, Thoma? Tommaso, tu hai scritto bene di me?

LA SUMMA PER TUTTI (2)

LO SCUDO DELLA FEDE (165)

A. D. SERTILLANGES O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (I)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. –

Torino 1944]

INTRODUZIONE

Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo..,

D. Che fai?

R. Segno l’opera mia. Un catechismo è un libro religioso.

— Un segno di croce di solito inaugura una preghiera, e tu parli a increduli.

— La preghiera che io intendo di suggerire è una preghiera universale; chiunque appartenga all’umanità la può intendere.

Il Pater di Cristo.

Padre nostro che sei ne’ cieli, sia santificato il tuo nome: venga il tuo regno: sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dà a noi oggi il nostro pane quotidiano; e rimetti a noi è nostri debiti, comye noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Così sia.

— Io non potrei ancora pregare così.

— Allora di’ quest’altra preghiera:

Il Pater dell’Incredulo.

Padre nostro, se tu esisti, io oso rivolgermi a te. Se tu esisti, il tuo Nome è santo: sia santificato. Se tu esisti, il tuo regno è l’ordine, e anche il suo splendore: venga il tuo regno. Se tu esisti, la tua volontà è la legge dei mondi e la legge delle anime: la tua volontà sia fatta in noi tutti e in tutte le cose, in terra come in cielo. Dà a noi, se esisti, il nostro pane d’ogni giorno, il pane di verità, il pane della sapienza, il pane della gioia, il pane soprassostanziale che si promette a chi lo può riconoscere. Se tu esisti, io ho dei grandi debiti verso di te: degnati di rimettere i miei debiti, come io stesso li rimetto volentieri a’ miei debitori. Per l’avvenire, non mi abbandonare alla tentazione, ma liberami da ogni male.

D. Bene; ma ho io veramente il diritto di esprimermi in tal modo?

R. Anzi ne hai il dovere. È possibile dubitare; ma quale anima sincera, che vada a fondo di se stessa, può negare Dio con la certezza della propria negazione? La preghiera condizionale è dunque un obbligo, nello stesso tempo che una utile domanda.

LIBRO PRIMO

I PRELIMINARI DELLA FEDE

I. — Dio.

D. Sono io obbligato a far ricerche intorno all’esistenza di Dio?

R. Rifletti a questo: Se Dio esiste, Egli è tutto; se Dio esiste, tu gli devi tutto; se Dio esiste, tu da Lui devi attendere tutto. Concludi.

D. Ma come sì propone il problema di Dio?

R. Noi siamo posti, con una intelligenza, di fronte all’universo, di fronte alla vita, di fronte a noi stessi: noi non possiamo trattenerci dal cercare di intendere, per vivere, e domandiamo al reale le sue carte.

D. Il reale presenta ben altri enigmi.

R. Enigmi parziali, sì; ma, nel suo tutto, anche la realtà universale è un enigma, e appunto a questo risponde l’affermazione di Dio.

D. Neghi tu che la scienza spiega il mondo?

E. La scienza spiega il mondo a modo suo; ma questa spiegazione non è completa, non è totale.

D. Perché non sarebbe completa?

E. Perché le spiegazioni scientifiche, per necessità di metodo, sono tolte dall’esperienza, e allora il voler considerare la spiegazione come completa per mezzo della scienza, sarebbe un volere spiegare il mondo non servendosi che di esso. Ora non si spiega lo stesso per lo stesso.

D. I fenomeni della natura hanno cause che la scienza riesce a spiegare.

R. Sì; ma queste cause hanno le stesse deficienze che i loro effetti; sono esse stesse effetti e domandano altre cause. Rispetto a una spiegazione vera, non si è dunque fatto un passo avanti; la causa e l’effetto si confondono in una comune indigenza. Di tutte le spiegazioni che la scienza elabora si può dire che sono altrettante questioni. Solo al di là si può trovare la spiegazione sufficiente, il cui nome proprio è Dio.

D. Ma la risposta Dio non offre essa stessa le sue oscurità?

R. Sì, offre quella specie di oscurità che si chiama mistero.  Ma questa oscurità è normale, nei riguardi d’una mente limitata. Quello che non è normale è un preteso sistema di spiegazioni che, invece di fermare la mente e di chiudere il suo lavoro, fosse pure nel mistero, la trascina sempre più lontano e, tutto considerato, la inganna, poiché, relativamente al vero problema, il problema universale, essa non si trova in una migliore condizione, e così non si avanza affatto.

D. Resta però qualche paradosso a volere spiegare il chiaro per l’oscuro.

R. Non che essere un paradosso, è una necessità del problema. Se la causa universale fosse per noi chiara come sono i fatti della nostra esperienza, essa stessa formerebbe parte della nostra esperienza, e non potrebbe servire a spiegarcelo. Il mistero di Dio si fa accettare dalla mente appunto perché  oltrepassa la mente e tutto ciò che si misura alla stregua della mente. Senza ciò la mente si sentirebbe obbligata a procedere più avanti nelle sue indagini, e il supremo anello delle cause non sarebbe raggiunto.

D. Insomma, a te preme di spiegare il giorno per la notte.

R. Non diciamo la notte, perché Dio è luce di un’altra specie; ma questa luce unica è inaccessibile ai nostri sguardi mortali, e appunto per questo la si può chiamare una notte. Comprendi che se vuoi spiegare la luce, la nostra, quella di cui si nutrono i nostri occhi o la nostra mente, bisogna che tu arrivi a qualche cosa che non sia luce; finché tu resti nella luce, la luce non ha spiegazione.

D. Ciononostante mi ripugna aumentare la dose del mistero.

R. Non è un aumentare la dose del mistero il concentrarlo in un punto dov’esso è al suo posto, per cacciarlo dagli altri luoghi dove urta la mente.

D. Io ne aumento la dose supponendo Dio; perché Dio è un mistero più grande della composizione dei corpi e delle origini della vita.

R. Qui il mistero si rende accettevole appunto portandolo al suo massimo; se non fosse assoluto, esso sarebbe vano; perché  un misto di luce percettibile ai nostri sguardi, in Dio, rigetterebbe Dio per una parte nel mondo della nostra esperienza, e questo preteso Dio avrebbe dunque lui stesso bisogno d’una spiegazione. La verità intorno a Dio è una verità che cessa di essere verità quando le si toglie il suo velo. Concepire Dio sarebbe in qualche modo fabbricarlo con la mente, e se Dio è, è lui il Fabbricatore della mente. Concepire Dio sarebbe non averlo trovato.

D. Così tu ammetti quello che dicono molti pensatori e che i Cristiani sembrano respingere, cioè che Dio è inconoscibile.

R. Bisogna qui distinguere diligentemente. Dio è pienamente inconoscibile per la scienza, nel senso attuale di questo termine; Egli è a un tempo conoscibile e inconoscibile per la filosofia; è eminentemente conoscibile per l’intuizione, supponendo che le condizioni di questa intuizione trascendente un giorno si verifichino.

D. Vuoi tu spiegarti distintamente?

R. Dio è inconoscibile scientificamente, perché le leggi tratte dai fenomeni non possono oltrepassare il mondo dei fenomeni. Una dimostrazione scientifica dell’esistenza di Dio, nel senso moderno della parola, è una impossibilità, e a più forte ragione uno studio de’ suoi attributi. La scienza non ha per questo né principii né metodo; essa non conosce che fatti e collegamenti di fatti; può classificare, spiegare e prevedere questo dominio; ma le cause prime non la riguardano affatto, appunto perché sono prime, cioè anteriori a tutto il suo lavoro.

D. Ma la filosofia?

R. Per essa, Dio è a un tempo conoscibile e inconoscibile. Ed è quanto dire che si può dimostrare razionalmente che Dio è; perché la ragione oltrepassa i fenomeni e domanda loro delle ragioni; essa procede dagli effetti alle cause, e di causa in causa, là dov’esse si dispongono a scala, la ragione può giungere a una causa prima, o se si vuole a una supercausa. Ma il carattere stesso di questa causa, perché possa fare la parte che le si attribuisce, è di essere infinita e per conseguenza inaccessibile in se stessa. La nomineremo, ma dal creato; la caratterizzeremo, ma con caratteri che non serviranno se non per il nostro modo di concepire, i quali in Dio stesso andranno a risolversi nell’Uno ineffabile, nella suprema indistinzione del Perfetto.

D. Tu parlavi d’intuizione.

R. Sì; l’intuizione ha già i suoi accessi presso Dio in rari individui e in rare occasioni di questo mondo, e più tardi la ritroveremo in tutti gli eletti, perché essa sfugge al funzionamento zoppicante della ragione ragionante, alla sua necessità di ridurre tutto in concetti e in proposizioni, non conoscendo così se non come «in uno specchio », «in enigmi », al contatto delle immagini interiori, invece di afferrare l’oggetto con una presa immediata e con una sintesi di vita. Dio è in se stesso eminentemente conoscibile, essendo tutto idea e spirito. La questione è di essere al suo livello. Vi ci mette Egli stesso se così vuole. Noi crediamo che Egli vi ci mette mediante il soprannaturale, mediante la grazia e la gloria; vi ci solleviamo remotamente con lo sforzo titubante del pensiero filosofico; non vi ci troviamo più affatto al piano della scienza. Di qui contesa fra coloro che rifiutano di distinguere i piani; accordo nella diversità per gli altri.

D. Il fatto è che Egli per noi, quaggiù, è inconoscibile in se stesso; e allora perché studiarlo?

R. Difatti, Dio è per noi, quaggiù, inconoscibile in se stesso. ,Nessun concetto è abbastanza largo per questa sostanza illimitata. Lui solo può definire se stesso; Lui solo può dire se stesso con una parola viva, che è il suo Verbo; Lui solo, come espressione, è uguale a se stesso come fatto. Tuttavia l’indagine intorno a Lui è sempre aperta; le sue opere ce lo rivelano con le loro analogie e coi loro simboli, e quanto più la mente vi si avanza, tanto più si arricchisce. Lo studio di Dio è una navigazione in un mare fastoso, e splendido, e salutare.

D. Ammetto un arricchimento occasionale; la storia dello spirito umano ne fa testimonianza; ma è tuoi modi di pensare Dio e di parlare di Dio non sono in opposizione con quello che tu stesso hai detto del mistero di Dio?

R. Bisogna ben che gli uomini « esprimano come possono quello che non possono esprimere abbastanza come Egli è ». (BOSSUET).

D. A che servono queste espressioni?

R. A vivere di Dio per lo spirito, dovendo viverne moralmente, a fine di raggiungerlo un giorno.

D. Non temi la puerilità?

R. Puerilità, forse, ma allora in un senso nobilissimo e dolcissimo. L’idea di Dio incoraggia la mente con la sua stessa grandezza, che è al di sopra della grandezza. Se Dio fosse solamente grande, sarebbe grande a tal segno che noi non ne potremmo più dire niente; ma, poiché Egli oltrepassa infinitamente ogni grandezza e l’uguaglia alla piccolezza, Egli ridiventa familiare, e noi ne parliamo con la libertà dei bambini a riguardo di tutti.

D. Non ti pare che l’idea di Dio, concepita come la spiegazione delle cose, non sia che un’anticipazione, preludio della scienza?

R. In ciò che dici vi è del vero; ma vi è soprattutto del falso, ed ecco, io credo, come si fa la spartizione. Al principio, non avendo nessuna spiegazione immediata dei fenomeni e ubbidendo a quel senso dell’assoluto che è un fatto umano, per rendersi conto di ciò che si vede, si ricorre all’unica causa prima. Dio sostituisce l’esperienza, la scienza, la metafisica delle cause, la morale. A tutto, si risponde: Dio! e si trascurano le altre risposte. Poi, credendo di trovare e trovando di fatto delle spiegazioni, si rinnegano le credenze primitive; la scienza si laicizza, e i sapienti orgogliosi scivolano nell’ateismo, nell’agnosticismo, o sembrano ad ogni modo prestare argomenti alle negazioni di una folla ignorante o semidotta. Finalmente, rendendosi conto del carattere relativo delle spiegazioni della scienza, degli acquisti dell’esperienza e dei dati della metafisica, generale se la si vuota del primo Principio, si ritrova al di là il mistero, e, con esso, il « Dio nascosto ».

D. Ma, d’altra parte, e generalizzando, Dio non sarebbe semplicemente l’accumulamento semplificato dei nostri sogni, la «categoria dell’ideale », come dice Renan?

R. Dio è questo; difatti noi lo concepiamo, rispetto alla natura, come la Causa; rispetto alla ragione, come la Verità; rispetto alla volontà, come il Bene; rispetto al cuore, come il Padre; rispetto alla ricerca universale, come la Felicità; il tutto con delle lettere maiuscole, cioè come categoria dell’ideale, poiché in ogni cosa Egli è il Perfetto. Ma Dio non può essere il Perfetto e l’Ideale se non a patto di essere reale; infatti che cosa è una perfezione senza esistenza? Io oserò dire: è a forza di idealità che Dio è reale, ed è a forza di realtà che egli è ideale.

D. Non vi è qui del paradosso?

R. Niente affatto. L’ideale è la più reale delle cose, o non è l’ideale; parimenti il reale è la più ideale delle cose, sotto pena di essere imperfetto, cioè semireale. Il proporci, noi stessi, un ideale, non è forse un dare a noi stessi qualche cosa da realizzare? Il proporci un ideale perfetto e ottenerlo sarebbe un porre Dio. Ma Dio è, senza del quale nessun ideale parziale sarebbe concepibile, non essendo mai altro che un imprestito, un frammento di blocco del quale cerchiamo le origini e le fasi. La natura ci conduce più lontano di se stessa; la natura non è se non l’immagine movente di un eterno Pensiero; vi è una chiamata essenziale dell’imperfetto al Perfetto, degli esseri all’Essere.

D. Se Dio è reale, e se è Realtà perfetta, l’Essere, come dici tu, Dio non si confonde forse con l’universo, col Tutto?

R. Tu ci dai così la formula del panteismo, e bisogna confessare che il panteismo è seducente.

D. Donde viene secondo te questa seduzione?

R. Dall’abbagliamento dell’infinito. Da ciò proviene questa poesia da cui molti si lasciano prendere, e questa metafisica profonda benché fallace. Il filosofo cristiano, moralmente annientato davanti all’infinito, non si lascia abbagliare, Egli serba, del panteismo, tutta la poesia e tutto ciò che vi è di positivo nella sua filosofia; e ne è assicurato in grazia del suo concetto dell’intima presenza di Dio in tutte le cose, della vita in Dio di tutte le cose, ma senza pregiudizio dell’essere proprio e dell’attività di ciascuna cosa, che, sprofondandosi in Dio, suo Principio, trova se stessa e si conforta, invece di abolirsi.

D. Non hai risposto alla mia obiezione: se Dio è la Realtà perfetta, egli è il Tutto, e coincide così con l’universo.

R. Dio è il tutto, in questo senso che tutto l’essere gli appartiene, tutto l’essere è in lui, tutto l’essere è di lui, « Egli è ogni essere eminentemente e virtualmente » (S. Tommaso

D’AQUINO); è «il Tesoro dell’essere » (idem). Ma appunto per questa ragione Egli non è l’universo, cosa imperfetta e mutevole, dove la sua unica pienezza si avvilirebbe.

D. Se Dio non è l’insieme degli esseri, dunque è un essere determinato, cioè finito.

R. Dio non è un essere determinato nel senso della tua frase; ma se Egli è indeterminato, è per la sua perfezione stessa, che nessuna determinazione esaurisce, e perciò non è finito.

D. Allora Dio infinito e l’universo distinto da Lui si addizionano; Dio e l’universo sono più che Dio, cioè più che l’infinito il che è assurdo.

R. Il mio corpo e la sua ombra sul muro, il mio corpo e il suo riflesso nell’acqua, sono forse più che il mio corpo affatto solo?

D. Lo so: l’ombra e il riflesso non sono reali; ma il mondo è reale.

R. Il mondo è reale per noi e reale in se stesso; ma esso non è tale affatto per rapporto a Dio, essendo impotente a posare in faccia a Dio, come una cosa che sussisterebbe fuori di Dio. A questo riguardo, non è che un’ombra, una manifestazione della divina Presenza, un’effusione dell’Amore. La creatura non ha di proprio altro che il niente; per Dio essa esiste; ma non avendo niente di proprio, il fatto che essa esiste per mezzo di Dio non aggiunge niente a Dio, non si compone con Dio, non cambia niente alla totalità dell’Essere, del quale il nome proprio è Dio.

D. Dio è personale, è un’immensità resa impersonale dalla sua ampiezza?

R. Dio è un’immensità senza sponde, e perciò non è personale alla maniera di un uomo. Noi non crediamo al Dio-finito di Renouvier, o al Dio-uomo di Swedenborg. Ma Dio è sommamente personale per la sua stessa immensità, cioè per la sua perfezione; perché, quanto più la perfezione sale, quanto più l’intellettualità e la coscienza si concentrano, tanto più la personalità si compie. Del resto non andare a dire a un Cristiano che Dio non è personale, quando quello che egli trova in Gesù Cristo è Dio in persona. Dio ha dimostrato la sua personalità apparendoci, come si dimostra il movimento camminando, checché ne sia delle difficoltà di Zenone d’Elea e de’ suoi seguaci.

D. E che dici della filosofia che sfugge a tutte queste questioni sotto il nome di materialismo?

R. Il materialismo ha due vantaggi: fà dell’universo un trastullo magnifico per il nostro orgoglio e un covo libero per le nostre passioni. Fuori di questo, è una « filosofia » che non merita neppure un posto nel catalogo degli errori.

D. Potresti giustificare una tale severità?

E. Il materialismo è una dottrina che alle meraviglie visibili assegna imbecilli spiegazioni, e alle meraviglie invisibili, quelle dell’anima, spiegazioni inesistenti, non accostando in nessun modo l’ordine dei fatti che essa vuole spiegare,

D. Almeno le sue spiegazioni sono semplici, e non contradittorie.

R. Le sue spiegazioni sono semplici fino all’ingenuità; esse consistono nel costruire i corpi con dei corpi più piccoli, « come se si costruissero le case con delle case» (ARISTOTILE), e in quanto allo spirito e alle cose dello spirito, il materialismo non le spiega, ma se le attribuisce, trovandosi esausto quando ha dichiarato in quali condizioni si constatano. Tu dici che esso non è contradittorio: ma non c’è una contradizione evidente tra il materialismo e questo semplice enunziato: le leggi della materia, che i materialisti hanno continuamente in bocca? Dire che la materia è retta da leggi, non è forse uno schierarla sotto il regno dello spirito? « La legge è un dettame della ragione », dice S. Tommaso d’Aquino, e nessuno può accusare di falso una definizione così lucida. Quei che non credono se non agli atomi combinati sotto certe « leggi » dovrebbero ben dire chi ha insegnato agli atomi l’autorità di queste leggi e li inclina all’ubbidienza. E se dalle leggi elementari ti elevi alle leggi più complesse della chimica e della mineralogia, della vita e della comunicazione della vita, della sensazione e del pensiero, della psicologia superiore e della moralità, chi non vede crescere indefinitamente l’assurdità di attribuire tutto ciò a materia senza finalità immanente, senza idea direttrice, direbbe Claudio Bernard, per conseguenza senza un Pensiero anteriore e superiore ad essa, e, poiché l’idea immanente alle cose è evidentemente costitutiva, e non semplicemente motrice, senza un Creatore? Ancora ho trascurato di osservare che la « materia » dei materialisti fugge sempre più davanti alla scienza contemporanea, come se alla fine dovesse svanire a profitto della legge stessa, e proclamare così il regno universale dello spirito. Tutto quaggiù è forma, numero, armonia, ripetizione e ritmo, danza e musica; niente è materia inerte e cieca. Ogni essere tende, cerca, gravita, raggiunge altre gravitazioni, altre ricerche, altre tendenze, e un universo si forma in cui lo spirito splende maggiormente, svelando una Sorgente di idealità che si espande, un’armonia fondamentale, un Pensiero primordiale, un supremo Spirito.

D. Tu tendi così a dimostrare Dio per mezzo dell’ordine del mondo; è la tua unica prova, o ne hai delle altre?

R. Vi sono tante prove dell’esistenza di Dio quante se ne vogliono, e non ce n’è che una sola. Tutte si riducono a questo: Vi è qualche cosa, dunque Dio c’è. Dopo ciò puoi sminuzzare il qualche cosa e fare de’ suoi frammenti altrettante prove. Del resto, siccome uno sminuzzamento intelligente dovrà procedere per gradi, per generi di cose, troverai prove privilegiate, specifiche. In tal modo S. Tommaso riconobbe cinque vie per far capo al sommo Essere.

D. Qual è secondo te la prova più certa?

R. Sono tutte certe.

D. Qual è quella che colpisce di più?

R. Appunto quella per l’ordine della natura, i pensatori più refrattari, come Emmanuele Kant, hanno dovuto concederne il valore.

D. Qual è la sua sostanza?

R. « L’ordine è l’opera del sapiente », disse Aristotile. Noi crediamo alla sapienza umana perché vediamo le sue opere, cioè l’ordine che introduce attorno a se stessa, ne’ suoi dominii, nelle creazioni della sua industria, nelle istituzioni che fonda, nelle regole d’azione che dà a se stessa e che intima a ciò che essa deve reggere. Ma la sapienza umana non trova da applicarsi se non perché un’altra sapienza la precede, e questa sapienza anteriore, quella della natura, sulla quale s’innesta la nostra, è ben più profonda. Chi può sfaccettare una pietra con tant’arte com’essa è sfaccettata dentro, per il fatto della sua costituzione stessa, così sconcertante per la scienza che vi penetra a tentoni? Chi può fare, con della canapa, un tessuto così maraviglioso come lo stelo della canapa, e come la sua foglia, e come il suo seme? E così avviene di tutto. Se dunque io credo alla sapienza umana, come non crederei alla sapienza che essa utilizza, alla sapienza che essa dischiude, e se questa sapienza della natura è tanto incosciente quanto meravigliosa, come non cercarne la sorgente in qualche Intelligenza suprema di cui tutta l’arte della natura non è che una manifestazione? « Il visibile, dice Leone Bloy, è la traccia dell’invisibile ».

D. Quali sono, secondo te, i segni essenziali dell’ordine, in seno alle cose?

R. Ordine di ciascuna cosa in se stessa; — ordine di produzione di ciascuna cosa per una convergenza di elementi, per un concorso di serie causali; — ordine delle cose tra loro per fare degli insieme e degli insieme per fare un cosmo; — ordine del cosmo e dell’anima che s’incontrano nella sensazione, nel pensiero, le due più sublimi realtà che esistano.

D. Vi è un rapporto tra quest’ordine di manifestazione del reale e l’ordine intimo del pensiero stesso?

R. « Un albero germoglia per sillogismo », disse Hegel.

D. E con l’arte?

R. Quando dall’arte, dal ritmo, dalla poesia e dalla musica, tu stesso ti senti trascinato nell’ordine del mondo e comunichi a’ suoi movimenti, di’ se l’emozione provata nelle parti alte dell’anima tua non ha un carattere religioso. L’arte è una « religione », perché la bellezza è ordine, e l’ordine è divino.

D. Puoi completarne la prova?

R. I rapporti delle cose tra loro, degli elementi tra loro, delle serie causali che s’incrociano e organizzano concorsi, degli insieme parziali che ne incontrano altri in sempre più vaste combinazioni, tutto ciò dà prova di un pensiero che mette insieme e adatta come progetto, di una preconcezione che il fatto realizza. L’occhio è organizzato per vedere, il frutto per germogliare; le potenze della vita come le potenze astrali sono fidanzate prima del connubio dell’azione e delle evoluzioni comuni. «Il mondo è il risultato di accordo infinito », scrive Novalis. Gli scambi universali ci appariscono a un tempo come fenomeni e come tendenze, come effetti e come disegni, e l’idea di una sapienza organizzatrice brilla al contatto. Quest’idea è in noi, e l’ordine è nelle cose; ma al di sopra, per giustificare l’idea e per fondare le cose tali quali sono, armoniche e sagge, ci vuole qualche idealità. superiore, una sapienza, un’arte, e non è forse questo uno degli aspetti di Dio? La natura è come un volto la cui fisonomia esprime l’anima segreta e quest’anima è Dio) La natura è un macchinario meraviglioso, il meccanico del quale è Dio. Dietro il fatto vi è l’energia, dietro l’energia la legge, oltre la legge il piano, sopra il piano l’architetto e l’architetto è Dio. E devi notare che nella natura, l’ordine è tanto più ammirabile quanto più gli esseri sembrano formati di un piccolissimo numero di elementi, sotto leggi alla loro volta pochissimo numerose. L’autore dell’ordine sembra che possa fare tutto con tutto, anzi con un solo cenno. Per negare quest’autore divino, bisogna ammettere una inintelligenza o una non-intelligenza più intelligente dell’intelligenza stessa. L’universo come lo conosciamo e specialmente come lo congetturiamo, l’universo con la sua organizzazione di un’estensione e di una profondità così sbalorditive, è un peso che Dio solo può portare; nessun Atlante, figlio di un Giove sottomesso al Destino, potrebbe essere a ciò sufficiente. Se Dio non esiste, non ci vuole molta immaginazione né molto sentimento per essere invasi da un senso di assurdità spaventosa, da un’immensa oscurità. Dio è veramente la Luce del mondo, creatrice della verità delle cose e del suo riflesso in noi. È lui lo Spirito nascosto di tutte le creature, l’Essere del loro essere, la Verità di cui esse non sono, per così dire, che i fantasmi, poiché senza di Lui, senza l’influsso permanente della sua presenza, esse non sarebbero affatto.

D. A queste condizioni, non si dovrebbe pensare che a Dio, o per lo meno a niente senza Dio.

R. «Dimenticato Dio, più nulla è degno di memoria» (CARLYLE).

D. Tu parli dell’influsso divino come d’un fattore permanente delle cose: è veramente opportuno cercare qualcosa di « permanente » in questo mondo dove tutto muore?

E. Non si può dire: tutto muore. È vero che le cose di questo mondo non ci son note e non sono da noi adoperate se non secondo che passano; noi registriamo la loro fuga; appunto in grazia della loro morte noi le assimiliamo; ma bisogna che qualcosa resti; se tutto passasse, non ci sarebbe territorio del passaggio, non legge reggente il passaggio, non potenze stupefacenti per i fatti particolari, non trama per la decorazione. E bisogna che ciò che resta abbia di che restare, di che mantenersi così saldo, così immortale. Bisogna che il necessario ci sia, e al di sopra del necessario che è tale solo di fatto e non per se stesso, ci vuole il Necessario primo, necessario per definizione, nel quale scorre tutto quel che scorre. Quel che muore, muore in Dio.

D. Ciò suppone l’ubiquità; ora come può Dio essere presente dovunque nello stesso tempo, e tuttavia essere invisibile?

R. Pascal matematico ne fornisce questa immagine: «un punto che si muove dappertutto con una velocità infinita; infatti esso è uno in tutti i luoghi ed è tutto intero in ciascun luogo ». Abbiamo qui solamente un’immagine spaziale, che non ha valore se non nell’ordine astratto. Ma se tu la trasporti nell’ordine dell’esistenza, ti fai un’idea di quella realtà indivisa e infinita, che avviluppa tutto immediatamente col suo potere creatore e organizzatore.

D. Io ho udito ragionare così: Non sì ha bisogno di Ordinatore; perché il caso, disponendo dell’infinità del tempo, ha davanti a sé un’infinità di combinazioni possibili, dunque anche quella che è sotto è nostri sguardi.

R. Quando un uomo ragiona in tal modo, io non faccio appello ai matematici per rispondergli; ma gli domando: Sei  matto? Queste idee reggono davanti alle idee, ma crollano davanti ai fatti. Pensa alla struttura di un occhio di moscerino, al moscerino, alla sua vita, alla sua riproduzione ammirabile, alla sua eredità secolare, alla stabilità dinamica dell’universo in cui si evolve questa piccola specie in compagnia di milioni d’altre, e tu riderai di codeste stoltezze.

D. Ma altri dicono, con più verosimiglianza: Il cammino del mondo è impeccabile e d’un rigore infrangibile, dunque non ha bisogno di Dio.

R. Che lode di Dio!

D. Che cosa intendi di dire?

R. Che questa apparente inutilità di Dio è anzi quello che lo esige con maggiore forza, come l’orologio dà prova dell’orologiaio camminando da sé solo meglio che se egli dovesse spingerne le ruote. Il cammino del mondo è d’un rigore infrangibile una volta posto il mondo, una volta caricato questo meraviglioso automa che nessuna sorpresa dei fatti sconcerta; ma io domando ancora una volta: Chi ha fatto il mondo?

D. Si dice che è il frutto dell’evoluzione.

R. Se l’ipotesi dell’evoluzione è vera, Dio è dimostrato due volte, una volta dal mondo stesso e una volta dall’evoluzione.

D. Come ciò?

R. Perché creare una macchina utensile di una tale perfezione e d’una tale potenza è più difficile che creare un oggetto. Il mondo è un oggetto sorprendente; ma che dire di quella miracolosa forza di evoluzione che lo fabbrica ciecamente! Di quale perspicace pensiero è l’organo una tale cecità! L’evoluzione che si pretende creatrice al posto di Dio, è un sistema di conseguenze sempre più ricco senza che vi sia alla base alcun principio; è una geometria eterna senza « Assioma eterno ». In vero io capisco Descartes che dice: « L’esistenza di Dio è più certa che il più certo dei teoremi di geometria ». Per me, se l’evoluzione esiste — ed esiste necessariamente in qualche misura — essa dimostra, oltre la potenza sovreminente di Dio, la discrezione generosa che lo fa agire per mezzo della stessa opera sua, dopo aver reso quest’opera attiva e potente. In tal modo Cristo seminò alcuni germi immortali e affidò a’ suoi Apostoli, alla sua Chiesa, le sue speranze dell’avvenire.

D. Mi pare che tu attribuisca così alla natura un immenso sforzo, dei piani meravigliosi. Ora Enrico Bergson dice all’opposto: La natura non ha nessun piano preconcetto; essa inventa a proposito, e « per lei è così facile fare un occhio come per me alzare la mano ».

R.Tutto ciò non si contradice affatto. La natura non ha piano preconcetto; neppure l’ape, e in nessuna parte del mondo vi è un modello dell’alveare. L’alveare è una «invenzione» del genio della specie, sia pure, un’invenzione spontanea, senza partito preso antecedentemente, in tal modo che il piano non esiste che in noi, dopo un atto di riflessione, per il fatto delle analisi che facciamo del meraviglioso lavoro. Ciò non m’incomoda affatto. Ma io domando sempre che mi si trovi un’origine prima a questo sforzo d’invenzione, all’invenzione quando esiste, alla nostra mente che l’analizza, al piano che è il prodotto della nostra mente, al tutto di quest’ordine di fatti, che non basta descrivere per renderne ragione. Bergson non si oppone a questa richiesta, tutt’altro. In quanto allo sforzo della natura, è un modo di parlare. La natura è un’arte, e l’arte non fa sforzo salvo che quando è imperfetta. Un occhio non è che un arpeggio complicato; la natura lo produce con la squisita facilità di un perfetto virtuoso; ma quanto più la sua arte è impeccabile e semplice ne’ suoi mezzi, tanto più la natura ha bisogno di una sorgente sublime.

D. E se il mondo, tal quale, è sempre esistito?

R. La durata non è una spiegazione. Per quanto sia lunga, le si deve chieder ragione di ciò che essa contiene. Spiegheresti una locomotiva e forniresti la ragione del suo cammino dicendo che essa ha sempre camminato? La ragione del cammino non è qui in addietro; i motivi delle cose non si raggiungono nella corsa. Il cammino si spiega per la complicazione intelligente del congegno, cioè per l’arte del meccanico; si spiega per le proprietà del vapore, dell’aria, del suolo, dei materiali adoperati, dell’ambiente universale in cui tutto s’immerge, cioè per l’arte della natura che il meccanico ha saputo utilizzare. L’armonia di tutto l’universo si trova impegnata in questo semplice fatto; essa non sarebbe meno impegnata in qualsiasi altro, e tutti i fatti provano così un Ordinatore.

D. Che cosa dici tu a quelli che non arrivano a dimostrarsi Dio per via di ragione?

R. Di cercarlo nel loro cuore, e di cercarlo all’uopo per il tramite della fede.

D. È questa una cosa possibile?

E. Non solo è cosa possibile, ma anche frequente, Poiché Dio si è rivelato nel mondo, se ne può trovare la traccia nei fatti di rivelazione come nei fatti di natura. Era il procedimento raccomandato da Pascal come il più efficace. La credenza in Dio, che è l’ultima parola della filosofia, è la prima della fede: «Io credo in Dio, Padre onnipotente, ecc…. ». In filosofia, tutta la cognizione umana mira appunto a rischiarare debolmente la nozione di Dio. Nella fede, l’ordine è inverso; è Dio, sorgente di ogni luce, che sfavilla anzitutto e rischiara potentemente tutto il resto. Se la natura ci parla di Dio, la fede ce ne dice a suo riguardo, in poche parole, più che tutto l’universo insieme, e allontana i pensieri ingannevoli che sottili apparenze provocano in tante menti.

D. La dimostrazione razionale di Dio ti pare însomma poco utile?

R: È utile come preambolo della fede; ma in se stessa è insufficiente alla salute degli uomini, La ragione affatto sola di fronte a Dio non può comunicare con Dio; le manca la scala viva, le manca il ponte. Il Dio che bisogna conoscere non è il « Dio dei filosofi e dei sapienti », ma il « Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe », il « Dio di Gesù Cristo ». «È un Dio di amore e di consolazione; è un Dio che riempie l’anima e il cuore di quelli che Egli possiede; è un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la sua misericordia infinita; che si unisce al fondo dell’anima loro, che la riempie di umiltà, di gioia, di confidenza e di amore; che la rende incapace d’altro fine che non sia Lui stesso » (PASCAL).

D. Il sentimento prende così una grande importanza nella credenza în Dio.

R. «Si crede in Dio in virtù di ciò che si ama, assai più che in virtù di ciò che si sa » (PIETRO LASSERRE).

D. Che cosa pensi tu dell’ateo?

R. In un certo senso non vi sono atei: vi è solo gente inconseguente, che affermando Dio tutte le volte che proferiscono una parola o fanno un passo, si servono nondimeno della parola per negare Dio. Sotto tutte le idee che si oppongono a Dio, vi è l’idea di Dio. Sotto i sentimenti che allontanano da Dio, vi è una sete che è la sete di Dio. Ogni uomo crede alla verità, apprezza il bene e tende alla felicità; tutta quanta la nostra vita gravita attorno a queste nozioni, e sempre più a misura che il mondo s’incivilisce. Ora ciascuna di queste nozioni conclude per Dio nel modo più manifesto, e nel loro senso assoluto sono attributi divini. Nietzsche lo riconobbe, dicendo: « È con la fede in Dio che, nel mondo moderno, si è significato il congedo a questa stessa fede » « L’ateo parla della natura come di una madre che è nei cieli» (Enrico Bidou). Nondimeno l’ateismo esiste in quanto affermazione volontaria, ed ecco quel che ne penso. Io faccio una gran differenza tra l’ateo gaudente, « simile alla bestia, che grufola nella pozzanghera senza vedere in fondo il riflesso del ciélo » (GIUSEPPE SERRE), e l’ateo per errore, per deviazione intellettuale, anzi per reazione contro falsi deismi che egli sa rigettare e non sa sostituire.

D. Vi sono dunque falsi deismi?

R. Sì, coloro che pongono un Dio da invetriata o un « Dio della buona gente » senza nessun valore filosofico.

D. Ci possono dunque essere degli atei di buona fede?

R. Ognuno di noi ne può incontrare ogni giorno.

D. Non si dice il contrario, nelle vostre scuole di teologia?

R. Si dice con ragione che una cosa così certa, per una coscienza retta, come l’esistenza di Dio, non può essere disconosciuta senza peccato. Ma anzitutto vi sono sincerità peccaminose, quelle che risultano da gravi negligenze o da infedeltà anteriori. Poi, non è necessario che il peccato così affermato sia un peccato individuale; ciò può essere un delitto collettivo, i cui effetti si comunicano a innocenti ingannati. I responsabili sono appunto coloro che creano tali correnti; quei che le seguono per un attraimento involontario devono essere assolti e soccorsi.

D. E come sì spiega che Dio, così evidente secondo te, possa essere così abbandonato?

R. Dio è abbandonato — e offeso — come il vecchio da una generazione troppo ardente. L’eccesso anarchico della vita materiale, della vita sensibile, della vita intellettuale stessa, cagiona questo spaventevole abbandono.

D. Non c’è nulla di elevato, nell’ostracismo inflitto all’idea di Dio?

R. La disgrazia degli uomini è di volgere contro la propria salute gli stessi loro pensieri salutari. Si è fatto credere all’umanità che l’idea di Dio era un ostacolo alle sue aspirazioni, una preoccupazione estranea o ostile a’ suoi compiti; ed essa ritornerà a Dio quando avrà capito che l’idea di Dio non allontana precisamente se non ostacoli; che solamente questo preteso nemico delle sue soddisfazioni rende la vita degna di essere vissuta, e che tutti i compiti umani, in ciò che hanno di sacro e di durevole, sono resi più facili e più dolci col suo concorso. « L’uomo potrà dominare e la sua propria natura e il mondo che egli abita, prendendo il suo punto di appoggio al di sopra di sé, nell’idea stessa del Fine per il quale egli è nato » (EMILIO BOUTROUX).

D. Intanto vi sono degli atei che sono forti.

R. «Ateismo, segno di forza di spirito, scrive Pascal, ma solamente fino a un certo punto ».

D. E che sono tranquilli.

R. Io credo alla calma della loro angoscia.

D. In ultima analisi, qual è, secondo te, l’atteggiamento degli uomini riguardo a Dio?

R. «Gli uni temono di perderlo, gli altri temono di trovarlo » (PASCAL).

LO SCUDO DELLA FEDE (166)

LO SCUDO DELLA FEDE (164)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (32)

FIRENZE, DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi

PUNTO VII.

Che cosa debbano aspettarsi i Regnanti ed i popoli, e singolarmente i liberali dal Protestantismo.

62. Apost. È veramente una grande infelicità, ed insieme un’onta, una vergogna, un obbrobrio per la vostra Riforma l’aver perduto là sua religiosa libertà, l’andar sottoposta non solo ad un Papa, ad un Papismo, ma a tanti Papi e Papismi, quanti sono gli Stati, anche microscopici, ove ella si trova: e per soprassello di umiliazione, di avvilimento, sottoposta persino alle donne, ai ragazzi!!! Poffare! Almeno il Papismo Cattolico è decoroso, onoraio, encomiato da’ suoi stessi nemici. Caro Protestantismo, comincio a nausearmi di voi; perché io sono liberale liberalissimo, Italiano (capite?) Italianissimo; e voi, per quanto si pare da ciò che adesso mi avete detto, sembra siate nato fatto per promuovere ed assicurare le ambiziose speranze, la felicità dei regnanti. Ora capisco perché certi sovrani semicattolici poco si curano, che sia manomessa da’ vostri emissarii la Cattolica Fede.

Prot. T’inganni a partito, e per levarti d’inganno, eccoti la bella dottrina predicata, insegnata a questo proposito dal mio gran Patriarca Lutero. « I Principi sono ragazzaglia, stupidi, tiranni, masnadieri, custodi di carceri; manigoldi; scimuniti, bolle d’acqua, cani furiosi, gente tutta da esser tolta di mezzo spargendone il sangue, e lavandosene le mani. » (Lutero, nel suo scritto: Dell’autorità secolare, e sino a qual punto si debba obbedire).

Apost. Viva Lutero!… Viva l’Apostolo, il Banditore della libertà: viva! viva!

Prot. Adagio, adagio, bambino mio. Prima di cantar l’evviva, ascolta che cosa predicava e insegnava a’ Principi e ai popoli lo stesso Lutero contro i tuoi pari.

« Hannovi di presente circostanze talmente nuove, che un Principe può ben guadagnarsi il Paradiso spargendo copiosamente il sangue altrui; mentre altri per ciò ottenere han mestieri di esercitarsi in lunghe e continuate orazioni. Ognun che possa, ferisca di coltello, si levi diritto e scanni e uccida i contadini (ribellati): beato colui che darà la vita in questa pugna, perocché non può morire alcuno più santamente, più felicemente di lui. Oggimai non è più tempo di dormire, di starsene colle mani alla cintola. Lungi la pazienza, lungi la misericordia e la grazia; è sonata l’ora dell’ira e della spada. Ognuno che col ferro in mano sen muore combattendo in difesa dell’autorità, può essere un vero martire in faccia a Dio; poiché egli obbedisce e compie valorosamente il comando dell’Eterno. Ma chi prende le armi a pro de’ contadini, e rende lo spirito sul campo di battaglia in loro difesa, oh! Questi è un tizzone tratto dal fuoco eterno dell’inferno, perché ha snudata la spada per disobbedire a Dio, e per combatter la parola di lui; questi; lo ripeto, è un membro del diavolo, Va’, figlio, in nome di Dio: incendia, ruba, ammazza, secondo ti vengono alle insanguinate mani i contadini, o le robe loro. Tuttociò che di male ti verrà fatto di recare a costoro, fallo allegramente, in buona coscienza, e con fede costante; non aver pietà di cosa alcuna; pensa che tutto ti è lecito secondo gli usi della guerra. A questo solo pon mente che devi dimenticare ed aver per nulla le vedove, e gli orfanelli da te privati de’ loro sostegni.  »  (Lutero, Op. contro i contadini ribelli, ladri e assassini, Wittemberga 1525). Che te ne pare? Ora canta l’Evviva.

Apost. Ah sanguinario tiranno! Assassino dell’umanità! Morte a Lutero! morte! morte!… Viva però la vostra Riforma; che sdegnando questi ferali principii, ov’ella apparisce, sempre apparisce in compagnia della libertà.

Prot. Erri di molto, dovevi dire: Sempre apparisce in compagnia del disordine e della sventura. « In Alemagna non ci era libertà politica, né la Riforma ve l’ha punto introdotta: anzi ha piuttosto rafforzato che affievolito il potere de Principi: è stata più contraria alle istituzioni libere del medio evo, che non favorevole al loro sviluppamento. » (Guizot, Cours d’Histoir Modern. XII Leçon, p. 23.) Per la sua influenza …

» L’impero (germanico) divenne un vasto cimitero, Ove due generazioni furono inghiottite, ove le città non divennero che ruine e mucchi di cenere, le scuole deserte e senza precettori, l’agricoltura distrutta, le manifatture incendiate. Arroge, dove gli spiriti caddero inviliti, consumati, dispettosi. Così noi vediamo la nazione tedesca per una parte del secolo XVI in una specie di torpore, incoltura pressochè totale. La sua letteratura, durante questo periodo, resta indietro a quella degli Italiani, de’ Francesi e degli Inglesi! » (Willers; Op. Sopra lo spirito e l’influenza della Riforma di Lutero, p. 273).

PUNTO VIII

Le Società Bibliche protestanti, e i loro agenti: – Chi sieno:- Che cosa cerchino: – Gli ingannatori : – La Chiesa bottega.

64. Apost. Quei vostri Missionarii mandati dalle vostre Società bibliche a regalarci Bibbie e libercoli, asseriscono in ogni punto tutto l’opposto di quello che voi mi dite. Come va questa cosa?

Prot. « La società biblica Inglese ed estera con quel suo far comunanza con tutti, e con quel prendere accordo con uomini di ogni confessione religiosa, chiarisce non solo un’idea, ma eziandio un fatto, cioè stabilisce un largo sistema d’indifferentismo nelle cose spettanti alla Religione, il quale non vi ha dubbio, è nocevolissimo ai veri e puri interessi del Vangelo. Non vediamo già noi, co’ nostri medesimi occhi le triste conseguenze che ne sono l’infausto parto? Non è forse l’incredulità che ci passa dinanzi come in trionfo, facendoci il viso dell’armi? » (Vix, Op. cit. c. 1, punto 2, p. 66).

« Il comitato della Società biblica di Londra ha la sfrontatezza di asserire, che un incredulo può pur troppo essere un buono e saggio agente (ossia missionario). E quasi ciò fosse poco, i loro fratelli della Scozia non se ne contentano, ma procedendo innanzi, uno di essi giunse fino a dire che egli non avrebbe avuto nessun dubbio, che fosse stato tale da perturbargli la mente, allora che si persuadesse di servirsi e giovarsi del Diavolo stesso! (Thomson, Discorso intorno alle Società Bibliche 1830, p. 17).

« Parecchi eziandio di quelli che in fatto di religione sentono altamente ed hanno per conseguente una profonda venerazione pel libro della Bibbia, sono al presente rimasti sul forse, se battendo questa via si possa poi, come si è voluto pur cotanto decantare, afferrare ed ottenere l’intento di render comune, universale la cognizione e la virtù. Facilmente sonò giunti a credere, covarsi qualche non puro intendimento nel cuore di queste bibliche Società; e non sono molto lontani dall’opinare, non aver esse altro scopo che tentare Iddio a benedire gli uomini di tante fatiche cadute invano col darsi attorno a distribuir Bibbie, e premiarli mediante beni mondiali e passeggeri. » (Niemeyer; Osservazioni fatte ne’ miei viaggi in Inghilterra etc., Tom. I, p. 208).

« In molte parti dall’universale degli uomini si tien per fermo, avere oggimai le Società Bibliche una meta a raggiugnere assai ben diffente da quella che pur vorrebbero addimostrare al di fuori. L’affaccendarsi degli Inglesi, e quel non darsi posa per ispargere e seminar Bibbie per ogni trivio, non fa mostra nel vero di disinteresse; ma anzi dà ‘indizio non dubbio di qualche vile guadagno o ruberia? » (Il Mercurio del Reno 1814, N. 157).

65. Andando infatti, i loro agenti, o Missionarj, a far proseliti tra gli infedeli, « come prima giungono in mezzo a quei popoli, non fanno altro che trasformarsi di missionarj che erano in tanti conquistatori, arraffando ed usurpando i terreni più. Ubertosi de’ selvaggi, dando loro, per illuderli, o come infinto cambio, qualche cattivo fucile, e altre e tali oggetti ormai, fuori di uso. Quindi i rapiti campi coltivano a proprio profitto, facendo piantagioni di zucchero, di caffè e d’indico. Quindi comprando a vilissimo prezzo i bestiami e gli altri prodotti del paese, non si vergognano di stare alla vedetta per venderli a prezzo carissimo ed enorme a naviganti che per avventura si accostano a quelle spiagge. L’educazione morale e civile di quelle genti bisognose d’ogni soccorso, loro non importa un nulla, né le degnano neppure di uno sguardo benigno. Innalzano qui e colà, per salvar apparenza, come han fatto nelle isole della Società del mare del sud. cappelle e Oratorii; ma accanto ad esse (N. B.) mettono botteghe, e spacciano acquavite. » (Il Times, Vedi la Gazzetta universale di Augusta 1840, N, 60.)

« Le navî di Francia conducono seco veri messaggeri del Vangelo; le nostre navi Inglesi non lasciano a terra che speculatori di terreni e di ricchezze, i quali sempre colla Bibbia in mano comprano campi, bestiami, prodotti de’ paesi per far la buona fortuna dei loro figli, e costituirli in ricchi proprietari negozianti.» (Lettera da Londra di un protestante. Vedi la Gazzetta Universale di Augusta 1848, N, 103).

Apost. Indegna condotta, ma almeno annunzieranno a quei popoli, come annunziano a noi, la stessa dottrina del gran Patriarca Lutero.

Prot. Sia pure: ma senti ciò che Lutero medesimo ne ha lasciato scritto:

« Quando una volta noi non avremo più nulla a temer, quando saremo lasciati in pace, allora sarà il tempo di rettificare i nostri inganni, le mostre bugie ei nostri errori. » (Lettera di Lutero, del 30 Agosto 1530, ultimamente ritrovata e pubblicata, Vedi L’Univers, 25 Mai 1845).  Hai capito?

PUNTO IX.

Anche gli atei sono riconosciuti e accettati come veri membri della Riforma protestante! Questo fa Orrore. — Guai a chi abbandona la fede cattolica, unica vera. — Conclusione.

66. Apost. Oh: qual velo mi avete tolto dagli oechi! I vostri emissarii ed agenti, e singolarmente quei mercanti di bibbie, e di coscienze, che si dànno il titolo di Ministri, di annunziatori del puro Vangelo, gridano a tutta gola, e fanno gridare dai oro affiliati: che la Chiesa Romano-Cattolica è la brutta Chiesa dell’anticristo: che ha corrotto la Santa Scrittura, la vera dottrina, i costumi: che essa è la Chiesa-bottega; che ha un Papato tirannico; e leggi sanguinarie: che è nemica d ogni verità e libertà: che il Papa; i Vescovi; i Preti, i Frati sono tutti ingannatori del genere umano; etc. etc.. Ora voi confessate, anzi asserite che: tutto questo appartiene veramente e propriamente alla Protestante Riforma ed ai suoi Ministri, i quali; oltre tutto il resto, nel correr qua e colà, a far proseliti covano nel cuore qualche non puro intendimento.» Hanno una meta a raggiungere ben differente da quella che pur vorrebbero addimostrare al di fuori !!! Con ciò mi confermate nel fondato sospetto che già ne fecero persone avvedute; cioè che la loro meta, il loro intento non puro, sia d’impadronirsi col tempo del nostro ameno Paese, di spogliarci delle nostre sostanze, di aggravarci allora delle loro dure catene, come han praticato nell’isola infelice di O-Thaiti, il cui popolo già sì ricco e industrioso; hanno talmente oppresso a forza di espoliazioni, angherie e vessazioni, che di 130,000 abitanti che erano quando essi vi entrarono, secondo il computo di Forster, l’hanno in breve tempo ridotto a 6,000. Infelici! (Ciò è testificato dai medesimi protestanti. Così ne fa fede un testimonio oculato; il cav. Ottone de Kotzebue, capitano di vascello al servizio dell’Imperatore di Russia, nella relazione del suo viaggio dal 1823, al 1826. Allora erano ridotti a 8,000 – Weimar, T. I, p. 92-100-115-118, ed è confermato dal Quaterly Reviec, nel N. di Marzo 1841; p. 40. In questa epoca erano ridotti a 6,000,). Asserite inoltre che la Chiesa Cattolica non solo va esente dà quelle macchie, ma che è l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo: e (quello che più mi punge) asserite, che noi disertori del Cattolicismo siamo da voi riputati come la feccia della Canaglia !!! – Con tutto ciò ammiro e lodo la vostra sincerità, e per degna gratitudine e ricompensa voglio ancor io parlarvi sinceramente, e levarvi d’inganno sul conto mio e de’ miei bravi compagni di apostasia. Sappiate dunque, e tenetelo a mente, che di quanti arrolati ci siamo sotto la vostra bandiera nessuno è propriamente protestante, nessuno è vostro; perché siamo tutti o increduli affatto che nulla crediamo, o affatto indifferentisti, a cui nulla importa di avere una religione speciale; onde noi siamo bensì veri seguaci della vostra pensione, ma non già della vostra lorda religione, se non in quanto è connivente a tutte le scellerate passioni. Credete forse che io esageri? Provate a toglierci la pensione, e vedrete.

Prot. Balordo che sei! Credi tu che ti sia facile il non esser protestante, o l’uscire dal Protestantismo, come facil ti fu l’apostatare dal Cattolicismo? Balordo che sei! Se non vuoi esser Cattolico, sei per necessità protestante, perché tutto ciò che non è cattolico, è protestante, è posso addurtene una dogmatica decisione. Credi forse che io esageri? Leggi gli Atti delle Camere di Berlino del mese di Gennaio 1859, ove troverai: che – I comuni dissidenti (sette protestanti) invocarono in favor loro le libertà religiose concedute dagli articoli 12 e 16 della Costituzione, e tuttavia negate loro fino ad ora; che il Ministro si dichiarò. pronto ad annuire ad una tale richiesta, confessando però, che tra le sette dissidenti alcune ve ne erano le quali più non credono neanche all’esistenza di Dio! — Che si opposero loro i Cattolici, e i Protestanti credenti, ma il Governo riconobbe quelle sette (N. B.) come Società religiose (protestanti), e accordò le domandate libertà » (Vedi la Civiltà Cattolica, 2 Aprile 1859, Prussia, Corrispondenza di Berlino, N, 3.); vale a dire; libertà di professare l’ateismo senza cessare di appartenere alla Riforma protestante. Né ciò ti deve recar meraviglia, mentre ti ho già dichiarato (sop. n. 64), che il diavolo stesso da noi si riconosce e si ammette per un buono agente, ossia buon Missionario, e per conseguenza buon membro della nostra Riforma…. Anzi egli ne è il membro primario, il primario suo fondatore, essendo ormai fuor di dubbio che fu egli il gran Maestro del nostro gran Padre Lutero! (Vedi sop: c. 3, § 1, n. 38). Onde altra via non ti resta per non esser protestante, per uscire dal Protestantismo, che far ritorno al Cattolicismo. Hai capito?

Apost. Ma che diavolo è questa vostra Riforma? Alla larga!!!.

Prot. « Ritrovasi nel nostro odierno protestantismo (o Riforma) un malore, che sebbene non mi saprei a prima giunta ravvisare, nondimeno tale si mostra che ributta e spinge altrui ad allontanarsene; e conduce di necessità un uomo onesto ad anelare di spogliarsi di quelle vesti disonorevoli, e rivestirsi delle gloriose e sante divise del fedele cattolico… Perciocché si è voluto sottilizzare per maniera, da giungere infino al punto estremo; male avvisando di tramutare ogni fede positiva in pure idee razionali, vuote per conseguente non men di senso che di vita. Con una smania violenta ed irrequieta si è menata tanto avanti la ragione, da farla in fine soprastare per guisa al dominio terreno della fede, che insultasse e facesse villanie ed ingiuria a Cristo; volendo torlo giù dall’augusto, suo seggio, e porre lei usurpatrice e tiranna in quel posto. » (Ammon, L’unità invariabile della Chiesa evangelica, Dresda 1826, p., 50.).

« Noi, così facendo, assisterem pur troppo fra poco alla fine ed alla mala morte del protestantismo; noi vedremo o presto o tardi menarsi sopra di lui glorioso trionfo, e sarà il Papismo quello che lo schiaccerà co’ suoi piedi, e farassene sgabello. » (Zimmermann, nella Gazzetta universale eeclesiastica di Darmstadt 1826, N, 1, p. 9). Imperocchè:

« La Chiesa (Romano-Cattolica) è la vera Chiesa. Essa è il sostegno e la colonna della verità. In questa chiesa Iddio miracolosamente conserva il Battesimo, il testo del Vangelo in tutte le lingue, la remissione dei peccati, il Sacramento dell’altare, la vocazione e l’ordinazione dei Pastori, la consolazione nell’agonia, l’immagine del Crocifisso, e in pari tempo la memoria della Passione e della morte di Gesù Cristo; il Salterio, l’ Orazione Domenicale, il Simbolo, il Decalogo e molti pietosi cantici. In essa si trovano le vere Reliquie de’ Santi. Essa, senza dubbio; è stata ed è tuttora la Santa Chiesa di Gesù Cristo. In essa hanno abitato i Santi, perché vi sono le istituzioni e i Sacramenti di Gesù Cristo. » (Lutero, De Missa privata, T. 7, Opp. p. 236, e seg.).

Insomma, concludiamo:

« Il Cattolicismo è l’ultima risorsa delle menti che vogliono una fede, e de’ cuori che vogliono una religione. » (Sentenza pronunziata nel Sinodo protestante di Berlino, tenutosi nel Maggio del 1846). Quindi:

« Il primo passo onde altri si dilunga dalla Chiesa Romana, è anche il primo per avvicinarsi a quel punto ove si perde la fede » (Tommaso Green, Op. e luog. cit. nel Frontispizio di questa Operetta.).

Ho detto…. Addio, galantuomo.

F I N E

LO SCUDO DELLA FEDE (163)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (31)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi

PUNTO V.

I proseliti che fa il Protestantismo nel Cattolicismo, e viceversa.

59. Apost. È veramente qualche cosa di orrido su tutti i rapporti la vostra Riforma; ma pure qualche cosa di buono deve tuttora avere, poichè dallo stesso Cattolicismo molti illustri soggetti corrono a rifugiarsi nel suo seno.

Prot. « Non vi figurate in modo alcuno di poter voi trovare dei buoni Cristiani tra questi rinnegati del Cattolicismo? » (Il citato Leo, Lettera al Pastore Erummacher).

« Mentre la Chiesa Cattolica aggrega a sé continuamente protestanti i più istruiti, i più illuminati e i più distinti per la loro moralità :… la nostra Chiesa si è ridotta a non reclutare che frati lascivi e concubinarii. » (Un giornale Svizzero protestante, presso l’Univers., 27 Oct. 1849).

« Il Papa purga il suo orto e getta la mala erba adosso alle nostre mura! » (Dean Swift, presso l’Autore dell’Opuscolo; L’impostura svelata, Londra 1846 – Questo detto in Inghilterra è divenuto proverbiale).

« La piaga di che la Riforma protestante ha voluto ferire la Chiesa, si è trasformata in una pura e salutifera fontanella, mediante la quale si segregaron dal corpo tutti è cattivi umori. » (Binder, Op. e luog. cit).

Capite voi questo gergo?

PUNTO VI

Il Papismo cattolico, e il Papismo protestante.

Apost. Voi mi offendete, mi straziate senza pietà. Contuttociò voglio esser della vostra Riforma, perché in essa non non vi è il ferreo giogo del Papismo; vi è, almen di presente, una piena libertà in materia di fede; e questa è quanto io cerco e desidero sopra ogni cosa.

Prot. « Nessuno contrasta che nella Chiesa protestante convenga la libertà di fede; ma è fuor di dubbio che ella è limitata e ristretta nella vita pratica. Sebben può dirsi che i protestanti non hanno fra loro un Papa, è vero però che ne abbiamo molti; è forse cosa peggiore l’avere più Papi in vece di un solo? I concistori protestanti si attribuiscono pur troppo il posto di un Papa, e ne tengono le veci. Di quella libertà, dicon’essi, non se ne deve far mal uso! (Di Langsdorf, Miserie della teologia protestante, Annali teologici 1829, p. 116.).

« Poco: tempo dopo la comparsa della Riforma, si divisò e si pose in opera un insegnamento a modo di sistema protestante, per supplire all’altro cattolico decaduto. Il protestantismo, non già come in principio era come di per sé, ma sì tale quale svolgendosi addivenne, non volle giammai dimettere il pensiero di essere infallibile e di assoluta verità. Esso volgeasi anzi tempo ad un nuovo Papismo, tuttoché protestante, mediante i libri simbolici e le somiglianze di fede, quasi in luogo dell’autorità canonica del Papa. Né ciò bastando bisognava, per soprappiù, privare or questo, or quello di ufficio, ed altri condannare al bando. » (Reuterdahl, Annali teologici, 1829, n. 9).

« Siamo giunti oggimai a tal segno, che non trattasi più del disprezzo ed umiliazione del Clero; ma si cerca guastare e ridurre a niente la Chiesa, avvilendo affatto la religione, e tramutandola in un vero istituto di polizia, o per meglio dire, in una fondazione di un Cesareo Papato senza fine » (Lagnanze del clero protestante di Wimaria. Supplemento alla storia recentissima della Chiesa Alemanna protestante. Germania 1819, p. 37).

« Non avvi più nemmeno un’ombra leggera di qualsivoglia indipendenza della Chiesa. I Magistrati civili, ossia coloro che esercitano gli uffici dello Stato, vi soprastano a seconda dei loro capricci, e comandano tiranneggiando su tutto. » (Apologetica della Chiesa Alemanna protestante, Lipsia – 1820, p. 19).

« Qualunque Confessione, che gli oratori e i disputatori sian pervenuti a fare adottare al Principe, bisogna che i sudditi la riconoscano immantinente per la sola buona, e per la sola vera, sotto pena di confisca, di esilio, d’infamia, e spesso dell’ultimo supplizio, anche allora che nella loro convinzione ella fosse di natura da portarli a tutti i diavoli.! » (Vogel, Methodus duplex, p. 11, 17). Vi è ancora di peggio, imperocché …

64. « Il dare questa Supremazia ai Re, è un darla talvolta ad una doma; ed ancor più frequentemente ad un fanciullo, ed anche ad un fantolino. Noi la vedremo devoluta ad un fanciullo di nove anni (Edoardo VI re d’Inghilterra) ;… e supposto per un momento che il Sovrano regnante, e noi la vedremo passare questa Supremazia ad una piccola fanciullina di soli cinque anni incirca! … Ella Sarebbe sol pastore; ella secondo il nostro Credo che ripetiamo ogni Domenica, Sarebbe il Capo della Santa Chiesa!!!? (Cobbet, Op. cit. Lett 3, § 87).

– « Si rimprovera, senza fondamento sufficiente, alla Chiesa Romana di avere avuto una donna per Papa; ma presso di noi vi è ancora di peggio: una tal femmina «può esercitare i diritti pontificali ed episcopali, se essa ha denaro bastevole per comprare una signorìa, i di cui abitanti siano della Confessione di Ausburg. » (Oratio de misero ecclesiæ Augustana Confessioni addieto multis in locis. Argentorati, p. 5)

In conferma di quanto ti dico, eccoti una Bolla di una nostra Papessa.

« La Regina sola avrà potere di creare i Vescovi. Ogni altra elezione o nomina sarà nulla: e i Vescovi non potranno esercitare alcun diritto, né giurisdizione episcopale, che sotto la buona grazia ed in virtù dell’autorità conferita loro da sua Maestà » (Decreto di Elisabetta regina d’Inghilterra, pubblicato nell’Art, V, della legge del 1559).

«Oimè! I figli della libertà del Vangelo sì veggono al presente schiacciati da un Papato voluto esercitare dai Sovrani, il quale appunto perché educato e cresciuto al fianco della spada, ritrae tutta la durezza e tirannia di che questa può esser capace. » (Schulz, Forti richiami contro î teologi, e giureconsulti de’ nostri giorni ec, Lipsia 1826).

«La Chiesa Cattolica non si è giammai lasciata assorbire dallo Stato. Convien renderle questa giustizia: ella non ha mai conosciuto il servaggio, e non ha mai data la sua indipendenza per prezzo dei suoi favori. Essa ha le sue leggi, ha le sue regole, ha il suo spirito; essa appartiene a sé, si ascolta, si rispetta. Protetta dalla sua dottrina, che fa discendere onninamente ogni verità dalla Sede Apostolica, se ne sta nel suo dominio, e rilega lo Stato nel suo. Ella non isdegna di comandare; ma ella sdegna ancor più dall’ubbidire, ed è la sua gloria, gloria pura e degna d’invidia!» Prosegui….

LO SCUDO DELLA FEDE (162)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (30)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi

PUNTO III.

Vera ragione per cui i Riformatori dichiararono la Santa Scrittura unico giudice della fede, unica regola del cristiano secondo il senso privato. — Effetti della interpretazione privata.

55. Prot. Tale avvenimento sarebbe stato realmente una significante disfida, se i Riformatori avessero conservata e data la vera Bibbia: ma l’essersi appellati alla Bibbia, l’aver data la Bibbia come unica regola, etc. dopo averla travisata, alterata e rifatta a lor modo, come già ti ho detto, (Vedi sopra, N, 31, e la I, parte, N, 72). Tale avvenimento non è più un’onorata disfida, ma una vituperevole trufferia. Oltre a ciò, la vera ragione che a tal partito li spinse, equivale a una solenne condanna della lor causa, quand’anche avessero conservata intatta la Bibbia. Se tu l’ignori, ascoltami, che io ti narrerò il tutto esattamente e per ordine.

« La Tradizione, una prescrizione di tempi lontanissimi, le decisioni date da colui che siede nella sedia di S. Pietro, i pensieri dei Padri della Chiesa e dei Dottori di lei, ed a soprassello di delirio, pur anco la venerabile formola nel primo Sinodo di Gerusalemme — Egli piace allo Spirito Santo ed a Noi pronunziata da’ Concilii ecumenici o generali, vennero reputate cose da nulla, e quasi altrettante quisquilie e superfluità da’ Riformatori e da’ loro seguitatori, allora quando erano contrarie alla prima loro convinzione ed agli argomenti su cui essa saldissima si fondava. E conviene però sapere, tutto questo essere avvenuto a poco a poco.

» Da prima essi medesimi molto dubitavano della strada per la quale avevano mosso il passo; né sapevano fin dove gli avrebbe ella condotti, essendo essi ben lungi dall’iscacciar da sé di primo colpo ogni autorità della sede Romana, dei Padri della Chiesa, dei Concilii e della Tradizione. Si studiavano a tutto uomo, perché le loro interpretazioni riuscissero in guisa, che fossero appoggiate da’ Santi Padri, e dai grandi dottori della Chiesa, dalla Tradizione e dalle decisioni de’ Concilii. Ma non prima addiveniva che coteste autorità dessero, comunque fosse, una testimonianza favorevole a’ loro avversarii, tantosto la negavano, e ne appellavano ad un’autorità superiore. Se un’appellazione veniva spesse fiate riportata ad un futuro Concilio ecumenico, e valeva alcun che più che una segreta mena chiesta imperiosamente dalle loro circostanze, questa riteneva in sé una fiducia nella maggioranza di tal concilio, la quale rispondeva a capello a quel convincimento, che i Riformatori avevano intorno alla bontà della causa loro. Imperocchè, dato che il Concilio avesse presa decisione contro di essi (come poco dopo venne fatto dal Concilio di Trento) che altro rimaneva, se non palesare in aperto, tutta la Gerarchia radunata in consesso non esser che uomini, i quali, quantunque insieme raccolti, pur fossero tanto fallibili ed all’errore propinqui, quanto ciascuno per sé isolatamente lo fosse?

» Per il che prestamente si trovarono in quel punto, donde non si poteva più uscire senza dichiarare, come fecero.,. esser la Scrittura l’unico e perentorio giudice nelle materie pertinenti alla fede, e il solo fonte, da cui si dovesse attingere e derivare la dottrina di Cristo. Quanto poi le cose, di che parliamo, avessero valore rispetto alla Chiesa Cattolica, e questa quali opposizioni avrebbe potuto fare a cosiffatto sistema, non è a dire. Bastaci solamente di qui accennare che separossi a poco a poco vieppiù, il lume, ben dove ognuno avvedersi, che un libro, per quanto infallibile e divino si fosse; allora solamente era da riputarsi siccome giudice infallibile in materia di fede, quando sì assomigliasse ai principii della scienza Geometrica…. La Bibbia non è un tal libro.» (Wieland, Opere varie, T. 1, p. 186).

56. « Per il che abbiam fatto sètte e fazioni, predicando senza alcun discernimento; senza precauzione né prudenza alla canaglia, a plebe insensata e furibonda. Molta gente brava ed esperta vi ha fatto anch’essa naufragio, ed assai predicatori riputati nostri… non sanno ben maneggiarsi; e da uomini frenetici e furibondi non fanno che schiamazzare al popolazzo – Parola di Dio, parola di Dio, parola di Dio, — e dal Vangelo escono (cioè fanno uscire) menzogne diaboliche: per la qual cosa da un Lutero sorge un Munstero, e gli altri fomentatori di turbolenze, gli Anabattisti, i Sacramentarii, e tanti altri falsi fratelli! » (Lutero, Opp. ediz, di Wittemberga, 1573, part. V, p. 5, 6, 75).

« Che razza di gente sono i nostri protestanti, vaganti su e giù portati da ogni vento di dottrina ora da questa, ora da quella parte? Voi potete forse conoscere quali sieno i loro’ sentimenti di oggi in materia di religione; ma non potete certamente dire quali saranno quelli di domani! In quale articolo di religione si accordano quelle Chiese tra loro, le quali hanno rigettato il Vescovo di Roma? Esaminatele tutte da capo a’ piedi, voi appena troverete una cosa affermata da uno, che non sia immediatamente condannata da un altro come empia dottrina! » (Andrea Dudith, nella sua lettera a Reza)

« Tutti tra noi sono Dottori; tutti divinamente addottrinati! Non vi è il più infimo facchino o buffone, il quale non ci spacci i suoi propri sogni per parola di Dio!… Per il che un’immensa caverna sembra che siasi aperta, d’onde si è innalzato un fumo, il quale ha offuscato i cieli e le stelle, e le locuste sono uscite fuori con gli aculei, vale a dire – una numerosa progenie di settari e di eretici, i quali hanno rinnovellate tutte le antiche eresie, ed hanno ritrovate molte mostruose opinioni loro proprie. Questi hanno riempiute le nostre città, villaggi, campagne, case, anzi le nostre chiese ed i pulpiti ancora, ed hanno tirato seco il misero deluso popolo alla fossa di perdizione (Il dott. Wartan, nella prefazione della sua poliglotta).

« Gli eroi della seconda Riforma, erano gran leggitori della Bibbia, e presso che ognuno di essi diventava, all’occasione, predicatore … Ciascheduno interpretava la Bibbia a suo modo, e tutti erano per la Bibbia senza note, o commenti. Ruggièro North (protestante) nel suo Esame dà ragguagli di tutte le specie di bestemmie e di orrori commessi da siffatta gente, che avevano infettati gli animi di tutta quasi l’intiera comunità. Quindi ogni sorta di mostruosi misfatti. A Dover una donna recise il capo ad un suo bambino, adducendo di averne avuto, come Abramo, un particolare comando da Dio. Un’altra donna fu giustiziata a York per aver crocifissa la propria madre. Essa aveva insieme sacrificato un vitello ed un gallo. Questi tra gli orrori di quella compiutamente pia Riforma, non sono che un mero saggio. E come non farsi luogo a simili orrori? Noi troviamo nella Bibbia delle uccisioni; e se uno debbe essere a sé stesso l’interprete di quel libro, chi sarà che dica di agire in modo contrario alla propria interpretazione di quello? E come impedire tutte coteste nuove mostruose sètte? (Gobbet, Op. cit. Lett. 12, § 366). » Sino dal principio io sospirando diceva:

« Se l’interpretazione della Bibbia secondo l’opinare e il sistema di quelle scuole prende il sopravvento, in poco stante, non vi ha dubbio, la Sacra Scrittura si ridurrà in un bel niente, e verrà la ragione dell’uomo in sua vece; questa salirà sul trono, questa diventerà la guida benevola, questa sarà l’unica norma della nostra religione. » (Francesco Turrentino, Ministro e professo di teologia in Ginevra, Lett. a Giov. Heiddeger, 1665). Tutto questo lo vediamo avverato. Il protestantismo è un pretto razionalismo.

PUNTO IV.

L’Inquisizione spagnuola e la protestante.

37. Apost. Checchè sia della vostra Riforma, è certo almeno che essa non è sanguinaria come il Cattolicismo. A chi non son noti gli orrori dell’Inquisizione di Spagna?

Prot. Tu non ignorerai che i Giudei eran singolarmente presi di mira dall’Inquisizione di Spagna. Or dunque senti che cosa. Ne dice un Giudeo Rabbino Tedesco.

« Le ingiustizie di Spagna son cosa affatto speciale e propria del popolo spagnuolo. Quando la Spagna cacciava i Giudei, i Papi (N. B.) accoglievano in Roma e nei loro Stati i perseguitati; quando la Spagna inferociva con barbarie contro di loro, essi trovavano nei Papi protezione e salvezza. » (Rabbino Philipson, nella sua Gazzetta Universale pei Giudei, che esce in Magdeburgo. Vedi il Cattolico (giornale) di Genova, 7 Genn. 1860, N. 3046).

Ecco pienamente giustificata la Chiesa Cattolica su questo punto da un giudice non sospetto di parzialità.

« Tutti professano unanimemente, ed in generale con sincerità, la massima avversione ad ogni genere di persecuzione…. A principio (di persecuzione) i primi Riformatori non rinunziarono. Si lagnavano delle persecuzioni a cui erano esposti, non perché  dubitassero che gli eretici debbano venire perseguitati, ma perché negavano di essere essi eretici. Dichiararono che la persecuzione consiste nelle pene inflitte a coloro che seguono la vera Fede, e tale era secondo essi la loro, ma il mettere a morte i veri eretici era agli occhi loro non persecuzione, ma bensì un atto di giustizia! » (Whately, attuale Arcivescovo Anglicano di Dublino, Introduzione alla storia del culto religioso; Lez. IX, § 5)

Troppo lunga e spaventosa sarebbe la mia narrazione, se riferir ti dovessi le stragi, li orrori commessi a questo’ proposito in Ginevra da Calvino, ed in generale dai protestanti in tutti i paesi di loro dominio in Europa, e singolarmente in Inghilterra. Quindi per non andar troppo in lungo mi ristringerò a darti un saggio delle persecuzioni avvenute contro i Cattolici in questo ultimo paese sotto il regno di Enrico VIII, e di Elisabetta sua figlia, e di quelle avvenute in Olanda. Ascolta.

« L’opera di sangue cominciò (in Inghilterra), e continuò poi di passo costante… E per dare un saggio delle opere del Riformatore (Enrico VIII), contentiamoci di parlare del trattamento usato con Giovanni Houghton priore della Certosa di Londra. (Questo infelice priore, per aver ricusato di prestare il giuramento (di supremazia ecclesiastica), il quale (notate) prestar non poteva senza commettere uno spergiuro, fu trascinato a Tyburn (luogo di supplizio). Appena egli fu appeso, che si tagliò la corda; ond’egli vivo stramazzò sul suolo…. Fu denudato, gli furono stracciati dal corpo gli intestini, i visceri ed il cuore, e gettati sulle fiamme; gli fu troncata dal busto la testa, il fusto fu diviso a quarti fatti sobbollire; i quarti poi tagliati a pezzi, ne furono sospese le membra nelle differenti parti della città, ed uno de’ suoi bracci fu inchiodato al muro sull’ingresso principale del suo Convento!

« Tali sono i mezzi che a talento di Burnet (protestante) furon necessarii ad introdur la Religione protestante! Ahimè! Come differiscono essi da quelli che il Pontefice S. Gregorio e Santo Agostino impiegarono ad introdurvi la Cattolica Religione ! » (Cobbet, Op, cit. Lett. 3, § 97, 98).

« Bettina era una gran Dottoressa di Teologia; era estremamente gelosa delle sue prerogative e del suo potere, ma sopra tutto in ciò che riguardava il suo Primato della Chiesa. Ella volle far sì che tutti i suoi sudditi fossero della sua religione, sebbene alla sua coronazione avesse solennemente giurato di esser cattolica…. è per piegare le coscienze del popolo al suo tirannico volere stabilì un’inquisizione la, più orribile, che si fosse mai udita al mondo. Ella diede una Commissione, come la chiamava, a certi Vescovi ed altri, il cui potere estendevasi su tutto il regno e su tutte le classi e gradi del popolo. Erano coloro autorizzati ad esercitare un assoluto potere sulle opinioni di tutti gli uomini, a punire tutti gli uomini a loro capriccio, eccetto la morte…. Questi mostri subalterni imponevano quelle multe che andavano loro a genio, imprigionavano essi delle persone per quella lunghezza di tempo che loro attalentava. Essi mettevano in campo quantunque nuovi articoli di fede suggeriva loro il capriccio; insomma erasi questa una Commissione che in nome e pei disegni della buona regina Betta esercitava un assoluto potere sui corpi e sugli spiriti di quella gente, che i vili, gli ipocriti ed i rapaci Riformatori pretendevano di aver liberata da una schiava soggezione del Papa….

« Un’occhiata che si dia ai fatti di cotesta indegna Tiranna, nel vedere a quanto abietta schiavitù ridotta ella aveva la nazione, e specialmente nello scorgere questa Commissione, egli è per noi impossibile il non riflettere con vergogna su ciò, che siamo andati sì lungo tempo dicendo contro la Ingiustizia di Spagna, la quale dal primo suo stabilimento fino al giorno d’oggi non ha commessa tanta crudeltà, quanta ne ha commessa questa feroce apostata femmina protestante, in ciascuno dei quarantacinque anni del suo regno. E piacciavi di osservare, e di non mai dimenticare, che i Cattolici quando imponevano delle punizioni le imponevano sul fondamento che i delinquenti eransi dipartiti dalla fede in c 7ui erano stati educati, e che aveano essi professato per tutta la loro vita. E nel caso particolare di questa brutale ipocrita, furon essi puniti poi nel modo più barbaro per aderire appunto a quella religione, che ella aveva manifestamente professata per molti anni di sua vita, ed a cui aveva giurato di appartenere nell’atto stesso della sua coronazione.

« Vi ha bisogno appena il tentar di descrivere gli strazi che ebbero a patire i Cattolici durante questo regno crudele. Niuna lingua, niuna penna esser puote all’uopo adeguata. L’ udir Messa, il ricettare un prete, l’ammetter la supremazia del Papa, il negare a quest’orrida amazzone la spirituale supremazia e cose altre parecchie che un onorato Cattolico poteva a mala pena evitare, lo consegnavano al palco ed al coltello dilaniatore…. I sacerdoti che non erano mai usciti d’Inghilterra, e che. erano preti innanzi al regno di codesta femmina orribile, al ventesimo anno del costei regno erano ridotti a ben pochi; perocchè per legge vietavasi l’ordinarne de’ nuovi sotto pena di morte…. Quindi vessò gli antichi rimanenti sacerdoti per siffatto modo, che all’anno ventesimo del suo regno furono eglino presso che sterminati. E siccome per un sacerdote era morte l’andar fuori del regno, morte il dargli ricovero, morte per lui il far le sue funzioni in Inghilterra, morte il sentir la sagramental confessione, sembrava impossibile l’arrestar colei dall’estirpare, e totalmente estirpar dal suo reame quella religione, sotto i cui auspici l’Inghilterra era stata sì grande e felice per tanti secoli….

« Essendo poi soddisfatta in tutti i suoi progetti di distruggere il tronco di quegli evangelici operarii, ella con più furia che mai si fece addosso alle branche e al fusto di quello. Il dir messa e l’udirla; il far la confessione e l’ascoltarla, l’insegnare la Cattolica Religione e l’esserne ammaestrato, infine l’alienarsi dalla Chiesa di lei, erano questi tutti gran delitti, e tutti puniti con più o meno di severità; per cui le forche, è patiboli e le torture erano in uso continuo; e le carceri, e le segrete erano stivate di vittime. » (Cobbet, Op. cit. Lett. XI, §338, e segg.).

«In Olanda i tormenti ordinarii della tortura la più crudele non furono che i minori mali che si fecero soffrire a questi innocenti (cattolici). Le loro membra slogate, i loro corpi lacerati dalle verghe, venivano in seguito avviluppati in lenzuola bagnate nell’acquavite, vi si appiccava il fuoco, e si lasciavano in questo stato fino a che la lor pelle annerita e rangrinzata scoprisse i nervi nelle parti del loro corpo. S’impiegava lo zolfo, e mezza libbra di candele per abbruciar le ascelle e le piante de’ piedi. Di tal guisa martoriati si lasciavano alcune notti coricati sulla terra senza coperta, ed a furia di colpi si cacciava lungi da essi il sonno. Il lor nutrimento non era che di aringhe ed altri alimenti che loro si porgevano affin di eccitare nelle loro viscere tutto il fuoco di una sete divorante, senza lor permettere l’oso di un bicchier d’acqua per quante suppliche si facessero. Si collocavano dei calabroni sull’ombelico dei pazienti e se estraeva il pungolo che vi avevano immerso, della lunghezza dell’articolazione di un dito. Soni stesso aveva inviato a questo spaventevole tribunale, un certo numero di topi che si collocavano sul petto e sul ventre di questi infelici, sotto uno strumento di pietra, o di legno fatto a tal uopo, e ricoperto di una placca di rame. Il fuoco posto sopra questa placca sforzava questi animali a roder le carni e farsi un passaggio sino al cuore ed alle viscere. Si abbruciavano queste ferite con carboni accesi, si faceva colare del lardo fuso su questi corpi insanguinati! … Altri orrori più ributtanti ancora furono posti in opera con un sangue freddo, de’ quali appena, si potrebbero trovare esempi tra i cannibali; ma la decenza mi proibisce di proseguire! » (Abregé de l’histoire de la Hollande par M. Kerroux, Leyde 1778, T. 2, p. 310).

LO SCUDO DELLA FEDE (161)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (29)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi.

PUNTO I.

Presso chi sia la vera Bibbia, la vera parola di Dio: chi sieno i veri corruttori della Bibbia.

50. Apost. Resto grandemente sorpreso, stupito, sbalordito dell’orrida descrizione, che fatta mi avete della vostra Riforma (ossia di voi stesso) dal giorno della sua nascita sino a’ suoi funerali inclusive. Nulla posso rispondere a quello che ne avete detto; poiché la confessione di un reo della sua propria reità è tale una prova della medesima; che non ammette risposta, sempre che è libera totalmente e spontanea come è la vostra. Nulla tampoco risponder posso contro gli elogi da voi fatti alla Cattolica Chiesa, essendo fuor d’ogni dubbio non esservi prova più autentica, incontrastabile di ciò che ha di buono, di lodevole un individuo, quanto la libera testimonianza dei suoi nemici; e molto più quando essi testificano a loro proprio danno e confusione. Ciò nonostante mi siete venuto in sospetto di poca lealtà, perché taciute mi avete tante brutte magagne che i vostri Emissarii, voleva dire i vostri Missionarj, mi hanno scoperte nella Cattolica Chiesa, e persino me le han fatte vedere stampate in certi libercoli che mi han regalati, dalle quali la Riforma va esente e onde almeno per questa ragione meritava essa i vostri elogj. Ditemi dunque: non è egli vero che la Chiesa Cattolica non ha la vera Bibbia, che ha corrotto in mille guise la parola di Dio, perché  non ammette altra Bibbia come autentica, che quella detta la Volgata dopo averla ripiena di corruzioni, di errori? Non è egli vero che la Riforma non si è macchiata di tale iniquità, e possiede la genuina parola di Dio, perché la sua Bibbia è stata esattamente tradotta dai veri Originali Greco ed Ebraico?… Rispondete.

Prot. « Giudicano i dotti (protestanti) che la Volgata debba preferirsi alle altre odierne (edizioni) latine, perché più antica di tutte, e nella Chiesa Occidentale è stata pubblicamente ricevuta per molti anni; onde meritamente deve molto stimarsi, né deve temerariamente rigettarsi, come di poi più diffusamente dimostreremo. » (Walton, Prelegom. X, N. 3, p. 72.).

« Giovanni Brosio, nostro compatriota, scrisse un trattato dottissimo, nel quale fa le difese dell’antica Versione (la Volgata), moltissimi luoghi della quale confrontati coll’edizione di Bezza e di altri, dimostra che sono onninamente retti » (Il celebre Millio, Prolegom. In N. Test. Oxon, 1707, p. 138.)

« Annotai poi quelle cose che credei bene doversi annotare alla Versione Latina (la Volgata) da gran tempo ricevuta, la quale sempre moltissimo stimai, non solo perché non contiene dogma alcuno insalubre, ma anche perché ha in sé molto di erudizione, quantunque usi un genere di dire assai ruvido. Per quelli che non hanno imparato né l’ebraico, né il greco è sicurissima la Versione Volgata, la quale non ha dogma: alcuno cattivo, siccome il consenso di tanti secoli e di tante genti ha giudicato. » (Ugone Grozio, Præf. ad Comment. in Libros V. Vet. Test. — et in Vot. pro pace.)

« Preceduto avea la Volgata, negletta di poi malamente, essendo essa la prestantissima di tutte le Versioni… Imperocchè i miei stessi discepoli tanto protestanti come pontifici facilmente si rammenteranno quanto grandemente io commendi l’uso sì critico, sì ascetico della Volgata, e vituperi il disprezzo di essa. » (Dav, Michaels, Supplem. ad Lèxio hebraic. part. 3, p. 992. = e nella Biblioteca Orientale, T. I, N. 311).

« Oh quanto immeritamente Erasmo riprende in molti luoghi l’antico Interprete (l’autore della Volgata) come dissenziente dai Codici greci! Dissente, lo confesso, da quegli esemplari (del Nuovo Testamento) i quali esso Erasmo aveva trovato, Ma non abbiamo trovato, che appoggiata sia neppure in un luogo coll’autorità degli altri Codici anche antichissimi quella interpretazione che egli riprende; che anzi in alquanti luoghi osservato abbiamo, che sebbene la lezione dell’antico Interprete non convenga alle volte co’ nostri greci esemplari, con tutto ciò quadra assai meglio; sembra, cioè che abbia séguito un più emendato esemplare. » (Bezza, presso Rich, Simon, Hist. critique du Nuov. Test. chap. 28).

« Nelle sue Note ai Vangeli e agli Atti (Isacco Casabuoni) spesso preferisce la lezione della Volgata a quella dell’odierno testo greco, e dimostra che la Volgata combina con gli antichi Manoscritti Greci. » Ora veniamo a noi.

51. « Riguardo alle Versioni di Beza e del Pescatore, dei quali molto stimo l’erudizione, ed a quelle degli altri ,, l’erudizione de’ quali non istimo tanto, molti hanno ammonito che spesso sono stravolte a sensi privati….. Della: Versione Ginevrina, la quale ne’ luoghi non controversi non è da disprezzarsi, il Re Giacomo, etc.? » (Grozio, Vot. Pro pace, pag. 674)

« Anche in Inghilterra « ad oggetto che il popolo si acconciasse alle innovazioni, i depredatori (riformatori) si avvisarono di dar fuori una Bibbia ordinata a tale scopo, la quale Bibbia non era che una continuata alterazione del testo originale in tutti quei luoghi in cui si credé necessaria! Questo per avventura si fu l’atto il più sfacciato…. In esso noi ravvisiamo la vera indole degli Eroi della Protestante Riforma. » (Cobbet, Op. cit. Lett 7, § 208.).

Apost. Non potrete al certo negare che almeno la Bibbia tradotta in italiano da Giovanni Diodati, e che i vostri Missionarii ci presentano come una gemma preziosissima, non sia perfettamente genuina e sicura.

Prot. « Siccome questo Interprete non aveva altro fine che d’istruire i seguaci del suo partito, egli ha adattato (accomodée) la sua interpretazione e le sue note alla loro dottrina. Necessitava assolutamente, che a tenore de’ principii di Ginevra, essi trovas- sero la loro Confessione di fede nella Scrittura, e per tal motivo convenne che egli restringesse in alcuni luoghi, a tenore di questa idea, ciò che nell’originale esisteva in termini troppo generali. » (Così Riccardo Simone, non solo protestante, ma panegirista dei protestanti, citato dal Martini, ediz. Venez. Del 1832, vol. 64°, p. 6).

PUNTO II.

Non è vero che la Chiesa Cattolica proibisca in modo assoluto la lettura della Bibbia in lingua volgare, ne sottragga il frutto ai fedeli, o ne proibisca l’uso alla protestante, perché la creda contraria alla sua fede. — Società Protestante promotrice della Dottrina Cristiana altre di simil fatta: loro qualità, brutti maneggi e tenebrosi intenti.- Fede Cattolica: – sua verità – Culto de’ Santi, perché abolito dai pretesi Riformatori.

52. Apost. Da quanto mi avete detto chiaramente risulta, che la sola Chiesa Cattolica possiede la vera Bibbia, la genuina parola di Dio: che la sua Volgata, la più esatta di tutte le versioni, la più conforme agli Originali, è preferibile a tutti li odierni greci Esemplari; che i protestanti son quelli che hanno una Bibbia erronea; che l’hanno di più interamente corrotta, stravolgendola a sensi privati, eccetto i soli luoghi non controversi. Tale è la vostra sentenza, né io ho ché ripetervi. Ma ditemi, perché la Chiesa Cattolica ne proibisce la lettura in lingua volgare, e così priva i fedeli del gran frutto della parola di Dio?… Come! Proibire la parola di Dio! Ciò fa senz’altro perché la ravvisa contraria a’ suoi dogmi, ai suoi insegnamenti.

Prot. Non mi aspettava questa tua conseguenza; poiché vuol poco a conoscere che la Bibbia dev’esser contraria non già a chi la mantiene illibata, segno manifesto che nulla ha che temere dalle sue divine sentenze; ma bensì a coloro che la travisano, la corrompono, non essendovi altra ragione che questa di tal sacrilego attentato. Ma rispondiamo per ordine.

« Il pretendere di asserire che la Chiesa Cattolica rifiuti accordare ai suoi aderenti la lettura della Bibbia, è ciò un calunniarla. Là, per lo meno, dov’ella trova la semplicità e fedeltà cristiana, non lo fa giammai, ma si sforza di prevenire le ricerche di pura curiosità, i dubbi di pura critica, la lettura non approfondita. Non vi è dubbio che questa sua cura potrebbe quà e là essere spinta troppo oltre…. Ma in presenza degli emissarj inmglese che, simili agli uccelli di rapina, ai bracchi, vanno a seminare la discordia dappertutto, senza considerare l’uomo tal quale egli è, né  rispettando nel loro orgoglio anglicano convenienza di sorta, questa severità e queste ansiose cure de’ preti cattolici per le loro pecorelle sembrar dovrebbero pienamente giustificate anche allora quando non ne fossimo persuasi! » (Il celebre Dottor Leo di Berlino, Risposta al giornale di Halla. Vedi Annales catholiques de Genève; 4 Livr. 1855, P. 273.)

« Quando pure vi fossero (nella Bibbia) dottrine al tutto lontane dalla ragione, già se ne avrebbe anco di troppo per porre dall’uno dei lati ogni uso di ragione nel dichiarare le Sante Scritture; perocchè quello (N. B.) non varrebbe che a dimostrare esser vero il sistema Cattolico solamente?» (Zimmermann, nella Gazzetta Letteraria di Lipsia 1829, N.27) Hai capito?

53. Apost. Se così è, perché quella vostra Società inglese detta “Società promotrice della Dottrina Cristiana” – in un suo libercoletto intitolato Roma e la Bibbia (Londra 1855) va declamando che Roma proibisce ai fedeli la lettura della Bibbia, perché la conosce contraria al suo religioso sistema?

Prot. « Ti prego riflettere che questa Società, per promuover la Dottrina Cristiana, va di continuo pubblicando delle Opere, l’oggetto delle quali si è di dare a credere al popolo d’Inghilterra che la Cattolica Religione è idolatra e condannabile, e che per conseguenza una terza parte della totalità de’ nostri consudditi sono idolatri, e destinati all’eterna perdizione, e che non dovrebbero essi conseguentemente dei medesimi diritti, dì che noi protestanti godiamo. Questi calunniatori conoscono bene, che que- sta stessa Cattolica Religione fu per novecento: anni l’unica religione cristiana conosciuta dai nostri antenati. Egli è questo un fatto, che essi non possono mascherare alle persone intelligenti. E perciò tanto essi, quanto il clero protestante stanno costantemente applaudendo al cangiamento, che ebbe luogo circa a dugent’anni fa, il qual cangiamento passa sotto il nome di Riforma » (Coblet, Opera citata, Lett. 1, § 2)  – « Chiunque sia nell’animo non dico del tutto, ma almeno così fattamente preoccupato, che il cuore guisa scevro ed immacolato, certo che altamente si corruccia, e con ferma e salda voce si fa innanzi a reclamare contro quelle diverse lingue e quelle orribili favelle veramente infernali; con che i nemici del Cattolicismo non dubitano di menargli addosso l’ultimo colpo mortale. Cotal linguaggio non è certamente quello. della verità, ma sì quello della passione che trabocca, quello che si pare chiaramente dell’interesse, e per conseguenza che nulla determina e stabilisce! » (Alberti Teofilo, ossia, Meditazioni religiose 1828, p. 75.).

« Cotesti corifei e servili seguaci dello spirito non di verità, ma di setta e di partito, bene avventuratamente sono eglino vinti, e le loro dottrine messe a terra da nient’altro che da un Catechismo qualunque che a caso capitasse nelle mani di un Cattolico. » (Fessler: Le mie vedute intorno alla religione, ed alla Chiesa, Lipsia 1807, part. 2 pag. 58).

« Costoro vanno sempre d’attorno levando novelli rumori, suscitando nuove differenze, e ingerendo discordie. Essi soli alimentano l’odio dei partiti religiosi, essi e non altri, siccome avversi al Cristianesimo, tutto ciò che è cattolico censurano. » (Lessing, Opuscoli teologici di vario argomento, part. 2, p. 21).

« L’odio, di che andiamo discorrendo, odio vile, di cui prendono baldanza i nostri teologi contro il Cattolicismo e la Gerarchia Romana, è prodotto dalla moda; e i banditori protestanti le vanno dietro e se ne fanno belli. » (Fogli di conversazione letteraria, del 1835, N. 124).

« La fede del cattolico, a cui il talento dell’uomo va sottomesso, non è già, come altri vorrebbero persuadere, contro la ragione; che anzi questa la giustifica pienamente. La fede cattolica non è altro che. la ragione credente sottoposta all’autorità divina. » (Marhemecke. La Simbolica).

« L’opera eziandio dei venerandi Padri radunati in Concilio nella città di Trento, non fu e non è che una deduzione la più conseguente, e in pari tempo un confermare il dogma cattolico secondo i dettami della Santa Scrittura e della Tradizione Apostolica. » (Fessler, Storia degli Ungheresi; T. 8, p. 184.).

« Chiamar la fede della Chiesa Romana priva di luce e di verità, egli è un’ingiustizia che regge al paragone colle più inique. Non l’han difesa questa fede tanti uomini sommi e generosi, onore dell’umanità? Non han cercato altri con i propri scritti di renderle il suo, senza cavilli ed inganni, ma sì colle leggi dell’intelligenza?» (F. Bonteweeke. Manuale delle scienze filosofiche, Gottinga 1820) Con tutto ciò accusano e condannano questa Chiesa come superstiziosa e idolatra! Che te ne pare?

54. Apost. L’accusano in tal modo e la condannano pel suo culto dei Santi, e altresì pel superstizioso immenso dispendio che spreca pel culto religioso in generale: le quali cose, come ben sapete, i Riformatori spinti furono ad abolire per assoluto dovere di cristiana delicata coscienza. Non è egli vero?

Prot. Per ristringermi alla sola Inghilterra su questo grave rapporto, e non dilungarmi di troppo:

« Bisognerebbe che fossimo precisamente contrarii a ciò che sempremai si è pensato esser gli Inglesi, se tuttora affettassimo di credere che la distruzione dei Sacrarii de’ nostri antenati derivò da motivi di coscienza…. I signori Riformatori depredaron le Chiese cattedrali così come i Conventi e le loro Chiese E però non deve fare in modo alcuno meraviglia che assai per tempo, in sul bel principio della pia loro ed onorata intrapresa, volgessero eglino i loro frettolosi passi verso Cantorbery, che a preferenza d’ogni altro luogo erasi contaminato del manifesto peccato di possedere ricchi altari, tombe, immagini d’oro e d’argento insieme con dei manifestamente peccaminosi diamanti ed altre pietre preziose… »

« Ma erano a Cantorbery due oggetti, per cui i nibbj della Riforma vi furono particolarmente tratti, cioè il monastero di S. Agostino, e la tomba di Tommaso A. Becket. Il Santuario del primo, siccome era opera di gran magnificenza, offerse un copioso bottino ai saccheggiatori, i quali se avessero potuto avere accesso al Sepolcro di Gesù Cristo, e trovato lo avessero ricco del pari, eglino fuor di dubbio lacerato lo avrebbero a brani. »

«Ma come che ricca  si fosse questa preda, ve ne aveva pur una più grande nel Santuario di Tommaso A. Becket nella Chiesa cattedrale…. Questa tomba di Becket era di legno lavorato colla massima squisitezza, intarsiato abbondevolmente di ricchi metalli, e densamente tempestato di pietre preziose di ogni sorta. Qui stava un oggetto per la riformatrice pietà da fissarvi sopra è suoi sguardi divini. Che se in una delle nostre Chiese ora trovar si potesse per avventura un Santuario cosiffatto, oh! come griderebbero i Swaddlers per un’altra. Riforma!… »

Ogni altare di chiesa aveva, come già osservai, più o meno di oro o di argento. Parte di questo consisteva in sacre immagini, parte in turiboli, candelieri ed altri oggetti…. La parte fanatica de’ Riformatori prendevasi diletto in questionare, etc…. Ma ben altri erano i pensieri che occupavano l’animo dei derubatori! Eglino erano assorti in meditare sul valore delle Immagini, dei turiboli e degli altri sacri arredì.! » (Cobbet, Oper. cit. Lett. 6, §° 117, e seg. – e – 207).

Apost. Ora comincio a comprendere perché anche nella mia Italia certi miei padroni gridano allo spreco delle spese del culto, all’agiatezza degli Ecclesiastici, alla dabbenaggine di chi prega i Santi, etc.; e ardentemente desiderano una Protestante Riforma. – Ma ritornando al nostro primo subietto, dico che se la Bibbia fosse contraria alla vostra Riforma e favorevole al Cattolicismo, come voi supponete, i vostri Riformatori non l’avrebbero data nelle mani di tutti come l’unico giudice in materia di fede, come l’unica regola del cristiano, secondo il senso in cui da ciascuno è intesa. Questo avvenimento è una vera disfida fatta al Cattolicismo, che sola dimostra quanto fosser sicuri di aver dalla loro la parola di Dio.

NORME ATTUALI PER UN MATRIMONIO CATTOLICO “VERO”, VALIDO E LECITO, NON SACRILEGO.

NOLITE TIMERE PUSILLUS GREX…

La Santa Madre Chiesa nella sua immensa sapienza e preveggenza, ha definito dottrine che sono adatte ai tempi di prosperità e libertà di culto cattolico, e canoni e definizioni dottrinali per i tempi di persecuzione e per la Chiesa “eclissata” o delle catacombe. Al giorno attuale così, il Matrimonio Cattolico tra i pochi, ostinati fedeli Cattolici, è possibile pure nella difficoltà pratica, per i più, di reperire un sacerdote o prelato cattolico in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, capace quindi di fornire dei Sacramenti validi e leciti, e nello specifico di rendere possibile l’acquisizione della grazia santificante e particolare relativa ai fini del Sacramento stesso, in questo caso, del Matrimonio. In effetti i fedeli Cattolici che vogliono ad ogni costo evitare – giustamente – le sette acattoliche, e soprattutto la setta del falso profeta della sinagoga di satana [la cosiddetta setta del “Novus ordo” di istituzione massonico-kazara!] oggi usurpante il Vaticano e tutti gli edifici di culto un tempo appartenenti alla Chiesa Cattolica, con le relative false funzioni che, lungi dall’apportare grazia, assicurano la “disgrazia” personale, familiare e sociale, hanno perplessità ed indecisioni nell’approcciarsi correttamente al matrimonio senza commettere una serie di gravi sacrilegi e peccati che comprometterebbero il cammino di salvezza per sé, il coniuge, i parenti ed i partecipanti a funzioni invalide ed illecite e – soprattutto – alla futura prole che verrebbe generata in regime di peccato mortale e fuori dalla Chiesa Cattolica, complicando in tal modo tutta la loro vita di grazia, di redenzione e di salvezza.

Ma … nessun problema, la Santa Madre Chiesa, la parte militante del Corpo mistico di Cristo, guidata infallibilmente dallo Spirito Santo e che opera da “Maestra delle genti” attraverso il Magistero apostolico Ordinario e Universale esercitato dal Sommo Pontefice Romano e della sua Gerarchia, ha pensato proprio a voi in difficoltà, in questri tempi di apostasia e di impostura dottrinale e canonica, spianandovi la strada al Matrimonio cattolico, se ci è lecito così definire … delle catacombe. – Sovvenendoci, quindi, delle esortazioni del profeta Isaia: … « Confortate le braccia infiacchite e le ginocchia vacillanti rinfrancate. Dite ai pusillanimi: Coraggio, non temete; ecco il vostro Dio… verrà… », possiamo ricorrere in tutta certezza e sicurezza al Motu Proprio: « De disciplina Sacramenti Matrimonii pro Ecclesia orientali di S. S. Pio XII » del 22 febbraio 1949 (festa della Cattedra di S. Pietro). – Ferme restando tutte le altre disposizioni (ivi dettagliatamente riportate) in materia di impedimenti, dispense e preparazione al Matrimonio cattolico (per noi la retta vera dottrina, una pratica di vita cristiana, la frequentazione di “veri” Sacramenti materiali e formali – se possibile – o almeno spirituali: severo e sincero esame di coscienza, contrizione perfetta con implicito desiderio di Confessione sacramentale appena possibile, Comunione spirituale …), un canone in particolare concerne le situazioni estreme che riguardavano allora i fedeli orientali, ma che oggi sono ubiquitarie e riguardano praticamente l’intero pianeta, in riferimento alla disponibilità di un sacerdote o prelato cattolico della “vera” Chiesa “una cum Papa nostro Gregorio”.

Il Canone rinuncia esplicitamente alla presenza di un sacerdote alla celebrazione del matrimonio in determinate circostanze straordinarie, ma non rinuncia, anche in questo caso, alla richiesta che il matrimonio sia celebrato davanti ad almeno due testimoni. Il matrimonio è validamente celebrato davanti ai soli testimoni comuni (naturalmente Cattolici), quando è impossibile per le parti avere o avvicinare un Sacerdote autorizzato, purché si verifichi una di queste condizioni:

1) una delle parti parte è in pericolo di morte,

2) si prevede che non sarà disponibile alcun sacerdote autorizzato per almeno un mese.

In situazioni estreme per il matrimonio non è richiesto il sacerdote!!!

Nota: «Sebbene i Canoni non concedano esplicitamente nessun’altra rinuncia alla celebrazione, c’è la dispensa all’obbligo della legge che richiede l’assistenza attiva di un sacerdote autorizzato e l’assistenza di testimoni, almeno nel caso di estrema difficoltà che colpisce l’intera comunità. Il Sant’Uffizio ha dichiarato che i Cattolici della Cina non sono tenuti ad osservare la legge sulla forma del matrimonio finché continuano le circostanze create dal regime rosso ». (H. BOUSCAREN, CANON LAW DIGEST, III Ed. p. 408).

(Due importanti notifiche del “Noli Timere” sono contenute in questo Canone,

– primo, che in pericolo di morte il matrimonio può essere contratto senza un sacerdote ma davanti a due testimoni, e …

– secondo, che nei luoghi dove non si può avere un sacerdote o le parti non possono recarvisi, non hanno bisogno di aspettare un mese intero, se c’è una buona ragione per giudicare che le stesse condizioni continueranno per un mese).

Riportiamo il canone succitato:

ACTA APOSTOLICAE SEDIS

COMMENTARIUM OFFICIALE

ANNUS XXXXI – SERIES II ~ VOL. XVI

TYPIS POLYGLOTTIS VATICANIS

MDCCCCXLIX

MOTU PROPRIO

DE DISCIPLINA SACRAMENTI MATRIMONII PRO ECCLESIA ORIENTALI

PIUS PP. XII

DE SACRAMENTO MATRIMONII

CAPUT VI

De forma celebrationis matrimonii

Can. 89

Si haberi vel adiri nequeat sine gravi incommodo parochus vel Hierarcha

vel sacerdos cui facultas assistendi matrimonio facta sit ad normam

canonum 86, 87:

1° In mortis periculo validum et licitum est matrimonium contractum coram solis testibus ; et etiam extra mortis periculum, dummodo prudenter prævideatur eum rerum statum esse per mensem duraturum;

In utroque casu, si præsto sit quivis alius catholicus sacerdos qui adesse possit, vocari et, una cum testibus, matrimonio assistere debet, salva coniugii validitate coram solis testibus.

Se vi sia un grave incomodo per il parroco, o gerarca o sacerdoti con facoltà nell’assistere al matrimonio fatto a norma dei canoni 86, 87:

.1° in pericolo di morte è valido e lecito il matrimonio contratto davanti ai soli testimoni; ed anche fuori dal pericolo di morte, quando stando le cose per cui si preveda prudentemente che si protraggano per un mese;

2 ° In entrambi i casi in cui non si possa al più presto chiamare un altro sacerdote cattolico che possa venire ed assistere al matrimonio con i testimoni, salvo la validità dei coniugi, [il matrimonio è valido e lecito… validum et licitum est matrimonium contractum …] davanti ai soli testimoni.

Allora, giovani Cattolici, rincuoratevi, il vostro matrimonio celebrato in tempi in cui entro un mese non sia possibile ottenere la presenza di un vero sacerdote cattolico “una cum” il vero Papa legittimamente e canonicamente eletto Gregorio XVIII (successore di S. S. Gregorio XVII – Giuseppe Siri), celebrato nei modi e con le intenzioni cattoliche, è VALIDO E LECITO (soprattutto!!!), e quindi foriero di grazia matrimoniale santificante per coi, i vostri cari partecipanti al rito da voi officiato con i testimoni, e per i vostri figli cattolici. Cosa aspettate? Il mondo ha bisogno di nuovi Cristiani, ed il cielo ha ancora disponibili posti per tantissimi Santi.

Poi naturalmente occorrerà ratificare il legame matrimoniale al cospetto di un’autorità civile.

IL RITO NUNZIALE

(ex Rituale Romano)

Il Parroco, o chi per lui … si porta davanti agli sposi e domanda il consenso, dicendo:

N. Vis accipere N, hic præsentem in tuam legitimam uxorem iuxta ritum sanctæ matris Ecclesiæ?

[N. Sei contento di prendere N. qui presente, come tua legittima sposa, secondo il rito di Santa Madre Chiesa?]

Lo sposo risponde:

Volo. [lo voglio]

Quindi si interroga la sposa:

N. Vis accipere N. hic præsentem in tuum legitimum maritum iuxta ritum sanctæ matris Ecclesiæ?

[N. Sei contenta di prendere N. qui presente, come tua legittimo marito, secondo il rito di Santa Madre Chiesa?]

La sposa risponde:

Volo.

(lo voglio)

Il Sacerdote (o chi per esso) comanda agli sposi di darsi la destra e dice:

Ego coniugo vos in matrimonium in nomine Patris et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Si aspergono gli sposi e gli anelli nunziali con acqua benedetta (se è possibile averla benedetta da un “vero” Sacerdote o Prelato Cattolico).  

LO SCUDO DELLA FEDE (160)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (28)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO III

Prospetto del Protestantesimo

PUNTO II.

Effetti e orride dottrine della Riforma: putrefazione e disfacimento del Protestantismo.

44. « Le conseguenze di ciò, per rispetto alla morale del popolo, furono tali quali dovevano necessariamente aspettarsi. Tutti gli storici convengono in asserire, che: vizj d’ogni genere, ed i misfatti d’ogni maniera non erano mai per l’addietro avvenuti né così orribili, né così numerosi. Ciò venne altresì confessato dagli stessi maestri della Riforma, e tuttora i protestanti hanno magnificato questo regno come il regno della coscienza e della Religione! Egli era così evidente che il cangiamento era iniquo, che gli uomini non poterono procedere per errore! » (Cobbet, Ivi, Lett. 7, § 201)

45. « Sin dal principio i Protestanti cominciarono ad esser fra se stessi discordi; ma tutti sostenevano, che la sola fede bastava ad assicurare la salvezza; mentre i Cattolici sostenevano che le opere buone pur anco son necessarie. Il più malvagio degli uomini, il più brutale e sanguinario de tiranni esser puote (secondo questa dottrina) uno zelatore credente, poiché gli stessi diavoli credono: ed è perciò che a prima giunta, sembraci veramente cosa strana, che Enrico VIII non divenisse subito uno zelator protestante, vale a dire uno de’ più devoti discepoli di Lutero. Egli lo sarebbe stato senza dubbio; ma Lutero cominciò la sua Riforma alcuni anni troppo presto pel Re… Se cominciato avesse dodici anni dopo, il Re sarebbe divenuto ad un tratto protestante, nel vedere specialmente che questa novella religione permetteva a Lutero e a sette altri de’ suoi fratelli, fautori della Riforma, di accordare di loro propria autorità una licenza al Langravio di Assia, di aver due mogli ad un tempo stesso!!… Una religione sì compiacente e sì tollerante senza dubbio sarebbe stata, ed era precisamente secondo il gusto del Re all’epoca del divorzio; ma ebbe luogo dodici anni troppo presto per lui.  » (Il medes: Op, cit. Lett, 3, § 10). Insomma, ritornando al punto …

« I Riformatori differivano l’uno dall’altro nella più parte delle cose, come i colori dell’iride; ma essi tutti accordavansi in questo, cioè che le opere buone non eran necessarie alla salvezza, e che i Santi (come avean la modestia di chiamar sè stessi) non potevan perdere il lor diritto al cielo per quantunque peccati, comunque molti ed enormi si fossero.! » (Cobbet ivi, Lett. XI, § 328)

« La nostra Chiesa, seguendo il corso del tempo, che cosa ella mai divenne, se non una nuova e vera Babilonia?? » (Giul. di Mueller, nel periodico: La Chiesa Cristiana nella sua idea, T, 1, p. 59).

« Fra tanti dicitori non ve ne son neppur due, i quali sieno d’accordo fra loro. In quella guisa stessa che ciascuno ha la sua peculiare fisonomia, ciascuno in pari tempo ha un’opinione tutta sua propria e speciale. Non sarebbe in verità cosa soverchiamente meravigliosa, se noi banditori di religione fossimo annoverati nella cerchia di quegli antichi aruspici, i quali per avventura incontrandosi insieme, e non sapendo che dirsi, scambievolmente si deridevano. E Tullio che così li descrive. » (I. H. Tiestrunk, Critica del dogma cristiano protestante, 1799, T, 1, prefazione).

« Ecco poi perché il popolo fa le risa e si burla di essi, come farebbe di falsi profeti; ecco perché in esso l’apatia e l’indifferenza s’intromette in luogo di un fervoroso e sublime amore alla religione. Ciò è un gran motivo di sofferenza per il nostro stato ecclesiastico. Quanto per lo meglio si può, fannosi le beffe de’ predicatori, perché non veggono in essi che falsi profeti » (Luedke, Dialoghi sull’abolizione dello stato ecclesiastico).

« Si scorge facilmente, e questo è cagione di non poca meraviglia, che nel breve spazio di due leghe si vuol far credere a quattro, cinque ed eziandio a più sorte di Vangeli; ed il popolo che esamina attentamente, ben se ne avvede…. Egli molto se ne querela, e disprezza e non cura i suoi maestri; che anzi con male parole li vilipende e li umilia;… niun’altra stima egli ne ha che di uomini di pessima fiducia», o per lo meno ignorantissimi… Il popolo semplice, secondo che è, crede esser la verità una sola, e non cape nell’intelletto, per beneficio della Provvidenza, come mai ciascuno di cotali signori si abbia una sua propria e speciale verità. » (Fischer, Introduzione alla dogmatica della Chiesa evangelico-protestante. Tubinga 1828, p. 210.) Nè questo è il peggio! Ascolta.

46. « Le Confessioni protestanti si sono dilungate dalla Chiesa (Cattolica). Perocchè appellando esse alla Scrittura come ad unico fondamento, hanno rinunziato al Divin Paracleto, e all’influenza che Egli si ha nella Chiesa universale che tanto vale fin nella stessa Scrittura, che ne è anzi il fondamento. E se per avventura l’ammettono, ciò non addiviene altrimenti, se non perché gli danno una certa azione entro di sé medesimi soggettivamente. Però togliendo via a questo modo l’ordine statuito dal Fondatore, con propria autorità, é avvenuto che lo Spirito Santo non gli ha più assistiti col divino suo lume. » (Binder, Il discioglimento completo del protestantismo, T. I, p. 10, Sciaffusa 1844).

« La Scrittura salì in quel grado medesimo di autorità che per l’avanti l’antica gerarchia avea posseduto, e questa in un colla sua forza ordinatrice ed unitiva venne meno e scomparve dalla Chiesa (protestante)… Se con buona volontà, con retta fede e con mano esperta si fosse purgata la Chiesa, in vece di rovinarla, ben avrebbe potuto ringiovanire la fede, levare in alto i sentimenti e dar novella e giusta vita all’obbedienza. » (Enrico Steffens, Op. cit., p 14, Nota 1, p. 298).

« L’unione della fede e della libertà, che i Riformatori volevano porre in effetto, non ha resistito; e l’età a noi più vicina ha cacciato fuori l’una appresso l’altra le pietre, delle quali si compone l’edificio della Chiesa. » (Hullmann, Studi teologici, cc. 1832).

« Moltissime prediche fatte dai così detti sopraintendenti e sopraintendenti generali della Corte, si potrebbero convenevolmente e con efficacia tenersi dinanzi alle Sinagoghe degli Ebrei, e dalle Moschee de’ Turchi! Né vi mancherebbe altro, se non torne la parola – Cristianesimo, – e il nome venerando di Cristo, che quivi veramente si trovano per causa di disonore nominati !… e sostituirvi, indovinando così la mente degli uditori, dettati ed insegnamenti de’ più savi fra i pagani, come a cagion di esempio Socrate, Platone, Confucio, Zoroastro, Maometto, ed altri di tal guisa. » (Corrispondenza omiletica, liturgica del 1830, N. 116.). Ma vi è ancora di peggio!… Ascolta.

47. « Niuno sale i pergami, o monta sulle cattedre, che uomo vile o vendereccio non ‘sia, o incredulo mercenario, o parassita, o cane mutolo, o lima sorda! » (H. Dietz, Sermone in onora della festa tresecolare della Riforma, 1830).

« La nostra scuola popolare, per quello che si appartiene principalmente alle istituzioni primarie, è pagana. Il principio cristiano o è del tutto scientemente sbandito, o pure per non curanza scomparisce; e se in qualche maniera se ne fa cenno, lo si fa per guisa accidentale, e toccandogli il primo, gli si dà l’ultimo posto. Le nostre scuole sono profanate. Sono istituti intesi a metter la gioventù per entro gli artifizii e gli addestramenti, cui si crede menar diritto a’ guadagni terreni, all’industria ed alle arti; e ciò facendo, si spera di formar buoni cittadini, quasi che potesse altri essere un vero e buon cittadino di uno Stato cristiano, senza esser Cristiano, ovvero che il Cristianesimo non fosse il fondamento e la colonna de nostri Stati cristiani e della loro Costituzione.! » (F. A. Krummacher, Sermoni di vario argomento, p. 81).

« L’anticristianesimo si vede e si ode chiaramente; perocché a voce alta se ne leva la troppo subita fama. Avevamo noi la Bibbia, ed era essa il fondamento della nostra fede; ma adesso non oso dirlo, né lo potrei dire; giacché essa s’interpreta per modo, che là dove le nostre Università spingano più innanzi, per questo riguardo, io temo forte che da sé stesse si scavino la fossa, e si procaccino la loro estrema rovina. » (2 Giul. di Mueller, nel foglio periodico del Archenholz, intitolato. La Minerva, Luglio 1809, p. 67).

» Tanto è il novero di quei tali che spiegano naturalmente i miracoli del Nuovo Testamento nella Chiesa protestante, che senza tema di dare in fallo si può chiamare una legione, sicché i loro seguaci sono innumerabili come le stelle del firmamento. » (Op. Sulla Bibbia ed i libri liturgici 1798, Coburgo, p. 21) « Non vi ha dogma del Cristianesimo Evangelico-protestante, come che sia fondamentale, contro del quale non si volga in istile ed in modo oltre ogni credere pungente una copia abbondevolissima di scritti. » (I. R. Piderit, Considerazioni in difesa e schiarimento del Canone della Scrittura Etc. , Erlangen, 1775, p. 85.).

« Che diremo oggimai dei libri protestanti in fatto di cristiana morale? Che vi ha in essi che pur sappia, sia pur debolmente; di cristianesimo oltre il titolo? » (De Wette, Almanacco della Riforma 1819)

«Se vi fosse una legge pur tale, che mediante la sua censura desse proibizione di stampare cosa alcuna contro la Chiesa, converrebbe dichiarare proscritta tutta intiera la moderna letteratura teologica, se già non se n’accettassero alcuni trattatelli.! » (H. Hase, Gnosis, ossia, Dottrina evangelica per gli uomini colti, 1829, 1-3,).

« Si può anche tenere, che Lucifero stesso caduto a basso creda assai più che parecchi. di questi nostri espositori della Sacra Scrittura, e che Maometto sia di più gran lunga di costoro migliore. » (Ewald, Considerazioni sopra le parabole di Gesù Cristo, Annover).

« Il Maomettano crede pur anco ai miracoli di Cristo, e per conseguente più si avvicina ai Cristiani che questi moderni dottori protestanti. » (Trembley, Sur l’Etat present du Christianisme, P. 13).

« In mezzo a’ Turchi (incredibile a dirsi!) non è dato di bestemmiare a chicchesia, né così alla sfacciata e senza alcun timore di pena; il nome di Cristo, di Abramo e di Mosè, come per una rea usanza fra i Cristiani Evangelici, e nei loro scritti continuamente arcade! » (E F, de Marees, Lettere nuove in difesa della fede.)

48. « La Chiesa protestante è presso ad esser ridotta in fascio. Conciossiachè talmente sia guasta, da tornar vana ed inutile qualunque opera di ristorazione  o di puntello si opponga alla rovina di lei. » (F. Boll, nella Gazzetta ecclesiastica di Darmstadt 1831, N. 150).

« L’altezza di questo edificio a vero dire, è già crollata, e la religione Evangelica è pur ridotta in un punto da cui più non si  risorge. » (Di Woltmann, Storia della Riforma etc. 1800, T. 1, prefazione, p. 13.).

« E facendoci fin dalle prime a veder tritamente in che consista, e d’onde abbia avuto principio cotanta corruzione della Chiesa, ben si scorge chiaramente che l’idea del Cristianesimo non solamente in mezzo ai predicatori, ma eziandio per entro le recenti coetanee generazioni si è ecclissata e si è spenta. Insieme alla forma già travalicata nella vecchiezza, essa ha perduto anche lo spirito, e la Vita, e le luci; che perfino non si presta credenza ed ossequio a un Dio personale, cosicché appena si osa pronunziar colle labbra tremanti questo nome!!! Da tutto ciò che andiamo discorrendo si pare chiaro che non vi ha fondamento alcuno, per poco buono e saldo che sia, su cui posarsi. » (Zimmermann, nella Gazzetta ecclesiastica universale di Darmstadt; 1851, N. 70).

49. « Non vi occorrono dimostrazioni, tanto la cosa è facile, ed è stata messa le mille volte in luce: il Protestantismo non può metter bene addentro le radici, e produrre ed allargare i suoi rami in altro terreno che di razionalismo non sia. Perocchè appunto su questo sì reggono e si fondano î protestanti. » (Sittig, nella stessa Gazzetta, 1830, n. 66).

« Oltre chè il razionalismo ben si pare una continua manifestazione dell’Anticristo. » (GA Rudelbach, La natura del razionalismo, 1830).

«Non vi è angolo di terra della Germania protestante, il quale di novelli panteisti non sia fecondissima. Il panteismo è la religione dei nostri più grandi pensatori, dei più eccellenti fra gli artisti. Nessuno si prova di farne parola, ma non vi ha neppur uno che non sappia il panteismo essere nella Germania il mistero pubblico, la segreta religione della Germania » (Heine, Sala di conversazione. Lipsia 1845, T. 2 p. 17)

« Sarà il mondo presente giunto a sì alto acume ed a così sublime raffinamento, da reputar cosa ridevole il credere in un Dio, come è ridicola la fede dell’esistenza degli spettri ? » (Lichtemberg. Opere varie, T. 1, p. 166).

« O protestantismo!… o protestantismo!…ove mai ti sei condotto ? Non ti accorgi che i medesimi tuoi seguaci al cospetto delle intelligenze protestano contro qualunque religione ? » (H. Jenisch. Sull’adorazione di Diop e sulle riforme ecclesiastiche, 1803).

« Lutero edificò la sua Chiesa; noi ci riuniamo insieme come per tributarne lodi e grazie senza fine a Dio: ma ohimè! Mentre preghiamo, essa già non esiste più. »