LA GRAZIA E LA GLORIA (57)

LA GRAZIA E LA GLORIA (57)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO XI

IL CARATTERE SOPRANNATURALE E GRATUITO DEI DONI FATTI DA DIO AI SUOI FIGLI. – UN’ULTIMA PAROLA SULL’ECCELLENZA DELLA GRAZIA E DELLA GLORIA.

CAPITOLO PRIMO

La vera nozione del soprannaturale e del gratuito.

1. – Se vogliamo avere una nozione chiara e certa del soprannaturale, è importante studiare innanzitutto i principali significati che vengono attribuiti alle parole naturale e natura; così, essendo questi termini correlativi, è attraverso il secondo che possiamo risalire al significato preciso del primo. Nella terminologia scientifica spesso si chiama natura, o meglio, esseri e cose della natura, le sostanze materiali, e soprattutto quelle che fanno parte del mondo organico. Da qui le espressioni usate di scienza naturale, di storia naturale, di spettacolo della natura. Da qui proviene, tra i nostri studiosi più o meno intaccati dal materialismo, l’uso abusivo della parola “soprannaturale” per caratterizzare tutto ciò che si eleva al di sopra delle cose e dei fenomeni materiali, Dio, l’anima e gli spiriti. Per la filosofia tradizionale, la natura, in senso stretto, designa la sostanza di ogni essere o, se vogliamo parlare più precisamente, ciò che in ogni essere sostanziale è il principio fondamentale delle operazioni che esso compie e delle modifiche che può subire sotto l’azione di agenti esterni. È in questo senso che noi parliamo della natura umana e della natura angelica. – Di conseguenza, il termine « naturale » sarà usato per riferirsi a tutto ciò che è connesso alla natura, presa in quest’ultima accezione; agli elementi che la costituiscono; alle proprietà che ne derivano; ai movimenti di cui essa è causa; alle perfezioni che tendono a completarla, o perché la natura le trae dal suo stesso fondamento, o perché ne porta solo il germe, che si svilupperà sotto l’influenza dell’esterno; al destino finale che risponde alla sua essenza; ai mezzi necessari per operare e muoversi verso questo fine ultimo. Così il corpo e l’anima sono i principi naturali dell’uomo; la proprietà naturale dello spirito è l’immortalità; il pensare, il volere sono operazioni naturali della creatura ragionevole; naturale è ancora la mozione divina o il concorso senza il quale nessuna attività creata potrebbe entrare in azione (Il naturale ha anche come controparte l’innaturale e l’antinaturale: ma non dobbiamo occuparci di questi ultimi, poiché il nostro scopo è solo quello di portare alla luce il soprannaturale). – E poiché la parola natura può significare non solo una sostanza particolare, ma l’intero corpo degli esseri creati e delle sostanze finite, sia che appartengano al mondo dei corpi sia che costituiscano il mondo degli spiriti, possiamo ancora classificare tra le cose che hanno il carattere di naturale tutto ciò che una creatura può operare per virtù propria in un’altra creatura, e ciò che essa stessa ne riceve: poiché, in entrambi i casi, il principio dell’effetto sarà incluso tra i confini estremi della natura. – Chiameremo quindi soprannaturale qualsiasi realtà, di qualunque tipo, che non rientri in una di queste categorie del naturale. Tale è la nozione di soprannaturale nel senso più rigoroso del termine. È una perfezione che non appartiene alla costituzione della loro natura; che non emana né può emanare da questa stessa natura come sua proprietà, sua risultante o suo effetto; che non può essere prodotta in essa da alcuna causa principale (se qualche agente creato, spirito o corpo, potesse produrla come causa principale, cesserebbe di essere soprannaturale, poiché questo agente apparterrebbe esso stesso all’ordine della natura). Il soprannaturale stesso non esclude l’azione di uno strumento creato, perché l’azione dello strumento, considerato come strumento, è l’azione della causa principale che lo impiega per la sua opera. Così Dio, causa principale della grazia, la produce in noi non solo con Se stesso, ma anche con i Sacramenti, come mediante cause strumentali. Diciamo ancora di più: esso non esclude, almeno quando si tratta di operazioni, la principale causalità della creatura; tanto meno i nostri atti meritori, di cui siamo certamente la causa principale. Ma allora non è questa la natura che opera con le sue forze native; è la natura elevata, potenziata, soprannaturalizzata dalla grazia e dalle virtù infuse. È una perfezione, infine, che Dio stesso produce senza presupporre nella natura alcuna disposizione positiva, alcun titolo, alcuna esigenza legittima che la rivendichi. Se si elimina l’una o l’altra di queste condizioni, si può avere forse un soprannaturale ridotto, ma non si conserva certo il soprannaturale propriamente detto, quello che i teologi hanno chiamato il soprannaturale rispetto alla sostanza, Supernaturale quoad substantiam. – Diamo alcuni esempi a sostegno di questa tesi. Un Angelo trasporta un corpo solido senza l’aiuto di alcuna forza materiale, e persino contro la resistenza che le sue forze oppongono. Questo è solo un fatto soprannaturale molto incompleto, perché, oltre al fatto che questo spirito angelico fa parte delle nature create, non c’è assolutamente nulla che impedisca alle forze decuplicate, o centuplicate se necessario, di una causa visibile di produrre un effetto simile. Che Gesù Cristo, con la sua onnipotenza, richiami Lazzaro dal sepolcro, nessuna energia creata potrebbe farlo; ma la vita che Egli restituisce a Lazzaro è quella che egli aveva ricevuto un tempo nel grembo di sua madre; e di conseguenza, se c’è qualcosa di soprannaturale nel modo di produrla, c’è solo qualcosa di naturale nel termine prodotto. È Dio, e solo Dio, che crea l’anima umana e la unisce al corpo che anima: ma vedo nella natura non so quale organizzazione rudimentale che richieda l’anima, e non avrebbe ragione di esistere, se la materia così disposta non fosse animata da un principio di vita. Ecco perché questa produzione, per quanto divina, appartiene ancora all’ordine della natura. – Mi si permetta di spingere queste applicazioni ancora più in là, perché esse gettano luce su nozioni astratte e sono meravigliosamente adatte a eliminare la confusione di idee, così pregiudizievole in una questione che tocca l’essenza stessa dell’ordine della grazia. È una dottrina indiscutibile che ogni causa creata abbia bisogno dell’assistenza concreta di Dio per poter compiere la minima delle sue operazioni. Diremmo che questi atti in cui la causa suprema ha la parte principale siano atti soprannaturali? In nessun modo: perché Dio deve alla natura, o meglio all’Autore della natura deve a Se stesso, darle tutto ciò che è necessario per lo sviluppo della propria attività; ed è per questo che il moto divino stesso è, in questo ordine, un moto puramente naturale (ciò che la natura non richiederebbe sarebbe un’azione di Dio che la facesse passare in un ordine di attività superiore alle sue potenze native). Supponiamo che a Dio piaccia, come ha fatto, si dice, con illustri teologi (Alberto Magno, per esempio, e Francesco di Suarez, secondo una rispettabile tradizione), trasformare una mente mediocre in un genio che ci stupisca per la sua profondità; questo vigore dell’intelligenza sarà altrettanto naturale che gli occhi miracolosamente restituiti ai ciechi da Gesù Cristo: poiché, in fondo, non è che un più pieno dispiegamento delle forze latenti nella natura ragionevole. Supponiamo ancora che Dio, per un singolare privilegio, riveli a questo stesso uomo i segreti più nascosti della scienza, intendo quelli in cui rientri lo studio delle opere divine (« Per ea quæ facta sunt », Rom., 20.); questa scienza infusa sarà naturale nella sua essenza, anche se il modo in cui viene acquisita supera i poteri della natura. – Pertanto, come abbiamo giustamente detto, per avere il soprannaturale totale e completo, dobbiamo abbracciare tutti i caratteri precedentemente enumerati. Dove non si trovano insieme, si avrà, a seconda delle diverse ipotesi, solo il naturale semplicemente detto, o il soprannaturalemescolato al naturale, cioè il soprannaturale quanto al modo, il soprannaturale incompleto, il soprannaturale per accidente (quod modum, secundum quid, per accidens).

2. – Aggiungiamo una triplice osservazione. La prima è che la parola naturale ha dei sensi che non la oppongono al soprannaturale. Lo abbiamo già visto per due termini che sono abbastanza ben compresi, anche se la nostra lingua non ne ha ammesso l’uso: il non naturale e l’innaturale. La stessa mancanza di opposizione si riscontra quando si vuole designare con naturale solo ciò che sia conforme alla natura, ciò che la perfeziona. Da questo punto di vista, nulla è più naturale dei doni soprannaturali; in altre parole, beni che non hanno la loro ragion d’essere né nei principi, né nelle proprietà, né nella dignità, né nelle esigenze della natura, poiché il loro compito è quello di elevare la natura al di sopra di se stessa. – Era abitudine di Sant’Agostino, nelle sue controversie con il pelagianesimo, considerare la natura umana tale com’è non per i suoi principi costitutivi, ma come è uscita dalle mani del suo Autore rivestita di giustizia originale e tutta splendente di grazia. È evidente che, secondo questo modo di vedere le cose, i doni più soprannaturali appartengono di per sé all’integrità della natura così intesa, e che privati degli stessi doni dalla colpa originale, la natura viene denaturata, corrotta, viziata. Questa nuova osservazione è di grande importanza per una corretta comprensione del pensiero del santo Dottore; ed è proprio perché ne hanno frainteso la portata che i nemici della grazia più o meno mascherati hanno preteso di trovare nelle sue opere un sostegno alle loro teorie errate.  – Possiamo quindi, usando la terminologia di Agostino, dire in tutta verità che per Adamo la grazia era naturale, poiché era il suo privilegio primordiale. Sarebbe ancora così per noi, se il peccato non avesse invertito l’ordine divinamente stabilito; infatti, nascendo all’esistenza, noi riceveremmo la natura umana come il padre degli uomini l’ha ricevuta all’origine, non solo perfetta nei suoi principi, ma arricchita di tutti i doni soprannaturali della giustizia e della grazia. Per noi, invece, la santità non è più naturale, perché non ci deriva dalla nostra origine; piuttosto, ciò che è naturale per noi è l’essere figli dell’ira, « natura filii iræ », poiché, in virtù della nostra discendenza, riceviamo la natura umana spogliata della bellezza soprannaturale che doveva renderla gradita al suo Autore. – La terza ed altrettanto importante osservazione riguarda l’espressione « esigenze della natura ». Il soprannaturale, abbiamo detto, supera le esigenze della natura. Le “esigenze” non sono la semplice capacità di ricevere. Quante cose, nell’ordine ordinario della vita, possiamo ricevere, senza avere un titolo per esigerle! L’esigenza aggiunge all’idea di capacità come un certo diritto a ricevere. Tutta la natura è un principio di attività; quindi, in virtù di ciò che è, esige le condizioni necessarie per il dispiegamento delle forze di cui è dotata. Può darsi che cause particolari ostacolino il normale esercizio delle facoltà native di questo o quel rappresentante della natura; ma una legge che negasse universalmente alla natura i mezzi per agire e di perfezionarsi nella propria sfera, non sarebbe più nell’ordine della sapienza. – Tutta la natura, e in particolare la natura ragionevole, ha la sua destinazione finale, in relazione alle attitudini che trova in se stessa e alle sue perfezioni innate; essa può dunque solo legittimamente rivendicare i mezzi per muoversi verso questo destino supremo e raggiungerlo attraverso l’uso che fa di questi mezzi. Fondamentalmente, queste due cose, il perseguimento del proprio destino naturale e lo svolgimento ordinato della propria attività naturale, non sono distinte. Per la natura è la stessa cosa raggiungere il suo fine ultimo e arrivare al perfetto sviluppo delle operazioni superiori di cui porta il germe ed il seme. Pertanto, tutto ciò che andrà solo verso questo fine e che, di conseguenza, non eleverà la creatura ragionevole ad un ordine superiore di operazioni, cioè non la renderà capace di produrre atti sproporzionati alle sue facoltà native, rientrerà nel dominio e nelle esigenze della natura. Al di sopra di questo c’è il soprannaturale in tutta la sua indipendenza e in tutta la sua gloria. – Potremmo riassumere il tutto dicendo che il soprannaturale è tutta la perfezione della natura, al di fuori e al di sopra delle sue esigenze: escluderemmo così ciascuno degli elementi che abbiamo visto rientrare nel naturale. La natura, infatti, esige i principi che la costituiscono, le proprietà e le facoltà che derivano dagli stessi principi e la libera perfezione che trova nelle sue operazioni, e di conseguenza tutte le condizioni ed i complementi necessari all’esercizio della sua attività fisica, intellettuale e morale.

3. – È facile capire che il soprannaturale e la grazia, intesi secondo il significato principale del nome, esprimano una stessa cosa, da due punti di vista diversi. Non è necessario ritornare sui molteplici significati che l’uso ha dato alla parola « grazia »: si possono ritrovare nel secondo libro di quest’opera (cfr. T. I, L. II, c. 4.). Prendiamo dunque la grazia come un dono che Dio fa alla creatura ragionevole, e vedremo che essa si fonde con il suprannaturale, come al contrario il gratuito, cioè il debito o il dovuto, riconduce al naturale. – A questo proposito, ascoltiamo la bella dottrina di San Tommaso d’Aquino: « La grazia, per il fatto stesso che è un dono gratuito, esclude un doppio dovuto (debitum). Esclude ciò che sia dovuto alla persona, cioè ciò che deriva dal merito: infatti, dice l’Apostolo, “a chi lavora, la ricompensa non è imputata come grazia, ma come debito” » (Rom. IV, 4; coll. de verit. Q. 6, a.2; q. 26, a. 6; Rom. IV, 4). Essa esclude il dovuto alla natura, come sarebbe per l’uomo avere l’intelligenza e altre proprietà che derivino dalla sua essenza. « Tuttavia – aggiunge – se in un senso o nell’altro si parla di debito o di un dovuto, non è che Dio stesso sia obbligato nei confronti della sua creatura: piuttosto, è che la creatura debba essere così sottomessa a Dio che l’ordinazione divina si compia in lei: l’ordinazione della Sapienza infinita che, per una tale natura, ha definito tali proprietà e tali condizioni, e per tali opere, tale ricompensa.  Ora – conclude l’Angelo della Scuola – i doni naturali non appartengono al primo dovuto, ma rientrano nel secondo; quanto ai doni soprannaturali, né l’uno né l’altro si addicono ad essi; ed è per questo che portano in modo speciale il nome di grazia » (S. Thom. 1.2, q. 111, a. 1, ad 2; col. de Verit, q. 6, a. 2; q. 26, a. 6. È vero che ci sono doni soprannaturali che sono dovuti al merito, per esempio l’aumento della grazia e della gloria; ma questo merito non è il merito della natura, escluso dal santo Dottore; è un merito fondato sulla grazia e che la presuppone. Da qui la formula di Sant’Agostino già citata: Deus coronando merita nostra coronat dona sua). – A suo tempo, e conformemente agli stessi principi, aveva risolto una controversia che, a quanto pare, divideva alcuni teologi del suo tempo. Alcuni sostenevano che tutto ciò che Dio fa, lo produca per puro e semplice piacere; altri, al contrario, che in tutte le sue opere interviene qualche debito (debitum) che determina la sua Operazione. « Ora, entrambe le opinioni sono palesemente false: la prima è falsa perché annienta l’ordine necessario che deve legare insieme gli effetti della potenza divina; la seconda è falsa perché suppone che tutto proceda da Dio per necessità di natura. La verità si trova tra questi due estremi. Ciò che Dio ha voluto dal principio, cioè le nature sussistenti, procede da Lui per semplice volontà: su che cosa si potrebbe fondare il debito che ne motiverebbe la creazione? Ma su questi primi effetti della semplice liberalità di Dio si innesta un debito. E quale? Che cos’è questo debito? Quello che fa donar loro tutto ciò che è necessario per il normale complemento del loro essere e della loro attività. Che un re crei un cavaliere tra i più umili dei suoi sudditi è pura liberalità; ma, una volta supposta questa elevazione volontaria, egli deve fornire al nuovo cavaliere il cavallo e l’equipaggiamento adatto al servizio del principe. Tuttavia, se Dio può essere debitore, lo è a rigore solo verso la propria sapienza e volontà, ma non verso la sua creatura » (De Verit., q. 6, a 2; col. 23, a. 6 ad 3). – Aggiungo un altro testo del Dottore Angelico, non tanto per chiarire nozioni già sufficientemente chiare, quanto per mostrare con quale ingiustizia i teologi del Medioevo sarebbero stati accusati di non aver distinto con sufficiente chiarezza il soprannaturale dal naturale, o la grazia dalla natura. Si chiede se ci sia giustizia in Dio. Un’obiezione che tenderebbe a negarla è che l’atto di giustizia consiste nel rendere ciò che è dovuto. E poiché Dio non deve nulla a nessuno, sembra che non possa avere in Sé la perfezione della giustizia. La risposta a questa difficoltà ci riporterà, in altra forma, alle stesse idee che abbiamo già incontrato nelle opere del grande teologo. – « Ciò che è dovuto a qualcuno è ciò che è suo. Ora, una persona ha il diritto di considerare come proprio ciò che sia ordinato per essa e verso di essa… Quindi la parola “dovuto” porta nel suo concetto una certa esigenza, basata sull’ordinazione di una cosa per un’altra. Così, i frutti di un giardino sono dovuti al proprietario, perché l’ordine gli dà il diritto di rivendicarli come propri. Ora ci sono due ordini da considerare nelle cose. In primo luogo, l’ordine in virtù del quale il creato è ordinato al creato, ad esempio le parti al tutto, gli accidenti alle sostanze e le sostanze stesse al loro fine; in secondo luogo, l’ordine superiore in virtù del quale ogni creatura è ordinata a Dio. Di conseguenza, il dovuto può essere coinvolto in due modi nelle operazioni divine: o come dovuto a Dio, o come dovuto alla creatura. – Dio rende il dovuto in entrambe le forme. Ciò che è dovuto a Dio è che le cose create rispondono ai decreti della sapienza divina e dimostrano la sua bontà: di conseguenza, quando Dio le dispone in quest’ordine, rende a Se stesso ciò che gli spetta. Ciò che è dovuto alla creatura è che essa abbia tutto ciò che le è attribuito dall’ordine delle cose, in altre parole, tutto ciò che è richiesto per la perfezione naturale; per esempio, è dovuto all’uomo che abbia le mani e che gli animali esistano per il suo servizio. E Dio esercita ancora la giustizia, quando dà ad ogni cosa ciò che le è dovuto secondo la sua natura e la sua condizione particolare. Ma, tutto sommato, il secondo debito dipende dal primo: perché non c’è nulla di dovuto ad un essere creato se non le perfezioni determinate dall’ordine della Sapienza divina. Inoltre, sebbene Dio renda così il dovuto alla sua creatura, non ne è il debitore; perché non spetta a Lui essere ordinato verso di essa e per essa, ma ad ogni creatura essere ordinata verso Dio » (S. Thom., I p., q,21, a. 1 ad 3. Cfr. c. Gent., L II, c. 28 e 29). – Il soprannaturale e il gratuito sono dunque la stessa cosa; affermare l’uno è riconoscere l’altro. Hanno una misura comune, tanto che diminuiscono o crescono insieme e nello stesso grado. Si potrebbe dire, per contrasto, che il nome di grazia è spesso applicato dai Padri ai beni naturali, come l’esistenza, l’anima con le sue facoltà, il corpo con i suoi organi; e che, di conseguenza, le due parole non possano essere equivalenti. Questa difficoltà svanisce grazie ad una semplice osservazione, praticamente contenuta nei testi di San Tommaso che ho appena tradotto. Quando parliamo di soprannaturale e di grazia, abbiamo in vista ciò che può essere per la natura sostanziale già costituita. Da questo punto di vista, l’unico che può essere discusso in un trattato sulla grazia, tutto ciò che è completamente grazia, in altre parole, tutto ciò che non possa essere rivendicato dalla natura, una volta presupposto, come dovuto o ai suoi meriti o alle sue esigenze native, tutto questo, dico, è soprannaturale. Questo è evidente dalle definizioni date alle parole « soprannaturale e gratuito ». È vero che la nostra stessa natura è essa stessa una grazia: chi ha obbligato la potenza e la bontà divina a crearla? Ma questa natura non si presuppone da se stessa. Ora, ancora una volta, il naturale ed il gratuito, quando li confrontiamo, sono giudicati in base al loro rapporto con la natura che li riceve e che essi perfezionano.

LA GRAZIA E LA GLORIA (58)