DOMENICA IN ALBIS (2022)

DOMENICA IN ALBIS o OTTAVA DI PASQUA.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pancrazio.

Privilegiata di 1 classe. – Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

Questa Domenica è detta Quasimodo (dalle prime parole dell’Introito) o in Albis (anticamente anche post Albas), perché i neofiti avevano appena la sera precedente deposte le vesti bianche, oppure anche Pasqua chiusa, poiché in questo giorno termina l’ottava di Pasqua (Or.). Per insegnare ai neofiti (Intr.) con quale generosità debbano rendere testimonianza a Gesù, la Chiesa li conduceva alla Basilica di S. Pancrazio, che all’età di quattordici anni rese a Gesù Cristo la testimonianza del sangue. Così devono fare i battezzati davanti alla persecuzione a colpi di spillo cui sono continuamente fatti segno; devono cioè resistere, appoggiandosi sulla fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, risorto. In questa fede, dice S. Giovanni, vinciamo il mondo, poiché per essa resistiamo a tutti i tentativi di farci cadere (Ep.). È quindi di somma importanza che questa fede abbia una solida base e la Chiesa ce la dà nella Messa di questo giorno. Base di questa fede è, secondo quanto dice S. Giovanni nell’Epistola, la testimonianza del Padre, che, al Battesimo del Cristo (acqua), lo ha proclamato Suo Figliuolo, del Figlio che sulla croce (sangue) si è rivelato Figlio di Dio, dello Spirito Santo che, scendendo sugli Apostoli nel giorno della Pentecoste, secondo la promessa di Gesù, ha confermato quello che il Redentore aveva detto della propria risurrezione e della propria divinità. Nel Vangelo vediamo infatti come Gesù Cristo, apparendo due volte nel Cenacolo, dissipa l’incredulità di San Tommaso e loda quelli che han creduto in Lui senza averlo veduto.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

1 Pet II, 2.

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja.

[Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,]

Ps LXXX: 2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob.

[Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

– Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja.

[Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus.

[Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  – Deo gratias.

“Carissimi: Tutto quello che è nato da Dio vince il mondo: e questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che, Gesù Cristo è figlio di Dio? Questi è Colui che è venuto coll’acqua e col sangue, Gesù Cristo: non con l’acqua solamente, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una cosa sola. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono una cosa sola. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore. Ora, la testimonianza di Dio che è maggiore è questa, che Egli ha reso al Figlio suo. Chi crede al Figlio di Dio, ha in sé la testimonianza di Dio” (1 Giov. V, 4-10).

Il Vangelo ci presenta la storia come una grande lotta del bene contro il male, della verità contro l’errore, e viceversa. A chi la vittoria? Ai figli di Dio, risponde la Epistola di quest’oggi, dovuta a San Giovanni, l’autore del quarto Vangelo. L’insieme delle forze del male, le negative forze dell’errore, delle tenebre e del gelo, ha un nome classico: si chiama il mondo; l’antitesi, l’antagonista di Dio, l’anti-Dio. Un anti-Dio in carne ed ossa, realissimo a suo modo, d’una realtà empirica e grossolana. Gente che c’è, che parla, che si agita, che si dà delle grandi arie e del gran daffare, che assume volentieri pose trionfatrici. Apparenza e menzogna nota, proclama l’Apostolo. La Vittoria non è del mondo, il mondo è l’eterno sconfitto. Vince Dio e chi nasce da Dio: i figli di Dio. Un altro termine prediletto del quarto Vangelo, che qui riappare: i nati di Dio. E chi è che nasce da Dio? A chi è perciò riservata la vittoria? Potremmo adoperare una frase del quarto Vangelo: « Hi qui credunt in nomine eius: » i credenti in Lui. C’è la frase precisa anch’essa nella nostra Epistola: « gli uomini di fede ». La Vittoria che vince, abbatte, schiaccia il mondo, è la nostra fede: « Hæc est Victoria quæ vincit mundum, fides nostra! – La nostra fede! Fede, badate, non credulità. C’è l’abisso fra le due cose, per quanto molti le scambino. La credulità è una debolezza di mente. Il credenzone è un vinto, vinto dalle illusioni a cui (stolto!) egli dà una consistenza che non hanno. Perché anche senza essere credenzoni o troppo creduli, si può avere una fede non, davvero religiosa o punto religiosa. Si può aver fede in un uomo; si può aver fede in un’idea, non divina. La fede di cui parla il Vangelo è sempre e sola fede religiosa, sanamente, profondamente religiosa: la fede, grazie alla quale noi siamo i figli di Dio, è qualcosa che viene da Lui e va a Lui. Fede buona nella Bontà; una fede, certezza immota, assoluta, profonda. – Il mondo non ha questa fede. Il mondo è scettico. Ha della fede, non la fede; degli idoli; non Iddio, il mondo. Non crede nella bontà amorosa e trionfatrice. Crede alle passioni, non alla ragionevolezza. Crede ai ciarlatani, non agli Apostoli. Crede all’astuzia, non alla verità. Noi siamo invece uomini di fede, gli uomini della fede, noi Cristiani. Noi crediamo alla carità, alla bontà di Dio, della Realtà più profonda, più vera, più alta: Dio! È la formula che adopera per altre volte lo stesso Apostolo: « nos credidimus charitati. » Sono tutte formule che si equivalgono: siamo figli di Dio, crediamo nel Suo nome, abbiamo fede nella Sua bontà. Questa fede è la nostra forza. Chi crede davvero alla Bontà sovrana, dominatrice, divina, è buono; comincia dall’essere o per essere buono. Egli stesso combatte, lotta per bontà, lotta fiduciosamente, colla fiducia della vittoria. Perché sa di essere dalla parte di Dio e di avere Iddio dalla parte propria. « Si Deus prò nobis quies contra nos? » Credere alla vittoria è il segreto per conseguirla. E infatti nella storia, chi l’abbracci nel suo meraviglioso complesso, trionfa la bontà, trionfa Dio. Lo scettico ha dei trionfi apparenti e momentanei… i minuti. La fede ha per sé i secoli: trionfa con infinito stupore di chi credeva superbamente di aver potuto costruire un edificio sulla mobile arena dello scetticismo. Teniamo alta come segnacolo di vittoria la bandiera della nostra fede.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Alleluja

Alleluia, alleluia – Matt XXVIII: 7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam.

[Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja.

[Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – 

 “In quel tempo giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuso le porte, dove erano congregati i discepoli per paura de’ Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiam veduto il Signore. Ma egli disse loro: se non veggo nello mani di lui la fessura de’ chiodi, e non metto il mio dito nel luogo de’ chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo, o disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso: Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso, e dissegli: Signor mio, o Dio mio. Gli disse Gesù: Perché  hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de’ suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, ed affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui” (Jov. XX, 19-31). »

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LA FEDE IN CRISTO RISORTO

Già è venuta anche la sera di Pasqua. Le porte sono serrate, la tavola preparata, e tutti sono di nuovo timorosi e raccolti nel cenacolo, come tre giorni innanzi, quand’Egli mangiò con loro per l’ultima volta prima di morire. I cuori, la sala, il silenzio, tutto è pieno della Sua assenza. Egli manca. No, che è presente! D’improvviso, infatti, risuonò la sua voce: «Pace a voi ». Gli Apostoli sbigottirono. Che densità ha questo corpo se può penetrare in una camera a porte chiuse? Se ci indugiamo in questa difficoltà, dovremmo allora farcene prima un’altra: che peso aveva questo corpo quando fu visto camminare a fermi passi sull’acqua senza affondare? Domande e questioni inutili: Egli è l’Onnipotente. Ma perché nessuno sospettasse d’aver davanti un fantasma, Gesù, fattosi in mezzo a loro, dava le sue mani da toccare, mostrava il suo costato con lo squarcio della lanciata. Essi lo guardavano, l’ascoltavano, lo toccavano con la gioia insaziata dei bambini che, dopo un sogno pauroso, accarezzano il padre ritornato in mezzo a loro: era Lui, era di carne, era vivo! Ecco li investiva del potere di rimettere i peccati. « Ricevete — disse — lo Spirito Santo: a chi perdonerete i peccati saranno perdonati, a chi non li perdonerete non saranno perdonati ». Tre sere prima il sacramento dell’Eucaristia, ora il sacramento della Confessione: in mezzo le giornate della passione e della morte e della resurrezione. Intendete il valore della circostanza: questi due sacramenti sono i mezzi essenziali per partecipare ai meriti della sua Passione e Resurrezione. Però, uno dei dodici, Tommaso, non era nel cenacolo quella sera. Quando glielo dissero, rispose di no, che non l’avrebbe mai creduto, se prima non avesse veduto coi suoi occhi, non toccava con le sue mani. Otto giorni dopo fu preso in parola. Ancora le porte erano chiuse, e risuonò la sua voce: « La pace sia con voi. Gesù di nuovo era là, e rivolgendosi a Tommaso disse: « Vieni a mettere il dito nelle piaghe delle mie mani! vieni a mettere la tua mano nel mio costato! ». L’incredulo vinto s’arrese esclamando: « Signore mio e Dio mio! ». E Gesù soggiunse: « Hai creduto, perché hai veduto: beati coloro che non vedono e credono ». Questa beatitudine è per noi. Già San Pietro con un accento quasi d’invidia scriveva ai primi Cristiani d’Asia: « Voi non avete visto Gesù Cristo, eppure l’amate; e ancor oggi, senza vederlo, voi credete in Lui ed esultate di una gioia ineffabile e piena di gloria ». Quante generazioni si sono successe da quel momento! Tutti i veri Cristiani di ogni tempo senza veder Cristo risorto, hanno gridato a Lui con lo slancio del cuore: « Signore mio e Dio mio!». E la beatitudine del Signore si è avverata in loro; come si avvera in noi, se profondamente crediamo. Per chiunque crede in Gesù Cristo risorto, la fede diviene luce, diviene forza. LA FEDE È LUCE. Gesù Cristo ha affermato di sé: « Prima che Abramo fosse, io sono ». Dunque se prima ancor di nascere a Betlemme già esisteva, Egli può dirci che cosa ci sia in quel buio che precede la nostra vita. Gesù Cristo inoltre è tornato vivo dalla morte. Dunque, ci può dire che cosa ci sia in quel buio che noi vediamo al di là della tomba. Ed in realtà Egli ce l’ha detto. Prima di noi, prima d’ogni cosa, Dio è: Dio che ci amava benché ancora non esistessimo, che ci ha creati appunto perché ci amava e desiderava d’essere riamato. Questo Dio vivente da tutta l’eternità genera un Figlio; dal mutuo amore del Padre e del Figlio procede una terza divina Persona che si chiama Spirito Santo. Il Dio che ci ha creati è uno nella natura, è trino nelle Persone. Una seconda cosa ci ha detto Gesù: di esser Lui il Figlio di Dio, d’essersi fatto uomo per salvarci. Chiunque crede in Lui sarà salvo, perché non solo gli perdonerà i peccati, ma gli manderà lo Spirito Santo che lo santificherà e lo renderà figlio adottivo di Dio, partecipe della vita divina. Una terza cosa ci ha detto ancora: al termine della vita ci troveremo di fronte a Lui, che ci giudicherà dei nostri pensieri, dei nostri affetti, delle nostre azioni, delle nostre omissioni. Chi troverà nel peccato condannerà nel fuoco eterno; e chiamerà invece nel suo paradiso il servo fedele a vedere nella gioia quei misteri che quaggiù ha creduto nel dolore e nella speranza. – S. Tommaso fa un confronto tra i più grandi filosofi dell’antichità e gli umili Cristiani del suo tempo. Quegli ingegni poderosi, Aristotile e Socrate e Platone, dopo tanto speculare non erano riusciti a darsi una risposta sicura alle domande più assillanti intorno al nostro destino, e vissero nell’ansietà. Invece, — osserva S. Tommaso — anche il più umile Cristiano, il più modesto per intelligenza, sa rispondere con assoluta certezza ai più importanti problemi della vita: donde veniamo, che cosa è necessario fare, dove andiamo, che cosa ci attende dopo la morte. È Gesù Cristo che li ha resi tanto sapienti. Ma ai tempi di S. Tommaso la fede era un dono generale: oggi è assai più raro. Le parole di Cristo ancora splendono come fari nella caligine del mondo, ma troppi preferiscono le tenebre alla sua luce divina. Cristiani, levate lo sguardo, drizzate l’intenzione, movete i passi verso la luce di quelle verità: non apprezzerete mai abbastanza il dono della fede. LA FEDE È FORZA. Tre sono i dubbi che paralizzano le nostre energie nell’operare: il dubbio dell’errore, dell’inutilità, dell’incapacità. E se poi sbaglio? E se poi non ci guadagno niente? E se non sono capace di resistere? Ebbene, la fede, togliendo questi tre interrogativi, moltiplica le nostre forze. – a) La fede ci indica la via infallibile della vita. Nessun timore di sbagliare, non c’è che da percorrerla. Pensate al Vescovo d’Antiochia, S. Ignazio, quando lo trascinavano a Roma per essere dato in pasto alle belve del circo. Scortato da dieci soldati che erano dei leopardi per la loro brutalità, egli cammina con una grande certezza nel cuore. La certezza di non sbagliare a sacrificarsi per il Signore, e questa certezza gliela infondeva la fede in Gesù risorto. Diceva: « Io so che Cristo è risorto nella carne, che vive tuttora. Quando Egli si avvicinò a Pietro e ai suoi compagni volle che lo toccassero perché fossero persuasi della sua realtà. Io lo vedo e lo tocco con la fede » (Epistola agli Smirnei). Per chi vede e tocca con la fede Gesù, né le sofferenze, né i pericoli, né le minacce, né la morte, gli fan paura. – b) Il secondo dubbio che trattiene l’uomo dall’agire intensamente è l’incertezza del guadagno. L’operaio che presagisce di non esser pagato non vuol lavorare. L’industriale che sospetta di essere coinvolto in un fallimento non accetta commissioni di lavoro. Ma il Cristiano che vive di fede non può dubitare del suo guadagno: egli ha dinanzi agli occhi una ricompensa immancabile, immensa, eterna, di fronte alla quale ogni fatica e ogni patimento di quaggiù è poca e fuggevole cosa. «Io penso — esclama S. Paolo — che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria ventura » (Rom., VIII, 18). Per questo si rallegrava in mezzo alle tribolazioni, persuaso che ognuna di esse, pazientemente tollerata, gli fruttava un grado più alto nella visione e nell’amore di Dio. « Dai Giudei cinque volte mi sono preso trentanove colpi; dai Romani tre volte fui battuto con le verghe; in Damasco il governatore di Re Areta aveva messo una taglia sulla mia vita e potei sfuggire facendomi calare da una finestra in una cesta lungo una muraglia; a Listri fui lapidato; tre volte ho fatto naufragio e rimasi un giorno e una notte in balia delle onde, provai pericoli sui fiumi, pericoli tra gli assassini, pericoli tra i miei connazionali e tra gli stranieri, pericoli nella città e nella campagna; e poi il lavoro, la fatica, la fame, il freddo, la nudità…» (II Cor., XI, 23-33). Donde traeva questa forza da leone? Dalla certezza della sua fede nella resurrezione di Cristo. « Se Cristo non fosse risorto, vana è la nostra fede; e quelli che sono morti in Cristo, sono perduti; e noi che in questa vita gli crediamo, siamo i più miserabili degli uomini. Ma Cristo è veramente risuscitato dai morti…» (I Cor., XV, 19-20). Allora a Paolo basta il coraggio di lanciare alla morte la più audace sfida che mai sia risuonata su questa terra: « Per me, morire è un guadagno ». – c) Ma io, — penserà qualcuno — non sono Paolo, non sono Ignazio: non so credere né operare così. Ecco la terza ansia che paralizza le forze umane: il senso della propria insufficienza e il conseguente scoraggiamento. Quante anime sfiduciate si lamentano di non poter pregare, di non saper resistere alle seduzioni dell’impurità, d’essere incapaci di sopportare! Neanche i santi da soli avrebbero potuto fare quello che hanno fatto; ma la fede ci ricorda che Dio è la nostra forza e il nostro sostegno, e quando Dio è con noi nessuno potrà prevalere contro di noi, né il mondo né il demonio, né la nostra debolezza. Pensate alla timidezza e alla incapacità degli Apostoli prima che le loro buone volontà esitanti fossero afferrate e trasformate dalla forza dello Spirito Santo. – Sulla porta del tempio di Gerusalemme c’era uno storpio, il quale campava la vita chiedendo l’elemosina. Passarono di là S. Pietro e S. Giovanni e lo guarirono nel Nome di Gesù. Egli balzò in piedi, li prese per le mani e tenendoli stretti entra con loro nel tempio giubilando (Atti, III, 1-11). La nostra anima, ad essere sinceri, dobbiamo forse assomigliarla a quello storpio. Indecisa tra il bene e il male, tra la piazza e il tempio, tra Dio e il mondo, non ha la sfrontatezza di vivere senza freni ma neanche il coraggio di darsi decisamente e totalmente al Signore, entrando nel tempio della sua grazia e delle sue leggi. Siede impotente sulla soglia, e si volta indietro a chiedere al mondo un poco delle sue soddisfazioni e dei suoi piaceri. Vorrebbe darsi al Signore, ma ha paura delle rinunzie e dei sacrifici che egli le deve imporre; d’altra parte il timore dell’inferno, e un innato senso di nobiltà le vieta d’affondare nei peccati. Soltanto S. Pietro e S. Giovanni, l’Apostolo delle fede e quello dell’amore, la possono guarire nel Nome di Gesù. Abbiamo bisogno cioè di una grande fede in Gesù Risorto, vivo e vicino a noi; abbiamo bisogno di un grande amore per Lui che spenga in noi ogni malsano amore del mondo. Stretti per mano alla fede e all’amore del nostro Redentore Risorto, entreremo nel tempio della vita Cristiana, e procederemo nella nostra santificazione. Signore, fa ch’io ti creda sempre più! Fa ch’io ti ami sempre più.

.- Non sulla gioia dei discepoli, non sulla incredulità di Tommaso, ma sull’augurio del Maestro divino dobbiamo fermare la nostra attenzione. « A voi sia Pace! ». Risorgendo da morte non altra parola, non altro dono recò ai suoi se non la pace: quella che Egli aveva firmata tra Dio e l’umanità con il suo sangue. Pax vobis! è pur questo ancora il dono e la parola che Gesù reca ad ognuno che ha compiuto in questi giorni il suo dovere pasquale, e credo che nessuno tra voi resti escluso. Dopo d’aver confessati bene i peccati, dopo d’esservi cibati della Sacra Ostia, avete sentito la sua voce ripetervi in fondo al cuore: « A te sia pace. Dio è placato e ti ama ». Sì, oggi tutti siamo in pace col Cielo; io lo spero. Però quel che importa è che questa pace non duri appena una o due settimane, ma sempre. Non venga più, dunque, il peccato a rapirci il dono della risurrezione. Nessuno si renda meritevole del rimprovero che S. Paolo fece ai Galati. Aveva a loro annunziato il Vangelo, li aveva battezzati, li aveva entusiasmati nella Religione nostra: ma appena fu lontano, quelli dimenticarono ogni cosa e ritornarono alla vita di prima. S. Paolo lo seppe, e scrisse a loro una lettera di rimproveri e di lacrime: « In così poco tempo avete saputo abbandonare Cristo? Avete cominciato nel fervore e finite nella disonestà! O stolti, chi vi ha illusi a disubbidire alla verità?». O insensati Galatæ, quis vos fascinavit non obœdire veritati? (Galat., III, 1). Non basta dunque aver fatto pace con Dio, bisogna adesso mantenerla, continuando in grazia, poiché soltanto chi avrà perseverato fino alla fine si salverà. Perseveranza ci vuole! e la perseveranza dipende da Dio e da noi. Se dipende da Dio preghiamolo; se dipende da noi, vigiliamo. – DIPENDE DA DIO: PREGHIAMOLO. Udite un paragone che una volta portava Gesù alle turbe. « Se alcuno pensa di edificare una torre, prima si ritira in casa e calcola un progetto preventivo di spesa e considera se le sue ricchezze basteranno a tener fronte all’impresa, e se mai qualche amico lo aiuti con prestiti… ma non si mette all’opera all’impensata, altrimenti correrebbe il rischio di non poter condurre a termine la costruzione e di abbandonarla a mezzo, fra lo scherno della gente: « Guardate il tale! ha cominciato a fabbricare e non ha potuto finire» (Luc.; XIV, 28-30). Or bene, noi dobbiamo cominciare l’ardua fabbrica d’una vita nuova, una vita di pace e in grazia: se ci ritiriamo a riflettere sui mezzi che disponiamo, bisogna concludere che da soli ci mancano le forze per durarla anche un giorno solo. C’è però un nostro grande Amico, ricchissimo e potentissimo, che appena lo preghiamo, supplisce ad ogni nostra debolezza: Dio. Senza la preghiera è quindi impossibile la perseveranza. Ma con la preghiera ogni difficoltà sparisce, ogni tentazione si dissolve, la nostra debolezza trionfa. Prima che S. Agata fosse martirizzata, il tiranno volle tentare ogni seduzione per indurla al peccato; ma ogni sua arte riuscì inutile perché la santa pregava. « Sarebbe più facile, — disse il tiranno — sarebbe più facile ammollire i macigni e il diamante, cambiare il ferro in piombo, anziché cambiare l’animo di Agata e sviarla dall’amore di Gesù Cristo e dal proposito della castità ». Che bella testimonianza! Noi invece siamo come fogliette di pioppo tremanti ad ogni vento; siamo come cera che si liquefa al primo caldo; siamo come rugiada che svanisce al primo raggio. Quante volte è bastato un pensiero ozioso, uno sguardo, una parola, un sorriso per travolgerci in rovina! Perché? Perché non si può perseverare senza l’aiuto di Dio. Quest’aiuto, che il Signore pietoso non nega mai, lo si ottiene con la preghiera e con i Sacramenti. – Per essere più preciso, vi ricorderò che Dio ha diviso il tempo in giorni, in settimane, in mesi, in anni: e noi ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno abbiamo bisogno del conforto divino a perseverare. Ed allora ogni giorno ci sia la preghiera del mattino e della sera col Rosario; ogni settimana, nel giorno festivo, la Messa e la spiegazione della Dottrina cristiana; ogni mese la Confessione e la Comunione, — questo è solo un mio consiglio ma tanto giovevole; ogni anno la Pasqua sia santificata con un esame di coscienza generale e con l’adempimento esatto del dovere pasquale. Queste pratiche non vi sembrino esagerate: siamo pronti a ben maggiori fatiche per conservare le ricchezze del mondo, e ci rifiuteremo vilmente quando si tratta di conservare la pace e la grazia, che sono ricchezze di paradiso? D’altronde a chi le eseguirà, io assicuro da parte di Dio la perseveranza fino alla fine. – DIPENDE DA NOI: VIGILIAMO. S. Gerolamo dice che noi viaggiamo carichi d’oro: è il gran tesoro della grazia di Dio, della pace sua santa. Non lasciamoci derubare. Temiamo i ladri astuti e feroci che stanno nascosti dentro e fuori di noi. Vigiliamo, ché nel cammino della vita dobbiamo essere non degli sventati, ma dei prudenti. Vigilate! Quando Antonio fu all’età di trentacinque anni volle recarsi in un antico romitaggio, dove avrebbe potuto lodare Dio in tutta povertà e penitenza. Ma l’infernale nemico tentò d’impedire il proposito eroico e gettò, sulla via per dove doveva passare, un dischetto d’argento. « Lo raccoglierà, — pensava il demonio, — tornerà indietro per spendere la moneta, o donarla: e poi probabilmente dimenticherà il romitaggio ». Ma appena S. Antonio vide il dischetto d’argento luccicare davanti a’ suoi passi, conobbe l’inganno, e gridò come se il demonio lo potesse sentire. « Quest’argento sia teco in perdizione ». Una fiammetta, una boccata di fumo e il dischetto scomparve. L’astuzia del tentatore non è mutata neppure dopo mill’anni. Egli sa del vostro proposito di perseverare dopo la Pasqua e sulla strada per dove passate getta, come luccicanti monete, i suoi inganni. È quel ballo, è quella persona, è quel ritrovo, è quel piacere, è quel libro… Non raccogliete, per amor di Dio, il dischetto d’argento infernale: fuggite l’occasione! e voi pure gridate: « Questa lusinga sia teco in perdizione ». In un attimo ogni tentazione, tutto si dissolverà in vano fumo, davanti ai vittoriosi. Resistete giorno per giorno! « Ma io sono giovane e come potrò resistere per venti e quarant’anni in una vita pura, ritirata, cristiana? Ho già provato altre volte: per un giorno, per una settimana ho resistito, ma poi le forze mancarono, le passioni ingagliardirono, e cedetti… ». Risponderò ancora con un esempio dei Padri del deserto, assai sperimentati nei combattimenti spirituali. Vivevano nell’eremo due Egiziani, che da poco avevano abbracciato quella vita santa, e, si capisce, il demonio li spingeva ad abbandonarla. Per superare questa tentazione, essi decisero di aspettare fino alla stagione seguente: « Ecco l’inverno! — si dicevano; — passiamolo ancora qui: del resto è tanto breve; ce ne andremo a primavera ». L’inverno passava ancora in santità ed orazione. « Ecco la primavera! — dicevano poi; — è cosa tiepida che piace perfino nel deserto. Ce ne andremo in autunno ». E così di stagione in stagione, rimasero cinquant’anni nella solitudine e morirono in pace. Altrettanto fate voi, o Cristiani, che desiderate perseverare in grazia. « Da Pasqua a Pentecoste non ci sono cent’anni: resistete fino allora: poi dopo una bella Confessione e una fervorosa Comunione, deciderete. — E da Pentecoste alla Sagra o all’Ufficio Generale, o alle S. Quarant’ore, o al Giorno dei morti… non è un’eternità: resistete fino allora ». E così di periodo in periodo, tutta la vita passerete nella santa perseveranza di Pasqua. – Tre convalescenti si presentarono al medico. Erano appena usciti da malattia gravissima, e tutti e tre — temendo la ricaduta — ricorsero pieni di fiducia al loro dottore per domandargli consigli. I consigli furono uguali a tutti: prendere maggior nutrimento; astenersi da certe bevande e da certe vivande irritanti; accorrere dal medico senza indugi appena i sintomi del male riprendessero a manifestarsi. Il primo convalescente, ritornato a casa sua, dimenticò ogni prescrizione medica, anzi se ne rise: ma d’improvviso il male lo riprese e lo strappò nella tomba. Il secondo convalescente preferì ascoltare per metà i consigli del dottore: prese maggior nutrimento, ma non si astenne dai cibi proibiti; e neppure lui godette salute. Il terzo invece eseguì scrupolosamente ogni comando e, appena temeva un assalto del vecchio male, ricorreva al suo medico: così poté campare lieto e sano fino alla più tarda età. Tra i fedeli che dopo la santa Pasqua vogliono perseverare nella salute dell’anima, noi distinguiamo tre categorie. Alcuni non ricordano nemmeno uno dei consigli ricevuti in confessione: maggior nutrimento di preghiere, ed essi non pregano mai; astensione dai cibi irritanti, ed essi amano invece cose, luoghi, persone pericolose; farsi vedere frequentemente dal medico, ed essi non si confessano più d’una volta all’anno. Costoro ricadranno in peccato peggio di prima, e sempre con minor speranza di risollevarsi. Altri prendono sì un maggior nutrimento di preghiere, una maggior frequenze di sacramenti; ma non fuggono le occasioni peccaminose. Costoro non potranno mai perseverare, perché chi ama il pericolo in esso perisce. Infine, c’è un piccolo gruppo che eseguisce scrupolosamente i tre consigli. E vi assicuro che son costoro quelli che non perderanno mai la pace pasquale e cammineranno con Gesù risorto fino alla morte e poi per sempre di là. In quale categoria ci poniamo noi?

– Quando una persona ritorna da un lungo viaggio, riporta, per i suoi cari che l’attendono, qualche ricordo di quelle terre sconosciute e misteriose. E Gesù risorto, ritornando ai suoi discepoli che l’aspettavano, volle portare un dono che facesse loro immaginare quanto si debba godere in paradiso: la pace. Ed entrato quella sera, a porte chiuse, nel cenacolo, stette in mezzo a loro e disse: — Pace! — E mostrava il suo petto piagato, e le palme delle mani piagate. La pace. Ecco il gran dono di Dio, ecco quello che anche ai nostri tempi gli uomini cercano affannosamente invano. E pace non vi è più nelle famiglie, ove le sante leggi che la custodivano sembrano infrante. E pace non vi è nelle nazioni, che ormai disperano di raggiungerla, poi che la videro svanire come nebbia ogni volta che sognarono d’averla abbracciata. Perciò, oggi, dopo tanti secoli, dalle pagine del suo Vangelo risorge il Maestro Divino e dice alla gente, mostrando il suo petto e le sue palme piagate: « Quello che invano avete altrove cercato, è qui: io sono la vostra pace ». Stetit Jesus in medio discipulorum et dixit eis: Pax vobis! E veramente solo quando Gesù sarà in mezzo alla nostra mente, in mezzo al nostro cuore, in tutta la nostra vita, solo allora avremo la pace. Ma Gesù vive nella nostra mente per la fede, che placa ogni dubbio e dissipa ogni ombra. Ma Gesù vive nei nostri cuori quando ci siamo confessati e la grazia di Dio è tornata a sorridere in noi. Ma in Gesù è tutta la nostra vita quando non vogliamo se non ciò che Egli vuole. « Pax vobis!» pace che vien dalla mente, che vien dal cuore, che viene da ogni nostra azione. – LA FEDE DONA LA PACE ALLA MENTE. Santa Perpetua, perché cristiana, fu trascinata davanti al giudice e condannata alle fiere. Questa donna, così gentile e affettuosa che un giorno era stata rimproverata dal rigorista Tertulliano perché baciava il suo bambino con troppo amore, non tremò davanti alla morte, ma parve sorridere. Quando in mezzo al circo, in cospetto del popolo africano, vide contro di lei venir la mucca infuriata, congiunse le mani e si protese verso la bestia come se si preparasse a pregare sulla culla del suo bimbo addormentato. Al primo assalto fu travolta dalla polvere, ma non le fu recato alcun male. Ed ella si alzò da terra senza turbarsi e riannodò modestamente le chiome che s’erano scompigliate nell’urto e scosse la polvere dagli abiti, ed aspettò la morte come si aspetta una sorella che venga… Ma chi poteva dare a una donna tanta serena pace da curarsi ancora del decente aspetto della sua persona, proprio quando la soprastava un tragico martirio? La fede. Dice la fede: quaggiù non è la nostra dimora, ma solo una valle di patire. Dice la fede: chi perde la vita per amor del Signore, la ritroverà. Ella credeva fermamente, e di che cosa poteva temere? Oh se si avesse fede, non si bestemmierebbe la Provvidenza di Dio quando ci manda le croci! Se si credesse un po’ di più alle verità del Vangelo che il prete ogni festa spiega nella Chiesa, nel mondo non ci sarebbe tanta gente che ad ogni piccola sventura cerca la morte! Guardate i fanciulli: essi sono sempre beati: perché credono alla loro mamma. Noi pure saremo beati, se crederemo a Dio nostro Padre, con la fede d’un fanciullo. Ecco perché Gesù risorto rimproverò Tommaso il gemello e gli disse: « Tommaso non essere incredulo. Beati quelli che, pur non vedendo, crederanno ». – LA CONFESSIONE DONA LA PACE AL CUORE. Un missionario del secolo XVIII predicava in un paese alpestre di Francia. Narra il P. Monsabré che una volta entrò in quella chiesa ad ascoltarlo anche un ufficiale di cavalleria avvolto nel suo mantello. Il suo sguardo nero e profondo era irrequieto e sembrava un lampo che guizzasse fuori dalla nuvolaglia che s’accozzava in quel cuore in tempesta. Tratto tratto ansimava, premendosi la mano sul cuore tumultuoso. E Dio volle che il missionario parlasse proprio della confessione. La parola suadente del prete gli penetrava in cuore e alla fine risolvette di buttarsi ai piedi del confessore. Il missionario lo raccolse con amore e lo aiutò a confessarsi davanti a Dio. Quando quell’ufficiale dall’ampio mantello uscì dalla Chiesa, piangeva e volgendosi ad alcune persone disse: « In vita mia non ho provato una pace così pura e così soave come quella che il ministro di Dio mi ha procurato col mettermi in grazia. E credo che neppure il re, che servo da trent’anni, può essere più felice di me ». Pasqua è venuta: ma è venuta la pace nei nostri cuori? Se in noi non c’è pace è forse perché ci siamo confessati male, o fors’anche non ci siamo confessati? Il peccato è come un tarlo che rode senza posa il nostro povero cuore: ed esso non muore se non col perdono di Dio che si riceve ai piedi del confessore. Ecco perché Gesù, apparendo quella sera nel cenacolo, dopo aver detto: « La pace sia con voi » si curvò sopra degli Apostoli e alitando sopra le loro fronti disse: « Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete, sarà perdonato; a chi non perdonerete non sarà perdonato ». Come il Divin Padre aveva mandato Gesù, così ora Gesù manda i suoi discepoli a portare la pace nel mondo. Ma pace non ci può essere se non nella coscienza pura. E Dio istituì perciò il Sacramento della purificazione. – L’OSSERVANZA DELLA LEGGE DI DIO METTE LA PACE IN OGNI NOSTRA AZIONE. Un giorno Dio comandò a Saul di muovere sopra gli Amaleciti, di saccheggiare e incendiare ogni cosa. E Saul piombò contro i nemici di Dio e stravinse: però volle risparmiare il re, forse per far più bello il suo trionfo; volle ancora risparmiare alcune pecore col pretesto di sacrificarle a Dio. Di ritorno dalla guerra, il profeta mosse ad incontrarlo e gli disse: « Hai tu distrutto ogni cosa? » – « Ho compiuto la parola del Signore »  rispose Saul. Ma in quel momento le pecore belarono. « Ma io odo un belare d’agnelli » disse il profeta. Saul titubò un istante cercando una scusa: « Fu il popolo che ha voluto che si risparmiassero i capi migliori per farne sacrificio ». Samuele si adirò. « Poiché tu hai gettato dietro alle tue spalle la parola di Dio, ecco: Dio ti ripudia e non ti vuol più re ». È il caso di molti Cristiani. Durante la quaresima hanno ravvivato la loro fede, nei giorni di Pasqua hanno fatto anche la Comunione, eppure nel loro cuore non sentono la pace che Gesù risorto portò ai suoi discepoli. Oh, non basta la fede, quando non si agisce ancora nella luce della fede! Oh, non basta la confessione quando si conservano in cuore certi attaccamenti al peccato. Et quæ est hæc vox gregum? Cos’è questo belar d’agnelli? Non aveva Dio imposto la distruzione d’ogni cosa? E perché allora si è voluto continuare in certe amicizie, in certe compagnie, in certi desideri che la legge del Signore proibisce? Perché in fondo al cuore cova ancora quell’astio o quell’attacco alla roba d’altri? Perché si è voluto risparmiare il re degli Amaleciti, ossia la propria passione predominante? Qual meraviglia allora se la pace del Signore non è venuta dentro di noi? La pace di Dio è solo nell’osservanza dei comandamenti di Dio. Pax multa diligentibus legem tuam, Domine! –  Irrequietum est cor nostrum, donec requiescat in Te. L’anima ardente di S. Agostino cercava la pace. E dalle spiagge della sua Africa d’oro si volge alle mondane cose con tormentose domande: chiedendo pace. Ma gli aranceti e gli olivi in fiore di Tagaste e tutto il verde pendio sembravano rispondergli: Quello che tu cerchi non è qui tra le nostre fronde agitate dal vento: cerca più in su! E S. Agostino cerca il mare: ma le onde e gli infiniti increspamenti del mare nel loro perpetuo ondulamento gli rispondono: « Quello che tu cerchi non è qui nelle nostra eterna agitazione: più in su!» E S. Agostino leva gli occhi sopra il cielo stellato della sua Africa d’oro. Ma gli astri dicono: «Quello che tu cerchi non è qui: ché noi siamo, come il tuo cuore, sempre vaganti: più in su ». « Dio! ». – Egli solo, quando vive nella nostra mente, nel nostro cuore, in tutta la vita nostra, Egli solo è la nostra pace. Ipse est pax nostra (Ef., II, 14).

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6.

Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja.

[Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ.

[Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

[Joannes XX: 27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja.

[Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

 Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

[Ti preghiamo, Signore Dio nostro, che i sacrosanti misteri, che tu hai dato a presidio del nostro rinnovamento, ci siano rimedio nel presente e nell’avvenire].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (200)

DIO GI LIBERI CHE SAPIENTI! CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! (3)

PER Monsig. BELASIO

TORINO, 1878 – TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA San Pier d’Arena – Nizza Marittima.

§1

Il principio di tutta l’ignoranza è la superbia di non voler credere in Dio. (PANTEISMO).

Spez. Eh, come le. ho detto, ridono di noi, che abbiamo un po’ di fede; e ci van dicendo: « Oh… ma noi non siamo i bimbi più da farci credere, come vogliono; noi abbiamo gli occhi aperti; e prima di credere vogliam conoscere, Veder bene e ragionare. »

Par. E voi togliete loro di bocca la parola, e dite pure ad essi:« Signorini belli, voi dite di non voler credere più niente; e intanto per sapere una qualche cosa, cominciate a credere sempre; e poi da buoni buoni pensate di conoscere da voi ciò che in prima avete creduto ad altri. Aspettate che ve lo farò capire. Senza credere, voi non potreste pur conoscervi chi siete; Ed in fatto, sapete voi di essere i tali, figliuoli dei tali signori genitori vostri?… E com’è che lo sapete? Lo. sapete solo, perché lo credete a chi ve l’ebbe detto. Se voi vorreste credere a quello solamente che toccate e conoscete, le vostre cognizioni si estenderebbero ben pochi metri intorno a voi. E com’è che voi sapete che vi è Parigi, Londra e financo le Americhe; che forse non vedrete mai? E sapete poi quello che si è fatto in secoli passati, e quello che si va ora facendo da voi lontano? Voi lo sapete, perché ve l’hanno detto; o lo leggete voi; dunque lo credete. Sicché voi che dite avere gli occhi aperti, cominciaste a credere alle vostre buone mamme, pazienza a quelle buone! Ad occhi chiusi credete poi ai maestri, ai professori, e quali!… e vi lasciate imporre da loro che vi si vendono per uomini grandi, e non son talvolta che ribaldi onorati! Poi finalmente, quando vi credete liberi di pensare a vostro nodo e vi date vanto di non lasciarvi infinocchiare, finite a credere ai compagni che vi si serrano ai panni, e vi lasciate menar da loro. Così credete nei libri ai morti, credete ai vivi, credete fino ai più tristi cialtroni e più indegni… oh che disgrazia! Solamente non vorreste credere a chi vi vuole un bene della vita per amore di Dio! Per me vi dico chiaro: è perché vi non pensate. Se vi fermate a pensare un poco; così intelligenti come siete, dovete credere per forza. Udite un fatterello che vi farà piacere. Fu, non è gran tempo, a Parigi un buon dotto avvocato, il sig. Guillelmin, il quale disse di ad un avvocatino che faceva pratica nel suo studio: « Signor Lacordaire, credete voi in Dio ed alla sua santa Religione? » Il giovane, pigliato così all’improvviso, alzò la testa, e lisciandosi i baffi con quell’aria che si danno gl’increduli, risponde: « Signor avvocato principale, io? … ma credo niente io. » E di ripicco il signor Guillelmin: « Ah! Non dite così, signor avvocatino, che avete tanto ingegno. Ché se fosse vero che voi non credeste proprio niente, sareste simile al can di casa e al ciuco dell’ortolano, i quali credono proprio nulla. Ma voi crederete almeno che. Siete qui … » –  L’avvocatino: «Oh! Si che io credo, perché io mi sento. » — « Bravo, credete voi poi anche che siete nato dai vostri buoni genitori, e che il vostro signor padre non si sarà fatto: da se stesso col temperino, né la vostra signora madre colla forbice, quando ancor non erano. Dovettero dunque i primi’ genitori essere stati formati dal Creatore. » — L’avvocatino piegò la fronte sulla mano per un istante; e disse, almeno allora sincero col proprio cuore: « Si!… se v’è il mondo creato, vi è certo il Creatore! » Vi pensò sopra… vi pensò bene; Lacordaire, che con un gran talento aveva un gran buon senso, converti; si fece celebre predicatore per far pensare agli altri a convertirsi.. E noi, buoni amici miei, e noi se non crediamo a Dio?…

Spez. Oh buon signor parroco mio, il ciel mi guardi ch’io ricordi Dio a questi tali! Non vogliono neppur sentirlo a nominare!… E mi van dicendo con un fare altero: « E che bisogno v’è di credere Dio, mentre noi sappiamo come il mondo fu formato senza Lui!

Par. Ricordatevi, mio buon amico, che con chi è matto non si ragiona. Piuttosto rispondete sorridendo: Ma che grandi teste, voi che la sapete così lunga! Però io vi voglio raccontarne una fresca fresca. Questa mattina io mi trovava davanti alla Stazione. Ed ecco là venirmi innanzi la macchina a vapore che sbuffava come un gran superbo, e tronfia della sua potenza si tirava appresso sopra le rotaie un gran numero di carri, e veran sopra uomini e bestie e tante cose d’altro. Mentre io la contemplava come in un vero incanto, e diceva meco: quanto fu potente d’ingegno e di mano l’uomo che ha congegnato un così bell’ordigno che va tanto bene! Allora mi si balza innanzi un grullone di stordito, e senza complimenti dice: « Oh! se siete voi ancora bene di quei tempi!… che non sapete che quella macchina non è stata fatta da nessuno! Io sì che ho la testa fina, ed ho scoperto come si è fatto tutto. Tutte quelle cose che vi son là dentro, erano sparse per la terra e dentro le viscere de’ monti, ed aspettavano le circostanze, come dice un gran libro d’un sapiente che, oh! è cima di dotti, il dottor Buchner. Allora il rame colla propria forza. cominciò a saltar fuori, e corse a lui incontro anche lo stagno, e fecer lega, però senza pensarvi, per diventar più forti, e diventaron così bronzo bell’e fatto. Allora anche il ferro volle colar giù fuor dai duri macigni; e bronzo e ferro, l’uno diventar bei pezzi; e l’altro lunghe spranghe. Si assottigliarono quindi in varie guise e diventarono ruote e, mostrando fuori i denti corsero ad ingranarsi nelle scanalature. Avreste allor veduto in mezzo a loro congegnati insieme saltare una caldaia piena d’acqua, e il vivo fuoco dire « sono qui io » e sotto, a riscaldarla. E l’acqua via in furia tutta in vapore, e nello scappar fuori spinger lo stantuffo che incontra, in tal maniera tutte queste cose per caso si trovaron d’accordo e fanno andar là tutto così bene. — Ma che? To’ che voi, signori, non credete a me che vi possa esser stato tale un matto? Eppure non siete voi che mi avete detto che vi fu un signor tale, il quale con un suo libro in mano vi venne a dire in robon da professore, e proprio in una città che voi qui conoscete, con una serietà da far ridere le telline che la sua scienza non ammette più il Creatore, che formò quest’immenso universo; ch’egli è venuto a scoprir bene che il mondo si formò da sé. Poi egli dice con tutta l’autorità che si ha da sé pigliato « se voi volete esser scienziati, dovete credere a quel che diciam noi: cioè che tutto è solo materia, e che in prima erano atomi, granellini come l’aria, ma più fini ancora, e per parlar più chiaro, un gran polverio senza fine, che gira gira, e in lui suoi granelli in confusione, precipitando gli uni sopra gli altri seppero formar da loro le stelle, il sole e questa terra, e soprappiù le piante in esse e gli animali, e poi e poi… fino noi così grandi uomini che. siamo, creati bell’e fatti da quel polverio!;;. « Oh! oh! esclama qui Voltaire, che pur fu uno dei loro, lasciate quel meschino di pazzerello che disse che una macchina non è fatta da un macchinista, come un orologio si facesse da sé senza orologiaio; lasciatelo pur fuori del manicomio, e chiudete, sarebbe meglio, dentro questi pazzeroni da catena che si dicono sapienti!

Spez. DIO CI LIBERI ! CHE SAPIENTI!… CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA!

Ma io vorrei sapere loro chiaramente dimostrare che non è vero che vi sian sempre stati gli atomi di quel nebbione, cioè che la materia di cui son composte queste cose della terra tutta, (giacché dicono che tutto é materia,) non è vero che sia eterna.

Par. Voi potrete ‘dimostrarlo facilmente assai. Cominciate a dir loro che se tutto è materia, e la materia è sempre stata eternamente, sarà dunque eternamente quale eternamente fu; perché non vi fu prima un Creatore che nel crearla l’abbia fatta in quella forma, e né vi fu altri mai che la cambiasse in altra forma. Ma voi vedete che la materia è li come cosa morta, e si può dire indifferente a pigliare quella forma che alcuno voglia e possa darle. La creta, per esempio, è li ferma sotto i piedi, ed il vasaio se l’impasta a modo suo, poi la fa muovere sul torno, e diventa un vaso; la montagna di sasso è morta e ferma lì da quanti secoli, chi lo sa? ed uno la rompe dentro e piglia un pezzo, ne fa una ruota, e la fa girare sui perni; e la ruota gira, finché una forza non la fermi ancora. Voi poi saprete come chi forma una macchina per far muovere qualche cosa materiale, calcola ben per far la macchina la forza necessaria per far produrre il movimento. Vi è dunque il Creatore che creò la materia in quella forma, poi la compose in mille modi da formare tutte queste cose materiali, e colla forza sua fa tutto andare nel bell’ordine mondiale.

Spez. Eh!eh! Ma essi dicon subito che ogni granellino di materia ha la sua forza, e che non vi è materia che non abbia la sua forza unita; e che non v’è forza che non sia unita alla materia; la qual forza la fa muover sempre.

Par. Non lasciateli correr tanto colla lingua sguinzagliata; ma fermateli a farvi spiegare ciò che voglion dire colle parole loro. Se voi lor domandate: Ma che cosa è questa materia che voi vi date l’aria di conoscer così bene? Oh!… restan li a bocca aperta, e non vi sapranno dire mai che cosa sia la materia. Poi domandate loro similmente che cosa sia questa forza che fa mover la materia. Io ho letto tanti autori che ne parlano da sapienti e non san dirmi niente. Questo è certo che la materia e le forze sono cose ben diverse fra di loro; perocché la materia sta ferma, e la forza la fa muovere; la materia è pesante, e come sasso slanciata in aria cade e sta; ma la forza è senza peso, come quella che fe’ volare in aria il sasso; l’una è la cosa spinta, l’altra è quella che la spinge. Non è vero adunque che tutto sia solo materia! Ora dite ancora a loro: è poi vero, che le forze che fan muover le materiali cose, siano insieme colla materia sempre unite? No, per certo, perché io, per esempio, agito il braccio e faccio girare una ruota se si muove la ruota e il braccio mio che prima erano li quieti. Non era adunque in loro in prima la forza che li fa muovere adesso. No, per certo, non è vero che le cose materiali abbian sempre unita seco una forza: voi, per esempio, al giuoco. battete a colpo netto una palla di bigliardo contro un’altra, e la palla investita. E mossa dalla vostra forza colpisce l’altra; la prima sta, si muove l’altra: dunque la forza che faceva muovere la prima, passò via da lei, e fa muover la seconda, Conchiudete adunque che la forza è quella che fa cominciare un movimento: e fare un movimento vuol dire cominciar a muoversi da un luogo per andare ad un altro luogo: e se le stelle, il sole, la terra e tutto si muove, v’è dunque il Creatore che cominciò a dar la forza di far muovere tutto.

Spez. Ma li avreste da udire come dicono essi di sapere che gli atomi di quel lor nebbione erano là già preparati e stavano tutti ad aspettare le circostanze, per discendere a far ciascuno la sua parte.

Par. To’ che costoro la sanno proprio lunga! Ma giacché corsero indietro colla fantasia. a vedere in sul principio gli atomi in quel nebbione, pregateli di far un passo ancora più in su, per sapere poi dire a noi chi li avesse là preparati e lavorati così bene da farli andare d’accordo insieme, per poi formare tante belle cose, Abbiamo poco fa detto che era matto chi diceva che la bella macchina a vapore non fu fatta da un bravo macchinista; or dite loro che vi accompagnino col pensiero in un gran laboratorio, in cui si fabbricano le macchine. Oh se vedeste tutto là ben preparato; tante ruote e spranghe e molle e piuoli, e quei denti in quelle ruote e quelle incavature e tanti altri oggetti con bel lavorio così ben finiti, che pare aspettino li di esser congegnati insieme! Certo che fu il bravo macchinista che formò ogni minuta cosa pel fine a cui la destinava. Or domandate loro se gli atomi in quel loro gran polverio erano già così bene preparati, chi li ebbe così ben preparati da poter unirsi insieme e formare le stelle, il sole, la terra e far andar in ordine quest’ammiranda immensa macchina dell’universo?

Spez. Ma la materia e la forza vanno così. ben regolate da leggi con lor eterne, dicon essi.

Par. Guardate mo’ come sono bricconi gl’increduli! di soppiatto ti metton dentro tutti gli intingoli per fare dalla buona gente ingollare il mal boccone senza che si accorga del veleno!… Dopo di aver sognato a fantasia la materia e le forze che la fanno muovere; ti metton dentro una cosettina che vien bene a far passare il tutto. Essa è solo una parolina, aggiuntavi, le leggi; ed il mondo deve andar bello e creato, Ma voi da bravo, fermate sulle lor lingue la parola leggi: e prima di lasciarla metter dentro, domandate loro che cosa intendono per leggi. La legge è ordine dato da chi comanda per far fare da altri quel che egli vuole. Ora se vi son leggi che fanno andare la materia e la forza non unite insieme a fare tutto così bene, vi deve essere il Legislatore Iddio che fa loro eseguire quello che vuole Egli. Che se non è Dio, qual sarà il legislatore?

Spez. Oh vel dicon subito: è la natura; e che gli atomi sono tali per natura, che le forze sono unite loro. per natura, e che le leggi che le regolano sono leggi di natura.

Par. Quanto debbon esser costoro fortunati di conoscere essi questa gran natura. Eh eh, che deve avere una forza immensa per poter raccogliere e chi sa dove? Tutto quello sterminato polverio di atomi, e preparare tanto materiale da comporre. le stelle, il sole, così grandi che in paragone di loro questa nostra terra, la quale con tutti i monti e mari e tutte cose in essa è pur grossetta alquanto, pure nuota come perduta nel vano sconfinato del firmamento! Bisogna proprio dire che la natura è onnipotente… Eh che testa dovette avere questa lor natura! Figuratevi! Mentre tutti i chimici, macchinisti con tutti i loro filosofi, professori sapientissimi vanno disperati di non avere ancora potuto nonché formare un pelo di animaluzzo o  una fogliolina d’erba, neppur un granellino di sabbia; ed ecco da questa natura che seppe inventare le piante cui mente d’uomo non avrebbe mai potuto immaginare se non fossero; e seppe congegnare quei fili e costoline e quelle vene, e nelle foglie e nelle radici quelle piccolissime boccucce! da ‘assorbirsi gli alimenti, e colorir le foglie e fare brillanti i fiori così belli. Ma questa natura le sapeva tutte! Fino sa far gli organi dei sensi agli animali, e metter dentro loro cuore e cervello e nervi e tante’altre meraviglie che il sapiente studia, studia e non finisce mai di ammirare!… Ed essa, la natura, pensa a tutto nel far tutto. Figuriamoci quanto dovette pensare nella sua sapienza solo a formar l’occhio nostro. Ella dovette dire: « voglio dar questo strumento od organo della vista per vedere le cose in mezzo a cui uno si trova. Ebbene lo metterò in alto all’uomo. Egli ha da camminare; ed io gli metterò 1’occhio innanzi sulla fronte; egli ha da guardare tutto intorno; ed io glielo farò rotondo. Per vedere ha da ricevere la luce dentro; ed io glielo farò trasparente come il vetro; ma per far che l’uomo veda, ha da ricevere dentro le immaginette delle cose; ed io gli metterò le palpebre per tenere la pupilla lucida come uno specchio, e metterlo poi anco sotto un velo per farlo riposare; ma la luce potrebbe esser troppo viva di abbruciare la vista; ed io metterò i peli delle ciglia a respingerla se punge troppo: ma poi sempre in moto a guardare qua e là si dovrà pel calorico diventar infuocato; ma io gli metterò d’intorno un po’ di acqua con cui si possa tenere sempre fresco…» Oh uomo, oh uomo, e tu non dici mai neppur un grazie! or pensa che quel che si dice dell’occhio, si è da dire di tutte le più minute parti del corpo umano!… Ed avrà fatto tutto la natura?…. Oh se bisogna dire che questa che dicono natura è sapientissima davvero! Al veder poi come colle sue leggi fa andar tutto in ordine il dì, la notte, le stagioni, e fa dalle piante e dagli animali produrre sempre novelle piante è sempre altri animali, e così provvede a tutto, bisogna dire per poco di ragione che si abbia, che questa che dicono natura è provvidentissima natura… Ma che!… ma che!… Una natura che fu sempre onnipotente, sapientissima, provvidentissima !.. Ah bravi, bravi… Gli cambiano il nome, ma vogliono dire Iddio. Ve l’ho detto che per necessità bisogna creder in Dio. Anche quando strillano di non voler credere in Dio, e perfidiano in negare il suo Nome; pur confessano di crederlo in realtà.

Spez. Ma no, signore, essi non dicono mica che la natura sia una gran persona; ma dicono che tutta insieme questa gran faraggine di materia, di forze e di leggi che forman l’universo, è la natura stessa.

Par. Oh! come ragionano da sapienti questi vostri signori! Udite adunque ciò che vengono essi a dire. In prima: che la natura è quella che formò e fa andare in ordine tutte le cose insieme; poi dicono, che tutte le cose insieme formano la natura: dunque, secondo essi, la natura creò la natura stessa. Però noi non abbiam poi da perdere più tanto tempo per rispondere a loro che parlano; e sanno anch’essi di non credere a quel che dicono. Diremo tutto in breve chiaramente. Ascoltate: La questione tra noi e i signori della bottega in fine si riduce a questo: che noi crediamo che Dio Eterno, Onnipotente e Sapientissimo creò il mondo e lo sostiene in ordine colla sua Provvidenza; e quei signori di bottega voglion dire che il mondo fu formato in un gran nebbione dalla materia, dalle forze e dalle leggi che giravano alla cieca sempre intorno furibonde, come tre orbi che fanno a bastonate. Ma, almeno almeno, questi tre orbi avessero avuto un lumicino di ragione; ché allora essi avrebbero potuto aggiustarsi tra loro certi colpi per benino. Signori, no; tra quei tre orbi, dicono i grandi sapienti, di ragione non v’era un briciolo; ma andavano là, come van sempre ancora, senza saper dove vanno; in tentativi infiniti, senza tentare di fare mai niente. Così quei muti, ciechi e senza cognizione, senza volere mai far niente; han fatto e cielo e terra e tutte piante ed animali, fino noi medesimi. Ma si può dire una più matta cosa?…

Spez.. Ha, ragione, signor parroco; ma che vuole? Son tutti nella … foia di negare che vi sia Dio!… Ah! vorrei io un po’ sapere perché hanno quel fuoco addosso!

Par. Ah! veramente mi fa male il cuore a dire perché hanno, la smania di negare Dio! Se lo sapessero i vostri amici signori della conversazione, che poi in fondo sono ancor buoni, ne resterebbero spaventati! È un orrore a dirlo: vi son di uomini così perdutamente guasti, che vorrebbero che Dio non fosse. Il pensiero di Dio benedetto Creatore è come un grande spettro che mette loro paura; e smaniano per toglierselo dinanzi dalla mente. Per loro la sola propria persona è come il dio, a cui piace loro tutto sacrificare. Non sapete che si dicono risoluti, anzi già pronti ad ammazzar tutti che non han la voglia di farsi pecore per loro? E perché non si dica che noi li calunniamo, dirovvi che vi son di loro tali così orrendamente audaci che lo stamparono in faccia al sole de’ nostri di. Udite le parole di un di loro (Marr): « Distruggiamo la fede in Dio, facciam la guerra ad ogni idea di religione… l’individuo co’ suoi appetiti e colle sue passioni, ecco il vero Dio. E poi muoia il popolo, muoia l’Allemagna, muoian tutte le nazioni; sbarazzato da tutti i fantasmi (di religione) l’uomo ricuperi la sua indipendenza » (Revue des deux mondes, an. 1850, pag. 208).

Spez. Basta, basta ; mi fan venir il freddo addosso al solo udirli. Ma se costoro arrivassero proprio a far creder al mondo che non vi è Dio, che potrebbero fare allora gli uomini?

Par. Eh! Ammazzarsi gli uni cogli altri, quando credessero convenisse all’interesse loro. E non vel dico io, ma è un grand’empio della lor compagnia, Rousseau, il quale disse: « Io non vorrei aver un servo, il quale non credesse  in Dio: perché se gli facessero gola i miei danari, studiato modo di farla franca, una qualche notte — mi pianterebbe un coltello nel cuore tranquillamente; perché dagli uomini avrebbe ben pensato come mettersi al sicuro, a Dio poi non crede. » Così gli uomini che son creati per formare una famiglia di fratelli da aiutarsi l’un coll’altro, diverrebbero una società di tigri, di leoni e di iene! Ditelo per carità ai vostri amici: che si guardino da questi che si vantano sapienti e si dicono filantropi innamorati dei popoli.

DIO CI LIBERI!… CHE SAPIENTI! CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! CHE FILANTROPI! FAN L’AMORE AI POPOLI CO’ DENTI!…