LO SCUDO DELLA FEDE (XXV)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XXV.

I L PECCATO ORIGINALE.

Lo stato di pura natura. Lo stato soprannaturale. Gli animali mansueti o feroci? — Il peccato originale. — Sua gravezza.Il serpente. —Conseguenze del peccato originale. — Perché anche noi ne dobbiamo portare la pena. — Perché il peccato originale si chiama macchia? — E se avesse peccato soltanto Eva?

— Ed ora vorrei Che discorressimo un po’ sul peccato originale, intorno al quale ne ho inteso a dire di cotte e di crude.

Lo so anch’io che a questo riguardo vi sono molte false idee nelle menti degli uomini. Sarà dunque cosa utilissima di ricercare e riconoscere su questo punto capitale della dottrina cristiana la verità. E per riuscirvi meglio ci converrà discorrere con ordine. Devi pertanto sapere, che Iddio nel creare l’uomo avrebbe potuto lasciarlo nello stato di pura natura.

— E che cosa è questo stato di pura natura

Lo stato di pura natura è quello che è richiesto dalla natura propria dell’uomo. È certo che Dio poteva lasciare di creare l’uomo; ma poiché lo volle creare doveva dargli quello che alla natura umana conveniva, cioè il corpo e l’anima: il corpo con i suoi sensi, con le sue membra, con le sue perfezioni; l’anima con le sue facoltà, con la intelligenza, con la volontà, con la libertà, con l’immaginazione, eccetera. In questo stato di pura natura l’uomo sarebbe iridato soggetto al dolore, alla concupiscenza, alla difficoltà di apprendere le cose, ed anche alla morte. Tuttavia anche in questo stato avrebbe dovuto conoscere, amare e servire Iddio vincendo le difficoltà che avrebbe incontrate, mediante aiuti naturali che Dio gli avrebbe dati, e dopo la morte sarebbe stato premiato da Dio col godimento naturale di Lui stesso, oppure qualora non avesse osservato i suoi doveri, sarebbe stato punito con un condegno castigo.

— E non è questo lo stato, in cui Iddio pose uomo creandolo?

No, non è questo. Iddio nella sua immensa bontà por l’uomo, liberissimamente, senza esservi punto obbligato, lo volle, nell’atto stesso della creazione o pure qualche tempo dopo (questo non si può dire con precisione), sollevare ad uno stato, che avendo in sé  dei doni superiori a quelli richiesti dalla natura umana, fu soprannaturale.

— E quali sono questi doni?

Il primo fu la grazia santificante, che rendeva l’uomo oggetto di compiacenza a Dio: il secondo fu l’integrità ossia una piena soggezione della concupiscenza alla ragione, in virtù della quale l’uomo non sentiva stimolo alcuno della carne contro lo spirito, né quale era uscito dalle mani di Dio aveva ad arrossir di nulla. Il terzo dono fu una scienza meravigliosa, della quale Adamo ci lasciò un saggio nell’imporre a tutti gli animali i nomi loro convenienti, e con la quale, futuro padre di tutto il genere umano, avrebbe insegnato a tutti i suoi figliuoli quanto riguarda Iddio e la morale. E da ultimo il dono della immortalità, per cui sottratto ad ogni dolore, ad ogni infermità ed alla morte stessa dopo un tempo da Dio stabilito l’uomo avrebbe abbandonato questa terra e in una dolce estasi di amore divino, in cui il suo corpo sarebbe divenuto glorioso, sarebbe passato in cielo a godere Iddio per sempre. – E tutto ciò Iddio aveva per tal modo congiunto alla natura umana, che l’uomo nello avere dei figliuoli in quello stato soprannaturale, insieme colla vita naturale avrebbe in loro trasfusi quegli stessi tesori di grazia, che egli possedeva. Ecco la giustizia originale, in cui da principio l’uomo fu costituito.

— È vero che trovandosi l’uomo in quello stato d’innocenza, gli animali non avevano alcuna ferocia, ed erano tutti mansueti come agnelli?

Ciò è vero per riguardo all’uomo, dinanzi al quale per virtù dello stato soprannaturale in cui esso trovavasi, le belve obliavano la loro natia tendenza. Ma così certamente non era di fronte agli altri animali: giacché se gli animali erbivori dovevano nutrirsi di erbe, gli insettivori dovevano nutrirsi di insetti, e i carnivori di carne, taluni perciò dovevano essere naturalmente feroci verso tali altri.

— Ho inteso. Dunque l’uomo dallo stato di originale giustizia decadde per il peccato!

Precisamente. L’uomo, destinato nello stato soprannaturale a possedere e godere eternamente Iddio in cielo, doveva meritarsi tanto premio col sottostare ad una prova. A tal fine Dio gli proibì di mangiare il frutto di un albero. Ed egli in quella vece …

— Ne mangiò. Ma, scusi, è stato veramente questo il peccato di Adamo, l’aver mangiato il frutto materiale di un vero albero?

Sì, senza dubbio; e coloro i quali, pretendendo di essere uomini di spirito, lo immaginano ben diverso, danno a vedere di aver dello spirito di rapa.

— Ma se nel peccato originale si tratta di aver mangiato veramente il frutto di un albero, la prova, cui Iddio volle sottomettere i nostri progenitori, non sembra uno scherzo indegno della sua grandezza!

Anche tu, caro mio, parlando in tal guisa mostri di avere poco buon senso. Dunque ascolta bene. L’albero della scienza del bene e del male era desso nulla più che un albero? No, certamente. Esso era pure un’idea, un simbolo, il limite morale, che Dio aveva posto alla sovranità dell’uomo per provare, nella fede alla sua divina parola e nell’obbedienza al suo divin volere, se Adamo rispondeva ai suoi benefizi con gratitudine e con amore. Là in quell’albero doveva riconoscere, che se era re del mondo visibile, era tuttavia vassallo di Dio.

— Questo lo capisco. Ma Iddio avrebbe ben potuto obbligare l’uomo a riconoscere la sua sovranità in altro modo.

Senza dubbio. Ma se egli volle scegliere questo, si fu perché lo riconobbe il più adatto, ed in vero l’uomo essendo anima e corpo doveva sottostare ad una prova, che lo interessasse in tutto il suo essere. E così mentre la proibizione di quel frutto, per una parte si indirizzava ai sensi del corpo, per l’altra si riferiva alla facoltà dello spirito, esigendo per tal guisa una prova da tutto quanto l’uomo.

— Queste spiegazioni mi chiariscono assai le idee. Ma quel peccato di Adamo e di Eva nel mangiare un frutto proibito non mi sembrerebbe poi tanto grave.

Così può sembrare a prima vista. Ma se tu rifletti, che quel precetto era facilissimo ad osservarsi, e che trasgredendolo disobbedirono al volere espresso di Dio, si mostrarono ingrati ai suoi benefizi, credettero piuttosto al demonio che a lui, si spinsero a tale grado di superbia da pensarsi di diventare simili a Dio, soddisfecero la loro golosità, diedero scandalo ai loro discendenti e li travolsero nelle conseguenze della loro colpa, allora riconoscerai che il loro peccato è stato gravissimo.

— Sì, è vero. Ma come mai Adamo ed Eva si lasciarono andare a commettere tale peccato?

Lo sai bene: essi cedettero alle tentazioni del serpente, ossia del demonio.

— Ma com’è questo fatto del serpente e del demonio? Il demonio è desso entrato nel corpo di un serpente, oppure ha preso la forma di un serpente?

A questo riguardo puoi pensare come vuoi; è sentenza libera. Può essere che il demonio si sia giovato del corpo di un serpente facendolo con la sua potenza parlare, è può essere anche che il demonio (cosa per lui facile) si sia trasfigurato sotto la forma di un serpente. Il fatto si è che egli tentò i nostri progenitori a violare il comando di Dio, dicendo loro una grande menzogna, ed essi vilmente si lasciarono ingannare e commisero la colpa.

— E dopo di ciò che avvenne?

Per giusto castigo di Dio perdettero subito quei doni soprannaturali, di cui erano stati arricchiti, furono condannati ai dolori ed alla morte, indeboliti nella intelligenza e nella volontà sì da non potere che con difficoltà ritrovare il vero e con lotta praticare il bene; e se fossero morti in quel punto sarebbero andati all’inferno.

— Insomma, se non erro, in pena del loro peccato i nostri progenitori, decadendo dallo stato soprannaturale, rimasero nello stato di pura natura e meritevoli dell’inferno.

Precisamente: non potevi dir meglio.

— Ma se è così, che cosa è dunque questo peccato originale col quale nasciamo anche noi?

Non è altro propriamente che questo: la privazione di quello stato soprannaturale, ossia di quella originale giustizia, in cui Dio aveva da principio costituiti i nostri progenitori; privazione che importa l’ignoranza, la concupiscenza, i dolori, la morte, ossia tutte le debolezze e miserie della pura natura, più la perdita del paradiso.

— E la perdita del paradiso, che mi ha qui indicato, non è lo stesso che la dannazione all’inferno?

No, ma solo l’esclusione dal godimento soprannaturale di Dio in cielo. I nostri progenitori, sì, col peccato che commisero propriamente essi con la loro libera volontà, meritarono l’inferno; ma i loro discendenti, siccome questo peccato lo ereditano soltanto, e siccome questa eredità del peccato originale non è così dipendente dalla loro deliberata volontà, perciò è vero che non hanno diritto al paradiso, ma non restano neppur per ciò solo meritevoli dell’inferno. E questa è appunto la ragione per cui, come già ti dissi parlando dei bambini che muoiono senza Battesimo e con nessun altro peccato che quello originale non andranno all’inferno, ma esclusi dal paradiso godranno in un limbo, o dove a Dio piacerà, una felicità naturale.

— Ciò va benissimo. Ma ad ogni modo perché  dobbiamo anche noi portare la pena di un peccato, che noi non abbiamo commesso? Ciò non è un’ingiustizia?

Sta attento e per mezzo di un paragone che ti farò, qualche cosa capirai e vedrai che non si tratta d’ingiustizia alcuna. Ecco: il re prende a volerti bene senza alcun tuo merito particolare, e un bel dì ti chiama a sé, ti conferisce il titolo di barone, e ti dà tante ricchezze che ti bastino più che mai a vivere decorosamente con quel titolo. Ora se tu venissi ad avere dei figliuoli in tale condizione, è più che naturale che trasmetteresti ai medesimi il tuo titolo di nobiltà e il godimento delle ricchezze avute.

— Ciò è chiarissimo.

Ma tu invece, perdona l’ipotesi, dopo aver ricevuto tanto onore e tanto bene dal re, gli fai un’ingiuria, per cui il re giustamente si sdegna e ti castiga, togliendoti quel titolo di barone e spogliandoti delle ricchezze, che ti aveva dato. E d ora, dimmi, se tu in questa condizione di decaduto dalla dignità, in cui eri, e divenuto povero avrai dei figliuoli, potrà ancor essere che eglino abbiano ad ereditare e titolo di barone e relative ricchezze?

— No, mai più; si troveranno invece in quella condizione decaduta e meschina, in cui mi son ridotto io.

E in tutto ciò trovi forse che vi sia qualche ingiustizia da parte del re?

. — No, non ve n’ha nessuna: nel darmi quel titolo e quelle ricchezze manifestò meco una grande bontà, nel togliere tutto ciò a me e conseguentemente ai miei discendenti ha compiuto un atto di giustizia.

Ebbene applica il paragone al caso di Adamo e nostro, e riconoscerai che se noi ora veniamo al mondo decaduti dallo stato soprannaturale non è per altra ragione, se non perché Adamo decaduto egli pel primo e come padre di tutta l’umanità non può più a’ suoi discendenti trasmettere la grandezza perduta, e che in ciò non v’è l’ombra d’ingiustizia per parte di Dio.

— Certamente considerando la cosa sotto questo aspetto diventa abbastanza chiara e si manifesta molto giusta. Io invece avevo inteso dire che Adamo come nostro padre rappresentava tutti noi, e che peccando egli aveva peccato anche per noi, e così il peccato originale era divenuto nostro come suo. Ed è perciò che nel peccato originale mi pareva esservi un’ingiustizia.

Ebbene da chiunque ti sia venuta questa spiegazione, ti dirò francamente che ripugna al buon senso. Con tale spiegazione si verrebbe a dire che Adamo ha presunto la nostra volontà di commettere la colpa e di incorrere nel castigo di essa, ciò che non può essere. Sta bene che, ad esempio, essendovi taluno che mi offra un bel favore per te, io presuma che tu sia per accettarlo e in tuo nome lo accetti; ma io non dovrò mai presumere che tu voglia dare, supponiamo, uno schiaffo ad alcuno e subire le conseguenze di questo oltraggio, e realmente lo faccia in tuo nome. – È vero che S. Paolo dice che « in Adamo tutti peccarono » ; ma ciò vuol dire che essendo stato Adamo il capo, il principio e la radice di tutto il genere umano, perciò il suo peccato produsse delle conseguenze fatali a tutto il genere umano, ma non già che egli abbia peccato rappresentando la volontà di peccare di tutto il genere umano.

— Ho inteso abbastanza. Ma com’è adunque che il peccato originale si chiama macchia? Io mi figuravo con questo nome, che fosse qualche cosa di nero, di brutto, di deforme sull’anima nostra. Ed invece ella mi ha detto non essere altro che la privazione della giustizia originale largita ad Adamo e il ritorno dell’uomo allo stato di pura natura, in cui avrebbe potuto essere creato. Come si conciliano queste cose?

Vedi : poiché Iddio non ha Voluto creare l’uomo nello stato di pura natura, ma invece ha voluto sollevarlo allo stato soprannaturale, perciò, che ora l’uomo venga al mondo privo di questo stato, ancorché riceva da Dio insieme con la vita lo stato naturale, è uno sconcio, una deformità opposta all’ordine voluto da Dio; epperò l’essere in tal guisa l’uomo privo di quella bellezza soprannaturale, che dovrebbe avere, è come una bruttura, una macchia. Ecco in qual senso si dice, che noi veniamo al mondo macchiati dal peccato originale. Ed è pure sotto questo aspetto che S. Paolo dice che noi nasciamo figliuoli di ira, perché non nasciamo quali Dio ci vorrebbe per porre in noi la sua compiacenza.

— Dunque prima che noi siamo battezzati Iddio ci sdegna?

Prima che noi siamo battezzati Dio ci ama in quanto che vede in noi la natura propria dell’uomo, cioè l’anima ragionevole, il corpo ben formato, e le altre doti umane; ma ci riprova e ci sdegna in quanto che non vede risplendere in noi quell’originale giustizia, che secondo il suo disegno in noi dovrebbe trovarsi.

— Ancora una domanda. E se avesse peccato solamente Eva?

S. Tommaso insegna, che se Adamo non avesse peccato, ma soltanto Eva, sarebbe stata sventurata essa ma non l’umanità, essendo l’uomo quegli da cui traggono origine le generazioni. Ma questa e un’ipotesi ed è meglio lasciarla insolubile.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.