LA VITA INTERIORE (17)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (17)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna, Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

DELLA VERA DEVOZIONE

ERRORI COMUNI.

Non a caso abbiamo scritto della vera devozione, anziché soltanto: della devozione. Gi errori communi e diffusi su questo argomento sono tali e tanti ché proprio necessario dirne una parola precisa. Vi sono, per esempio, alcune anime che credono di non pregare bene perché non hanno fervore. E, per loro, il fervore, è il sentimento, é la soddisfazione, è il sensibile accordo con Dio, l’intesa e l’approvazione, a loro modo. – Ve ne sono altre che ritengono di peccare, anziché pregare, perché, durante la loro preghiera, soffrono di distrazioni, o, peggio, di tentazioni. E tanto le prime, che le seconde, dopo un po’ di tempo, si stancano, ritengono sia inutile il loro sforzo di pregare e quindi… lasciano tutto, quasi a cercar sollievo in più spirabil aere. Così facendo, inconsciamente, ma non senza loro grave danno, svolgono il programma minimo, e poi massimo del nemico delle anime, il quale, assai astutamente, prima di portarle con le sue macchinazioni a commettere colpe gravi, le indebolisce spiritualmente, con l’allontanamento da Dio, dall’osservanza delle sue leggi, dalle pratiche di pietà, dall’orazione.

LA DEVOZIONE ESSENZIALE.

« La (vera) divozione, dice S. Tommaso, è una volontà pronta a fare tutte quelle cose che spettano al servizio di Dio ». E cioè, a meglio intendere:

1) La divozione vera e principale (o sostanziale) è un atto, generoso e costante, non del sentimento o della sensibilità, con affetti o gioie tenere, con intime soddisfazioni, ma è un atto della volontà, che prescinde e perciò ne fa à meno, di per sé, dalle gioie, dagli affetti sensibili, dalle lagrime, dai sospiri, dalla facilità maggiore o minore nel raccogliersi e sentirsi separato dalle esteriorità, dal gusto che si può provare nelle pratiche di pietà (devozione secondaria o accidentale).

2) La divozione non è soltanto un atto della volontà, sia pure generoso e costante, ma un atto forte « che spinge l’anima a darsi totalmente non ad alcune, ma a tutte quelle cose che riguardano il servizio di Dio, sia che l’anima senta o non senta, gusti o non gusti sensibilmente quelle cose che spettano al servizio di Sua Divina Maestà ».

Data questa facile distinzione non ci dev’essere più nessuna ragione di turbamento per le anime pie che si agitano, si sconvolgono, si turbano inutilmente e disturbano mezzo mondo perché, secondo il loro giudizio, non hanno la divozione, non sentono. fervore, si accorgono di essere distratte, o sono tentate. Queste anime tutte potranno soltanto riconoscere che in loro stesse manca il fervore sensibile, ma non dovranno per questo affliggersi e, tanto meno, abbandonare la via dell’orazione. La vera santità è data dallo sforzo, dalla ricerca di riuscire a compiere bene i nostri doveri, tutti i nostri doveri, per amore di Dio, e solo per amore di Dio. Lo sforzo è la ricerca di riuscire, non sono già la riuscita. Il Signore è ben diverso dagli uomini: questi pagano, ricompensano solo il lavoro bene eseguito e collaudato. Dio ricompensa lo sforzo e la ricerca per riuscire, quanto la riuscita stessa. La divozione, ripetiamo, è un atto della volontà, ma non il raggiungimento obbiettivo dell’effetto.

LA MANCANZA DEL FERVORE.

Quanto al fervore sensibile, o alla sua mancanza (quando questa non sia palesemente causata da trascuratezza o dalla tiepidezza) conviene ricordare che la dolce bontà persuasiva di Gesù è catechetica, cioè istruttiva. Fa, press’a poco, Gesù, con noi, come le mamme con loro bambini — (sia detto con tutta la riverenza). — Gesù attrae à Sé l’anima con la dolcezza e col fervore sensibile. E l’anima così attratta si tuffa generosa nell’oceano dell’amore del Cristo che sempre più splende, e che sempre più attrae. Ma poco tempo dura questo stato di felicità. Gesù, a nostro modo di ragionare, non vuole che consumiamo l’interesse del capitale del nostro amore. Preferisce che lo conserviamo come merito pel Cielo. Ancora: Egli, sempre a nostro modo di ragionare, deve preoccuparsi per noi, perché proprio non abbiamo à cercare soltanto le sue consolazioni, ma Lui, Autore delle consolazioni, poiché queste sono mezzo, e non fine. Per l’economia spirituale meglio intesa, adunque, Gesù, dopo breve tempo, non splende più raggiante alle anime; non si lascia vedere; non dà ascolto (o meglio sembra non si  lasci più vedere, sembra non dia ascolto!) e lascia che l’anima, servendosi dell’aiuto che Egli continua a dare, faccia il bene solo per amore di Dio, per la convinzione, o per il ragionamento, ch’è il nostro dovere. Superata la prova nella perseveranza della fedeltà verso Dio, l’anima prova una relativa tranquillità e si dispone al compimento dei suoi obblighi verso Dio, in modo speciale per quelli che riguardano direttamente il servizio di Lui: e cioè, la meditazione, la preghiera, la lettura spirituale, gli esami di coscienza, l’assistenza alla S. Messa, la frequenza dei Ss. Sacramenti della Confessione e della Comunione, l’offerta quotidiana a Dio di tutte le azioni della giornata, comprese pure le cosiddette azioni indifferenti, come il cibarsi, il dormire, lo svagarsi e simili. – Possiamo adunque così concludere: il Signore dà secondo i suoi fini, per breve tempo e con parsimonia, a chi meglio giudica e come giudica, la devozione che abbiamo chiamata accidentale e secondaria. Mentre dà a tutti la divozione principale o sostanziale. La divozione secondaria è un premio temporaneo; è molto utile e va tenuta in grande considerazione, ma non va ricercata con affanno, o peggio, con angustia. Non in commotione Dominus! – L’autore della Imitazione di Cristo così, a proposito della divozione, dice molto bene: « Ti conviene cercare con istanza la grazia della divozione, chiederla con desiderio, attenderla con pazienza e con fiducia, riceverla con gratitudine, operare con essa studiosamente e rimettere a Dio il tempo e il modo della visita celeste ». La visita celeste è …. la devozione accessoria, secondaria o sensibile. Il tempo di essa va lasciato a Dio. E continua: « Sta’ fermo ai propositi: abbiti rettitudine d’intenzione e guardati bene dalla vana compiacenza e dalla superbia ». À questo punto, un Santo maestro di spirito spiega alle anime il perché dell’ammonimento: « Perché la compiacenza che l’anima ha, talora, di se stessa e quel credersi, forse, santa, vedendosi premiata da Dio con consolazioni celesti e con una devozione ben sensibile, è una delle cause principali che la gettano, e, talvolta, lasciano per molto tempo nelle aridità, nelle desolazioni, nelle oscurità e nell’abbattimento di spirito ». –  Ma, continua ancora l’autore dell’Imitazione: « Ciò che, sovra tutto, impedisce la consolazione (cioè la divozione sensibile) è che tu non ti servi dell’orazione, oppure vi  ricorri troppo tardi: egli è perché prima di supplicare me (Te, o Dio) vai in cerca di qualche svago nelle creature e nelle cose esteriori..…. Tuttavia per causa delle aridità o delle angustie (per causa, cioè, della mancanza di devozione sensibile ed accidentale) che l’anima tua prova, non ti lasciar andare alla negligenza nel servizio di Dio, né punto né poco: non toglierti dall’orazione, né tralasciare le altre tue consuete pratiche di Pietà ». Cioè, in altre parole, se noi non abbiamo la divozione accidentale, o di consolazione, abbiamo pazienza, poiché questa non è necessaria; ma non trascuriamo mai la divozione principale o sostanziale poiché questa è necessaria.

(Quando Dio ci manda le aridità, lo fa per distaccarci da tutto ciò ch’é creato, anche dalle gioie della pietà, affinché impariamo ad amar Dio solo per se stesso.)

A. TANQUEREY

LA VITA INTERIORE (18).