DOMENICA IV DI AVVENTO (2022)

IV DOMENICA DI AVVENTO. (2022)

Stazione alla Chiesa dei 12 Apostoli.

Dom. privil. Semid. di II cl. Paramenti violacei.

Come tutta la liturgia di questo periodo, la Messa della Quarta Domenica dell’Avvento, ha lo scopo di prepararci al doppio Avvento di Cristo, avvento di misericordia a Natale, nel quale noi commemoriamo la venuta di Gesù, e avvento di giustizia alla fine del mondo. L’Introito, il Vangelo, l’Offertorio e il Communio fanno allusione al primo, l’Epistola si riferisce al secondo, e la Colletta, il Graduale e l’Alleluia possono applicarsi all’uno e all’altro. Le tre grandi figure delle quali si occupa la Chiesa durante l’Avvento ricompaiono in questa Messa. Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Il Profeta Isaia annuncia di S. Giovanni Battista, che egli è: « … la voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, appianate tutti i suoi sentieri, perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio ». E la parola del Signore si fece sentire a Giovanni nel deserto: ed egli andò in tutti i paesi intorno al Giordano e predicò il battesimo di penitenza (Vang.). « Giovanni, spiega S. Gregorio, diceva alle turbe che accorrevano per essere battezzati da lui: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che sta per venire? La collera infatti che sovrasta è il castigo finale, e non potrà fuggirlo il peccatore, se non ricorre al pianto della penitenza. « Fate dunque frutti degni di penitenza. In queste parole è da notare che l’amico dello sposo avverte di offrire non solo frutti di penitenza, ma frutti degni di penitenza. La coscienza di ognuno si convinca di dover acquistare con questo mezzo un tesoro di buone opere tanto più grande quanto egli più si fece del danno con il peccato » (3° Nott.). « Iddio, dice anche S. Leone, ci ammaestra Egli stesso per bocca del Santo Profeta Isaia: Condurrò i ciechi per una via ch’essi ignorano e davanti a loro muterò le tenebre in luce, e non li abbandonerò. L’Apostolo S. Giovanni ci spiega come s’è compiuto questo mistero quando dice: Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza perché possiamo conoscere il vero Iddio ed essere nel suo vero Figlio » (2° Nott.). – Per il grande amore che Dio ci porta ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, che è nato dalla Vergine Maria. Proprio questa Vergine benedetta ci ha dato di fatto Gesù; così, nel Communio, la Chiesa ci ricorda la profezia di Isaia: « Ecco che una Vergine concepirà e partorirà l’Emmanuele », e nell’Offertorio Ella unisce in un solo saluto le parole indirizzate a Maria dall’Arcangelo e da Santa Elisabetta, che troviamo nei Vangeli del mercoledì e del venerdì precedenti: « Gabriele, (nome che significa « forza di Dio »), è mandato a Maria — scrive S. Gregorio — perché egli annunziava il Messia che volle venire nell’umiltà e nella povertà per atterrare tutte le potenze del mondo. Bisognava dunque che per mezzo di Gabriele, che è la forza di Dio, fosse annunciato Colui che veniva come il Signore delle Virtù, l’Onnipotente e l’Invincibile nei combattimenti, per atterrare tutte le potenze del mondo » (35° Serm.). La Colletta fa allusione a questa «grande forza» del Signore, che si manifesta nel primo Avvento, perché è nella sua umanità debole e mortale che Gesù vinse il demonio, come anche ci parla dell’apparizione della sua «grande potenza» che avverrà al tempo del suo secondo Avvento, quando, come Giudice Supremo, verrà nello splendore della sua maestà divina, a rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ep.). Pensando che, nell’uno e nell’altro di questi avventi, Gesù, nostro liberatore, è vicino, diciamogli con la Chiesa « Vieni Signore, non tardare ».

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Exod XVI :16; 7
Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]


Ps XXIII: 1
Dómini est terra, et plenitúdo ejus: orbis terrárum, et univérsi, qui hábitant in eo.

[Del Signore è la terra e quanto essa contiene; il mondo e e tutti quelli che vi abitano.]

Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria


Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio  

Oremus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre; ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntiæ tuæ propitiatiónis accéleret:

[O Signore, Te ne preghiamo, súscita la tua potenza e vieni: soccòrrici con la tua grande virtú: affinché con l’aiuto della tua grazia, ciò che allontanarono i nostri peccati, la tua misericordia lo affretti.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios
1 Cor IV: 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quaeritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer aut ab humano die: sed neque meípsum judico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus  judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuique a Deo.

[ “Fratelli miei, così ci consideri ognuno come ministri di Cisto, e dispensatori dei misteri di Dio. Del resto poi ciò che si richiede ne’ dispensatori è che sian trovati fedeli. A me pochissimo importa di esser giudicato da voi, o in giudizio umano; anzi nemmeno io giudico di me stesso. Poiché non ho coscienza di nessun male; ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica, è il Signore. Onde non vogliate giudicare prima del tempo, finché venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de’ cuori, ed allora ciascuno avrà lode da Dio”.]

A qual fine la Chiesa fa leggere oggi questa lettera?

Per avvertire quelli che ieri ricevettero i sacri ordini a distinguersi per la fedeltà ai loro doveri e per la santità della vita, quanto sono distinti per l’alta dignità del loro stato; per ispirare il rispetto dovuto ai Sacerdoti. che sono i ministri di Gesù Cristo, e i dispensatori dei divini misteri; ed in ultimo per ricordare ai Fedeli questa seconda venuta del Figliuolo dell’uomo; ed invitarli così a giudicarsi da se stessi, a purificare il loro cuore per la festa del Natale, ed a ricevere degnamente Gesù Cristo come Salvatore, sicché non l’abbiamo a temer come Giudice.

Perché S. Paolo non voleva giudicar se stesso?

Perché non sapeva come Dio lo giudicava, sebbene di niente gli rimordesse la coscienza: senza una rivelazione di Dio, nessuno sa se sia degno d’amore o d’odio. Dio scandaglia i cuori e le reni; nulla può sfuggire al suo sguardo, ed i giudizi di Lui sono ben differenti da quelli degli uomini, che accecati dall’amor proprio e dalla passione, spesso non vedono il male che fanno; nascondono sé a se stessi, e si giustificano quando dovrebbero condannarsi. Tale si crede innocente e si riguarda come santo, che al giorno poi del giudizio sarà ricoperto di confusione, quando Dio svelerà in faccia all’universo tutte le azioni di lui e tutti gli interni segreti. Non giudichiamo gli altri; di loro ci è ignoto l’interno; ma giudichiamo noi stessi: esaminiamoci accuratamente, pesiamo tutte le nostre azioni, scendiamo nel fondo della nostra coscienza, frugando tutte le pieghe e i nascondigli del nostro cuore; ed imiteremo s. Paolo che si giudicava così da se stesso; ma imitiamo parimente s. Paolo che in un altro senso non si giudicava da sé, cioè se dopo un’esatta ricerca, non troviamo nulla di riprensibile in noi, senza troppo fidarci del nostro giudizio, rimettiamo a Dio il giudizio definitivo, ed affatichiamoci per la nostra salvezza con timore e tremito, ponendo la confidenza nella misericordia del Signore.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale 

Ps CXLIV:18; CXLIV:  21
Prope est Dóminus ómnibus invocántibus eum: ómnibus, qui ínvocant eum in veritáte.

[Il Signore è vicino a quanti lo invocano: a quanti lo invocano sinceramente.]


V. Laudem Dómini loquétur os meum: et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus.

[La mia bocca dia lode al Signore: e ogni mortale benedica il suo santo Nome.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
V. Veni, Dómine, et noli tardáre: reláxa facínora plebis tuæ Israël. Allelúja

[Vieni, o Signore, non tardare: perdona le colpe di Israele tuo popolo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc III:1-6
Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilaeæ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Ituraeæ et Trachonítidis regionis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdotum Anna et Cáipha: factum est verbum Domini super Joannem, Zacharíæ filium, in deserto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, praedicans baptísmum pæniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ Prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.”

“L’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Idurea della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i Pontefici Anna e Caifa, il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di  penitenza per la remissione dei peccati: conforme sta scritto nel libro dei sermoni d’Isaia profeta: Voce di uno cbe grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri: tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno: e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno, e i malagevoli si appianeranno: e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio”.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

VOCE NEL DESERTO: PREPARATE LA VIA

Quando gli esploratori della terra promessa ritornarono da Mosè con gli occhi ancora dilatati dalla meraviglia, dissero: « Abbiamo veduto degli uomini giganteschi, in confronto dei quali noi parevamo grilli » (Num., XIII, 34). Il medesimo stupore prende anche le anime nostre, leggendo il Vangelo di questa domenica d’Avvento, davanti all’eroica figura di San Giovanni Battista: egli è un gigante della santità in confronto del quale noi siamo dei grilli. – Probabilmente era l’anno 27 dell’era volgare, quando fra le dune e i tamerischi del deserto la voce di Dio risuonò per bocca di Giovanni, figlio di Zaccaria. Era coperto con una pelle di cammello, stretta alle reni da una cinghia di cuoio. Molti anni aveva trascorso nella solitudine sconfinata, fra le pietre e le belve… Molti anni s’era cibato appena di miele selvatico e di locuste e s’era dissetato appena di acqua. Solo un uomo cresciuto così può avere la forza di varcare la soglia d’un re incestuoso, di gridargli in faccia il suo delitto, di lasciarsi troncare il capo. Tra i nati da donna egli è il più santo. La sua voce possente risonava nei dintorni del Giordano, attirando da ogni parte gente al battesimo e alla remissione dei peccati. Voce di gridatore nel deserto: preparate la via del Signore. Spianate i sentieri: dove adergono, livellate; dove sprofondano, colmate; dove serpeggiano, raddrizzate. Così ogni uomo vedrà il Salvatore. Fermiamoci a una frase soltanto e commentiamola nelle sue due parti: Voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore.. 1. VOCE NEL DESERTO. Dice S. Tommaso da Villanova che l’anima del peccatore è un deserto. Ne ha infatti tutto l’aspetto: è arida e incolta, non produce frutto alcuno di vita, è ingombra dei rovi di cattivi pensieri, delle spine di cattivi desideri, delle ghiande di passioni immonde. E neppure mancano i serpenti, che sono i demoni. E poi, quanta solitudine dove Dio manca! quanta siccità dove la grazia non piove!… Ebbene, in questo deserto Dio non cessa di parlare per chiamarci al battesimo della penitenza e alla remissione dei peccati. E ci chiama con la voce della predicazione e con quella dell’ispirazione: con la voce del beneficio e con quella del castigo. a) Voce della predicazione. — Come in quei tempi il Signore si fece preparare i cuori dalle prediche del Battista, così attraverso i secoli Egli si è sempre servito della parola dei Sacerdoti. La predicazione è come l’acqua fecondatrice: ove essa non discende, vi è terra dura e sterile. La predicazione è come la manna alimentatrice: chi non ne raccoglierà morirà di fame spirituale. La predicazione è come l’olio che nutre la lampada: chi non se ne procura, rimarrà al buio. S. Ilario d’Arles vide una volta alcune persone che, appena ebbe cominciata la spiegazione del Vangelo, si dileguarono fuori di chiesa per sottrarsi alla noia d’una predica. Il santo allora gridò verso di quelli: « Uscite pure: ora potete fuggire dalla chiesa, ma verrà tempo che non potrete fuggire dall’inferno ». – b) Voce dell’ispirazione. — Ma talvolta il peccatore è così indurito che nessuna voce esteriore può penetrarlo, nessun grido può risvegliare il suo deserto. E allora Dio, buono e misericordioso, parla direttamente a quel cuore, parla quella sua parola viva, più acuta della spada a due tagli, che penetra gelida e rovente fino alle più intime compagini dell’anima (Hebr., IV, 12). « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» diceva l’Innominato dei Promessi Sposi, quell’uomo che aveva riempito di spavento e di delitto una intera regione. E a lui il Card. Federico Borromeo rispondeva così: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate? ». – c) Voce dei benefici. — Ci sono certi periodi della vita in cui Dio ci manda ogni fortuna: salute, danaro, onori; ed aspetta quasi che l’uomo dica: « Anima mia, serviamo un Padrone così buono e generoso: non vedi che meritiamo pene e ci dà gioie? ». Ma invece l’uomo non riconosce attraverso le creature la voce del suo Padrone: Il cielo grida: « O uomo, io giro per tuo comodo e utilità ». Il sole grida: « O uomo, io ti riscaldo e ti fortifico: io, a primavera, rinnovo la terra e l’adorno come un paradiso; io faccio crescere i frutti sulle piante e le piante sul suolo ». Grida la terra: « O uomo, io ti lavo, rinfresco, e fecondo ogni cosa ». E tutte insieme dicono le creature: « Riconosci dunque, e ringrazia il tuo generoso Signore ». L’uomo non ode. E Dio si lamenta: « anche il bue è grato all’uomo che lo nutre, anche l’asino riconosce che la stalla è del suo padrone: solo Israele non ha conosciuto me, solo il mio popolo lascia cadere nel deserto la mia voce » (Is., I, 3). – d) Voce dei castighi. — Come un padre che ama suo figlio ricorre ai castighi quando non è ubbidito, così il Padre eterno fa con noi. Anche i suoi castighi sono un segno del suo grande e tenero amore. Se la malattia non lo avesse costretto a letto, Ignazio di Loyola forse non sarebbe diventato mai Santo. Se una ostinatissima piaga non avesse travagliato Camillo de Lellis, egli non sarebbe forse mai diventato il grande amico degli ammalati. Se la morte non avesse rapito crudelmente il marito a Margherita di Cortona, noi ora non la venereremmo. E se la miseria e la tribolazione non avessero colpito i fratelli di Giuseppe, essi non si sarebbero giammai pentiti del loro peccato orribile ». « Merito hæc patimur, — dicevano, — quia peccavimus în fratrem nostrum » (Gen. XLII, 21). I veri Cristiani che non sono sordi alla voce di Dio così devono dire nei dolori: « Soffro giustamente, perché ho peccato contro il mio fratello Gesù Cristo ». – 2. PREPARARE LA STRADA DEL SIGNORE. La strada per la quale il Signore deve venire nel nostro cuore, al prossimo Natale, ora impedita, forse, dalle colline del peccato, dalle valli che simboleggiano la mancanza delle buone opere, dai sentieri tortuosi che invece di mirar diritto al fine si perdono nei piaceri e nelle lusinghe del mondo. – a) Abbattiamo i colli del peccato con una sincera confessione. Sarebbe un’ironia crudele per un Cristiano festeggiare la venuta del Salvatore, mentre il suo cuore è già occupato dal demonio. Una buona confessione dunque! Non come quella di Saul che disse a Samuele: « Ho peccato!» e si sentì rispondere: « Il Signore ti ha rigettato », perché non era pentito; ma una confessione sincera e dolorosa come quella di David che disse a Nathan: « Ho peccato! »  e si sentì rispondere: « Il Signore ha già distrutto il tuo peccato ». – b) Non basta la confessione, se poi non si continua, con le opere buone, a camminare sulla strada intrapresa. Le opere buone che ci preparano meglio al santo Natale sono la preghiera e la elemosina: la preghiera perché senza di essa noi siamo come una città senza difesa; l’elemosina perché in cielo è preferita a qualsiasi penitenza corporale: « Non sapete quale sia il digiuno che io prediligo? dice il Signore Iddio: Spezzare il proprio pane con l’affamato, albergare i poveri senza asilo, vestire chi si trova ignudo, non sottrarsi alle necessità. del proprio fratello. Allora la tua luce spunterà come l’aurora… ». (Is., LVIII, 6-8) – c) Ed infine viviamo un po’ più ritirati; amiamo un poco anche noi il deserto, come S. Giovanni Battista. Lontani dai divertimenti pericolosi, lontani dai ritrovi rumorosi, lontani dalle compagnie corrompitrici; noi vivremo dolcemente, cristianamente tra la nostra casa e la nostra chiesa. Senza questa volontà di isolamento le antiche abitudini cattive ci riprenderanno facilmente. Quando S. Antonio passò da Alessandria, il governatore d’Egitto voleva fermarlo per qualche giorno. Gli rispose il santo: « Capita al monaco quello che capita al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore se lascia la sua solitudine ». Capita anche al Cristiano quello che capita al pesce: l’uno muore: se lascia l’acqua, l’altro muore alla grazia se lascia la solitudine della sua casa e della sua chiesa, e si espone ai pericoli e alle seduzioni del mondo. – Compariremo un giorno al tribunale; di Dio. E Cristo; giudicandoci, ci dirà: «Vieni, o benedetto! Ero pellegrino, e mi accogliesti ». « Quando, Signor mio; vi ho incontrato pellegrino. per accogliervi? ». «Ti ricordi del Natale 19…? Io camminavo, allora sulla terra, e stanco passavo per la strada del tuo cuore. Tu. allora hai spianato i colli del peccato con una sincera confessione; tu hai colmato le valli delle omissioni con opere buone; tu hai raddrizzato nella solitudine il sentiero; così ho potuto trascorrere nella tua cara compagnia questa festa santa ». «Avete ragione, Signore mio buono ». –

PREPARAZIONE AL SANTO NATALE. Molti secoli or sono, proprio in questi giorni, una giovane donna e il suo Sposo erano in viaggio verso le montagne di Giuda. Venivano da molto lontano, dalla Galilea, e andavano alla città dei loro vecchi, a Betlemme, per dare il nome al gran censimento dell’imperatore Ottaviano Augusto. Una folla immensa era accorsa in città, per ciò Maria e Giuseppe passarono di porta in porta bussando e chiedendo con lagrime un po’ di posto, invano. Nessuno li accolse. E nella notte, mentre Erode adagiato tra gli ori e la porpora terminava il sontuoso banchetto, mentre per le vie ormai deserte si spegneva l’ultima acclamazione al feroce Idumeo e all’usurpatore Romano, in una stalla nasceva il Re dei re. Perché questo delitto d’ingratitudine più non si rinnovi nel mondo ora che il Re dei re sta per tornare tra noi nel suo Natale, ecco che la Chiesa manda avanti San Giovanni Battista ad avvisarci di preparare il cuore.  « Voce di uno che nel deserto grida: preparate la strada al Signore. Se la via è tortuosa: per monti e per valli, colmando le valli e spianando i monti rendetela dritta; se la via è malagevole per triboli e pietre, togliendo ogni scabrosità rendetela liscia… » et erunt prava in directa et asperas in vias planas. Nella regione selvaggia ove il Giordano precipita nel Mar Morto, il Precursore gridava queste parole; ma il suo monito sorpassa i secoli; sorpassa le vicende degli uomini, il trambusto della vita materiale, la nostra dissipazione: e giunge fino a noi: « Voce di uno che nel deserto grida: preparate la via del Signore ». Ormai, Gesù sta alla porta dell’anima mostra e bussa. Anche noi, come quei di Betlemme, gli chiuderemo l’uscio in faccia e lo costringeremo a nascere in una stalla? Nessuno, vorrà essere crudele così. Ma in che maniera potrà venire dentro di noi se il nostro cuore è una strada impraticabile? Se il peccato vi ha scavato burroni scoscesi e vi ha innalzato greppi rocciosi e nudi? Ecco: una bella Confessione prima del santo Natale colmerà ogni valle e spianerà ogni colle per fare nel nostro cuore una strada diritta: Et erunt pravas in directa. In altri cuori invece la strada del Signore c’è già, non essendoci il peccato mortale. Però è una strada pietrosa e scomposta che fa sanguinare i piedi al pellegrino: costoro hanno soltanto da lisciarla, col togliere la tiepidezza e i molti attacchi mondani. Et erunt aspera in vias planas. Ecco i due pensieri: I peccatori si devono preparare al Santo Natale col togliere il peccato; i giusti col togliere ogni più piccolo difetto. – RADDRIZZARE LA VIA PRAVA: TOGLIERE IL PECCATO. a) In casa vostra, in questi giorni; tutto diventa nitido e profumato: le pareti sono sbiancate, il pavimento è scopato; ogni ragnatela è levata. Anche la cucina del più povero si adorna con qualche ramo di sempreverde alloro; e di qualche frutto colorito. Fra tanto nitore, soltanto l’anima vostra rimarrà nera.. e sporca di peccato? Fra tanto profumo soltanto l’anima vostra, morta alla grazia; esalerà un fetore cadaverico? No, Cristiani: inutilmente v’affaccendate a tergere e abbellire la vostra dimora, quando prima non vi curate di tergere ed abbellire la vostra coscienza! – b) In casa vostra in questi giorni c’era molta abbondanza e un lusso discreto: ognuno si procura abiti nuovi o almeno ben ripuliti; si acquistano carni e vivande squisite, si prepara un vino più vecchio e più schietto, si comperano dolci inconsueti. Ma, dite, a che vale tutto questo quando l’anima che di noi è la parte più preziosa, muore di fame e si dispera per la sete? O peccatori, non la sentite dentro di voi l’anima vostra piangere a lungo e singhiozzare pietosamente perché ha fame e ha sete del suo Dio e voi glielo negate crudelmente, e glielo negate anche in questi giorni di feste quando nulla rifiutate al vostro corpo? No, Cristiani: non siate cattivi, con l’anima vostra, che è tanto preziosa ed immortale! – c) In casa vostra, in questi giorni, c’è molta letizia. Gli affanni della vita sembrano più leggeri, ogni lavoro pare meno pesante: .. c’è nell’aria una diffusa allegria che si respira con soave piacere. Beate, poi, le famiglie dove ci sono bambini! Contano i giorni che ci separano dalla grande solennità, pregano con più innocenza, aspettano i doni, sognando il Pargolo divino che passa… Soltanto il vostro cuore resterà cupo, o peccatori? Soltanto l’anima vostra resterà amara? Perché non diverrete anche voi lieti come i vostri bambini? che cosa vi manca? L’innocenza perduta nel peccato. Ricordate la parola del Vangelo: « Chi non si farà come uno di questi piccoli, non entrerà nel regno dei cieli ». No, Cristiani, non resistete più all’amore di Dio: confessatevi e riavrete la vostra innocenza, e diventerete anche voi, come i vostri figliuoli, lieti. Forse il demonio vi spaventa col timore delle difficoltà che dovrete affrontare per togliere i vostri peccati, distruggere le vecchie abitudini, ricominciare una vita nuova. Sentite. Camminava Sansone per una strada solitaria e boschiva: ecco un improvviso ruggito, un lampo rossastro, un tonfo. Un grosso leone era balzato fuori dalla selva sulla strada e gli muoveva incontro con negli occhi la brama della sua carne. Fu una lotta tremenda, corpo a corpo, tra l’uomo e la belva. Sansone era inerme, ma investito dallo Spirito con le sue mani afferrò il leone per la gola e lo strozzò come un capretto. Madido di sudore, macchiato di sangue, a lunghi passi proseguì ansimando il cammino. Ma quando ritornò per quella strada, trovò la massa inerme del leone che nella bocca aveva un dolce e profumato favo di miele (Giudici, XIV, 8). – Così è anche di voi, o peccatori: è dura la lotta corpo a corpo col demonio e con la passione, ma dopo che avrete vinto, là dove c’era il peccato trovetere il miele; e sentirete com’è soave la vita quando si è in grazia di Dio! Sentirete anche voi, come in quella notte i pastori innocenti, oltrepassare nel cielo di Natale le schiere angeliche, cantando: « Gloria a Dio nell’altissimo cielo, pace in terra agli uomini di buona volontà ». E potrete dire: « Angeli, anche a me un po’ di pace, perché ora anch’io sono uomo di buona volontà ». – 2. LASCIARE LA VIA SCABROSA: PURIFICARSI DALLA TIEPIDEZZA. Ora parlo a quelli che già sono in grazia di Dio. – a) Che cosa sono quei piccoli odî che nutrite contro il vostro vicino? Quella superbia con quelli di casa vostra, quell’antipatia tra cognati e cognati, tra parenti e parenti, che cosa è? È una pietra aguzza sulla strada del vostro cuore, che pungerà i piedi del Bambino Celeste quando verrà. Orsù toglietela via generosamente. Che importa se la ragione è nostra e il torto è degli altri, che importa se ci toccherà umiliarci, che importa se perderemo del nostro, quando il Signore entrerà volentieri in noi e ci colmerà di grazie eterne che valgono migliaia di volte più di quelle inezie che per suo amore abbiamo sacrificato? – b) Che cosa sono quelle trascuratezze nelle opere di pietà, quell’omettere facilmente il santo Rosario, quella negligenza nel mandar i figliuoli all’Oratorio, quel vivere intere giornate senza una giaculatoria e una comunione spirituale? Sono tutti indizi che il nostro cuore è più attaccato al mondo che a Dio. Bisogna lisciar via i maligni attacchi. – c) Che cosa sono quelle negligenze nel respingere i pensieri cattivi e nel mortificare gli occhi e la lingua, quelle intemperanze nel bere, nel mangiare, nel fumare? Sono le spine della sensualità che ingombrano la strada su cui Gesù dovrà passare per giungere a noi. Bisogna strapparle. In questi ultimi giorni che ci separano dal Santo Natale sforziamoci con entusiasmo di lisciare la via al Signore levando ogni più piccola scabrosità e lordura che possa offendere il suo piede od il suo sguardo. – S. Rosa da Lima si era appassionata con troppa sollecitudine a una pianticella di basilico. All’alba, appena desta, correva ad esporla perché ricevesse i primi raggi umidi di rugiada: Quando il sole montava verso il mezzodì, Rosa pronta la ritirava perché l’eccessivo calore non l’inaridisse. Quando al tramonto le ombre si allungavano e di lontano ogni montagna s’imporporava, Rosa tornava ad esporla, bramosa che si ristorasse negli ultimi tepori del giorno; ma al sopraggiungere della notte, subito la nascondeva perché le brine troppo fredde non la danneggiassero. Così in Chiesa, e in cella, e in parlatorio, e in cortile, sempre il pensiero della verde e olezzante pianticella era con lei. Ma una mattina svegliandosi trovò l’amata pianticella divelta e gettata al suolo a marcire. Non poté trattenere il pianto: « Qual mano — esclamò — fu così invidiosa da troncare la vita ad una pianta così innocente? Perché mi sono affannata a salvarla dalla brina e dall’arsura, se poi doveva finire così? ». Mentre si lamentava, ecco apparirle Gesù. Era mesto negli occhi e senza sorriso: « Non l’invidia, ma Io divelsi il tuo basilico con la mia mano. Potevo forse sopportare che una parte di quell’amore e di quei pensieri che a me sono dovuti, andassero ad una creatura vile come era la tua pianta? ». – O Cristiani, quando nel santo Natale verrà nel nostro cuore, che non sia mesto negli occhi, che non sia senza sorriso! che non trovi dentro di noi pensieri e affetti inutili e pericolosi verso le cose e le persone di quaggiù! Anche un solo peccato veniale potrebbe fargli tanto dispiacere. – I ladroni Amaleciti erano venuti a predare nei campi del popolo di Israele. Ma nel tumulto della fuga, un povero schiavo abbandonato dal suo padrone perché ammalato, era rimasto disteso sulla nuda terra a morire di febbre e sfinimento. Ed ecco passarono di là i soldati del re Davide, che lo videro sdraiato nella campagna come un morto. Lo portarono dal re, il quale n’ebbe compassione e ordinò che gli dessero pane da mangiare e acqua da bere, e una parte di fichi e alcuni grappoli d’uva. L’infelice schiavo a poco a poco rinvenne e si ristorò. « Non più schiavo, ma libero sarai. In guerra combatterai al mio fianco da valoroso, e in pace vivrai onorato con molte ricompense ». Così gli parlò il re Davide, condusse seco a far grande strage di nemici. (I Re, XXX, 11-16). Cristiani, lo schiavo Amalecita è un simbolo dell’anima nostra. Essa ha servito il demonio, predatore e assassino dei cuori, e stanca e febbricitante per i peccati e per gli affetti mondani, è rimasta a languire sulla strada della vita. Ma ecco che già viene il nostro re Gesù: viene col suo santo Natale. – O Gesù, salvatore! non siate meno pietoso di quello che già Davide fu col suo suddito. Ristorateci col vostro cibo e con la vostra bevanda, riscaldateci con l’alito del vostro amore. Poi conduceteci sempre al vostro fianco: in guerra e in pace, in questa e nell’altra vita.E un’altra volta è vicino il Natale del Signore. In questa solennità, alcuni vedono una festa di piacere. Già stanno organizzando veglie danzanti, spettacoli lussuriosi, ricevimenti mondani, e trascorreranno la notte santa in cui il Salvatore venne al mondo per redimerli, nell’ebbrezza dei sensi, sprofondando sempre più nel fango e nel peccato. – Altri vedono invece nel Natale una festa di benessere corporale. Anche i più poveri per un giorno almeno all’anno possono nutrirsi a sazietà e con cibi succulenti e con bevande corroboranti; quelli poi che non son poveri imbandiscono la loro mensa con inconsuete e laute vivande. Sicché c’è della gente che tutta questa settimana sarà indaffarata per il pranzo di Natale, senza trovare tranquillità e tempo per pensieri diversi da quelli gastronomici. – Vi sono altri ancora che vedono nel Natale una festa sportiva. Alla vigilia o all’antivigilia, con maglioni e calzettoni per difendersi dal rigore invernale, partiranno per la montagna, a sciare. « Ah che religiosità commovente — dicono — contemplare dalle finestre d’un albergo alpino le stelle della notte natalizia scintillanti sugli abeti coperti di neve! che senso di pace e di purezza volar tutto il giorno come Angeli sui campi immacolati!». E la Messa di Natale? « Probabilmente non mancherà. Forse verrà lassù un prete a celebrare ». Così tutta la santificazione della grande solennità cristiana si esaurisce in una ipotetica Messa. E nessuno, che non sia maligno, sospetti ipotetiche profanazioni. Altri, infine nel Natale non vedono che una festa di poesia domestica. Nessuno manca della famiglia, anche i lontani sono ritornati, almeno per un giorno. È gioia del cuore raccogliersi in casa, dove tutto luccica per la recente pulizia, e arde il focherello sul camino; e c’è l’albero fosforescente di cordelline e di dolciumi, e c’è il presepio, e c’è qualche fanciullo che declama un complimento in rima stringendo nelle mani i doni del Bambino Gesù. – Ma non è Natale veramente e compitamente cristiano se non quello in cui si vede con la fede il Signore. « E vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Questo è l’insegnamento che S. Giovanni Battista ci dà nel Vangelo odierno. Infatti, prima che Gesù incominciasse la vita pubblica, Egli si mosse a preparargli la strada, e predicando la penitenza, diceva: « Preparate la via al Signore che viene! Ogni valle si colmi; ogni colle si spiani, ogni tortuosità si rettifichi. Così vedrà ogni uomo la salvezza in Dio ». Bisogna dunque prepararci al Santo Natale in modo tale da meritare di vedere spiritualmente il Signore. Ma per meritare tanta grazia occorre prepararci con la purità dell’anima, con la bontà delle opere. Quando a Presburgo, in Ungheria, nel 1207, nacque, S. Elisabetta, un poverello malato e cieco s’avvicinò alla culla e toccando quella bambina riebbe improvvisamente la vista. Se la nascita dei Santi è accompagnata spesso da simili prodigi, maggiori meraviglie può operare in noi la nascita di Colui che è la stessa Santità. E se il peccato ci ha resi miseri e ciechi, avviciniamoci con cuore preparato alla culla del pargolo divino, e otterremo la grazia di vederlo, adesso con la fede, e, un giorno, senza veli nella gioia del suo regno.1. PURITÀ DELL’ANIMA. È l’anima che Vede Dio; ma per vedere ha bisogno di luce e di igiene. – a) Luce dell’anima è la grazia. Cristiani, che il Santo Natale non vi trovi immersi nelle tenebre. Luminosa è la casa tutta ripulita, luminosi i vostri vestiti nuovi, tutto è luminoso al di fuori: e dentro c’è il buio del peccato mortale? Questo sarebbe un’ipocrisia peggiore di quella dei Farisei che pulivano il piatto all’esterno e nell’interno lo lasciavano insudiciato. « Che unione ci può essere tra la luce e le tenebre, tra il giorno e la notte, tra la vita e la morte? » esclama S. Paolo; e come può illudersi d’avvicinarsi a Gesù, colui che tiene il peccato sulla coscienza? Gesù è la luce, egli è tenebre; Gesù il giorno, egli è notte! Gesù è la vita, egli è morte. – b) Igiene dell’anima la custodia dei sensi, specialmente della vista. Chi vuole vedere il Signore con l’anima, preservi gli occhi del corpo dalle mondane vanità. Ci sono dei bambini che mettono in bocca tutto. Quello che scovano negli angoli più remoti della dispensa, quello che viene loro donato per strada o in visita presso qualche famiglia, quello che colgono dalle piante del giardino o a passeggio lungo una siepe. Dopo scontano la vorace imprudenza con dolori lancinanti alle viscere. Milioni e miliardi di microbi ingeriscono, e non sospettano mai che forse tra quelli c’è uno che supererà le forze di resistenza dell’organismo, si moltiplicherà, disgregherà il sangue o i tessuti interni, produrrà la morte. Ci sono dei figliuoli, delle figliuole, dei giovani, degli uomini che sono peggiori dei bambini. Essi guardano tutto, qualsiasi giornale, cartolina, illustrazione, libro che capiti tra mano; qualsiasi figura reclamistica sui muri della via, o sulle stecconate intorno alle case in costruzione, o nelle luminose vetrine dei negozi; entrano in qualsiasi sala da spettacoli, vedono qualsiasi proiezione. Poi sono dolori! Sì, perché gli occhi sono la bocca dell’anima, e l’anima ha pure la sua igiene che va rispettata come e meglio dell’altra per lo stomaco. Perché hanno continuamente l’anima ottenebrata da nuvole dense di pensieri e desideri perversi, e non possono più pregare con gusto e fervorosa attenzione, e non possono più credere con la gioia e la spontaneità di quando erano piccoli? Perché i loro occhi non sono stati custoditi. Bisognerebbe cavar fuori tutte le figuracce vedute, le novelle e i romanzi letti, le scene provocanti dei cinema, le cronache nere, gli scherni religiosi raccolti sui giornali. Siate meticolosi nell’igiene dell’anima! Specialmente in questi giorni d’attesa santa, conservate mondi i vostri occhi, quelli dei vostri figli, perché possano vedere il Signore.2. BONTÀ DELLE OPERE. Perché l’anima veda Iddio, non basta colmare le valli del peccato con una sincera confessione, non basta spianare ogni ostacolo opaco con la custodia dei sensi: occorre che Dio viva nell’anima con le opere buone. Verso il Natale del 396, l’ultimo che gli restava da vivere in terra; S. Ambrogio si sentiva stanco e alla fine delle sue eroiche fatiche; ma aveva il cuore pieno d’una pace vasta e serena com’è quella del colono, quando in certe domeniche d’autunno contempla beato la sua campagna colma di frutti, mentre in lontananza campane suonano a distesa. In quei giorni appunto, a Paolino, il suo fedele segretario, dettava queste parole: « Cristo vive in me: cioè, vive quel Pane vivo che discese dal cielo e nacque a Betlemme, vive la sua carità, vive la sua pace, vive la sua giustizia, vive la sua sapienza ». Mirabili espressioni, che ci suggeriscono con quali buone opere Cristo deve nascere in noi nel prossimo Natale. Vive in me quel Pane vivo, la prima opera, la più bella e cara a Lui che sta per venire: è la santa Comunione. – I pastori si ritennero fortunatissimi in quella notte in cui lo poterono vedere e forse baciare. I re magi fecero lunghissimo e pericoloso viaggio per poterlo trovare. Il vecchio Simeone per i molti anni della sua vita non desiderò altro; e come lo poté stringere tra le sue braccia tremanti, disse che non gli importava di morire, perché il suo cuore non chiedeva più nulla. La gioia dei pastori, dei magi, di Simeone, ci è vicina: perché non ne approfitteremo? È vero che siamo peccatori e oppressi d’infinite miserie, però se un rincrescimento profondo delle nostre colpe, se un desiderio vivo di farci più puri per più vedere il Signore c’è dentro di noi, quel Dio che venne al mondo in una stalla, non sdegnerà il nostro povero cuore. – Vive in me la sua carità: Non può gustare il Natale cristiano chi si priva della consolazione di fare in questi giorni un po’ di carità, con le opere di misericordia corporali e spirituali. I poveri pastori e i ricchi magi non si presentarono a mani vuote al Celeste Bambino, ma ciascuno con un dono proporzionato alla propria condizione: agnellini, frutti agresti, formelline di tenero cacio erano i doni dei poveri, oro, incenso, mirra erano i doni dei re. Così tutti noi, poveri e ricchi, dobbiamo avvicinarci alla culla di Gesù col nostro dono proporzionato. È dato al Dio nato poverissimo e inerme tutto quanto è donato senza ostentazione ai poveri e agli infermi. Vive in me la sua pace. Colui che nasce fu vaticinato come il Principe della pace. Egli stesso ha detto: « Io vi dono la mia pace: ma non ve la dono come fa il mondo » (Giov. XIV, 27). Il mondo, quando vuol sembrare buono, fa la pace con quelli che la meritano; i Cristiani, che vogliono essere buoni, fanno pace con tutti, anche con quelli che non la meritano e da cui sono stati offesi. Perciò nessuna scusa è valevole, nessuna ragione è plausibile, perché tra noi si conservi anche un solo rancore durante il santo Natale. Vive in me la sua giustizia: Quand’Egli nacque gli Angeli dissero agli uomini: « Non temete più: vi annunciamo una grande gioia ». Ora che il suo Natale ritorna, c’è forse qualcuno che non può gioire per colpa nostra? Nessuno dei nostri fratelli può accusarci d’ingiustizia nei danari, nella roba, nei commerci, nei contratti, nei debiti e nei crediti? Non abbiamo nulla con noi che invoca il suo legittimo padrone? – Vive in me la sua sapienza: Ascoltiamo e meditiamo volentieri in questi giorni santi la parola di Dio per poter capire qualche cosa almeno dell’infinita sapienza nascosta nel mistero della natività del Salvatore. Se vi si offre il tempo e l’occasione, leggete nel Vangelo il racconto della nascita di Gesù, così lo potrete raccontare alla sera ai vostri figliuoli, che sono avidissimi d’ascoltarlo dalle vostre labbra.Un giorno Napoleone passava in rivista le sue truppe. Un umile soldato anziano attirò il suo sguardo, per alcune cicatrici che gli apparivano sul volto. L’imperatore si fermò davanti a lui, e, con un gesto consueto gli pose una mano sulla spalla; poi, guardandolo negli occhi gli rivolse brevissime domande. « Tu, a Ulm? ». « C’ero ». « A Austerlitz? ». « C’ero ».  « A Iena? ». « C’ero ». –  « A Wagram? ». « C’ero ». – « A Dresda? ». « C’ero ».  « Bene, capitano! ». L’altro, ch’era soltanto soldato, voleva correggere il grado credendo fosse uno sbaglio. Ma l’imperatore, senza correggersi, aggiunse: « Capitano, decreto per voi la grande croce della legione d’onore ». Quando preparate le strade secondo il consiglio di Giovanni Battista, il nostro Re divino giungerà nel santo suo Natale e passerà in rivista i suoi fedeli; felice colui che potrà rispondere alle sue domande franco e ardito come quel soldato napoleonico.  « Alla dottrina cristiana? ». « C’ero ». – « Alla messa festiva? ». « C’ero ». – « Al confessionale? ». « C’ero ».« Alla balaustra? ». « C’ero » – « Nella resistenza aspra contro latentazione? ». « C’ero ». – « Nella professione coraggiosa della fede in faccia a chiunque? ». « C’ero ». – « Bene, servo buono e valoroso: perché nel poco sei stato fedele, ti darò autorità sul molto, e verrai nella gioia del tuo Re ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, gratia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Sacrifíciis pæséntibus, quǽsumus, Dómine, placátus inténde: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno alle presenti offerte: affinché giovino alla nostra devozione e alla nostra salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is. VII:14
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio: e si chiamerà Emanuele.]

Postocommunio

Orémus.
Sumptis munéribus, quǽsumus, Dómine: ut, cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Assunti i tuoi doni, o Signore, Ti preghiamo, affinché frequentando questi misteri cresca l’effetto della nostra salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (232)

LO SCUDO DELLA FEDE (232)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (5)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE I

LA PREPARAZIONE

CAPO III

ART. I.

Il Sacerdote, ed il Popolo si presentano all’altare,

Accompagniamo il Sacerdote, che si avanza nell’interno del santuario sino ai piedi dell’altare a compiere la tremenda missione. Mentre procede a grave passo, col corteggio di tutti i ministri, questo principe della Chiesa, l’accompagnano i cuori di tutti i fedeli, che con varia espressione di sentimenti mandano al trono delle misericordie i voti delle anime bisognose. L’organo, complesso ed insieme di tante voci distinte e diverse, rende immagine dell’unione di tutti gli animi, la vita dei quali sta nel movimento e nella espressione degli affetti. Mentre si suona il preludio, il quale è una successione d’accordi, vagante incerto di dissonanze in consonanze senza ritmica misura e tendente alla sospirata meta della cadenza, si associa perfettamente alle menti dei fedeli. All’udire questi suoi accordi dissonanti pei quali passa come inquieto, e si getta a riposo nell’accordo consonante, tu diresti che voglia esprimere i vari movimenti degli animi, che passano irrequieti pel tempo presente, per gittarsi a riposo nell’eternità.

Genuflessione innanzi all’altare e segno di croce.

Egli s’inchina, o s’inginocchia; e con questo prostrarsi a terra significa, che l’uomo deve cadere a nulla innanzi a Dio, e per render omaggio alla Divinità, deve prostrarsi nella polvere sua primiera per confessare il proprio nulla a Lui, cui tutto dobbiamo, e per adorarlo a nome di tutte le creature (Bona, Trac. ant. 1 cit.). Sorge; si segna della croce dal capo al petto, dall’una all’altra spalla. Questo segno adorabile, che spaventa i demoni, fu usato fin dai primi secoli dai fervorosi Cristiani, che di croce segnavano sé stessi, e le loro azioni (Tertul De Coron. I. cap. 3). Esso chiama la benedizione di Dio sopra di noi, sulle cose nostre, e sulle nostre azioni per i meriti di Gesù Cristo (Mansi, Il vero Eccl. vol. 2, lib. 5, cap. 1). Con esso rammentiamo a Dio Padre, Figliuolo e Spirito Santo il maggior prodigio dell’amor divino. Nel momento, in cui noi vogliamo partecipare alla più grande sua misericordia, e rendergli maggior gloria, col segno della croce, armiamo dirò così, un diritto di aspettare tutte le grazie da  quel Dio, che morì sulla croce per noi; e vogliamo dire col segnarci: « Se abbiamo l’ardimento di alzare la fronte, e presentarci all’altare del Santissimo Iddio, questo avviene, perché siamo coperti della croce di Gesù Cristo. » Gran mistero! Col Sangue di Gesù Cristo, per lo Spirito Santo rimpastala l’umana natura, noi siamo rinati alle speranze eterne, figliuoli divenuti di Dio medesimo. E contenendo questo segno di croce, come insegna s. Tommaso e la Chiesa, i principali misteri di nostra santa fede, noi nel segnarci nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, press’a poco vogliamo dire così: nel nome del Padre, grande Iddio! sì, voi con noi non siete più il terribile Ieova, che agli ebrei non bastava l’animo di pur nominare; ma anche in mezzo alla vostra gloria vi riconosciamo in volto, siete nostro Padre. Eh! Vi siete lasciato conoscere… Sì, vi abbiamo conosciuto proprio per nostro Padre, quando ci avete dato vostro Figlio ad essere nostro fratello, ed a partecipare a noi eziandio il suo Sangue Divino. Deh! E qual degli uomini avrebbe mai avuto ardimento di chiamar Dio col nome di Padre?… Nessuno, nessuno, fosse pur degli angioli. Ma la Madre Chiesa, palpitando sul Cuor di Gesù, che si tiene in seno nel Sacramento, e ne conosce ben tutti i segreti, «su, su, ci dice, chiamate pur Dio col nome di Padre. » Nel nome del Figlio, o Gesù benedetto, li su nel cielo tra i fulgori della vostra gloria avete qualche cosa del nostro, avete della nostra carne, del nostro sangue, siete Voi della nostra famiglia… vita nostra, Gesù! Nel nome dello Spirito Santo; Spirito Santo, Amor eterno del Padre e del Figlio, spirate da Gesù qui con noi in seno al Padre, e travolgeteci nel vortice della beatitudine eterna: coronate l’opera del Padre, che crea, del Figlio, che salva: santificateci voi; alimentateci dell’eterna felicità in seno a Dio. – Quando siamo per pregare, ed anche in tutte le altre occasioni, temendo troppo di comparire innanzi a Dio, e trattare con Lui, colle brutture sull’anima dell’uomo peccatore, affrettiamoci di metterci sotto la croce dì Gesù Cristo, di coprirci colle sue piaghe, di mettere innanzi i suoi meriti, confortandoci con questi pensieri. Per questo la Chiesa prima di tutte le preghiere, in tutte le benedizioni, usa sempre fare il segno della Croce. Noi non lavoriamo pel mondo, nè pel tempo presente; il nostro cuore ha il suo tesoro, a cui Sospira incessante, lassù in Cielo. Giacché essendo noi concittadini del paradiso lavoriamo a conto del nostro Re e Padrone, cui serviamo sulla terra. Segniamo adunque come il Sacerdote sovente il capo, il petto, le membra, anche le nostre azioni colla Croce (S. Hieron. Ep. Ad Eustoc.. S. Ambr. Lib. De Isaac et anima, can. 8), perché al mondo e a’ suoi desideri siam crocifissi, Poiché deve venire il dì della grande giustizia, e l’Angelo di Dio con una spada di fuoco caccerà tutti i reprobi alla sinistra. Benedetto allora chi in quel di sarà in sulla fronte crocesignato, giacché sarà questo il segno dei predestinati pel paradiso. Come in quella notte, in cui l’Angelo vendicatore scorreva per l Egitto a dar la morte a tutti i primogeniti degli Egiziani, passando egli innanzi alla casa degli Israeliti, veduto il sangue dell’agnello, di che erano bagnate le imposte, abbassava il capo in venerazione della figura del sangue di Gesù Cristo, e tirava innanzi senza offendere persona, così alla vista di questo segno di Croce rosso del Sangue di Gesù Cristo, di che saranno bagnate e segnate le nostre teste. s’inchinerà riverente il terribil Angiolo del giudizio, e ci lascerà alla destra, perché per Cristo e con Cristo e in Cristo, tutto abbiam fatto per Dio in ispirito di adorazione e di penitenza.

Art. II.

Salmo: Judica me Deus.

Avvertiam qui per più facile intelligenza di ciò che diremo, che il popolo anticamente accompagnava nella Messa il sacerdote (Ben. XIV loc. cit. cap. X, n. l, cit. op.), cosicché egli rispondeva alle parole, e alle preghiere del Sacerdote, frammischiandovi le sue. Era dunque allora un confortarsi a vicenda, un implorare a vicenda la divina bontà, un eccitarsi a fervore tra il Sacerdote e quelli che erano ammessi ad aver parte con lui al santo Sacrificio. – Presso alcuni popoli d’America, quando un povero supplicante si presenta alle porte di un grande, tocca ad un fanciullo introdurlo alla presenza (Chaleaub). Ora per lo più la Chiesa fa rispondere a nome del popolo da un fanciullo. Bene sta: un’anima Vergine, come un fanciullo pieno di vita e di speranze, è la meglio fatta per entrare con confidenza a parlare con Dio, ed esprimergli il giubilo delle anime ringiovanite alla vita eterna.

Il Salmo Judica me Deus, che si recita a pié dell’altare, è un monumento della severa disciplina ecclesiastica degli antichi tempi. In esso esprimesi in sul principio, come si discernevano i santi dai peccatori con rigore di giudizio. Non tutti i Cristiani venivano ammessi al gran Sacrificio senza riguardo e discrezione. Nei popoli si faceva la cerna colle regole della più rigorosa disciplina: i soli giusti, che avevan conservata l’anima innocente, quale uscì dal battesimo, e i penitenti, che già avevan lavati i loro peccati nel Sangue dell’Agnello, potevano accompagnare il Sacerdote colle parole del santo Profeta. Gli altri intanto si mettevano a gemere alla porta per la disgrazia d’essere esclusi. Ci gi stringe il cuore di compunzione nel ricordare i pubblici penitenti, i quali, non essendo ammessi ai santi Misteri, si fermavano nel portico innanzi alla porta della chiesa. Quivi Vestiti di sacco, cospersi di cenere, con una corda al collo, colle mani giunte sul petto, stavano prostrati per terra quei fervorosi umiliati, ed abbracciavan le ginocchia, cogli occhi pieni di pianto raccomandandosi a quelli che andavano a partecipare al Sacrifizio, più fortunati di loro, cui non era dato entrare! Gran lezione per noi, che portiamo arditamente sino nel più interno del Santuario anime cariche di peccati, senza il più piccolo indizio di penitenza, quasi che la moltitudine dei peccatori autorizzi qualcuno di noi, a profanare il luogo santo colle irriverenze, ed oltraggiare la gran Vittima divina col nostro induramento! – Invitiamo coloro, che han desiderio di entrare nello spirito della Chiesa, che è lo Spirito del Signore, a meditar questo salmo, e a far proprie quelle espressioni, che risvegliano nel nostro cuore le disposizioni colle quali la Chiesa desidera preparare i suoi figliuoli. Sono questi come gemiti inspirati dallo Spirito Santo. Ci voleva Proprio sol questo Santo Divino Spirito, che comprende nella Sua eternità, come tutti i tempi, così tutti gli individui e i loro bisogni, che si facesse interprete delle povere anime nostre. Perciocché quant’è tenero e sublime questo dialogo tra il Sacerdote e il popolo! Il Sacerdote: questo nome rappresenta un uomo incanutito nella tradizione, Un uomo, che visitò i regni della verità, e scorse le rive dell’errore, e fece raccolta a pro degli nomini di saggezza più sublime, che non è quella del tempo. Quest’uomo, nel cui sguardo traggono i popoli a consultarsi, per leggervi pensieri venerandi, porta all’altare per la sua esperienza la cognizione delle miserie della povera umanità: depositario dei secreti di tutti, va per tutti ad offrire il gran Sacrificio. – Quest’uomo ai piè dell’altare è tutto compunto, e mentre con soave malinconia anima se stesso a gettarsi in braccio a Dio, lascia che i suoi figliuoli a Lui si confidino nel presentarsi seco al gran Padre delle misericordie. E questi rinati alla grazia, come un popolo di allegra gioventù, a cui ridono innanzi le più liete speranze, gli dicono le loro contentezze: ma egli da buon padre, sfogando la sua compassione, induce i suoi figli a piangere seco le proprie colpe. E qui un misto di compunzione e di speranze, che l’uomo sollevano alla bontà di Dio! – Noi procureremo d’interpretare questi santi pensieri nella seguente esposizione.

Il Sacerdote. « Io mi accosterò all’altare di Dio, e voi, o Dio della bontà, attiratemi tutto a voi affinché senza perturbazione di spirito, col fervore di un’anima ricreata, venga ad esercitare il ministero mio santo » (Bona in exposition. hui. Ps. Tract. ant. de san. Missæ) cap. 5 § 6.).

Il popolo risponde. « Sì, andiamo a Dio, egli letifica la nostra giovinezza. »  Il popolo del Signore è sempre pieno di gioventù, e di care speranze nella bontà di Dio.

Il Sacerdote. « Giudicatemi, o Signore, e la mia causa discernete dalla gente non santa, e dall’iniquo uomo ed ingannatore liberatemi. » Giudicatemi non col rigore della vostra giustizia; ché qual dei viventi resterebbe così a voi dinanzi giustificato? ma secondo la vostra grande misericordia. Noi non vogliamo più mai aver parte in peccato con quei poveri nostri fratelli, che si perdono nel mondo, commettendo l’iniquità. Deh! o Signore, non confondeteci con loro nel rigor del vostro giudizio; affinché non abbiam parte agli anatemi ed ai castighi contro loro fulminati. Separateci da loro, e tirateci a Voi per pietà, salvandoci dalle loro ingiustizie e da’ loro inganni.

Il popolo. « Oh sì, perché siete Voi, o Signore, la nostra fortezza. Ah! Voi la creatura vostra ributtereste Voi forse? Anima mia, perché te ne vai così trista, se i tuoi nemici cercano affligerti ? »

Il Sacerdote. « Mandateci, o Signore, dal cielo un raggio di quella fede, che ci fa comprendere nella sua grandezza la vostra verità, e questa luce di verità ci scorga, e ci accompagni sin sulla santa montagna, nel tabernacolo santo, dove voi abitate, o Signore. E qual sarà questo monte se non l’altare, il mistico Calvario, in cui Dio cogli uomini sì riconcilia, e poi resta ad abitare con essi (Car. Bona Trac. ant. de Miss. cap. 5, § 4.)?

Il popolo. « Ah sì, noi entreremo all’altare di Dio che letifica la nostra giovinezza! »

Il Sacerdote. « Io canterò sull’arpa le vostre lodi in questa adunanza, e confesserò la vostra misericordia. Grande Iddio, io ho paura per la mia miseria!… Anima mia, perché sei triste così, perché mi conturbi tu!?… » È sorpreso da un sacro orrore; ma gli risponde:

Il popolo. « Spera in Dio, che ha compassione di un’anima, che ne’suoi terrori gli si getta in braccio: Egli sol ci degni di uno sguardo, e ci farà salvi. Egli è il Signor nostro. »

Il Sacerdote. « O Dio! Chi ci fa degni di render merito al Signore di tante misericordie? Sia gloria adunque al Padre, al Figliuolo ed allo Spirito Santo; » e col più ardente fervore piega il capo in compunzione, e si porge pronto ad incontrar tutto per Dio, anche la morte (Card. Bona loc. cit.).

Il popolo. « Sia gloria e lode eterna, com’era da principio, ed è ora, e sarà sempre per tutti i secoli dei secoli. »

Il Sacerdote. « Mi accosterò adunque all’altare di Dio. »

Il popolo. « Sì, del Dio, che letifica la mia giovinezza. »

Il Sacerdote. » Il nostro soccorso è nel nome del Signore. » E si fa in così dire il segno di Croce; perché sui meriti del Redentore crocifisso appoggia tutte le sue speranze.

Il popolo. « Bene sta: Egli ha fatto il cielo e la terra. » Quasi dicesse: « sì, andiam con coraggio a Dio che letifica la nostra giovinezza; e, se è Dio la nostra speranza, la letizia della nostra gioventù, l’appoggio della nostra debolezza, di che temiamo? » Il Sacerdote rassicurato alquanto, s’accorda col popolo in confidare in Dio, e tutto si ripromette dalla sua bontà. Non gli rimane altro che gittarsegli a’ piedi per confessare i suoi peccati, togliere così gli ostacoli, che si frappongono tra Dio e i suoi figliuoli, e lì fanno indegni d’avvicinarsi a Lui.

La Confessione e l’Assoluzione

Confiteor, Misereatur, Indulgentiam.

Il Confiteor è un’umile confessione dei peccati, che fanno a vicenda il sacerdote e il popolo innanzi a Dio, alla presenza della Chiesa. La confessione del proprio peccato Dio aveva ordinato doversi far precedere fino agli antichi sacrifizi, in cui si offrivano agnelli e tori. Il sommo sacerdote, gli altri ministri della legge antica, tutti gli Israeliti, quando portavano la loro offerta, erano obbligati a confessarsi per peccatori con questa parola « Io ho peccato, ho commesso ingiustizia, » La prima disposizione a ricevere i doni di Dio è il cuor vuoto di noi stessi ed il riconoscere che da noi non abbiam niente, che buono sia; perché in verità quello che veramente è tutto nostro, è solo il peccato. Perciò per meritarci compassione e perdono da Dio, quel tutto che possiamo fare è presentarci in umiltà, e pregarlo di rinnovare tutto che vede in noi corrotto per terrena fragilità, o violato per opera del demonio. Il giusto, dice lo Spirito Santo, prima di tutto s’affretta ad accusar  di accusare se stesso e le opere sue (Proverb. XIII,17). Ora il Sacerdote, che, sollevato in mezzo del santuario, deve rendere immagine dell’uomo giusto, ed anzi rappresenta il Capo dei giusti il quale prese sopra di Sé i peccati di tutti, e si presentò in somiglianza d’uom peccatore (ad Rom. VIII, 9); deve precedere agli altri col buon esempio nel sentiero della giustizia. Perciò per praticare la giustizia, rinnovato il segno di croce, protesta solennemente innanzi a Dio, innanzi alla Regina del Cielo, al gran Principe delle Potenze celesti, Michele Arcangelo, a s. Giovanni Battista, innanzi ai santi Apostoli, a tutta la Corte celeste, in faccia a tutta la Chiesa in terra, che egli è troppo gran peccatore, e, picchiandosi il petto in segno della sua gran confusione, si chiama in colpa, e si ripete grande e grandissimo peccatore, e piange il più terribile dei mali, l’offesa di Dio. Il perché non dovrebbe ardire di andare più avanti; ma confida nella misericordia di Lui, della cui bontà abbiamo prove così certe: si mette sotto la protezione di Maria s del beato Arcangelo, degli Apostoli e di tutti i Santi; ed appoggiandosi ai loro meriti ed alle preghiere, si raccomanda ai suoi fratelli di accompagnarlo dinanzi a Dio colle loro suppliche, per Ottenergli il perdono delle colpe, che con dolore confessa di avere commesse coi pensieri, colle parole e coll’opere, per sua gravissima colpa.

Il popolo risponde. « Il Dio nostro è onnipotente, e noi lo preghiamo, che colla sua misericordia rimetta i tuoi peccati, e ti conduca all’eterna vita. »

Quindi è, che la necessità di avvicinarsi alla santa Mensa con un cuor puro rese tanto sovente praticato il precetto della confessione. Poiché il peccatore pentito sente uno stimolo a compiere questo dovere, per molti rispetti così penoso, per la letizia promessa del banchetto divino. Di modo che la pratica della confessione e della penitenza è strettamente legata alla fede della Comunione di Gesù Cristo (Wiseman, Conferenze sulle dottrine e pratiche più importanti della Chiesa catt. Conf. 16.). Non è quindi da far meraviglia, se i protestanti, quando spensero il fuoco del sacrifizio coll’abolire la santa Messa, abolissero anche la sacramentale confessione, e togliessero agli uomini il conforto di sentirsi riconciliati colla virtù del Sangue di Gesù Cristo. Essi non hanno più bisogno di prepararsi a comunicare con Dio! – Questa confessione al principio della santa Messa ricorda la confessione dei peccati, che per ricevere il perdono si usava altre volte fare pubblicamente. Tempi fortunati eran quelli, in cui la vera fede veniva provata nel crogiuolo delle tribolazioni, dal fuoco delle persecuzioni. Allora ascriversi al numero dei fedeli seguaci di Gesù Cristo» importava avere il coraggio di dare il nome alla proscrizione, ed aspettarsi intrepidamente la morte in premio delle più grandi virtù e dei maggiori sacrifici che essi facevano, rinunciando alle speranze di un secolo, largo promettitore. – Figuriamoci quegli uomini traditi dai loro congiunti, rifuggiti nelle caverne, quasi belve feroci, quivi pur cerchi a morte, quando era loro concessa la sorte di potersi trovare insieme a celebrare la santa Messa nei sotterranei col loro Vescovo, che era la prima testa designata al patibolo, e che mostrava Sovente le onorande ferite e le membra mutilate, per essersi confessato Cristiano. Quando il Vescovo cominciava in mezzo a loro a confessarsi pel gran peccatore, doveva essere uno scoppio di pianto universale la risposta di quei santi confessori, i quali gareggiavano con lui a confessarsi pur essi per peccatori; come con lui gareggiavano nel dichiararsi Cristiani, e durar fermi in mezzo a quelle terribili prove delle persecuzioni. Picchiandosi tutti il petto, gridava ciascuno essere sua la grandissima colpa, e chiedevan a calde lagrime misericordia a Dio, aiuto ai Santi del Paradiso, e perdono al Vescovo padre: come il padre chiedeva perdono ai suoi figli: e tutti insieme perdono a Dio, per correre poi tutti insieme, come figliuoli perdonati, in seno al Padre eterno, al celestiale convito. – Deh! in qual miseria siamo venuti noi! Con una disinvoltura che fa spavento, si passa dalle baie del secolo, dalle tresche, dai peccati tranquillamente ad assistere nella Chiesa ai più tremendi misteri! Qui tutta la Preparazione sta in un’occhiata di leggerezza e di curiosità intorno, intorno, per divagarsi da una noia mortale, che già si sente prima di averla provata. Chi è di noi che si raccoglie a compunzione? Chi sente il terror dell’uomo peccatore nel luogo santo? Chi geme sprofondato nelle proprie miserie in faccia ai santi altari, e picchiandosi il petto in umiltà col buon Pubblicano (Luc. XVIII, 13), si fa coscienza di dire, gemendo: « Ah! Signore, dove mi trovo io miserabile, come sono, in questo momento tremendo! dove mi nascondo così gran peccatore, ora che il cielo si deve abbassare alla terra » e sta per comparire l’Uomo-Dio in mezzo di noi! O Dio della misericordia, siate propizio a noi peccatori! » Noi no, non ci commoviamo più che tanto. Oh! siam noi adunque i farisei superbi cui pareva aver già fatto troppo per Dio, se lo degnavano d’una svogliata e sprezzante presenza? Ma ecco: allora partivano ì nostri padri santificati dai sacrifizi; e noi ripartiamo peccatori col soprassello delle nostre villanie orgogliose e delle irriverenze sacrileghe. Allora il Sacerdote si sentiva in obbligo di rispondere consolanti parole a quelli, che lo intenerivano colla confessione delle proprie colpe; adesso dovrebbe sollevare gli occhi al Crocifisso, e sclamare nell’amarezza di un santo zelo: O Signore, alcuni di questi non sono più vostri adoratori! piegarono, (bisogna dirlo), il ginocchio a Baal, al mondo, ed al demonio, ché par disdegnino di piegarlo innanzi a Voi, né si curan punto di supplicarvi del vostro perdono! Ah! pesa così poco in questi poveri tempi, o gran Dio, pesa così poco sul cuore umano l’essere in vostra disgrazia! » – Però, se molti più non pensano di confessarsi per peccatori e giudicarsi adesso, cioè fare nel mondo i proprii conti colla misericordia di Dio, per iscampar dal rigore della giustizia sua nell’eternità; la Chiesa perdura sempre nei suoi gemiti, e nel suo dolore, e vuole che il chierico a nome del popolo faccia la santa confessione. Ma deh! mentre il fanciulletto con aria da spensieratello chiama Dio in testimonio dei nostri peccati ed insieme del dolor nostro, e la Vergine, che fu sì bene preparata alla santa destinazione di portar Gesù Cristo, e l’angelo, che fulminò il capo degli empi, che alzarono la testa in peccato contro Dio, e cacciatili dal paradiso li confinò nell’inferno, e s. Giovanni, il miglior degli uomini, perché esser doveva l’amico dello Sposo; e Pietro e Paolo, che piansero tanto, e tanto fecero di bene per soddisfare le colpe commesse, e tutta la Chiesa, che è in Cielo gloriosa, e fondata in terra sulla distruzione del peccato, noi colla coscienza carica e forse fetente di freschi peccati, noi duriamo lì insensibili, impenitenti? Noi così facciam insulto colla nostra presenza alla santità del Dio vivente, noi offendiamo tutta la Corte celeste, noi oltraggiamo l’eterna giustizia; e stiamo a vedere, che noi ci ridiamo della collera di Dio stesso? Deh! Tremiamo, almeno, quando recitiamo il Confiteor col Sacerdote, perché in quel momento Iddio penetra l’anima nostra col suo sguardo divino, e ci scruta le reni, e conta fino i pensieri ignoti pure a noi stessi. Eh! se Egli entra adesso con noi in giudizio, noi siam perduti, e già c’ingoia l’inferno! Affrettiamoci di buttarci ai piedi di Dio per confessarci colpevoli, ed implorare mercé. Diciamo: Confiteor: « Io mi confesso, » cioè io m’accuso a Voi, grande Iddio; voi avete creato ad immagine vostra quest’anima mia, figlia del vostro amore; ella deve esser felice in seno a Voi; io la buttai a sollazzo nelle creature; m’ingolfai nel peccato: ecco la povera anima mia, la vostra immagine insozzata di tante brutture. È mia colpa! Voi mi avete ricreato nello Spirito Santo col vostro Sangue ch’io profanai, ed oh quale tristo abuso io n’abbia fatto, Voi lo sapete! Ah mia grande colpa! Non basta: meravigliate, o cieli! Voi, o Signore, volete ancora sacrificarvi sull’altare, Voi darvi tutto a noi stessi; ed io qui senza fede, senza dolore, senza compunzione, noiato del vostro dono, non ho per Voi neppure un sol pensiero! Oh mia grandissima colpa! – Sacerdote e popolo piangiamo a gara i nostri peccati: ed allora, oh quale armonia di gemiti, che spettacolo commovente qui! Un popolo compunto, che apre l’anima, e mostra piangendo le piaghe dei cuori, e sfoga l’amarezza del suo dolore in seno a Dio ed ai Beati! Intanto il paradiso è aperto sopra di noi, e Gesù Cristo, e Maria, e gli Angeli, e i Santi, e la Chiesa in cielo cara a Dio pei suoi trionfi, e la Chiesa in terra cara a Dio pei suoi travagli, e il Sacerdote ai piè dell’altare, che coperto della croce di Gesù Cristo, fatto degno di farla da mediatore tra Dio e gli uomini, mette innanzi i meriti di Gesù Cristo! Intenerito dalla preghiera con cui il popolo per lui implora la divina misericordia, prima per sentimento di gratitudine fa pel popolo la stessa orazione, che il popolo ha fatto per lui: poi per compiere la sua funzione di pacificatore e di riconciliatore degli uomini con Dio, per la ragione del perdono che vuol concedere, mette innanzi l’onnipotenza e misericordia di Dio, cioè confessa, che per perdonare i peccati, e ricreare nell’innocenza un’anima, ci vuol tutta l’onnipotenza e misericordia di Dio. Omnipotens et misericors Deus!… Questa è una gran verità. Egli è più grande miracolo della divina potenza perdonare un peccato come insegna s. Tommaso, che creare l’universo. Perché per creare l’universo bastò una parola di Dio onnipotente; e per perdonare il peccato si vuole il miracolo di tutti i miracoli il più grande, il miracolo di Dio, che paghi il debito infinito col morire pel peccato. –  Quindi fuori della Religione cristiana il peccato commesso deve essere incancellabile; perché il male fatto non si può mai fare, che fatto non sia, ed il rimorso dovrebbe gettarci nella disperazione. Anche i protestanti, che pur ammettono Dio perdonare il peccato, ma però solo col coprirci dei meriti del Salvatore, tengono che sotto l’applicazione della giustificazione rimanga ancora incancellabile la colpa. Così, secondo essi, al disgraziato, che fu peccatore, può bene non essere imputato il peccato; ma egli porterebbe la piaga scolpita nell’animo sempre, e, fosse pure in paradiso, là pure sentirebbe la colpa anche in seno a Dio. Sconsolante dottrina! Quanto invece è veramente dottrina di grazia questa della fede cattolica, la quale insegna, che il Verbo divino colla più grande opera della sua onnipotente misericordia ricrea l’anima del peccatore, rimpasta, per dir così secondo l’energica espressione di Tertulliano (Lib. De pudicit.),  l’umana natura nel suo Sangue imbevuto di virtù creatrice divina, e così la rinnovella a vita eterna; onde frutto della passione di Gesù Cristo e sua morte di croce è la ristorazione e il ritorno dell’umanità all’innocenza e santità. L’uomo adunque, perché ha peccato, è in potere della morte, la quale è il salario e la vendetta del peccato; ma i fedeli, che colla faccia a terra confessaronsi d’essere decaduti dinanzi a Dio; alla benedizione del Sacerdote fattosi il segno della croce, terminata l’orazione della remissione dei peccati si raddrizzano sulla persona per significare, che per la grazia e virtù di Gesù Cristo ridonati alla vita, sì avviano al Padre di tutti i beni. – Preposte queste riflessioni, speriamo s’intenderà meglio il senso di quell’orazione, che accompagna l’assoluzione, detta il Misereatur e l’Indulgentiam. Dice adunque il sacerdote:

Misereatur.

« L’onnipotente Iddio usi con voi tutta la sua misericordia; e con essa, perdonandovi i vostri peccati, vi conduca a vita eterna. »

Indulgentiam.

« Sì, l’indulgenza, l’assoluzione, e la rimessione dei peccati nostri ci conceda l’onnipotente e misericordiosissimo Iddio. »

Qui rialzandosi alquanto il Sacerdote pare dica al popolo: « fate coraggio, coperti della croce di Gesù Cristo, leviamoci su, gettiamoci abbandonati tra le braccia della bontà di Dio, troveremo all’altare un Dio un Padre, che ci vuol dare tutto il bene. » Poi si rivolge a Dio con tale una confidenza, come chi sa d’aver tutto ottenuto dalla sua bontà. e dice:

Il Sacerdote. « O Signore, basta solo che vi degniate di volgerci uno sguardo, e ci farete rivivere sicuramente. »

Il popolo risponde. « Si veramente il popolo vostro ne andrà lietissimo, se vi degnerete.

Il Sacerdote. « Mostrate a noi dunque la vostra misericordia. »

Il popolo. « Donatela come il pegno più sicuro di nostra salute. »

Il sacerdote. « Signore, io vengo, ascoltate la mia preghiera. »

Il popolo. « Signore, il nostro grido giunga a Voi in questo santo momento. »

Il Sacerdote. « Fratelli, îl Signore sia con voi, »

e prega lo spirito di orazione a preparare il popolo a trattare con Dio.

Il popolo. « Ed accompagni anima tua, che ha tanto bisogno, lo Spirito del Signore, in questo officio di tanta pietà » (o. Chrys. hom. 14. in ep. ad Rom. et hom. 36 in 1 ad Cor.).

Il Sacerdote. « Via adunque preghiamo. »

Il sacerdote stende le palme, e S’avvia su pei gradini, che significano la via della perfezione, che conduce al cielo, e tutto raccolto in se stesso, camminando su quella mistica scala, sente tutto il peso della propria infermità, e un santo terrore lo ributta dall’altare del Dio vivente. Colla coscienza più che colla voce gemendo sulle sue miserie, protende tremanti le braccia verso la croce, e sale dicendo in secreto: « Per pietà togliete, o Signore, da noi le nostre iniquità, onde possiamo con un’anima tutta piena di casti pensieri entrare al Santo dei Santi. Deh! fatelo per pietà, per li meriti di Gesù Cristo nostro Signore. »

Bacio all’Altare.

Giunto sull’altare il Sacerdote stende le mani come in atto di abbracciarlo, e lo bacia dicendo: « noi vi preghiamo, o Signore, per i meriti dei Santi vostri, di cui son qui le reliquie, e di tutti i Santi a degnarvi d’usare indulgenza a tutti i nostri peccati. » – Questo bacio, che dà il sacerdote all’altare, a cui si tiene abbracciato, è uno dei riti, che inteneriscono alle lacrime chi bene l’intende. Esso significa la carità, che in Gesù Cristo abbraccia tutti i fedeli, e ricorda ancora quei tempi d’ingenua semplicità e di fervore, in cui i fedeli con un’anima bella d’innocenza battesimale trovatisi nel luogo santo si baciavano l’un l’altro in carità, e vuol dire, che ci dobbiamo amare come fratelli qui, e poi formare una sola famiglia col Padre nostro in cielo. Questo bacio significa anche il baciar, che facevano essi le tombe dei martiri, come noi le sante reliquie. – Significa poi finalmente un atto di ossequio e di umiltà, con cui il Sacerdote bacia quel sasso, su cui deve posare Gesù Cristo, baciando coll’anima le vestigie della santa sua umanità, come la peccatrice gli baciava i santi piedi, bagnandoli di caldo pianto (poiché l’altare cristiano è la mistica pietra, che rappresenta Gesù) (S. Thom., 3 par., qu. 83, art. 3, ad 5); come usano anche gli orientali, quando debbono essere introdotti innanzi ad un sovrano, o ad un grande, baciare la soglia nel presentarsi alla porta: come si baciavano dai fedeli anche le soglie delle chiese (S. Paul. in Nat. 6, s. Felic.). – Pertanto il sacerdote portando sull’altare nel suo cuore il cuore dei fedeli, bacia coll’anima in fronte tutti, e le reliquie dei Santi insieme con essi; e nell’atto che si prostra sull’altare, che è la porta del cielo, per cui s’introduce innanzi al trono dell’Eterno, allarga le braccia con questo bacio sopra l’altare, in atto di stringere al cuore Gesù ed unire questi suoi fratelli tribolati in terra con quelli già felici in patria, per averli insieme a beatitudine in seno a Dio. Oh! come il Sacerdote qui rappresenta bene l’amabilissimo Redentore divino in quel bacio di riconciliazione, che il divin Figliuolo dà all’umana natura, a quella povera carne segnata dal marchio di dannazione, in quell’atto, in cui allargando sulla croce le braccia, colle mani piene di sangue, purifica tutti, e gli raccoglie nel suo tenero cuore; e abbassa in sul morire il santo capo sul petto per dire agli uomini questa benedetta parola: « Coraggio, vi ho redenti!!! » Pare anche che qui si rinnovi invisibilmente la commovente Scena, che con caratteri così toccanti descrisse Gesù, del ritorno del figliuol prodigo: e che Dio appunto in questo istante accolga fra le braccia della sua misericordia i figliuoli ravveduti, ché gli corrono a piangere in seno: e che risponda loro, consolandoli col bacio del suo perdono, per introdurli poi al gran convito divino. – Conchiuderemo col devoto cardinal Bona (loc. cit.) proponendo che ogni volta, ch’imprimeremo sull’altare un bacio, per noi sarà accompagnato da un tenero atto d’amore verso Gesù Cristo Signor nostro e Padre, con un intenso desiderio di stare come membra a Lui uniti per sempre, come gli sono già i Santi, dei quali qui veneriamo le reliquie (Pouget apud Ben. XIV, loc. cit.).

Introito

Dopo il bacio di pace i fedeli si recavano ciascuno al proprio posto nelle chiese antiche, e i cantori in questo frattempo, finché tutti all’ordine fossero disposti, cantavano brevi salmi; e questo canto chiamavano Introito; perché in questo mentre ciascuno entrava nel proprio luogo. Nell introito si annunzia la funzione, e si dà principio alla solennità in quel canto, in cui il popolo esilara il suo cuore, e respira nella soave emozione della pietà. È per lo più ora un estratto dei Salmi, esprimente uno sfogo d’affetti; ora è uno slancio di esultanza: ora un gemito di contrizione, oppure un ricordo del mistero, che si va celebrando, ed un invito a goder santamente nel Signore coi Beati, di cui celebra la festa. Termina col Gloria Patri: così additando che tutto deve terminare a gloria della SS. Trinità, essendo essa principio e fine d’ogni cosa. Poi gode ripetere la soave espressione, con cui ha cominciato a giubilare. Ciò ben ci ricorda, che così lavorando a gloria di Dio, raccoglieremo consolazioni, che dureranno eterne, quando assorti in Dio ricominceremo un gaudio, che non avrà fine mai più. – Il sommo Pontefice Innocenzo II dice, che l’introito, essendo per lo più un estratto dai libri dell’antico Testamento, esprime i voti ed i desideri, con cui gli antichi Padri sospiravano il Messia (Ben. XXIV, loc. cit.). E intanto noi siamo freddi e vuoti di cuore senza che ci spiri mai dentro un’aura d’affetti a darci un po’ di vita. Però, se noi ci sentiamo abbandonati in tanta aridezza, e non è mai che una stilla ci piovi di Cielo, a rinfrescarci l’anima di qualche consolazione, lo dobbiamo attribuire al viver nostro spensierato di Dio, a questo nostro intervenir che facciamo alle sante funzioni, senza che il cuor nostro vi prenda parte, e senza richiamarvi tutti i pensieri, affine di accompagnare l’offerta del Sacrificio. Noi piangeremo col Profeta la cagione della mancanza di devozione ai nostri di, e diremo: La terra tutta è desolata, perché ormai non v’ha più nessuno, che raccolga i pensieri a meditar Dio, l’eternità, l’importanza di salvar l’anima, la vanità del mondo, che passa via colla rapidità del baleno, ed i santi misteri che celebriamo. Ora a noi consolati del perdono di Dio, bisognosi di tutto, non resta altro che ricorrere a Dio colla preghiera.