LE TRIBOLAZIONI NELLA CHIESA (5) – OBBLIGHI DI UN PASTORE (II)

OBBLIGHI DEI PASTORI E DEI FEDELI NELLE TRIBOLAZIONI DELLA CHIESA (5)

ESPOSTI DAL P. ALFONSO MUZZARELLI DELLA COMPAGNIA DI GESÙ,

ROMA – STAMPERIA DELLA S. GC. DE PROPAGANDA FIDE, AMMINISTRATA DAL SOC. CAV. PIETRO MARIETTI – 1866

DEGLI OBBLIGHI DI UN PASTORE NELLE TRIBOLAZIONI DELLA CHIESA (II)

Avete altri dubbi da farmi? E se i Principi stessi e le Podestà del secolo vietassero al Pastore di annunziare la verità della Fede, di opporsi agli empii, e di pascere il suo popolo; in tal caso deve il Pastore ubbidire e tacere? Rispondo, che il Pastore in questo caso né deve accettare il comando, né deve ubbidire. Un Vescovo non ha la sua missione dal Principe, ma da Dio. Accettando e ubbidendo a un ordine di questa sorte, viene implicitamente a riconoscere l’autorità del Principe come superiore a quella di Dio. Mi spiego anche meglio. L’obbligo d’un Vescovo di pascere il suo popolo non solo è precetto Ecclesiastico, ma ancora divino. Dunque non v’è nel mondo autorità nessuna, che possa distruggerlo e dispensarlo. Solo la Chiesa, come giudice della Fede, può prescrivere ciò che devesi insegnare, o tacere, per eseguire questo divino precetto. Non tocca all’autorità laica il prescrivere i dogmi da insegnarsi, o da porsi in silenzio. Chi si presta timoroso a un simil comando, viene a riconoscere tacitamente la podestà laica per giudice della Fede. E questa non sarebbe una specie d’apostasia in un Vescovo? – Avete mai letto nelle Scritture, che Geroboamo, Ozìa, Acabbo, e Giosìa mandassero i Profeti a predicare ad Israele e a Giuda? Io vi ho dato per Profeta alle genti: disse Dio (Ier. 1, 5) a Geremia. Udite, o cieli, e tu ascolta, o terra, perché Dio è quegli, che parla: diceva (Isaî. 1, 2) Isaia. Ecco la parola del Signore, che si è fatta sentire ad Osea: così si legge nel primo capo(Ose. I, 1) di questo Profeta, e così si ripete in tutti gli altri. Poterono bene le podestà del secolo perseguitare un Elia, un Geremia,e tant’altri profeti; ma questi non tacquero, e la loro persecuzione fu alfine vendicata da Dio. Avete forse letto nel Vangelo, che Erode mandasse Giovanni Battista a predicare nel deserto? – Voi troverete tutto all’opposto, che Giovanni fu mandato da Dio (Joan. I, 16) Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioannes. E perché Giovanni era mandato da Dio, non ebbe timore di protestare ad Erode più volte che non gli era lecito l’aver la moglie di suo fratello: Non licet te habere uxorem fratris tui (Marc. VI, 18) sicché per la libertà del suo predicare perdette la vita.Avete voi letto, che Cesare, o Pilato spedissero gli Apostoli a predicare? Io ho ben letto, che Gesù Cristo gli elesse, e gli spedì senza il rescritto di Augusto per tutta la Giudea (Math. X, 5et sequ.). Questi dodici furono mandati da Gesù. Hos duodecim misit Jesus. E insieme prescrisse loro quello, che doveano predicare;fu Gesù, che loro il prescrisse, e non il Re, né il Governatore della Giudea, né Cesare. Andate e predicate dicendo, che si è avvicinato il Regno de’ Cieli: Euntes autem prædicate dicentes: Quia appropinquavit regnum cœlorum. Sapeva Gesù Cristo che avrebbero per questo incontrato degli oppositori: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi; ecce ego mitto vos in medio luporum.Ma non per questo insegnava loro a tacere, ma bensì a parlare, promettendo ad essi di mettere la parola dello Spirito Santo sulle loro labbra. « Cum autem tradent vos, nolite cogitare, quomodo, aut quid loquamini: dabitur enim vobis in illa hora, quid loquamini. Non enim vos estis qui loquimini, sed Spiritus Patris vestri, qui loquitur in vobis. (E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi) [Matt. X, 19]. » In fine dopo la sua risurrezione gli spedisce a promulgare il suo Vangelo non più alla sola Giudea, ma a tutta la terra (Marc. XVI, 15). Et dixit eis: Euntes in mundum universum prædicate Evangelium omni creaturæ. – Con questa missione divina gli Apostoli predicarono in ogni luogo senza punto dipender dalla secolar podestà. (Marc. XVI, 20). Illi autem profecti prædicaverunt ubique. Quando gli Apostoli dopo aver ricevuto lo Spirito Santo salirono (Act. III, 4) in pulpito ad annunziare la nuova legge; non presero il rescritto del Governatore a questo fine. Dissero e predicarono liberamente secondo l’istinto del divino Spirito: Prout Spiritus Sanctus dabat eloqui illis. Se Pilato avesse loro proibito di entrare in alcune questioni, avrebbero essi dovuto ubbidire a Pilato, o pure allo Spirito Santo, che gl’ispirava diversamente? Ora i Vescovi sono i successori degli Apostoli; e gli eredi della loro ordinaria autorità e della divina missione. Non possono dunque e non devono dipendere dalla secolare podestà nella predicazione della Fede. Se fanno diversamente, vengono tacitamente a riconoscere nella podestà temporale un’autorità superiore a quella di Cristo. Poterono è vero i Sacerdoti e i Magistrati del Tempio imprigionar per questo gli Apostoli: fecero anche loro divieto di non insegnar più nessun dogma nel nome di Gesù Cristo (Act. IV, 18). Et vocantes eos denuntiaverunt, ne ommnino loquerentur, neque docerent in nomine Iesu. Ma per questo gli Apostoli ubbidirono? No: ma Pietro, e Giovanni a nome anche degli altri risposero, che la loro missione era da Dio, e che rimettevano al giudizio altrui, se era lor debito il prestar orecchio piuttosto ad essi, che non a Dio (Ibi, v. 19). Si iustum est in conspectu Dei, vos potius audire quam Deum, iudicate. Non enim possumus, quae vidimus, et audivimus, non loqui.Di nuovo sono arrestati gli Apostoli per la libertà del lor predicare;e Iddio per mostrare che la sua Chiesa non dipende da nessuno, spedisce dal cielo un Angelo, che (Act. V, 19 et segg.) apre le porte della prigione, e gli manda un’altra volta a predicare nel Tempio. Se i Giudei avessero avuto diritto d’impedireagli Apostoli di predicare, avrebbe mai Dio approvata con un miracolo la disubbidienza de’ suoi predicatori? E che risposero dopo. questo gli Apostoli ai Magistrati, i quali gl’interrogarono, perché avessero trasgrediti i lor comandi? Risposero con coraggio apostolico,che bisognava ubbidire prima a Dio, e poi agli uomini (Act.IV,19et V, 29). Obedire oportet Deo magis, quam hominibus. I Magistrati gli fanno battere, e intimano loro di nuovo l’istesso divieto: Ne omnino loquerentur in nomine Jesu (Act. V, 40). E gli Apostoli? (Ibi v. 42). Omni die non cessabant in templo, et circa domos, docentes, et evangelizantes Christum Jesum. – E ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo).Ecco l’esempio della libertà evangelica necessaria ne’ Pastori. in tempo di persecuzione e in ogni tempo. Non è stato il Vangelo. pubblicato dal Principe, ma da Dio. Tocca dunque ai Pastori suoi ministri il divulgarlo come, e quando, e dove lor piace. Anche il principe è pecora dell’ovile di Gesù Cristo. Non appartiene alle pecore il regolar la voce del Pastore. Al Pastore appartiene. il pascere, il correggere e lo sgridare le pecore. Ha il Pastore. anch’egli a chi render conto della sua predicazione, cioè a Quegli,che lo ha mandato. Ma se il Pastore temesse tanto le minacce di una pecora, che si lasciasse da lei chiuder la bocca, e non ardisse per rispetto di lei di sgridare i lupi, guai a questo Pastore. Egli sottoporrebbe il comando del suo padrone a quello di una pecora.Non ne riporterebbe dunque perciò un’eterna confusione, avendo avvilito in questa guisa l’autorità divina, e il proprio ministero? –  Quando Costanzo Imperatore nell’an. 638 pubblicò il famoso Tipo (Concil. Lateran. Secret. 4) in cui ordinò, che nessuno dei suoi sudditi altercasse o contendesse contra i Monoteliti, a lor favore,ubbidì forse la Chiesa a quest’Editto? Noi sappiamo, che il. Capo stesso della Chiesa, il Santo Papa Teodoro depose subito Paolo. Patriarca di Costantinopoli, per essere stato autore a Costante di. un tal comando. E pure i Monoteliti non erano stati condannati da un Concilio di Laterano intorno al Tipo di Costante? (Concil.Later. Secret. 4). « Relectus Typus bonum quidem intentum habere dignoscitur; dissonantem autem virtutem intentui continet. Bonum est namque procul dubio… cohibere dissensiones, et altercationes pro causa fidei; sed non est utile, et bonum cum malo, destruere bonum, id est cum hæreticis orthodoxorum Patrumverba, et dogmata; quoniam hoc potius exurit, non enim mitigat merito controversiarum statum nullo videlicet patiente denegare cum impietate hæretica venerabile verbum fidei… Sufficit nobis Patriarchæ voce Serenissimum Principum alloqui… ( Gen. 18).Nullo modo tu facies secundum hoc verbum, ut interficias iustum cum impio, et erit iustus sicut impius… Propterea intentum Typi bonum laudamus, sed modum ab intentu dissonantem avertimur: quoniam omnino est inconveniens Catholicæ Ecelesiæ regulæ, in qua utique adversa tantummodo iubentur merito sepeliri silentio. » In fine, che uso fa del Tipo medesimo. il Concilio di Laterano? Lo condanna, e vuole che siano condannati tutti quelli che non lo condannano (Concil. Later. an. 649, can.18). Si quis… » non anathematizat anima, et ore… scelerosum Typum, qui ex suasione Pauli nuper factus est a Serenissimo Principe Costantio Imperatore contra Catholicam Ecclesiam, utpote cum Sanctis Patribus, et scelerosos hæreticos ab omni reprehensione, et condemnatione iniuste liberari definientem, in amputationem catholicæ Ecclesiæ definitionum, seu regulæ… huiusmodi condemnatus sit. » E quando poi si volle persuadere a S. Massimo Abate di ricevere il Tipo, che metteva la pace dall’una parte e dall’altra, che fece il S. Abate? Si gettò in terra, e colle lagrime agli occhi (Mans Concil. tom. 11, col. 8) rispose: Non debuerat contristariî benignus, et pius dominus adversus humilitatem meam; non enim possum contristare Deum tacens, quæ ipse nos. loqui, et confiterî præcepit. Non ho io detto a ragione sin da principio, che la Scrittura, i Padri, i Concili e gli esempii de’ Santi istruiscono abbastanza un Pastore del suo dovere in tempo di persecuzione? –  E che diremo poi, se il Principe istesso errasse nella fede e nei costumi, e direttamente o indirettamente perseguitasse la Chiesa e le sue leggi, e la spogliasse della sua autorità e de’ suoi privilegi? È forse tenuto un Vescovo ad annunziare anche al Principe la verità, ad ammonirlo e a correggerlo coll’ecclesiastica verga, se faccia bisogno? Io non credo, che si possa (Concil. Mediol. edit. Lugd. p. 66, col. 2) porre in dubbio questo debito del Pastore da chiunque rifletta, che cosa è Chiesa, e che cosa sono i Cristiani. La Chiesa è un ovile; il Vescovo è il Pastore; i Cristiani sono gli agnelli. Anche il Principe è un agnello di questa greggia. Da chi dunque si deve pascere il Principe cristiano, da chi ammonire, da chi correggere, se non se dai Pastori della Chiesa? Chi dovrà render conto della sua perdita, e della perdita degli altri, a cui il Principe fu d’inciampo, di rovina, di scandalo, se non colui che dovea guidarlo al pascolo cogli altri agnelli? Ecco che cosa disse Iddio a Geremia, quando lo mandò a predicare, e a profetare sotto il Regno di Giosia Re di Giuda (Ier.I, 18). Ego quippe dedi te hodie in civitatem munitam, et in columnam ferream, et in murum aereum, super omnem terram, Regibus Iuda, Principibus eius, et Sacerdotibus, et Populo terræ [Ed ecco oggi io faccio di tecome una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese]. Era uno scandalo pubblico quello, che commetteva Erode col tenere la moglie di suo fratello, e S. Giovanni Battista si credeva obbligato (Marc. VI, 18) ad intimargli, che ciò non era lecito: Non licet. Infine S. Paolo scrivendo a Timoteo, non gli prescrive soltanto la condotta, che deve tenere col volgo, (1 Timoth. VI, 17, et sequ.) anche il comando, che deve esercitare coi Grandi del secolo: Divitibus huius saeculi præcipe: se bene agere. [Ai ricchi in questo mondo raccomanda … di fare del bene]. È soverchio il provar questo punto (S. Gregor. Nazianz. orat. ad cives. et Chrysost. 1.3 de Sacerd. Ambros. de dign. Sacerd. c.2, Gregor. Magn. ad Maurit. Bellarm. de offic. Princip. 1.1, c.5), che da nessun Cattolico è mai stato messo in dubbio. Quis enim dubitat, scriveva S. Tommaso Arcivescovo di Cantuaria (ad Episc. Angliae Labbé tom. 13, col. 79), Sacerdotes Christi Regum, et Principum , et omnium Fidelium Patres, et Magistros censeri? Dunque anche i Principi sono tenuti ad ubbidire ai Vescovi nelle cose spirituali, come agnelli ai pastori, come figliuoli ai padri, come discepoli ai maestri; e i Vescovi sono obbligati ad invigilare (Vid.Lucifer. Calarit. de non parcendo in Deum delinquentibus), sui Principi, come maestri sui discepoli, come padri sui figliuoli, come pastori sugli agnelli. Dunque sarebbe delitto per un Vescovo il dissimulare i peccati, i sacrilegii, gli errori e le usurpazioni dei Principi. « Ex Sacris Scripturis, scriveva il Bellarmino (respons. ad duos libellos Colon. Agrip. an.1607, pag.15), quæ ius divinum positivam complectuntur, Sacerdotes Pastores sunt; Laici quamvis Principes oves; Sacerdotes patres, Laici filii; ac iusta naturæ inductionem, quia ius divinum naturale est, ovis pastori, non illi pastor parere debet; filius itidem patri, non pater filo. » Volendo il Re Chilperico, a sommossa della Regina Fredegonda, opprimere il Vescovo Pretestato, il quale era stato calunniosamente accusato di lesa maestà, vi si oppose S. Gregorio Turonense; ed ecco in qual maniera ammonì gli altri Vescovi, i quali non osavano di resistere alla volontà del Re (Hist. Francor. 1.5, c.19). « Attenti estote sermonibus meis, o sanctissimi Sacerdotes Dei; et præsertim vos, qui familiariores esse Regi videmini. Adhibete ei Concilium sanctum, atque Sacerdotale, ne excandescens in Ministrum Dei pareat, ac ira eius et regnum perdat, et gloriam.» E perchè essi a queste parole tacevano, vi aggiunse. « Mementote, Domini mei Sacerdotes, verbi prophetici, quod ait: Si viderit speculator iniquitatem hominis, ct non dixerit, reus erit animæ pereuntis. Ergo nolite silere, sed prædicate, et ponite ante oculos Regis peccata eius, ne forte ei aliquid mali contingat, et vos rei sitis pro anima eius. » Così narra questo fatto lo stesso S. Gregorio. Un altro esempio ci somministra egli della pastoral fermezza. Domandava Chilperico, che suo figlio Meroveo, fosse espulso dalla Chiesa, in cui erasi rifugiato; ma non potè ottenere dal Santo, benché gli minacciasse di far incendiare tutto quel paese, ch’egli concorresse alla violazione dell’ecclesiastica Immunità (l8.5, cap. 14). « Chilperieus nuntios ad nos direxit dicens: Eiicite Apostatam illum de Basilica; sin autem aliud totam regionem illam igni suecendam. Cumque nos rescripsissemus, impossibile esse, quod temporibus hæreticorum non fuerat, Christianorum temporibus nunc fieri, ipse exercitum commovet, et illuc dirigit.  … cacciate l’eretico fuori dalla basilica …] » Troppo nota è l’ecclesiastica libertà, con cui rispose il Vescovo Osio a Costanzo, il quale volea da lui estorcere la sottoscrizione alla condanna dell’innocente Atanasio (apud Atanas. epist. Ad solit. et apud Mansi Concil. tom. 3, col. 246). « Desine quæso, et memineris te mortalem esse; reformida diem iudicii; serva te in illum diem purum, ne te misceas ecclesiasticis, neque nobis » in hoc genere præcipe, sed potius ea a nobis disce. Tibi Deus Imperium commisit; nobis quae sunt Ecclesiæ coneredidit. Et quemadmodum qui tuum Imperium malignis’ oculis carpit, contradicit ordinationi divinæ: ita et tu cave, ne, quae sunt Ecclesiæ, ad te trahens, magno crimini obnoxius fias. Date, scriptum est, quae sunt Cæsaris Casari, et quae sunt Dei Deo. Neque enim fas est nobis in terris Imperium tenere: neque tu thimiamatum et sacrorum potestatem habes, imperator. Hæc quidem ob curam tuæ salutis seribo: et de iis, quae in epistolis scribis, hanc meam sententiam accipe. Ego neque Arianis assideo, neque suffragor, sed eorum haeresim anathemate damno: neque in Athanasium accusationibus subscribo, quem nos et Romana Ecclesia, et universa Synodus innocentem pronunciavit. » Queste erano l’espressioni, che suggeriva ai Vescovi anche negli ultimi tempi l’immortale Benedetto XIV, dove vietava ad essi di riconoscere nella secolar podestà il diritto d’intimare pubbliche preghiere nelle Chiese, o di prescriverne le formole (Constit. Quemadmodum preces. §. 6. Bullar. tom. 1). « Sin autem, quod Nobis persuadere non possumus, laicalis aliqua Potestas usu, vel consuetudine aliqua (quæ abusus revera dici debet) praesumat auctoritatem vestram in hoc minime agnoscere, sed iure suo directe velit publicas preces indicere, immo et poenam parere renuentibus statuere audeant; loquiminor et Vos, quemadmodum Osius ad Imperatorem loquutus est. » Converrebbe scorrer tutta la lettera prima dal S. Pontefice Felice III diretta ad Acacio, e nella quale egli lo riprende per la sua dissimulazione contro gli eretici e gl’invasori, e per la sua taciturnità su questo particolare coll’imperator Zenone. Ecco che cosa fra le altre esso gli scrisse (Mansî Concil.t. 7, col. 1028, et sequ.) « Cur eorum, frater, quærere semitas veteres nunc relinquis? Cur irruentibus in ovile dominicum lupis nulla vigilantia ministerii pastoralis obsistis, sed æquanimiter atque securus commissum gregem aut laniari perspicis, aut necari? Non dicentem recolis Dominum, et animam suam quidem pro ovibus ponere pios pro devotione pastores; mercenarium autem de his curam penitus non habentem, mox ut bestiam forte conspexerit, sine ulla diffugere consideratione testantem?… Diligenter attende, nihil aliud esse, non procurare quæ Christi sunt, nisi se palam profiteri eius inimicum… Atque ideo, cum ita sit, moneo, hortor, et suadeo, ut quæ commissa sunt corrigas, el sequentibus studiis de te facias meliora sentire. Negligere quippe, cum possis deturbare perversos, nihil est aliud quam fovere. Non caret scrupolo societatis occultæ, qui evidenti facinori desinit obviare….. Verumtamen, salvo eo, quod in die iudicii talem a nobis Ecclesiam, certum est, qualem a patribus accipimus, exigendam; etiam in hac vita se ad eam non pertinere cognoscat, qui quippe, cum possis deturbare perversos, nihil est aliud quam fovere. Non caret serupolo societatis occultae, qui evidenti facinori desinit obviare….. Verumtamen, salvo eo, quod in die iudicii talem a nobis Ecclesiam, certum est, qualem a patribus accipimus, exigendam; etiam in hac vita se ad eam non pertinere cognoscat, qui non solum plenitudini eius noxia conatur inferre, sed etiam qui es, quæeidem congruentis sunt, dissimulat providere. » – né già per questo si credé dispensato il S. Pontefice dal fare istanza egli stesso presso l’imperatore per il bene della Chiesa con quella schiettezza e libertà, che richiedeva il suo pastoral magistero, come può vedersi dalla di lui lettera seconda e nona, nella quale così conchiude (Mansi ibid. col. 1066). « Et ex hoc quidem de his hominibus conscientiam meam ante tribunal Christi causam dieturus absolvo. Vestræ mentis intererit magis ac magis cogitare, et in rerum præsentium statu sub divina nos exam natione subsistere, ac post huius vitae cursum ad divinum consequenter venturos esse iudicium. » – Imperocchè aveano presenti questi Santi Pontefici la risposta, che dà S. Girolamo a quelli, che negano di parlare, perché non sono ascoltati. In Ezech. cap. 33. « Nec statim respondeamus: quid prodest docere, si nolit auditor facere, quae docueris? Unusquisque enim ex suo animo atque officio iudicatur: Tu si loquutus non fueris: ille, si audire contempserit. »  – La Chiesa è stata sempre così gelosa della paterna e pastorale autorità dei Vescovi, che ha loro espressamente proibito l’umiliare colla podestà temporale non solo la loro giurisdizione, ma persino il loro decoro. Basta leggere per tutti su questo proposito l’ultimo general Concilio di Trento (Concil. Trid. sess. XXV, c. 17 de ref.), il quale nello stesso tempo ricorda, anzi comanda ai Principi di onorare e rispettare i Vescovi come lor Padri. Eccone i termini precisi: « Non potest Sancta Synodus non graviter dolere, audiens Episcopos aliquos, sui status oblitos Pontificiam dignitatem non leviter debonestare, qui cum Regum ministris, Regulis, et Baronibus in Ecclesia, et extra indecenti quadam demissione se gerunt, et veluti inferiores ministri altaris, nimis indigne non solum loco cedunt, sed etiam personaliter itlis inserviunt. Quare hæc, et similia detestans Sancta Synodus, sacros canones omnes, Conciliaque generalia, atque alias Apostolicas sanctiones ad dignitatis decorem, et gravitatem pertinentes renovando, praecipit, ut ab huiusmodi in posterum Episcopi se abstineant; mandans eisdem, ut tam in Ecclesia, quam foris suum gradum, et Ordinem præ oculis habentes, ubique se Patres, et Pastores esse meminerim; reliquis vero tam Principibus, quam cæteris omnibus, ul cos paterno honore, ac debita reverentia prosequantur. [Il santo Sinodo non può non rammaricarsi grandemente, sentendo che alcuni vescovi, dimenticando il loro stato, abbassano non poco la loro dignità episcopale, comportandosi in Chiesa e fuori di essa con indecente servilismo con ministri regi, governatori, baroni, e quasi fossero inservienti di second’ordine all’altare, non solo danno ad essi la precedenza, senza alcuna dignità, ma li servono anche personalmente. Perciò questo santo Sinodo, detestando queste e simili manifestazioni, rinnovando tutti i sacri canoni e i concili generali e le altre disposizioni apostoliche, che riguardano il decoro e la maestà della dignità vescovile, comanda che in avvenire i vescovi si astengano da questo modo di agire e che, in Chiesa e fuori abbiano dinanzi agli occhi il loro grado e il loro ordine e si ricordino dovunque di essere padri e pastori. Esorta, poi, i principi e tutti gli altri a trattarli con l’onore dovuto ai padri e con la debita riverenza.] » – Provati questi doveri d’un Vescovo col suo popolo e col Capo del popolo istesso, in ogni tempo, e massime in tempo di persecuzione, resta a fare un’altra domanda; cioè in che modo dovrà esercitare il Vescovo questo dover d’istruzione colle sue pecore, coi suoi figliuoli, coi suoi discepoli. Rispondo con una risposta sicura e con una decisione inappellabile. Il Vescovo dovrà tener quella strada, e quei mezzi, che la Chiesa assistita dallo Spirito Santo, dietro gl’insegnamenti di Gesù Cristo e de’ Padri, ha prescritti al Vescovo istesso. Chi potrà rifiutare l’indirizzo o l’istruzion della Chiesa sua Madre? Ora io trovo nel Concilio di Trento (Sess.13, cap. de refor.) disegnata a un Pastore tutta la traccia della sua pastorale condotta in questo particolare. Ricorda dunque il Concilio ai Vescovi, primo, di procurare di tener lontani i lor sudditi dal mal fare coll’esortazioni e coll’ammonizioni: « Elaborent, ut hortando, et monendo ab. illicitis deterreant; e perché? ne ubi deliquerint, debitis eos pocnis coercere cogantur. » Secondo: di rimproverarli, e sgridarli con bontà e con pazienza, giusta l’avviso dell’Apostolo quando cadono in qualche fallo: « Quos tamen, si quid per humanam fragilitatem peccare contigerit illa Apostoli ab eis servanda prœceptio, ut illos arguant, obsecrent, increpent in omni bonitate, et patientia: cum sæpe plus erga corrigendos agat benevolentia, quam austeritas; plus exhortatio, quam comminatio; plus charitas, quam potestas. » Terzo: se faccia bisogno di usar verga, di, usarla, ma con mansuetudine e con misericordia: « Sin autem ob delicti gravitatem virga opus fuerit; tune cum. mansuetudine rigor, cum misericordia iudicium, cum lenitate severitas adbibenda est; ut sine asperitate disciplina populis salutaris, ac necessaria conservetur, el qui correcti fuerint, emendentur; aut si resipiscere noluerint, caeteri salubri in eos animadversionis exemplo a vitiis deterreantur. » Porta il sacro Concilio al nostro proposito l’esempio del Pastore, che all’infermità delle pecore applica da prima alcuni leggieri fomenti; indi se il morbo si aggrava, passa a più pungenti e gravi rimedii; in fine, se né pur questi portano alcun profitto, separa dalla greggia l’agnelle morbose per salvar dal contagio le altre, che tuttavia son sane :« Cum sit diligentis, et pii simul pastoris officium, morbis ovium levia primum adhibere fomenta; post, ubi morbi gravitas ita postulet,ad acriora, et graviora remedia descendere; sin autem, ne ea quidem proficiant, illis submovendis, caeteras saltem oves contagionis periculo liberare. »Dove osservo due cose; prima, all’ammonizione, alla correzione, e anche al castigo vuole la Chiesa, che sempre vada unita la mansuetudine e la misericordia, di modo che si veda un Padre, un Maestro, un Pastore, che sferza contro sua voglia un figlio, un discepolo, una pecora, unicamente pel desiderio di ridurli sul buon sentiero. Così anche si spiegano le Costituzioni Apostoliche (I. 2,c. 15): « Misericors cum iustitia Dominus noster, bonus, et singulari in homines charitate, reo criminis, ac malefico non dat impunitatem, redeuntem in viam rectam recipit, eique vitam tribuit. » – Così pure scriveva Pietro Blesense al Vescovo d’Orleans (cp.142).« Si Regis Francorum faciem revereris, adhibe tibi de Coepiscopis tuis, qui spiritu Dei aguntur, ut tanta verboram moderatione utaris, ut si fortis est sermo, nibilominus sit suavis: nam et sapientia, quæ attingit a fine usque ad finem fortiter, staviter universa disponit. » Secondo, che la Chiesa in tutta questa condotta colle pecore inferme e contagiose, mai e poi mai prescrive al Vescovo il silenzio, perché senza la parola del Vangelo adempie non si l’obbligazion di un Pastore. – Lo Spiega in poche parole S. Bernardo, scrivendo a (de Consider. L 4, c. 3, n. 6) Papa Eugenio:« Evangelizare pascere est. Fac opus Evangelistæ, et Pastoris opus implevisti.» Ma parlando, dirà taluno, specialmente ai grandi del secolo, si corre pericolo di aggravar la persecuzione. E tacendo, rispondo io, non solo si corre pericolo di aggravar la persecuzione, ma la persecuzione certamente si aggrava. Quando i Pastori hanno parlato unendo insieme lo spirito della giustizia a quello della discrezione, si sono veduti alcuni contumaci figliuoli delle tenebre ribellarsi alla luce, e inasprirsi contro la Chiesa. E quando i Pastori hanno taciuto, i lupi fra le tenebre e il silenzio si sono insinuati impunemente nell’ovile, e hanno divorata la greggia. Se il Pastore si presenta coll’armi incontro al lupo, corre rischio egli medesimo di essere assalito, e che il lupo inferocisca forse con più rabbia contro le pecore. Ma se il Pastore al vedere i lupi non si mette in difesa, e la greggia e il Pastore sarà preda inevitabile di quella fiera. Dunque non si deve per un incerto pericolo esporre la greggia a una rovina sicura. Oltre a che v’è un altro equivoco in questa difficoltà. Quando il Vescovo si oppone con zelo apostolico alla podestà temporale che perseguita la Chiesa, corron pericolo d’ordinario solo, o quasi solo le sostanze, l’onore e anche la vita dei fedeli. Ma quando il Vescovo tace in faccia a un Principe persecutore, vanno a perire la fede, la religione, e le anime dei Cristiani. Ora siccome il bene spirituale deve onninamente anteporsi ad ogni ben temporale; così il pericolo delle anime deve per ogni conto fuggirsi assai più, che non il pericolo delle sostanze e della vita.?Quando al S. Pontefice Felice si faceva questa obbiezione, affinché rimettesse Acacio alla comunion della Chiesa; « Come? rispose il Papa; (Felicis Pap. III, tractat. Labbé tom. 5, col. 197)se si custodisce la fede e la cattolica comunione, corre pericolo la religione. E poi se resta violata la fede e la cattolica comunione, si dirà, che la religione è in salvo? Dio non voglia che questa proposizione esca dalle labbra di un Cattolico. Se si conserva la fede e la comunion cattolica, voi direte, che si diminuisce la dignità della Sede Apostolica? E poi se si offende la fede e la cattolica comunione, direte che si è conservato il decoro dell’Apostolica Sede? Dio non voglia, che questa proposizione si proferisca da un Cattolico. Se si conserva la fede e la cattolica comunione, direte, che si offende l’Imperatore? e violandole, forse l’Imperatore non si offende? Dio ci guardi, che l’Imperatore, o un qualche Cattolico parli così. Sarebbe l’istesso, che dire che bisogna offender la fede per non offendere 1’Imperatore. Ma noi amiamo tanto l’Imperatore,che vogliamo, ch’egli faccia quanto è necessario per la sua salute, per l’anima sua e per la sua coscienza. » Anche più forti sono a questo proposito i sentimenti, che scriveva il martire S. Cipriano al S. Papa Cornelio, intorno agli eretici Fortunato, Felicissimo, e a loro seguaci, che per via di minacce voleano ritornare alla Chiesa, ed esser trattati come cattolici (S.Cyp.ep. 55). « Io abbraccio, egli scrive, prontamente e con tutto l’amore quelli che penitenti ritornano, confessando il lor peccato con umile e semplice soddisfazione. Ma se alcuni pensano di poter ritornare al seno della Chiesa, non colle preghiere, ma colle minacce, e credono di aprirsi la strada non col pianto e colla penitenza, ma col farci timore, sieno pur certi, che per loro è serrata la Chiesa di Dio, e che il campo di Gesù Cristo forte, munito, e invincibile per la protezione di Dio non può esser vinto dalle minacce. Un Sacerdote di Dio, che sta attaccato al Vangelo, e che osserva iprecetti di Cristo, può essere ucciso, ma non può esser vinto. ..Imperocchè, se alcuni pochi temerari e scellerati lasciano le celestie salutari strade del Signore, e non facendo il bene sono abbandonati dallo Spirito Santo; non per questo anche noi dobbiamo dimenticarci delle divine tradizioni, e far più conto della scelleraggine di alcuni furibondi, che non del giudizio dei Sacerdoti; né dobbiam credere, che abbia più forza per combatterci l’umana podestà di quello, che ne abbia per difenderci la divina protezione.O pure si deve forse sacrificare la dignità della Chiesa Cattolica,l’incorrotta gravità del popolo fedele alla Chiesa, e la Sacerdotale autorità, perché possano giudicare della condotta della Chiesa uomini posti fuori della Chiesa, e gli eretici dei Cristiani, gl’infermi dei forti, i feriti dei sani, i caduti dei fedeli, i rei del giudice, i sacrilegi del Sacerdote? Che cosa manca in questo caso, se nonché la Chiesa ceda il posto al Campidoglio, e che partendo i Sacerdoti,e portando seco l’Altare del Signore, passino nel sacro e venerabil consesso del nostro Clero i simulacri, e gl’idoli coiloro altari? » -« Se domandano pace, depongan le armi. E se vogliono dar soddisfazione, perché minacciano? Ma se vogliono minacciare, sappiano, che i Sacerdoti di Dio non hanno timore di loro. Imperocché né men l’Anticristo, quando verrà, potrà entrare colle sue minacce nella Chiesa, né si cederà alle sue armi, ed alla sua violenza, perché protesterà di voler uccidere, chi gli farà resistenza. Ci fanno gli eretici prender le armi, quando credono di spaventarci colle loro minacce; nè ci abbattono in tempo di pace, ma vie più ci muovono e ci accendono, mentre presentano ai loro fratelli una pace peggiore della persecuzione…. Preghiamo e supplichiamo quel Dio, ch’essi non cessano di provocare, e d’inasprire, affinché i lor cuori si facciano mansueti. .. Che se vorranno persistere nel lor furore, e perseverare crudelmente in queste parricidiali insidie e minacce, non vi è tra i Sacerdoti di Dio alcuno sì debole, né alcuno sì prostrato e abbattuto, né alcuno così imbecille ed invalido per umana miseria, il quale non si alzi per aiuto sovrano contro i nemici e gl’impugnatori di Dio, e la di cui umiltà e debolezza non prenda coraggio dal vigore e dalla fortezza donatagli dal Signore. A noi niente importa l’essere uccisi da uno o da un altro, in questo o in quel tempo, sapendo, che da Dio riceveremo il premio della nostra morte. » lo confesso, che nel trascrivere questi gloriosi sentimenti di S. Cipriano vo’ domandando a me stesso: perché non potrebbe un Vescovo in tempo di persecuzione opporre queste medesime parole alla Podestà persecutrice? Chi avrà coraggio di rimproverarlo per aver ricopiato lo squarcio di una lettera di S. Cipriano? E pure l’umana prudenza non cessa per anche di opporre le sue difficoltà. Se un Vescovo facesse così, gli direbbero forse altri: Come siete dunque voi solo, che vi volete salvare? Il numero forse maggiore di quelli, che tacciono, cercherebbe di opprimere quelli, che parlano; e si farebbe anche comparire per singolarità, e per superbia lo zelo Pastorale dell’ecclesiastica e della divina giustizia. Ma in questo caso che cosa bisognerebbe rispondere? Quello che rispose l’illustre S. Massimo ai suoi accusatori, e nemici, i quali volevano che comunicasse con quelli, ch’erano stati condannati dalla Chiesa. Come? Gli disser costoro, recandogli l’esempio degli (Acta S. Maximi t. 1, Oper. n. 6, Parisiis 1675) altri, che ubbidivano all’Imperatore: Ergo tu solus salvaberis, et omnes perierunt? « Non dico questo, rispose S. Massimo; e non condanno nessuno. Non condannarono né pur veruno i tre Fanciulli di Babilonia, i quali non vollero adorar la statua adorata da tutti. Imperocché non pensavano a ciò, che gli altri facevano, ma pensavano per se stessi a non mancare alla vera religione. Così anche Daniele chiuso nel lago de’ leoni non condannò nessuno di quelli che per ubbidire al decreto di Dario non aveano fatta orazione a Dio: ma fece quello, ch’egli doveva fare, e volle piuttosto morire, che offendere Iddio, e prevaricare contro la stessa legge di natura. Né pur io (così me ne tenga lontano Iddio) né pur io ardisco di condannare veruno, né dico, che io solo mi salverò. Del resto voglio morir piuttosto, che operare contro i dettami della mia coscienza, e cedere all’errore in pregiudizio della fedeltà dovuta a Dio. » Ripigliarono di poi i Commissarii dell’Imperatore: Almeno (ibid. num. 8, et 9) non date questo disgusto all’Imperatore, il quale ha fatto il Tipo solo per la pace, e non per altra causa. E allora il Santo gettandosi col volto a terra, e bagnando il pavimento di lagrime, … Non doveva, rispose, disgustarsi il benigno e pio Imperatore coll’umile suo servo. Imperocché io non posso disgustare Iddio, tacendo quello, ch’Egli ci ha comandato di dire e professare. Ma dunque, ripresero coloro (ibid. num. 13) tu hai detto anatema al Tipo? Si l’ho detto; rispose il Santo. Ed essi: Hai detto anatema al Tipo? In conseguenza hai detto anche anatema all’Imperatore: Typum anathematizasti? Imperatorem anathematizasti. Rispose il Servo di Dio: io non ho anatemizzato l’Imperatore, ma bensì uno scritto alieno alla Fede della Chiesa: Ego Imperatorem non anathematizavi, sed Chartam alienam ab Ecclesiastica Fide. – Così rispondevano i Santi alle maligne accuse del secolo. Anzi non erano essi, che rispondevano, ma lo Spirito Santo per bocca loro (Matth. X, 19). Cum autem tradent vos, nolite cogitare, quomodo, aut quid , dabitur enim vobis in illa ora quid loquamini. E non occorre, che nessuno si scusi col dire: io non sono un santo. – Questa condotta dei santi non era una condotta di consiglio, ma di precetto. Essi così rispondevano, perché non potevano diversamente rispondere, salva la loro coscienza. Imitando de’ Santi non si corre nessun pericolo; ma si cammina ben molto all’oscuro e all’incerto, se si vuol tener dietro a quelli, che non furono Santi. Dio non condannerà nessuno per aver preso in prestito le parole da un S. Felice, da un S. Massimo, da un S. Cipriano. Ma potrà ben rimproverare, chi le avrà prese in prestito dai prudenti figliuoli del secolo. Se un S. Anselmo e un S. Tomaso di Cantuaria avessero prestato orecchio alle timide insinuazioni dei loro confratelli, essi non sarebbero Santi; questo è poco: ma io aggiungo, che forse non sarebbero né pur salvi. Perché S. Tomaso cedette al Re in una sola parola, ne provò subito tal rimorso, che si determinò di scrivere a Roma per l’assoluzione. Questi sono fatti, che dovrebbero far tremare le pietre’ più forti del Santuario.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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