LA PARUSIA (7)

CARDINAL LOUIS BILLOT S.J.

LA PARUSIA (7)

PARIS – GABRIEL BEAUCHESNE, Rue de Rennes, 117 – 1920

TOUS DROITS RÉSERVÉS

ARTICOLO SETTIMO

LA PARUSIA NELLE EPISTOLE DEGLI APOSTOLI. TESTI PARENETICI.

Era abbastanza naturale che dopo aver imputato a Gesù Cristo stesso l’errore che abbiamo visto sulla prossimità della fine del mondo, il razionalismo moderno lo imputasse anche agli Apostoli di Gesù-Cristo. Perché se l’errore del Maestro è come regola generale, e questo per la natura stessa delle cose, l’errore dei suoi discepoli, quanto più nel caso molto particolare di un errore che coinvolge tutta l’opera che Egli avrebbe lasciato loro, come ai confidenti del suo pensiero, la cura di continuare dopo di Lui. Questo era il terrore di Gesù, secondo i modernisti, poiché per loro il Vangelo era originariamente un’opera di riforma da promuovere all’interno del giudaismo, in vista dell’imminente crollo del mondo attuale, che doveva essere seguito dall’instaurazione del Regno di Dio in un mondo completamente nuovo, sotto la presidenza di Cristo nella sua parusia.  Pertanto, su un punto così caratteristico e fondamentale, qualsiasi dissenso tra il Maestro ed i discepoli non era verosimilmente sostenibile, e quindi occorreva bene che gli Apostoli fossero a loro volta convinti, volenti o nolenti, di avere avuto, sulla questione escatologica, esattamente le stesse opinioni, le stesse idee, la stessa credenza, diciamo la parola, gli stessi sogni chimerici e le stesse illusioni. Ecco, quindi, che ci troviamo di fronte ad una serie di testi tratti dai loro discorsi e dai loro scritti. Non è più qui il Vangelo ad essere posto in questione, sono gli Atti, le Epistole e soprattutto l’Apocalisse. Da qui una nuova serie di argomenti e di ragioni, al cui esame saranno dedicati questo e gli articoli successivi.

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Ma prima di entrare nei dettagli della discussione, è opportuno porre davanti agli occhi del lettore i passi in cui la questione del tempo della parusia è espressamente riferita e, come si usa dire, trattata ex professo. Non è, infatti, in questi luoghi che si cerca generalmente l’espressione corretta ed esatta del pensiero degli autori su un dato punto, e di conseguenza la norma di interpretazione, almeno negativa, per ciò che, nel resto dei loro scritti, potrebbe essere equivoco o ambiguo? Niente è quindi più appropriato che farne un inventario fin dall’inizio, se non altro come prima indicazione della mentalità degli scrittori, e un’indicazione generale del senso del loro pensiero. Ora, i passaggi in cui il pensiero apostolico si è pertinentemente e categoricamente espresso sull’epoca della parusia, sono in numero di tre, e tre solamente. Il primo si trova nella prima lettera ai Tessalonicesi, V., 1-3: « Quanto ai tempi e ai momenti – dice San Paolo – non c’è bisogno di scriverne. Perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte. Quando gli uomini diranno: ‘Pace e sicurezza!” allora una distruzione improvvisa si abbatterà su di loro, come un dolore sulla donna che sta per partorire, ed essi non potranno sfuggirvi. Ma voi, fratelli miei, non siete nelle tenebre, perché quel giorno vi colga come un ladro… Non dormiamo dunque come il resto degli uomini, ma vegliamo e siamo sobri, ecc. » – La seconda è sulla seconda ai medesimi Tessalonicesi, II, 1-9: « Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo – scrive l’Apostolo – vi preghiamo di non essere scossi nei vostri sentimenti, né di allarmarvi, né per alcuna profezia, né per alcuna parola o lettera che possa essere supposta venire da noi, come se il giorno del Signore fosse imminente. Nessuno vi tragga in inganno, perché quel giorno non verrà prima che sia giunta l’apostasia e sia apparso l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario che si eleverà al di sopra di tutto ciò che è chiamato Dio, o onorato con un culto. Non vi ricordate che vi ho detto queste cose quando ero ancora tra voi? E ora sapete cosa lo trattiene …, perché il mistero dell’iniquità è già in opera, aspettando solo che sparisca colui che lo tiene. Poi sarà scoperto l’empio che il Signore Gesù sterminerà con il soffio della sua bocca e annienterà con lo splendore della sua venuta. » Infine il terzo passaggio è nella seconda epistola di San Pietro (III, 8-14), dove leggiamo: « Una cosa, fratelli miei, non dovete ignorare: per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno solo. No, il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come alcuni immaginano; ma Egli è paziente con voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. Il giorno del Signore verrà come un ladro. In quel giorno i cieli passeranno con un grande rumore, e gli elementi saranno dissolti con il fuoco, e la terra sarà bruciata con le opere che vi si trovano… Poiché tutte queste cose sono destinate a dissolversi, cosicché dovreste essere impegnati in una vita tutta santa e tutta dedita alla pietà, affrettandovi verso l’avvento del giorno di Dio, in cui tutte queste cose sono destinate a dissolversi e gli elementi infuocati si scioglieranno. Ma noi attendiamo, secondo la Sua promessa, un nuovo cielo ed una nuova terra dove abita la giustizia. In questa attesa, fate ogni sforzo per essere trovati da Lui senza macchia e irreprensibili nella pace. »  – E questo è il totale delle indicazioni date dagli Apostoli, nei luoghi in cui affrontano espressamente la questione che allora agitava tante menti ed era oggetto di tante conversazioni. Sarà difficile, immagino, trovare una traccia di ciò che Renan ha osato darci come la credenza più “profonda” e “costante” della prima generazione cristiana. C’è forse almeno una parola, un’insinuazione, un’allusione qualsiasi che tradisca la persuasione di un prossimo ritorno di Cristo sulle nuvole del cielo, o non sarebbe piuttosto il contrario? San Paolo ricorda che Gesù, lasciando la terra, aveva detto ai suoi: Non sta a voi conoscere i tempi e i momenti, “χρόνους ἢ καιρούς” [cronous e kairous] che il Padre ha fissato con la sua propria autorità », ed ispirandosi a questa parola, riferendosi a questo avvertimento, riprendendo il discorso, per non sbagliare, negli stessi termini, inizia dichiarando ai suoi Tessalonicesi che, sui tempi e i momenti, [περί δή τών χρόνων καί καίρών – peri de ton kronon kai ton kairon] non ha bisogno di scrivere a loro. E perché mai? Per il motivo che erano già informati di tutto ciò che se ne poteva sapere: che l’ora della parusia sarebbe stata l’ora del “ladro di notte”, che non è possibile prevederla in anticipo; che, inoltre, sarebbe stato inutile cercare di penetrare segreti la cui conoscenza è stata negata ai mortali, e che, di conseguenza, invece di cercare inutilmente di soddisfare una vana curiosità, bisognava pensare a non lasciarsi sorprendere impreparati, disponendosi con una vita santa al giudizio di Dio, in qualunque momento esso dovesse venire: « Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri, prendendo per corazza la fede e la carità, e per elmo la speranza della salvezza ». Questo è l’intero significato, l’intera portata, l’intera conclusione del primo passaggio. – Tuttavia, mentre le voci sull’imminenza della catastrofe continuavano a diffondersi, San Paolo torna alla carica in una seconda Epistola, e va ancora più avanti su ciò che aveva detto nella prima. Questa volta, corregge espressamente l’errore, non vuole che si dia credito alle voci messe in circolazione in modo così avventato, annunciando inoltre che prima che venga la parusia, dovranno aver luogo degli eventi, il cui corso e la cui sequenza egli spiega, è vero, per iscritto, solo in modo molto enigmatico, ma che, in ogni caso, sembrano richiedere, per svolgersi, un tempo piuttosto considerevole. Infatti questa apostasia di cui parla, questa defezione generale dalla fede di Gesù Cristo, questa elaborazione dell’opera d’iniquità, la cui manifestazione fu ritardata da qualche misterioso impedimento, questo avvento dell’”empio“, cioè, senza difficoltà, del grande e principale anticristo, di cui tanti altri dovevano essere i precursori (1 Giov. II, 18), tutto questo non fu evidentemente una di quelle cose che avvengono in un batter d’occhio, che iniziano, si sviluppano, si evolvono da un giorno all’altro. Qualunque sia dunque la vera interpretazione del famoso “καtέχον” [katechon], ciò che lega, ciò che ostacola, che si legge nel versetto 6, o dell’altra espressione “ό καtέχων” [o kathecon], ciò che tiene, o contiene, o occupa, che ritorna nel verso successivo (Vedi Bossuet: Avvertimento ai protestanti sul loro preteso adempimento delle profezie, n. 45 e segg.), resta vero che l’ipotesi di una venuta immediata o imminente del Signore fu chiaramente respinta dall’Apostolo, e che, se era già abbastanza chiaro per i suoi diretti corrispondenti, a maggior ragione lo è per noi, che tanti eventi ormai compiuti hanno messo in grado di penetrare meglio il significato della sua profezia, e di misurarne la portata. – E finalmente sentiamo San Pietro: San Pietro che non solo abbonda, ma sovrabbonda nello stesso senso, dichiarando che fa suo tutto ciò che è stato detto da colui che chiama un po’ più in basso, il suo diletto fratello Paolo. Anche lui è lontano mille leghe dal fissare, anche approssimativamente, qualsiasi misura del tempo. Anch’egli si attiene puramente e semplicemente all’unica cosa che ci è utile sapere, cioè che: come tutti, senza eccezione alcuna, devono vedere il giorno del Signore che verrà a giudicare i vivi e i morti (II Tim., IV, 1); tutti senza eccezione, che debbano morire o meno prima della sua venuta, hanno l’obbligo di prepararsi ad essa senza indugio, con l’esercizio delle buone opere ed una costante applicazione per purificarsi dall’amore delle cose deperibili, destinate a passare per sempre. Ma ciò che è particolarmente sottolineato è che la questione del ritardo di Dio nell’adempimento della sua promessa sarebbe, in ogni caso, del tutto priva di senso, perché Dio non ha fissato alcuna data, e inoltre, nessun tempo è lungo, o meglio, nessun tempo è abbastanza lungo. “Un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno”, e così il ritardo, per quanto lungo si possa immaginare essere nelle epoche a venire, sarebbe ancora chiamato con il suo vero nome, non un ritardo, ma un piano di misericordia e di salvezza da parte di Colui « che non vuole che nessuno perisca, ma che tutti giungano a penitenza ». – Questo è il cuore e l’anima del pensiero apostolico. Niente di più, niente di meno, e in mezzo a tutto questo cerco la cosiddetta mentalità che ci è stata rappresentata come confinata o circoscritta dall’idea fissa di una parusia che sta per scoppiare e di un mondo che sta per finire. Possiamo dunque già concludere che in tutti i passi in cui la questione del tempo della parusia è posta dagli Apostoli come oggetto proprio, diretto e categorico del loro discorso, non c’è nessun segno, nessuna traccia, nessuna vestigia della persuasione che il razionalismo contemporaneo presenta, ma piuttosto, per quanto lo permetteva il riserbo in cui Gesù stesso intendeva porsi, tutte le indicazioni di una persuasione diametralmente opposta. – Così, non è da questa parte che si volta il libero pensiero. Questi passaggi, senza dubbio i più importanti di tutti, e anche in un certo senso, gli unici veramente convincenti, non vengono nemmeno discussi, vengono lasciati nell’ombra, si vuole ignorarli, per ripiegare esclusivamente su testi che, a dir poco, sono fuori tema, e che tutte le indicazioni che si crede di trovarvi alla breve scadenza dell’ultimo giorno del mondo, non vi si vedono che attraverso il prisma di ragionamenti costruiti su falsi presupposti, provenienti, per la maggior parte, dall’ignoranza del linguaggio proprio della Scrittura, e del suo stesso modo di considerare le cose. Dobbiamo ora esaminare questi testi da vicino e, per ordine e chiarezza, li ridurremo ad alcune categorie principali.

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La prima categoria comprenderà testi che potrebbero essere chiamati parenetici, testi che esortano alla pratica di tutte le virtù cristiane, in vista della venuta del Signore che è vicina. Ecco gli esempi principali. « È tempo – dice San Paolo ai Romani – di svegliarci dal nostro sonno, che è la conseguenza della diminuzione del nostro primo fervore. Perché ora la salvezza è più vicina a noi di quando abbiamo abbracciato la fede. La notte è passata da un pezzo e il giorno si avvicina. Spogliamoci dunque delle opere delle tenebre e indossiamo l’armatura della luce. » (Rom., XIII, 11-12). E ai Filippesi: « Rallegratevi nel Signore in ogni tempo, ripeto, rallegratevi, che la vostra dolcezza sia nota a tutti gli uomini, perché il Signore è vicino. Non siate in ansia per nulla, ma in ogni circostanza esponete a Dio le vostre necessità con preghiere e suppliche, con ringraziamenti » (Filippo, IV, 4-6). E agli Ebrei: « La perseveranza vi è necessaria, affinché, avendo fatto la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso. Ancora un po’ e colui che deve venire verrà e non tarderà » (Eb., X, 36-37). E San Giacomo a sua volta: « Siate pazienti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Il contadino, nella speranza del prezioso frutto della terra, aspetta pazientemente finché non riceve le piogge autunnali e primaverili. Siate pazienti e rafforzate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi gli uni contro gli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alla porta » (Jacob., V, 7-9). Questi, dico, sono i testi della prima categoria. L’elenco potrebbe senza dubbio essere esteso, ma senza utilità o profitto; perché il resto consisterebbe solo in ripetizioni o varianti, che sarebbero più che altro una questione di parole, e non modificherebbero in alcun modo, né nel contenuto né nella forma, la difficoltà che si presenta, che consiste interamente in affermazioni come queste: Dominus prope est, adhuc modicum aliquantulum, ecce judex ante januam assistit, e se ci sono altri di uguale forza e portata. – Ma la soluzione di questa difficoltà è ancora da trovare, o non possiamo dire che  già la possediamo? In effetti, abbiamo qui una pura e semplice attuazione delle istruzioni date da Gesù ai suoi discepoli nelle pagine che sono state oggetto del nostro precedente studio. È chiaro che le esortazioni apostoliche a vegliare, a perseverare, ad essere pazienti, a rinunciare alle concupiscenze mondane, ad essere sempre pronti per l’arrivo del Signore, accompagnando l’attenzione e la diligenza con le preghiere, sono solo un’applicazione, adatta ai fedeli della prima ora, delle esortazioni che leggiamo in San Matteo, San Marco e San Luca, come conclusione del discorso escatologico. Dal che consegue chiaramente, se non mi sbaglio, che, per aiutarci a comprendere il legittimo e vero significato del pensiero degli Apostoli, tutti i punti precedentemente messi in luce dovrebbero ora servire, senza bisogno di ulteriori dimostrazioni, all’esatta comprensione delle parole di Gesù; e in particolare, il principale, il più eclatante e il più importante di tutti, che riguardava il doppio aspetto sotto il quale il Vangelo prevede la parousia: da un lato, nella sua sfolgorante realtà del grande giorno di Dio, quando verrà l’ultima ora del mondo, e dall’altro, nelle sue segrete anticipazioni di ogni giorno, quando arriverà l’ultima ora di ogni singolo uomo. Tutta la questione, quindi, è sotto quale di questi due aspetti la parusia è presa nei testi sopra menzionati. È sotto il primo? Allora sì, la difficoltà rimane. È sotto il secondo? Allora la difficoltà scompare per questo stesso fatto, e svanisce del tutto”. Ora, non ci possono essere dubbi sulla risposta. Dipenderà dalle osservazioni che metteremo davanti agli occhi del lettore. – Osserviamo dunque, in primo luogo, il contenuto dei passi in cui troviamo l’intimazione di una prossima parusia, a breve termine, alla vigilia del suo prodursi. Questi passaggi sono forse tra quelli che rappresentano lo scenario, l’apparato, la grande scena del giudizio universale? Niente affatto. Sono solo testi in cui la parusia è presentata come la venuta del Signore o del Giudice, senza alcuna altra precisazione o determinazione, senza alcuna aggiunta, senza alcuna menzione diretta o indiretta della gloria, della potenza e del potere in cui esploderà nell’ultimo giorno del mondo. Leggiamo solo che il Signore è vicino, che Colui che deve venire non tarderà, che il Giudice è già alla porta: da ciò possiamo dedurre la conclusione pratica che c’è motivo di entrare nei sentimenti, e di fare i preparativi necessari per questo arrivo. Non è dunque, come in tanti altri luoghi degli scritti apostolici, dove viene descritto l’avvento glorioso, adventus gloriæ (Tit., n. 13), del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, come tale; dove la parousia diventa la rivelazione (άποκάλυψις – [apokalipsis]), l’apparizione (ἐπιφάνεια – [epifaneia]) di Gesù Cristo e della Sua gloria. – Come in San Paolo, per esempio, quando parla ai Tessalonicesi del giorno in cui il Signore Gesù apparirà dal cielo, con i messaggeri della sua potenza, in mezzo a una fiamma di fuoco, per fare giustizia a coloro che non obbediscono al Vangelo (II Tess., I; 7), e più giù, … del giorno in cui verrà per essere glorificato nei suoi santi e per essere ammirato in tutti coloro che credono (ibid., 10); e altrove, della manifestazione di Nostro Signore Gesù Cristo, … che apparirà a suo tempo il benedetto e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, (I Tim, VI, 15), e ancora nella Prima Corinzi, I, 7, e in quella ai Colossesi, III, 4, e nella Seconda ai Tessalonicesi, II, 8, e nella prima di Pietro, IV, 13, ecc. – Certamente, sono tutti testi che non si penserebbe mai di applicare a nessun altro giorno che quello della grande assise della consumazione dei secoli, e se fosse nei testi di questo tenore che si trovano gli annunci della prossima venuta e che sono oggetto della presente difficoltà, bisognerebbe riconoscere che i testi della presente difficoltà non rientrano nella suddetta distinzione dei due aspetti della parusia in cui avremmo trovato la soluzione, almeno adeguata e sufficiente. Ma no, per quanto cerchiamo nelle lettere degli Apostoli, dalla prima all’ultima pagina, non riusciremo mai a produrne un solo esempio. Se San Paolo, parlando dell’apparizione della gloria di Nostro Signore Gesù Cristo, menziona allo stesso tempo il tempo in cui sarà realizzata, sarà solo per insinuare ancora una volta il segreto impenetrabile in cui Dio ha voluto che rimanesse nascosto: … fino alla manifestazione di Nostro Signore Gesù Cristo – dice nel testo citato sopra – che nel suo tempo (ἣν καιροῖς ἰδίοις – en kairois idiois), il Re dei re e Signore dei signori (ὁ βασιλεὺς τῶν βασιλευόντων καὶ κύριος τῶν κυριευόντων – o basileus ton basileuonton kai kurios ton kurieuonton) renderà manifesta [μέχρι τῆς ἐπιφανείας τοῦ κυρίου ἡμῶν Ἰησοῦ Χριστοῦ – mekri tes epifaneias tou kuriou emon Iesuou Kristou]. “A suo tempo” è tutto quello che l’Apostolo probabilmente sa su di esso; in ogni caso, è tutto quello che ci farà sapere su di questo. E altrove, riguardo alla venuta dell’anticristo, che il Signore Gesù distruggerà con lo splendore della sua venuta, [τῇ ἐπιφανείᾳ τῆς παρουσίας αὐτοῦ – te epifaneia tes parousias autou], farà uso della stassa modalità di linguaggio, che si sottrae ad ogni calcolo, e sfugge ad ogni valutazione: E ora sapete cosa che lo trattiene, in modo che possa manifestarsi nel suo tempo [εἰς τὸ ἀποκαλυφθῆναι αὐτὸν ἐν τῷ ἑαυτοῦ καιρῷ – eis to apokaluftenai auton en to autou kairo] (II Tess., II, 6.). – Perciò, in qualunque modo si prendano i passi degli scritti apostolici in cui la parusia è data come prossima (sia in modo assoluto o in modo comparativo, sia in se stessa o nei molteplici contrasti che ne fanno emergere più chiaramente il significato), tutto ci dice, tutto ci avverte che si tratta di questa venuta del Signore che si compie segretamente e invisibilmente, man mano che la morte raccoglie le anime umane, e che su ognuna di esse viene pronunciata la sentenza irrevocabile e definitiva, dopo la quale rimane solo la pubblicazione, la messa in luce, riservata alla parusia visibile e brillante della fine dei tempi (I Cor, IV, 5); … di questa venuta del Signore, che il Vangelo di San Luca, nel dodicesimo capitolo, ha precedentemente posto davanti ai nostri occhi, dove, indipendentemente da qualsiasi allusione alla catastrofe mondiale, ci è stato ingiunto di essere costantemente in attesa del ritorno del nostro Maestro, in modo che, non appena Egli verrà, sotto le spoglie della morte, o con il bussare alla porta con i colpi che annunciano l’avvicinarsi della morte, noi gli apriremo subito, ed apriremo per essere messi in seguito, se vigilanti, in possesso del suo regno, della sua eterna beatitudine, delle sue inestimabili ricchezze;  e infine, la venuta del Signore, che può essere sempre annunciata con fiducia come molto vicina, senza pretendere di penetrare il grande segreto che è chiuso a tutte le creature, e anche agli Angeli del cielo, il segreto di cui è scritto « Perché quel giorno e quell’ora (quando il Figlio dell’uomo verrà in maestà e potenza per giudicare il mondo), nessuno lo conosce tranne il Padre. » E quanto giustamente, quanto naturalmente, soprattutto, questa stessa venuta del Signore, quella molto vicina, quella che era già in vista e che non poteva più ritardare, non fu presentata dagli Apostoli a coloro di cui volevano ravvivare l’ardore o sollevare il coraggio! A questi primi fedeli, la maggior parte dei quali erano avanti nella vita, che avevano sofferto e stavano ancora soffrendo per la fede (Filipp., I, 29-30; Eb., X, 32-37; Giacomo, I, 2), che si avvicinavano alla corona, che erano tentati di vacillare, o sollecitati a disertare le assemblee cristiane (Eb., X, 25), aveva bisogno solo di un po’ di perseveranza per raccogliere il frutto di tanto lavoro e fatica! « Ricordate quei primi giorni in cui, dopo la vostra conversione, avete sostenuto una grande lotta di sofferenze, a volte esposti come in uno spettacolo all’obbrobrio e alla tribolazione, a volte prendendo parte nelle sofferenze di coloro che venivano trattati in questo modo. Infatti, avete convissuto con i prigionieri e avete accettato il saccheggio dei vostri beni, sapendo che avete una ricchezza migliore, che durerà per sempre. Perciò non abbandonate la vostra fiducia, perché c’è una grande ricompensa legata ad essa. Perché la perseveranza è necessaria per voi, affinché, avendo fatto la volontà di Dio, possiate ottenere ciò che vi è stato promesso. Ancora un poco, e Colui che deve venire verrà, non tarderà. Il mio giusto (dice la Scrittura) vivrà per fede, ma se si ritira, la mia anima non metterà compiacimento in lui. – Perché noi non siamo di quelli che si ritirano per la propria perdita, ma di quelli che conservano la fede per salvare le loro anime » (Eb. X, 32-39). E infine, la venuta del Signore, che può essere sempre annunciata con fiducia come molto vicina, senza pretendere di penetrare il grande segreto che è chiuso a tutte le creature, e anche agli Angeli del cielo, il segreto di cui è scritto « Perché quel giorno e quell’ora (quando il Figlio dell’uomo verrà in maestà e potenza per giudicare il mondo), nessuno lo conosce tranne il Padre. »

E quanto giustamente, quanto naturalmente, soprattutto, questa stessa venuta del Signore, quella molto vicina, quella che era già in vista e che non poteva più ritardare, non fu presentata dagli Apostoli a coloro di cui volevano ravvivare l’ardore o sollevare il coraggio! A questi primi fedeli, la maggior parte dei quali erano avanti nella vita, che avevano sofferto e stavano ancora soffrendo per la fede (Filipp., I, 29-30; Eb., X, 32-37; Giacomo, I, 2), che si avvicinavano alla corona, che erano tentati di vacillare, o sollecitati a disertare le assemblee cristiane (Eb., X, 25), aveva bisogno solo di un po’ di perseveranza per raccogliere il frutto di tanto lavoro e fatica! « Ricordate quei primi giorni in cui, dopo la vostra conversione, avete sostenuto una grande lotta di sofferenze, a volte esposti come in uno spettacolo all’obbrobrio e alla tribolazione, a volte prendendo parte nelle sofferenze di coloro che venivano trattati in questo modo. Infatti, avete convissuto con i prigionieri e avete accettato il saccheggio dei vostri beni, sapendo che avete una ricchezza migliore, che durerà per sempre. Perciò non abbandonate la vostra fiducia, perché c’è una grande ricompensa legata ad essa. Perché la perseveranza è necessaria per voi, affinché, avendo fatto la volontà di Dio, possiate ottenere ciò che vi è stato promesso. Ancora un poco, e Colui che deve venire verrà, non tarderà. Il mio giusto (dice la Scrittura) vivrà per fede, ma se si ritira, la mia anima non metterà compiacimento in lui. – Perché noi non siamo di quelli che si ritirano per la propria perdita, ma di quelli che conservano la fede per salvare le loro anime » (Eb. X, 32-39). Io chiedo, non è questo che potrebbe dire ancora oggi senza cambiare una sola parola, il più risoluto sostenitore di una durata indefinita del mondo, a coloro che vedrebbe nelle condizioni in cui si trovavano gli Ebrei che San Paolo esortava un tempo? E questi, nientemeno, sono i testi in cui la “sapienza” modernista vede l’ossessione dell’idea che erano giunti i tempi che il mondo stava per finire! Chi potrebbe immaginarlo? Ma se avessimo bisogno di confermare quanto appena detto con nuove prove, le troveremmo in abbondanza in ogni pagina in cui gli Apostoli, con le loro raccomandazioni, i loro consigli, le loro istruzioni pratiche, ci fanno vedere, e fino all’evidenza, che l’idea che avevano del futuro era in tutto conforme a quella che ne abbiamo noi stessi, ancora oggi. – Ascoltiamo San Paolo che or ora diceva che il Signore era vicino e che Colui che doveva venire non poteva tardare. Ascoltiamolo, dico, esortare ora i fedeli a vivere nel riposo, a badare ai propri affari (I Tess., IV, 11), a lavorare pacificamente, a mangiare il pane coscienziosamente guadagnato (II Tess., III, 12), a fare preghiere, suppliche, intercessioni, per i re e per quelli costituiti in dignità … affinché possiamo passare una vita tranquilla e pacifica in tutta pietà e onestà (I Tim., II, 1). Questo è dunque il linguaggio di chi si crede alla vigilia del crollo della macchina del mondo, e sente già le prime avvisaglie della terribile tempesta in cui l’universo sta per affondare? Ma, per l’amor di Dio, notiamo come la prospettiva dell’Apostolo era aperta solo ad uno stato di cose assolutamente normale, lasciando spazio ad una vita tranquilla e regolare, alla sola condizione di mantenere l’ordine sociale di cui sono incaricati i responsabili del potere pubblico, per i quali raccomandava di pregare proprio a questo scopo. – Ascoltiamo San Giacomo che, non contento di annunciare che la venuta del Signore si avvicinava, mostrava anche il giudice già sulla soglia della porta: ecce judex ante januam assistit! E ora, nel corso delle sue raccomandazioni, è portato a correggere la presunzione di quei Cristiani che, senza alcun riguardo per l’incertezza del domani, progettavano l’avanzamento e la fortuna, comportandosi in tutto come se il futuro appartenesse a loro e che fossero padroni di disporne come volevano. Certamente, per portare questi temerari alla realtà delle cose, era cosa giusta mettere davanti ai loro occhi la visione dell’imminente catastrofe mondiale, e mostrare loro che l’ultima base di tanti vani calcoli sarebbe presto svanita, poiché non ci sarebbe stato più un futuro terreno per loro o per nessuno. Quale argomento potrebbe essere più conclusivo di questo? Quale motivo potrebbe essere più appropriato, se si deve credere all’esegesi modernista, alla mentalità della prima generazione cristiana? E invece, cosa vediamo? Una pura e semplice ammonizione sulla brevità della vita, la sua fragilità, la sua mancanza di consistenza, la sua durata effimera ed essenzialmente casuale, tutte cose che non hanno nulla a che vedere con la fine del mondo, e che sono rimaste e rimarranno per sempre nei luoghi comuni della predicazione evangelica: voi che dite: « Oggi o domani andremo  in questa o quella città, ci resteremo per un anno, faremo affari e guadagneremo, voi che non sapete cosa succederà domani! Infatti, cosa è la vostra vita? Un vapore che appare per un momento e poi svanisce. Invece di dire: … se il Signore vuole o se siamo vivi faremo questo o quello. Ma ora vi vantate della vostra presunzione. » (Jac., IV, 13-16). Sicuramente non c’è nulla qui che prepari anche lontanamente ai terrori che la storia, o forse più precisamente la leggenda, attribuisce all’anno mille.

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La vita, un vapore che appare per un po’ e poi svanisce! Questo, dunque, è tutto ciò che San Giacomo sapeva del futuro, allorquando rimproverava la presunzione di coloro che facevano piani per il futuro, come se fossero stati i padroni del futuro. E questo, posso aggiungere, è il limite dell’orizzonte degli altri, quando si appellano alla brevità del tempo come motivo per staccarci dal mondo, dai suoi beni, dai suoi piaceri, anche dai suoi godimenti più legittimi, per attaccarci a Colui che solo rimane eternamente. È della breve durata della vita che sentono parlare, non della vicinanza della catastrofe suprema. – Così, ad esempio, è per San Paolo, in questo passaggio della Prima ai Corinzi (VII, 25-35), sul quale la fertile immaginazione degli storici della nuova scuola si è esercitata abbondantemente, e che, per questo, richiede qui una piccola spiegazione. L’Apostolo risponde alle domande che gli sono state poste sul soggetto della verginità ed egli inizia affermando categoricamente che la verginità non è un precetto, ma un puro e semplice consiglio; che è una via più alta e perfetta, che, come aveva già insinuato (vers. 2 e seguenti), non può essere, in ogni caso, la via comune, ma solo quella di un’élite, cioè di pochi (« Per evitare ogni impudicizia, ogni uomo abbia la propria moglie, e ogni donna il proprio marito, ecc. – Versetto 2 e seguenti). Tuttavia, egli è tanto più ansioso di impegnare in essa quelli e quelle ai quali Dio avrebbe concesso il dono di una vocazione così eccellente (« Io vorrei che tutti fossero come me, ma ognuno riceve da Dio il suo dono particolare, uno in un modo, l’altro in un altro » – vers. 7), ed il primo motivo per cui cerca di attirarli è l’esenzione  dalle preoccupazioni, dalle sollecitudini e dalle difficoltà di ogni genere che il vincolo del matrimonio porta con sé: « Per quanto riguarda le vergini – dice – non ho alcun comandamento dal Signore, ma do un consiglio, come per aver ricevuto dal Signore la grazia di essere fedele. Penso, quindi, che a causa della difficoltà inerente allo stato di matrimonio, è bene che un uomo resti così. Sei legato a una moglie? Non cercare di rompere questo legame; non sei legato a una moglie, non cercare una donna. Ma se ti sposi, non pecchi, e se una vergine si sposa, non pecca. Questa, dico, è la prima ragione addotta dall’Apostolo. Consiste nella libertà dai molti imbarazzi, dolori, tribolazioni e preoccupazioni che di solito accompagnano la vita matrimoniale, e che hanno fatto dire a San Francesco di Sales che … se Dio avesse istituito un noviziato per il matrimonio, come ha fatto per la vita religiosa, ci sarebbero ben pochi novizi che vorrebbero fare la professione. (Sul: διὰ τὴν ἐνεστῶσαν ἀνάγκην, [dia ten anestosan anaghketen] che la Vulgata traduce, propter instantem necessitatem (verso 26), e che si correla con il    θλῖψιν δὲ τῇ σαρκὶ ἕξουσιν, [tlipsin de te sarki exousin] tribulatianem carnis hahehunt del verso 28, vedi San Giovanni Crisostomo nel suo libro della Verginità, n. 43-58. Il santo Dottore si sofferma a lungo sulle tribolazioni della vita matrimoniale, mettendo in grande rilievo le condizioni imposte al matrimonio nella Nuova Legge, proprio quelle che avevano portato i discepoli a dire, Matth. xXIX, 10: « Se questa è la condizione di un uomo nei confronti di una donna, è meglio non sposarsi. » Al che Gesù rispose: « Non tutti capiscono questa parola, ma solo quelli a cui è stato dato. Perché ci sono eunuchi che lo sono per nascita…; e ci sono eunuchi che sono eunuchi per mano d’uomini; e ci sono eunuchi che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, che capisca. » Non c’è bisogno di sottolineare il perfetto parallelismo tra il Vangelo e San Paolo. Da entrambe le parti, l’esenzione dalla servitù del matrimonio serve come punto di partenza per condurre alle ragioni di un ordine completamente superiore, che raccomandano come più perfetto, lo stato di verginità). – Tuttavia, questa ragione, che di per sé è ancora solo di ordine temporale e umano, è anche solo una ragione per il primo impegno; prepara solo la strada, o se volete, presenta l’esca come un modo per sollecitare la natura, e ora dobbiamo salire più in alto. San Paolo continua quindi: Ma questo è ciò che io dico, fratelli. Il tempo è breve. Quel tempo? Senza difficoltà, il tempo (καιρός – kairos) che ci è dato per preparare la nostra eternità; il tempo di cui, nella seconda ai Corinzi, dice (VI, 2): « Ora è il tempo buono, ora sono i giorni della salvezza »; e ai Galati (VI, 10: « Mentre abbiamo tempo, facciamo il bene »; e agli Efesini (V, 16): « Sfruttiamo il tempo, perché i giorni sono cattivi. » Il tempo è breve, e un po’ più in basso: « La figura di questo mondo sta passando », non dice al futuro: passerà, o passerà presto (παράξει – paràxei.), come riferendosi a una catastrofe a venire, che secondo lui avrebbe portato via tutto. Ma dice: passa (παράγει – paraghei) al presente, come indicando la condizione propria della figura del mondo, che è sempre in atto di passare. Passa, infatti, e passa incessantemente, come passano le rive del fiume per coloro che sono trascinati dalla corrente (la corrente della vita), e che presto saranno arrivati all’abisso dal quale non c’è ritorno. E dal fatto che il tempo della vita è breve, dal fatto che la figura del mondo sta passando, l’Apostolo trae la conclusione che, se c’è motivo di usare del mondo ed i legittimi piaceri che può offrirci, almeno questo debba essere con moderazione, e senza mettervi o attacarvi il cuore;  inoltre, c’è un modo migliore e incomparabilmente migliore, che è proprio nella beata libertà indicata più sopra, dove, liberati dagli obblighi e dalle preoccupazioni del matrimonio, siamo in grado di darci interamente a Colui che solo non passa e non cambia, cioè a Dio e alle cose del suo servizio. – Ma ascoltiamo attentamente il resto delle parole dell’Apostolo: « Io dico questo, fratelli miei. Il tempo è breve; perciò, quelli che hanno mogli siano come se non ne avessero, e quelli che piangono come se non piangessero, e quelli che gioiscono come se non gioissero, e quelli che comprano come se non possedessero, e quelli che usano del mondo come se non ne usassero; perché la figura di questo mondo sta passando. E per quanto mi riguarda, vorrei che foste spensierati. Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore; cerca di piacere al Signore per compiacere il Signore; ma chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo, cerca di compiacere sua moglie, ed è diviso. Allo stesso modo, la moglie: la donna non sposata e la vergine sono attente alle cose del Signore, per essere sante nel corpo e nello spirito; ma la donna sposata è attenta alle cose del mondo, cercando di piacere a suo marito. Ora lo dico per il vostro bene non per gettare una rete su di voi, affinché siate uniti a Dio senza lotte o divisioni. » – Questo è il pensiero di San Paolo sulla verginità. Potrebbe esserci qualcosa di più chiaro? Per riassumere, la verginità è buona, è da raccomandare, e questo per due motivi: in primo luogo, a causa degli imbarazzi che lo stato di matrimonio porta con sé, e in secondo luogo, a causa dell’eccellenza di una condizione in cui, liberati dalla sollecitudine della vita che è così breve, e che in ogni momento ci sfugge, possiamo con piena libertà occuparci degli affari della salvezza, servire Dio, e adempiere alla nostra preghiera. Queste ragioni, come possiamo vedere, non hanno alcuna connessione, nemmeno apparente, con l’ipotesi di una prossima fine del mondo; perché, sia che supponiamo che il mondo sia sul punto di finire o che gli diamo migliaia di anni di durata, esse conservano invariabilmente la stessa forza, lo stesso peso, lo stesso valore. Eppure il modernismo non si arrende. Con una sola voce predica e proclama che i consigli evangelici sulla continenza volontaria e la povertà procedono direttamente dalla previsione di un’imminente fine dei tempi, da quella preoccupazione costante, per non dire ossessione, che avrebbe pesato sui pensieri di Gesù Cristo e dei suoi Apostoli come un incubo. È incredibile, ho letto in una recente storia della Chiesa, che non è senza una grande reputazione di erudizione e di scienza, e precisamente nel capitolo che tratta dell’organizzazione e della vita delle prime comunità cristiane secondo le lettere di San Paolo, questa sorprendente frase: « La verginità assoluta era lodata, e persino raccomandata, in vista dell’imminenza dell’ultimo giorno » (L. Duchesne, Histoire ancienne de l’Église (Parigi, 1906) tom. I, cap. 4, pagina 47). Certamente, non è più confermativo questo in vista dell’ultimo giorno, ove l’avrebbe visto lo storico? Se San Paolo avesse taciuto sulle ragioni che gli facevano raccomandare la continenza, si poteva porgere a scusante che l’autore, desideroso di fornire  spiegazioni plausibili su un punto importante, si sarebbe ritenuto autorizzato a supplire al silenzio dell’Apostolo, secondo le proprie idee. Ma no, San Paolo si è spiegato, e nel modo più chiaro, più categorico e più intelligibile del mondo. Ha detto che raccomanda la verginità, vedendo prima instantem nécessitatem del versetto 26, che ovviamente porta alla tribulatio carnis del verso seguente; vedendo poi, eprincipalmente, e soprattutto, l’alta convenienza di ciò che facilitava præbet sine impedimenio Dominum obsecrandi [versetto. 35). Invece di questo, si scrive senza battere ciglio, senza glosse, né spiegazioni,né commento: “in vista dell’imminenza dell’ultimogiorno”. Ma in verità, è troppo un abusare della semplicità del lettore, se non lo si avverte, è dargli una ragione troppo buona per concludere che, finché l’ufficio dello storico non consiste nel sostituire le proprie fantasie all’autorità dei documenti, un libro così fatto mancherà sempre delle garanzie che la dignità e la serietà della storia richiedono.

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Ciò che abbiamo detto finora sembrerebbe quindi più che sufficiente per stabilire il vero significato dei passi in cui la venuta del Signore è data dagli Apostoli come prossima, e per mostrare chiaramente quanto questo significato sia diverso da quello dato loro dall’esegesi protestante e modernista. Tuttavia, per non tralasciare nulla che possa contribuire ad illuminare la religione del lettore su un punto di così grande importanza, aggiungiamo, a conferma delle precedenti conclusioni, alcune nuove considerazioni, che ora ci verranno fornite principalmente dalle epistole di San Pietro. Nel quarto capitolo della prima, il Principe degli Apostoli raccomanda ai Cristiani che aveva evangelizzato, che durante il breve tempo che rimaneva loro in questa vita mortale, vivessero non più secondo le concupiscenze degli uomini, ma secondo la volontà di Dio. « Basta – scriveva loro – col tempo trascorso nel soddisfare le passioni del paganesimo, vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei bagordi, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione e vi oltraggiano. Ma renderanno conto a Colui che è pronto a giudicare non solo i vivi ma anche i morti … ». E l’Apostolo mostra, nel contempo, con il fatto della discesa agli inferi (altrimenti detto Sheol, la dimora dei morti) che la sovranità di Cristo si estende anche ai morti; e che su di loro, e già ora, senza dover aspettare il giorno dell’ultima risurrezione, si esercita il suo giudizio. (Versetto 6: Propter hoc enim et mortuis evangelizatum est, da confrontare con il versetto 19 del capitolo precedente: His qui in carcere erant spiritibus veniens prædicavit). Ora – egli continuava – la fine di tutto è vicina: omnium autem finis appropinquavit. E cosa significa questo … “la fine di tutto”? Senza difficoltà: o la fine di ogni uomo in particolare, o, meglio ancora, la fine di tutti coloro che erano in questione, sia i pagani che bestemmiavano, sia di quelli che volevano riprendere i loro antichi disordini; per tutti loro la morte era vicino, e con la morte, il giudizio per il quale sono giudicati i morti. (È a torto che si traduce “Πάντων δὲ τὸ τέλος ἤγγικεν” – omnium autem finis  appropinquavit  con: la fine di tutte le cose è vicina, come se Πάντων [panton] fosse qui il genitivo del neutro “Πάντα”, e non invece  – come come lo indica il contesto e tutto il resto del ragionamento – il genitivo del maschile “Πάντες” [pantes]: dovrebbe quindi essere tradotto: “è vicina la fine di tutti”, cioè di tutti quelli di cui si parla nei quattro versetti precedenti, cioè i pagani blasfemi e i Cristiani convertiti). Da qui segue, infine, in modo del tutto naturale, l’esortazione a prepararsi che riempie il resto del capitolo, e che è diviso in due parti. Prima di tutto (versetti 7-11), la raccomandazione delle virtù che costituiscono la base comune e invariabile della vita cristiana in generale: … siate prudenti e sobri per dedicarvi nella preghiera, e soprattutto abbiate ardente carità gli uni per gli altri… Ognuno metta il dono che ha ricevuto da Dio al servizio del suo prossimo, ecc. Dopo (versetti 12-19) ci sono gli avvisi speciali dati in vista delle circostanze particolari che la Chiesa stava attraversando, ed è qui, come è naturale, che cercheremo le informazioni più affidabili e autorevoli sulle idee del prossimo futuro che preoccupavano l’Apostolo. Ma cosa troveremo lì? Niente di niente di qualsiasi cosa che vada nella direzione delle conclusioni della nuova scuola. Solo una cosa è stata messa in prospettiva, e non la conflagrazione generale che precederà l’arrivo del Giudice, né lo scuotimento delle potenze del cielo che metterà tutti gli abitanti della terra nel terrore, né lo schianto che accompagnerà la dissoluzione della macchina del mondo, ma semplicemente la persecuzione che aveva già cominciato ad abbattersi sulla Chiesa, e che doveva essere esercitata quasi senza sosta per circa tre secoli. San Pietro stava preparando i fedeli affidati alle sue cure a sopportare l’urto di questa prova, e qualunque cosa si dicesse o facesse, non si poteva trovare nelle sue parole alcun accenno a qualsiasi altra preoccupazione o timore di altro genere: « Miei cari – egli continuava – non stupitevi del fuoco della persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per mettervi alla prova, come se vi fosse successo qualcosa di straordinario. Ma nella misura in cui avete parte alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, in modo che quando la sua gloria sarà manifestata, anche voi possiate essere nella gioia ed esultare. Se siete oltraggiati per il nome di Cristo, siate lieti, perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Che nessuno tra voi soffra come assassino, come ladro, come malfattore, o come uno che è avido del bene degli altri. Ma se soffre come Cristiano, non si vergogni, anzi glorifichi Dio proprio per questo stesso Nome. Perché questo è il tempo in cui sta per iniziare il giudizio (per metterlo alla prova e purificarlo) dalla casa di Dio. » – La stessa osservazione può essere fatta sulla seconda Epistola, che fu, come tutti sanno, il testamento dell’Apostolo: l’epistola in cui, dopo aver annunciato la sua fine imminente, rivolgeva le sue ultime raccomandazioni ai fedeli, dicendo che credeva fosse suo dovere, finché era in questa vita mortale, tenerli svegli con i suoi avvertimenti, e fare in modo che dopo la sua morte se ne ricordassero sempre (I, 13-15). Ora, questi avvertimenti che riempiono tutto il corpo della lettera, dalla seconda metà del primo capitolo fino all’epilogo compreso, su cosa vertevano? Sempre e solo, sui pericoli che minacciavano la Chiesa, e questa volta, sulla persecuzione che è la più terribile di tutte, che sarebbe venuta da falsi maestri e predicatori di eresie. Proteggere i Cristiani che egli aveva generato a Gesù Cristo dalla seduzione delle molte eresie pronte a sorgere, questo era l’intero scopo del supremo addio di San Pietro a loro, al momento della sua partenza. E se, alla fine, menziona la parusia, non è per suggerire che sia imminente, ma per denunciare e screditare in anticipo gli schernitori che, a causa del presunto ritardo del Signore nell’adempimento della sua promessa, avrebbero argomentato contro la verità della promessa stessa, come è già stato detto. E ora, chiedo, come si può immaginare che, prendendo congedo da coloro che pensava stessero per essere sorpresi vivi dalla terribile catastrofe, egli avrebbe trascurato la singolarità di una situazione così tragica? Qual è l’apparenza, soprattutto, con la quale egli avesse voluto, in questa occasione, dissimulare i suoi pensieri sulla prossimità dell’evento, ricorrendo alla considerazione artificiale dei mille anni che davanti a Dio sono l’equivalente del giorno passato ieri? È quindi una nuova e manifesta negazione, che si aggiunge a tante altre, che nelle forme più varie, tutte le pagine del Nuovo Testamento si oppongono alla tesi modernista.

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Ma c’è un’ultima considerazione che domina tutto il resto, e che basterebbe da sola a mettere al suo posto (cioè la pattumiera -ndt.- ) l’affermazione degli avversari. È che, lungi dal suonare “a morto” la campana del mondo, le Epistole apostoliche hanno suonato piuttosto il rinnovamento di esso: questo magnifico rinnovamento che il Vangelo e la grazia di Gesù Cristo gli hanno portato. In esse vi vediamo la restaurazione di tutte le cose in Cristo, e non solo di quelle che riguardano la vita futura, ma anche di quelle che sono della terra e del buon ordine della vita presente. Restaurazione della società politicaState sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re. » (1 Petr. II, 13-17), – « Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. I governanti, infatti, non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo, dunque. dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi l’onore, l’onore. » (Rom., XIII, 1-7). Ripristino della società coniugaleUgualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti -; cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. Così una volta si ornavano le sante donne che speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore. Di essa siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia. E ugualmente voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così non saranno impedite le vostre preghiere. » – 1 Petr. III, 1-7). – « … Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore … il marito infatti è capo della moglie …, … così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso … » (Ef., v, 22-33). – Restaurazione della società domestica in tutte le sue parti e dipendenzeVoi servi, siate soggetti ai vostri padroni con ogni tipo di rispetto, non solo a chi è buono e gentile, ma anche a chi è difficile. Perché è gradito a Dio che per amor suo si sopporti una pena ingiustamente inflitta… Questo è ciò che siete stati chiamati a fare, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un modello, affinché seguiate le sue orme. » (1 Petr. II, 18-23), – « Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra. E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore. Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo, e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore, prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo, e che non v’è preferenza di persone presso di lui. »  (Ef., VI. 1-9). – Cfr. Colossesi, III, 18-25; IV, 1, ecc.). – Restauro di tutta la società umana, nelle diverse classi che la compongono, e i doveri reciproci di giustizia e carità che li legano gli uni agli altri (Jacob., II, 1-17, e V, 1-6; 1 -Joan., III, 11-24, ecc.). Meditiamo su queste pagine meravigliose, e si dica pure che essi furono dominati dall’idea che il mondo stava per finire – coloro che le scrissero – che posero in esse con tanta lungimiranza le basi per la ricostruzione di tutto l’ordine sociale, sia pubblico che privato, che con mano così sicura stabilirono i principi di quella mirabile civiltà cristiana che i secoli a venire dovevano vedere sorgere sulle rovine della barbara civiltà del paganesimo! Che si sostenga questo, che si osi sostenerlo, … sarebbe un insulto alla ragione, una sfida al senso comune, il più paradossale delle impertinenze che sia mai apparsa nella lista, per quanto lunga, delle aberrazioni umane. – Eppure, qualcuno dirà qui, tutte le ragioni addotte finora non cancelleranno i numerosi passaggi in cui gli Apostoli dichiarano in termini espliciti che al loro tempo, gli ultimi giorni, l’ultima ora del mondo, la fine, la consumazione dei secoli era arrivata. Al che rispondiamo che, senza dubbio, non li sopprimono, ma che garantiscono già una spiegazione completa e soddisfacente; che, inoltre, questi passaggi costituiscono una nuova categoria di testi che richiedono chiarimenti particolari da riservare all’articolo seguente.

LA PARUSIA (8)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.