LA VITA INTERIORE (15)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (15)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

LUCE DIFFUSA

L’UMILTÀ

UN DOLCE INVITO DEL CUORE DI GESÙ

Ce lo riferisce l’evangelista S. Matteo: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (XI, 29). Essere umile vuol dire avere e praticare la virtù dell’umiltà. Gesù è il maestro di questa virtù, in sommo grado, e noi non potremo dirci veri figli e seguaci suoi se non impareremo e praticheremo questa virtù sconosciuta e disprezzata dal mondo ch’è poggiato sullo spirito di superbia.

IN CHE COSA CONSISTE.

Da humus, terra, viene humilitas, cioè che sa di terra. L’umiltà è quindi la virtù che induce a riconoscerci fatti dI terra, e perciò, di nessun pregio, di nessun valore. Non è una virtù passiva, come vorrebbe l’americanismo; tanto meno è codardia, ingratitudine o selvatichezza, come la insulta il mondo. L’umiltà è la verità, dice S. Bernardo. È la virtù che ci fa conoscere ciò che siamo, vale a dire creature di Dio tratte dal fango della terra… È il meglio della superbia. La superbia detronizzò lucifero con gli angeli ribelli e li fece dannare per tutta l’eternità; l’umiltà, invece, è il mezzo più pratico e più efficace per entrare nel Paradiso. L’umiltà è – come insiste S. Bernardo – il fondamento e la custodia di tutte le virtù. Senza l’umiltà, tutte le altre virtù non sono più virtù, diventano vizi. Infatti, senza l’umiltà la mortificazione esteriore è ipocrisia; la preghiera senza umiltà è presunzione; la meditazione è illusione e inganno; senza l’umiltà la carità diventerebbe egoismo raffinato; senza l’umiltà, infine, è impossibile conservarci in grazia di Dio. « Qualunque cosa di buono noi facciamo – dice S. Giovanni Crisostomo – sia preghiera, sia digiuno, sia limosina, sia continenza, va in fumo e sparisce se non è accompagnata dall’umiltà » (Hom. 15 in Matth.). «L’umiltà – assicura S. Vincenzo – è la base di tutta la perfezione evangelica, ed il  nocciolo di tutta la vita spirituale; chi possederà quest’umiltà, acquisterà pure con essa tutt’i beni; chi poi ne sarà privo, perderà anche quel bene che ha, e sarà agitato da continue angustie ». – Ecco con quale precisione S. Agostino la esalta: « Se tu mi domandassi qual sia la strada per raggiungere la verità, qual sia la cosa principale nella religione e nella scuola di Cristo, ti risponderò: la prima cosa è l’umiltà; quale la seconda? l’umiltà; quale la terza? l’umiltà; e se cento volte m’interrogassi, cento volte ti darei la medesima risposta » (Ep. 149).

NECESSITÀ DI QUESTA VIRTÙ.

Da quanto abbiamo detto possiamo ben arguire e comprendere il significato completo, assoluto della nobilissima parabola: Il fariseo e il pubblicano al Tempio, narrataci con tanta graziosità ed esattezza di linee da San Luca (XVIII, 9, 14). La preghiera umile apre le porte del Cuore SS. di Gesù e Gesù apre quelle del Cielo. La preghiera superba dissecca la fontana della misericordia del Cuore SS. di Gesù e isterilisce ogni opera buona. Con umiltà, dunque, le nostre anime debbono avvicinarsi a Gesù; con grande umiltà supplicarlo; con immensa umiltà considerare i suoi immensi benefizi per poter dire a Lui, Padre dolcissimo, tutti i sentimenti più vivi della riconoscenza e dell’amore filiale. Ma Gesù fu, in altre circostanze, anche più esplicito nell’indicare che la virtù dell’umiltà è indispensabile. Quando gli Apostoli, avvicinatisi a Lui, confidenzialmente gli chiesero: « Chi è mai il più grande nel regno dei cieli?» Gesù, dopo aver fatto venire a sé un fanciullo, rispose agli Apostoli: In verità vi dico, se non vi cambierete e non diventerete come i pargoli, non entrerete nel regno dei cieli. Chi pertanto si farà piccolo come questo fanciullo, sarà Il più grande nel regno dei cieli (Matt., XVIII, 1-4). Con queste sue dichiarazioni Gesù ha proclamato una grandissima verità e ci ha esortato « a quella profonda mutazione che consiste nella infanzia spirituale, ossia nella pratica dell’umiltà, indispensabile per entrare in Paradiso ». Procuriamo anche di tenere presente allo spirito e di meditare la chiarissima affermazione dell’Apostolo Pietro: Dio resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili (I Petr., V. 5): « L’umiltà non è, dice il Carmagnola, soltanto una virtù di consiglio, e dalla quale possiamo in certe circostanze e per ispeciali ragioni esimerci, no; essa è doverosa per conseguire la vita eterna, ed è doverosa sempre. In cielo vi possono essere dei Santi che non abbiano potuto praticare digiuni e macerazioni; vi possono regnare di coloro che non si mantennero nello stato verginale, ma nessuno può entrarvi, senza che sia stato umile ».

ECCELLENZA DELL’UMILTÀ.

Il divino Maestro non solo ci ha insegnato l’altezza e la preziosità di questa nobilissima virtù, ma, prima di insegnarcela, come sempre ed in tutto, Egli ha voluto praticarla in modo tale che può dirsi la virtù caratteristica di Gesù! Basta riflettere un istante sulla condizione di vita che Gesù si diede nel lasciare il cielo e venire sulla terra. Con molta proprietà l’Apostolo affermò che Gesù exinanivit semetipsum formam servi accipiens (Philip., II, 7), cioè siumiliò tanto da prendere l’aspetto di servodegli uomini… Se vi pensiamo anche perpochi istanti, il nostro cuore non potrà nonsentire la più intensa commozione nel considerarele dolorose, umilissime condizionidi Gesù nella sua vita, dalla culla al calvario!Nessuna meraviglia se coloro cheseguirono realmente Gesù, sentirono di doverpraticare questa virtù, e specialmente i Santi, i quali l’ebbero come distintivo preferito.Ci è, dapprima, maestra insuperabilela Vergine santa. Perché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva… Ecco l’esatta motivazionedelle grandezze di Maria… Conl’umiltà di Maria SS. ammiriamo quelladi S. Giuseppe, di S. Giovanni Battista, ditutti i Santi. A voler ricordarne i nomi e gliesempi, sarebbe soverchio. Desideriamo,tuttavia, accennare alla grande umiltà diS. Giovanni Bosco e agli esempi eroici diuna sua figliuola spirituale, la ven. MariaMazzarello; che fu la cofondatrice colsanto don Bosco, delle Figlie di MariaAusiliatrice, la seconda famiglia religiosasalesiana.

L’UMILTÀ EROICA DELLA VEN. MARIA MAZZARELLO.

Il Santo Padre Pio XI, il 3 maggio 1936, dopo la lettura del decreto approvante l’eroismo delle sue virtù, tessendone un alto elogio, fra l’altro, disse: «… È veramente questa, l’umiltà, la nota caratteristica della Venerabile. Una grande umiltà la sua: si direbbe proprio una piena coscienza, e il continuo pratico ricordo dell’umile sua origine, dell’umile sua condizione, dell’umile suo lavoro. Contadinella, piccola sarta di paese, di umile formazione ed educazione; educazione cristiana, è vero, quindi oltremodo preziosa, ma alla quale è mancato, si può dire, tutto quello che comunemente si intende per educazione; anche la più modesta istruzione, sia pure nella più modesta misura. Restava quella semplicità che Iddio, l’unico preparatore di anime, s’era appunto predisposta in così eletta anima; e ci sembra proprio di entrare nei gusti di Dio e della stessa Venerabile, seguendo e studiando il segreto di questa sua vita vissuta e della vita postuma che la Venerabile viene esplicando in tanta sopravvivenza di persone e di opere. » La sua umiltà fu così grande, da invitare a domandarci che cosa vede Iddio benedetto in un’anima umile, veramente, profondamente umile; che appunto per l’umiltà, tanto, si direbbe, lo seduce e gli fa fare fino le più alte meraviglie in favore di quella stessa anima, e altre meraviglie per mezzo di essa… ». Quando si pensa, infatti, al valore dell’anima — il Signore ha dato la sua vita «per me», esclama l’Apostolo — che cosa, adunque, nell’umiltà vede il Signore? La domanda s’impone, specialmente quando si riflette per contrasto, a quello che nell’umiltà vede il mondo: rare volte il mondo si dimostra così insipiente nella sua albagia e nella sua supposta sapienza. Per il mondo questa umiltà e semplicità è povertà nel senso più miserabile e compassionevole della parola. Che cosa invece nell’umiltà vede Iddio? Egli stesso, il Signore, si è presa la cura di scioglierci questo problema che umanamente si presenta in modo scoraggiante. Ce lo ha detto in una delle sue più belle parole di S. Paolo, allorché fa dire all’Apostolo e proprio all’indirizzo dei non umili, dei superbi, di coloro che credono di potersi vantare e gloriarsi in qualche cosa — qualità, gesta, opere — la parola così solenne; così ammonitrice: Quid habes quod non accepisti? Et si autem accepisti, cur gloriaris quasi non acceperis?» Ecco, dilettissimi figli, ecco tutto il segretodell’umiltà; per essa l’anima stima evede reali splendori di verità, maestà di giustizia, dolcezza di riconoscenza; i rapporti, cioè, che devono intercedere fra l’animae Dio; per l’umiltà, l’anima vede che cosa è Dio nella verità; sa che cosa a Dio deve, nella giustizia; compie ciò che è obbligo verso Dio, nella riconoscenza. È qui la sostanza della umiltà nella verità, per risalire all’origine prima, giacché tutto viene da Dio — che cosa tu hai che non abbia da Dio ricevuto? — della umiltà nella giustizia; nell’attribuzione cioè della gloria a Dio: non nobis Domine, sed nomini tuo da gloriam; della umiltà nella riconoscenza intera, completa per i doni, per la liberalità divina; per la perfetta gratuità, propria di Dio, e nella sua scelta e nella sua. larghezza.» Quello che Dio vede nell’umiltà, cioè le vedute di Dio circa l’umiltà sono perfettamente all’opposto di quanto vede il mondo. Che cosa dunque vede Iddio? Vede nell’umiltà, nell’anima umile una luce, una forma, una delineazione dinanzi alla quale Egli non può resistere, poiché gli raffigura nella sua bellezza squisita e nelle linee più fondamentali e costruttive, la fisionomia stessa del diletto suo Figlio unigenito. Ed è questo un pensiero espresso dallo stesso Divino Maestro. E Lui stesso che dice a questo proposito: « Imparate da me». Che cosa imparare? « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore». Veramente noi non riterremo mai abbastanza ciò che dicono queste poche parole: « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore ». È il Maestro divino, portatore del verbo di Dio, portatore di tutti i tesori di sapienza, di scienza, di santità, che ci dice: « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore », come se non avesse altro da insegnare a noi, a questi poveri uomini, a questa povera umanità, che aveva perduto anche le tracce della verità, anche il filo per rintracciarla e che aveva tutto, tutto da imparare. Vien detto ad essa, vien detto a tutti gli uomini: « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore », come se non avesse altro da imparare, come se, questo imparato, fosse da noi appreso tutto quello che ci abbisogna per la ricostruzione delle anime, per la ricostruzione morale del mondo…

»… Ecco qualche cosa di ben prezioso e di cui sì può ringraziare la ven. Mazzarello, per il ricordo che ce ne dà. Da lei, infatti, ci viene questa indicazione; e tutta la sua vita ed opera sono appunto in questo ordine di idee, in questa divina didascalia e divina scuola di umiltà.

» Ora qui non possiamo non aggiungere che la venerabile Mazzarello — la esemplare, l’antica Figlia di Maria — di Maria SS., altresì, ci ricorda e ci ripete la somma lezione di umiltà, allorché la Vergine Madre di Dio esclamava doversi la sua elezione e gloria all’umiItà. Respexit humilitatem ancillæ suæ.

» La Madre di Dio si chiama la serva, l’ancella di Dio; e perciò, ex hoc beatam me dicent omnes generationes. È bello considerare la venerabile Mazzarello in questa luce, nella luce stessa di Maria. Anch’ella può ripetere: il Signore ha guardato con infinita benignità la mia umiltà, la mia semplicità e per questo: Beatam me dicent omnes generationes. Ecco infatti tutte le genti del mondo già conoscono il nome suo, le case, le opere, le sue Religiose; ecco che proprio in questo giorno che ci richiama e ci ricorda le grandi umiliazioni Della Croce, si mette in vista, con la proclamazione delle virtù eroiche, la possibilità chela Serva di Dio possa un altro giorno ripetere, e in modo più appropriato: Beatam me dicent omnes generationes ».

COME DOBBIAMO ESERCITARCI NELL’UMILTÀ.

Ricordiamo quanto dice S. Tommaso: L’umiltà consiste essenzialmente nel raffrenare la smania di tendere in modo disordinato a cose grandi e nel regolarci secondo la stima esatta, e non esagerata, di noi stessi. Ne consegue che per la pratica dell’umiltà sono necessarie tre cose:

1) Conoscere noi stessi, esattamente, e giungere alla reale convinzione che noi siamo niente e che possiamo fare niente. Di nostro v’è solo il peccato. Se il Signore ha largheggiato verso di noi, con doni di natura, questi accrescono la nostra responsabilità. Cerchiamo di seguire l’esempio del pubblicano e non quello del fariseo. Parleremo di noi stessi, solo quando sarà necessario, e taceremo quello che può tornare a nostra lode, lasciando a Dio la cura di tutto.

2) Acquistata l’esatta conoscenza di noi stessi, modereremo l’innato desiderio di tendere a cose grandi, di esibirci, di pretendere. E poiché – come disse S. Bernardo – l’umiliazione è la strada dell’umiltà, ci sforzeremo di accettare con gioia, o almeno con rassegnazione, i dispiaceri, le contrarietà, i biasimi, le correzioni esagerate e violente che al Signore piacesse di farci incontrare.

3) Il terzo mezzo per praticare l’umiltà è la preghiera, come quella del pubblicano: Signore, abbiate pietà di me, peccatore. – Dobbiamo, inoltre, essere umili sempre: – a) Verso Dio: riconoscendo di aver ricevuto tutto quello che abbiamo unicamente e direttamente da Lui solo, secondo la felice espressione dell’Apostolo: Che cos’hai che tu non l’abbia ricevuto? E se poi l’hai ricevuto, perché ti glori come se non l’avessi ricevuto? – b) Verso il prossimo: ammirando senza invidia e gelosia i doni di natura e di grazia nei nostri fratelli, e unendoci a loro per ringraziarne il Signore. – c) Verso noi stessi: con l’umiltà della mente che riconoscendo il mio nulla, me ne persuaderà facilmente e, perciò, mi renderà diffidente verso me stesso; con l’umiltà del cuore che m’indurrà ad amare la mia miseria, a fuggire gli onori e la gloria mondana, e a tenere un contegno esteriore sobrio, modesto e caro a Dio.

L’UMILTÀ, GIOIA, CONFORTO E UNIONE CON DIO.

L’umiltà è, come abbiamo detto, la verità. La verità è armonia e la tranquillità dell’ordine. L’armonia e la tranquillità portano la pace ch’è gioia e conforto dei nostri cuori. Tutto questo, sempre, quando noi cerchiamo di vivere umilmente, ma soprattutto in certi momenti della vita nei quali il Signore permette che ci sentiamo soli… L’isolamento che induce i superbi alla tristezza e, talora, alla disperazione, porta l’umile a cercare con maggior avidità, e con più grande intensità l’unico Amore, Gesù, per voler vivere sempre unito con lui!

Noi siamo pieni di miserie, ma abbiamo onore insigne d’essere le membra del Cristo: la qual cosa ci procura le attenzioni del Padre nostro celeste.

C. MARMION.

LA VITA INTERIORE (16)