GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (13) – GNOSI E BUDDISMO -1-

 

“… omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI E BUDDISMO -1-

[rielaborato da: É. Couvert “La gnose universelle“-Chirè en Montreuil, 1993)

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Alle sorgenti del Buddismo

La storia religiosa dell’Asia centrale e dell’India, si presenta ai nostri sguardi occidentali come doppiamente limitata. In effetti le popolazioni di questi paesi sono senza storia, senza cronologia, senza annali se non qualche cronaca di famiglie principesche in India, più o meno leggendarie. I popoli dell’India hanno vissuto ai margini della nostra civiltà occidentale, ed è pertanto ben difficile collocare rispetto a noi i loro monumenti, i loro scritti, le loro leggende. – La tentazione naturale degli archeologi e degli storici fu di creare, tutta nuova, una cronologia e dei quadri storici per inserirvi le loro scoperte e tentare di confrontarle con la storia del nostro Occidente. Ciò facendo furono spesso condotti a modificare di sovente i loro giudizi e le loro osservazioni sui reperti che avevano potuto raccogliere per farli quadrare con le loro supposte cronologie, e quando la cosa appariva di difficile realizzazione, ebbero difficoltà enormi per rivedere i loro quadri. Ora le scoperte archeologiche e paleografiche più recenti, quelle dell’inizio del secolo pen’ultimo scorso, avrebbero dovuto provocare una rimessa in causa delle precedenti ricostruzioni in parte arbitrarie e improbabili, ma gli storici continuarono a far riferimento ai loro predecessori, salvo marcare dei dubbi e dei punti interrogativi qui e là. Nelle pagine seguenti non pretendiamo certo di rivelare documenti nuovi, né fatti incerti o indiscutibili, ma ci contenteremo di raccogliere, in un nuovo ordine, una gran quantità di recenti scoperte, già ben conosciute ameno dagli specialisti dell’Asia. Ci sforzeremo di rigettare le cronologie infondate ricevute dai manuali classici per far riapparire aspetti nuovi ed inattesi ai quali gli sguardi non erano più abituati, ed allora vedremo disegnarsi, sotto i nostri occhi, un quadro inedito delle origini del buddhismo. – Una seconda difficoltà deve essere eliminata. Poiché l’Asia centrale ci sembra misteriosa, lontana e sconosciuta, certi “indianizzanti” hanno voluto farne la culla di tutte le civiltà, il punto di partenza di ogni forma religiosa diffusasi poi nel mondo intero. È questo il senso ed il contenuto di tutta una letteratura indianizzante che ingombra attualmente gli scaffali delle librerie. – L’esame dei fatti mostra con evidenza che tutto questo è assolutamente falso! L’Asia centrale e l’India sono state civilizzate dall’Occidente; questo movimento colonizzatore è partito dall’Ovest e si è diffuso nel corso dei secoli in tutta l’Asia. – Prima delle spedizioni di Alessandro, i Persiani di Dario avevano invaso e colonizzato la valle dei Sind ove avevano stabilito una satrapia del Grande Re. È evidente che i monumenti dell’India ricordano quelli di Babilonia e della Persia. Dopo i Persiani, Greci di Alessandro stabilirono nel Pendjab dei reami greci, e durante vari secoli questi Greci sviluppano in tutta l’Asia centrale una civiltà ellenica, quella dei regnii di Bactriano e di Sogdiano che hanno lasciato nei manoscritti indù il ricordo dei Yavanas, e nei monumenti indiani l’impronta dell’influenza greca e romana. Il conte Goblet d’Alviella ha dimostrato questa opera civilizzatrice nel suo trattato: « Ciò che l’India deve alla Grecia »; in ciò si trova l’essenziale della sua civilizzazione, e cioè scultura, pittura, fino alla letteratura e fin’anche l’arte drammatica. – A partire dall’era cristiana, l’invasione degli Sciti e dei Parti, i “Palavas” dei manoscritti dell’India, provocò uno stravolgimento delle influenze occidentali. Questi Parti e Sciti sono venuti dal sud della Russia; essi hanno conquistato i regni dell’India, ma ne hanno conservato e rispettato la civilizzazione. Essi l’hanno diffusa in Asia centrale; poi nel secondo o terzo secolo della nostra era, essi hanno costituito un ponte tra l’India ed i Paesi nuovamente convertiti al Cristianesimo. Vedremo infatti che questi regnii sciti sono all’origine dell’espansione del Buddhismo attraverso l’Asia. Assistiamo quindi ad un movimento civilizzatore venuto dall’Occidente che si diffonde gradualmente in tutta l’Asia. In effetti se verifichiamo nel corso dei secoli dei movimenti migratori e delle popolazioni venuti dall’Asia del nord in direzione del sud e dell’Europa, constatiamo ugualmente che questi popoli, emigrando appunto, hanno saccheggiato e distrutto tutto al loro passaggio e che, una volta stabilitisi e fissati sul territorio, hanno subito le influenze civilizzatrici di origine occidentali: greca, latina e quindi cristiana. E questo è fondamentale per comprendere l’origine e l’espansione del Buddismo. – Pretendere che il Buddhismo sia all’origine delle religioni dell’Asia centrale, è costruire un’ipotesi sul nulla. Se i Persiani, i Greci e gli Sciti hanno occupato  durante i secoli il nord-ovest dell’Indostan, se le comunità cristiane si sono stabilite nelle Indie e nell’Asia centrale, l’Europa al contrario non ha mai subito invasione indiana, né conosciuto una “chiesa” buddhista. I monumenti dell’India testimoniano una influenza persiana e greca; al contrario nessun monumento dell’Asia minore o dell’Egitto ricorda lo stile degli indù. Non troviamo alcuna menzione di un culto “buddhico” in tutta la letteratura antica latina o greca od orientale prima del secondo secolo della nostra era, in epoca cioè in cui i contatti tra questi paesi erano numerosi. La prima menzione di un Bottha al quale gli indù rendono culto divino, si trova nelle “Stromate” di Clemente di Alessandria, la cui redazione risale probabilmente alla fine del secondo secolo della nostra era, non prima. Affermare l’esistenza di un Buddha che sarebbe vissuto nel V o VI secolo avanti Cristo, è costruire un castello in aria. Non esiste la pur minima prova di una tale asserzione, che si presenta evidentemente falsa. Max Muller, nel suo libro sull’India, scrive: « In tutta la mia vita ho cercato di capire come il Buddhismo avesse potuto agire sul Cristianesimo; queste prove non le ho mai trovate ». – Il culto di “Buddha” apparve per la prima volta nel regno scita di Battriano, nella provincia del Gandhara, situato nella valle del Pehawar, regione che fa attualmente parte del Pakistan. L’arte buddhista del Grandhara si è sviluppata nel corso dei primi secoli dell’era Cristiana sotto i sovrani Kushan, discendenti appunto degli Sciti. – Il primo “Buddha” si presenta sotto forma di un maestro che insegna ai suoi discepoli. Egli è in piedi, con la mano destra alzata (come il falso Gesù della c. d. “divina misericordia”, Culto gnostico dell’eretica F. Kowalska e del marrano-teosofo Woitiła, entrambi pseudo-canonizzati dalla “sinagoga di satana”). Il suo volto è classico: naso e sopracciglia diritte, capelli ricci. È un filosofo, vestito con una toga che procede circondato dai suoi discepoli. Quando la sua testa è circondato da un’aureola ha l’aspetto di un Apollo greco. In questi primi monumenti buddhisti, il clima ha cancellato tutti i dipinti murali, restano solo sculture ricavate dagli scisti grigi della regione. Questa si chiama scuole del Gandhara: è un’arte essenzialmente greca o romana. Il “Buddha” non vi si presenta secondo le forme obese, da addome cirrotico, contorte e terrificanti che troveremo nei templi dell’India. – I tentativi di datazione di queste sculture sono ben deludenti. secondo gli “specialisti” esse risalirebbero tra il III secolo a. C. ed il VI secolo dell’era Cristiana. Tentiamo però di restringere il ventaglio temporale – Emile Male, celebre storico dell’arte religiosa di Occidente, ha dimostrato che le più antiche basiliche cristiane in Gallia, erano concepite da artigiani cristiani, essi stessi ispirati dai monumenti cristiani di Siria, sia in ciò che concerne l’architettura, che per quanto attiene  alla scultura ed ai motivi decorativi. Egli ha così confrontato i bassorilievi di Gandhara con i sarcofagi cristiani delle catacombe e specialmente quelle delle “officine” di Arles en Provence. Si sono costatate delle parentele nell’ispirazione molto prossime, praticamente quasi identiche. Dall’una e dall’altra parte Gesù-Cristo e il “Buddha” sono presentati da personaggi vestiti all’antica, allineati parallelamente in nicchie separate da colonnette mediante tronchi di arbusti sormontati da fogliame. Essi stanno in piedi, mano destra in alto, circondati dai loro discepoli che sembrano, con i loro gesti, dare il loro assenso all’insegnamento del maestro. Emile Male ne ha concluso che per le due chiese hanno lavorato gli stessi artisti, e che i loro laboratori di scultura erano situati ad Antiochia, in Siria. Si è pure trovato su di un basso rilievo di Gandhara, rappresentante la nascita del Buddha, una immagine innegabile del Buon Pastore, scolpito sul pannello di un capitello corintio. Sulla base di una statua di “Buddha” trovata a Hashagar, si è trovata una data, l’anno 274 di un’era sconosciuta. Se si tratta dell’era di Gondofare, siamo nel 214 dopo Cristo; se si tratta dell’era di Çakias, cioè degli Sciti (Çakia è il loro nome in sanscrito), nel 352 dopo Cristo. Siamo dunque tra la fine del III secolo o all’inizio del IV secolo della nostra era! Ora noi sappiamo che l’Apostolo Tommaso è venuto in India durante il regno indiano di Gondofaro nel corso del primo secolo dopo Cristo. Suo nipote Abdagare gli successe intorno agli anni 70 dopo Cristo. Questi re “indo-sciti” e “parti” hanno dunque ricevuto il Cristianesimo molto presto, ed una ispirazione iconografica comune alle due religioni è molto verosimile, corroborata com’è pure dalle date che abbiamo potuto precisare. Il culto del “Buddha” è apparso per la prima volta nel terzo secolo della nostra era e non prima! – Affermare, come hanno fatto diversi storici, che questo culto del “Buddha” sia stato preceduto da una lunga epoca in cui il Buddhismo viveva in letargo, come “in sonno”, è affermare ciò che si dovrebbe essenzialmente provare, ma che mai è stato provato da nessuno. Si è riportato ad un passato lontano e storicamente non controllabile, un culto simbolico del Buddha, rappresentato dalla venerazione dell’impronta dei suoi piedi, della ruota, dell’albero o di qualche carattere sanscrito, senza vedere che queste superstizioni popolari non potevano precedere il culto del “Santo”, ma completare, dopo tanto tempo, un culto ed una liturgia già consolidata e florida. – Viaggiatori e missionari Cristiani hanno notato nel corso dei secoli i numerosi elementi presi “in prestito” [cioè copiati e fatti propri] dalle comunità buddhiste al Cristianesimo. Essi hanno dato delle spiegazioni che  sembrano plausibili e sono probabilmente vere, almeno in parte. Gli uni hanno fatto valere le giustapposizioni in Asia centrale delle comunità nestoriane e dei monasteri buddisti che potevano spiegare queste “copie”. Altri hanno invocato l’influenza dei missionari cristiani nel Medio-Evo e nel XVI secolo. Tutto questo è possibile, ma è fantasioso, non sicuro né provato! – Tuttavia le scoperte archeologiche e paleografiche della fine del penultimo secolo e dell’inizio del successivo ci mostrano una influenza ben più considerevole e probabilmente decisiva sulla formazione stessa del buddhismo. Si tratta dei Manichei. – In luogo di “inventare” un “Buddha” mitico, vissuto secoli prima dell’era cristiana, gli storici avrebbero dovuto osservare i “Buddha” veri che sono esistiti, e che noi conosciamo perché da se stessi si sono attribuiti il titolo di “Buddha”, che vuol dire “illuminato”. È quanto resta ora da dimostrare e provare!

Il Buddha di luce: MANI

Il Manicheismo si è presentata come una « Religione della luce », « una chiesa della giustizia ». La loro “chiesa” è la comunità degli « eletti », dei “giusti” dei “veridici”. Essa comprende pure degli « Uditori », coloro che apprendono la verità, dei catecumeni dunque. In ginocchio davanti agli eletti, i dignitari che godono della iniziazione completa, per ricevere l’imposizione delle mani in segno di perdono dei loro peccati. [anche i finti vescovi della setta vaticana del “novus ordo”, ricevono una pseudo-consacrazione, dal 18 giugno del 1968, da una formula invalida che li rende «eletti» secondo lo spirito manicheo: … Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem …” effondi su questo eletto …] – Il fondatore di questa chiesa è un certo Scythianos (lo sciziano), che viveva, si dice, ai tempi degli Apostoli. Egli avrebbe predicato una gnosi cristiana in Palestina. Il suo discepolo Terebinto, redigerà quattro libri contenenti il suo insegnamento; i “Misteri”, i “Capitoli”, il “Vangelo” e il “tesoro”. Dopo la morte dei suo maestro, Terebinto si recò a Babilonia, dichiarando di chiamarsi « Buddha », di essere nato da una vergine ed essere stato nutrito dagli angeli sulle montagne. – Ma il “vero” maestro che ha dato il nome a questa chiesa gnostica, è Mani (216-277), che i Latini ed i Greci hanno chiamato Manicheo. Piuttosto che un pensatore ed un fondatore di religione, egli fu piuttosto un notevole organizzatore e costruttore di chiese e di comunità che si diffusero in tutto l’Oriente, fino all’Asia centrale. Il suo insegnamento è semplicemente la “gnosi” di Marcione e di Basilide. Non è affatto originale, ma insiste soltanto su: 1) – una accentuazione particolare del doppio principio del mondo, l’esistenza di un “dio buono” e di un “dio cattivo” in conflitto eterno, e 2) – sulla reincarnazione delle anime. – Egli si diede il nome di « Mani », che in sanscrito significa « gemma, pietra preziosa ». In un inno manicheo, il « canto della perla », estratto dagli atti di Tommaso, è salutato con il titolo di « figlio del re ». In questo inno ci si racconta che il “creatore” ha posto nel corpo di Adamo una “perla” preziosa che, passando da corpo a corpo, ha dato nascita a Gesù nel seno di Maria. Egli stesso, Mani, si dice figlio di una vedova, quindi concepito dallo Spirito Santo (i franco-massoni, che sono gli autentici eredi dei Manichei, si chiamano ancora oggi tra loro, i “figli della vedova”, anche se ne danno una diversa motivazione, presunta biblica !?!). Anch’egli è dunque uscito dalla “perla”, questa pietra preziosa di cui ha preso il nome. Stabilitosi a Babilonia, come il suo maestro Terebinto, egli spiega ai suoi discepoli: « Dopo che la chiesa della carne è stata elevata sulle alture, allora è stato inaugurato il mio apostolato sul quale mi avete interrogato. Dopo di ciò è stato inviato il Paraclito, lo Spirito di verità, che è venuto a voi in questa ultima generazione, conformemente a ciò che aveva detto Gesù: “Nell’ora in cui partirò, vi invierò il Paraclito, e quando il Paraclito sarà venuto, istruirà il mondo e vi parlerà della giustizia”. Poi egli racconta che durante il regno del re Ardashir, re sassanide che regnò nel secolo terzo della nostra era sulla Persia, « il Paraclito vivente è disceso verso di lui, si è intrattenuto con lui e gli ha rivelato i misteri nascosti ». Dopo averli enumerati egli conclude: « Così mi è stato rivelato dal Paraclito tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che accadrà, tutto ciò che l’occhio vede, tutto ciò che l’orecchio ascolta, tutto ciò che l’intelligenza comprende. Da lui ho appreso a conoscere tutto (è la gnosi!), con lui ho visto il tutto (è il panteismo!), io sono divenuto con lui un solo corpo ed un solo spirito ». si tratta dunque di una totale identificazione con lo Spirito divino. Il manicheismo è certamente, come tutta la gnosi, una eresia che si è sviluppata sul tronco cristiano come un tumore parassita. In effetti, Mani si dice discepolo di Gesù. Le sue lettere iniziano con la formula: “Manicheus apostolus Jesu Cristi”. Egli ha composto degli inni in onore di Gesù. I suoi discepoli ne hanno composti altri in suo onore: preghiere a Mani, inni in onore del suo martirio, salmi per la festa di Bêma, in onore della sua morte, etc. … All’inizio dei suoi “Kephalaia” (o Capitoli): « L’illuminato (il Buddha) dice ai suoi discepoli: alla fine degli anni del re Ardashit, io sono partito per predicare. Io mi sono recato su un vascello nei paesi dell’Indiani, ho predicato loro la speranza della vita, ed ho scelto là una buona élite. L’anno in cui morì il re Ardashir ed in cui divenne re il figlio Shapûr, egli mi fece venire e mi sono recato su di un vascello dai paesi degli Indiani nel paese dei Persiani, e dal paese dei Persiani vengo nel paese di Babilonia … ». Nell’introduzione al suo libro “Kephalaia”, Mani insiste sui suoi tre precursori: Gesù, Zarades (probabilmente Zoroastro) e Buddha. Questi sono, egli dice, i suoi tre fratelli, interpreti della medesima saggezza. « Tutti gli apostoli, miei fratelli che sono venuti prima di me, non hanno scritto la loro saggezza, come l’ho scritta io. Essi non l’hanno rappresentata con dei dipinti come l’ho rappresentata io. La mia religione, fin dai suoi inizi, oltrepassa le religioni precedenti. » Si noti la progressione di questa confessione: Gesù non si distingue da Zaradès, né da Buddha; tuttavia egli viene sempre nominato per primo, di modo che gli altri sembrano essere suoi discepoli. Essi non hanno dato un insegnamento originale, distinto dal suo, ma sottolinea bene l’identità dei loro insegnamenti. Questi sono i “maestri” della chiesa gnostica che egli non ha fondato, ma che ha tuttavia diffuso in tutta l’Asia. Non si trovano nel suo insegnamento caratteri particolari che potrebbero derivare da un buddhismo insegnato precedentemente a lui, come ci appare oggi nei libri sanscriti. « Nell’insegnamento originale di Mani – scrive Burkitt – non vedo alcuna traccia sicura che ci faccia riconoscere il buddhismo, come elemento costitutivo. Buddha è menzionato da Mani con rispetto, così come menziona Platone ed Ermete-Trismegisto ». Egli è dunque un anello di congiunzione in una catena di maestri gnostici successivi. Alfaric afferma che Mani non ha conosciuto il Buddha, ma solo la gnosi del suo tempo. – Quando la Chiesa cristiana, greca o nestoriana, accettava il ritorno dei manichei convertiti, imponeva loro una formula di abiura  con la quale essi rigettavano l’insegnamento di Scythianos, di Zaradès, di Buoddha e di Mani. Questi quattro personaggi erano dunque considerati come i capi successivi di una stessa religione. Appariva evidente che il Bouddha di cui parla Mani non è altri che il suo predecessore Terebinto. La terza omelia dei Manichei ci racconta la “passione” di Mani. È una scopiazzatura sistematica della Passione di Cristo e delle recite dei martiri cristiani. Si ignora la data della sua morte. Egli viene arrestato dal re sassanide, gettato in prigione dove morì per consunzione dopo qualche tempo. Poi c’è, naturalmente l’“ascensione”: Mani rigetta il suo corpo e sale con la rapidità di una freccia o di una luce fino alla sfera lunare da dove veglierà sulla sua chiesa. Come per la morte di Gesù, si produssero fenomeni soprannaturali: oscurità del cielo, terremoti, voci imponenti che si fecero ascoltare, sconvolgimento negli uomini che cadono faccia a terra. Le voci della sua morte si diffondono nella città, i discepoli si riuniscono alla porta della prigione e fanno lamenti. Tre sante donne vergini si recano a baciare il volto del morto e fuggono per paura del re.  – Non si tratta questa volta di una crocifissione, benché il termine sia citato: “crocifissione” o dârgirdêh. Ma bisogna ben comprendere il senso di questo termine presso gli gnostici. La croce, per gli gnostici, è lo “stauros”, il limite che occorre superare per abbandonare il proprio corpo di polvere per risalire al pleroma, o il gran tutto divino.  – Il primo successore di Mani, è Mar Sîsîn che i greci hanno chiamato sisinnios. Altre omelie ci raccontano la sua consacrazione da Mani imprigionato, il suo martirio, la sua “crocifissione”. Anch’egli è chiamato “il Bouddha”, l’illuminato, ed il suo nome fu collegato a quello degli altri primi discepoli di Mani, nella celebrazione del Bêma, che è l’anniversario della sua morte: questi sono Thomas (probabilmente l’autore del Vangelo gnostico, detto di Tommaso), Addas o Addo, in latino Adimante ed Hermas. Secondo Faustus di Milène, “dopo il beato padre Manicheo, Adimante è il solo al quale ci si deve attaccare, ed è Sant’Agostino che segnala un’opera di quest’ultimo contro il quale compone un trattato. Ricordiamo che tutti i successori di Mani si sono nominati “Buddha”, cioè l’“illuminato”. – Questo lungo sviluppo sulla vita di Mani, il Buddha, è destinato a far apparire nella recita del Buddha, come lo conosciamo oggi, tutte le vestigia considerevoli, le riprese quasi testuali dei testi manichei o cristiani ai quali si aggiungono, nel corso dei secoli, leggende numerose per sfigurare la primaria sorgente. Tentiamo di ristabilire l’essenziale. – Il Buddha si chiama pure “Çakia-mouni”. Il monaco della casta di Çakia, dunque degli Sciti, il maestro venuto dall’Occidente per insegnare ai popoli del’India. Egli esce dalla linea reale, come Mani che si proclama “figlio del re”; egli è concepito dalla madre Mâyâ Dêvî: la moglie del re Couddhoudana, che ha appreso in sogno che concepirà il suo figlio senza il concorso del suo sposo. Egli è dunque figlio di una vergine. Sua madre partorisce appoggiata su un’acacia (pianta introdotta nella saga e nelle favole massoniche) i cui rami si abbassano per ricoprirlo, episodio che si ritrova nei vangeli apocrifi. Egli esce dall’anca destra di sua madre “bello, brillante, puro come una gemma (Mani) posto su una fine stoffa di Benares”. Alla sua nascita, una stella sorge ad ovest. Tutti questi fatti sono ricopiati dal vangelo dell’infanzia e dal vangelo di Giacomo che sono di origine gnostica. Notiamo che il titolo di Mani è applicato più volte nelle invocazioni che gli vengono indirizzate dai monaci buddhisti. – Un vegliardo rinomato per la sua saggezza, il ricco Asita, viene, come Simeone, a salutare il bambino e predice il suo elevato destino versando lacrime perché non vivrà lungamente per esserne testimone. Buddha riceve le rivelazione della sua missione sotto il famoso “ficus religiosa”, la ficaia che riveste un ruolo sì importante nei Vangeli. Poi Buddha digiuna per quarantanove giorni. Egli subisce la tentazione di Mâra, il maligno, che gli propone l’impero del mondo, poi lo invita ad entrare nel Nirvana. Il Buddha resiste e mette in fuga le legioni del principe delle tenebre. Subisce una trasfigurazione in cui il suo corpo risplende di luce. Molte sue recite sono incontestabilmente ricopiate dai Vangeli, ad esempio quella del figliuol prodigo, il cieco-nato, la donna di casta inferiore incontrata alla fontana. Poi egli fa un’entrata trionfale nella città natale, Kapilavastou, della quale predice la prossima distruzione. I suoi discepoli si radunano insieme a lui. Un traditore, Devadatta, si infiltra nel suo gruppo. Al momento della sua morte il sole si oscura, una meteora cade, scoppia un fulmine, il sole trema ed un vento di terrore passa sulla terra.  – Ecco una recita che “pone problemi”, come suol dirsi: come attribuire le scene più importanti della vita di Buddha ad un personaggio che sarebbe vissuto diversi secoli prima dell’era cristiana? La cosa è talmente inverosimile che sembra proprio impossibile ed assurda. Ricordiamo ancora che tale ipotesi è costruita sul vuoto e non poggia su alcuna prova. Ma un esame più attento selle rovine insabbiate dell’Asia centrale ci fa assistere alla lenta trasformazione delle comunità manichee in monasteri buddhisti.

[Continua]