DOMENICA DI PASSIONE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLII: 1-2.

Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab homine iníquo et dolóso éripe me: quia tu es Deus meus et fortitudo mea. [Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: líberami dall’uomo iniquo e fraudolento: poiché tu sei il mio Dio e la mia forza].

Ps XLII:3

Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me de duxérunt et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua. [Manda la tua luce e la tua verità: esse mi guídino al tuo santo monte e ai tuoi tabernàcoli.]

Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab homine iníquo et dolóso éripe me: quia tu es Deus meus et fortitudo mea. [Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: líberami dall’uomo iniquo e fraudolento: poiché tu sei il mio Dio e la mia forza].

Oratio

Orémus.

Quæsumus, omnípotens Deus, familiam tuam propítius réspice: ut, te largiénte, regátur in córpore; et, te servánte, custodiátur in mente. [Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, guarda propízio alla tua famiglia, affinché per bontà tua sia ben guidata quanto al corpo, e per grazia tua sia ben custodita quanto all’ànima.]

 Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebræos.

Hebr IX: 11-15

Fatres: Christus assístens Pontifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum, et cinis vítulæ aspérsus, inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ideo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem eárum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

OMELIA I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO SACERDOTE

“Fratelli: Cristo, essendo venuto come pontefice dei beni futuri, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè non appartenente a questo mondo creato, e mediante non il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, entrò una volta per sempre nel santuario, avendo procurato una redenzione eterna. Poiché se il sangue dei capri e dei tori e l’aspersione con cenere di giovenca santifica gli immondi rispetto alla mondezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale, mediante lo Spirito Santo, ha offerto se stesso immacolato a Dio, monderà la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente? E per questo Egli è il mediatore del nuovo testamento, affinché, essendo intervenuta la sua morte a redimere dalle trasgressioni commesse sotto il primo testamento, quelli che sono stati chiamati conseguono l’eterna eredità loro promessa, in Gesù Cristo Signor nostro”. (Ebr. IX, 11-15).

L’Epistola di quest’oggi è tratta dalla lettera agli Ebrei, della quale si è già parlato nella solennità di Natale. Qui si parla della superiorità e della efficacia del Sacrificio di Gesù Cristo, in confronto del sacrificio della legge ebraica. Difatti Gesù Cristo:

1. È il Sacerdote della nuova legge,

2. Che offre a Dio il proprio sangue,

3. E si fa nostro mediatore.

1.

Cristo, essendo venuto come pontefice dei beni futuri; cioè dei beni del Nuovo Testamento, come: l’espiazione valevole per tutti i tempi, la santificazione interna, l’eterna felicità ecc.; venivano, necessariamente, a perdere tutta la loro importanza i riti del culto levitico. Ciò che è imperfetto dove cedere il posto a ciò che è perfetto. Gesù Cristo è il Sacerdote della nuova legge. Non si assume da sé la dignità sacerdotale: ma vi è destinato da Dio, come da Dio vi fu destinato Aronne. Il Padre, che dall’eternità gli dà l’essere di Figlio, con giuramento solenne, irrevocabile, lo dichiara: «Sacerdote in eterno,secondo l’ordine di Melchisedech» (Salm. CIX, 4). Sarà un sacerdote che durerà in eterno. Melchisedech, sacerdote e re, tipo di Gesù Cristo, è introdotto nella Sacra Scrittura, così minuziosa nelle genealogie dei  Patriarchi, senza che si faccia menzione né del padre né della madre, né del tempo della nascita né del tempo della  morte, né di chi l’abbia preceduto né di chi gli sia succeduto nel sacerdozio. Gesù Cristo, come non ebbe antecessori, non avrà successori nel suo sacerdozio. Vivendo Egli in eterno, il suo sacerdozio non avrà mai fine, a differenza del sacerdozio secondo l’ordine di Aronne, che aveva carattere transitorio. Mediante il sacerdozio di Gesù Cristo abbiamo un’espiazione valevole per tutti i tempi. Al pari degli antichi re e sacerdoti, anche il sacerdote della nuova legge, Gesù Cristo, riceve l’unzione, ma in modo più eccellente. Egli viene unto «non con olio visibile, ma col dono della grazia … E deve intendersi unto con questa mistica e invisibile unzione, quando il Verbo di Dio si è fatto carne» (S. Agostino, De Trinit. L . 15. c. 26). In virtù dell’unione ipostatica con la divinità, la natura umana di Gesù Cristo ricevette, fin dal primo momento dell’incarnazione, la pienezza di tutte le grazie e di tutti i doni dello Spirito Santo. Così, la natura umana assunta riceve l’unzione dalla divinità. Gesù è, quindi, sacerdote fin dal principio della sua esistenza. È sacerdote nella culla, è sacerdote nell’esilio, è sacerdote durante la vita nascosta di Nazaret.

2.

Gesù Cristo, mediante lo Spirito Santo, ha offerto se stesso immacolato a Dio. Negli antichi sacrifici la vittima che doveva essere immolata veniva trascinata all’altare. Gesù Cristo, che sostituirà se stesso alle vittime del sacrificio levitico, non ha bisogno d’essere condotto per forza al luogo dell’immolazione. Prima di sacrificare il suo corpo sacrifica la sua volontà. Al Padre non piacciono più i sacrifici dell’antica legge, e fa conoscere la sua volontà che il Figlio, assumendo un corpo, lo offra in sacrificio per la salvezza degli uomini. E il Figliuolo, incarnandosi, può ripetere le parole del salmista: «Ecco io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà» (Ebr. X, 7). Ecco, io assumo un corpo, mi faccio uomo, affinché offra me stesso in luogo del sacrificio mosaico. E questa spontanea ubbidienza dimostra in tutte le circostanze della sua vita mortale. La volontà del Padre è volontà sua. È volontaria la povertà di Betlemme, l’amarezza della fuga in Egitto, il sudore della bottega, le fatiche dell’apostolato. Sono volontarie tutte le privazioni, le persecuzioni, i dolori della vita pubblica; è volontario il sacrificio supremo sulla croce. Venuta l’ora dell’immolazione « non ha aperto la sua bocca; come pecorella sarà condotto ad essere ucciso: e come un agnello si sta muto dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca » (Is. LIII, 7). – Siamo al sacrificio cruento. Il sangue scorre; ma questa volta non scorre sangue di capretti e di vitelli; scorre il sangue del Figlio di Dio fatto uomo; sangue d’un valore infinito. Per mezzo di questo sangue offerto a Dio, l’uomo è liberato dalla schiavitù di satana. Gli antichi schiavi che ottenevano la libertà, l’ottenevano depositando essi stessi il prezzo della propria liberazione. Noi pure siamo stati liberati dalla schiavitù mediante un prezzo e « caro prezzo »; (I Cor. VI, 20) ma questo caro prezzo, non l’abbiamo sborsato noi. L’ha sborsato Gesù Cristo « il quale ha dato se stesso quale riscatto per tutti », (I Tim. II, 6) versando il suo prezioso sangue. La pena dovuta ai nostri peccati, e che noi non avremmo mai potuto scontare, con questo sangue è cancellata. La giustizia di Dio è soddisfatta: l’uomo è riconciliato col suo creatore.

3.

E per questo egli è il mediatore del nuovo testamento. – « Egli è il solo mediatore tra Dio e gli uomini » (1 Tim. II, 5). Il sacerdote è mediatore tra Dio e gli uomini specialmente per mezzo del sacrificio e della preghiera. « Il buon mediatore offre a Dio le preghiere e i voti dei popoli, e porta loro da parte di Dio benedizioni e grazie. Supplica la divina maestà per le mancanze dei peccatori; e redime negli offensori l’ingiuria fatta a Dio» (S. Bernardo, De mor. et off. Epist. c. 3, 10). La preghiera del Sacerdote ha sempre grande valore: è la preghiera dell’uomo di Dio. Qual valore non avrà la preghiera di Gesù Cristo? « Facilmente si ottiene quando prega un figlio ». (Tertulliano, De pœn. 10). E Gesù Cristo è Figlio di Dio: « Figlio diletto », (Luc. III, 22). « Figliuolo dell’amor suo ». (Col. 1. 13) Egli stesso ha assicurato agli Apostoli che otterrebbero dal Padre qualsiasi cosa, se chiesta in nome suo. A maggior ragione si otterrà dal Padre, quanto chiede Egli stesso. Gesù Cristo innalza al Padre la sua efficace preghiera, quando appare in questo mondo; l’innalza durante la sua vita. Egli prega in ogni tempo e in ogni luogo. Prega di giorno, prega di notte. Prega in pubblico, prega nella solitudine. Dopo aver parlato agli uomini di Dio, del suo regno, si ritira a parlare degli uomini a Dio. – Nel tempio, nel deserto, nell’orto s’innalza a Dio il profumo della sua preghiera. Ma sul Calvario specialmente, quando pende dalla Croce, la sua preghiera sacerdotale si innalza ad interporsi tra la giustizia e la misericordia di Dio. – E sui nostri altari continua ancora oggi a innalzare al Padre la sua preghiera in favore dell’umanità. Ogni qualvolta s’immola misticamente il suo Corpo e il suo Sangue offerti all’eterno Padre, hanno forza più efficace di qualsiasi voce sensibile, presso la maestà di Dio offesa, ad ottenere il perdono per gli offensori. Egli continua il suo ufficio sacerdotale di mediatore su in cielo, dove si fa nostro avvocato alla destra del Padre. Lassù Gesù Cristo continua ad essere il nostro sacerdote, che prega, manifestando al Padre il suo vivissimo desiderio della nostra salute, e presentandogli l’umanità assunta, coi segni gloriosi dei misteri in essa compiuti. E continuerà il suo ufficio di mediatore per noi sino alla fine dei secoli. I Sacerdoti, suoi rappresentanti su questa terra, passeranno. Agli uni succederanno gli altri: il loro ministero sarà limitato dal tempo. Ma Gesù, Sacerdote eterno, non passerà « vivendo egli sempre affine di supplicare per noi ». (Ebr. VII, 25). Gesù Cristo, Sacerdote della Nuova Alleanza, s’interessa di noi al punto da offrire al Padre il suo Sangue per i nostri debiti, e continua a far l’ufficio di nostro difensore lassù in cielo. E noi fino a qual punto ci interessiamo di Gesù? Forse l’abbiamo completamente dimenticato. La Serva di Dio suor Benedetta Cambiago, entrata un giorno nella sala da lavoro dell’educandato da lei diretto, ove si trovavano delle fanciulle esterne, domanda: — Mie care, vorrei sapere da voi una cosa. Là vi è il Crocifisso, amor nostro, morto per noi sulla croce. Quanti atti di offerta gli avete fatto oggi? E visto che nessuna di loro si era ricordata di Gesù ripiglia: — Ebbene, chi si scorda di Gesù è indegna di star con Lui. — E senz’altro piglia una sedia, stacca il Crocifisso dalla parete e lo porta via. A questa conclusione le fanciulle si mettono a piangere, e pregano Benedetta che riporti loro il crocifisso. (Vittorio Bondiano, Suor Benedetta Cambiagio, fondatrice delle Suore di N. S.  della Provvidenza ecc. Verona, 1925; p. 92). – Se noi dovessimo piangere sulle giornate trascorse senza fare un’offerta a Gesù, che per noi offrì se stesso, senza rivolgere un pensiero a Lui, che continuamente intercede per noi, forse dovremmo piangere ben frequentemente. Un degno cambio per tutto quello che Gesù Cristo ha fatto, e fa continuamente per noi, non lo potremo mai rendere: nessuno può dubitare. Possiamo però tener sempre presenti i suoi benefici. Sarebbe già qualche cosa: ama chi non oblia. Possiamo offrirgli giornalmente i nostri pensieri, i nostri affetti, le nostre fatiche, i nostri dolori. Possiamo offrirgli le nostre preghiere. « Gesù Cristo nostro Signore — osserva S. Agostino — prega per noi come nostro Sacerdote… è pregato da noi come nostro Dio ». (Enarr. in Ps. LXXXV, 1) Lo preghiamo davvero come nostro Dio? Lo preghiamo frequentemente?

Graduale

Ps CXLII: 9, 10

Eripe me, Dómine, de inimícis meis: doce me fácere voluntátem tuam

Ps XVII: 48-49

Liberátor meus, Dómine, de géntibus iracúndis: ab insurgéntibus in me exaltábis me: a viro iníquo erípies me.

Tractus

Ps CXXVIII:1-4

Sæpe expugnavérunt me a juventúte mea.[Mi hanno più volte osteggiato fin dalla mia giovinezza.]

Dicat nunc Israël: sæpe expugnavérunt me a juventúte mea. [Lo dica Israele: mi hanno più volte osteggiato fin dalla mia giovinezza.]

Etenim non potuérunt mihi: supra dorsum meum fabricavérunt peccatóres. [Ma non mi hanno vinto: i peccatori hanno fabbricato sopra le mie spalle.]

V. Prolongavérunt iniquitátes suas: Dóminus justus cóncidit cervíces peccatórum. [Per lungo tempo mi hanno angariato: ma il Signore giusto schiaccerà i peccatori.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann VIII: 46-59

“In illo témpore: Dicébat Jesus turbis Judæórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei audit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Judæi et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et dæmónium habes? Respóndit Jesus: Ego dæmónium non hábeo, sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego autem non quæro glóriam meam: est, qui quærat et júdicet. Amen, amen, dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in ætérnum. Dixérunt ergo Judaei: Nunc cognóvimus, quia dæmónium habes. Abraham mórtuus est et Prophétæ; et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in ætérnum. Numquid tu major es patre nostro Abraham, qui mórtuus est? et Prophétæ mórtui sunt. Quem teípsum facis? Respóndit Jesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis, quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego autem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum et sermónem ejus servo. Abraham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gavísus est. Dixérunt ergo Judaei ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abraham vidísti? Dixit eis Jesus: Amen, amen, dico vobis, antequam Abraham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut jácerent in eum: Jesus autem abscóndit se, et exívit de templo.” Laus tibi, Christe!

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XIX.

“In quel tempo disse Gesù alla turbe dei Giudei ed ai principi dei Sacerdoti: Chi di voi mi convincerà di peccato. Se vi dico la verità, per qual cagione non mi credete? Chi è da Dio, le parole di Dio ascolta. Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio. Gli risposero però i Giudei, e dissero: Non diciamo noi con ragione, che sei un Samaritano e un indemoniato? Rispose Gesù: Io non sono un indemoniato, ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Ma io non mi prendo pensiero della mia gloria; vi ha chi cura ne prende, e faranno vendetta. In verità, in verità vi dico: Chi custodirà i miei insegnamenti, non vedrà morte in eterno. Gli dissero pertanto i Giudei: Adesso riconosciamo che tu sei un indemoniato. Abramo morì, e i profeti; e tu dici: Chi custodirà i miei insegnamenti, non gusterà morte in eterno. Sei tu forse da più del padre nostro Abramo, il quale morì? e i profeti morirono. Chi pretendi tu di essere? Rispose Gesù: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è un niente; è il Padre mio quello che mi glorifica, il quale voi dite che è vostro Dio. Ma non l’avete conosciuto: io sì, che lo conosco; e se dicessi che non lo conosco, sarei bugiardo come voi! Ma io conosco, o osservo le sue parole. Abramo, il padre vostro, sospirò di vedere questo mio giorno: lo vide, e ne tripudiò. Gli dissero però i Giudei: Tu non hai ancora cinquant’anni, e hai veduto Abramo? Disse loro Gesù: In verità, in verità vi dico: prima che fosse fatto Abramo, io sono. Diedero perciò di piglio a de’ sassi per tirarglieli: ma Gesù si nascose, e uscì dal tempio” (Jo. VIII, 46 59).

Il nostro divin Redentore era senza dubbio la santità in persona. E la santità perfetta, di cui Egli era adorno, traspirava da tutte le sue parole, da tutti i suoi atti, da tutto il suo portamento. – Eppure vi erano dei maligni, massime tra i principi dei sacerdoti che, odiandolo a morte, lo riguardavano come il peggiore di tutti gli uomini. Costoro lo accusavano di assidersi alla mensa dei pubblicani, di conversare coi peccatori, di accogliere le donne peccatrici, le quali venivano ai suoi piedi per confessare le loro miserie ed implorarne il perdono; giunsero perfino a chiamarlo un miserabile indemoniato. Ma le ingiurie, comunque siano sanguinose, comunque villane, non sono ragioni, non sono prove, e sovente ricadono sopra coloro che le prodigano. Difatti il Salvatore alle calunnie de’ suoi persecutori, rispose mai sempre con argomenti così trionfali da confondere nel modo più umiliante e vergognoso i suoi nemici. Ne abbiamo una prova nel Vangelo di questa domenica, dal quale sebbene potremmo prendere molte lezioni, ci accontenteremo di prendere le tre più ovvie e per noi più importanti.

1. Dice adunque il Santo Vangelo che Gesù trovandosi nel tempio ad insegnare, volto alle turbe dei Giudei ed ai principi de’ Sacerdoti disse: Chi di voi mi convincerà di peccato? E voleva dire:Per quanto voi, pieni di malignità, e non ostante le grandi prove che già vi ho date della mia santità, vi ostiniate a riguardarmi come un peccatore, e persino come un uomo posseduto dal demonio, tuttavia nessuno di voi potrà addurre delle prove che in me vi sia stato mai alcun peccato, perciocché io sono santo, il Santo dei santi, la santità per eccellenza. Ed in vero, sebbene nostro Signor Gesù Cristo nella sua immensa bontà per noi, abbia voluto farsi in tutto e per tutto simile agli uomini, in questo solo tuttavia ha fatto eccezione, e non ebbe mai sopra di sé neppur l’ombra della più piccola colpa. In tutta la sua vita di trentatré anni, pur facendo libero esercizio della libertà, fin dal primo istante della sua concezione, né mai la contrasse, né mai conobbe che cosa fosse. Epperò ben sicuramente Egli poté volgersi ai suoi nemici e lanciar loro questa nobile sfida: Chi di voi mi accuserà di peccato? Quis ex vobis arguet me de peccato? Or bene, o miei cari, certamente nessuno degli uomini potrà mai fare agli altri la sfida che fece Gesù: poiché dice S. Giovanni che « colui il quale si crede senza peccato è vittima della più volgare illusione ». Tuttavia è certo che se noi per nostra sventura ci siamo macchiati di peccato ed anche di molti e gravissimi peccati, possiamo, purché lo vogliamo, liberarcene subito e ridonare a noi con la grazia di Dio, la santità; e ciò per mezzo di una santa Confessione. Ora sono veramente molti tra i Cristiani, coloro che si affrettino a riacquistare la santità perduta per il peccato? O non sono molti piuttosto coloro che vi dormono sopra i giorni, le settimane, i mesi e persino gli anni? E come spiegare questa mostruosità di un Cristiano che rimanga anche solo un istante in peccato mortale? Udite. È verità di fede che un sol peccato mortale  è sufficiente per rendere il Cristiano meritevole dell’eterna dannazione. Ed è questa una verità pienamente conforme alla retta ragione: imperciocché se nel peccato mortale vi è una malizia infinita, perché offende Iddio infinitamente perfetto, egli è troppo giusto che il peccato mortale abbia un castigo infinito, sia nella sua intensità come nella sua durata. È pur verità registrata nelle sacre carte e tutto giorno dimostrata dall’esperienza, che la morte coglie la maggior parte degli uomini all’impensata. Nel Santo Vangelo Gesù Cristo dice: qua hora non putatis Filius hominis veniet tanquam fur; e l’esperienza sempre ci dimostra che si muore quando meno ci si pensa: imperciocché, come disse Cicerone, non vi ha alcun uomo per quanto vecchio, il quale non pensi di vivere almeno ancora un anno. Ciò premesso, non è egli veramente mostruoso, che un Cristiano stia anche solo per un istante in peccato mortale? — Se in tale stato è all’improvviso colpito dalla morte, andrà certamente in eterno perduto. … Forse la morte non mi colpirà; Iddio forse mi aspetterà ancora, ma ne sono io certo? E sopra di un forse vorrò riporre la mia tranquillità! — Andreste voi a riposare in un letto ove stesse accovacciata una serpe col lusingarvi che forse non vi morderà? Vi adagereste voi a pigliar sonno sull’orlo di un precipizio col persuadervi che forse non vi cadrete entro? Ah tutt’altro! E se voi fuggireste dal letto ove si accovaccia una serpe, se voi vi terreste lontano dall’orlo di un precipizio, come mai riposate tranquilli in istato di peccato mortale? Chi trovasi in tale stato non è egli forse tra le spire dell’infernale serpente, non sta egli forse sull’orlo dell’inferno? Manca solo che Iddio lasci cadere un colpo di spada della sua terribile giustizia. E non è egli veramente mostruoso che il peccatore se ne stia in pace e tranquillo mentre la spada della divina giustizia ad ogni momento gli sta sospesa sul capo e minaccia colpirlo? Ma che dico minaccia? Spesse volte lo colpisce, e lo colpisce per l’appunto perché peccatore. È questa una verità, che la Scrittura e la storia ci rendono manifesta con somma chiarezza. Nell’Ecclesiaste sta scritto: Noli esse stultus, ne moriaris in tempore non tuo. Davide ne’ suoi salmi dice: Viri sanguinum et dolosi non dimidiabunt dies suos. E nel libro dei Proverbi: Anni impiorum breviabuntur. E Gesù Cristo nel santo Vangelo a quel ricco, che dopo d’avere ingiustamente ammassati molti beni dice all’anima sua: Godi, sta allegramente, intuona severo: Stulte, hoc nocte animam tuam repetunta te. E l’Apostolo San Paolo con energica espressione: Stimulus autem mortis peccatum est. Mirate Baldassare: commette l’orribile sacrilegio di profanare i vasi sacri, e tosto una mano misteriosa apparisce sulla parete, che gli sta di fronte, a segnare la condanna di morte, che subirà nella notte seguente. Mirate Oloferne,Onan, Sichem, Zambri, Cozbi, Gezabele, Giuliano l’apostata, sono colpiti da Dio nelle loro stesse voluttà, nelle loro bestemmie. Stimulus autem mortis peccatum est. Or dunque se è così, che il peccato accelera lo scoppio dell’ira divina, non è egli mostruoso, io torno a dire, che il Cristiano rimanga in tale stato anche per un solo istante?Ma vi ha ancora una ragione che rende vieppiù mostruoso un tale stato, ed è la facilità di uscirne. Ed invero se caduti una volta in peccato fosse cosa gravosissima e difficile il risorgerne, quasi quasi potrebbesi in qualche modo scusare il peccatore. Ma è egli così? Tutt’altro. Poteva, è vero, il Signore far sentire in ciò il peso della sua giustizia ed imporre al perdono della colpa a durissime condizioni: poteva ad esempio stabilire, che non altrimenti fossimo perdonati dei nostri peccati, che col recarci umilmente ai piedi del suo Vicario, il Romano Pontefice: poteva stabilire, che non fossimo perdonati che col manifestare il nostro peccato al cospetto di una gran moltitudine raccolta in chiesa in un giorno di grande solennità: poteva stabilire tutto questo ed altro ancora di più duro; ma no, non è nulla di ciò, che Egli c’impose per darci il suo perdono. Non ci impose altro che una buona confessione. Ed è cosa troppo grave una confessione, che si può compiere anche in pochi minuti? Come mai adunque non vi risolvereste di farla, se vi trovaste al caso di averne bisogno? Miei cari, siamo vicini alla Pasqua. Iddio vuole che tutti per quella festa ci disponiamo ad essere senza peccato. Ascoltiamo adunque l’ordine del Signore. Esaminiamo bene la nostra coscienza e se in essa vi troviamo delle colpe gravi, risolviamo senz’altro di non voler più oltre rimanere in questo stato. Andiamo a gettarci ai piedi di un confessore, e con una confessione sincera e dolorosa rendiamoci di nuovo santi al cospetto del Signore, ed allora se non potremo dire giammai, come disse Gesù Cristo: Chi mi convincerà di peccato? potremo dire tuttavia: Fui già peccatore, ma ora per la grazia di Dio non vi ha più in me il peccato.

2. Continuando il Divin Redentore il suo ragionamento disse: Se vi dico la verità, per qual ragione non mi credete? Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio. Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio. A queste parole, tanto schiette, e nel tempo stesso così nobili, i Giudei non sapendo che cosa rispondere si appigliarono al mezzo, cui si appigliano tutti i malvagi, quando non hanno ragione e pur vogliono averla, vale a dire alle ingiurie. Gli risposero perciò i Giudei e dissero: Non diciamo noi con ragione, che sei un Samaritano (vale a dire un trasgressore della legge) e un indemoniato? Ma a queste ingiurie così gravi si risentì forse nostro Signor Gesù Cristo e rispose forse a sua volta con ingiurie? Tutt’altro. Si contentò di negare la calunnia fattagli, e con parole così semplici e decorose da far conoscere che non c’era in Lui il minimo risentimento per l’oltraggio ricevuto. Rispose adunque: Io non sono un indemoniato, ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Ma Io non mi prendo pensiero della mia gloria; vi ha chi ne prende cura e ne farà vendetta. Che parole al tutto ammirabili! Che condotta eroica! Che mansuetudine! Si esalti pure fin che si voglia la mansuetudine di uomini illustri sotto le diverse forme in cui essa si mostra, di clemenza, di compassione e di dolcezza, si ammiri pure la mitezza di Socrate di fronte alle stranezze della sua moglie bisbetica: si lodi la bontà di Filippo il Macedone, che ad un soldato mormorante dietro la sua tenda non disse altro che di allontanarsi; si celebri la condotta di Alessandro verso il suo medico Filippo, verso la moglie di Dario e verso i mutilati prigionieri di Persepoli; si canti la clemenza di Scipione e di Augusto; si celebri la dolcezza di Cesare e di Tito; tutto ciò è meno che nulla rispetto alla mansuetudine incomparabile di cui Gesù Cristo ci ha dato esempio nel trattare con i suoi nemici e calunniatori, nel non risentirsi delle loro atroci ingiurie. – Or bene, o miei cari, possiamo dire di fare lo stesso anche noi, che siamo Cristiani e dobbiamo seguire gli esempi che Gesù Cristo ci ha dati? Ahimè! La nostra condotta è tutt’altra. Non appena abbiamo ricevuto una qualche offesa, l’amor proprio, che è il nostro maggior nemico, subito e in un attimo fa sentire la sua voce, e … vorrai, dice a ciascuno di noi, vorrai soffrire in pace tale ingiuria? vorrai ristarti dal renderle la pariglia? Ma se tu non ricambi quell’insulto, se tu non ripaghi quell’affronto, se tu non fai la vendetta, o i tuoi avversari o gli stessi tuoi amici diranno che sei un folle, che non sai fare le tue ragioni, che hai paura, diranno in una parola che sei un vile. Così parla l’amor proprio, quando si è stati offesi. Ed è appunto a questa parola dell’amor proprio, che non pochi Cristiani danno ascolto di preferenza che agli esempi di Gesù Cristo. Ora, o miei cari, è egli proprio vero che sia un vile colui che per mansuetudine non si risente delle offese ricevute? Ma era dunque un vile il nostro divinissimo Redentore? Furono vili tutti i Santi che seguirono con tanta esattezza questo suo esempio? Benché non è vero che il mondo reputi vile colui che è mansueto e perdona. Così faceva il mondo degli uomini stravolti di cervello, il mondo dei malvagi e dei viziosi, ma non già il mondo dei savi, dei buoni, dei ben pensanti, perciocché questo mondo ha sempre invece riguardato come vile colui che infuria e si vendica. Ed in vero non è proprio da vile il risentirsi e il vendicarsi, facendo così quello che fanno le bestie, quello che fa la vespa, che punge chi la stuzzica, quello che fa il mulo, che spranga calci contro chi lo percuote? Si, lo diceva già Aristotile, filosofo pagano: l’ira e la vendetta sono appetiti bestiali. Del resto, mettiamo pure che tutto il mondo, e buono e malvagio, ritenga per vile chi è mansueto e perdona. Che perciò? Anche facendo la figura dello sciocco, dell’uomo capace a nulla, del pauroso, del vigliacco, non si dovrà lo stesso essere mansueti e combattere i nostri sentimenti? Senza dubbio, perché alla fin fine si tratta di seguire l’esempio di Gesù Cristo, e per seguire l’esempio di Gesù Cristo bisogna far volentieri qualche sacrificio, qualora ci è richiesto. Ecché? si pretenderebbe di andar in Paradiso in carrozza? senza superare difficoltà, senza far opposizioni alle proprie inclinazioni? Il regno dei cieli, ha detto Gesù Cristo, patisce forza, e lo guadagnano coloro che si fanno violenza; Regnum Dei vim patitur et violentis rapiunt illud. Che anzi in Paradiso non si va assolutamente senza la mansuetudine, avendo pur detto lo stesso Gesù Cristo nel Vangelo di oggi: In verità, in verità vi dico: chi custodirà i miei insegnamenti, non vedrà morte in eterno; volendo pur dire per converso che chi non custodirà gl’insegnamenti suoi, tra i quali tiene un posto principalissimo questo di non risentirsi dello offese, vedrà la morte in eterno. Benché ciò non è ancor tutto, perché oltre all’eterna morte chi si risente e ascoltando i suoi risentimenti anela alla vendetta, si condanna altresì a menare quaggiù una vita di rabbia e di agitazione. E come può vivere tranquillo chi ha in cuore l’amarezza, l’odio, il livore, la brama di vendicarsi? È ancora per lui la pace, la gioia, la felicità? No, affatto! Più non dorme quieto la notte; di giorno, anche in mezzo agli affari, lo tormenta un pensiero funesto, tra gli stessi divertimenti una larva, che conturba, gli si para dinnanzi, la larva della sua inimicizia. E poi ha da sacrificare le compagnie, le adunanze, le ricreazioni dove pratica l’avversario; deve evitare quelle strade per dove egli passa, deve star pronto a voltare la faccia quando lo incontra; e quando pure è riuscito a umiliarlo, a vendicarsi di lui, più che mai deve temere, che o egli o i suoi parenti, o i suoi amici preparino di ripicco un’altra vendetta. E questa condizione di vita non è un inferno anticipato? E non è dunque meglio le mille volte essere mansueti, non risentirsi e lasciar a Dio la cura di vendicarci? Su, adunque, decidiamoci una buona volta d’imitare anche in questo la condotta di Gesù Cristo.

3. Ma torniamo ancora una volta al Vangelo. Dopo aver riferite quelle ultime parole da Gesù indirizzate ai Giudei: Chi custodirà i miei insegnamenti non vedrà morte in eterno; prosegue narrando che a tale sentenza i Giudei dissero a Gesù: Adesso riconosciamo che tu sei un indemoniato. Abramo morì, e morirono i profeti; e tu dici: Chi custodirà i miei insegnamenti, non gusterà morte in eterno. Sei tu forse da più, del padre nostro Abramo, il quale morì? e dei profeti che morirono? Chi pretendi tu di essere? Rispose Gesù: Se Io glorifico me stesso, la mia gloria è un niente; è il Padre mio quello che mi glorifica, il quale voi dite che è vostro Dio. Ma non l’avete conosciuto; Io sì, che lo conosco: e se dicessi che non lo conosco, sarei bugiardo, come voi! Ma lo conosco, e osservo le sue parole. Abramo, il padre vostro sospirò di vedere questo giorno: lo vide (da lontano per particolar rivelazione) e ne tripudiò. Gli disser però i Giudei: tu non hai ancora cinquantanni, e hai veduto Abramo? Gesù disse loro: In verità vi dico: prima che fosse fatto Abramo, io sono. Diedero perciò di piglio a de’ sassi per tirarglieli: ma Gesù si nascose e uscì dal tempio. – Gesù Cristo adunque dicendo: Io sono prima che fosse Abramo, fa intendere l’eternità della sua essenza, che cioè in Lui, come Dio, non c’è tempo passato e futuro, ma tutto presente. Così pure con la stessa asserzione fa capire, che Egli non riceve l’esistenza, come l’ha ricevuta il patriarca Abramo; che perciò non è una semplice creatura, ma Colui che è, vale a dire Iddio sommo ed infinito; insomma Egli dichiara apertamente la sua divinità. Ed è appunto perciò, perché si dice chiaramente Dio, che i Giudei, ostinandosi a non volerlo riconoscere come tale e riguardandolo come bestemmiatore, danno di mano ai sassi per lapidarlo. Ma a questo atto dei Giudei che cosa fa Gesù Cristo! Afferma ancora una volta la sua divinità con un miracolo, col nascondersi cioè miracolosamente ai loro sguardi e con l’uscire così tranquillamente dal recinto del tempio, senza che quei malvagi possano fargli alcun male. Ora con quest’ultima prova, che in questa circostanza Gesù Cristo diede della divinità sua, non sembra aver voluto rendere inescusabìli quei Giudei della loro malvagia ostinazione nel non volerlo riconoscere per Dio? Sì senza dubbio. Ma qui riflettiamo, che Gesù Cristo continua a far la stessa cosa anche ai dì nostri con tanti peccatori, i quali si ostinano nei loro peccati. In quante maniere prova loro che Egli è Dio, sommamente degno di essere conosciuto, amato e servito come tale! Con quanti mezzi li sprona a compiere questi doveri! Quante illustrazioni manda loro, perché riconoscano di essere nell’inganno servendo il demonio e accontentando le loro passioni! Con quante ispirazioni li anima a risorgere dall’abisso in cui si trovano! Insomma sono grazie sopra grazie, che Egli va facendo loro incessantemente, di modo, che se essi non lo assecondano e continuando ad ostinarsi nelle loro colpe, finiranno per andare un giorno dannati nel fondo dell’inferno, là certamente non potranno muovere lamento contro la bontà di Dio, ma in quella vece dovranno riconoscere di essere affatto inescusabili della loro perdizione e sentirsi perciò ciascuno risuonare di continuo all’orecchio quella tremenda sentenza: Perditio tua ex te: La perdizione tua è interamente opera tua. Or bene, miei cari, se non vogliamo un giorno trovarci nel numero di questi sventurati, facciamo ora gran conto delle grazie di Dio e delle tante maniere con cui Egli ci mostra il dovere che abbiamo di riconoscerlo per quello che è, e di amarlo come si merita. Se per sventura pel passato ci siamo induriti anche noi nella colpa, spezziamo ora i nostri cuori col dolore dell’offesa che abbiamo recato a Dio, e promettendogli di non più offenderlo in avvenire cominciamo subito adesso una vita tale, che riesca una confessione solenne, di parole e di fatto, della sovranità che Iddio ha sopra di noi sue creature.

Credo …

 Offertorium

Orémus Ps CXVIII:17, 107

Confitébor tibi, Dómine, in toto corde meo: retríbue servo tuo: vivam, et custódiam sermónes tuos: vivífica me secúndum verbum tuum, Dómine. [Ti glorífico, o Signore, con tutto il mio cuore: concedi al tuo servo: che io viva e metta in pràtica la tua parola: dònami la vita secondo la tua parola.]

Secreta

Hæc múnera, quaesumus Dómine, ei víncula nostræ pravitátis absólvant, et tuæ nobis misericórdiæ dona concílient. [Ti preghiamo, o Signore, perché questi doni ci líberino dalle catene della nostra perversità e ci otténgano i frutti della tua misericórdia.]

 Communio

1 Cor XI: 24, 25

Hoc corpus, quod pro vobis tradétur: hic calix novi Testaménti est in meo sánguine, dicit Dóminus: hoc fácite, quotiescúmque súmitis, in meam commemoratiónem. [Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi: questo càlice è il nuovo patto nel mio sangue, dice il Signore: tutte le volte che ne berrete, fàtelo in mia memoria.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: et, quos tuis mystériis recreásti, perpétuis defénde subsidiis. [Assístici, o Signore Dio nostro: e difendi incessantemente col tuo aiuto coloro che hai ravvivato per mezzo dei tuoi misteri.]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.