GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA (4)

IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

[Lettera pastorale scritta il 17 dicembre 1967; «Rivista Diocesana Genovese»,1968. pp. 28-63 ]

(4)

La efficienza del sacramento

Pare logico occuparsi di questo: che il Sacramento raggiunga tutti i suoi capi, ossia che diventi realmente efficiente. Tutto quello che abbiamo detto fin qui serve alla efficienza del Sacramento, ma occorre una puntualizzazione più diretta e precisa. Infatti nel Sacramento della Penitenza esistono cause, effetti e loro rapporto: bisogna parlare dei penitenti e di quello che i confessori debbono promuovere nei penitenti.

1. – La causa prima dell’effetto del Sacramento è Dio nella Sua infinita bontà. A Lui non dobbiamo ricordare nulla. Ma esistono delle cause strumentali ed è di queste che ci dobbiamo occupare, perché non sono né incoscienti, né automatiche, e pertanto chiamano in causa coscienza, consapevolezza, diligenza, responsabilità. Causa seconda dell’effetto del Sacramento è il segno sacramentale, scelto da Dio ad essere mezzo della Sua superna larghezza. – Il segno sacramentale consta, come accade in tutti i Sacramenti, di materia e di forma. Materia prossima del Sacramento della Penitenza sono i ben noti atti del penitente. Si ritenga il principio generale che il confessore ha la responsabilità di curare che gli atti del penitente siano buoni. Non ci dilunghiamo su tutta la dottrina relativa alla accusa dei peccati ed alla integrità formale della accusa, perché tale dottrina è troppo nota ed ampiamente e dettagliatamente proposta negli accreditati testi di teologia morale. Basta il richiamo. Ecco quello che in merito ci occorre dire. Potranno mutare leggi positive della Chiesa, siccome sono mutate la legge e la obbligazione relative alla astinenza e al digiuno, ma non muta affatto la obbligazione della integrità, almeno formale, della accusa. Riteniamo sia necessario ribadire questo perché taluni andazzi liturgici, dei quali si parla, e dei quali non si può giustificare né la legittimità, né la ignoranza teologica, pare riducano l’accusa dei peccati a un semplice intermezzo tra coreografie appariscenti e certamente assai adatte a distogliere da un raccoglimento interiore. La Penitenza è e resta, per chiara volontà di Cristo, una scelta autoritativa ed efficace tra due estremi positivi e contrari, quindi un «atto di giudizio». Ora non esisterà mai la possibilità di un giudizio in materia penale dove non esiste la accusa. Sappiamo benissimo che quando l’atto di pentimento si estende a tutti i peccati ricordati, non ricordati e possibili, Dio nella Sua infinita bontà si accontenta della integrità semplicemente formale; ma questo non significa che sia infranto o trascurabile il dovere della stessa integrità. Anche perché, in sovrappiù, questa integrità permette al confessore di compiere i doveri di padre e di maestro.

2. – Tra gli atti del penitente il principale e insostituibile è l’atto di dolore, che, di natura sua, include il proponimento.

Cominciamo da precisazioni fondamentali.

Se l’atto di dolore è talmente importante che la sua assenza rende il Sacramento stesso invalido o per lo meno informe, non può essere soffocato da nessun’altra cosa, sia pure coreografica o comunitaria, e deve raccogliere attenzioni minuziose e coscienti. – Il confessore – giudice non deve giudicare solamente della colpa (se c’è o meno, se è piuttosto l’una che l’altra), ma – poiché la Penitenza è essenzialmente volta alla assoluzione – deve giudicare del «meritum causae», ossia se esista o meno la ragione per la quale possa onestamente assolvere. Questa ragione sono le «disposizioni del penitente» in quanto in qualche modo manifestate (il Sacramento esige il signum) e di queste disposizioni la principale è la penitenza interiore, il dolore vero e soprannaturale. Le conseguenze di questi principi teologici assolutamente certi diventano evidenti.

a) Il confessore non può sempre ed a priori «presumere» che il penitente abbia il dolore dei suoi peccati, anche se il suo presentarsi alla penitenza è già un segno.

b) Una presunzione dovrebbe essere sufficientemente fondata su dati, relativi alla persona, all’ambiente etc.

c) Di fatto, salvo il caso in cui ci sia stata una evidente manifestazione di dolore di tutti i peccati prima della confessione e questa sia appresa dal confessore, in via di massima è piuttosto teorico si dia sempre una presunzione legittima. Ed in via generale bisogna sconsigliarla.

d) Ne viene che ordinariamente il confessore deve formulare un giudizio se il penitente ha fatto o fa l’atto di dolore nella forma richiesta dalla serietà del Sacramento. Questo accertamento non deve diventare un supplizio per il confessore e per il penitente, d’accordo. Ma non può neppure essere preso alla leggera. Consigliamo a tutti di non presumere mai il pentimento adeguato, quando si tratta di anime «dette» pie ed abituate al metodico uso del Sacramento. Riteniamo che il fatto della abitudine di confessarsi costituisca nel numero maggiore dei casi una ragione contro la «presunzione» del dolore. “Ab assuetis non fit passio”. Gli abituati al confessionale sono più degli altri in pericolo di non porre molta attenzione al pentimento. Stiano attenti i confessori su questo punto allorché si tratta di scrupolosi e di anime ansiose: queste, impigliate nei loro scrupoli o nelle loro ansie, vi sono talmente concentrate che spesso — più di quel che si creda – non hanno alcun dolore e fanno confessioni invalide od informi. – È da esortarsi perché la attenzione impiegata per l’atto di dolore sia sempre attiva, cosciente, calda e mai frettolosa o meccanica. Per quanto riguarda, non Dio che perdona, ma il penitente, è l’atto di dolore quello che opera il distacco libero dall’affetto al peccato. La grazia di Dio eleva e convalida agli effetti soprannaturali il distacco dal peccato, ma, se questo non è anche nella chiara coscienza del peccatore, nulla ha da elevare e convalidare e il Sacramento non ha esito. – La confessione delle anime che vivono abitualmente in grazia di Dio e si confessano o solo sottoponendo peccati veniali o addirittura solo presentando peccati preteriti e già rimessi, va soggetta ad un pericolo particolare. L’avversione al peccato veniale non è in genere e psicologicamente così decisa come quella al peccato mortale; si aggiunga la coscienza di una vita sostanzialmente buona e perseverante e la mancanza del ribrezzo per uno stato di mortale e corrotta decadenza; è così facile temere che un sentimento superficiale, abitudinario e affatto insufficiente – sia pure senza alcuna coscienza attuale di commettere una deformità – possa prendere il posto dell’autentico e soprannaturale atto di dolore. – La serietà del penitente la si misura anzitutto dall’atto di dolore e la serietà del confessore dal grado attuale di coscienza che ha e mantiene in tutto questo. La efficienza della penitenza è legata profondamente all’atto di dolore. – La grandezza di efficienza che ha la penitenza interiore o atto di colore, anche se il signum sensibile richiede la sua manifestazione, porta a considerazioni gravi. – La prima è l’alta interiorità che irrora e intride tutto il Sacramento della Penitenza. Abbiamo già notato le differenze che corrono tra la prassi penitenziale e la psicanalisi; qui vale richiamarle, sottolineando che la interiorità del Sacramento della Penitenza non è essenzialmente insita in una sfera di sentimento — pur non escludendolo – , di istinto, di passione, di aggrovigliato subcosciente, ma è allo stesso livello degli atti liberi, intelligenti, nobili, coscienti. Non è la interiorità dei fondali dove si accumulano solo rifiuti ed incubi, ma è la interiorità di quella zona pura e illuminata, fatta per gli incontri forti e sereni con il Padre che sta nei Cieli. – La seconda considerazione è che la volontà sostenuta dalla grazia è il grande motore in questo atto decisorio con il quale l’uomo si stacca liberamente dal peccato, giudica e condanna se stesso lealmente e nobilmente, prima di essere assolto dal confessore. La volontà è il distintivo più efficiente della virile levatura ed un uomo non è mai tanto grande e tanto giusto come quando arriva, senza violenza e senza passione, per motivo ben più alto di se stesso, a condannare umilmente e veritieramente se stesso. Poiché l’atto di volontà con il quale si impone il distacco dal peccato include – a causa del proponimento – anche un aspetto relativo al futuro del quale decide, decreta, impone la linea luminosa, diventa atto di grandezza sovrana, in qualche senso profetica. – Su taluni tentativi che, non da noi, ma altrove si fanno per portare la confessione ad un atto coreografico e ben poco o per nulla interiore non si può che pronunciare la più netta, decisa ed aperta disapprovazione. Solo la ignoranza teologica può commettere certe distruzioni.

3. – La efficienza del sacramento è legata pure alla penitenza imposta in soddisfazione almeno parziale del peccato commesso e perdonato. Questo elemento, ove non fosse curato, diminuirebbe qualcosa nella grande e fondamentale «terapia» delle anime. La minor efficienza dell’opera penitenziale talvolta si concreta in due difetti: monotonia e inadeguazione. La monotonia consiste nell’avere un modulo unico di sole orazioni, distinto solo a proposito della quantità, e assunto per tutti o quasi tutti i casi. E frequente, anche se si deve ammettere che talvolta ha qualche scusante nella allergia dei penitenti agli atti penitenziali. Questa allergia può rivelare, se mai, ai pastori d’anime che tutta la catechesi e tutta la preparazione alla confessione va rinforzata, irrobustita, allargata e metodicizzata. E un sintomo che in se stesso scusa solo fino ad un certo punto. – La inadeguazione è la conseguenza logica della monotonia. Consiste nel fatto che non contiene elementi adatti ad ottenere in un determinato penitente l’effetto capace di riempire una lacuna o stimolare una reazione. In pratica bisogna accogliere il principio che per atti penitenziali non ci sono solo preghiere facilissime da far recitare, ma azioni da far compiere e queste di varietà ben maggiore. – Le «azioni», che non vanno affatto considerate come «unico» atto penitenziale, possono aiutare il penitente ad acquistare una più netta convinzione, una ripresa su se stesso, una indicazione abituale, un antidoto diretto. Si dipana una immensa casistica della quale i confessori zelanti e illuminati sanno tenere conto. Questo va detto specialmente per quelle pie persone, non troppo spiritualmente elevate, delle quali si è detto sopra, che corrono talvolta il pericolo di non fare un atto di dolore sufficiente. In esse la abitudinarietà che fa sbiadire il dolore, fa sbiadire anche più l’atto penitenziale con la sua efficienza. Spesse volte, per il confessore che pensa e fa sul serio, la scelta accurata e la imposizione di atti, anziché di facili e troppo comuni preghiere, costituiscono un grande mezzo per scuotere dalla indifferenza spirituale le anime cosiddette «buone» e diventano uno strumento di vittoria sulla imperseverante mediocrità.

4. – La efficienza del Sacramento della Penitenza è legata pure all’assolvimento del compito di padre e maestro, che il confessore ha oltre quello di giudice. Quando si dice «padre e maestro» non si intende dire che il confessore debba sempre compiere, oltre il giudizio assolutorio e la imposizione dell’atto penitenziale, molti altri atti e avventurarsi in lungaggini. Può benissimo in molti casi assolvere ogni dovere con un solo atto. Ma quello quanto più è breve, tanto più deve essere pensato, ponderato, preparato dal confessore mentre ascolta. E in questa funzione di padre e maestro che il confessore illumina, dipana idee imbrogliate, informa per riparare lacune di nozioni, mette il dito sulla piaga, rivela i lati deboli, fa conoscere il temperamento, indica rimedi, conforta, rasserena, consolida. – Non abbiamo enumerato tutto: il nostro elenco è solo un campione, ma è sufficiente per arrivare ad una conclusione importante: la confessione ben condotta secondo la interna logica della confessione diventa in genere un atto di direzione spirituale di per sé. E a questo punto che si capisce come il Sacramento della Penitenza contenga sempre in qualche misura la direzione spirituale delle anime e come ogni direzione spirituale, anche se non necessariamente, ordinariamente bene si collega per un intrinseco motivo al Sacramento della Penitenza, il foro interno sacramentale al foro interno extrasacramentale. – Di questo completamento dell’ordine sacramentale della Penitenza parleremo appresso. Infatti in genere la confessione, quando si intende al vero e completo bene delle anime, esige di essere integrata da una vera e propria direzione spirituale.

5. – La efficienza del Sacramento della Penitenza è legata pure in qualche modo ad una preparazione remota e prossima. È logico si parli prima di una preparazione remota; la quale impegna assai dal punto di vista pastorale. La prima e insostituibile preparazione remota è la catechesi, sia teorica che pratica, a proposito del Sacramento. La catechesi deve rendere a poco a poco familiari soprattutto i seguenti concetti: Dio, la Legge, la obbligazione morale, il peccato sia veniale che mortale, la redenzione, il Sacramento in tutti i suoi particolari, la virtù e la vita integralmente cristiana alla quale la Penitenza deve conferire. Tra i particolari del Sacramento occorre dare rilievo alla necessità del dolore e del proponimento, alla sua vera natura, alla integrità della accusa. Questa catechesi non basta assolutamente farla alla sola dottrina dei ragazzi o – dove ancora esiste – alla catechesi per gli adulti. Bisogna in una parte o nell’altra farla uscire fuori in tutte le circostanze possibili, nei fervorini (tanto cesso così vuoti ed inutili!), nelle ore di adorazione, in tutte le predicazioni a ciclo come le novene, nelle predicazioni degli esercizi al popolo, dei quaresimali, del mese di maggio etc. Questa catechesi teorica deve essere stimolata, sostenuta ed orientata in modo veemente da questo principio: la catechesi per la confessione è un vero breviario della fede, della morale e della ascetica. Si tratta di un’autentica costruzione della vita cristiana, fissa tutto lo spirito cristiano e tutto l’ordinamento dell’uomo a Dio. La catechesi pratica riguarda la procedura concreta, lo svolgimento, le ragioni di quello svolgimento, le formule, almeno nel loro generale significato, gli stessi atti esterni da compiere, e deve continuamente ammaestrare in modo semplice e vero sulla distinzione dei peccati quanto all’aspetto teologico e quanto all’aspetto morale. Questa catechesi pratica è tanto importante che il primo giudizio su di una popolazione il missionario lo formula quasi sempre dal modo e dalla precisione o meno con cui i fedeli si confessano. In tutto ciò nulla è piccolo, trascurabile o, peggio, risibile; tutto ha invece la sua profonda capacità di impressione pedagogica. La catechesi pratica deve essere inserita nella catechesi teorica, quasi a giusto e necessario complemento e può essere inserita nella preparazione prossima, di cui parliamo subito. – Fa parte della preparazione remota al Sacramento la preparazione dell’ambiente e del sito ove esso viene amministrato. Rimandiamo alle istruzioni date in proposito. Qui richiamiamo solo alcune norme:

a) il confessionale deve essere decente e munito di quanto occorre alla spirituale comodità del penitente;

b) è migliore il confessionale debitamente aerato che nasconda non solo il confessore, ma anche il penitente. Ciò è utile per i confessionali degli uomini: si faccia ben caso come la mancanza di separazione, a mezzo parati, o grata del sacerdote dal fedele, diminuisce la facilità di accesso, di sincerità, di libertà;

c) il confessionale deve essere situato ove non impone una ricerca, una esposizione, degli attraversamenti impegnativi. Con queste circostanze molti fedeli, soprattutto uomini, sono inibiti dal confessarsi;

d) possibilmente ci siano i mezzi segnaletici, che dispensano il penitente – soprattutto se ignorante o imbarazzato – dal fare ricerche di un confessore. Per tutti questi motivi ordinariamente consigliamo, nelle nuove chiese, di mettere i confessionali per gli uomini, ben protetti e chiusi, vicini alle porte di ingresso e non troppo esposti. La preparazione prossima, non solo è conveniente, ma è necessaria. – Essa riguarda anzitutto il penitente. Questi deve mettersi nella situazione di ricordare e di staccare in modo completo la sua anima dal peccato. È difficile pensare possa raggiungere questo scopo senza la preghiera previa, la quale, pertanto, deve essere inculcata. – Egli deve preparare il suo materiale di accusa diligentemente; infatti è da questa diligenza, né superficiale, né infirmata da eccessivi scrupoli, che egli potrà approfondire il ricordo dei suoi atti, in modo da offrire una informazione obiettiva ad una utile direzione spirituale. Per questa diligenza, con tutta probabilità, arriverà a conoscere se stesso e ad individuare le ragioni della immobilità nella via della perfezione. Il dolore dei peccati, anche se deve essere manifestato in confessione, è bene sia eccitato prima della medesima. – Siccome questo dolore è essenzialmente atto di volontà, ma può venire spinto o facilitato dall’affetto, è opportuno che, ad ottenerlo, sia mosso tutto un meccanismo psicologico. Di esso si avvale la serietà grande dell’atto di dolore. Questo meccanismo adiuvante richiede attenzione, raccoglimento, riflessione e tempo per la mozione degli affetti. Sopra abbiamo parlato del pericolo di confessioni nulle od informi al quale soggiacciono specialmente gli abitudinari della confessione. Per essi, la diligenza della preparazione prossima va aumentata, non diminuita. Questo per il pericolo troppo vicino di agire per abitudine, cioè meccanicamente. – Credo che il clero debba ritornare con insistenza su questo punto. – Bisogna diffondere l’uso di servirsi di appositi manuali o fogli, deve propagarsi la consuetudine di fare in comune l’esame di coscienza e l’esercizio per il dolore dei peccati, specialmente facile quando si tratta di bambini. E raccomandabilissimo che si affiggano ai confessionali piccoli direttori per la preparazione e che se ne lascino, inquadrati, degli esemplari sulle sedie o panche dove ordinariamente i penitenti attendono il loro turno. – Noi dobbiamo reagire vivacissimamente alla moda del nostro tempo che è quella di fare tutto correndo, senza profondità di riflessione e, il più possibile, con atti meccanici, in modo disattento e quasi divertito. – Il buon confessore fa anche lui la sua preparazione prossima: si segna, assume la stola, si raccoglie in breve preghiera, mettendosi con questa in assoluta chiarezza davanti al dovere che assolve e davanti all’anima della quale diventa giudice, padre e maestro. Senza questo raccoglimento previo facilissimamente e colpevolmente diventerà meccanico e distratto pure lui.

6. – Per completare le considerazioni sulla efficienza del Sacramento deIla Penitenza, occorre vederlo in un quadro complessivo. Esso è costituito da alcuni elementi che qui enumeriamo. – I due concetti di peccato e di redenzione o giustificazione debbono diventare abituali, profondi, famigliari ed in un certo senso polemici. Si tratta dei due concetti che fanno da sfondo al Sacramento della Penitenza, ne alimentano il bisogno, ne danno l’esatta e valida ragione. Come entrerà nella stima e nell’uso il Sacramento della Penitenza se si dissolve il senso e la condanna del peccato? Abbiamo usato la parola «polemica» e a ragione, perché, per tenere al giusto livello di visibilità e di importanza i concetti di peccato e di redenzione, bisogna prendere fieramente posizione contro l’andazzo del «mondo» il quale sta dissolvendo l’idea del peccato, illudendo, con mistificazione ingannevole e velenosa, che l’uomo non deve avere più preoccupazioni morali. I nostri rilievi in fatto di opinione circa la moralità ci segnalano una discesa ogni anno del livello al quale si colloca il margine dell’osceno. In questo campo si hanno le manifestazioni più vergognose e violente della tentata volatilizzazione del senso di peccato. Dissolto il peccato è dissolto il cristiano, è dissolto tutto l’ordine morale. E non perché il peccato costituisca l’ordine morale, ma perché la sua nozione come peccato lo afferma decisamente. – Attraverso tutta la istituzione ascetica deve crearsi nei fedeli il senso della penitenza, non solo come generosa dedizione a Dio, come rimedio contro la debolezza, ma come necessaria riparazione, anzi come elemento equilibratore della vita. Diciamo «equilibratore» perché gli scompensi creati dai peccati e dai difetti sono una realtà presente, più o meno, nella vita di tutti. E ovvio che il senso della penitenza nasce anche dalla giusta valutazione di se stessi, peccatori e imperfetti, sempre perfettibili. Questa realtà non la si conosce e non la si accetta senza una notevole umiltà. Sicché la penitenza si lega per natura sua alla umiltà e fa da sfondo a tutta la vita cristiana, giustifica un modo di pensare che ci è inoculato da tutta la rivelazione evangelica. – Il Sacramento della Penitenza fa parte di una metodologia cristiana. Ossia: non deve considerarsi il solo singolo Sacramento della Penitenza, ma la sua parabola nel tempo. Infatti, poiché detto Sacramento non è solo rimedio dei peccati passati, ma erogazione di forza contro i possibili futuri, richiede sia usato metodicamente. Chi vuol passare indenne tra le molte tentazioni deve avere il Sacramento della Penitenza come un abituale traguardo a scadenze fisse. Esso non è solo il rimedio alla caduta, ma è l’ordinario sussidio di chi deve combattere nel mondo la sua battaglia per poter serenamente e meritoriamente tornare a Dio Padre. In termini poveri: il Sacramento della Penitenza non è fatto straordinario; esso è invece elemento abituale del quale si arma la vita dei cristiani. – Il Sacramento della Penitenza, quando entra nella vita coscientemente, tiene alto ogni concetto di serietà, giustifica a seconda delle circostanze e delle vocazioni la pratica della austerità, modifica le leggerezze alle quali tenta abituarci la instancabile spinta della materia, sempre nel tentativo di degradare l’uomo e la sua convivenza.

La direzione spirituale

1. – L’argomento è completivo di quello della penitenza, perché lo stesso Sacramento ne contiene, come si è già detto, il nucleo e diventa esigitivo di una direzione spirituale. Questa può essere svuppata all’interno del S acramento e può essere sviluppata al di fuori di esso. Non per nulla esiste un foro interno sacramentale ed un foro interno extrasacramentale. La prima può svilupparsi con il senso del penitente al di là di quanto è necessario dire per la integrità della accusa. Infatti tanto più il confessore può orientare e decidere, in caso di dubbio, quanto più conosce. La seconda ha di natura sua bisogno di una informativa che deve andare oltre quanto è richiesto per la integrità formale nel Sacramento.

2. – La direzione spirituale guida praticamente verso la perfezione il singolo fedele. Diciamo «praticamente» perché la direzione spirituale fornisce certamente, ove occorra, dei principi generali e dà nozioni teoriche, ma, anche senza necessariamente enunciare tali principi, li applica al caso circostanziato e definito da particolari di fatto. Essa pertanto illumina su tutto quanto occorre, indica i mezzi del procresso spirituale, porta alla più dettagliata autoconoscenza, sprona all’esercizio della volontà, risolve i dubbi, snebbia lo spirito dai quanto inutili tormenti, fornisce la visione dall’esterno tanto difficile ad aversi dall’interno, prende quelle decisioni per le quali l’animo del fedele sarebbe tentennante ed incerto. Questi compiti della direzione spirituale rispondono ad altrettanti stati o carenze della vita interiore e basterebbe dir questo per dimostrare la necessità di una direzione spirituale.

3. – Quando si parla di necessità della direzione, si fa una affermazione da intendersi in senso relativo, almeno per quello che sta oltre il dovere del penitente nel Sacramento della Penitenza. – Tutti comprendono che non si tratta della stessa necessità che ha la Penitenza per chi ha peccato mortalmente. Tutti possono vedere che molti fedeli, i quali per ignoranza o per le circostanze in cui vivono non hanno altra direzione oltre quella propria del Sacramento, tuttavia vivono bene ed hanno anche un certo progresso spirituale. Bisogna ricordarsi che Dio supplisce con la Sua grazia molte carenze umane.- Ma, se la Chiesa ha il compito e la divina autorità di guidare le anime, affermare che la direzione spirituale è cosa al tutto superflua e non in qualche modo necessaria sarebbe come attribuire inutilità e irragionevoli pleonasmi all’opera di Dio. In altri termini: se «divinamente» esiste la «funzione», deve essercene l’uso. – Ma oltre questa fondamentale ragione teologica, si possono considerare altre ragioni che mostrano la necessità della direzione spirituale.

a) Vi è una zona, che non appartiene affatto alla psicanalisi, siccome già si è detto all’inizio di questa Nostra lettera, che ha bisogno di essere manifestata e che non può avere il suo dignitoso sfogo ottenendo la necessaria luce se non ordinariamente nel foro interno sacramentale ed extrasacramentale. Si pensi che quello che non può essere espulso diventa facilmente veleno o causa di dolorosi complessi.

b) La umana debolezza è sempre volta a velare se stessa. E difficile conoscersi senza l’ausilio di chi sta fuori di noi. La mancata conoscenza di sé sta all’origine, non solo di inganni e disillusioni interiori, ma ancora di tutti i difetti nella vita di relazione, ossia nei contatti e nella convivenza umani.

c) I dubbi e le incertezze attendono tutti a qualche traguardo. Le depressioni non meno. Le fantasie, i falsi ideali e i non meno falsi entusiasmi hanno spesso bisogno di un solvente o di un registratore esterno. Tutte queste ragioni si trovano ordinariamente coadunate, almeno come allucinazioni o tentazioni, nelle anime che vogliono salire per un cammino di perfezione.

d) La non reazione, la stanchezza, l’afflosciamento, la pigrizia tendono ad aumentare con il crescere delle forze abitudinarie e con il passare del tempo. E tuttavia agiscono in qualunque tempo. Qui la direzione spirituale agisce come stimolo, rialzo del tono, incitamento e continuato progresso. – In realtà molti sacerdoti non hanno più un direttore spirituale. È perché pensano di bastare a se stessi e di non aver bisogno d’altri. Sbagliano, perché resteranno quali sono e progressivamente prigionieri della loro unilaterale visione, inconsci del proprio temperamento, intiepiditi, forse persino atoni. – Alcuni non hanno direzione spirituale per pura pigrizia. Sbagliano essi perché resteranno privi di quella rugiada che in ogni età e perfino nei deserti riporta la freschezza della primavera. Essa ripaga naturalmente quanto il sacerdote ha donato a Dio. È assai difficile che una vocazione si schiuda senza direzione recale, che si abbia la spirituale resistenza a lottare, ad intraprendere il piano decisivo senza l’ausilio di un sacerdote che faccia per noi visibilmente la parte di Dio. L’esperienza dice che le Associazioni cattoliche fioriscono veramente quando vi fiorisce, compresa, invocata e corrisposta, la direzione spirituale. – Essa offre ai sacerdoti il migliore giardino della loro spirituale esperienza e dà loro di cogliere i frutti più maturi.

4. – L’esercizio della direzione spirituale comporta per i sacerdoti che danno questo grande servizio le stesse attitudini e le stesse diligenze che occorrono per confessare e delle quali abbiamo prima parlato. Ma le esigono maggiorate, infatti nella direzione spirituale il campo diviene più vasto, più largo vi è l’impiego della ascetica, più dettagliata la responsabilità. Pertanto riflettano i sacerdoti che, se grande e fondamentale è per loro il dovere di offrire la direzione spirituale a tutte le anime, più grande è l’impegno, più netta la serietà e profondità con la quale vi si debbono applicare. – Siano sempre pronti e serenamente disposti, incoraggino i timidi, ma si guardino dal ricercare penitenti, quasi potesse dar gioia l’esercizio di un potere. Si guardino i sacerdoti dall’offrirsi in esclusiva, dall’impedire che i penitenti liberamente vadano a chiedere l’aiuto di altri sacerdoti. Siano severissimi con se stessi nell’evitare che la direzione spirituale diventi un loro gusto, un mezzo per legare a sé, un istrumento per esercitare un potere su oggetti che non entrano nella sfera di loro competenza. Non presumano entrare in cose che non riguardano il bene dell’anima. Soprattutto si sorveglino, perché non accada loro di rendere i loro penitenti partecipi di tutti i loro difetti e di tutti i loro limiti, delle loro simpatie e delle loro antipatie, dei loro discutibili gusti e non meno discutibili originalità. – La cura delle anime va fatta con la mano degli Angeli, va immersa nell’orazione, deve restare servizio distaccato, sofferenza accettata, generosa rinuncia.

Conclusione

Cari sacerdoti! L’esercizio santo, assiduo, responsabile del Sacramento della Penitenza è il grande «regolatore» della vostra vita. Non abbiamo la «grande sorgente», perché quella è l’Eucarestia. Ma è regolatore. Per dirigere altri, bisogna saper governare se stessi; per illuminare altri, bisogna essere illuminati; per mostrare ad altri la giusta via, deve esserci la coerenza che viene dalla giustizia della propria via. Così non graverà sul confessore la vergogna di non avere e non fare quello che esige da altri. – La santa assiduità nella direzione delle anime finisce con l’impregnare di orrore per il peccato, di sete della perfezione. Arriva a far assorbire la mentalità della purezza e della penitenza. Aprendo il mondo delle anime, tiene lontano il mondo della carne e della umana superbia. L’ufficio di redimere mette in primo piano il continuo problema della propria redenzione. L’azione sacramentale, dove agisce soprattutto Iddio e dove si porta il proprio umile merito, finisce con l’ergersi ad allontanare dalla mente, in modo deciso ed austero, tutti gli orientamenti mentali poco ortodossi, più superficiali e leggeri. Il Sacramento della Penitenza fa diventare austeri con sé, sorridenti con gli altri, perché la visione delle miserie ne rinsalda la obiettiva condanna, mentre apre il cuore ad una paternità senza confini. – Non fate a meno di questo «regolatore» che Dio vi ha dato, intendendo Egli santificarvi con il vostro stesso ministero. Riportate il Sacramento e quanto gli è collegato a quel livello di primato nella formazione del popolo di Dio, al quale Egli stesso lo ha posto. Guardiamoci dalla colpa di far svanire qualcosa di quello che Cristo ha stabilito!

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