L’UFFICIO DIVINO -1-
[J.-J. Gaume, Catechismo di Perseveranza, vol IV, Torino 1881]
— Le preghiere in comune dei nostri padri nella fede ci porgono l’opportunità di parlare qui dell’Uffizio divino, vale a dire della vera preghiera in comune del Cristianesimo. Quantunque i Fedeli più non recitino l’uffizio, vi assistono però, una volta almeno nelle domeniche, e ne recitano anche una parte, per esempio il Vespro e qualche volta Compieta. La loro fede, la loro pietà, il loro rispetto per tutte le preghiere e per tutti gli usi della Chiesa non possono fare a meno di guadagnare assai allorché ne conoscano lo scopo, la ragione e il significato.
Origine dell’Uffizio divino. — Tutti gli uomini hanno pregato, e pregato in comune; ma i primi cristiani specialmente si dilettavano di adunarsi per offrire a Dio il sacrificio del labbro. Risuonavano tuttora alle loro orecchie quelle parole del divino Maestro: In qualunque luogo due o tre siano adunati in mio nome, Io sono in mezzo a loro. Perseguitati, inseguiti come pecore innocenti da lupi feroci, essi attingevano la forza e la costanza necessaria, mettendo il loro cuore, i loro voti e le loro preghiere in comune coi loro fratelli, siccome dividevano con essi le sostanze e i pericoli. – La notte come il giorno avevano certe ore determinate per attendere alla preghiera. Le Costituzioni apostoliche comandano ai fedeli di pregare alla mattina, alla terza ora, alla sesta, alla nona, la sera e a mezza notte, [Precationes fìant mane, tertia hora , sexta, nona et véspere, atque ad galli cantum. Lib. VIII, c. 54. — Purandus, lib. III, c. 41, p. 735], e san Girolamo scrivendo a una pia gentildonna intorno l’educazione della sua figlia, le dice: “Affidatela all’esperienza di una donzella di età provetta, che sia specchio di fede e di castità, che le insegni, e con l’abitudine e con l’esempio, a levarsi la notte a pregare e a cantare i salmi; la mattina, gl’inni sacri; a Terza, a Sesta, a Nona a proseguire il combattimento come un’eroina di Gesù Cristo; e verso il cader del sole ad accendere la sua fiaccola come una vergine saggia, e ad offrire il sacrificio della sera [Ad Laetam., Epist. VII, de Instit. Filiae]. – Il medesimo Santo ci assicura nelle sue epistole che il mietitore cristiano accompagnava i suoi lavori col canto de’salmi, e il vignaiuolo che potava la sua vigna ripeteva i cantici di Davide [Ad Marcell.]. I monaci dell’Egitto e della Tebaide, i solitari dell’Oriente, della Palestina e della Mesopotamia, si adunavano nei loro monasteri più volte al giorno per recitare i salmi e cantare inni in lode del Signore. – Né solo i Religiosi pregavano in tal guisa nelle diverse ore del giorno e della notte, ma in pratica sì devota erano ben anche imitati da gran parte dei fedeli. Sant’Agostino nell’istruire i l suo popolo cosi si esprime: «Miei cari fratelli, levatevi, ve ne prego, di buon’ora per attendere alle veglie; assistete specialmente agli uffizi di Terza, di Sesta e di Nona; nessuno si esenti da quest’opera santa, quando non ne sia impedito da qualche infermità, da qualche pubblico incarico, o da una grande necessità » [Serm. I . Feriae quartae, LVI de Tempere. — Vedi pure S. Basilio, Homil in Martyr. Julittam. — E così pure S. Agust., Epist., 109, etc.]. – La riunione di tutte queste preci si chiama uffìzio divino, perché è un dovere che si presta a Dio per adorarlo, placarlo, ringraziarlo e richiederlo delle sue grazie; per lo che è agevole dedurre che l’uffizio, tal quale è presso a poco oggidì, risale alla più remota antichità. Erede delle tradizioni primitive, la Chiesa lo ha stabilito sì per perpetuare quei sacri cantici di cui risuonarono e il Tempio di Gerusalemme e i gioghi del Sinai, e le spiagge del Mar rosso, e sì pure per facilitare con tal mezzo ai cristiani l’esercizio della preghiera.
Diverse ore dell’Uffizio. — E in questo proposito eziandio ci soccorre una tradizione di tremila anni. David diceva al Signore : « Io canto le vostre lodi sette volte al giorno »; e l’uffizio divino si divide in sette parti, chiamate ore, perché si recitano a sette ore diverse della notte e del giorno. Ecco il nome delle medesime: Mattutino, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta. Questa divisione ascende alla più alta antichità. [Isid., lib. de Eccles. offic. Raban. Maur., lib. II, de Instit, cleric. Basil., lib. I de Instit, monach. Hieron., in exposit. Psal. CXVIII. Cassian., lib. III, de lnst. coenobit., c. 4. — Ci piace di riferir qui alcuni versi antichi i quali spiegano la ragione delle diverse ore dell’Uffizio, indicando i Misteri che si onorano in ciascuna delle medesime: “Matutina ligat Christum, qui crimina purgat: Prima replet sputis; causam dat Tertia mortis; Sexta cruci neetit; latus eius Nona bipertit; Vespera deponit; tumulo Completa reponit]. – Le Lodi che si cantano talvolta per un’ottava ora, fanno parte del mattutino, ossia dell’uffizio della notte. Laonde, come si è detto, la divisione dell’uffizio divino in sette ore, adottata dalla Chiesa, è stabilita sopra la incontrastabile autorità d’una tradizione di tremila anni. Ma in che cosa è poi fondata questa sì antica tradizione? Sopra le prodigiose armonie del numero sette con Dio, con l’uomo e col mondo.
1° Il numero sette è quello dei doni dello Spirito Santo. « L’antico serpente, dice a questo proposito san Girolamo, scacciato dal cuore umano, torna con sette demoni più malvagi di lui, e sarebbe impossibile la resistenza quando non si fosse assistiti dai sette doni dello Spirito Santo; quindi preghiamo sette volte al giorno per ottenerli [Jeron. In Job. XXXVIII] . 2° Il numero sette è il numero de’ sette peccati capitali. Per evitarli, o per liberarcene se vi siamo caduti, noi preghiamo sette volte al giorno. 3″ Tutti i bisogni spirituali o temporali del genere umano sono in numero di sette, contenuti nelle sette domande del Pater. Quindi noi preghiamo sette volte al giorno per ottenere l’obbietto di ciascuna di queste domande. 4° Il numero sette è quello dei giorni della creazione e del riposo di Dio; e noi preghiamo sette volte al giorno per rammentare quella grande settimana, che vide sorgere il mondo dal nulla, e per eccitarci nello stesso tempo a ringraziare Iddio delle diverse opere fatte in ciascun giorno, affinché facendo buon uso delle creature, noi arriviamo al santo riposo dell’eternità. I motivi di questa divisione settenaria della preghiera esistevano già da tremila anni: ed ecco il fondamento di quella venerabile tradizione, e la prova della profonda sapienza della Chiesa cattolica. – Sogni, fantasie, diranno forse gli uomini leggieri, incapaci di meditare!… Ebbene, siano sogni, se cosi vi piace; ma noi preferiamo di sognare con san Girolamo, san Basilio, sant’Agostino, Varrone, anziché vegliare in vostra compagnia. [Vedi inoltre sulle altre armonie del numero sette san Basilio, Homil. II, in Hexaem. -— Greg. Naz. Orat. XCIV, in Sanct. Pentecost. — S. Aug., de Civit. Dei, lib. II, c. 57, de Gen. ad lit. I: confr, Manich., lib. i. — Varro, lib. I. Eorum qui inscribuntur hebdomades, etc.].
Bellezza dell’Uffizio. — Per meglio mostrare l’eccellenza dell’Uffizio divino, basterà il sapere di che cosa sia composto. – È un compendio [Per questo si chiama breviario] di quanto vi ha di più bello nel più bello di tutti i libri, l’antico cioè, e il nuovo Testamento; di quanto la storia de’ Santi ci presenta di più affettuoso e di più sublime; di quante preghiere siano uscite dal cuore ardente dei più grandi intelletti, e nel tempo medesimo de’ più grandi Santi che il mondo abbia conosciuti; di quanti devoti cantici finalmente siano stati dalla fede inspirati alla cristiana pietà. Che cosa può dirsi di più? Esso racchiude per intero quegl’inni inimitabili, quelle poesie immortali del Profeta reale , in cui il cuore, lo spirito, l’immaginazione trovano sempre un oceano di bellezze senza pari, di pensieri sublimi, di sentimenti divini. Dove trovare un più bel breviario di cose più belle? Chi saprebbe insegnare una più efficace preghiera? – Un monarca vuol colmare di favori la diletta sua sposa, ma ama che essa glieli dimandi: ed ecco ch’egli stesso le traccia la supplica, le indica le parole di cui desidera che si valga, poi a lei la consegna giurando solennemente di concedere quanto le ha promesso tosto ch’ella si presenterà con la supplica alla mano, sulle labbra, e nel cuore; ecco Dio, ecco la Chiesa; ecco il breviario. – Oh! qual forza aver debbono sul cuore di Dio quei tre o quattrocento mila sacerdoti cattolici, che ogni giorno si presentano sette volte dinanzi al trono dello Sposo della Chiesa, per domandargli nel modo che gli è più accetto i favori da Lui stesso promessi, e di cui abbisogna questa Sposa diletta! E pensare che a ciascun’ora del giorno e della notte parecchie migliaia di preti son occupati in questa sublime funzione; che l’Oriente prega quando l’Occidente riposa, di maniera che la voce della orazione non resta giammai interrotta, non vi par forse di essere nella Gerusalemme celeste, ove i beati ripetono continuamente i l cantico dell’eternità: Santo, Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti? [Apoc. IV, 8] – Qual fiume di benedizioni non debbe attirar sulla terra questa supplica potente Mondo ingrato! mondo reo! mondo cieco! a lei soltanto tu sei debitore della tua conservazione e puoi obliarlo? Che cosa potrei aggiungere? Tutti i secoli, tutte le nazioni, tutte le favelle si accordano con noi quando cantiamo i salmi di Davide. Mentre noi ne facciamo risuonare le volte delle nostre chiese, quelle liriche immortali sono ripetute a Roma, a Gerusalemme, a Pekino, al Messico, a Pietroburgo, al Cairo, a Costantinopoli, a Parigi, a Londra. Il tempio di Salomone, le pianure di Babilonia e di Memfi, le spiagge del Giordano, i deserti della Tebaide, le catacombe di Roma, le basiliche di Nicea, di Corinto e d’Antiochia le hanno a loro volta ascoltate. Oh! per quante bocche più pure della mia sono esse passate! Tobia nel suo letto di dolore, Giuditta nel campo d’Oloferne, Ester alla corte d’Assuero, Giuda Maccabeo alla testa dei guerrieri d’Israele le hanno ripetute; Antonio le sospirava nel deserto, Crisostomo ad Antiochia, Atanasio ad Alessandria, Agostino ad Ippona, Gregorio a Nazianzo, Bernardo a Chiaravalle, Saverio al Giappone! – E dopo tanti secoli, e dopo avere espresso tanti sentimenti diversi, quei cantici inimitabili sono nuovi come al primo giorno, e come la prima volta che Davide li faceva risuonare sull’arpa profetica! E ciò nulla dice al vostro cuore? E ciò non ingrandisce le vostre idee? E ciò non vi farà comprendere tutto l’incanto di questo nome incomunicabile della Chiesa vostra madre. . . cattolica?
Mattutino. — La prima ora dell’Uffizio si chiama Mattutino, Vigilia, Notturno, ovvero Ore della mattina, perché nel tempo andato erano recitate di notte, come si pratica tuttora per Natale, e perché nei Capitoli si recitano ancora di buon mattino. Il Mattutino è diviso in tre notturni o parti, composti di tre salmi, di tre antifone, di tre lezioni, precedute da una benedizione e seguite da un responsorio. Le prime lezioni sono estratte dalla Scrittura Santa, le seconde dalle opere de’ Padri, o dalle leggende de’ Santi di cui si celebra la festa, e le terze servono di commento al Vangelo del giorno, di cui si canta qualche versetto. – E primieramente i l mattutino si divide in tre notturni. La parola Notturno significa Uffìzio della notte. Si sa come gli antichi dividessero la notte in quattro parti, di tre ore ciascuna; la prima dalle sei fino alle nove, la seconda dalle nove fino a mezza notte, la terza da mezza notte fino alle tre e la quarta dalle tre fino alle sei del mattino. Ogni parte si chiamava vigilia o fazione, e si diceva prima vigilia, seconda vigilia, ecc. Questa denominazione è presa dal linguaggio militare, poiché i soldati vegliavano o stavano in fazione tre ore per ciascuno [Vegetius, De Re militari, c. VIII. – Pari alle legioni dei Cesari, l’esercito di Gesù Cristo, la Chiesa, sempre in armi, ordina agli ecclesiastici di vegliare a vicenda a custodia del campo, specialmente in tempo di notte, perché è quello il tempo del pericolo, dicono i Padri, il tempo in cui circuisce il tentatore, il tempo del peccato [Hilar. in Psalm. CXVI1I. — Ambros., lib. VII, in Lucam]. – Laonde nei primi secoli i notturni si recitavano separatamente; il primo durante la prima vigilia, il secondo nella seconda, il terzo nella terza, e le lodi nella quarta. I fedeli vi assistevano, ma al fine di ogni notturno, erano in libertà di andare al riposo, fino al notturno seguente. Tutti per altro, sebben gracili e delicati, si facevano un obbligo d’intervenirvi. Abbiamo veduto che san Girolamo, scrivendo alla figlia de’ Paoli Emili e de’ Scipioni, le insinuava di uniformarsi all’uso di alzarsi la notte due o tre volte per cantare gl’inni ed i salmi [Noctibus, bis, terque surgendum; Ad Eustoch. epist. XXII]. – In progresso di tempo la Chiesa, avendo riguardo alla umana fralezza, concesse di recitare i tre notturni con le laudi, in una medesima vigilia della notte, i suoi disegni non vennero con ciò punto alterati. – Ella vuole, mediante ciascuna ora dell’Uffizio, onorare i principali misteri della Passione del Salvatore, darci ad ogni istante del giorno e della notte le più utili lezioni, e procurarci le grazie adattate a ciascuno de’ nostri bisogni. Svolgeremo più minutamente codesti argomenti allorquando spiegheremo ciascuna ora in particolare. – Ma intanto potrebbe chiedere qualcuno: perché mai il Mattutino, che è la prima parte dell’Ufficio, incominci alla sera? Al che risponderemmo: perché il giorno ecclesiastico incomincia la sera; uso venerabile che ci rammenta l’antichità, imperocché anche presso i Giudei il giorno incominciava la sera. Erede della Sinagoga, la Chiesa cattolica ha conservato quest’uso pieno di memorie e di misteri. – Il Mattutino si recita nella notte: 1° perché in tempo di notte furono uccisi dall’Angelo sterminatore i primogeniti degli Egiziani; avvenimento per sempre memorando, che produsse la liberazione del popolo d’Israele, antica figura della Chiesa; 2° perché in tempo di notte nacque il Liberatore del mondo; 3° perché in tempo di notte compì una parte dei misteri della sua dolorosa Passione. In memoria di questi grandi, ineffabili avvenimenti, in rendimento di grazie di quei benefici, e in espiazione delle colpe de’ Giudei e di tante altre che si commettono nella notte, la Chiesa ha voluto che i sacerdoti e i Religiosi, tutti questi angeli della preghiera, fossero in adorazione e pagassero il debito dell’universo. Non vi sembra codesta una bella idea? Com’era men bello infatti il vedere, appena la campana faceva udire i suoi rintocchi, quei sacerdoti, quei Religiosi, quei vegliardi accorrere alla Chiesa! Si sarebbe detta una schiera che dà di piglio alle armi al primo invito della tromba. – « Giunti al tempio, scriveva un veterano di Gesù Cristo, noi cadiamo a ginocchi davanti l’altare, salutiamo il nostro Condottiero, gli rinnoviamo le proteste della nostra obbedienza, e gli confessiamo che senza il suo divino soccorso ci sarebbe impossibile di sperare e di ottenere vittoria contro l’infernale nemico ». [Durandus, lib. V.]. – Incomincia l’uffizio; ma in quale maniera? Al modo con cui deve incominciare ogni opera soprannaturale, vale a dire, dalla professione della nostra debolezza. Il sacerdote traccia su le proprie labbra il segno della croce, e dice: Apritemi le labbra, o Signore, affinché la mia bocca possa cantare le vostre lodi. Ma mentre il sacerdote domanda a Dio la grazia e la facoltà di poterne esaltare demonio raddoppia gli sforzi per renderne inutile la pietà; e perciò il sacerdote stesso, appena ottenuta la chiesta licenza, tosto soggiunge, armandosi dell’usbergo della croce: Venite, o Signore, in mio aiuto; alle quali parole tutto il coro, penetrato egli pure della propria debolezza, risponde ad alta voce: Affrettatevi, o Signore, a soccorrermi. – Poscia il sacerdote soggiunge immediatamente: Sia gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo; e il coro risponde: com’era in principio, com’è adesso, e come sarà per tutti i secoli: vale a dire, sia gloria eterna al Dio dell’eternità. E perché dunque s’innalza quest’inno di gloria e di gratitudine tosto dopo il grido di angoscia? Eccone la ragione: « Non appena avrai finito d’invocarmi, io sarò teco 1 » [“Adhuc te loquente ecce adsum” Isai. LVI1I, 9], ha detto il Signore per bocca di un Profeta; sicché la Chiesa fidando interamente iella promessa del divino suo Sposo che ha assicurato di esaudirla si studia di dar gloria alla santa Trinità. Il Gloria Patri fu composto da san Girolamo, e da lui trasmesso a Papa Damaso, il quale, secondando le istanze del santo anacoreta di Betlemme, decretò che questa dossologia venisse cantata in fine dei salmi. [Alcuni pensano che il Gloria Patri abbia origine più antica, e l’attribuiscono al Concilio di Nicea]. – Dalla Pasqua fino alla Pentecoste il Gloria Patri è seguito dall’Alleluia, voce ebraica, e significa gioia, allegrezza; onde è posta dalla Chiesa in principio dei suoi Uffizi per eccitare alla letizia, servendo Iddio conforme alle istruzioni del Profeta: “Servite al Signore nell’allegrezza” [Salmo XC1X]. – In qual altro tempo può essere più contento un fanciullo, qual altra occupazione può essergli più accetta, se non è quella di cantare le lodi del padre suo? – Dopo l’Alleluia segue l’Invitatorio ossia “chiamata”. Il sacerdote non è pago di lodare da solo il nostro Dio; ma come profeta della legge nuova, come inviato dell’Altissimo sollecita i proprii fratelli a lodarlo in sua compagnia. L’invitatorio è una frase che esprime in poche parole le ragioni speciali che noi abbiamo di lodare Iddio nella festa del giorno. Cotale preghiera è seguitata da queste parole: “Venite, adoriamo”, ripetute dal coro fino a sei o sette volte; perché dopo di avere spiegato ai suoi fratelli il motivo particolare ch’essi hanno di ringraziare Iddio nella festa di quel giorno, il celebrante ne enumera loro le ragioni generali ed immutabili che si contengono nel salmo “Venite Exultemus”. Egli dice: «Venite, esultiamo nel Signore, cantiamo le lodi di Dio Salvator nostro. Corriamo a presentarci davanti a Lui coll’orazione, e coi salmi celebriamo le sue lodi ». – Il Coro: « Venite e adoriamo il Signore ». L’Uffiziante: « Imperocché il Signore è un Dio grande, è un re grande sopra tutti gli Dei. Perché l’ampiezza tutta della terra Egli tiene nella sua mano, e a Lui gli altissimi monti appartengono. Perché di lui è il mare, ed Egli lo fece, e dalle mani di Lui fu fondata l’arida terra ». Il Coro: « Venite ed adoriamo il Signore ». L’Uffiziante: « Venite, adoriamolo, e prostriamoci, e spargiamo lacrime dinanzi al Signore, di cui siamo fattura. Imperochè Egli è il Signore Dio nostro, e noi popolo dei suoi paschi e pecorelle di suo governo ». – Il Coro : « Venite ed adoriamo il Signore ». – L’Uffiziante : « Oggi se la voce di Lui udirete non vogliate indurate i vostri cuori, come nel luogo della altercazione al di della tentazione nel deserto, dove tentarono me i padri vostri e fecero prova di me e videro le opere mie ». – Il Coro : « Venite ed adoriamo il Signore ». – L’Uffiziante: « Per quarant’anni fui disgustato altamente con quella generazione, e dissi: Costoro vanno sempre errando col cuore. Ed eglino non han conosciuto le mie vie: ond’Io giurai sdegnato: Non entreranno nella mia requie». – Il Coro: « Venite e adoriamo il Signore ». – Scegliete fra tutti i poeti antichi e moderni, e poi ditemi se voi trovate qualche cosa di più bello, di più sublime, di più affettuoso che questo magnifico dialogo. Questo poetico colloquio sì efficace per infondere nell’animo il vero spirito della preghiera si termina con uno slancio di amore verso la Santissima Trinità, cioè il Gloria Patri.
Preghiera.
“O mio Dio, che siete tutto amore, vi ringrazio di aver instituito il santo giorno di Domenica: ben so che specialmente per mio benefizio questo giorno deve essere consacrato all’orazione: fatemi la grazia ch’io possa degnamente santificarlo. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo, come me stesso, per amor di Dio, e in prova di questo amore studierò attentamente lo spirito delle cerimonie della Chiesa”.
L’inno – Dopo il Gloria Patri, sospiro ardente di amore e plauso di gioia che si solleva alla santa Trinità, dopo la ripetizione dell’invitatorio, canto di allegrezza, o di mestizia secondo la natura del mistero che si commemora, segue subito l’inno, destinato a lodare Iddio, a sublimare i nostri pensieri e i nostri affetti, e a raffermare in noi i sentimenti e le virtù che deve inspirarci la festa del giorno. – Tutti perciò si alzano in piedi, tutti i cuori si accendono, tutte le voci si accordano per cantar l’inno degnamente. « Tre cose, dice sant’Agostino, formano l’essenza dell’inno: 1° la lode; 2° la lode di Dio; 3° il canto. [Aug. Ad Psalm. LXXII. — Greg. Nazianz., Carm. XV.]. – L’uso degli inni risale ai primi giorni del Cristianesimo poiché si cantavano dai padri nostri, giusta il consiglio di san Paolo, nei cenacoli e nelle catacombe [Coloss. lII, 16. — Ephes. V, 19. — Euseb., Hist., 1. II]. Primo a decretare che nell’uffizio della notte si cantassero inni fu S. Giovanni Crisostomo, nell’occasione che gli Ariani si aggiravano di notte per Costantinopoli cantando versi che contenevano le loro empie dottrine. Nell’uscire dalla chiesa i cristiani incontravano quegli eretici ed erano esposti a sentirli; onde per prolungare l’Uffizio fino a tanto che gli Ariani fossero tornati alle loro case, e anche per fortificare la fede dei cattolici, il santo Patriarca aggiunse gl’inni al Mattutino e Laudi. [Socrat., lib. VI].- AI Mattutino l’inno precede i salmi, ma li segue alle Laudi, al Vespro e alla Compieta. – Li precede a mattutino, perché il mattino appartiene ai giusti che fruiscono del gaudio di una buona coscienza, mentre la sera spetta ai penitenti il cui animo è conturbato e sente il pungolo dei rimorsi. – La gioia conduce i primi al lavoro, figurato dai salmi, come diremo fra poco: i secondi debbono giungere al contento e alla letizia per mezzo del lavoro. Gl’inni si cantano in piedi per dimostrare coll’atteggiamento del corpo che i nostri cuori debbono essere innalzati verso Dio mentre la nostra bocca ne canta le lodi. Ogni cosa pertanto nel culto esteriore ci rammenta la necessità del culto interiore; tutto sembra ripeterci quelle parole del divino Maestro: Il Padre cerca adoratori in ispirito e in verità [Giov. IV, 23].
L’antifona. — Finito l’inno, l’ufficiante intona l’antifona. Ma che cosa è l’antifona? Essa è un canto alternativo, un canto eseguito da due cori che si rispondono. L’antifona significa l’amor di Dio, e il salmo la fatica delle opere buone.L’ uffiziante intona la prima parola dell’antifona per animare il salmo, cioè la fatica, per mezzo dello spirito di carità senza del quale la fatica non serve a nulla. Cantato il salmo, tutto il coro ripiglia l’antifona per mescolare costantemente la carità alla fede, di cui le opere non sono efficaci che per mezzo della carità. Perciò queste due grandi virtù del Cristianesimo si potrebbero assomigliare in questo luogo a due sorelle occupate nel medesimo lavoro, che si sostengono e si aiutano scambievolmente. Il sacerdote che da solo intona l’antifona, ne rammenta Gesù-Cristo unico e vero fonte della carità; tutto il coro che la canta alla fine del salmo significa l’effusione della carità di Gesù Cristo in tutti i suoi membri. Il canto delle antifone risale alla più alta antichità, e deriva da un’origine sommamente rispettabile. Sant’Ignazio martire, la gloria dell’Oriente e l’eroe del secondo secolo, avendo udito gli spiriti beati cantare in coro delle antifone nella Gerusalemme celeste, fece palese la sua rivelazione, dal che venne l’usanza di cantare antifone nella Gerusalemme terrestre [Durandus, lib.V].
I salmi. — Dopo l’antifona viene il canto de’salmi, per costume introdotto da Papa Gelasio. Quei cantici divini ricordano i patimenti, le fatiche e i combattimenti di un Re perseguitato; la gioia e la felicità ch’ei raccoglie dalla protezione del cielo; mentre palesano con forza i sensi della più viva gratitudine. Sospiri profetici, essi esprimono le pene, le fatiche, i combattimenti, i trionfo e la gloria del vero David, della Chiesa sua sposa e dell’anima fedele, sua figlia diletta e sua vivente immagine. Per lo che il cristiano ascolta e ritrova nei salmi quattro voci diverse: voce di David, voce di Gesù Cristo, voce della Chiesa, voce del cristiano. – È dunque cosa evidente che i salmi rappresentano la fatica della vita, e il lavoro delle opere buone. La parola salmo significa il canto che si eseguiva sul Salterio, il quale era uno strumento da musica: Lodate il Signore sulla cetra: cantate inni a lui sul Saltero da dieci corde [Psal. XXXII, 3] . Parole misteriose indicanti che noi dobbiamo lodare Dio nell’adempiere i dieci comandamenti, e che soltanto quel cristiano che osserva la divina legge gode degnamente il Signore. – Papa Damaso ordinò che i salmi fossero cantati a due cori. Ammirabile istituzione! Non vi sembra egli di vedere i santi della terra eccitarsi alternativamente al lavoro e alla pratica delle opere buone, comunicandosi le gioie e le speranze, le lacrime e i sospiri, la gratitudine e l’amore, rinviandosi incessantemente le parole ardenti ch’essi volgono a Dio protettore del debole, sostegno dell’orfano, padre del povero, consolatore dell’afflitto e rimuneratore del Giusto? Non vi sembra inoltre di vedere l’adempimento di quel precetto del grande apostolo: Portate gli uni i pesi degli altri; e così adempirete la legge di Cristo? [Galat. VI, 2]. Non vi sembra infine di vedere quei cherubini visti dà Isaia, i quali, collocati davanti al trono di Dio, colla faccia nascosta tra le ali, esclamavano a vicenda : Santo, Santo, Santo il Signore degli eserciti; della gloria di lui è piena tutta la terra [Isai. VI, 3]. – I salmi si cantano in piedi come per esprimere l’ardore del lavoro e lo zelo del bene. Quindi è che si vedono i canonici stare semplicemente appoggiati ai loro stalli, mentre si cantano le diverse ore dell’uffizio, eccettuata Compieta. Diremo ben presto la causa di questa eccezione. – Ogni salmo è seguito dal Gloria Patri; 1° per render gloria a Dio del bene che ci ha fatto; 2° per rammentare all’uomo l’augusta Trinità dalla quale tutto deriva; e alla quale tutto deve tornare; 3° per ripetergli che la fede nella santa Trinità è il fondamento della vita cristiana; 4″ per attestare che in tutte le circostanze, e tanto nella contentezza quanto nell’afflizione, così nel lavoro come nel riposo, noi vogliamo benedire e lodare il Signore.
I versetti. — Dopo ogni notturno vengono tre lezioni, e le lezioni stesse sono precedute da versetti e benedizioni che fa di mestieri primieramente spiegare. Il versetto è una breve sentenza, un concetto vivo, un avvertimento dato per risvegliare l’attenzione. Può infatti accadere che, durante la recita o il canto de’ salmi, che qualche volta dura molto tempo, non ci lasciamo sorprendere dalla distrazione o dalla stanchezza. Il versetto dunque si canta da una voce sola, per ridestare più sicuramente, mercé una tale varietà di tono, tutti gli assistenti, e tenerli occupati di quello che segue. Che ve ne pare? Non è questo un ottimo espediente? La Chiesa nostra madre non conosceva abbastanza la umana fragilità nello stabilire questa regola? Avreste voi saputo immaginare un mezzo migliore per tener viva l’attenzione dello spirito e la divozione del cuore? Al versetto cantato con voce e tono infantile succede il Pater intonato dalla voce grave del celebrante. Si dice il Pater perché è imminente la lezione, e l’uomo abbisogna di saviezza e d’intelligenza per comprendere e per gustare le verità sante, e deve per ottenere tali doti rivolgersi e domandarle a Colui che le concede in abbondanza e senza rimproveri. Si recita il Pater a voce bassa per eccitare il raccoglimento e far osservare che noi parliamo da soli e soli con Dio, e per dimostrare da ultimo ch’Egli intende, senza l’aiuto della parola, la preghiera del nostro cuore. Arrivati a quelle parole : “Et ne nos inducas in tentationem”, « Non vogliate permettere che soccombiamo alla tentazione », il sacerdote alza la voce, per insegnare a tutti perché si recita il Pater, ed impedire al lettore e all’ascoltatore di cedere alle tentazioni del nemico durante la lettura; tentazione di vanità per l’uno, e di negligenza per l’altro.
Le Benedizioni. —Il Pater è seguito da una breve preghiera che si chiama Benedizione, la quale ha per fine di ottenere quello che abbiamo domandato per mezzo dell’orazione Domenicale, e in questa nuova preghiera noi ci rivolgiamo successivamente e per ordine a ciascuna delle tre Persone dell’augusta Trinità. – Altro non rimane adesso, fuorché di sapere chi sarà degno di leggere la parola di Dio. Uno degli assistenti si leva, e voltandosi verso l’ufficiante, che rappresenta Gesù Cristo, gli dice ad alta voce: Iube, Domne, benedicere [La parola Domne è un’abbreviatura di Domine, e risale al nono, o decimo secolo], « Ordinate, Signore, di benedire », cioè ordinate che sia annunziata la vostra parola di benedizione In questa piccola cerimonia si racchiude un avviso di somma importanza, poiché imparasi con ciò che nella Chiesa nessuno deve esercitare il ministero, quando non vi sia chiamato dall’autorità legittima. – Le vocazioni e le missioni dall’alto non sono necessarie soltanto per lo stato ecclesiastico, ma eziandio pei vari stati della civile società. Donde derivano infatti la più gran parte dei mali che ci affliggono, se non da ciò, che quasi nessun individuo è collocato al suo posto o non vuol rimanervi? Ma ripigliamo il nostro ragionamento. – A questa domanda di benedizione che è rinnovata prima d’incominciare ciascuna lezione, l’officiante risponde con preghiere capaci di muovere tutta la celeste Gerusalemme ad interporsi presso il Signore affinché la santa lettura torni proficua; talvolta egli domanda che il Signore si degni aprire il nostro cuore alla sua legge, per timore che la parola santa che siamo per ascoltare non sia come un grano, un seme che gli uccelli divorano, o che le spine soffocano, o che i passeggeri calpestano; tal altra implora che veniamo ammessi alla felicità de’ Santi di cui ci apprestiamo a leggere le virtù. Il sacerdote ci augura tutte queste cose in nome di Dio, e cosi dimostra che non a lui, uomo peccatore, appartiene di benedire, ma a quello bensì che solo è buono, solo perfetto, solo autore di ogni bene.
- Le Lezioni. — Destata con ciò la vigilanza, ottenuta la benedizione e implorate previamente le grazie d’intelligenza e di saviezza, incominciano le lezioni. Si compongono queste dell’antico e del nuovo Testamento, de’ commentari de’ Padri e dei Dottori e della vita del Santo di cui si celebra la festa. La Scrittura è la legge; gli scritti de’ Padri la spiegazione; la vita del Santo, l’applicazione. Qual più completa istruzione? Per meglio ascoltarle si sta seduti e in silenzio. Infatti, vi ha egli al mondo una parola che più meriti questa attitudine di raccoglimento e di rispetto? Le lezioni finiscono con queste parole: “Tu autem Domine, miserere nobis”; « Deh! o Signore, abbiate misericordia di noi ». Commovente confessione della nostra miseria! « Sì, mio Dio, dice il lettore, perdonateci gli errori che hanno potuto accompagnare questa lettura; a me i sentimenti di vanità o di negligenza di cui mi sono reso colpevole; ai miei fratelli le distrazioni e il poco fervore con cui forse hanno ascoltato i vostri divini oracoli ». – Tutti gli assistenti rispondono: “Deo gratias”; « Siano rese grazie al Signore ». – Queste parole si riferiscono alla lezione, ed eccone il senso: « Se è un dovere per l’uomo ringraziare Iddio del nutrimento corporale ch’Ei ne concede ogni giorno, quanto più sacro dev’esser l’obbligo di ringraziarlo della manna della sua parola con cui alimenta l’anima nostra! Come figli di Dio, noi ringraziamo il nostro Padre celeste del cibo spirituale che ci ha compartito ». Eccoci ammaestrati ed anche riconoscenti per la dottrina che abbiamo ricevuta. Ora qual mezzo migliore di attestare la nostra gratitudine, che quello di mettere in pratica la parola santa e d’imitare i nobili esempi che ci sono stati posti sott’occhio? A ciò tutti gli assistenti si obbligano mediante i Responsori che si recitano subito dopo la Lezione, e alternativamente dai due cori. I responsori della terza lezione finiscono col Gloria Patri, acciocché rammentiamo che tutte le nostre preghiere e tutte le opere nostre debbono riferirsi al fine supremo di tutte le cose, alla santa Trinità. Ecco come si recita o si canta il primo Notturno, cioè la prima parte del Mattutino. Nei primi secoli si diceva verso le nove della sera, nel momento in cui siamo soliti di andare al riposo; e in molte chiese era senza invitatorio, perché i ministri sacri lo recitavano da soli senza convocare il popolo. Questo primo Notturno si chiamava propriamente veglia, o vigilia, in memoria de’ pastori che custodivano le mandrie nelle vicinanze di Betlemme, la notte in cui nacque il Salvatore del mondo. Quanti misteri ci rammemora questa ora sacra! La veglia de’ pastori, il tenero addio del Salvatore agli Apostoli, la sua agonia nell’orto di Getsemani! Se abbiamo scintilla di fede, quali espansioni di cuore, quali fervorose preghiere si uniranno in questo primo Notturno alle prove di amore e al sangue della gran Vittima che ci riscattava! – Nelle chiese ove il popolo non assisteva al principio dell’uffizio, il secondo Notturno cominciava dall‘Invitatorio, perché tutti i fedeli, uomini e donne, vi erano convocati. E qui pure noi ci imbattiamo in una nobile tradizione, in una affettuosa armonia. Come angeli della terra, gli ecclesiastici invitavano all’adorazione del Salvatore i cristiani affidati alla loro cura, come gli angeli avevano invitati i pastori di Betlemme. Il secondo Notturno si cantava a mezza notte. Ed anche quest’ora sacra quanti misteri ci ricorda! La nascita del Salvatore, la chiamata degli angeli e l’adorazione de’ pastori, i patimenti del Salvatore davanti ai tribunali di Anna e di Caifa.- Il terzo Notturno si recitava verso le tre ore della mattina, e ciò per tre precipue ragioni: la prima, a fine di onorare il Salvatore nelle ignominie di quella notte orribile, ch’Ei passò in balìa de’ servi e dei soldati; la seconda per chieder perdono della sentenza di morte pronunziata contro di lui verso quell’ora da Caifa; la terza per espiare il rinnegamento di san Pietro. – Nelle domeniche e nelle feste si dicono tre Notturni al Mattutino; in altri tempi non ve n’è che un solo. Donde viene una tal differenza? Essa nasce dalla solennità maggiore o minore della festa. In certi giorni solenni la Chiesa dispiega agli occhi de’ propri figli tutte le sue magnifiche tradizioni, fa loro ammirare tutte le sue belle armonie, rimette sotto gli occhi nostri la storia di sessanta secoli, tutte le auguste memorie di cui è l’erede. – « Ecco, dicono i nostri Padri, la ragione di questa misteriosa distribuzione de’ nostri Mattutini solenni; i tre Notturni rammentano le tre grandi epoche dell’umanità; l’epoca Patriarcale, l’epoca Mosaica e l’epoca Cristiana. Ciascuna di queste tre epoche si divide in tre periodi; perciò in ogni Notturno vi sono tre salmi, tre antifone, tre lezioni: si direbbe quasi un poema diviso in nove canti. » – L’epoca patriarcale ha il suo primo periodo da Adamo fino a Noè; il secondo da Noè fino ad Abramo; il terzo da Abramo fino a Mose. Così pure l’epoca Mosaica ci presenta tre periodi; il primo, da Mose a David; il secondo, da David alla schiavitù di Babilonia ; il terzo, dalla schiavitù di Babilonia al Messia. – Finalmente anche l’e poca Cristiana si divide in tre periodi; il primo, che comprende la fondazione della Chiesa fatta da Nostro Signore, e il suo stabilimento operato dagli apostoli: ed è questo il periodo de’ martiri; il secondo, che abbraccia il tempo delle grandi eresie e de’ grandi campioni dell’Oriente e dell’Occidente: ed è il periodo de’ Padri della Chiesa ; il terzo, che comprende il tempo di pace, che succede all’estinzione delle grandi eresie: ed è il periodo della Chiesa regnante » [Durandus, lib. II, c.7]. Il numero tre tante volte ripetuto è un inno eloquente alle tre adorabili Persone della Trinità, come i nove salmi sono una ricordanza de’ nove cori degli angeli, e di tutte le armonie della Gerusalemme celeste, ai cantici della quale la sua giovine sorella, la Gerusalemme terrestre, invita tutti i propri figli ad accordare le loro voci; di modo che nei nostri giorni solenni si può dire che della voce del cielo e della voce della terra, si forma una sola gran voce la quale intona con esultanza: « Santo, Santo, Santo è il Dio degli eserciti; i cieli e la terra sono pieni dello splendore della sua maestà ». Qual sorgente di pensieri santi e affettuosi pei fedeli istruiti e pii! Quale miniera di sublimi inspirazioni pel poeta cristiano!
VII. Il Te Deum. — Il terzo Notturno finisce col Te Deum. Inno, preghiera, poema epico, il Te Deum è tutto ciò che si può dire, tutto ciò che si conosce di più sublime e di più maestoso in qualunque favella. Sia gloria immortale a voi, Ambrogio e Agostino, poeti inimitabili e santi illustri, che avete saputo spiegare i pensieri della vostra mente e gli affetti del vostro cuore, come i Serafini spiegherebbero i propri, se parlassero i l linguaggio de’ mortali! Il Te Deum è concepimento si perfetto e di tanta eccellenza, che i protestanti sì freddi, sì gelidi nel loro culto, sì nemici della Chiesa romana, l’hanno accuratamente conservato. – Ma perché si recita alla fine del terzo diurno? Ecco la risposta a questa domanda. Tutti i figli di Dio, sacerdoti e fedeli, hanno lodato il Signore; si sono reciprocamente stimolati alla carità, al fervore; hanno ascoltato la lettura della legge che tocca si vivamente il cuore; hanno inteso la storia de’ loro fratelli, già glorificati nel seno del comun Padre; hanno veduto delle palme e delle corone, preparate come ricompensa immortale per una fatica di breve durata: sarebbe mai possibile dopo tanti incentivi, che tutti insieme i cristiani pieni di questi pensieri, non prorompessero in azioni di grazie? Non vi stupite dunque se essi cantano il Te Deum. Il suono delle campane, che altre volte si accoppiava alle loro voci, tra una nuova dimostrazione dell’ allegrezza e dell’ardore universale, era un solenne incitamento ch’essi facevano a tutti i loro fratelli e a tutte le creature di lodare con essi un Padre sì magnifico e sì buono.
Le Lodi. — I tre Notturni costituiscono le tre prime parti del Mattutino, le Lodi la quarta. Questa divisione è stata introdotta, come dicemmo, per sanificare le quattro vigilie della notte, poiché le Lodi si recitavano anticamente, e si dovrebbero, regolarmente parlando, recitare allo spuntar del giorno. Eccone le ragioni: 1° Nostro Signore usci allo spuntare del giorno vittorioso dal sepolcro; 2° allo spuntar del giorno camminò sopra le acque e vi fece camminare san Pietro. La parola Lode significa elogio, encomio, gloria , plauso, ed è infatti, in questa parte dell’Uffizio della notte che noi celebriamo particolarmente le lodi di Dio, e lo ringraziamo : 1° della risurrezione del Salvatore, miracolo fondamentale del Cristianesimo, operato in quel momento; 2° delle grazie che il Signore ci accorda, perché, come san Pietro sulle acque, noi camminiamo durante la notte di questa vita sul mare tempestoso del mondo; 3° della creazione dell’universo di cui il comparir della luce ci offre l’immagine; 4° finalmente della cura paterna con cui Dio ha vegliato sopra di noi pel corso della notte, e della bontà con la quale ci concede un nuovo giorno. – Le Lodi come i Notturni incominciano con l’invocazione “Deus in adiutorium”, accompagnata dal segno della croce, e seguita dal Gloria Patri, dall’Alleluia e dall’apposizione dell’antifona. Alla fine di ciascun salmo si ripete il Gloria Patri per soddisfare ad un debito di gratitudine. – Non abbiamo noi forse veduto che i salmi esprimono le opere buone, il lavoro cristiano? Qual cosa è dunque più giusta che ringraziare Dio da cui ogni opera buona deriva, e che merita in conseguenza d’esser lodato e ringraziato come in principio, quando creò il cielo e la terra; e attualmente, perché conserva il mondo materiale e spirituale; e sempre, perché la creazione non sussisterà giammai se non per Lui; e nei secoli de’ secoli, quando vi saranno nuovi cieli e nuova terra, e che Dio sarà tutto in tutte le cose? Alle Lodi si recitano cinque salmi, o a meglio dire quattro salmi e un cantico. Il rinnovamento dei nostri cinque sensi, vale a dire la rigenerazione di tutto il nostro essere in virtù del Cristianesimo, di cui nel corso della notte sono stati celebrati i principali misteri, è appunto la ragione misteriosa di questo numero cinque, e l’importante ammaestramento che la Chiesa ne porge al cominciare del giorno. La domenica, dopo i tre primi salmi, si canta l’inno de’ tre fanciulli nella fornace, col quale la Chiesa ha voluto rammentarci le tribolazioni de’ giusti in ogni tempo, e la loro allegrezza in mezzo alle tribolazioni, e la Provvidenza che veglia su loro. – Sembra ch’essa ci dica: « All’apparire di questo giorno ricordatevi che siete stati rigenerati in Gesù Cristo: vivete dunque santamente, vegliate su i vostri sensi, guardatevi dal contaminarli; aspri combattimenti vi aspettano, ma non temete, poiché finiranno a vostra gloria; il Signore sopra di voi; il cantico che voi recitate ve ne offre una prova ». – Il cantico è seguito dal quinto salmo, di cui è questo il senso ed il motivo del luogo che occupa. I figli della Chiesa rispondono alle promesse di vittoria che poc’anzi ha date loro: « Noi ben sappiamo, le dicono essi, che noi saremo vincitori, e per questo benediciamo il Signore e invitiamo tutte le creature del cielo e della terra ad esaltarlo in nostra compagnia ». Perciò il quinto salmo delle Lodi comincia sempre con queste parole: Lauda ovvero Laudate; « loda, lodate » e questo invito a lodare Dio s’indirizza a vicenda agli Angeli e ai Santi, a tutte le creature inanimate, alla Chiesa, alle nazioni, agli uomini di qualsiasi tribù e di qualsiasi favella. L’uomo riconoscente vuole in tal guisa che tutto ciò che esiste si unisca a lui per benedire il benefattore universale. – Il cantico de’ tre fanciulli nella fornace non è seguito dal Gloria, perché le auguste Persone della santa Trinità vi sono lodate da un capo all’altro.
Il capitolo. — Dopo l’ultima antifona segue il capitolo, parola che altro non significa fuorché piccolo capo, piccola lezione; e si compone di alcuni versetti della Scrittura, analoghi all’uffizio della giornata. Se questa lezione è più breve negli uffizi del giorno che non in quelli della notte, egli è perché le occupazioni diurne domandano il nostro tempo e la nostra presenza. Siccome il capitolo si recita ordinariamente dall’officiante, non è preceduto dall’ “Iube Domine” ossia dalla domanda di benedizione. Oltre l’ammaestramento ch’egli ci dà, il capitolo ha per oggetto di ravvivare il fervore nell’animo degli assistenti; e la Chiesa per tal modo vuol preservarli dal castigo de’ Giudei, che nauseati della manna andarono soggetti in punizione alle morsicature de serpenti. – Alle Laudi particolarmente il capitolo e mirabilmente acconcio ad infiammare il nostro coraggio, tanto nel fare il bene quanto nel combattere il demonio: talvolta vi siamo esortati a rimaner fermi nella fede, talvolta a compiere opere di misericordia, sovente ancora a rivestirci come guerrieri delle armi della luce. Allora il coro, simile ad una schiera animata dall’arringa del suo capitano, si affretta a rispondere con voce unanime: Deo gratias! « Siano grazie a Dio! Tali sono le nostre disposizioni! » E simile ad un esercito di valorosi, che solo chiede di cimentarsi contro il nemico, egli intona l’inno; l’inno, espressione del suo ardore, della sua riconoscenza, della illimitata sua fiducia in Dio, che non la chiama al combattimento, se non per condurla alla vittoria. Finito l’inno, viene il Versetto, ed è questo come un ritornello il cui scopo è di spingere al più alto grado l’entusiasmo del soldato cristiano. Si canta a una sola voce, alla quale rispondono tutte le altre: e ciò avviene non solo per fissar maggiormente l’attenzione, ma eziandio per mostrare l’unanimità di sentimento che domina in tutti i cuori. Al versetto succede l’Antifona; ed oh! quanto è ben collocata questa espressione d’amore dopo l’inno, nel quale abbiamo cantata la vittoria riportata dai Santi, nostri fratelli maggiori, e quella che speriamo riportare noi stessi! L’amore che produce l’unione produce anche la forza.
Il cantico. — Ma l’uomo è fragile, ed è talmente inclinato alla diffidenza, che la Chiesa vuole di nuovo riassicurarlo, e perciò ella pone qui il cantico, “Benedictus” « Sia benedetto il Dio d’Israele». Questo cantico contiene l’adempimento letterale di tutte le promesse che Dio ha fatte ai patriarchi e ai profeti. «Uomini di poca fede, sembra dirci la Chiesa nel farci ripetere questo cantico, perché dubitate, il Signore, per cui vi recate a combattere nel corso di questo giorno, ha Egli mancato mai a veruna delle sue promesse? interrogate i secoli; non lo vedete forse sempre lo stesso, con una mano soccorrere i suoi soldati, con l’altra coronare i vincitori? » – Cantato il Benedictus, assodata la speranza del cristiano in Dio, come àncora fissa alla spiaggia che tien fermo il vascello in mezzo alle tempeste, si rendono grazie alla santa Trinità, dicendo: Gloria Patri. Le si fa nuova protesta del nostro timore senza limiti per mezzo della ripetizione dell’antifona; finalmente Le si domanda l’adempimento di tutte le sue promesse per mezzo dell’orazione che termina l”uffizio. – Ora andate, soldati di Gesù Cristo, magione di Dio, campo d’Israele, andate al combattimento, nulla vi manca per mietere allori. Oh! se noi recitassimo queste nobili preghiere dell’uffizio con quello spirito di fede che le ha disposte, non saremmo noi dopo di esse, secondo il detto di san Crisostomo, simili a leoni spiranti fuoco, e il cui aspetto fa tremare le legioni infernali? E perché non sarebbe così? Da chi dipende l’esser forti? Da noi, unicamente da noi!
Preghiera.
O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio che abbiate istituite tante belle preghiere per mezzo delle quali siamo assicurati di ottenere tutte le grazie di cui abbisogniamo; io vi chiedo perdono della poca fede con cui ho pregato fin ora. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, io dirò spesso come gli Apostoli: “Signore insegnatemi a pregare”.