I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (X)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (X)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica; 1922

Nihil obstat quominus imprimatur. Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

TERZO PRINCIPIO FONDAMENTALE: L’amore a Nostro Signor Gesù Cristo

Bella e dolcissima occupazione è quella d’intrattenersi con Dio nella preghiera. Degnissimo di lode è altresì il saperci dominare e vincere nella lotta contro le passioni, per renderci degni di trattare con Dio: nondimeno sì l’una che l’altra cosa, in molte occasioni sono difficili all’uomo; ma se interviene l’amore ad informarle riescono più che agevoli.

CAPITOLO I.

L’amore.

1. Staccare il cuore dalla terra ed elevarlo al cielo; portare generosamente la croce ed accettare con gioia ogni sorta di sacrifici, senza dubbio è cosa molto ardua alla povera natura nostra; e molto ci gioverebbe se avessimo a nostra disposizione qualche mezzo che soavemente e poderosamente ci stimolasse ed incoraggiasse a sopportare, con animo tranquillo tutte le tribolazioni della vita.

2. Ora, questo mezzo è l’amore. L’amore è l’inclinazione della volontà nostra a un bene adeguato al nostro cuore, che soddisfa i suoi desideri di felicità, ed il cui possesso lo ricolma di pace e di gioia. Suoi compagni sono sempre la tranquillità e la contentezza, che nascono naturalmente dal possesso del bene anelato, e con esse tutto domina. L’amore è la forza più potente che esista in cielo e sulla terra. Dio è amore, e l’amore è il dono e la partecipazione più eccellente da Lui fatta agli uomini.

3. Ma perché l’amore sia durevole e capace di soddisfare tutti gli appetiti dell’uomo, il bene, oggetto di codesto amore, e che è la sorgente di pace e di gaudio, dev’essere un ideale supremo di verità, di bontà e di bellezza; ideale vero e reale, non immaginario e puramente possibile, il quale da una parte bisogna che sia molto elevato sopra di noi perché possa innalzarci verso di sé, e dall’altra che sia somigliante a noi medesimi perché lo possiamo comprendere, abbracciare, sentirci con tutta sicurezza attratti a Lui. Inoltre fa d’uopo che sia immutabile, incorruttibile, perpetuo, che oltrepassi i limiti della vita nostra; poiché altrimenti sarebbe inferiore a noi. È necessario, infine, che sia un bene senza limiti né misura, perché possa colmare tutte le nostre aspirazioni e l’immensa e sconfinata capacità del nostro cuore.

4. Ma, dove trovare sulla terra quest’ideale, se quaggiù tutto è piccolo e fragile? Fa d’uopo salire più su, al cielo, per trovarlo e trarlo a noi (Deut. XXX, 12). Iddio che ha impresso nel nostro cuore la brama d’amore e di felicità ci ha dato nello stesso tempo il modo di ricolmarla. Esiste un essere più alto della terra e più immenso che il cielo, Dio ed uomo insieme, ed in cui si uniscono la maestà divina e la grandezza umana,  dalla Cui vita traggono esistenza tutte le cose nel cielo e sulla terra, e che tutto rallegra con lo splendore della sua bellezza, Mai, nemmeno in tutta l’eternità, potremo abbracciare né comprendere la sua maestà; basta un raggio della sua essenza per rendere felice l’intera vita e per compensare ogni gusto e piacere terreno, ed è un balsamo per tutte le pene ed un gaudio anticipato del paradiso. Quest’ideale, quest’essere è nostro Signor Gesù Cristo, Dio benedetto nei secoli (Rom. IX, 5). Per stimolarci ad amarlo addurremo qui alcuni tratti del suo carattere e della sua vita, i quali basteranno per infondere nel cuor nostro quest’amore, accrescerlo e portarlo a sì alto grado che valga ad informare tutta la nostra vita.

CAPITOLO II.

Cristo – Dio

Dio solo basta all’uomo per la sua perfetta felicità, Come lo dimostra una triste esperienza, erra ed inutilmente si affanna quel cuore che si attacca alle creature, credendo di trovare in esse una completa soddisfazione. Quant’è piccolo e spregevole tutto ciò che appartiene a questo mondo, di quante imperfezioni e nere ombre è coperto, e come presto tutto passa lasciandoci inquieti e con le stesse ansie infinite di felicità e d’amore! Solo un bene infinito ed eterno, solo Dio può soddisfarci. È l’immagine di Dio che portiamo impressa nell’anima nostra, è l’innata dipendenza che abbiamo dal nostro Creatore e l’istinto della divina filiazione ciò che ci porta a Dio come all’ultimo fine nostro, e fa che Lo consideriamo quale sorgente d’ogni felicità.

1. Rallegriamoci: stando con Cristo stiamo con Dio; poiché Egli è vero Dio e Dio nostro. Non è qui il luogo di provarlo scientificamente; parliamo ad anime che sono più che convinte di questa verità, e solo desiderano di penetrarne la bellezza ed efficacia di cui è adorno.

2. San Giovanni comincia il suo Vangelo colle parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era appresso Dio, e il Verbo era Dio (Giov. I, 1). Per la qual cosa, da tutta l’eternità nel suo essere Cristo si manifesta come Dio, come soggetto e possessore della vera divinità. E nella divinità Egli è il Verbo, la sapienza, la verità, il Figlio, la luce, la vita, la bellezza. Sono tutti questi nomi che Ei si dà a Sè medesimo e che la Scrittura Gli attribuisce, e che indicano le qualità della sua Persona. E quali immagini e sentimenti non destano nel nostro cuore. Qual cosa più piacevole, più dolce, più amabile e quale maggior fiducia può infondere nel cuore che la verità, la bellezza, la vita? Ebbene, tutto questo, nel più elevato grado, è la persona di nostro Signore Gesù Cristo.

3. San Giovanni continua: Egli era nel principio, e per Mezzo di Lui furono fatte le cose tutte (Giov. I, 3). Come sapienza del Padre Egli era il libro della vita in cui stava l’esemplare della bontà creatrice di Dio e della sua partecipazione alle creature, con infinita perfezione, varietà e bellezza; e secondo questo esemplare il Padre creò tutte le cose. E chi potrà concepire il potere e la magnificenza di questa forza creatrice? Là stavamo noi pure come vive immagini della sua bontà, là vivevamo e là eravamo amati in una maniera singolare, posto che volle darci realmente l’esistenza, mentre altri innumerevoli esseri rimasero nel numero dei meramente possibili. Fu, dunque, la sapienza di Dio il primo focolare nostro. originario ed eterno, la sorgente e il fondamento del nostro essere e dell’esistenza nostra. Come potremo noi non amarlo ? Sarà egli possibile che ci dimentichiamo di Lui? Spesso ci viene il pensiero e il desiderio: « Oh se io potessi vedere Dio! Come mi tornerebbe allora facile amarlo! » Ebbene, in qualche maniera, Lo vediamo anche adesso; vediamo almeno qualche cosa di Lui, nella natura e nelle creature. Il mondo della scienza e dell’arte, le cose visibili ed invisibili non sono, certamente, che un’immagine, immagine però di Dio, per la quale possiamo formarci un’idea di Lui ed amarlo. Ed anche queste creature terrene e visibili si presentano con una tale bellezza e magnificenza, che siamo obbligati a lottare e vincerci perché il cuor nostro non si lasci trascinare da esse e perdiamo Dio. Ora, che sarà Dio medesimo? È un essere affatto distinto da quanto possiamo figurarci, e sarà sempre vero ch’Egli è infinitamente più grande e bello di quanto ci sia dato concepire. Egli è la causa di tutti gli esseri, e perciò l’intero creato nella sua vita; nel suo ordine, nella sua varietà e nella sua bellezza rispecchia l’immagine del Figlio, e tutto il visibile è una manifestazione dell’invisibile maestà sua. Chi potrebbe dubitare che il Signore, il Creatore della bellezza, Colui che ha impresso su quanto esiste una sì incomparabile beltà, non sia Egli medesimo infinitamente più bello ? (Sap. XIII, 3 segg.). Oh! quanto, dunque, dev’essere Egli grande, eccelso, amabile!

4. Gesù Cristo è Dio; e per darci una testimonianza di questa verità, che torna a nostro onore ed a nostra salvezza, Ei venne in questo mondo. E quanto spesso, ed in quante commoventi e diverse maniere manifestò la coscienza che aveva della propria divinità! Conversava un giorno teneramente co’ suoi Apostoli, descrivendo loro la dimora celeste e parlando di suo Padre, ed essi Gli dissero: Signore, facci vedere il Padre, e siamo contenti. Gesù rispose: Filippo, chi vede me, vede anche il Padre… Non credete voi che Io sono nel Padre, e il Padre è in me? (Giov. XIV, 8 Segg.). Io e il Padre siamo una cosa sola. (Ib. 10, 30). Io sono la luce (VIII, 12) e la vita del mondo. (Ib. IX, 3). Io sono la via, la verità e la vita (Ib. XIV, 6). Or la vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e Gesù Cristo mandato da te. (Ib. XVII, 3). E per confermare queste parole operò miracoli nel mondo degli spiriti, profetizzando, e nel mondo visibile, sanando infermi e risuscitando morti. Ed in cambio di queste prove Egli esige fede: Credete in Dio (nel Padre), credete anche in me (ib. XIV, 1); e più che fede, ci domanda amore quale unicamente un Dio può domandare: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore (Luc. X, 27). Dio solo può esigere che Gli si consacrino tutti gli affetti del cuore, come Egli solo è l’unico che possa rendere pienamente soddisfatte le sue ansie di felicità e d’amore.

5. E dal canto suo Egli ha trovato amore quale solamente a un Dio può tributarsi. Di passaggio sulla terra vi fondò un regno: universale, un regno nel quale Egli è adorato ed amato come Dio. Incominciando dagli Apostoli e dai primi discepoli si ebbe sempre una moltitudine di anime che rinunciarono a tutti i beni della terra, disprezzarono e sacrificarono la stessa vita, crocifissero il mondo nel loro cuore e si consacrarono totalmente all’amore di Cristo. E così avverrà sempre. Ogni vero Cristiano è disposto a confermare questa verità fondamentale del Cristianesimo col sacrificio della propria vita e dei suoi viù cari interessi. Fede ed amore sono le basi di questo regno, e non verranno meno mai. Ed una prova splendida della divinità di Gesù Cristo è la vittoria morale che conseguì sul mondo, convertendolo alla sua fede ed al suo amore. Vissero dei grandi uomini che colla potenza del loro genio e colla propria vigoria trassero dietro di sé il mondo, mentre vissero; ma chi è colui che per amore ai medesimi rinnegò se stesso e le intime aspirazioni del proprio cuore? Sparirono quei potenti, il loro operato con essi, né v’ha più chi si ricordi di loro. Dunque altro potere completamente distinto è quello che opera ed influisce di continuo nel mondo, dacché Cristo partì da esso, e quello che alimenta nelle anime la sua fede ed il suo amore; e questo è il potere della sua divinità che dall’uno e l’altro lato del sepolcro manifestasi splendido e vittorioso.

6. Cristo, in Cui crediamo, in Cui speriamo, e Cui amiamo è Dio: esultiamo. In Lui abbiamo quanto il nostro cuore con tanto ardore ed incessantemente desidera. Imperocché Cristo non è solamente l’essere primo, il più nobile, il più forte e bello del creato; è Dio, e per ciò è infinitamente più che tutte le creature insieme. Non solo possiamo ammirarlo, lodarlo ed amarlo, ma anche adorarlo. In Lui troviamo l’ultimo nostro fine e riposo; è inutile cercar altrove verità, bontà, bellezza: in Cristo troviamo tutto questo perfettamente. Servire Lui è servire Dio, e tutto il nostro bene e la nostra felicità consistono nell’onorarlo. Né il tempo né la morte che ci strappano da tutto ciò che è terrena, potranno mai privarci dell’oggetto del nostro amore. Mai sazietà o noia potranno distruggere né diminuire questo gaudio. Poiché avviene con Dio il contrario di ciò che succede fra noi. Noi siamo mutuamente gli uni per gli altri sorgenti povere e meschine di conforto, che tocchiamo l’esaurimento senza averci potuto saziare; l’infedeltà o la morte troncano tutto. Al contrario, in Dio, quanto più si cerca, tanto più si scopre; e la pace, l’amore ed il gaudio non hanno fine. Ed è anche in questo senso che si possono interpretare le parole di S. Giovanni: Dio è maggiore del nostro cuore (Giov. Epist. I, III, 20). E nessuno vi toglierà il vostro gaudio (Giov. XVI, 22). Chi crede nel Figliuolo ha la vita eterna (Ib. 3, 36). – Ma la vita, come scrive S. Agostino, consiste nel conoscere, amare ed essere felice: Vacabimus et videbimus, videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus: ecce quod erit in fine sine fine (De civ. Dei 1. 22, c. 30, n. 5). « Riposeremo e vedremo, vedremo ed ameremo, ameremo e loderemo.., Ecco quello che sarà in fine e non avrà fine ». – La prima condizione, dunque, dell’amore, vale a dire, che il suo oggetto sia molto superiore a noi e infinito sotto ogni rapporto, resta perfettamente soddisfatta dalla divinità di Gesù Cristo, Quanti ringraziamenti non dobbiamo al nostro celeste Padre per averci inviato il suo Figliuolo e con lui tutte le cose, anche Se stesso e lo Spirito Santo ! Non abbiamo più bisogno di andar mendicando amore e felicità fra le creature: in Cristo, Figlio di Dio, abbiamo tutto. E possiamo dire cogli Apostoli, sebbene in diverso modo: « Padre, mostraci il Figlio, e questo a noi basta » (Giov. XIV, 8).

CAPITOLO III.

Dio – Uomo

L’uomo per la sua felicità ha bisogno in primo luogo di Dio, ed in secondo luogo dell’uomo stesso. Per questo Dio s’è fatto uomo, per avvicinarglisi di più e cattivarsi l’amor suo. Dio per natura è invisibile e puro spirito, e fu d’uopo che si presentasse in figura visibile, affinché l’uomo potesse conoscerlo e comprenderlo debitamente. E come dev’essere bella ed amabile l’immagine che Iddio ci diede di se stesso. E così è realmente; codesta immagine è l’umanità di Cristo, e Cristo vero Dio ed uomo, apparve in mezzo a noi ricolmo di amabilità e di tenerezza (Tit. III, 4).

4. Il Figlio di Dio, senza lasciare di esserlo, s’è fatto uomo, prendendo realmente l’umana carne, Aveva, quindi, corpo ed anima, intelletto e volontà, fantasia e sentimenti, come noi, colla differenza che la Persona divina era quella che sosteneva in Lui le due nature, la divina e l’umana, tra loro unite. Ma questa unione non alterava mai minimamente l’umana natura; l’unica cosa che faceva era di elevarla alla partecipazione della dignità e gloria divina, e di comunicare alle potenze naturali una perfezione mai vista fino allora. L’intelletto suo chiarissimo penetrava i più reconditi secreti delle verità naturali e soprannaturali; la sua volontà, dotata d’un’ingenita purità e santità, aveva un potere così immenso che non conosceva limiti né in cielo né sulla terra; il suo corpo, delicatissimo e bellissimo, era lo strumento di meravigliose azioni; l’Uomo-Dio era sotto ogni aspetto il capolavoro della creazione, e la manifestazione più ammirabile di Dio.

2. E se noi riflettiamo sul modo che il Figlio di Dio tenne nel prendere l’umana carne, vedremo che fu quello che più poteva obbligare l’amor nostro e la nostra riconoscenza. Perocché non la prese ricevendola, come Adamo, immediatamente dalle mani di Dio, ma nascendo dalla nostra stirpe e dal nostro sangue, di maniera che poterono contarsi i suoi antenati sino al primo uomo. Più ancora: volle essere, in tutto, uomo come noi, aver madre, appartenere a famiglia, a patria, a nazionalità, a religione determinata, e ricevere persino un nome come gli altri. In tutto, eccettuato unicamente il peccato, volle rassomigliarsi a noi; e così realmente e con tutta verità è del nostro sangue fratello nostro secondo la carne. Inoltre, Ei prese la natura nostra, non già come la ricevette Adamo originariamente, immortale e impassibile, ma tale come restò dopo il peccato; soggetta ai patimenti ed alla morte. E questi stessi suoi patimenti non furono quelli che comunemente proviamo tutti nel corpo e nell’anima, ma nella misura che Egli determinò, e che manifestò durante la sua vita. Giusta il parere molto probabile di teologi, Iddio mostrò al Salvatore nel primo istante del suo essere tutti i mezzi che potevano servirgli onde salvarci, lasciandone a Lui la scelta. E con un atto perfettamente libero, come conveniva al Figlio di Dio, determinò tutte le circostanze della vita e Passione sua santissima, facendone realmente la scelta al momento dell’Incarnazione (Ebr. X, 5 sgg.). E sappiamo bene in quale misura rinunziò agli onori e comodità terrene, e come abbracciò la povertà, le fatiche, le umiliazioni, i patimenti. Così, con questa elezione, impresse su tutta la sua vita il sigillo e la marca del sacrifizio; così effettivamente annichilò sé stesso presa la forma di servo (Filipp. II, 7).

3. E perché volle così? La ragione ultima è l’amore che ci portò. Per la gloria di Dio e per soddisfare compiutamente pel peccato, sarebbe stata sufficiente la più piccola opera dell’Uomo-Dio; poiché quanto fece e patì aveva un valore infinito ed a ciò più che bastante. Nemmeno cercava la sua propria gloria e vantaggio, poiché la gloria sostanziale eragli stata comunicata totalmente nel primo istante dell’essere suo, e non era suscettibile d’aumento; e per quello che riguarda la gloria accidentale, che consiste nell’onore e nell’amore che noi Gli tributiamo, era bastantemente amabile in Se stesso perché avessimo ad amarlo sopra tutte le cose ed in tutto Lo servissimo, ed avevamo inoltre la sua grazia che ce lo rendesse possibile. Di maniera che resta infine solo l’amore come causa della elezione che fece. Perché non volle in vita sua essere da più di noi suoi fratelli, ma in tutto rassomigliarci: volle che in tutti i nostri patimenti avessimo in Lui un modello ed un fedele compagno e consolatore, e che seguendolo conseguissimo l’eterna ricompensa delle opere e dei patimenti nostri. Che amore disinteressato, nobile e fedele! Tanto ci amò fin d’allora e si diede per noi (Gal. II, 20).

4. E quanti beni e vantaggi non ci apportò l’unione sua colla natura nostra! In primo luogo, disposandosi il Figlio di Dio con essa, la elevò e nobilitò sino a renderla quasi divina e imparentata, per così dire, con Dio. Uno di noi è per natura vero Figlio di Dio. Siamo oggetto di venerazione anche agli Angeli, poiché  in Cristo la nostra schiatta è stata elevata al di sopra di tutte le Gerarchie angeliche. Cristo è Signore degli Angeli, ma non loro fratello per natura, e tutti essi adorano Lui che sta seduto sul trono di Dio. In secondo luogo, con Cristo ci vennero tutte le ricchezze. Egli è il Capo dell’umanità, e come il capo comunica ai membri tutti i suoi beni, così Cristo rende partecipe l’umana natura di tutti i suoi tesori. La vita soprannaturale, la grazia, la gloria e tutti i meriti di Cristo ci appartengono e ne siamo possessori nella loro sorgente. Abbiamo un diritto su di essi, se crediamo in Cristo e l’amiamo. Più; persino rispetto a Dio ci siamo arricchiti in Cristo, poiché per suo mezzo possiamo offrire al Signore il dovuto tributo d’adorazione, di ringraziamento e di soddisfazione, in modo tale che corrisponda degnamente a quanto Dio esige da noi. In terzo luogo, il considerare che Cristo è anche vero uomo risveglia nelle anime nostre sentimenti d’intima consolazione e di confidenza senza limiti. Oh, sì! Cristo è vero Dio, ma nello stesso tempo è vero uomo, con tutto ciò che appartiene all’umanità, eccetto il peccato, e quanto ha in più di noi lo deve esclusivamente alla liberalità e condiscendenza di Dio. Ben lo sapeva Egli, e per questo era ed è così umile, così buono, così misericordioso con noi, malgrado la nullità nostra e le nostre miserie. Prima di giungere ad essere il Sommo Sacerdote, pieno di misericordia, si sottomise a tutte le penalità della vita (Ebr, V, 2). Non dobbiamo, quindi, mirarlo con timore, e come se fosse collocato a una immensa distanza da noi e di distinta natura. No; non è Egli un essere estraneo e superiore da doverlo contemplare con apprensione; è come noi, della medesima nostra natura, uno di noi; e perciò dobbiamo amarlo ed appressarci a Lui con tutta fiducia; perocché come uomini, come fratelli suoi, quantunque sì miserabili e peccatori, possiamo fare assegnamento sull’illimitato amore del suo cuore. – Tutto questo si è fatto per noi il Figliuolo di Dio mediante l’Incarnazione, il cui effetto è l’Uomo-Dio, quest’Essere mirabile ed immenso; quest’Essere che la Scrittura chiama la causa, il primogenito fra le creature (Col. I, 15, 16, 19), l’erede universale di Dio (Ebr. I, 2); Uomo-Dio, quest’Essere potentissimo, dinanzi al quale si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno (Filipp. II, 10); Uomo-Dio, il più bello ed amabile, la quintessenza dei pensieri di Dio; Uomo-Dio, l’amore e l’ammirazione del cielo; Uomo-Dio, la vita e il conforto della povera umanità; Gesù, che si fece fratello nostro e che stringendoci al cuore colle braccia dell’amor suo ci solleva alla patria eterna, e ci presenta a suo Padre come dolci conquiste della sua tenerezza ed amabilità. Che mai potrebbe Dio ideare e creare di più per un cuore che non si commovesse a tanta maestà e bellezza?

CAPITOLO IV.

Dio – Bambino

1. Dio si fece Uomo in tutta l’estensione della parola, e per conseguenza, anche bambino; perché l’infanzia appartiene naturalmente all’essere ed alla vita dell’uomo. È qui noi prendiamo la parola fanciullezza, non nel senso più ristretto, ma riel più ampio, che abbraccia tutto il periodo dello sviluppo dell’uomo, dal suo primo momento fino all’acquisto completo delle sue forze giovanili. E questa è la prima differenza fra il primo ed il secondo Adamo. Il primo non conobbe infanzia né gioventù, ma si presentò immediatamente al mondo come uomo perfetto. Il secondo Adamo volle percorrere tutti gli stadi della vita, e così l’infanzia di Gesù è una conseguenza del mistero dell’Incarnazione, e del proposito suo di voler conformare perfettamente la propria vita alla nostra.

2. E qual è il tratto più caratteristico di questa prima apparizione di Cristo tra gli uomini? L’Apostolo ce lo dice con queste parole: Apparve la benignità e l’umanità di Dio nostro Salvatore (Tit. III, 4). La benignità e l’amabilità sono il carattere, quindi, della prima venuta di Gesù al mondo, ed a manifestarle concorreva appunto il suo modo di presentarsi. Ed invero, che di più amabile d’un fanciullo? L’uomo è l’essere più nobile delle creature visibili, ed il fanciullo è il fiore dell’umanità. Chi può contemplare la sua bellezza fresca e delicata, l’anima tenera che vi s’intravede e l’attrattiva della semplicità ed innocenza di lui, senza commuoversi ed amarlo? Chi sarebbe capace di respingere un fanciullo, quando confidente si stringesse a lui per implorare soccorso? Ebbene, questa fu l’arte del Figliuolo di Dio al suo primo apparire sulla terra onde cattivarsi l’amor nostro. – Tutte le manifestazioni di Dio sono altrettanti modi di cui si vale nella sua bontà per avvicinarsi a noi; ma non ve n’ha una che sia tanto commovente come questa (Ebr. I, 2). Di fronte a questo fanciullo sembra di sentirci più sapienti, più forti di lui, a tal punto da aver compassione di Dio, povero ed abbandonato sulla terra. Spariscono qui tutte le barriere che la divina Maestà innalzava tra Lui e noi. Dio s’è fatto come uno di noi e, in apparenza, meno di noi. Un pargoletto è nato a noi, e il Figlio è dato a noi (Is. IX, 6). Figlio dell’uomo chiamasi l’eccelso Dio nostro; il segno meraviglioso della sua venuta dato ai pastori era, che avrebbero trovato un Bambino povero ed ignorato, ravvolto in pannicelli e giacente in una mangiatoia. Come con verità e bellamente disse S. Bernardo: « Grande è il Signore e degno di lode oltre ogni misura; il Signore è piccolo e si merita tutto l’amore senza eccezioni! » E lo stesso modo tenne durante la sua fanciullezza e gioventù. Che amabilità quella dell’Onnipotente nel sottomettersi alle sollecitudini d’una madre e di un padre putativo su questa terra, nel ricevere da essi l’alimento e mostrare che fossero i suoi difensori contro i propri nemici! Qual soave mistero quello del suo crescere e svilupparsi, allorché il suo corpo diveniva sempre più bello e dignitoso, allorchè l’anima di Lui manifestavasi ognor più risplendente, allorchè Egli eseguiva gradatamente azioni vieppiù perfette! Quanto amabile l’umiltà sua, la sua obbedienza, la sua pietà, la laboriosità della sua vita nascosta, meraviglia del cielo e della terra, la cui vista eccitava, a favore de’ proprî figli, una santa emulazione nelle donne di Nazareth verso la fortunata madre di quel Fanciullo! Qual soave mistero quello della sua fermata nel tempio, raggio anticipato della sua vita pubblica, in cui si manifesta come Messia e Figlio di Dio, ma povero e staccato da quanto sa di carne e di sangue, per dichiararci quanto prima che più che alla Madre sua appartiene a noi, che ardentemente desidera giunga l’ora di essere tutto nostro! Il presepio medesimo col suo Silenzio e la sua povertà è un segno eloquente di ciò che ha da operare più tardi a nostro favore; la madre Lo involge ora in pannicelli, più innanzi Lo involgerà nella Sindone: adesso Ei versa lagrime, verserà poi tutto il suo Sangue; nasce in una misera grotta in aperta campagna, e più tardi un sepolcro prestatogli ne riceverà l’adorabile corpo.

3. Le circostanze di luoghi e persone che circondano l’infanzia del Salvatore fanno che ne risalti vieppiù l’amabilità sua. Si presenta innanzi tutto la piccola, ma regale città di Davidde, distesa sopra verdi colline e ondeggianti praterie, ricca di gradite memorie degli antichi tempi; quindi, la misteriosa terra dei Faraoni colle sue piramidi, alla cui ombra si ammaestrarono i figli d’Israele nella religione, nelle arti e nei lavori, fino a divenire un popolo potente; indi la pacifica Nazareth, gradita dimora per tanto tempo della sua gioventù e testimonio della sua vita nascosta e del suo tranquillo lavoro: e finalmente il sacro tempio di Gerusalemme, l’antica città dei profeti, dove ci si Manifesterà un giorno glorioso e dove ora fa che i dottori della legge, venerati quasi superstiziosamente dai Giudei, rendano omaggio a Lui, Fanciullo di dodici anni: luoghi tutti celebri e strettamente legati alla vita di Gesù Cristo. Similmente amabile e pieno di significati è il gruppo di persone che circonda la sua infanzia: la Vergine Madre, di regale prosapia, il giusto e fedelissimo Padre putativo, i semplici e pii pastori, i celesti messaggeri che intonano inni di giubilo, i santi Simeone ed Anna, i Re Magi fedeli alla vocazione della stella. Tali sono i santissimi personaggi che intervengono alla nascita di Gesù, i suoi primi adoratori e profeti, che annunziano al mondo la di Lui venuta e fanno testimonianza della sua divinità. E questa divinità per noi è della massima importanza; perocché a che gioverebbe senza di essa la povertà e l’amabilità del Bambino Gesù? Ei non vuole da sé stesso rompere il silenzio della propria infanzia per manifestarsi Dio qual è, ma ne lascia la cura a codesti santi, e per ciò i medesimi sono intimamente legati alla prima di Lui età, ed offrono al mondo l’incomparabile loro servigio di attestarne la divinità.

4.Che quadro stupendo è mai quello dell’infanzia del nostro Dio! Un Dio-Bambino, giacente in una mangiatoia, che abbisogna d’alimento e di attenzioni, che piange, che si sottrae colla fuga ai suoi nemici, che vive vita nascosta e si guadagna l’alimento con un’umile arte! E pensare che in Lui non può aver luogo alcuna debolezza interiore né l’inconsapevolezza degli altri fanciulli! Al contrario, tutto in Lui vibra forza e vita, vita divina che tutto vivifica, sotto la forma dell’amabilità senza limiti e dell’amore più tenero; potere che tutto attrae a sé irresistibilmente. Infatti, dove sarebbe al mondo colui che non sentisse l’attrattiva potente di quest’infanzia? Non fu dessa la delizia della prima nostra età? Non furono per Betlemme i primi palpiti del nostro cuore, gli affetti tutti dell’anima nostra? Oh! con che soavità ed amore pregavamo dinanzi al presepio, come mai forse l’avremo poi fatto! E perché non possiamo tornar al fervore di quei giorni? Nella grotta di Betlemme come sul Calvario, dinanzi al l’abernacolo come in Cielo, nostro Signore è sempre il medesimo, degno mai sempre d’adorazione, di rispetto e d’amore. Tutte le divozioni indirizzate all’umanità di Cristo conducono a Dio. Per questo un S. Francesco, un S. Bernardo e tanti altri santi personaggi, col fervore del loro spirito rinnovarono il mondo, furono specialissimamente devoti dell’infanzia di Gesù Dove potremmo trovare più verità, più sapienza, più amabile grandezza, beltà più attraente che non nel Bambino di Betlemme? Confidenza ed amore sono la caratteristica della divozione al Bambino Gesù; perché non dovrebbero formare altresì la caratteristica della nostra vita?

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.