QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

Introitus Is LXVI:10 et 11.

Lætáre, Jerúsalem: et convéntum fácite, omnes qui dilígitis eam: gaudéte cum lætítia, qui in tristítia fuístis: ut exsultétis, et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestræ. [Allietati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa: rallegràtevi voi che foste tristi: ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni.]

Ps CXXI:1.

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo nella casa del Signore].

Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. – Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen Lætáre, Jerúsalem: et convéntum fácite, omnes qui dilígitis eam: gaudéte cum lætítia, qui in tristítia fuístis: ut exsultétis, et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestræ. [Alliétati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa: rallegràtevi voi che foste tristi: ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni].

Orémus. Concéde, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui ex merito nostræ actiónis afflígimur, tuæ grátiæ consolatióne respirémus. [Concédici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che mentre siamo giustamente afflitti per le nostre colpe, respiriamo per il conforto della tua grazia].

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.

Gal IV:22-31. “Fratres: Scriptum est: Quóniam Abraham duos fílios habuit: unum de ancílla, et unum de líbera. Sed qui de ancílla, secúndum carnem natus est: qui autem de líbera, per repromissiónem: quæ sunt per allegóriam dicta. Hæc enim sunt duo testaménta. Unum quidem in monte Sina, in servitútem génerans: quæ est Agar: Sina enim mons est in Arábia, qui conjúnctus est ei, quæ nunc est Jerúsalem, et servit cum fíliis suis. Illa autem, quæ sursum est Jerúsalem, líbera est, quæ est mater nostra. Scriptum est enim: Lætáre, stérilis, quæ non paris: erúmpe, et clama, quæ non párturis: quia multi fílii desértæ, magis quam ejus, quæ habet virum. Nos autem, fratres, secúndum Isaac promissiónis fílii sumus. Sed quómodo tunc is, qui secúndum carnem natus fúerat, persequebátur eum, qui secúndum spíritum: ita et nunc. Sed quid dicit Scriptura? Ejice ancillam et fílium ejus: non enim heres erit fílius ancíllæ cum fílio líberæ. Itaque, fratres, non sumus ancíllæ fílii, sed líberæ: qua libertáte Christus nos liberávit”. [Fratelli: Sta scritto che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla líbera. Ma quello della schiava nacque secondo la carne, mentre quello della líbera in virtú della promessa. Cose queste che sono state dette per allegoria. Poiché questi sono i due testamenti. Uno dal monte Sínai, che génera schiavi: esso è Agar: il Sínai infatti è un monte dell’Arabia, che corrisponde alla Gerusalemme presente, la quale è serva insieme coi suoi figli. Ma quella Gerusalemme che è lassú, è líbera, ed è la nostra madre. Poiché sta scritto: Rallégrati, o sterile che non partorisci: prorompi in lodi e grida, tu che non sei feconda, poiché molti piú sono i figli dell’abbandonata che di colei che ha marito. Noi perciò, o fratelli, come Isacco siamo figli della promessa. E come allora quegli che era nato secondo la carne perseguitava colui che era secondo lo spírito, cosí anche al presente. Ma che dice la Scrittura? Metti fuori la schiava e suo figlio: poiché il figlio della schiava non sarà erede col figlio della líbera. Per la qual cosa, o fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della líbera: e di quella libertà a cui Cristo ci ha affrancati.]

R. Deo gratias.

Graduale Ps CXXI: 1, 7

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo nella casa del Signore].

Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. [V. Regni la pace nelle tue fortezze e la sicurezza nelle tue torri.]

Tractus Ps. CXXIV:1-2

Qui confídunt in Dómino, sicut mons Sion: non commovébitur in ætérnum, qui hábitat in Jerúsalem. [Quelli che confídano nel Signore sono come il monte Sion: non vacillerà in eterno chi àbita in Gerusalemme.]

Montes in circúitu ejus: et Dóminus in circúitu pópuli sui, ex hoc nunc et usque in sæculum. [V. Attorno ad essa stanno i monti: il Signore sta attorno al suo popolo: ora e nei secoli.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Gloria tibi, Domine!

Joann VI:1-15

“In illo témpore: Abiit Jesus trans mare Galilaeæ, quod est Tiberíadis: et sequebátur eum multitúdo magna, quia vidébant signa, quæ faciébat super his, qui infirmabántur. Súbiit ergo in montem Jesus: et ibi sedébat cum discípulis suis. Erat autem próximum Pascha, dies festus Judæórum. Cum sublevásset ergo óculos Jesus et vidísset, quia multitúdo máxima venit ad eum, dixit ad Philíppum: Unde emémus panes, ut mandúcent hi? Hoc autem dicebat tentans eum: ipse enim sciébat, quid esset factúrus. Respóndit ei Philíppus: Ducentórum denariórum panes non suffíciunt eis, ut unusquísque módicum quid accípiat. Dicit ei unus ex discípulis ejus, Andréas, frater Simónis Petri: Est puer unus hic, qui habet quinque panes hordeáceos et duos pisces: sed hæc quid sunt inter tantos? Dixit ergo Jesus: Fácite hómines discúmbere. Erat autem fænum multum in loco. Discubuérunt ergo viri, número quasi quinque mília. Accépit ergo Jesus panes, et cum grátias egísset, distríbuit discumbéntibus: simíliter et ex píscibus, quantum volébant. Ut autem impléti sunt, dixit discípulis suis: Collígite quæ superavérunt fragménta, ne péreant. Collegérunt ergo, et implevérunt duódecim cóphinos fragmentórum ex quinque pánibus hordeáceis, quæ superfuérunt his, qui manducáverant. Illi ergo hómines cum vidíssent, quod Jesus fécerat signum, dicébant: Quia hic est vere Prophéta, qui ventúrus est in mundum. Jesus ergo cum cognovísset, quia ventúri essent, ut ráperent eum et fácerent eum regem, fugit íterum in montem ipse solus.” [In quel tempo: Gesú se ne andò di là del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una gran folla, perché vedeva i miràcoli da lui fatti a favore dei malati. Gesú salí quindi sopra un monte: ove si pose a sedere con i suoi discépoli. Ed era vicina la Pasqua, festa dei Giudei. Alzando gli occhi, Gesú vide che una gran folla veniva da lui, e disse a Filippo: Dove compreremo pane per cibare questa gente? E lo diceva per métterlo alla prova, perché egli sapeva cosa stava per fare. Filippo gli rispose: Duecento danari di pane non bàstano per costoro, anche a darne un píccolo pezzo a ciascuno. Gli disse uno dei suoi discépoli, Andrea fratello di Simone Pietro: C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci: ma che è questo per tanta gente? Ma Gesú disse: Fate che costoro si méttano a sedere. Vi era molta erba sul posto. E quegli uòmini si mísero a sedere, ed erano quasi cinquemila. Gesú prese dunque i pani, rese grazie, e li distribuí a coloro che sedevano: e cosí fece per i pesci, finché ne vòllero. Saziati che fúrono, disse ai suoi discépoli: Raccogliete gli avanzi, onde non vàdano a male. Li raccòlsero ed empírono dòdici canestri di frammenti dei cinque pani di orzo, che érano avanzati a coloro che avévano mangiato. E questi, quindi, veduto il miràcolo fatto da Gesú, díssero: Questi è veramente quel profeta che doveva venire al mondo. Ma Gesú, sapendo che sarébbero venuti a prénderlo per forza, per farlo re, fuggí di nuovo da solo sul monte.]

Laus tibi, Christe! – S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

OMELIA

Omelia della DOMENICA IV DI QUARESIMA

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. GIOV. VI,1-15)

– Parola di Dio. –

La parola di Dio, chiamata dal savio onnipotente, operò cose grandi tanto nell’ordine di natura, quanto in quel della grazia. Nell’ordine di natura chiamò dal sen del nulla e sole e luna e stelle e mare e terra, e quanto vi ha di creature nell’universo, “Ipse dixit, et facta sunt(Ps. XLVIII). Nell’ordine della grazia sparsa per mezzo di poveri pescatori, convertì e riformò tutto il prevaricato mondo. La stessa divina parola attirò sempre le turbe a seguitar Gesù Cristo, e nel Vangelo odierno in numero di quasi cinquemila lo seguono in solitario deserto, dimentiche di ogni cibo, e di ogni ristoro; onde meritarono d’essere saziate dal pietosissimo Salvatore colla celebre prodigiosa moltiplicazione di pochi pani. Ora perché la medesima parola in una gran parte dei fedeli non produce gli stessi effetti? Perché non crea in noi un nuovo cuore, perché non riforma il nostro costume, perché non ci spinge a seguitar Gesù Cristo, ad imitarne suoi esempi e ad osservare i suoi precetti? Ecco, s’io ben m’avviso, il perché. Credesi da taluni che l’udir la partita di Dio sia cosa di supererogazione, così che l’ascoltarla sia bene, e non sia male il non ascoltarla. Errore egli è questo, dannevole errore. La parola di Dio o udita, o letta, o meditata è di assoluta indispensabile necessità. – Di questa necessità io spero convincervi, se mi degnate della solita cortese vostra attenzione. – Non si può meglio approvare la necessità della divina parola, che dall’oracolo dell’incarnata sapienza Cristo Gesù. L’uomo, dice Egli, non vive di solo pane, ma vive di quelle parole che escono dalla bocca di Dio. “Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod precedit de ore Dei” (Matth. IV, 4), e vuol dire: l’uomo è composto d’anima e di corpo; acciò egli viva della vita naturale e sensitiva, gli è necessario il pane, o qualunque altro cibo, che va inteso sotto di questo nome: e affinché viva della vita dell’anima, è necessario si pasca di un cibo confacente all’anima, ch’è puro spirito, di cibo cioè spirituale, qual è precisamente la parola di Dio. Da ciò ne segue che, siccome mancando al corpo il materiale alimento, perde le forze, e vien meno, così mancando all’anima l’alimento spirituale della divina parola, conviene che perda forza, vigore e la vita di grazia.Ma noi, potete qui interrompermi e dire, noi frequentiamo la divina parola, noi accorriamo alle prediche, ai catechismi, alla spiegazione del Vangelo, e pure ci troviamo sempre deboli, incostanti nel bene, facili al male, vuoti di virtù, pieni di difetti e di peccati. Onde viene, che da questo cibo dell’anima, l’anima non ne riporti alcun giovamento?” Potrebbe darsi, che ne fosse la causa quella che passo ad indicarvi. Altro è vedere una mensa imbandita di squisite vivande, altro è pascersene e ristorarsene. Se venite alla spiegazione del santo Vangelo, se vi conducete alla predica per mera curiosità, per semplice intrattenimento, se udite con gusto il sacro oratore sol quando vi diletta con bei concetti, con sublimi pensieri, con i tratti di fina eloquenza, voi in tal caso cogli occhi della mente vedete il cibo bensì, ma non lo tramandate allo stomaco, pascete l’intelletto, ma il cuore resta digiuno. E che giova portare il pane sul capo, e non servirsene per nutrimento? Rammentatevi il panettiere di Faraone. Sì sognò costui, e destato cercava un interprete che gli spiegasse il suo sogno. Lo aveva seco nella medesima carcere, cioè il giovanetto Giuseppe. Ad esso dunque rivolto, “mi pareva, gli disse, di portar sul capo tre canestri ripieni di lavori di finissimo pane per fornirne la mensa reale. Mentre m’incammino alla reggia, ecco una torma di rapaci avvoltoi, che via mi porta il lavorato pane, e vuoti mi lascia i canestri”. “Infelice, rispose Giuseppe, ti sei sognata la tua morte. Dopo tre giorni sarai decapitato, e il tuo corpo sospeso ad un legno sarà pasto dei corvi e degli sparvieri”. Chiunque ascolta la parola di Dio, per genio di curiosità, o per prurito di critica, chiunque la legge per passatempo, o per pura applicazione di studio, costui porta il pane sulla testa, come il servo del Faraone, sopravvengono poi distrazioni, affari, pensieri, che come avvoltoi si portano via la memoria dell’udita o letta divina parola. Passa la cosa come un sogno fuggiasco, ma è indizio di morte. Sarà dunque per noi inutile il mistico pane della divina parola, se giusta la frase del magno Gregorio “cibus mentis est sermo Dei: et quasi acceptus cibus stomacho languente reiicitur, quando auditus sermo, in ventre memoriæ non tenetur” (Hom. 15 in Evang.), non si manda allo stomaco se non si ritiene nel cuore e nella memoria, acciò sia di conforto e di alimento allo spirito.Parliamo fuor di figura, uditori miei. La divina parola, perché sia vantaggiosa, dev’essere applicata a noi stessi ed ai nostri spirituali bisogni. Iddio ci fa sentire per mezzo dei suoi ministri, che il peccato sarà la nostra rovina temporale ed eterna; bisogna lasciarlo; che una vita da buon cristiano ci assicurerà il premio di vita eterna: bisogna abbracciarla; che quell’amicizia strascina all’inferno: bisogna troncarla; che l’odio a quel nemico ci fa nemici di Dio, bisogna deporlo; che colla roba di altri non si entra in cielo: bisogna restituirla. E così andate dicendo di tutti gli altri doveri da osservarsi, consigli da seguirsi, mezzi da praticarsi per la nostra salvezza che Dio ci propone per mezzo della sua parola. – Conferma lo Spirito-Santo la necessità di questa parola. “La celeste Sapienza, dice Egli, pascerà l’uomo giusto col pane della vita e dell’intelletto”, “cibabit illum panæ vitæ, et intellectus(Eccl.). Che la parola di Dio si chiami pane di vita, è facilmente intesa l’allegoria, come abbiamo veduto dal bel principio. Ma come si spiega, ch’ella anche sia pane d’intelletto?Seguite ad ascoltarmi. La nostra volontà, insegnano i Teologi, per naturale necessaria prudenza è portata a cercare in tutte le cose il proprio bene, la propria felicità. Ma dessa è cieca. Chi le presta gli occhi, chi le serve di guida? L’intelletto … Se questo è illuminato dalle verità della fede, dalla luce dell’Evangelio, guida la volontà nella via retta, nella strada della salute; se è abbagliato da un falso lume, tira la cieca volontà nel proprio inganno; ond’ella a guisa di fanciullo stringe un ferro arroventato, perché lo vede lucente. Egli è dunque della massima ed estrema importanza, che l’intelletto sia fornito di quei lumi, che discendono dal Padre dei lumi, che non soggiacciono ad errore , che si contengono nella divina parola. – Volete vedere la differenza che passa tra un intelletto illuminato dalle verità della divina parola, ed un altro cui manca la luce delle medesime verità? Uditemi, e vie più ne comprenderete la necessità.Dalla parola di Dio ha origine la fede, “Fides ex auditu, auditus autem per verbum Christi” (Ad. Rom. X, 17). Un intelletto illuminato dalla fede per mezzo di questa parola va talora pensando, e pensar deve così: “io son posto da Dio su questa terra. Ed a che fine? Il mio fine non può essere cosa terrena. Me lo dice l’esperienza, poiché niun bene terreno può contentar il mio cuore. Me lo dice la morte, che fra non molto mi spoglierà di tutto. Col taglio suo fatale manderà il corpo alla tomba, l’anima all’eternità. Il primo passo è ad un tribunale tremendo, ove si deve decidere della mia eterna sorte. Chi mi potrà far buona causa a quel tribunale? Non l’oro, non il grado, non le scienze, non il mondo tutto: solo l’opere buone colà mi seguiranno: solo il peccato verrà meco, e solo il peccato può farmi avere il mal incontro. Il peccato dunque è quel nemico che debbo unicamente temere. Ma questo nemico con quali armi potrò vincerlo, e tenerlo da me lontano?” Coll’armatura di Dio, mi dice l’Apostolo (Ad Eph. VI), collo scudo della fede, colla spada della divina parola, coll’usbergo della giustizia, con l’esercizio delle cristiane virtù. – Ecco come pensa l’uomo cristiano illuminato, e pasciuto del pane di vita e d’intelletto. – Per l’opposto un intelletto digiuno di questo cibo, privo di questa luce, oscurato dalle tenebre, come dice S. Paolo, non distingue il falso dal vero, chiama bene il male, e male il bene, e a guisa di un fanciullo corre dietro ad una lucciola, perché la vede risplendere. Qual meraviglia se un cieco inciampa, se urta in un muro, se cade in una fossa? Giuseppe, perché à sana la vista dell’intendimento, teme Iddio, ha in orrore il delitto, e fugge dall’ impudica padrona. Sansone, perché ha la benda agli occhi, cade nelle reti di Dalida traditrice. Zaccheo, perché illuminato da Gesù Cristo, restituisce il quadruplo del mal tolto. Giuda, perché accecato dall’avarizia, vende per pochi denari il suo divino Maestro. Tutto dipende dal lume dell’intelletto. Senza di questo, dice Davide, l’ uomo è simile ai più stolidi giumenti, “sicut equus et mulus, quibus non est intellectus(Ps. XXXI, 9). E per ciò convinto lo stesso, e persuaso della necessità di questa luce suprema, “Signore, dice, voglio che la vostra parola, come un’accesa lucerna vada innanzi a’ piedi, e sia di fida scorta a’ passi miei, “lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis(Ps. CXVIII, 103). – E nel Salmo centesimo decimo ottavo ripete più volte, datemi il dono dell’intelletto, o mio Dio, se volete che osservi i vostri precetti, se volete che io viva della vita della vostra grazia: “Da mihi intellectum, et discam mandata tua. Intellectum da mihi, et vivam”. – “Ma che vuol dire, voi ripigliate, che al sentire, o leggere la parola di Dio, restiamo benissimo penetrati da quelle luminose Verità; ma poco dopo svanisce il lume, e ci lasciamo abbagliare dal falso splendore, delle umane apparenze?” Vi risponde S. Giovanni Grisostomo, che su quelle parole del re Salmista, “lucerna pedibus meis verbum tuum”, riflette così: “In due modi si estingue una lucerna,o per mancanza di olio, o perché si tiene esposta al vento di rincontro a porte e finestre: “Spiritus æque ac lucerna extinguitur, si aut olei parum habueris, vel ostium non occluseris (Ap. Corn. In I ad Thessal., cap. 5, n. 52).Non altrimenti nella lettura di libri divoti, in ascoltar prediche vi sentite accesi in ispirito di fervore, una luce rischiara la vostra mente, una fiamma accende il vostro cuore. Ma se a questa fiamma lasciate mancar l’alimento, se non seguite a nutrirla con assidue letture, con meditazioni frequenti, con frequenza alle prediche, alle spiegazioni, verrà meno la fiamma, sparirà la luce, resterete all’oscuro. Se poi con tutto lo studio, l’applicazione, e l’assiduità alla parola di Dio, lascerete aperte le finestre dei vostri sensi a tutto vedere, a tutto udire, e di tutto parlare, si estinguerà in voi la fiamma e la luce, camminerete in mezzo alle tenebre, e non potrete aspettarvi se non cadute e precipizi. – Udite su quest’ultimo, come in epilogo, le verità che vi venni esponendo. Udite la risposta, che Gesù Cristo diede ad una certa donna, che dal mezzo della turba alzò la voce esclamando: “Beato il ventre che vi portò, e il seno che vi diede nutrimento”, “anzi, le disse, beati coloro che ascoltano e custodiscono la divina parola”, “Beati qui audiunt verbum Dei, et custodiunt illud(Luc. XI, 28). Tre brevi riflessioni su queste parole dell’incarnata Sapienza. Beati, non quei che hanno ascoltata, o che ascolteranno, ma quei che ascoltano; quei cioè, che per una continua frequenza di leggere, di meditare, di udire la divina parola, sono come in attuale esercizio di ascoltarla: “Beati qui audiunt”. Beati in secondo luogo quei che l’ascoltano non come parola dell’uomo, vale a dire che non riguardano il sublime o l’infimo del canale, da cui deriva, ma unicamente come parola di Dio: “Beati qui audiunt verbum Dei”. Beati finalmente quei che la custodiscono, che se ne pascono come d’ un pane, vivifico, e la tramandano al cuore, e la convertono in propria sostanza. Ella è una fiamma lucente, beati quelli che porgono costante alimento, e con gelosa custodia la conservano, nella mente e nel cuore: “Beati qui custodiunt illud”. Praticate voi così, uditori miei cari, e sarete beati nel tempo e nell’eternità, come io vi desidero.

CREDO

 Offertorium

V. Dóminus vobíscum. – R. Et cum spíritu tuo.

Orémus Ps CXXXIV:3, 6

Laudáte Dóminum, quia benígnus est: psállite nómini ejus, quóniam suávis est: ómnia, quæcúmque vóluit, fecit in coelo et in terra. [Lodate il Signore perché è buono: inneggiate al suo nome perché è soave: Egli ha fatto tutto ciò che ha voluto, in cielo e in terra.]

 Secreta

Sacrifíciis præséntibus, Dómine, quaesumus, inténde placátus: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti. [Ti preghiamo, o Signore, volgi placato il tuo sguardo alle presenti offerte, affinché giòvino alla nostra pietà e alla nostra salvezza.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.

Communio Ps CXXI:3-4

Jerúsalem, quæ ædificátur ut cívitas, cujus participátio ejus in idípsum: illuc enim ascendérunt tribus, tribus Dómini, ad confiténdum nómini tuo. Dómine. [Gerusalemme è edificata come città interamente compatta: qui sàlgono le tribú, le tribú del Signore, a lodare il tuo nome, o Signore.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. – R. Et cum spíritu tuo.

Orémus. Da nobis, quaesumus, miséricors Deus: ut sancta tua, quibus incessánter explémur, sincéris tractémus obséquiis, et fidéli semper mente sumámus. [Concédici, Te ne preghiamo, o Dio misericordioso, che i tuoi santi misteri, di cui siamo incessantemente nutriti, li trattiamo con profondo rispetto e li riceviamo sempre con cuore fedele.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. – R. Amen.

 

25 MARZO: ANNUNCIAZIONE DELLA VERGINE SANTISSIMA

Gloria di questo giorno.

È grande questo giorno negli annali dell’umanità ed anche davanti a Dio, essendo l’anniversario del più solenne avvenimento di tutti i tempi. Il Verbo divino, per il quale il Padre creò il mondo, s’è fatto carne nel seno d’una Vergine ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv. 1, 14). Adoriamo le grandezze del Figlio di Dio che si umilia, rendiamo grazie al Padre che ha amato il mondo sino a dargli il suo Figlio Unigenito (Ibid. III, 16), ed allo Spirito Santo che con la sua onnipotente virtù opera un sì profondo mistero. Ecco che sin da questo tempo di penitenza noi preludiamo alle gioie del Natale; ancora nove mesi, e l’Emmanuele oggi concepito nascerà in Betlemme, ed i cori angelici c’inviteranno a salutare questo nuovo mistero.

La promessa del Redentore.

Nella settimana di Settuagesima meditammo la caduta dei nostri progenitori e udimmo la voce di Dio tuonare la triplice sentenza, contro il serpente, la donna e l’uomo. Però, una speranza fece luce nella nostra anima e, nel mezzo degli anatemi, una divina promessa brillò come un faro di salvezza: il Signore sdegnato disse all’infernal serpente che un giorno la sua superba testa sarebbe schiacciata, e che sarebbe stato il piede d’una donna a colpirlo terribilmente.

Il suo adempimento.

Ed ecco giunto il momento in cui il Signore realizzerà l’antica promessa. Per millenni il mondo aveva atteso; e nonostante le fitte tenebre e le iniquità, tale speranza non svanì. Col succedersi dei secoli, la misericordia divina moltiplicò i miracoli, le profezie, le figure, per rinnovare il patto che si degnò stringere con l’umanità. – Si vide scorrere il sangue del Messia da Adamo a Noè, da Sem ad Abramo, Isacco e Giacobbe, da David e Salomone a Gioacchino; ed ora, nelle vene della figlia di Gioacchino, Maria. Maria è la donna per la quale sarà tolta la maledizione che pesava sulla nostra stirpe. Il Signore, facendola immacolata, decretò un’inconciliabile inimicizia fra lei e il serpente; ed è proprio oggi, che questa figlia di Eva riparerà la caduta della madre sua, rialzerà il suo sesso dall’abbassamento in cui era piombato, e coopererà direttamente ed efficacemente alla vittoria che il Figlio di Dio in persona riporterà sul nemico della sua gloria e del genere umano.

L’Annunciazione.

La tradizione ha segnalato alla santa Chiesa la data del 25 Marzo, come il giorno che vide il compimento di questo mistero (Sant’Agostino, La Trinità, 1. 4, c. 5). Maria se ne stava sola nel raccoglimento della preghiera, quando vide apparirle l’Arcangelo disceso dal cielo per chiederne il consenso nel nome della SS. Trinità. Ascoltiamo il dialogo fra l’Angelo e la Vergine, e nello stesso tempo riportiamoci col pensiero ai primordi del mondo. Un Vescovo martire del II secolo, S. Ireneo, eco fedele dell’insegnamento degli Apostoli, ci fa paragonare questa grande scena a quella che avvenne nel paradiso terrestre (Contro le eresie, 1. 5, c. 19).

Nel Paradiso terrestre.

Nel giardino di delizie si trova una vergine alla presenza d’un angelo, col quale ella discorre. Pure a Nazaret una vergine è interpellata da un angelo, col quale pure ritesse un dialogo; ma l’angelo del paradiso terrestre è uno spirito tenebroso, mentre quello di Nazaret è uno spirito di luce. Nei due incontri è sempre l’angelo a iniziare il discorso. « Perché, dice lo spirito maledetto alla prima donna, perché Dio vi ha comandato di non mangiare del frutto di tutte le piante del paradiso? » Vedi come già si nota, nell’impazienza di questa domanda, la provocazione al male, il disprezzo, l’odio verso la debole creatura nella quale Satana perseguita l’immagine di Dio!

A Nazaret.

Guardate invece l’angelo di luce, con quale dolcezza e con quale pace s’avvicina alla novella Eva! con quale rispetto riverisce questa umana creatura! « Ave, o piena di grazia! Il Signore è con te, tu sei benedetta fra tutte le donne ». Chi non sente nell’accento celeste di tali parole respirare pace e dignità! Ma continuiamo a seguire l’accostamento.

Eva.

La donna dell’Eden, imprudente, ascolta la voce del seduttore ed è sollecita nel rispondergli. La curiosità la spinge a prolungare la conversazione con lui, che l’istiga a scrutare i segreti di Dio, senza affatto diffidare del serpente che le parla; fra poco, però, si vergognerà al cospetto di Dio.

Maria.

Maria ascolta le parole di Gabriele; ma questa Vergine, prudentissima, come l’elogia la Chiesa, rimane silenziosa, chiedendo a se stessa donde possano provenire le lodi di cui è fatta oggetto. La più pura, la più umile delle vergini teme le lusinghe; e il celeste messaggero non sentirà da Lei una parola, che non riguardi la sua missione durante il colloquio. « Non temere, o Maria, egli risponde alla novella Eva, perché hai trovato grazia presso Dio; ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di David suo padre; e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe; e il suo regno non avrà mai fine ». – Quali magnifiche promesse venute dal cielo da parte di Dio! quale oggetto più degno d’una nobile ambizione d’una figlia di Giuda, che sa di quale gloria sarà circondata la madre del Messia! Però Maria non è per niente tentata da sì grande onore. Ella ha per sempre consacrata la sua verginità al Signore, per essere più strettamente unita a Lui nell’amore; la più gloriosa mèta ch’Ella potrebbe raggiungere violando questo sacro voto, non riesce a smuovere la sua anima: « Come avverrà questo, Ella risponde all’Angelo, se io non conosco uomo ? ».

Eva.

La prima Eva non mostra uguale calma e disinteressamento. Non appena l’angelo perverso la rassicura che può benissimo violare, senza timore di morire, il precetto del divino benefattore, e che il premio della disobbedienza consisterà nell’entrare a far parte, con la scienza, alla stessa divinità, ecco che ne rimane soggiogata. – L’amore di se stessa le ha fatto in un istante dimenticare il dovere e la riconoscenza; e sarà felice di liberarsi al più presto dal duplice vincolo che le pesa.

Maria.

Così si mostra la donna che ci mandò alla rovina. Ma quanto differente ci appare l’altra che ci doveva salvare! La prima, crudele verso la posterità, si preoccupa unicamente di se stessa; la seconda, dimentica se stessa, riflettendo ai diritti che Dio ha su di lei. Rapito l’Angelo da tale fedeltà, finisce di svelare il disegno divino: «Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio. – Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia, ed è già nel sesto mese, lei ch’era detta sterile; ché niente è impossibile presso Dio ». A questo punto l’Angelo ha terminato il suo discorso ed attende in silenzio la decisione della Vergine di Nazaret.

La disobbedienza di Eva.

Portiamo ora lo sguardo sulla vergine dell’Eden. Appena Io spirito infernale ha finito di parlare, essa guarda con concupiscenza il frutto proibito, perché aspira all’indipendenza cui la metterà in possesso quel frutto sì piacevole. Con mano disobbediente s’avvicina a coglierlo; lo prende e lo porta avidamente alla bocca; e nel medesimo istante la morte s’impossessa di lei: morte dell’anima, per il peccato che estingue il lume della vita; morte del corpo che, separato dal principio dell’immortalità, diventa così oggetto di vergogna e di confusione, sino a che si dissolverà in polvere.

L’obbedienza di Maria.

Ma distogliamo lo sguardo dal triste spettacolo, e ritorniamo a Nazaret. Maria, nelle ultime parole dell’Angelo, vede manifesto il volere divino. Infatti la rassicura che, mentre le è riservata la gioia di essere la Madre di un Dio, serberà la sua verginità. Allora Maria s’inchina in una perfetta obbedienza, ed al celeste inviato risponde: « Ecco l’ancella del Signore : si faccia di me secondo la tua parola ». Così, l’obbedienza della seconda donna ripara la disobbedienza della prima, avendo la Vergine di Nazaret detto nient’altro che questo: avvenga dunque, FIAT che il Figlio eterno di Dio, che secondo il decreto divino aspettava la mia parola, si faccia presente, per opera dello Spirito Santo, nel mio seno, e cominci la sua vita umana. Una Vergine diventa Madre, e Madre d’un Dio; ed è l’abbandono di questa Vergine alla somma volontà che la rende feconda, per la virtù dello Spirito Santo. Mistero sublime che stabilisce relazioni di figlio e di madre tra il Verbo eterno ed una creatura, e mette in possesso dell’Onnipotente uno strumento degno di assicurargli il trionfo contro lo spirito maligno, che con la sua audacia e perfidia sembrava aver prevalso fino allora contro il piano divino!

La sconfitta di satana.

Non vi fu mai sconfitta più umiliante e completa di quella di Satana in questo giorno. Il piede della donna, che gli offrì una sì facile vittoria, grava con tutto il suo peso sulla superba testa che gli schiaccia. Ed Eva in questa figlia si risolleva a schiacciare il serpente. – Dio non ha preferito l’uomo per tale vendetta, perché in tal caso l’umiliazione di Satana non sarebbe stata così profonda; contro un tal nemico il Signore dirige la prima preda dell’inferno, la vittima più debole e più indifesa. – In premio di sì glorioso trionfo, una donna d’ora innanzi regnerà, non solo sugli angeli ribelli, ma su tutto il genere umano, anzi su tutti i cori degli Spiriti celesti. Dall’eccelso suo trono. Maria Madre di Dio domina sopra l’intera creazione; negli abissi infernali, invano Satana ruggirà nella sua eterna disperazione, pensando al danno che si fece nell’attaccare per primo un essere fragile e credulo, che Dio ha bellamente vendicato; e nelle altissime sfere, i Cherubini e i Serafini alzeranno lo sguardo a Maria, in attesa d’un sorriso e per gloriarsi d’eseguire i minimi desideri della Madre di Dio e degli uomini.

La salvezza dell’umanità.

Pertanto, strappati al morso del maledetto serpente per l’obbedienza di Maria, noi figli di questa umanità salutiamo oggi l’aurora della nostra liberazione; e, usando le stesse parole del cantico di Debora, tipo di Maria vincitrice, che canta il proprio trionfo sui nemici del popolo santo, diciamo: «Vennero meno i forti d’Israele e stettero inermi, finché non sorse Debora, finché non sorse una madre in Israele. Il Signore ha inaugurato nuove guerre ed ha rovesciato le porte dei nemici » (Giud. V, 7-8). Prestiamo l’orecchio ad ascoltare nei passati secoli, la voce d’un’altra vittoriosa donna, Giuditta, che canta a sua volta: « Lodate il Signore Dio nostro, il quale non ha abbandonato coloro che hanno sperato in Lui, e per mezzo di me sua serva ha compiuta la sua misericordia, da lui promessa alla casa di Israele, e in questa notte con la mia mano ha ucciso il nemico del suo popolo. E il Signore onnipotente che l’ha colpito dandolo in mano d’una donna che l’ha trafitto » (Giud. XIII, 17-18; 16,7). .

Azione di grazie.

Con queste ultime parole, o Maria, fu decretata la nostra sorte. Voi accondiscendete al desiderio del Cielo: ed ecco che il vostro assenso garantisce la nostra salvezza. O Vergine! O Madre! O benedetta fra le donne, accogliete, insieme agli omaggi degli Angeli, le azioni di grazie, di tutto il genere umano. Per mezzo vostro siamo salvi dalla rovina, in voi è redenta la nostra natura, perché siete il trofeo della vittoria dell’uomo sul suo nemico. – Rallegrati, o Adamo, nostro padre, ma sopra tutto trionfa tu, o Eva, madre nostra! voi che, genitori di tutti noi, foste anche per tutti noi autori di morte, omicidi della vostra progenie prima di diventarne padri. – Ora consolatevi di questa nobile figlia che vi è stata data; tu specialmente, o Eva! Cessa i tuoi lamenti: da te, all’inizio, uscì il male, e da te, d’allora sino ad oggi, fu contagiato tutto il tuo sesso; ma ecco giunto il momento che l’obbrobrio scomparirà e l’uomo non avrà più ragione di piangere a causa della donna. Un giorno, cercando di giustificare la propria colpa, l’uomo prontamente fece cadere su di lei un’accusa crudele: “La donna che mi desti per compagna mi ha dato il fruito ed io ne ho mangiato”. O Eva, va’ dunque a Maria; rifugiati nella tua figlia, o madre. La figlia risponderà per la madre, è lei che ne cancellerà la vergogna, lei che per la madre offrirà soddisfazione al padre; poiché, se per la donna l’uomo cadde, solo per la donna potrà rialzarsi. – Che dicevi allora, o Adamo? La donna che mi desti per compagna mi ha dato il frutto ed io ne ho mangiato. Malvagie parole, che accrescono il tuo peccato e non lo cancellano. Ma la Sapienza divina ha vinto la tua malizia, attingendo nel tesoro della sua inesauribile bontà il mezzo per procurarti il perdono che aveva cercato di meritarti nel darti l’occasione di rispondere convenientemente alla domanda che ti faceva. – Tu avrai una donna in cambio d’una donna: una donna prudente per una donna stolta, una donna umile per una donna superba, una donna che invece di un frutto di morte ti darà l’alimento di vita, che invece di un cibo avvelenato produrrà per te il frutto dell’eterne delizie. Cambia dunque in parole riconoscenti la tua ingiusta accusa, dicendo ora: Signore, la donna che m’hai data per compagna mi ha dato il frutto dell’albero della vita, ed io ne ho mangiato; è un frutto soave alla mia bocca, perché con esso m’avete ridata la vita (S, Bernardo, 2.a Omelia sul Missus est).

L’Angelus.

Non chiuderemo questa giornata senza ricordare e raccomandare la pia e salutare istituzione che la cristianità solennizza giornalmente in ogni paese cattolico, in onore del mistero dell’Incarnazione e della divina maternità di Maria. Tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, si ode la campana e i fedeli, all’invito di quel suono si uniscono all’Angelo Gabriele per salutare la Vergine Maria e glorificare il momento in cui lo stesso Figlio di Dio si compiacque assumere umana carne in Lei. Dall’Incarnazione del Verbo il nome suo è echeggiato nel mondo intero. Dall’Oriente all’Occidente è grande il nome del Signore; ma è pur grande il nome di Maria sua Madre. Da qui il bisogno del ringraziamento quotidiano per il mistero dell’Annunciazione, in cui agli uomini fu dato il Figlio di Dio. Troviamo traccia di questa pratica nel XIV secolo, quando Giovanni XXII apre il tesoro delle indulgenze a favore dei fedeli che reciteranno l’Ave Maria, la sera, al suono della campana che ricorda loro la Madre di Dio. Nel XV secolo S. Antonino c’informa nella sua Somma che il suono delle campane si faceva, allora, mattina e sera nella Toscana. Solo nel XVI secolo troviamo in un documento francese citato da Mabillon il suono delle campane a mezzogiorno, che si aggiunge a quello dell’aurora e del tramonto. Fu così che Leone X approvò tale devozione, nel 1513, per l’abbazia di Saint-Germain des Près, a Parigi. – D’allora in poi l’intera cristianità la tenne in onore con tutte le sue modifiche; i Papi moltiplicarono le indulgenze; dopo quelle di Giovanni XXII e di Leone X, nel XVIII secolo furono emanate quelle di Benedetto XIII; ed ebbe tale importanza la pratica, che a Roma, durante l’anno giubilare, in cui tutte le indulgenze eccetto quelle del pellegrinaggio a Roma, rimangono sospese, stabilì che le tre salutazioni che si suonano in onore di Maria, avrebbero dovuto continuare ad invitare i fedeli a glorificare insieme il Verbo fatto carne. – Quanto a Maria, lo Spirito Santo aveva già preannunciati i tre termini della pia pratica, esortandoci a celebrarla soave « come l’aurora » al suo sorgere, splendente « come il sole » nel suo meriggio e bella « come la luna » nel suo riflesso argenteo.

Preghiera all’Emmanuele.

O Emmanuele, Dio con noi, « voi voleste redimere l’uomo, e per questo veniste dal cielo ad incarnarvi nel seno d’una Vergine »; ebbene, oggi il genere umano saluta il vostro avvento. Verbo eterno del Padre, dunque a voi non bastò trarre l’uomo dal nulla con la vostra potenza; nella vostra inesauribile bontà voi volete anche raggiungerlo nell’abisso di degradazione in cui è piombato. A causa del peccato l’uomo era caduto al di sotto di se stesso; e voi, per farlo risalire ai divin’ destini per i quali l’avevate creato, veniste in persona a rivestire la sua sostanza per elevarlo fino a voi. – Nella vostra persona, oggi ed in eterno, Dio si fece uomo, e l’uomo divenne Dio. Per adempiere le promesse della Cantica, voi vi uniste all’umana natura, e celebraste le vostre nozze nel seno verginale della figlia di David. O annichilamento incomprensibile! O gloria inenarrabile! Il Figlio di Dio s’è annientato, e il figlio dell’uomo glorificato. A tal punto ci avete amato, o Verbo divino, ed il vostro amore ha trionfato della nostra miseria. – Lasciaste gli angeli ribelli nell’abisso scavato dalla loro superbia, e nella vostra pietà vi fermaste in mezzo a noi. E non con un solo sguardo misericordioso voi ci salvaste, ma venendo su questa terra di peccato a prendere la forma di schiavo (Fil. II, 7), e cominciando una vita di umiliazioni e di dolori. O Verbo incarnato, che venite per salvarci e non per giudicarci (Gv. XII, 47), noi vi adoriamo, vi ringraziamo, vi amiamo: fateci degni di tutto ciò che il vostro amore vi mosse a fare per noi.

A Maria.

Vi salutiamo, o Maria, piena di grazia, in questo giorno in cui vi allietate dell’onore che vi fu attribuito. L’incomparabile vostra purezza, attirò gli sguardi del sommo Creatore di tutte le cose, e la vostra umiltà lo fece venire nel vostro seno; la sua presenza accresce la santità della vostra anima e la purità del vostro corpo. Con quali delizie sentite il Figlio di Dio vivere della vostra vita e prendere dalla vostra sostanza il nuovo essere cui si unisce per nostro amore! Ecco, è già stretto fra voi e Lui il legame noto soltanto a Voi: è il vostro Creatore, e Voi ne siete la Madre; è il vostro Figlio, e voi siete una sua creatura. Davanti a Lui si piega ogni ginocchio, o Maria! Perché è Dio del cielo e della terra; ma pure ogni creatura s’inchina davanti a Voi, perché Lo portaste nel vostro seno e Lo allattaste; sola fra tutti gli esseri, Voi potete chiamarLo, come il Padre celeste : « Mio figlio! ». – O donna incomparabile, Voi siete lo sforzo supremo della potenza divina: accogliete dunque l’umile sottomissione del genere umano, che si gloria di Voi più che gli stessi Angeli, perché avete il suo stesso sangue e la medesima natura. – O novella Eva, figlia dell’antica, senza peccato! Per la vostra obbedienza ai divini decreti salvaste la vostra madre e tutta la sua figliolanza, ridando l’innocenza perduta al Padre vostro ed all’intera sua famiglia. Il Signore che portate ci assicura tutti questi beni, ed è per Voi che noi Lo possiamo avere; senza di Lui noi rimarremmo nella morte, e senza di Voi Egli non potrebbe riscattarci, perché in Voi attinge il sangue prezioso che ne sarà il pegno. La sua potenza protesse la vostra purezza nell’istante dell’Immacolata concezione, nella quale si formò il sangue di un Dio per la perfetta unione fra la natura divina con quella umana. Oggi, o Maria, si compie la divina profezia dopo l’errore: « Porrò inimicizia fra la donna e il serpente ». Finora gli uomini temevano il demonio e, nel loro traviamento, erigevano ovunque altari in suo onore. Ma oggi il vostro terribile braccio abbatte il suo nemico. Voi l’avete battuto per sempre con l’umiltà, la castità e l’obbedienza; e non potrà più sedurre le nazioni. Per Voi, o nostra Liberatrice, siamo stati strappati al suo potere, in preda al quale potremmo ancora essere gettati solo dalla nostra perversità e ingratitudine. Non lo permettete, o Maria! aiutateci! E se, in questi giorni di emendazione, proni ai vostri piedi, riconosciamo che purtroppo abusammo della grazia celeste, di cui voi diveniste il canale nella festa della vostra Annunciazione, fateci rivivere, o Madre dei viventi, per la vostra potente intercessione al trono di Colui che oggi diventa vostro Figlio in eterno. – O Figlia degli uomini, o nostra cara sorella, per la salutazione dell’Arcangelo, per il vostro verginale turbamento, per la fedeltà al Signore, per la prudente umiltà, per il vostro consenso liberatore, vi supplichiamo, convertite i nostri cuori, fateci sinceramente penitenti e preparateci ai grandi misteri che stiamo per celebrare. Oh, quanto saranno dolorosi per Voi, o Maria! come sarà breve il passaggio dalle gioie dell’Annunciazione alle tristezze della Passione! Ma Voi volete far rallegrare l’anima nostra pensando alla felicità del vostro cuore, quando, lo Spirito divino vi coprì con le sue ali ed il Figlio di Dio fu anche vostro Figlio. Perciò, restiamo tutto il giorno vicino a Voi, nell’umile casa di Nazaret. Fra nove mesi Betlemme ci vedrà prostrati, coi pastori ed i Magi, ai piedi di Gesù Bambino che nascerà per gioia vostra e per la nostra salvezza; allora, noi ripeteremo insieme agli Angeli: « Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini di buona volontà! »

PER L’ANNUNCIAZIONE (25 Marzo)

[G. Riva: Manuale di Filotea, Milano, 1888]

Questa festa in cui si commemora la incarnazione del Verbo nel seno verginale di Maria, fu celebrata fino dai tempi apostolici, ond’è che si fanno su di essa due omelie di S. Gregorio il Taumaturgo, il quale nell’anno 246 fu fatto Vescovo di Neocesarea.

I. – Immacolata Maria, che specialmente per la vostra umiltà e verginità meritaste di essere, a preferenza di tutte le donne più famose, eletta a Madre del vostro Creatore, ottenete a noi tutti la grazia di sempre amare, e di sempre praticare come Voi queste due sì belle virtù, onde meritarci a vostra somiglianza, il gradimento del nostro Signore. Ave.

II. Immacolata Maria, che vi turbaste nel sentire celebrate da un Angelo le vostre lodi, ottenete a noi tutti la grazia di avere anche noi, a somiglianza di Voi, un sentimento così basso di noi medesimi, che disprezzando le lodi della terra, attendiamo solo a meritarci l’approvazione del cielo. Ave.

III. Immacolata Maria, che preferiste il pregio di Vergine alla gloria di Madre di Dio, quando questa non si fosse potuto conciliare coi vostri angelici proponimenti, ottenete a noi tutti la grazia di essere, a costo di qualunque sacrificio, sempre fedeli nell’osservanza della legge santa di Dio e delle nostre buone risoluzioni, Ave.

IV. Immacolata Maria, che con umiltà non più udita vi chiamaste ancella di Dio quando l’arcangelo Gabriele vi preconizzava per di Lui Madre, ottenete a noi tutti la grazia che non ci insuperbiamo giammai per qualunque dono più singolare ci venga fatto da Dio, ma che anzi ci serviamo di tutto per più avanzarci nella via della virtù, ed unirci più strettamente al vero fonte di felicità. Ave.

V. Immacolata Maria, che per la salute degli uomini non ricusaste l’incarico di divenir Madre del Redentore, quantunque conosceste con chiarezza il dolorosissimo sacrificio che ne avreste dovuto fare un giorno sopra la croce, quindi la passione amarissima che avreste dovuto Voi medesima sostenere con Lui, ottenete a noi tutti la grazia che non ci rifiutiamo giammai a qualunque sacrificio che da noi richieda il Signore per la gloria del suo nome, e la salute dei nostri fratelli. Ave.

VI. Immacolata Maria, che col fiat da voi proferito nell’accettare l’incarico di divenir madre del Verbo, rallegraste il cielo, consolaste la terra, e spaventaste l’inferno, ottenete a noi tutti la grazia d’aver sempre una gran confidenza nel vostro santo patrocinio, affinché per Voi veniamo noi pure a godere il frutto di quella Redenzione così copiosa di cui foste, o gran Vergine, la sospirata cooperatrice. Ave.

VII. Immacolata Maria, che con un miracolo tutto nuovo diveniste Madre del Verbo, senza macchiare menomamente la vostra illibatissima purità, ottenete a noi tutti la grazia di essere sempre così riservati e modesti negli sguardi, nelle parole e nel tratto, che non veniamo mai a macchiare la castità conveniente al nostro stato.

VIII. Immacolata Maria, che contraeste una relazione così intima con tutta la ss. Trinità da diventar nel tempo stesso Figlia del Divin Padre, Madre del divin Piglio, e Sposa dello Spirito Santo, ottenete a noi tutti la grazia di tener sempre l’anima nostra così monda, che meritiamo di essere con verità il tempio vivo del Padre che ci ha creati, del Figliuolo che ci ha redenti e dello Spirito Santo che ci ha santificati.

IX. Immacolata Maria, che aveste la gloria singolarissima di portare nel vostro verginal seno Colui che i cieli e la terra non sono capaci di contenere, ottenete a noi tutti la grazia di esercitarci continuamente, a somiglianza di Voi, nell’umiltà, nella penitenza, nella carità e nell’orarazione, onde ricevere degnamente e con frutto lo stesso vostro divin Figliuolo, quando sotto le specie sacramentali si degna di venire dentro di noi: e fate ancora che siamo graziati di questa visita al punto della nostra morte, onde potere svelatamente contemplarlo, amarlo e possederlo con Voi in compagnia degli Angioli e dei Santi in Paradiso. Ave, Gloria.

ORAZIONE.

Deus, qui de beatæ Maria Virginis utero Verbum tuum, Angelo nunciante, carnem suscipere voluisti, præsta supplicibus tuis ut qui vero eam Genitricem Dei credimus, eius apud te intercessionibus adjuvemur. Per eundem Dominum, etc.