IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (13)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico dell’APOCALYSSE (13)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat: Elie Maire Can. Cens. Ex. Off.

Imprimi potest:  Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur: LECLERC.

Lutetiæ Parisiorum die II nov. 194

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Settima Visione


LA CITTÀ DI DIO



PRIMA PARTE


IL RINNOVAMENTO DELL’UNIVERSO

Capitolo XXI. (1 -27)

“E vidi un nuovo cielo e una nuova terra. Poiché il primo cielo e la prima terra passarono, e il mare non è più. Ed io Giovanni vidi la città santa, la nuova Gerusalemme che scendeva dal cielo d’appresso Dio, messa in ordine, come una sposa abbigliata per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini, e abiterà con loro. Ed essi saranno suo popolo, e lo stesso Dio sarà con essi Dio loro: e Dio asciugherà dagli occhi loro ogni lagrima: e non vi sarà più morte, né lutto, né strida, né vi sarà più dolore, perché le prime cose sono passata. E colui che sedeva sul trono disse: Ecco che io rinnovello tutte le cose. E disse a me: Scrivi, poiché queste parole sono degnissime di fede e veraci. E disse a me: Io sono l’alfa e l’omega: il principio e il fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell’acqua della vita. Chi sarà vincitore, sarà padrone di queste cose, e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figliuolo. Pei paurosi poi, e per gl’increduli, e gli esecrandi; e gli omicidi, e i fornicatori, e i venefici, e gli idolatri, e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e dì zolfo: che è la seconda morte. E venne uno dei sette Angeli che avevano sette coppe piene delle sette ultime piaghe, e parlò con me, e mi disse: Vieni, e ti farò vedere la sposa, consorte dell’Agnello. E mi portò in ispirito sopra un monte grande e sublime, e mi fece vedere la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo dappresso Dio, la quale aveva la chiarezza di Dio: e la luce di lei era simile a una pietra preziosa, come a una pietra di diaspro, come il cristallo. Ed aveva un muro grande ed alto che aveva dodici porte: e alle porte dodici Angeli, e scritti sopra i nomi, che sono i nomi delle dodici tribù di Israele. A oriente tre porte: a settentrione tre porte: a mezzogiorno tre porte: e a occidente tre porte. E il muro della città aveva dodici fondamenti, ed in essi i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello. E colui che parlava con me aveva una canna d’oro da misurare, per prendere le misure della città e delle porte e del muro. E la città è quadrangolare, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza: e misurò la città colla canna d’oro in dodici mila stadi: e la lunghezza e l’altezza e la larghezza di essa sono uguali. E misurò il muro di essa in cento quarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, qual è quella dell’Angelo. E il suo muro era costrutto di pietra di diaspro: la città stessa poi (era) oro puro simile a vetro puro. E i fondamenti delle mura della città (erano) ornati di ogni sorta di pietre preziose. Il primo fondamento, il diaspro: il secondo, lo zaffiro: il terzo, il calcedonio: il quarto, lo smeraldo: il quinto, il sardonico: il sesto, il sardio: il settimo, il crisolito: l’ottavo, il berillo: il nono, il topazio: il decimo, il crisopraso: l’undecimo, il giacinto: il duodecimo, l’ametisto. E le dodici porte erano dodici perle: e ciascuna porta era d’una perla: e la piazza della città oro puro, come vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio. Poiché il Signore Dio onnipotente e l’Agnello è il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né dì luna che risplendano in essa: poiché lo splendore di Dio la illumina, e sua lampada è l’Agnello. E le genti cammineranno alla luce di essa: e i re della terra porteranno a lei la loro gloria e l’onore. E le sue porte non si chiuderanno di giorno: perché ivi non sarà (notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo, o chi commette abbominazione o menzogna,
ma bensì coloro che sono descritti nel libro della vita dell’Agnello.”

La settima ed ultima Visione dell’Apocalisse, che tratta della glorificazione dei Santi e degli splendori della Gerusalemme celeste, inizia con il capitolo XXI. Essa è destinata a suscitare in noi il desiderio di meritare un giorno tale gloria e tali delizie, per motivarci a sopportare pazientemente le prove della vita presente, che ne sono il cammino.

§ 1 – I nuovi cieli e la nuova terra

Prima di tutto, ci mostra il risanamento dell’universo che deve seguire la condanna degli empi. Il mondo sarà come rimesso nel crogiolo, affinché tutte le tracce del peccato, sia il peccato dell’uomo che il peccato del diavolo, siano cancellate. E vidi il cielo rinnovato e la terra rinnovata. Secondo Sant’Agostino, il cielo designa qui lo strato d’aria che avvolge il nostro pianeta. Esso sparì per fare posto ad un’atmosfera la cui limpidezza e purezza non possono esprimersi in termini umani. – Quanto alla terra, essa perse la sua forma attuale per riceverne un’altra, di un modello incomparabile, dove i più piccoli dettagli erano una delizia per gli occhi. E il mare cessò di esistere, almeno come mare, nel senso che fu spogliato di tutte le sue amarezze e di tutto ciò che lo rende spaventoso; le sue acque divennero trasparenti come quelle di un lago e dolci come quelle di una sorgente di acqua viva. In senso morale, il cielo designa lo spirito dell’uomo, che sarà purificato da ogni contaminazione, anche nei suoi più segreti recessi; la terra, la sua carne, che, penetrata da una nuova vita, diventerà impassibile, immortale, meravigliosamente casta. E non ci sarà più mare, perché ci fonde di amarezza, che è in noi il frutto più sensibile del peccato originale, questa sorgente velenosa da cui sorgono incessantemente mormorii, recriminazioni, sbalzi d’umore, gelosia, indignazione, rabbia e giudizi sprezzanti sul prossimo, sarà scomparsa per sempre. L’uomo avrà recuperato, rafforzato e abbellito dalla grazia, questa dolcezza nativa che possedeva senza sforzo nello stato di innocenza, e non troverà più in se stesso un ostacolo continuo alla pratica della carità perfetta.

§ 2 – La Gerusalemme celeste.

E io, Giovanni, vostro fratello, che voi conoscete bene e che sono un uomo come voi, ho visto con i miei occhi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo. Queste espressioni designano la Chiesa trionfante, l’assemblea dei Santi, che l’Apostolo ebbe l’inestimabile felicità di contemplare nella sua estasi. Egli la paragona ad una città, per mostrare che coloro che la compongono vivono insieme, avendo tra di loro relazioni analoghe a quelle che i cittadini della stessa città hanno quaggiù. Solo questa città è santa: il male non può penetrare in nessuna forma, né nelle conversazioni che vi si svolgono, né nelle celebrazioni che vi si tengono; tutto è puro, tutto è limpido, tutto è trasparente come il cristallo. Questo perché gode costantemente della visione di Dio, che ha l’effetto di stabilire l’eletto in una pace che non può essere descritta, e che rimuove irriducibilmente ogni tentazione, ogni ansia, ogni lotta, ogni peccato. Né il leone né alcuna bestia malvagia possono avvicinarsi a lei, dice il profeta Isaia (XXXV, 9). Da qui il suo nome Gerusalemme, che significa: Visione di Pace; ma Gerusalemme nuova, perché è liberata dal lievito dell’uomo vecchio, perché ripudia ogni somiglianza con quella vecchia, con quella Gerusalemme terrena che uccise i profeti, che lapidò gli inviati di Dio (Mt. XXIV, 37), che crocifisse il suo Salvatore. Essa non è della terra, non ha niente in comune con quei giganti della leggenda che cercavano di salire al cielo; con i superbi di tutti i tempi e di tutti i luoghi che pensano di potersi elevare al di sopra della loro condizione con le proprie forze; essa scende dal cielo, perché riconosce e confessa umilmente che tutti i suoi meriti, le sue vittorie, le sue virtù, le vengono dall’alto. È da Dio che ha ricevuto tutta la sua bellezza, tutto il suo splendore; essa lo sa e dice con San Paolo: « È per la grazia di Dio che sono quello che sono » (I Cor., XV, 10.). È per la Sua bontà che è stata lavata, trasformata e resa pronta come una fidanzata che si è fatta bella per essere condotta al suo sposo, uno sposo che non è altro che il Figlio di Dio.

§ 3 – Gioia senza mistura.

E udii una voce potente che veniva dal trono, cioè che parlava in nome della Chiesa, personificando tutta la Tradizione cattolica, e diceva: Ecco, il tabernacolo – o, più esattamente, la tenda – di Dio è con gli uomini. Questa tenda è la Santissima Umanità di Gesù Cristo, sotto la quale il Verbo dimorò per trentatré anni per muovere guerra al mondo e al diavolo. Egli viveva lì alla maniera dei sovrani sul campo, che abbandonano il lusso e l’etichetta dei loro palazzi per dormire all’aperto e vivere familiarmente con i loro soldati. Ecco, questa tenda, questo tabernacolo, è ora piantato in mezzo agli uomini, cioè a coloro che hanno vissuto come uomini e non come bestie: in mezzo agli eletti. Egli abita con loro per sempre, non li lascerà mai più. D’ora in poi saranno il suo popolo, il popolo che si è acquistato a prezzo del suo Sangue; mai più cercheranno di scuotere la sua autorità, mai più gli disobbediranno in qualcosa. E Colui che, pur essendo Dio per essenza, pur possedendo di diritto la natura divina, è così spesso incompreso e ignorato dagli uomini, diventerà da allora in poi veramente il loro Dio, cioè l’unico oggetto della loro ammirazione, dei loro desideri, della loro adorazione, dei loro pensieri e del loro amore. La sua presenza in mezzo a loro sarà la fonte della loro gioia. E asciugherà tutte le lacrime dai loro occhi. L’autore non poteva trovare un’immagine più toccante per mostrare la cura di Dio per i suoi, che paragonarlo alla madre che, chinandosi sul suo bambino appena nato, cerca la causa delle sue pene, si ingegna per farlo sorridere, asciuga i suoi occhi, il suo viso, lo copre di baci. Dio eliminerà tutte le possibili cause di tristezza.  Non ci sarà più la morte; nessuno avrà più motivo di gemere per le proprie sofferenze o per quelle del suo prossimo, né di gridare aper chiamare Dio o tutti gli uomini a suo soccorso; anche il ricordo dei peccati passati non genererà più alcun dolore: Tutte le miserie del mondo attuale saranno scomparse, e non rimarrà altro che la gioia, una gioia tale che nessuna impressione contraria, nessun ricordo spiacevole, potrà diminuirla.

§ 4 – Conferma divina.

Questo è ciò che disse la voce dal trono. E per confermare la sua autorità, Dio stesso prese la parola: « Ecco – Egli dice – io rinnovo tutte le cose. Tutto ciò che era dolore, sofferenza, dolore, macchia, laidezza, passerà, e sarà sostituito da un mondo il cui fascino, dolcezza e bellezza nulla può esprimere: perché l’occhio dell’uomo non ha visto, né l’orecchio ha sentito, né il cuore ha immaginato ciò che ho in serbo per coloro che mi amano. » (I Cor., II, 9.). Poi aggiunse: « Incidi nel tuo cuore tutto quello che hai appena sentito su questo rinnovamento dell’universo e sulla gloria della Città Santa.

Dopo tu  lo scriverai sulle tue tavolette affinché altri possano beneficiarne, infatti queste parole sono rigorosamente degne di fede e conformi alla verità, ed infallibilmente si adempiranno. Ne puoi essere così sicuro come se gli eventi che annunciano fossero già stati realizzati. Perché io faccio quello che voglio: io sono l’Alfa e l’Omega, il principio da cui provengono tutte le cose e il fine a cui tendono. Presto il tempo della penitenza sarà finito, presto il tempo concesso all’uomo per scegliere tra le due città sarà chiuso: un abisso invalicabile si estenderà tra Babilonia, la prostituta definitivamente condannata, e la Gerusalemme celeste, la sposa ammessa alle nozze eterne. Io stesso farò bere alla fonte dell’acqua viva coloro che hanno sete, coloro che sono spinti da desideri ardenti. Darò loro quest’acqua liberamente, con un atto di pura liberalità da parte mia. Tuttavia, la riceverà solo colui che ha perseverato nei suoi sforzi fino alla fine, che ha lottato contro la carne, il mondo e il diavolo fino alla vittoria. Con essa, egli possederà per sempre e nella loro totalità, le gioie di cui si è appena parlato: Io sarò il suo Dio, lo riempirò di tutti i beni immaginabili. Io lo soddisferò nelle più intime profondità del suo essere, ed egli sarà come un figlio per Me, provando un rispetto e un amore per Me che non gli permetterà di desiderare altro che la mia presenza. Per coloro, al contrario, che non hanno avuto il coraggio di lottare contro se stessi: per i pusillanimi, che sacrificano la loro fede alla paura del mondo; per gli increduli, che non hanno fiducia nella mia bontà e nel potere della mia grazia; per gli scomunicati, che la Chiesa, a causa dei loro crimini, ha dovuto tagliare fuori dalla società dei Santi, ed escludere dalla distribuzione dei suoi doni;  per gli omicidi, sia che si prenda alla lettera questo termine, sia che si intenda con questo le parole o i cattivi esempi, che hanno inferto colpi mortali alle anime degli altri; – per i fornicatori che il peccato della carne tiene nella propria schiavitù; per i mercanti di veleni, i detrattori, i calunniatori, i mormoratori; o ancora: i maghi, gli stregoni, gli spiritisti e tutti coloro che praticano le scienze occulte; per gli idolatri, gli adulatori, i cortigiani e tutti coloro che hanno fatto della menzogna un’abitudine: tutti questi saranno gettati con il diavolo e l’anticristo nel lago che brucia con fuoco e zolfo: questa è la loro parte per l’eternità, e questa è la seconda morte, la morte che colpisce sia il corpo che l’anima: la dannazione.

PARTE SECONDA

GLORIA DELLA CITTÀ SANTA

§ 1 La bellezza della sposa

E venne uno dei sette Angeli che hanno le coppe piene delle sette piaghe degli ultimi tempi. Le visioni precedenti hanno sviluppato a lungo, anche se in termini oscuri, le sofferenze e le prove attraverso le quali la Chiesa deve passare. Ora San Giovanni ci mostrerà il fine a cui tendono tutte queste purificazioni: la bellezza della nuova Gerusalemme, la gloria della Città degli Eletti. Per questo inizia evocando il ricordo delle sette piaghe descritte nella quinta visione (Capp. XV e XVI). Uno degli Angeli che le aveva versate sulla terra si avvicinò dunque all’Apostolo e, parlando a nome di tutti, per mostrare sempre che la Tradizione della Chiesa è una sola sotto la diversità dei Dottori, gli disse: Vieni, cioè: lascia le cose terrene in mezzo alle quali vivi; eleva la tua intelligenza, sali alle realtà celesti. E ti mostrerò la bellezza di colei che è sia la fidanzata e sposa dell’Agnello, cioè la Chiesa, la fidanzata di Cristo nella vita presente, la sua sposa in cielo. Questo doppio nome vuole anche mostrare che l’unione con il Verbo, mentre conferisce all’anima la gloria della maternità spirituale, non la priva del privilegio della verginità. E mi portò in spirito su una grande e alta montagna. Ponendo la Gerusalemme celeste su un monte, l’autore la contrappone a Babilonia, la prostituta costruita sui fiumi, secondo il Salmista, – cioè i fiumi delle tre concupiscenze che la portano verso l’Inferno (Sal. CXXXVI, 1). Questa montagna rappresenta Cristo; la Sua Santissima Umanità si eleva al di sopra del mondo, come un’alta cima che domina la pianura, ed è su di essa che viene costruita la Chiesa. Inoltre, questa espressione, presa alla lettera, implica che la visione ora in questione è di ordine superiore alla precedente. E l’Angelo mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo per l’azione di Dio. Abbiamo già detto che quest’ultima espressione significa la virtù dell’umiltà, che è la base della gloria dei Santi. Essa aveva la luminosità di Dio: è proprio questa umiltà che rende Gerusalemme luminosa. È perché discende da Dio che è vestita di luce, a differenza dell’Angelo apostata, che ha perso l’incomparabile brillantezza di cui era adornato e, da “Lucifero”, è diventato il Principe delle Tenebre, perché voleva elevarsi al di sopra degli astri. Come un pezzo di ferro messo nel fuoco prende il colore e l’aspetto del fuoco, così la Chiesa, immersa nello splendore della gloria di Dio, irradia e diffonde essa stessa questo splendore. – E la luce che essa proietta così, la luce che scaturisce dai suoi Santi, è come una pietra preziosa, come la pietra di diaspro, cioè come Cristo. La Scrittura paragona spesso il Salvatore ad una pietra a causa della sua fermezza invincibile, dell’atteggiamento inflessibile della sua volontà rispetto alla volontà del Padre suo (Cfr. ad es. Dan. II, 34; Ps. CXVII, 22; XXVIII, 16; I Cor. X, 4; ecc. ecc.); una pietra infinitamente preziosa, per le virtù che sono i suoi elementi costitutivi. Essa assomiglia alla pietra di diaspro, perché quest’ultima, che è di un bel colore verde, simboleggia il fascino di una fioritura che rimarrebbe sempre nella sua prima freschezza, di una vita la cui piena fioritura non conoscerebbe mai l’autunno. La Città Santa, dunque, partecipa a questo stato di Cristo, e non vi mescola nessuna impurità, nessun fermento di amor proprio, perché la coscienza dell’eletto è diventata limpida, come di cristallo.

§ 2 – Il muro della città e le sue dodici porte.

E la città aveva un muro grande ed elevato. Questo muro rappresenta ancora la Santissima Umanità di Cristo, che protegge la Chiesa contro tutti i suoi nemici. Il profeta Isaia usa la stessa immagine in modo ancora più esplicito quando dice che il Salvatore sarà posto in Sion come un muro (XXVI, 1.). Questo muro è grande per la nobiltà della sua vita; è elevato, poiché, attraverso l’unione ipostatica, tocca persino il cielo. Ci sono dodici porte attraverso le quali si può entrare nella città, perché Cristo stesso ammette nel suo regno solo coloro che sono disposti ad accettare la dottrina dei dodici Apostoli, a piegarsi al loro insegnamento e a seguire il cammino segnato dal loro insegnamento. Fuori da queste porte il muro è invalicabile: non c’è salvezza, nemmeno in Cristo, se non attraverso la Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana. E all’interno di queste porte c’erano dodici Angeli; infatti, non possiamo dubitare che gli Angeli furono molto attivi nell’assistere gli Apostoli e i loro successori nel loro ministero. Se Dio ha designato uno di questi spiriti celesti per vegliare su ogni anima, per aiutarla nella sua salvezza, come non credere che i pastori non siano oggetto di un aiuto speciale da parte loro, dato che devono salvare non solo le proprie anime, ma anche tutte quelle affidate alle loro cure? E su queste porte erano iscritti i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele: la memoria e gli esempi dei Patriarchi dell’Antica Legge erano incisi nel cuore degli Apostoli. I due Testamenti sono strettamente legati l’uno all’altro: i Patriarchi ed i Profeti hanno visto in figura Colui che gli Apostoli hanno realmente conosciuto da vivo. Ma gli uomini che hanno creduto in Cristo prima della sua incarnazione sono una sola Chiesa con quelli che hanno creduto in Lui dopo la sua venuta: e tutti insieme costituiscono le dodici tribù del popolo di Dio, come abbiamo spiegato sopra (Cfr. cap. VII, 4 segg.). Tre di queste porte sono rivolte ad Oriente, tre a nord, tre a sud e tre ad Occidente. Nel libro dei Numeri (II.) troviamo le tribù d’Israele disposte secondo l’ordine di Dio in una disposizione simile. Questa ha senza dubbio un significato misterioso: sottolinea sia il numero tre che la figura della croce. Riassume così i misteri essenziali ai quali è necessario aderire per entrare nella Gerusalemme celeste: quello della Trinità e quello della Redenzione. La Città è aperta ai quattro punti cardinali: perché in senso letterale è accessibile agli uomini di tutte le parti della terra. In senso figurato, tutti gli uomini sono chiamati alla vita eterna, sia che abbiano vissuto in Oriente, cioè all’inizio del mondo, sia che vivano ad Occidente, cioè al suo declino; sia che si trovino al sud, cioè i Giudei, per la luce divina che illumina questo popolo, o i Gentili, immersi nelle tenebre e nella freddezza dell’Aquilone. Da qualsiasi paese si provenga, si può entrare da tre porte: da quella del matrimonio quello della vedovanza, quello della verginità, che riassumono tutte le condizioni possibili della vita presente. Così non c’è nessuno che non possa pretendere di vivere tra le sue mura, purché accetti la dottrina dei dodici Apostoli, purché creda nel mistero della Santa Trinità e ponga la sua speranza nella croce di Cristo. – In senso morale, i Dottori vedevano nelle dodici porte i dodici punti essenziali ai quali i predicatori devono attenersi per portare tutti gli uomini al regno dei cieli. Ecco, per esempio, come li interpreta Sant’Alberto Magno: Le tre porte dell’Oriente indicano che, per illuminare i propri uditori e farli crescere nella luce, egli (il predicatore) deve tener conto della loro capacità, e graduare i suoi insegnamenti secondo la tradizionale distinzione tra principianti, progrediti e perfetti. Le tre porte dell’Aquilone rappresentano le tre minacce che incombono sull’uomo: la morte, il giudizio e l’inferno; quelle del Sud, le tre promesse fatte all’uomo: il perdono delle sue colpe, l’aiuto della grazia, la gloria eterna; infine, le tre porte dell’Ovest, sono i tre tipi di peccati dai quali si deve fare penitenza: peccati di pensiero, peccati di parola, peccati di azione. E il muro della città aveva dodici fondamenta. Il muro della città, come abbiamo detto, rappresenta Cristo. Le dodici fondamenta sono la figura dei Patriarchi dell’Antica Legge: perché fu in loro, nei loro cuori, che la fede in Cristo mise radici, fu su di loro che il Salvatore pose le prime fondamenta della Sua Chiesa. Il Salmista ha usato la stessa immagine quando ha detto che le sue fondamenta sono nei monti santi, designando sotto questa espressione questi uomini di eminente santità (Sal. LXXXVI, 1.). E su queste fondamenta furono incisi i nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello: con questo l’autore intende dire sia che i Patriarchi aderirono in anticipo alla dottrina che gli Apostoli dovevano un giorno predicare al mondo, sia che questi ultimi completarono solo la dottrina della Redenzione così come i loro Padri l’avevano già creduta. Il nome dell’Agnello è qui evocato per mostrare che è la passione del Salvatore il primo fondamento su cui poggiano tutti gli altri, come ci insegna San Paolo: ipso summo angulari lapide Christo Jesu (Ephes. II, 20).

§ 3 – La misura della città

Avendo dimostrato che non c’è nessuno che non possa aspirare ad entrare nella Città di Dio, San Giovanni ci farà ora capire che non tutti, però, vi godono della stessa gloria, perché la ricompensa di ciascuno è proporzionata ai suoi meriti. L’angelo – egli dice – che parlava con me aveva in mano una misura fatta di una canna d’oro. Perché i meriti di ciascuno non si misurano secondo i principi ordinari della sapienza umana, ma con la canna d’oro, cioè alla luce degli insegnamenti della Sacra Scrittura. Così l’Angelo ha misurato la città, cioè la folla Chiesa; ne ha misurato anche le porte, cioè i prelati, i successori degli Apostoli, il cui giudizio sarà più rigoroso perché dovranno rispondere di se stessi e delle anime affidate alle loro cure. Infine, l’Angelo ha misurato il muro, cioè i principi secolari, gli uomini investiti del potere pubblico, perché anch’essi avranno un conto speciale da rendere per il potere che è stato loro conferito, e che è destinato essenzialmente, nella mente divina, ad assicurare la protezione materiale della Chiesa. In senso morale, questo Angelo rappresenta i predicatori. Misurano la città con la canna d’oro, quando fanno della Sacra Scrittura la base del loro insegnamento, quando adattano la loro spiegazione alle capacità del popolo cristiano; misurano le porte, quando si preoccupano di non deviare dalla dottrina degli Apostoli; misurano il muro, quando predicano Gesù Cristo Dio e Uomo. E la città è costruita in un quadrato: Tutti i meriti degli abitanti della Città Santa poggiano su una solida struttura costituita dalle quattro virtù cardinali: giustizia, prudenza, temperanza, forza. Queste devono essere costruite in un quadrato, cioè devono essere uguali l’una all’altra: se, infatti, si coltivasse solo una di esse, la fortezza, per esempio, senza preoccuparsi di sviluppare contemporaneamente la prudenza, la giustizia e la temperanza, l’anima sarebbe sbilanciata, non fiorirebbe armoniosamente e sarebbe invece esposta a cadere in una moltitudine di difetti. – E la lunghezza della città è uguale alla sua larghezza; o, più esattamente, la sua altezza è proporzionata alla sua larghezza: perché l’anima sale tanto più in alto nella conoscenza delle cose celesti, quanto più si espande sulla terra nella pratica della carità. E l’Angelo misurò la città con la sua verga d’oro, attraverso dodicimila stadi. L’Angelo stabilì così i meriti di tutti gli abitanti della Gerusalemme celeste secondo i dati della Scrittura, che promette beatitudine ai poveri, agli afflitti, ai miti, a coloro che soffrono persecuzioni, ecc. Lo fece attraverso dodicimila stadi: cioè, non secondo un solo schema, ma in funzione dei diversi stadi in cui gli uomini si esercitano alla virtù. Queste tappe sono estremamente numerose, secondo gli stati di vita, le professioni, i temperamenti, i mezzi di ciascuno, ecc. Per essere qualificati, è sufficiente che rientrino nel numero 12.000, che rappresenta la dottrina degli Apostoli, dodici moltiplicato per mille, cioè con la perseveranza finale: chi avrà lottato fino alla fine della sua vita, senza uscire dal recinto della fede cattolica, riceverà la sua ricompensa. E la sua lunghezza, l’altezza e la larghezza sono uguali. Oltre alle virtù cardinali sopra menzionate, se si vuole entrare nella Città di Dio, bisogna anche possedere le tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità. L’autore designa la prima sotto il nome di lunghezza, perché unisce due termini estremamente distanti tra loro, il Creatore e la sua creatura; la seconda, sotto quello di altezza, perché eleva l’anima al cielo; la terza, sotto quello di larghezza, perché la apre e la dilata fino a farle amare i suoi nemici. Dicendo che queste tre virtù sono uguali, San Giovanni non va contro San Paolo, che afferma la superiorità della carità (I Cor., XIII, 13). Vuole semplicemente dire che, per ottenere la corona eterna, devono essere perseguite insieme. E l’Angelo misurò il muro della città, che è di centoquarantaquattro cubiti. Il muro della città, come abbiamo detto sopra, rappresenta Cristo. Ora questo muro è lungo centoquarantaquattro cubiti, perché tutte le opere che Egli fece sulla terra, e che sono rappresentate da cubiti, sono contrassegnate dal numero centoquarantaquattro. Questo numero infatti racchiude nel mistero del suo simbolismo la purezza dell’intenzione (cento), lo spirito di penitenza (quaranta), la pratica delle virtù cardinali (quattro), che genera quella di tutte le altre. Questa è la misura dell’uomo: è la misura che ogni uomo che vuole ottenere il perdono delle sue colpe, essere integrato in questo muro, recuperare la sua vera dignità di uomo, deve cercare di raggiungere: ma è anche una misura di Angelo: perché colui che arriva a realizzarlo merita, ipso facto, di prendere suo posto tra le gerarchie angeliche.

§ 4 –  Le pietre di cui è costruita la città.

E il muro era costruito in pietra di diaspro. La santissima Umanità di Gesù Cristo, che è il bastione della Chiesa, si dice ora che è costruita di pietra, per l’estrema fermezza che possiede, per il fatto dell’unione ipostatica; di pietra di diaspro, cioè non semplicemente dipinto di verde, ma verde nel suo stesso contesto, nelle sue fibre più profonde, per marcare che possiede, non come un dono aggiunto, ma nella sua essenza, una vita che è sempre piena di linfa e che non appassirà mai; cosa che San Giovanni ha espresso nel suo Vangelo dicendo: In Lui era la vita (I, 4.). – E la città stessa, cioè l’assemblea degli eletti, avvolta da questa Umanità come una città dalle sue mura, è fatta di oro puro, come un vetro trasparente: infatti i cuori dei beati, penetrati dalla conoscenza di Colui che vedranno faccia a faccia, diventeranno puri e splendenti come l’oro, come Dio stesso. E questo splendore che passa attraverso i loro corpi, divenuti gloriosi, come attraverso un vetro trasparente, sarà visibile a tutti. E le fondamenta del muro della città erano ornate di tutte le pietre preziose. Con queste espressioni e quelle che seguono, l’autore sta cercando di darci un assaggio dell’incredibile splendore della Gerusalemme celeste. E possiamo usarle in senso letterale, per darne una pallida immagine alla nostra mente. Ma ci interessano soprattutto per il loro significato mistico. Le fondamenta rappresentano i Patriarchi e gli Apostoli, sui quali poggia l’autorità dei Dottori, dei Vescovi, dei Predicatori e di tutti coloro che servono da baluardo, o da muro, alla Chiesa; le pietre preziose sono la figura delle virtù di cui erano adornate. Il primo fondamento era di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di onice, il sesto di sardonio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoproso, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. « L’armonia di questi colori – scrive P. Allô, – dove grazia e opulenza si mescolano, il loro insieme luminoso, allegro e tenero, risveglia solo idee di gioia, di freschezza e di riposo… Presi tutti insieme, ricordano l’arcobaleno, e fanno della città celeste una cintura di incomparabile varietà e ricchezza » (Op. cit, p. 320). Cosa significano ora, nel regno soprannaturale? Il diaspro verde scuro simboleggia la fede, e come tale è posto come primo fondamento, perché è questa virtù che serve da fulcro per tutte le altre, e senza di essa è impossibile, come ci dice San Paolo, piacere a Dio (Eb. XI, 6). È la fede di Abramo che è la base della vocazione del popolo giudaico, è la fede del principe degli Apostoli che è la pietra angolare della Chiesa, e ognuno di questi due santi può essere identificato con il primo fondamento qui menzionato. – Lo zaffiro, che viene dopo, è anche chiamato la pietra azzurra, o lapislazzuli; poiché è di colore blu, rappresenta la speranza, che dà all’anima qualcosa della Pace nel cielo. – Il calcedonio, che è una varietà di rubino, la più preziosa di tutte le pietre, è di un bel rosso granata. Ha la proprietà di brillare al buio, – da qui il suo nome più noto di carbonchio (da carbunculus, carbone ardente), – e questa qualità era usata nell’antichità per dare alle statue degli dei o dei draghi occhi scintillanti. Esso è così duro che è impossibile scalfirlo; riscaldato per attrito, attira a sé, come una calamita, i fili di paglia che si trovano nelle sue vicinanze. Per tutte queste ragioni, è stato visto come un simbolo della carità. Perché questa carità risplende solo se è nell’oscurità, cioè se cerca di essere sconosciuta, se la mano destra non è consapevole di ciò che la sinistra dà (Mt. VI, 3.). Essa non si lascia danneggiare dalle contrarietà e dalle ingiurie, perché è forte come la morte (Cant., VIII, 6); e attira a sé quei fasci di paglia mossi dal vento che sono i peccatori. –  Lo smeraldo, con la sua mirabile tonalità di verde, evoca tutto ciò che la natura offre di più piacevole e riposante per l’occhio: essa così simboleggia la verginità, che non svanisce mai, e che mantiene il corpo nella purezza di cui godeva nella primavera della sua vita. – L’onice, che è usato per fare i sigilli, ha spesso bande di colori ben definiti, bianco e nero. Possiamo vedere in questo una figura del contrasto che regna nelle anime dei santi attraverso la virtù dell’umiltà, tra il male che pensano di se stessi e la purezza con cui brillano davanti a Dio; o ancora, tra l’oscurità delle tentazioni che talvolta li sommergono e il candore della loro volontà che, guardandosi dal minimo difetto, rimane immacolata, contrasto che faceva dire alla Sposa: Sono nera, ma sono bella (Cant., I, 4). Le tre pietre elencate dopo: il sardonio, il crisolito e il berillo, rappresentano le qualità che fanno la gloria della vita attiva. Il sardonio o corniola, per il suo aspetto rosso sangue, evoca l’idea delle ferite, del martirio, e serve quindi come emblema della pazienza: chi vuole lavorare per la diffusione del regno dei cieli deve essere pronto a sopportare molte prove, e a subire persecuzioni. – Il crisolito, una pietra gialla da cui sembrano scaturire scintille, simboleggia la brillantezza che i Santi proiettano verso l’esterno con le loro esortazioni, con i loro esempi e talvolta con i loro miracoli, tutte cose che sulle anime hanno l’effetto di colpi di luce. – Il berillo, o acquamarina, una specie di smeraldo verde pallido, rappresenta la pratica delle opere di misericordia, come l’alleviare i poveri, curare i malati, visitare i prigionieri, istruire gli ignoranti, ecc. Si dice che questa pietra abbia la curiosa proprietà di riscaldare la mano di chi la tiene in mano. Allo stesso modo, la vita attiva, attraverso la pratica delle buone opere, riscalda i cuori di coloro con cui viene a contatto, provocandoli così ad amare Dio e i loro simili. Ma il berillo non ha il bello splendore dello smeraldo: perché questa stessa vita attiva, obbligata per le sue opere a dimorare in rapporto al mondo, non può impedirsi di contrarre da questo delle imperfezioni che attenuano la perfetta purezza dell’anima. Al contrario, il topazio, che ha il colore dell’oro, brilla con una brillantezza incomparabile. È, per eccellenza, la gemma che si adatta alla fronte dei re: toccata da un raggio di sole, sfavilla di mille fuochi, eclissando tutte le altre pietre preziose. Come tale, è l’emblema della vita contemplativa. La Scrittura stessa ci dice che il volto di Mosè, quando quel patriarca uscì dal suo colloquio con Dio, era così luminoso che i Giudei non potevano sopportarne lo splendore (Es. XXXIV). Questa era una manifestazione sensibile di ciò che accade nelle anime dei santi quando sono toccati direttamente dal raggio della divinità. Il topazio, invece, perde la sua brillantezza se si cerca di lucidarlo, perché la contemplazione è oscurata dall’attrito con le cose umane. Il crisoprasio, il cui colore è un misto di verde e oro, rappresenta il desiderio ardente della vita eterna che segue la contemplazione, desiderio dal quale S. Paolo era consumato, quando non aspirava che a dissolversi oer essere con il Cristo (Philip. I, 23). L’oro rappresenta il prezzo inestimabile di questa eternità benedetta; il verde, il fascino di una primavera sempre rinnovata, che non conosce né la morte dell’inverno, né la siccità dell’estate, né il declino dell’autunno. Il giacinto, o liguria, che viene dopo, con la sua magnifica tonalità rossa e oro, concerne ancora la vita contemplativa. Questa vita, lungi dall’essere egoistica, come spesso viene accusata di essere, indossa il manto regale della carità più alta e più pura. Ecco perché San Paolo voleva essere tutto a tutti, per conquistarli tutti a Gesù Cristo (I Cor., IX, 19), e avrebbe accettato, se necessario, di essere anatema pur di salvare i suoi fratelli (Rom., IX, 3). Infine l’ametista, che completa l’enumerazione delle dodici pietre, è, per il suo colore viola, l’emblema della modestia. La violetta è, infatti, un fiore piccolo, umile e discreto, che tuttavia emana un profumo penetrante, che piace a tutti. Così la modestia dà fascino a chiunque ne sia adornato, anche agli occhi dei suoi nemici; mentre l’orgoglio ispira sempre una certa repulsione. È soprattutto attraverso la modestia che si diffonde il buon odore di Cristo (II Cor., II, 15), come fa intendere l’Apostolo quando dice: La vostra modestia sia nota a tutti (Phil., IV, 5). Essa è menzionata qui per ultima, perché è quella che serve da coronamento e collegamento a tutte le altre virtù: ed è per questo che, nella sua Regola, San Benedetto l’ha posta al livello più alto della sua scala; essa richiede una completa sottomissione del corpo all’anima; matura tutto l’individuo, gli dà la sua forma perfetta; lo obbliga a mantenere in ogni luogo, in ogni momento, in ogni cosa quel modo, quella misura, quella maniera, quella giusta via di mezzo che si identifica con la virtù. – E le dodici porte contenevano ciascuna le dodici pietre preziose: e (tuttavia) ogni porta era fatta di una particolare gemma: Questa frase, che a prima vista sembra implicare una contraddizione, significa semplicemente che ognuno degli Apostoli possedeva tutte le virtù appena elencate, pur distinguendosi per qualche dono particolare. Così, San Pietro si distinse per la sua fede, San Giovanni per la sua purezza, Sant’Andrea per il suo amore per la croce, San Paolo per l’ardore del suo zelo, ecc. (Andrea di Cesarea, nel suo Commento, ripartisce le pietre tra gli Apostoli come segue: il diaspro, simbolo della fede, a San Pietro; lo zaffiro, a San Paolo, perché fu assunto nel terzo cielo; il calcedonio, a Sant’Andrea, per la particolare brillantezza della sua passione; lo smeraldo, simbolo della verginità, a San Giovanni; l’onice, a San Filippo; il sardonio a San Giacomo, che fu il primo ad essere martirizzato; il crisolito a San Bartolomeo, per la sua eloquenza; il berillo a San Tommaso; il topazio a San Matteo, perché il suo Vangelo ha brillato sul mondo più di tutti gli altri; il crisoprasio, a San Giuda; il giacinto, a San Simone; l’ametista, a San Mattia. Ma le ragioni che egli dà per queste applicazioni sono spesso troppo sottili per essere riportate qui, e lui stesso bada di non attribuire un valore assoluto ad esse: le ha fatte solo, dice, a titolo di congetture, su questioni i cui segreti profondi sono noti solo a Dio). – E la piazza della città è oro puro, come vetro trasparente. Al contrario delle porte e del muro appena menzionato, che è un muro d’oro, e che rappresentano gli Apostoli e i pastori, il luogo della città designa qui la massa dei santi inferiori e degli eletti: interamente spogliati di ogni sozzura, si dice che siano simili all’oro puro, per la carità che li infiamma, e al vetro trasparente, perché non c’è più alcuna piega recondita nelle loro anime dove si possono nascondere l’amor proprio e la duplicità.

§ 5 – Perché nella città non c’è né tempio, né sole, né luna, né sole, né luna, né ladri, né notte.

E non ho visto un tempio in questa città. Quaggiù, per rendere al suo Creatore il culto che gli deve, l’uomo è costretto a costruire templi, cioè edifici appositamente eretti per questo scopo: perché, non vedendo Dio con gli occhi del corpo, perde costantemente di vista la nozione della Sua Presenza. Ha quindi bisogno di un luogo dove tutto gli parli di Lui e dove possa facilmente isolarsi dal mondo, ritirarsi e pregare. Ma nell’eternità le cose saranno ben diverse; al contrario, l’uomo sarà assolutamente immerso nel sentimento di questa Presenza: essa lo avvolgerà, per usare le espressioni della Scrittura, come un fiume impetuoso, come un torrente di voluttà. Egli vedrà Dio costantemente, faccia a faccia e così com’è: non avrà più bisogno di un posto speciale per pensare a Lui. Per questo l’autore aggiunge che il Signore, il Dio onnipotente stesso, è il tempio di questa Città, e l’Agnello con Lui. La Santissima Umanità di Nostro Signore è infatti il tempio per eccellenza, quello in cui abita corporalmente la pienezza della divinità (Coloss., II, 9). Gesù stesso lo aveva chiaramente sottinteso, quando paragonando se stesso all’edificio che era la gloria di Gerusalemme, aveva dichiarato: Distruggete questo tempio e Io lo ricostruirò in tre giorni… Egli disse questo, aggiunge San Giovanni, del tempio del suo corpo (Giov. II, 19, 21.). Che bisogno avremo di un monumento di pietra quando avremo davanti agli occhi l’incomparabile splendore di questo tempio, che non è stato fatto da mani umane, che è stato “plasmato” dallo stesso Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria? Quando potremo contemplare il corpo abbagliante e glorioso del Figlio di Dio? E la città non ha bisogno di sole né di una luna per essere illuminata, perché lo splendore di Dio la illuminerà e l’Agnello è la sua luce. Per condursi nel regno dei cieli, per gustarne le bellezze, per acquisire delle nuove chiarezze, gli eletti non avranno più bisogno dei dati dei loro sensi, che sono paragonati qui, per la mediocrità delle conoscenze che ci portano, alla luce della luna.  Questa luce è debole, incerta e spesso velata. Né servirà loro il lume della loro ragione, che è rappresentato dalla luce del sole, perché, sebbene sia di gran lunga superiore alla luce della luna, è tuttavia soggetto a molti oscuramenti, e per metà del tempo è costretto a cedere il passo alla notte. Nella Gerusalemme celeste, Dio illuminerà le intelligenze direttamente, senza intermediari, come fa con gli Angeli. Inoltre, la Santissima Umanità del Salvatore brillerà con tale splendore che eclisserà completamente la luminosità del sole, anche se il sole, come ci dice il profeta Isaia, dovesse diventare sette volte più luminoso che adesso (XXX, 26.1). – E i popoli cammineranno nella sua luce; la folla innumerevole di coloro che hanno seguito gli stretti e oscuri sentieri della fede quaggiù, andranno e verranno liberamente in questo inesprimibile splendore; e i re della terra, cioè i Pastori, non cercheranno di vantarsi dei successi che hanno ottenuto nel loro ministero, delle conversioni che hanno effettuato, né dei tributi pagati loro dal loro gregge. Avranno in vista solo la bellezza, l’ornamento, la gloria, lo splendore della città celeste. E le porte della città celeste non saranno chiuse durante il giorno, perché ci sarà piena sicurezza. Non ci sarà paura dei ladri, né degli eretici o dei liberi pensatori, né del diavolo. E non lo saranno nemmeno di notte, perché non ci sarà più la notte. Lo splendore della Maestà divina, lo splendore della Santissima Umanità di Cristo, risplenderà, sempre uguale a se stesso, effondendo flussi di luce che non diminuiranno né si interromperanno mai. – In senso spirituale, queste parole significano che non ci sarà più spazio per le tenebre del peccato, né per le tenebre dell’ignoranza. E i Pastori vi condurranno la gloria e l’onore delle nazioni: a questa città santa convergeranno, guidati dai loro Pastori, gli eletti di tutto il mondo; quegli uomini che, per le loro virtù, possono essere chiamati l’onore dell’umanità e per la rettitudine della loro coscienza, la sua gloria, perché, dice l’Apostolo, la nostra gloria è la testimonianza della nostra coscienza (II Cor., I, 12). Ma d’altra parte coloro che non hanno voluto mettersi alla scuola di Cristo e fare penitenza per le loro colpe, non hanno alcuna speranza di entrare mai nelle porte della Gerusalemme celeste: perché nulla di impuro può entrare in quella città, né alcuno di coloro che fa abomini e menzogne. Il peccato sarà escluso in tutte le sue forme: sia che si tratti di sozzure del cuore, di abominazioni o di peccati di opere, di menzogne o di peccati di parola. Quaggiù, nella Chiesa militante, i malvagi e i buoni, i bugiardi e coloro che dicono la verità, quelli che sono puri e quelli che non lo sono, vivono strettamente confusi. Ma alle porte della Città di Dio, sarà fatta una selezione spietata, e solovi potranno entrare coloro che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello, coloro cioè la cui vita sarà trovata conforme agli insegnamenti e agli esempi del Signore Gesù.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (14)