UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII “QUOD AUCTORITATE”

Il santo Padre Leone XIII, con questa lettera indice un anno giubilare straordinario per i popoli minacciati da tempi oscuri per lo scatenarsi delle forze del male, onde sollecitare la pace dal Signore Iddio e l’intercessione della Madre di Dio, la Beata Vergine Maria. In tempi di difficoltà la Chiesa soleva invocare, per intervento del Vicario di Cristo, la misericordia e la pace che solo Dio può concedere a chi a Lui intende tornare o perseverare nella sua grazia. Come sono lontani quei tempi, seppure già per tanti versi funesti, dai nostri, in cui si invocano forze politiche, sociali, sovranazionali, scientifiche, più spesso esoteriche o legate a culti demoniaci (le sette massoniche varie e di magia nera), per risolvere i problemi che esse stesse hanno determinato, e non si invoca il Signore Iddio, Padrone del creato e di ogni creatura vivente, o il Re dei popoli, il Signore Nostro Gesù Cristo che, lungi dall’essere proclamato tale, viene disprezzato, allontanato dalle pubbliche imprese, rifiutato in tutti i suoi comandi e nel portare il suo giogo dolce e lieve, con i risultati che tutti possiamo costatare in ogni luogo del pianeta, mali che si acuiranno sempre più fino alla completa rovina di Nazioni e di interi continenti, un  tempo sostenuti dall’amore e dalla pace che solo Dio può donare. Ed oggi in sovrappiù, non abbiamo nessuno che difenda i valori dell’integrità cristiana, anzi quella finta chiesa-zombi, infestata da demoni virtuali (Pachamama docet) o in carne ed ossa (gli antipapi usurpanti attuali, con i loro invalidi vescovi e prelati, larve senza contenuto dottrinale né di ordine e di giurisdizione) conducono ignari fedeli con inaudita ferocia di lupi travestiti, nello stagno eterno e alla dannazione eterna.  

Leone XIII
Quod auctoritate

Lettera Enciclica

Quello che con Apostolica autorità già una volta e poi nuovamente decretammo, cioè che un anno sacro straordinario – aperti al pubblico vantaggio i tesori dei doni celesti che abbiamo il potere di dispensare – si celebrasse in tutto l’orbe cristiano, vogliamo ora stabilire, col favore di Dio, per il prossimo anno. – L’utilità dell’iniziativa non può sfuggire a Voi, Venerabili Fratelli, consapevoli come siete dei tempi e dei costumi; ma una certa singolare ragione fa sì che in questa Nostra decisione appaia maggiore opportunità che non forse nelle altre occasioni. – Invero, avendo Noi, con la precedente Nostra lettera Enciclica sul governo degli Stati, indicato quanto sia importante per essi accostarsi sempre più alla verità e all’ordinamento cristiano, già si può comprendere quanto sia consentaneo a questo Nostro proposito operare con tutti i mezzi possibili per eccitare e per richiamare gli uomini alle cristiane virtù. – Infatti lo Stato è tale quale lo fanno i costumi dei popoli; e come l’eccellenza delle navi e degli edifici dipende dalla bontà e dalla giusta collocazione delle singole parti, allo stesso modo il corso della cosa pubblica non può essere né giusto né senza danno se i cittadini non camminano nel retto sentiero della vita. La stessa disciplina civile, e tutte le cose che costituiscono l’azione della vita pubblica, soltanto per opera degli uomini nascono e periscono; e perciò gli uomini sogliono dare alle cose l’esatta immagine delle proprie opinioni e dei propri costumi. Affinché dunque penetrino nei loro animi quei precetti Nostri e, quel che più conta, sia ispirata ad essi la vita quotidiana di ciascuno, si deve fare ogni sforzo perché i singoli inducano l’animo a cristianamente sentire e ad operare cristianamente, non meno in pubblico che in privato. – In tale impresa è tanto più necessario impegnarsi quanto maggiori sono i pericoli incombenti da ogni parte. Infatti le grandi virtù dei padri nostri si dileguarono in non piccola parte: e le cupidigie, che di per sé hanno grandissima forza, una maggiore ne chiesero ai fini di licenza; l’insania delle opinioni, contenuta da nessuno o da freni poco adatti, ogni giorno più si diffonde: fra quegli stessi che sentono rettamente, molti, trattenuti da un certo falso pudore, non osano professare liberamente ciò che sentono e molto meno ancora operare in tal senso; la forza dei perniciosi esempi a poco a poco va penetrando nei costumi popolari; disoneste società di uomini, le quali già altra volta da Noi stessi furono indicate, espertissime in colpevoli inganni, si studiano d’imporsi al popolo e, in quanto possono, distoglierlo e strapparlo da Dio, dalla santità dei doveri, dalla fede cristiana. – Quindi, nell’incalzare di tanti mali, resi sempre maggiori dalla loro durata, nulla che arrechi con sé qualche speranza di alleviamento deve essere da Noi tralasciato. Con questo intento e con questa speranza annunzieremo il sacro Giubileo ammonendo ed esortando tutti coloro cui sta a cuore la loro salvezza di raccogliersi un poco in se stessi, e d’innalzare i pensieri immersi nelle cose terrene a cose migliori. Il che non solo riuscirà salutare per i privati, ma per tutta la cosa pubblica, in quanto il vantaggio che ciascuno trarrà a perfezione del proprio animo, d’altrettanto gioverà per onestà e virtù alla vita e ai pubblici costumi. – Ma il desiderato esito dell’impresa, ben vedete, Venerabili Fratelli, è riposto per gran parte nella vostra opera e nella vostra diligenza, essendo necessario preparare il popolo a conseguire adeguatamente i frutti che sono proposti. Sarà dunque cura della carità e della sapienza vostra affidare questa impresa a scelti sacerdoti che, con ragionamenti adeguati all’intelligenza del popolo, istruiscano la moltitudine e principalmente la esortino alla penitenza, che secondo Agostino è “sofferenza quotidiana dei buoni ed umili fedeli; in essa ci battiamo il petto dicendo: rimetti a noi i nostri debiti”. Non senza motivo rammentiamo in primo luogo la penitenza, e quella parte di essa che consiste nella volontaria mortificazione del corpo. Infatti, conoscete il costume del secolo: ai più piace vivere con mollezza, e non fare alcunché virilmente e con grandezza d’animo. Taluni, mentre cadono in molte altre miserie, spesso presentano falsi pretesti per non obbedire alle leggi salutari della Chiesa, giudicando troppo grave e intollerabile peso o l’obbligo imposto loro di astenersi da certo genere di cibi, o l’osservare il digiuno in pochi giorni dell’anno. Snervati da questa abitudine, non fa meraviglia se a poco a poco si danno totalmente alle cupidigie che esigono sempre di più. Pertanto è conveniente richiamare a temperanza gli animi rilassati o proclivi a mollezza; per la qual cosa coloro che parleranno al popolo insegnino diligentemente e chiaramente ciò che è prescritto non solo dalla legge Evangelica, ma anche dalla ragione naturale: è necessario che ognuno comandi a se stesso e domini le proprie passioni; non si può espiare le colpe se non con la penitenza. Ed affinché questa virtù di cui parliamo si mantenga perenne, non sarebbe cosa errata se la si affidasse stabilmente alla custodia ed alla tutela di una istituzione. Voi facilmente comprendete, Venerabili Fratelli, quanto ciò sia importante: che ciascuno di Voi nella vostra Diocesi perseveri a tutelare e ad amplificare il Terzo Ordine dei fratelli Francescani, che si chiama secolare. Certamente, per conservare e per alimentare nella moltitudine cristiana lo spirito di penitenza, sono validissimi gli esempi e la grazia del padre Francesco d’Assisi, che alla somma innocenza della vita congiunse tanto zelo da mortificare se stesso, da sembrare di avere in sé l’immagine di Gesù Cristo crocifisso, non meno per la vita e per i costumi, quanto per le stigmate divinamente impressegli. Le leggi del suo Ordine, che opportunamente mitigammo, sono assai lievi da sopportare: ma non hanno poca importanza riguardo alla virtù cristiana. Poiché, in tante necessità private e pubbliche, ogni speranza di salute consiste nel patrocinio e nella tutela del Padre celeste, vorremmo ardentemente che rivivesse lo zelo costante della preghiera congiunto alla fiducia. In ogni importante tempo della repubblica cristiana, tutte le volte che la Chiesa venne minacciata da pericoli esterni o da difficoltà intestine, con preclaro esempio i nostri maggiori, alzati supplichevolmente gli occhi al cielo, insegnarono con quale mezzo e donde si dovessero chiedere la luce dell’animo, la forza della virtù e gli aiuti adatti ai tempi. Infatti, stavano impressi nelle menti quei precetti di Cristo: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt VII, 7); “È necessario pregare sempre e non stancarsi” (Lc XVIII, 1). A tali precetti fa eco la parola degli Apostoli: “Pregate incessantemente” (1Ts V, 17); “Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini” (1Tm II,1). Su ciò, non meno acutamente che conforme a verità, a guisa di paragone, Giovanni Crisostomo lasciò scritto: Come all’uomo, che nasce nudo e bisognoso di tutto, la natura diede le mani affinché con l’aiuto di esse si procacciasse le cose occorrenti alla vita, così per le necessità soprannaturali egli – nulla potendo da solo – fu dotato da Dio della facoltà di pregare, affinché, servendosi saggiamente di essa, potesse facilmente ottenere le cose che si richiedono per la salvezza. Perciò, Venerabili Fratelli, ciascuno di Voi giudichi quanto da Noi sia gradito ed approvato il vostro zelo speso, soprattutto in questi ultimi anni, per Nostro incitamento nel promuovere la pia pratica del santissimo Rosario. Né è da passare sotto silenzio la pietà popolare che, a questo proposito, si vede particolarmente attuata in quasi tutti i luoghi; ma è da curare con grande attenzione che si accenda maggiormente e si mantenga con perseveranza. Nessuno di Voi si stupirà se insistiamo su ciò, come più volte facemmo, giacché comprendete quanta importanza abbia il fiorire presso i Cristiani della consuetudine del Rosario Mariano, e appieno conoscete che nel genere di preghiere di cui parliamo, essa è parte e forma bellissima, conveniente ai tempi, di uso facile e fecondissima per utilità. – E poiché il primo e massimo frutto del Giubileo deve essere quello che più sopra abbiamo indicato, cioè un’emendazione della vita, un avvicinarsi alla virtù, crediamo necessario specificatamente fuggire da quel male che con la Nostra precedente Enciclica non tralasciammo di segnalare. Intendiamo accennare ad alcuni nostri dissidi interni e quasi domestici: dissidi che appena si può dire con quanto danno delle anime sciolgono, o certamente rallentano, il vincolo della carità. La qual cosa perciò ora di nuovo vi rammentiamo, Venerabili Fratelli custodi della disciplina ecclesiastica e della mutua carità, perché vogliamo che la vostra vigilanza e la vostra autorità siano sempre rivolte a scongiurare così grave inconveniente. – Ammonendo, esortando e rampognando, fate in modo che tutti “siano solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace”, e gli autori dei dissidi ritornino al dovere, meditando per tutta la vita che l’Unigenito Figlio di Dio, nello stesso approssimarsi degli estremi dolori, nulla chiese al Padre più insistentemente se non che tra loro si amassero quelli che credevano o avrebbero creduto in Lui, “affinché tutti siano una sola cosa; come Tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Gv XVII, 21). Pertanto, fiduciosi nella misericordia dell’onnipotente Iddio e nell’autorità dei beati Apostoli Pietro e Paolo, per quella potestà di legare e di sciogliere che a Noi, quantunque indegni trasmise il Signore, concediamo a tutti e singoli i Cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso pienissima indulgenza di tutti i peccati, a modo di generale Giubileo, però con la condizione e con l’obbligo che nel termine del prossimo anno 1886 compiano le cose che prescriviamo. – Quanti sono a Roma, cittadini od ospiti, visitino due volte la Basilica Lateranense, la Vaticana e la Liberiana ed ivi per parecchio tempo innalzino pie preghiere a Dio per la prosperità e l’esaltazione della Chiesa Cattolica e di questa Sede Apostolica, per l’estirpazione delle eresie, per la conversione di tutti gli erranti, per la concordia dei Principi cristiani, e per la pace e l’unione di tutto il popolo fedele, secondo la Nostra intenzione. Gli stessi digiunino per due giorni usando cibi magri, oltre i giorni non compresi nell’indulto quaresimale, o altri consacrati a simile digiuno per precetti della Chiesa; oltre a ciò, dopo avere bene confessate le proprie colpe, ricevano il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, e facciano qualche elemosina, secondo le proprie forze, udito il consiglio del Confessore, in favore di qualche pia opera che riguardi la propagazione e l’incremento della fede cattolica. È concesso a ciascuno scegliere quella di tali opere che più gli piaccia: però crediamo di doverne nominare due per le quali la beneficenza sarà ottimamente impiegata, l’una e l’altra operanti in molti luoghi, bisognose di soccorso e di tutela, l’una e l’altra utili non meno alla popolazione che alla Chiesa: cioè le scuole private dei fanciulli, e i Seminari dei Chierici. – Tutti gli altri, che dimorano fuori della città e in qualunque altro luogo, visiteranno nel detto spazio di tempo per due volte tre Chiese designate da Voi, Venerabili Fratelli, o dai vostri Vicari o Delegati, o per vostro o per loro mandato da coloro che hanno cura d’anime; oppure se due sole saranno le Chiese, per tre volte; ovvero se il tempio sarà uno solo, sei volte; e del pari faranno tutte le altre opere che sono accennate più sopra. – Vogliamo che questa indulgenza si possa applicare, a titolo di suffragio, anche alle anime che uscirono da questa vita congiunte nella carità con Dio. Inoltre, vi diamo facoltà di potere ridurre le stesse visite ad un numero minore, secondo il vostro prudente giudizio, per i capitoli e per le Congregazioni, tanto secolari quanto regolari, per i sodalizi, per le confraternite, per le associazioni, per i collegi che visiteranno processionalmente le menzionate Chiese. – Concediamo che i naviganti e i viaggiatori possano conseguire la stessa indulgenza quando, ritornati al loro domicilio o altrove in una stabile dimora, abbiano visitato sei volte il tempio principale, o la Chiesa parrocchiale, e compiute tutte le opere sopra prescritte. Ai regolari d’ambo i sessi, anche chiusi in perpetuo nei chiostri, e a tutti gli altri, tanto laici quanto ecclesiastici, i quali o perché in carcere, o per infermità, o per qualunque altra causa siano impediti dal fare le opere suddette o ne compiano alcune, concediamo che il Confessore possa commutarle in altre opere di pietà, con il potere altresì di dispensare dalla Comunione i fanciulli che ancora non sono stati ammessi alla prima Comunione. – Oltre a ciò concediamo a tutti e singoli i Cristiani, tanto laici quanto ecclesiastici, secolari e regolari d’ogni Ordine ed Istituto, anche se da nominarsi specificatamente, la facoltà di potere scegliersi a questo effetto qualsivoglia sacerdote Confessore approvato, tanto secolare quanto regolare: di tale facoltà possono anche fruire le Monache, le Novizie e le altre donne dimoranti nei chiostri, purché il Confessore sia approvato per le religiose. – Ai Confessori poi, in questa occasione e soltanto per il tempo di questo Giubileo, elargiamo tutte quelle stesse facoltà che largimmo con la Nostra lettera Apostolica Pontifices maximi del 15 febbraio 1879, ad eccezione tuttavia di tutte quelle che sono eccettuate nella stessa lettera. Per il resto, si adoperino tutti zelantemente in detto periodo per invocare la Gran Madre di Dio. Infatti, vogliamo consacrato questo Giubileo al patrocinio della Santissima Vergine del Rosario; confidiamo che con l’aiuto di Lei non pochi saranno coloro la cui anima, cancellata ogni macchia di peccato, si purifichi, e per la fede e per la pietà e per la giustizia non solo rinasca a speranza di sempiterna salute, ma anche come augurio di tempi migliori. – Auspice di tali celesti benefìci e a testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, al Clero e a tutto il popolo affidato alla vostra fede e alla vostra vigilanza, impartiamo amatissimamente nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 dicembre 1885, anno ottavo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI PASQUA (2022)

DOMENICA DELLA RISURREZIONE.


Solennità delle Solennità.
Stazione a Santa Maria Maggiore
Doppio di I cl. con ottava privilegiata. – Paramenti bianchi.
Come a Natale, così a Pasqua, la più grande festa dell’anno,
la Stazione si tiene a S. Maria Maggiore.

Il Cristo risuscitato rivolge anzitutto al divin Padre l’omaggio della sua riconoscenza (Intr.). La Chiesa a sua volta ringrazia Iddio di averci, con la vittoria del Figlio Suo, riaperto la via del Cielo e lo prega di aiutarci a raggiungere questo bene supremo (Oraz.) Come gli Ebrei mangiavano l’Agnello pasquale con pane non lievitato, dice S. Paolo, così noi pure dobbiamo mangiare l’Agnello di Dio con gli azzimi di una vita pura e santa (Ep., Com.) cioè, esente dal fermento del peccato. Il Vangelo e l’Offertorio ci mostrano la venuta delle Marie che vogliono imbalsamare il Signore. Esse trovano una tomba vuota, ma un Angelo annunzia loro il grande Mistero della Risurrezione. Celebriamo con gioia questo giorno nel quale Cristo, risuscitando, ci ha reso la vita (Pref. di Pasqua) ed affermiamo con la Chiesa, che « il Signore è veramente risuscitato » (Inv.); secondo il suo esempio, operiamo la nostra Pasqua, o passaggio, vivendo in modo da poter dimostrare che noi siamo risuscitati con Lui.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXXXVIII: 18; CXXXVIII: 5-6.

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuisti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. 

[Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Ps CXXXVIII: 1-2.

Dómine, probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam. 

[O Signore, tu mi provi e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio sòrgere.]

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuísti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja.

[Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Oratio

Deus, qui hodiérna die per Unigénitum tuum æternitátis nobis áditum, devícta morte, reserásti: vota nostra, quæ præveniéndo aspíras, étiam adjuvándo proséquere. 

[O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio Unigénito, vinta la morte, riapristi a noi le porte dell’eternità, accompagna i nostri voti aiutàndoci, Tu che li ispiri prevenendoli.] 

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 1 Cor V: 7-8

“Fratres: Expurgáte vetus ferméntum, ut sitis nova conspérsio, sicut estis ázymi. Etenim Pascha nostrum immolátus est Christus. Itaque epulémur: non in ferménto véteri, neque in ferménto malítiae et nequitiæ: sed in ázymis sinceritátis et veritátis.” 

[“Fratelli: Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una pasta nuova, voi che siete già senza lievito. Poiché Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e delle perversità, ma con gli azimi della purità e della verità”.] .

Fratelli: Togliete via il vecchio fermento.

Comunque si vogliano intendere queste parole, che l’Apostolo indirizza ai Corinti, è certo che li esorta a vivere santamente, lontani da ogni peccato, tanto più che si avvicinava la solennità di Pasqua. « Non c’è uomo che non pecchi », dice Salomone (3 Re, VIII, 46). E si pecca non solo venialmente: da molti si pecca mortalmente con la più grande indifferenza. Forse cesserà il peccato di essere un gran male, perché è tanto comune? Una malattia non cessa di essere un gran male, perché molto diffusa; e il peccato non cessa di essere il gran male che è, perché commesso da molti. Dio, autorità suprema, ci dice: «Osservate la mia legge e i miei comandamenti» (Lev. XVIII, 5). E noi non ci curiamo della sua legge e dei suoi comandamenti, che mettiamo sotto i piedi. Quale guadagno abbiamo fatto col peccato, e qual vantaggio riceviamo dal non liberarcene? Se non hai badato al peccato prima di commetterlo; consideralo almeno ora che l’hai commesso. Col peccato avrai acquistato beni, ma hai perduto Dio. Avrai avuto la soddisfazione della vendetta; ma ti sei meritato un condegno castigo; perché « quello che facesti per gli altri sarà fatto per te: sulla tua testa Dio farà cadere la tua mercede » (Abdia, 15). Se non aggraverà su te la sua mano in questa vita, l’aggraverà nella futura. Avrai provato godimenti terreni, ma hai perduto il diritto ai godimenti celesti. Ti sei attaccato a ciò che è momentaneo, ma hai perduto ciò che è eterno. Ti sarai acquistata la facile estimazione degli uomini, ma hai perduto l’amicizia di Dio. Hai abusato un momento della libertà; ma sei caduto nella schiavitù del peccato. « Che cosa hai perduto, che cosa hai acquistato?… Quello che hai perduto è più di quello che hai acquistato » (S. Agostino Enarr. in Ps. CXXIII, 9). – Il peccatore, però, da questo stato di perdita può uscire, rompendo le catene del peccato. Egli lo deve fare. Dio stesso ve lo incoraggia: « Togliti dai tuoi peccati e ritorna al Signore » (Eccli. XVII, 21), dice egli. « Io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via, e viva… E l’empietà dell’empio non nuocerà a lui, ogni qual volta egli si converta dalla sua empietà » (Ezechiele XXXIII, 11…. 12). Non si è alieni dal ritornare a Dio; ma non si vuole far subito. Si vuole aspettare in punto di morte. Ma la morte ha teso le reti a tutti i varchi, e frequenti sono le sue sorprese. Può coglierci da sani, quando nessuno ci pensa; può coglierci da ammalati; quando non si crede tanto vicina, o si crede di averla già allontanata. Non sono pochi quelli che muoiono senza Sacramenti, perché si illudono che la malattia non sia mortale, o che il pericolo sia stato superato. E poi, non è da insensati trattare gli affari della più grande importanza, quando non si possono trattare che a metà, con la mente preoccupata in altre cose? E nessuno affare può essere importante quanto la salvezza dell’anima nostra; ed è imprudenza che supera ogni altra imprudenza volerlo trattare quando il tempo ci verrà a mancare, quando non avremo più la lucidità della mente. – Nessuno che è condannato a portare un peso, aspetterebbe a levarselo di dosso domani, se potesse levarselo quest’oggi. Nessuno che ha trovato una medicina che può guarire una malattia recente, si decide a prenderla quando la malattia sarà inveterata. Nel nostro interno c’è la malattia del peccato; non lasciamola progredire. Un medico infallibile, Gesù Cristo, ci ha dato una medicina per la nostra guarigione spirituale, la confessione; non trascuriamola.

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

Alleluja 

Alleluia, alleluia Ps. CXVII:24; CXVII:1 Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea. 

[Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso.] 

V. Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja. 

[Lodate il Signore, poiché è buono: eterna è la sua misericòrdia. Allelúia, allelúia.] 

1 Cor V:7 V. Pascha nostrum immolátus est Christus. 

[Il Cristo, Pasqua nostra, è stato immolato.]

Sequentia

“Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni. Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus. Dic nobis, María, quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis. Angélicos testes, sudárium et vestes. Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére. Amen. Allelúja.” 

[Alla Vittima pasquale, lodi offrano i Cristiani. – L’Agnello ha redento le pecore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. – La morte e la vita si scontrarono in mirabile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo. – Dicci, o Maria, che vedesti per via? – Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la gloria del Risorgente. – I testimonii angelici, il sudario e i lini. – È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea. Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium 

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Marcum. 

 Marc. XVI:1-7.

“In illo témpore: María Magdaléne et María Jacóbi et Salóme emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Jesum. Et valde mane una sabbatórum, veniunt ad monuméntum, orto jam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt júvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Jesum quǽritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus, ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis ejus et Petro, quia præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.” 

[In quel tempo: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, e Salòme, comperarono degli aromi per andare ad úngere Gesú. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sàbato, arrivarono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicevano tra loro: Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro? E guardando, videro che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giovane seduto sul lato destro, rivestito di càndida veste, e sbalordirono. Egli disse loro: Non vi spaventate, voi cercate Gesú Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avevano posto. Ma andate, e dite ai suoi discepoli, e a Pietro, che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LE CARATTERISTICHE DELLA RESURREZIONE DI CRISTO

Prima che l’aurora sorgesse di là dal crinale dei monti, una silenziosa comitiva di donne ascendeva verso il sepolcro. Andando, qualcuna ruppe il silenzio e disse: « Chi ci smuoverà la pietra enorme che ostruisce la bocca della sepoltura? ». Ed ecco da lontano apparire il sepolcro: era aperto. Si scorgeva, rovesciata sull’erba del giardino, la bianca pietra dischiusa. Maria Maddalena impallidì, non seppe proseguire, tornando sui propri passi, corse a Pietro e a Giovanni, e come li vide scoppiò in un grido dolorose, « hanno involato il Signore, e non sappiamo dove l’abbiano messo ». Intanto le altre donne che s’erano fatte coraggio a proseguire entrarono nel sepolcro: due Angeli, uno a destra e l’altro a sinistra, vegliavano in attesa. Erano bianchi e risplendevano come il sole. « Chi cercate? » chiese un Angelo. « Gesù di Nazareth, che fu crocifisso tre giorni fa » risposero le donne. « È risuscitato: non è qui! ». Le donne, tremando di paura e di gioia, uscirono dalla grotta e ruppero in un grido di trionfo. E come fu la resurrezione di Cristo? Anzi tutto fu vera: Surrexit vere (Lc. XXIV, 34). Poi non conobbe più morte, ma continuò e continuerà eternamente nella gloria e nella luce. Jam non moritur: mors illi ultra non dominabitur (Rom., VI, 9). Verità e costanza: ecco i due caratteri della resurrezione di Cristo, i quali debbono pure essere i caratteri della nostra risurrezione. – RESURREZIONE VERA. Quando pecchiamo mortalmente, in una maniera spirituale noi moriamo. Ecco perché la Chiesa in questo tempo impone a tutti i fedeli di accostarsi ai santi Sacramenti: essa non può sopportare che il giorno della resurrezione del Salvatore sia celebrato da cuori morti. O Cristiani, siete tutti risorti? Avete tutti fatta la Pasqua? Chi non l’ha fatta, ancora non è risorto: le tenebre del peccato ancora involgono e soffocano la sua anima. – E a quelli che già hanno adempito il precetto io domando: siete risorti veramente? Non tutti quei che sembrano resuscitati, lo sono. Un grande scrittore, sentendosi ammalato gravemente, chiamò un sacerdote per confessarsi. Il prete gli impone di bruciare un’opera abbastanza licenziosa che stava componendo. Egli si fa pregare lungamente, ma poi a malincuore s’arrende. Il confessore se ne va. Un amico arriva e comincia a rimproverare l’artista  del suo sacrificio. « Come? e tu hai rinunziato a quel libro che ti doveva rendere famoso? … e tu, con le tue mani, hai avuto il coraggio di gettare nelle fiamme la tua gloria più bella? ». Lo scrittore abbozzò un lievissimo e furbesco sorriso e aggiunse a bassa voce: Taci. In fondo al cassetto, nascosta, ne ho conservata una copia ». Il Signore tolga che qualche Cristiano abbia imitato quell’artista! Accostandosi al sacramento della Confessione, costretto dal confessore, promise di bruciare nel fuoco dell’amor di Dio quell’impura relazione; di finirla con quei guadagni illeciti, di abbandonare i rancori e i desideri di vendetta; di riparare gli scandali. Ma poi gli si è avvicinato il demonio e gli ha detto: « Come? vuoi privarti dei piaceri più belli? ridurti a vivere la vita insipida dei frati? ». E l’infelice, nascosto in fondo al cuore, ha conservato un idolo, una passione, l’affetto ad un peccato. S’illude d’essere risorto ma non lo è: il demonio con sottile catena lo tiene ancora nel sepolcro. – Resurrexit vere. Gesù ha dimostrato d’essere veramente risorto: col mangiare frequentemente cogli Apostoli, coll’apparire a molti luminoso e impassibile, col mostrare all’incredulo Tommaso le sue mani piagate. Così anche il Cristiano deve dimostrare che la sua resurrezione è vera: col mangiare frequentemente il Pane Eucaristico, coll’apparire mutato in famiglia e fuori, col mostrare le proprie opere buone. – Resurrexit vere. Iddio aveva detto al suo popolo schiavo in Egitto di istituire la festa di Pasqua: prendessero il sangue d’un agnello ucciso e ne aspergessero lo stipite e l’architrave della casa, Erit autem sanguis vobis in signum (Es., XII, 13-19). A mezzanotte passò l’Angelo sterminatore in tutte le case non asperse di sangue ed uccise tutti i primogeniti, da quelli di Faraone che sedeva sul trono a quelli della schiava che era in carcere. Questo che una volta avvenne in figura, oggi avviene in realtà. L’agnello ucciso è Cristo. E Dio comanda che ad ogni Pasqua ogni Cristiano deterga la propria anima col sangue dell’Agnello che nel sacramento della Penitenza perdona i peccati. – Quelle anime che non portano l’aspersione del Sangue di Cristo, quando la morte scenderà intorno a noi come una notte scura, saranno percosse dalla vendetta di Dio. – RESURREZIONE COSTANTE. Gesù Cristo risorgendo da morte più non muore, dice S. Paolo, e la morte non lo dominerà più. Donde viene allora che la nostra resurrezione pasquale dalla morte del peccato alla vita della grazia è così poco costante? La ragione principale è perché si trascurano le precauzioni dovute: la vita di preghiera e di penitenza; la fuga delle persone e dei luoghi e delle letture funeste all’innocenza. L’anima che ritorna a Dio dopo i traviamenti del mondo, io la somiglio a un convalescente, tremante e pallido: basta un colpo d’aria, un boccone mal digerito per farlo ricadere e miseramente perire. È necessario quindi un riguardo estremo a tutto ciò che anche lontanamente può offendere la salute. Così anche per l’anima: Gesù Cristo ce lo insegna. Risorto a vita impassibile non aveva più nulla da temere da tutti i suoi nemici, tuttavia Egli non si espone in mezzo a Gerusalemme, sulle pubbliche piazze; ma compare soltanto a’ suoi più intimi, quasi che ancora fosse soggetto alla morte. È temerario esporsi alle occasioni del male e pretendere che la grazia di Dio ci sostenga. « Che cosa dirà il mondo, — pensano alcuni — s’io d’un colpo cambio il tenore di vita? Si mormorerà alle mie spalle, si riderà… ». Lasciate dire; pensate che il mondo mormorerà e riderà di voi anche se continuerete sulla via del male. « Ma io ho degli impegni, dei legami d’amicizia, dei doveri indispensabili e non posso lasciare quella persona, quel luogo… ». Ricordatevi però che il vostro primo impegno è quello d’arrivare in Paradiso; il dovere vostro più indispensabile è quello di salvare l’anima; l’amicizia a cui doveste tenere di più è quella di Dio. « Ma io dovrei rovinare i miei affari, rompere i miei commerci, diminuire il mio guadagno… ». Si perda tutto, ma non si perda Dio. Se i vostri affari sono poco puliti, se i vostri commerci sono ingiusti, se il vostro guadagno è un furto, bisogna troncarla. E del resto se non la troncate voi liberamente, verrà poi la morte a farvela finire e sarà peggio. « Ritornerò ancora in quei luoghi, con quelle persone — pensano alcuni; — ma non farò nulla di male, anzi attirerò al bene gli altri… ». Ecco l’angelo delle tenebre che si trasforma in Angelo di luce, Chi vi ha costituiti guida e pastore dei vostri fratelli? Non lasciatevi ingannare dalla vostra. insipienza. Deus, tu scis insipientiam meam et confusionem meam! (Ps., LXVIII, 6). Soltanto con la fuga di tutte le occasioni che la passata esperienza vi ha insegnato come pericolose, soltanto con la via di penitenza e di preghiera renderete costante la vostra resurrezione. – Una tradizione racconta che una donna di Naim, — forse la vedova a cui Gesù aveva resuscitato il figlio unico, — informata troppo tardi dell’arresto del Maestro, arrivò a Gerusalemme ch’era domenica mattina. Ancora nessuno c’era nelle vie per domandargli dove l’avessero trascinato, e nemmeno immaginava che l’avessero crocifisso, tanto le doveva sembrare enorme. Rimase dubbiosa nel lume nuovo del giorno che sorgeva, ferma davanti al pretorio di Ponzio Pilato. Quando, abbassando gli occhi, le parve di vedere macchie di sangue sulle pietre della strada. « Il sangue! Il Maestro dunque è passato di qui ». Seguì quella striscia rossa e, a poco a poco, si trovò fuori dell’abitato dove la strada saliva a un’altura detta Calvario: quando fu quasi alla cima, le parve a un tratto che il sole sorgesse a due passi da lei, e nel globo ardente del sole ella vide una figura candida: Gesù. Subito spaventata si gettò a terra, e si coprì la faccia. Ma il Maestro la rialzò dolcemente e le disse: « Non temere: sono risorto per non più morire ». – V’è una striscia rossa nella vita che conduce l’anima a Gesù: la mortificazione il dolore, il rinnegamento delle proprie passioni cattive. Non scoraggiamoci: come quella donna di Naim, seguiamo passo passo le sanguinose impronte di Gesù. E al sommo della vita, il Maestro apparirà anche a noi raggiante di gloria e di gioia come un sole, e ci dirà: « Non temere! io sono risorto per non più morire. Tu pure, risorgerai, né morirai più ».

Alleluia! Cristo è risorto: la morte fu vinta; fu vinto il peccato; fu vinto l’inferno. Alleluia! squillano le campane nel cielo di primavera, in ogni angolo del mondo sotto ogni latitudine. Alleluia! oggi risuona sui monti silenziosi, oggi, sulle pianure tumultuanti. Alleluia! Oggi si ripete tra gli ardori della zona equatoriale come fra le capanne incavate nel ghiaccio dagli esquimesi; accanto alla pagoda di Brahama, presso la moschea di Maometto: dovunque un missionario cattolico ha levato una croce, ha innalzato un altare. È Pasqua: è il giorno sospirato, il principio d’ogni nostra letizia, il fine d’ogni dolore. Cristo non è più lacero, non è più crocifisso, non è più morto; ma integro, glorioso, trionfante. Alleluia! Dal giorno della Resurrezione tutto è diventato gioia per i veri discepoli di Gesù Cristo: gioia è vivere; gioia è morire; gioia è risorgere nella propria carne. – GIOIA È VIVERE. Vi sembrerà strano udire che gioia sia per noi la vita quando continuamente sperimentiamo d’essere in una valle di lacrime, ove non passa giorno senza una pena.  Eppure è così: noi abbiamo il mezzo per trasformare la nostra vita di sofferenza in una vita di santa letizia. Ce lo insegna S. Paolo: Ut quomodo Christus resurrexit a mortuis, ita et nos in novitate vitæ ambulemus. Come Cristo risuscitò da morti, così ancor noi dobbiamo risorgere dal peccato e camminare per una via nuova. Sopra questa strada nuova del bene, dell’onestà, della fede noi troveremo la gioia di vivere. Guardate il popolo di Israele fuggitivo dal servaggio brutale degli Egizi: Faraone col ferro alla mano; coi carri, con un esercito d’armati li rincorre, li incalza, li raggiunge, ormai è sopra a loro; gli Israeliti ansanti sono stretti tra il mare che mugghia davanti, e le lance che trafiggono alle spalle. Terribile agonia. Alza Mosè la verga e tocca le onde: ecco, e i flutti si calmano e il mare si divide dal mare ed una strada si apre sul fondo e tutto il popolo del Signore si precipita per quella. Il sentiero riesce così delizioso che invece d’arena e di ghiaia è lastricato di fiori. Campus — così lo descrive la Storia Sacra — germinans flores de profundis aquarum. Questa è un’immagine delle anime devote che fanno veramente Pasqua: voltano le spalle all’Egitto dei mondani piaceri e dei peccati e camminano dietro a Gesù risorto. Voltiamo anche noi le spalle alla nostra vita passata lontano dalla legge di Dio,  dai santi Sacramenti, e proveremo nel nostro cuore una gioia ed un pace non gustata fin qui. Davide esclama: « Il Signore non lascia mancar nulla a quelli che camminano nell’innocenza ». Non dico che non ci saranno più dolori; ma anche i dolori toccati dalla croce di Gesù, come da una verga miracolosa, diverranno gioie essi pure. « Ogni pena mi è diletto » canta S. Francesco. E santa Teresa di Lisieux meravigliata, diceva: « Come va, Signore, che anche in mezzo ai dispiaceri non posso più patire? ». GIOIA È MORIRE. La cosa più paurosa che v’è sulla terra è la morte. Sentirsi male in tutto il corpo, non trovar sollievo un istante per giorni e veder il mondo sfumar in una nebbia densa, non sentir più nulla, scendere sotterra nell’oscurità, tra le zolle grevi e fredde del camposanto… Oh è terribile! Ma Gesù Cristo, risorgendo per propria virtù, ha reso lieta la morte e piena di beate speranze. Per il navigante che ha traversato gli oceani in burrasca è forse spaventoso entrare un bel mattino nelle acque placide del porto? Per il soldato che è vissuto mesi e mesi nel fango d’una trincea, tra l’ululo dei proiettili; e gli scoppi terribili delle bombarde è forse spaventoso il giorno in cui potrà ritornare al suo paesello, nella sua casa, rivedere suo padre che l’attende sulla soglia, con le braccia spalancate per comprimerlo in estasi sul suo cuore? Per l’operaio che ha lavorato duramente per tutta la settimana, e s’è logorato sulla fatica, è forse spaventoso il sopraggiungere della sera del sabato, quando lo chiamerà il padrone, per donargli una generosissima ricompensa? Così è la morte per i veri Cristiani. « Per me — scriveva s. Paolo — morire è un guadagno (Philip., I, 21). io desidero la morte, perché mi unirà a Cristo (Philip., I, 23). Ma quando, finalmente, sarò liberato da questo corpo mortale? » (Rom., VII, 24). Il vecchio Vescovo Ignazio d’Antiochia, pochi giorni prima del martirio così scriveva ai Romani: « Quando godrò la felicità di essere dilaniato dalle belve feroci? « Ah, si affrettino a farmi morire e a tormentarmi; di grazia, non si risparmino. Se le belve non verranno da me, le obbligherò io a sbranarmi ». – « Perdonatemi, figliuoli, questi trasporti! so quello ch’è bene per me. Che mi si faccia soffrire il fuoco, le croci, le zanne delle bestie feroci; sono pronto a tutto purché possa godere Gesù Cristo ». Ecco che cos’è la morte: il principio dell’eterno godimento. I primi Cristiani chiamavano il giorno della morte dies natalis, giorno di nascita perché chi ha vissuto cristianamente, morendo nasce alla vera vita, quella del Paradiso. Santa Teresa esclamava: « Io muoio di non poter morire ». E quando in Roma scoppiò la peste, S. Luigi Gonzaga con le lacrime scongiurò i superiori suoi di lasciarlo andare negli ospedali ad assistere gli appestati. « Ma non sai che la peste ti può colpire, e tu sei tanto giovane? ». Il Santo desiderava la morte. Ed una sera tornò a casa dopo aver assistito i moribondi, dopo aver baciato le loro piaghe violacee, tornò giulivo, ma con il male nel sangue. — Padre, — diceva al suo confessore prima di morire — mi permette che mi flagelli. « Non vedi che neppure ne hai la forza? ». — Mi farò battere, da capo a piedi, da un compagno. « Non parlare così… ». Lieta è la morte per i Cristiani perché dietro la morte c’è la vita. C’è il Paradiso. C’è Gesù risorto, là, ad aspettarli nella sua gioia eterna. – GIOIA È LA RESURREZIONE DELLA CARNE. Una madre, a cui da poco tempo eran morti due figlioli, udì parlare del giudizio finale e della resurrezione della carne. « Dunque, — diceva estasiata — i miei due figliuoli li vedrò ancora, ancora potrò accarezzarli? Vedrò il loro viso buono, li bacerò ancora, ma non più piangendo come li baciai, freddi freddi, prima di ricomporli nella bara. Ma quando sarà? ». « Quando le trombe degli Angeli squilleranno l’ora del giudizio finale ». E quella madre, quasi impaziente di rivedere i suoi figli: « E perché — disse — quel giorno non è domani? ». Chi non piange qualche caro parente defunto? forse la madre, forse un fratello, forse lo sposo? Quante volte non ci assale un violento desiderio di rivederne le fattezze, di riguardare nei loro occhi mesti; di riudire la loro voce quale l’udimmo in ore beate? Ebbene, il mistero della Pasqua ci dona una grande consolazione. Noi li rivedremo: non solo rivedremo i loro spiriti, ma anche i loro corpi gloriosi, li rivedremo così come li abbiamo conosciuti e amati sopra la terra. La resurrezione di Gesù Cristo è garanzia della nostra resurrezione. I membri di un corpo devono essere conformi alla testa. Ora, Cristo nostro capo è risorto con la sua carne da morte e non muore più. Per conseguenza gli uomini che sono le membra di Cristo risorgeranno essi pure coi loro corpi e non morranno più. Ma, allora, il terribile giorno dell’ira di Dio — dies iræ — per i Cristiani sarà un giorno di gioia, il giorno della gioia completa. Alleluia! È passato l’inverno della maledizione, è venuta la primavera dell’amore; è passata la schiavitù del demonio, comincia il dolce regno di Dio. Alleluia! gioia è la vita; gioia è la morte; gioia il risorgere. Ma chi ci rese così lieta l’esistenza? Gesù Cristo. Fu Lui, con la sua incarnazione, con la passione, con la resurrezione. Se dopo tutto questo c’è ancora qualcuno che non ama nostro Signor Gesù Cristo, sia scomunicato (S. PAOLO).

Alleluia! La resurrezione spirituale che ogni Cristiano deve compiere, è il principio della gloriosa resurrezione dei nostri corpi. Omnes quidem resurgemus (I Cor, XV, 51). – LA NOSTRA SPIRITUALE RESURREZIONE. Un granello di frumento un giorno cadde dalle mani del seminatore nel solco violetto d’un campo smosso di recente: e sparì nella terra.  Il granello sentendosi oppresso mormorò « Io muoio ». Caddero le piogge autunnali a macerare il terreno ed una grande umidità penetrò fino a lui. Il povero granello sentendosi tutto rammollito mormorò con un fil di voce: « Io muoio ». Non  più calore, non più luce, non più sole. Il granello, sentendosi fradicio, sospirò senza voce: « È finita! ». No, no, piccolo granello, non è finita! Ed eccolo mandar fuori impercettibili radici, e poi uno stelo esile come un ago, che passò nella terra e giunse nel sole, poi crebbe fino a dare una spiga stupenda. Ecco simboleggiato quello che ogni Cristiano deve compiere in se stesso dopo che Cristo è morto e risorto per noi. Dobbiamo cominciare una vita nuova: ma prima però è necessario distruggere la vecchia vita: quella in cui il peccato ci ha induriti e chiusi come un seme. Bisogna quindi lasciarci cadere nel solco sotto la terra: ossia ritirarci nel silenzio della chiesa e nella preghiera, e decidere quello che bisogna fare per la salute nostra eterna. Decidere con fermezza e con coraggio, se vogliamo veramente risorgere. Non importa se bisognerà lasciare certe abitudini che ci sono care o comode; non importa se saremo costretti sotto al duro giogo della mortificazione nei nostri sensi, e se ci sembrerà di morire come il piccolo granello di frumento. Via, dunque, dal nostro cuore affetti o relazioni impure: basta con quei luoghi, con quelle amicizie, con quei divertimenti; basta con gli odi, con le gelosie, con l’avidità del denaro, della roba altrui. Bisogna risorgere! Non spaventatevi se questa resurrezione dello spirito vuol dire prima sacrificio e rinnegamento: Iddio saprà infondere a queste lotte intime e dure tanta gioia che voi stessi ne sarete meravigliati. Ernesto Psicari, il convertito nipote di Renan, esclamava: « Mio Dio! Non avrei mai creduto che fosse così facile e così soave l’amarti! ». – LA NOSTRA CORPORALE RESURREZIONE. S. Monaco scita, gran servo di Dio, morendo, atteggiò le labbra a un sorriso. I circostanti, piangendo, gli chiesero perché sorridesse ed egli rispose semplicemente: Ho sorriso perché voi avete paura della morte, mentre essa è così amabile! ». Ed aveva ragione. Ma cos’è la morte, dopo che Cristo l’ha vinta, risorgendo? Non è più l’inesorabile dea che con la falce spinge nelle tenebre i poveri uomini, ma essa per il Cristiano non è che una breve partenza dell’anima dal corpo. È l’anima che saluta il suo corpo: « A rivederci, fratello! abbiamo combattuto insieme la battaglia del Signore, abbiamo servito il nostro padrone, gioendo e patendo insieme. Ora sei stanco e ti lascio riposare: ma dopo il tuo breve sonno, allo squillar della tromba angelica, ritornerò a riprenderti, ma per godere, sempre, senza stancarti più! ». – Ecco perché S. Francesco cantava: « Lodato sia il mio Signore, per la sorella morte corporale! ». Resurrexit: non est hic. O morte, dov’è la tua vittoria? Se Cristo, primizia dei dormienti, è risorto, anche noi tutti dobbiamo risorgere nella nostra carne. Omnes quidem resurgemus: è dogma di fede. Cristo è il nostro capo: noi siamo le sue membra: e tutti con Lui formiamo un corpo unico. Ma ogni membro segue le sorte del capo: e s’Egli muore, tutte le membra morranno; ma s’Egli risorge tutte le membra risorgeranno. Cristo è passato — avanti a noi — con la sua voce; e vuole che tutti lo seguano, portando la croce. Ma Cristo è gloriosamente risorto: e perché tutti quelli che l’avranno seguito nel patimento, non lo dovranno seguire nella gloria? La morte è pena del peccato: ma il peccato fu asterso da Cristo: anche la morte, dunque, dovrà essere infranta. Resurgemus! È questo il grido di Giobbe: «So che il mio Redentore vive. Ma so anche che, nell’ultimo giorno, io pure risorgerò a vederlo con questi occhi miei ». È il grido dei Maccabei morenti: « Tu, o tiranno, potrai disperdere le nostre povere ossa, ma il Re immortale le farà risorgere ». È la parola chiara e infallibile di Dio: « Io sono resurrezione e vita » E allora: dove è, o morte, la tua vittoria se discendiamo nella fossa solo per aspettare la resurrezione? Et exspecto resurrectionem! – Prepariamoci alla gloriosa resurrezione dei corpi, con la resurrezione dal peccato e dalla tiepidezza. Filippo II di Spagna vegliò una notte intera per scrivere una lettera di somma importanza al Papa. Quand’ebbe finito, distratto dalla fatica e dal sonno, invece di versarvi la sabbia per asciugare, vi rovesciò l’inchiostro. Filippo impallidì: ma poi raccogliendo il suo coraggio, disse: « Cominciamo da capo ». Oh! se nella nostra vita ci sono stati dei momenti di sonno e di distrazione, in cui abbiamo rovesciato l’inchiostro dei peccati sull’anima nostra, oggi — che è Pasqua — è proprio il momento opportuno di dire: « Cominciamo da capo ».

 IL CREDO

Offertorium 

Orémus 

Ps. LXXV: 9-10.

Terra trémuit, et quiévit, dum resúrgeret in judício Deus, allelúja. 

[La terra tremò e ristette, quando sorse Dio a fare giustizia, allelúia.]

Secreta

Súscipe, quaesumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, Paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant. 

[O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medesimi, consacrati dai misteri pasquali, ci servano, per opera tua, di rimedio per l’eternità.] –

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

1 Cor V: 7-8

Pascha nostrum immolátus est Christus, allelúja: itaque epulémur in ázymis sinceritátis et veritátis, allelúja, allelúja, allelúja.

[Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, allelúia: banchettiamo dunque con gli àzzimi della purezza e della verità, allelúia, allelúia, allelúia.]

Postcommunio 

 Orémus.

Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concordes. 

[Infondi in noi, o Signore, lo Spirito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unanimi con la tua pietà.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA