DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2020)

 (Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica negli anni in cui la Pasqua cade il 24, o il 25 Aprile si anticipa al Sabato (rispettiv. 19, 20 Nov.) con tutti i privilegi della Domenica occorrente, cioè Gioria, Credo, Prefazii della Trinità e Ite Missa est per lasciar luogo rispettivamente nei giorni 20, 21 Novembre alla Domenica ultima dopo Pentecoste. Il tempo dopo Pentecoste è simbolo del lungo pellegrinaggio della Chiesa verso il cielo; le ultime Domeniche ne descrivono profeticamente le ultime tappe. In quest’epoca si leggono nel Breviario gli scritti dei grandi e dei piccoli profeti, che annunziano quello che accadrà alla fine del mondo. Quando i Caldei ebbero condotti gli Ebrei in cattività a Babilonia, Geremia percorse le rovine di Gerusalemme, ripetendo le sue Lamentazioni « Guarda, Signore, poiché è caduta nella desolazione la città che una volta’ era piena di ricchezza, la padrona delle nazioni è assisa nella tristezza. Essa amaramente piange durante la notte e le sue lagrime scorrono sulle sue gote » (3° Responsorio, 1a Dom. Nov.; Antit. del Magnificat, 2a Dom.). E profetizzò il doppio avvento del Messia che restaurerà tutte le cose. « Il Signore ha riscattato il suo popolo e lo ha liberato; e verranno ed esulteranno sul monte Sion e si rallegreranno dei beni del Signore» (1° Responsorio, lunedì 2a settimana). Fra i prigionieri condotti a Babilonia si trovava un sacerdote detto Ezechiele. Egli aveva annunziato la cattività che stava per ricadere su Israele: « Ora la fine è su di te e manderò contro di te il mio furore; e ti giudicherò secondo la tua vita e non avrò pietà » (1a Lezione, Mercoledì, 1a settimana). E nell’esilio egli profetizzò: « Le nostre iniquità e i nostri peccati sono sopra di noi; come dunque possiamo vivere? Ma il Signore ha detto: Non voglio la morte dell’empio, ma che egli si tolga dalla cattiva strada e viva. – Distoglietevi dalle vostre male vie e non morrete » (3a lezione, Lunedì 2a settimana). Dio mostrò al profeta in una visione, il futuro su di un’alta montagna e gli indicò il culto perfetto che Egli attendeva dal suo popolo quando lo condurrebbe verso i colli eterni di Sionne (7a lezione Venerdì 2a settimana). Daniele, che era pure tra i prigionieri di Babilonia, spiegò il sogno di Nabucodonosor, dicendo che la piccola pietra che, dopo aver fatto cadere la statua d’oro, d’argento, di ferro e di argilla, diventò una grande montagna, è figura di Cristo, il regno del quale, consumerà tutti gli altri regni e sussisterà eternamente (Lunedì 3° settimana). – Le guarigioni e le risurrezioni corporali, compiute dal Signore, sono la figura della nostra liberazione e della nostra risurrezione futura: Da tutte le parti ricondurrò i prigionieri » dice Geremia nell’Introito «Tu hai fatto cessare la cattività di Giacobbe» aggiunge il Versetto dell’Introito «Signore, tu ci hai liberato da coloro che ci odiavano » continua il Graduale. « Dal fondo dell’esilio le nazioni hanno infatti gridato verso il Signore, supplicandolo di ascoltare la loro preghiera » spiegano l’Alleluia e l’Offertorio e, come in Dio vi è un’abbondante redenzione, egli riscatterà il suo popolo da tutte le sue iniquità » (stesso Salmo, vers. 7 e 8). Preghiamo dunque con fiducia, poiché se Gesù risuscitò la figlia di Giairo e guarì l’emorroissa, ciò fu fatto secondo la parola del Signore: « Tutto quello che domanderete, lo riceverete ».

Quale terrore quando il giudice verrà ad esaminare rigorosamente ognuno! dice la Sequenza dei Defunti. La tromba squillerà fra le tombe e convocherà tutti gli uomini davanti al Cristo. La morte e la natura resteranno interdette quando la creatura risorgerà per rispondere al giudizio divino. Allorché l’eterno Giudice siederà sul suo seggio, tutto quello che è nascosto sarà palesato e nulla resterà impunito. Giusto Giudice, nella tua clemenza accordami grazia e perdono prima del giorno del rendiconto». Nelle ultime parole dell’Epistola odierna, l’Apostolo allude al libro di vita ove sono scritti i nomi dei Cristiani che la loro condotta esemplare rende degni della vita eterna.

Gesù resuscita la figlia di Giairo con la stessa facilità con la quale noi svegliamo una persona che dorme. Così la sua divin virtù resusciterà i nostri corpi l’ultimo giorno.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Jer XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio

Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.

[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III: 17-21; IV: 1-3

Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

(“Fratelli: Siate miei imitatori, e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi. Poiché ci sono molti dei quali spesse volte vi ho parlato; e adesso vene parlo con lacrime, i quali si diportano da nemici della croce di Cristo: la loro fine è la perdizione; il loro Dio è il ventre: si vantano in ciò che forma la loro confusione, e non han gusto che per le cose terrene. Noi, invece, siamo cittadini del cielo, da dove pure aspettiamo, come Salvatore, il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso; per quella potenza che ha di poter anche assoggettare a sé ogni cosa. Pertanto, miei fratelli carissimi e desideratissimi, mio gaudio e mia corona, continuate a star così fermi nel Signore, o amatissimi. Prego Evodia ed esorto Sintiche ad avere gli stessi sentimenti nel Signore. E prego anche te, fedel compagno, di venir loro in aiuto: esse hanno combattuto con me per il Vangelo, insieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita”.).

OMELIA I

LA MORTIFICAZIONE CRISTIANA

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

S. Paolo, prima di chiudere la lettera ai Pilippesi, li esorta a conseguire la perfezione cristiana. Per raggiungere questo ideale, cerchino di imitare lui e quelli che vivono seguendo il suo esempio; e non badino a quei Cristiani che tengono una condotta affatto contraria alla mortificazione, che ci è predicata dalla croce di Gesù Cristo. Non si dimentichino, che la fine di costoro è la morte eterna. Noi dobbiamo tenere tutt’altro contegno. Centro dei nostri pensieri e dei nostri affetti è il cielo: là dev’essere la nostra vita. Di là aspettiamo Gesù Cristo, che verrà a renderci perfettamente beati, trasformando il nostro vile corpo sul modello del suo corpo glorioso. – Stiamo, dunque, uniti fortemente a Dio. Raccomanda poi la concordia tra Evodia e Sintiche, e prega un suo collaboratore d’aiutarle a questo scopo. – La mortificazione, che ci è predicata dalla croce di Cristo:

1°) è propria dei Cristiani che voglion praticar la virtù,

2°) Non esser nemici della croce,

3°) Non scambiare l’esilio con la patria.

1.

Fratelli: Siate miei imitatori e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi.

Questo invito di S. Paolo era molto importante per i Filippesi, perché non mancavano esempi di cattivi Cristiani, i quali facevano loro Dio il ventre, e si vantavano in ciò che formava la loro confusione, col condurre una vita sontuosa e lussuriosa. L’avvertimento vale anche per tutti noi. Ci sono tanti Cristiani, che al solo pensiero di condurre una vita mortificata, come era quella di S. Paolo e dei suoi seguaci, si spaventano. Non è più comoda la vita di coloro, che mangiano e bevono lautamente, e si godono tutti i piaceri? Sarà una vita più comoda; ma poco cristiana. Niente è più discorde dalla vita cristiana che consumare il tempo nei banchetti, o nel dolce far nulla, e godersi i piaceri. – Gesù Cristo da coloro che vogliono essere suoi seguaci chiede qualche cosa di diverso. A chi vuol portare il suo nome, ed essere suo discepolo chiede la mortificazione. E S. Paolo ci dice molto chiaramente di che mortificazione si tratta : « Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne coi vizi e con le concupiscenze » (Gal. V, 24). Non è questa la mortificazione che, in alcune circostanze e per certi motivi, ammette anche il mondo: mortificare gli eccessi della gola quando potrebbero essere nocivi: ma finché non sono nocivi, passino: mortificare la sensualità quando ne va di mezzo la salute; reprimere l’ira e soffocare i sentimenti di vendetta, quando ci possono portare ad azioni che incorrono nel codice, ecc. La mortifìcazione cristiana è assai più estesa e parte da motivi ben più nobili. Il Cristiano deve percorre la via delle virtù: la mortificazione gli serve per togliere gli ostacoli, che cercano di impedirgli questo cammino, come insegna Gesù Cristo: «Se il tuo occhio destro ti scandalizza, devi cavartelo e gettarlo lontano da te; è molto meglio che perisca un solo tuo membro, piuttosto che venga buttato nella Gehenna l’intero tuo corpo. E se la tua mano destra ti scandalizza, tagliala e gettala via; è meglio per te perdere un solo membro che esser buttato nella Gehenna con tutto il tuo corpo» (Matt. V, 29-30). – Base delle virtù è l’umiltà. Ma la pratica dell’umiltà non è altro che la mortificazione dell’amor proprio, della suscettibilità, della boria ecc. Chi vuol esser generoso verso i poveri deve mortificare la brama delle ricchezze. Chi vuol essere casto deve mortificare i propri occhi, le proprie orecchie, la propria carne. Non si può esser pazienti, senza reprimere i moti d’ira, di sdegno, di ribellione, che ci assalgono per un’ingiuria ricevuta, una contrarietà, una disgrazia. Non si può perdonare ai nemici senza combattere lo spirito di risentimento e di vendetta. Non si può lavorar seriamente al servizio di Dio, senza vincere l’accidia. Le passioni cercano di aver il dominio sulla volontà; il seguace di Gesù Cristo mortifica le passioni per poter sottometterle alla volontà. Chi non sa domare un focoso puledro sarà da lui sbattuto a terra, calpestato, trascinato. Trattandosi delle pretese della nostra corrotta natura, o calpestarle o lasciarsi da esse calpestare. Non potremo mai essere virtuosi senza calpestare i vizi opposti alle virtù. Perciò è assolutamente necessaria al Cristiano la mortificazione, con la quale « s’indice la guerra ai vizi, s’aumenta il progresso d’ogni virtù » (S. Leone M. Serm. 40, 2).

2.

Di quei cattivi Cristiani che conducevano una vita larga, la quale era di scandalo agli altri, dice S. Paolo che si diportano da nemici della croce di Cristo: « poiché se amassero la croce, procurerebbero di condurre una vita crocifissa » (S. Giov. Crisost. In Epist. ad Philipp. Hom, 13, 1). – Gesù Cristo per espiare i nostri peccati mortifica la propria volontà. « Padre mio, — dice incominciando la passione — se è possibile, passi da me questo calice! Tuttavia, non come voglio Io, ma come vuoi Tu» (Matth. XXVI, 39). Fa il sacrificio del suo onore. Tutto sopporta: contraddizioni, ingiurie, calunnie. Il suo corpo è assoggettato alle veglie, ai digiuni, alle fatiche continue dell’apostolato, alle privazioni. Egli può dire: « Le volpi hanno delle tane, e gli uccelli dell’aria hanno dei nidi, ma il Figliuolo dell’uomo non ha dove posare il capo » (Matth. VIII, 20). Alla fine è percosso, ferito, trafitto sopra una croce, Da quel momento la croce è il simbolo dell’espiazione, delle privazioni, del sacrificio, delle rinunce. Ora, chi non sa imporsi un limite nel mangiare e nel bere; chi non sa moderare la sua gola, chi non sa allontanare i suoi sensi da ciò che potrebbe essere materia di peccato, è necessariamente nemico della croce. Chi non sa reggere i moti dell’animo, dominandolo nei turbamenti, negli impeti dell’ira, nella brama di sovrastare agli altri, nella tristezza pel bene altrui, nella contentezza per l’altrui male, è necessariamente nemico della croce. Chi non sa sottoporre la propria volontà alla volontà di Dio, è nemico della croce. – I santi compresero molto bene l’importanza di questa crocifissione corporale e spirituale. Chi fugge dalla croce, fugge la via della salute. Ed essi che ci tenevano tanto alla eterna salute propria e a quella del prossimo, si stimavano felici di poter imitare Gesù Cristo nelle opere di mortificazione interna ed esterna; di poter, per mezzo della mortificazione, raffinarsi nella virtù, espiare le proprie colpe e quelle di tanti infelici, che si dimenticano di essere seguaci di Gesù Cristo. – La vita dei gaudenti anziché far loro invidia, era motivo di grande pena. L’apostolo, parlando di costoro, dice: ve ne parlo con lacrime. La croce di Cristo è loro offerta come mezzo di salvezza, ed essi la rigettano. Che diremmo di uno che, caduto in un burrone, rifiuta di attaccarsi alla corda che gli viene calata; che, travolto dalle onde, respinge la mano che tenta di afferrarlo; investito dalle fiamme, si divincola dalle braccia che l’hanno raccolto per portarlo in salvo? La carne con le sue concupiscenze, il nostro interno con tutte le sue debolezze ci investono, ci travolgono, ci portano alla morte spirituale: la croce delle mortificazioni può liberarcene, e noi la respingiamo. «Si accettano volentieri croci d’oro e d’argento; ma le altre ordinariamente si disprezzano», diceva Santa Maria Maddalena Postel (Mons. Arsenio Maria Legoux. Vita di S. Maria Maddalena Postel. Tradotta dal francese. Roma 1925).  La croce della mortificazione è una delle più disprezzate. Le anime buone hanno ben ragione di piangere, come S. Paolo, sullo stato di coloro che pospongono la croce ai godimenti.

3.

Noi siamo cittadini del cielo. Quaggiù non siamo in casa nostra, siamo esiliati in una valle di lacrime. Il godimento pieno che renderà pago il nostro cuore e felice tutto il nostro essere l’avremo in cielo. Non dobbiam dimenticarci che quaggiù non è il luogo dei godimenti, ma il luogo in cui si meritano i godimenti. Chi si dimentica di questo, non pensa a contrastare e a combattere le tendenze della corrotta natura, e alla fine si accorgerà di aver operato da stolto. Quelli che odiano la mortificazione in questa vita, non faranno mai passaggio dall’esilio alla patria celeste: la loro fine è la perdizione. «Ogni cosa ha il suo tempo stabilito» (Eccles. III, 1). Per i Cristiani il tempo dell’esilio terreno è il tempo stabilito per la propria santificazione, che non si acquista senza una mortificazione continua. Quindi, come osserva S. Agostino, « la nostra occupazione in questa vita è questa: dar morte con lo spirito alle azioni della carne, che dobbiamo affliggere, indebolire, frenare, mortificare» (Serm. 156, 2). Vi è «tempo di guerra e tempo di pace» (Eccles. III, 8). Il tempo del nostro esilio terreno è tempo di guerra continua contro la concupiscenza. Guerra che S. Bernardo chiama « una specie di martirio… più mite di quello in cui vengono tagliate le membra, quanto all’orrore; ma più molesto quanto alla durata » (In Cant. Serm. 30, 11). È una durata che ha termine; è una durata brevissima, se la paragoniamo alla durata della vita celeste; ma la nostra condizione, fin che la vita dura rimane la medesima: una lotta molesta contro le nostre cattive inclinazioni. – Mortificare il proprio corpo, non vuol dire renderlo infelice; tutt’altro. Vuol dire impedirgli la sorte destinata ai corpi dei gaudenti, i quali «fioriscono nel secolo, disseccano nel giudizio, e, dissecati, sono gettati nel fuoco eterno» (S. Agostino. En. in Ps. LIII, 3.). S. Paolo, dopo tanto lavoro per la gloria di Dio e la salvezza delle anime dichiara: «Affliggo il mio corpo e lo riduco in servitù, perché non avvenga che dopo aver predicato agli altri, io stesso sia reprobo» (I Cor. IX, 27). – Mortificare il proprio corpo vuol dire prepararlo a essere circonfuso di splendore e di gloria quando verrà il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso. Questo però avverrà quando l’esilio terreno sarà finito per noi e per tutti i viventi. Finché siamo quaggiù, nostra cura dev’essere questa, di crocifiggere la carne con le sue concupiscenze. Quando gli Ebrei, nell’Egitto, crebbero di numero e di forza, Faraone ne ebbe paura. «Ecco — dice ai suoi — che il popolo dei figli d’Israele è numeroso e più forte di noi. Venite, opprimiamolo con saggezza, affinché non si moltiplichi più». E quando Mosè e Aronne, in nome del Signore, gli chiesero che lasciasse libero il popolo ebreo, risponde: «E quanto si moltiplicherà se date loro qualche sollievo dai lavori?» E dispone di non lasciare, agli Ebrei neppur un momento di respiro (Es. I, 9-10, V, 5 e segg.). È quello che dobbiamo far noi in questa vita: mortificare con saggezza le azioni della carne, perché non prendano il sopravvento; mortificarle sempre appena si manifestano, non lasciando loro un momento di respiro.

 Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]


In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX: XVIII, 18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

“In quel tempo, mentre Gesù parlava alle turbe, ecco che uno de’ principali se gli accostò, e lo adorava, dicendo: Signore, or ora la mia figliuola è morta; ma vieni, imponi la tua mano sopra di essa, e vivrà. E Gesù alzatosi, gli andò dietro co’ suoi discepoli. Quand’ecco una donna, la quale da dodici anni pativa una perdita di sangue, se gli accostò per di dietro, e toccò il lembo della sua veste. Imperocché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste, sarò guarita. Ma Gesù rivoltosi e miratala, le disse: Sta di buon animo, o figlia; la tua fede ti ha salvata. E da quel punto la donna fu liberata. Ed essendo Gesù arrivato alla casa di quel principale, e avendo veduto i trombetti e una turba di gente, che faceva molto strepito, diceva: Ritiratevi; perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Ed essi si burlavano di lui. Quando poi fu messa fuori la gente, egli entrò, e la prese per una mano. E la fanciulla si alzò. E se ne di volgo la fama per tutto quel paese”

OMELIA II

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra l’impurità.

Mulier quæ sanguinis fluxum patiebatar duodecim annis, accessit retro, et tetigit fimbriam vestimenti eius.

Degno era veramente di compassione lo stato di questa donna, fratelli miei, poiché già da anni dodici era essa da pericolosa malattia afflitta. Ma quanto fu grande ed efficace la sua confidenza per ottenere ciò che domandava! Persuasa del potere di quest’uomo-Dio sopra le malattie del corpo, non credette ella che fosse necessario d’indirizzare a Lui, come agli altri, la sua preghiera; o che Egli imponesse le mani su di essa , come quel capo della Sinagoga (di cui si parla nello stesso Vangelo) lo pregava di fare sulla sua figliuola che poco prima era morta. Purché ella possa attraversare la folla da cui Gesù Cristo è attorniato e toccar solamente il lembo delle sue vestimenta, ella crede che sarà guarita. Quindi prova ella quel che possa presso di un Dio sommamente benefico una viva ed umile confidenza. Essa riceve la guarigione della sua malattia e merita per la sua fede gli elogi di Gesù Cristo medesimo. Donna, abbi confidenza; la tua fede ti ha risanata: Confide, fides tua le salvam fecit. – La malattia di questa donna, che la caricava di confusione a cagion dell’impurità legale che portava seco, ce ne rappresenta, fratelli miei, una molto più ignominiosa che infetta un gran numero d’anime nel seno di una religione che non soffre impurità alcuna. Voi comprendete senza dubbio questo soggetto che io non oso quasi spiegarvi; poiché egli è un peccato che il grande Apostolo ci proibisce di nominare; eh! piacesse a Dio che non fossi obbligato di parlarne, poiché non si può farlo senza tema di offendere le orecchie caste, ed imbrattare l’immaginazione col racconto di cose, cui non si dovrebbe giammai pensare. Io serberei volentieri il silenzio sopra una materia sì critica, se il mio ministero non mi obbligasse a destarvi orrore di un mostro che fa tante stragi, di un male i cui progressi sono sì estesi e che precipita un sì gran numero d’anime nell’inferno. – Facciamo dunque tutti i nostri sforzi per rimediare ad una malattia così contagiosa com’è il vizio dell’impurità. Per riuscirvi, bisogna farvene conoscere la cagione e temere gli effetti: da un canto voi vedrete quanto è facile il cadervi; e dall’altro quanto è funesto l’esservi involto. Quali sono le cagioni del peccato d’impurità; primo punto. Quali ne sono gli effetti; secondo punto. Egli è facile commetterlo; bisogna dunque usare molta precauzione per non cadervi: egli è un gran male averlo commesso; bisogna usare dei rimedi necessari per guarirsene. Questo è il frutto che mi propongo di farvi raccogliere da questa istruzione. Domandiamo a Dio che purifichi le nostre labbra, come fece altre volte quelle di un profeta, affinché nulla ci sfugga che offender possa il pudore e la santità del nostro ministero.

I. Punto. L’impurità è un peccato sì detestabile e sì indegno d’un Cristiano che non possiamo non istupirci al vedere uomini che lo trattano di bagattella, di debolezza degna di perdono, e che sotto questo falso pretesto si abbandonano ciecamente a questa infame passione. Se fossero pagani, idolatri che tenessero un simil linguaggio, ciò recherebbe meno sorpresa; ma che uomini i quali fanno professione d’una religione così pura e così santa riguardino il peccato d’impurità come una cosa indifferente, un passatempo o al più al più una fragilità scusabile, si è ciò che non si può comprendere. Come dunque? Non sanno essi forse o non debbono sapere che lo stesso Dio, lo stesso legislatore che loro proibisce la bestemmia, l’omicidio, l’ingiustizia, proibisce loro altresì l’impurità? Quelli sono peccati perché azioni vietate dalla legge di Dio. Dio non ha forse ancora espressamente vietato all’uomo di commettere qualunque impurità con questo precetto del decalogo. Non mæchabris, voi non farete alcun’azione contraria alla purità! E certamente, se la lussuria non fosse un peccato grave di sua natura, l’Apostolo s. Paolo escluderebbe forse dal regno del cielo i fornicatori, gl’impudici, come gli ubbriaconi, gli avari e altri peccatori di questa specie? Sappiate dunque, fratelli miei, diceva quel grande Apostolo; che ogni fornicatore, ogni impudico non avrà parte alcuna nel regno di Dio: Omnis fornicator aut immundus non habet hæreditatem in regno Dei (Eph. V). Ma siccome io parlo a Cristiani istrutti e persuasi della loro Religione, non mi fermo di più a provar loro che l’impurità è una trasgressione della legge del Signore; per preservarli dalla sua contagione, io mi rivolgo solamente a scoprir loro le velenose sorgenti da cui questo vizio prende la sua origine e come s’introduce nell’anima. Tre principali ne osservo, cioè il difetto di vigilanza sopra se stesso e sopra i suoi sentimenti, la facilità di esporsi all’occasione e l’ozio. – Dico primieramente il difetto di vigilanza sopra se stesso; formati naturalmente sensibili, portati per conseguenza verso gli oggetti che commuovono ed allettano, i nostri sensi sono come i canali per dove essi s’insinuano e fanno impressione sulla nostr’anima. Sono, secondo l’espressione dello Spirito Santo, le finestre per le quali la morte entra nelle nostre case: chiunque per conseguenza non veglia continuamente sopra i suoi sensi, chiunque dà loro una piena libertà di trattenersi indifferentemente in ciò che può soddisfarli, deve aspettarsi di risentire i colpi mortali dei piaceri che gli sono vietati, e di vedere il forte armato comandargli da padrone ed assoggettarlo alla più vergognosa schiavitù. Ed in vero, fratelli miei, donde è venuta la caduta dei grandi personaggi di cui le sacre storie ci fanno la triste descrizione se non da difetto di vigilanza sopra se stessi, da una troppa grande libertà che diedero ai loro sensi? Dina figliuola di Giacobbe ebbe la curiosità di vedere le donne di Sichem, ma quanto pagò caro un sì imprudente passo! Ella fu rapita per forza e divenne la triste vittima della passione d’uno straniero. Qual fu la cagione della caduta di Davide, quell’uomo secondo il cuore di Dio, quel re sì perfetto? uno sguardo che gettò sopra Betsabea moglie di Uria; invece di volger altrove i suoi occhi da quell’oggetto, egli s’invaghì della bellezza di lei, e cedendo all’impeto di sua passione, si rendette adultero e omicida. Ma senza cercare esempi stranieri, quanti non ne fornisce la quotidiana esperienza forse in un gran numero di coloro che mi ascoltano? L’infame peccato d’impurità fa alla bella prima orrore da se stesso ad un’anima pura ed innocente: essa lo riguarda come un mostro, come uno scoglio fatale alla salute: niuno s’immerge ad un tratto in disordini che la Religione e la ragione egualmente condannano: sinché uno sta in guardia e veglia sopra i suoi sensi, è invincibile agli assalti del nemico. Ma l’avidità di vedere senza precauzione tutto ciò che si presenta, di ascoltare tutto ciò che si dice, addomestica insensibilmente l’anima con quel demonio famigliare, che, per avere un libero accesso presso di essa, la tenta con le attrattive degli oggetti che le presenta: uno sguardo di compiacenza, una canzone udita con piacere, una parola poco onesta profferita lasciano nell’anima impressioni di cui ella ha molta pena a disfarsi; si occupa di un’idea che l’ha rapita, e sebbene il corpo non sia ancora imbrattato, l’anima ha di già ricevuto il colpo della morte dal consenso che ha dato ad un malvagio pensiero, dal reo desiderio che ha concepito; e bentosto dai pensieri e dai desideri si viene alle azioni e si cade nei più grandi misfatti. – Tali sono i funesti effetti che produce l’impurità, allorché si permette ai sensi di andar vagando sopra oggetti d’ogni sorta; in tal guisa il veleno fatale della libidine s’insinua in un’anima e ne indebolisce affatto le forze. Ne abbiamo una trista, ma molto sensibile immagine in ciò che avvenne al tempo di Gerosolima allorché i Romani la stringevano d’assedio; un tizzone acceso che un soldato nemico gettò contro quel tempio, vi cagionò un sì grande incendio che fu impossibile estinguerlo: quel ricco e superbo edificio, l’opera di tutti i re, il più bel monumento che si fosse innalzato alla gloria di Dio, fu consumato e ridotto in cenere. Così una scintilla di fuoco impuro che s’impadronisce delle facoltà dell’uomo, vi cagiona il più strano disordine che immaginare si possa: Ecce quantus ignis quam magnam sylvam incendit (Jac. III). Quell’anima, che era il tempio di Dio, ornata della grazia e dei doni dello Spirito Santo, perde tutta la sua bellezza e diventa la schiava del demonio. Che sciagura! Confessatelo, fratelli miei, con altrettanto dolore che confusione, non riconoscete voi qui la cagione delle vostre cadute? Se voi entrate in una esatta discussione del malvagio uso che avete fatto dei vostri sensi, quali rimproveri non avrete a farvi su questo soggetto? Quanti riguardi fermati sopra oggetti che non eravi in alcun modo permesso di desiderare? Il che ha bastato per rendervi colpevole avanti a Dio, poiché questi sguardi sono stati volontari: mentre chiunque, dice Gesù Cristo, getta gli occhi sopra una donna con malvagi desideri, ha di già commesso l’adulterio nel suo cuore. I vostri occhi non hanno forse anche servito, per così dire, di messaggeri al vostro cuore impuro per manifestare i vostri sentimenti all’idolo di vostra passione? Non è forse ancora per la lettura di qualche malvagio libro che il veleno è entrato nella vostr’anima? Mentre se i libri in cui regna lo spirito d’irreligione indeboliscono la fede in coloro che li leggono, si può dire che niente è di maggior pregiudizio all’innocenza dei costumi che quei libercoli infami, in cui la licenza e lo sregolamento si mostrano alla scoperta. Quante canzoni disoneste, quante parole equivoche non si odono mai tutt’i giorni nelle profane compagnie? Quei discorsi osceni, quei racconti tanto più pericolosi quanto che il veleno vi è più sensibilmente e destramente insinuato, formano oggidì il diletto delle conversazioni: coloro che li fanno sono i meglio accolti nelle compagnie; ognuno si compiace nell’ascoltarli e ben presto impara a parlare come essi, perché ognuno crede poter fare come gli altri. Ah quanto sarebbe a desiderare per una parte de’ miei uditori che non avessero giammai intesi certi discorsi, che lor hanno insegnato ciò che avrebbero dovuto sempre ignorare! I loro costumi sarebbero più puri, la loro condotta più regolata, la loro vita più felice. Il gusto che produce pur troppo sovente l’intemperanza e l’ubbriachezza, serve anche d’incentivo all’impurità. Effettivamente una carne nutrita con delicatezza diventa ribella allo spirito e lo strascina seco nel peccato; l’uso smoderato dei liquori potenti non può accrescere il calor naturale senza recar pregiudizio all’anima; la ragione ne è perturbata, ed in questo stato, incapace di mettere un freno alle passioni, è forse da stupire che ne seguiti i traviamenti? Ed è forse per questa ragione che il grande Apostolo, indirizzando la parola ai primi Cristiani, proibiva loro espressamente gli eccessi: Nolite inebriari vino, in quo est luxuria (Eph.5). Nulla vi dirò io qui, fratelli miei, di quei peccati che si commettono col senso del tatto, che sono le azioni peccaminose vietate dal sesto comandamento: la santità del luogo di cui siamo non mi permette di entrare in una narrazione che offenderebbe le orecchie caste. Ma sotto il nome di queste azioni peccaminose io debbo dirvi che bisogna comprendere certe libertà reciproche le quali non hanno per principio che un amor profano e per fine che un oggetto carnale. Libertà che si trattano da scherzi, da giuochi, da passatempo, da segni d’amicizia, ma che sono veri peccati mortali, i quali divengono più gravi secondo la qualità delle persone, le circostanze del luogo e le conseguenze che seco portano; circostanze di cui dovete accusarvi nel tribunale della penitenza, voi principalmente che siete impegnati nel matrimonio, mentre questo stato è per molti un’occasione di peccato e di perdizione, allorché non sanno contenersi nei limiti della castità coniugale. – La seconda cagione dell’impurità sono le occasioni a cui ci esponiamo. Se l’occasione del peccato è un allettamento per commetterlo, ciò accade particolarmente nel genere di peccato di cui parliamo. Infatti, se questo peccato s’insinua per mezzo dei sensi nel tempo eziandio che gli oggetti sono lontani, che sarà poi quando le circostanze contribuiscano a ravvicinarli? Quindi l’occasione è sempre stata lo scoglio più fatale alla castità. Chi avrebbe Creduto che Salomone, il più savio degli uomini, quel re sì pieno dello Spirito di Dio, che aveva fatte grandi cose per la sua gloria, si fosse dimenticato di se stesso sino ad immergersi nei disordini di questo peccato vergognoso, ed in appresso nelle tenebre dell’idolatria? Or quale ne fu la cagione? Il commercio che ebbe con donne idolatre, che depravarono il suo cuore e gli fecero incensare i loro idoli, dopo essersi rendute esse medesime le vittime della sua passione. Donde vengono tante dissolutezze nella gioventù, tante infedeltà nel matrimonio, se non dai commerci illeciti che si sono mantenuti con persone che non si dovevan mirare o tenere in casa, dalle case sospette che si sono frequentate, dalle visite che si sono rendute o ricevute, dai regali che si sono fatti o accettati, dalle lettere che si sono scritte; mentre tutto questo è compreso sotto il nome di occasioni di peccato, perché tutte queste cose portano al peccato e sono, come dice s. Girolamo, gl’indizi d’una castità moribonda: Morituræ castitatis indicia. Io chiamo ancora occasioni del peccato impuro quelle unioni, quelle veglie, che si fanno in certe case le quali servono di ritiro al libertinaggio, ove Dio è più offeso in una sola notte che non è glorificato da tutte le anime sante che sono sopra la terra, ove la purità è macchiata da mille discorsi indecenti che vi si tengono, dagli oggetti che vi si veggono, e dove i pericoli ed i lacci sono tanto più fatali alla virtù, quanto che le tenebre e la segretezza danno maggior baldanza per commettere il male. – Chiamo occasioni di peccato quei divertimenti, quegli spettacoli in cui le passioni sono rappresentate coi loro più valevoli ad ammollire il cuore; quei balli, quelle danze ove la castità fa ordinariamente naufragio per gli sguardi lascivi che si gettano sopra oggetti pericolosi, o per lo meno per li malvagi desideri, per li pensieri disonesti che vi si formano, e che si fan nascere nel cuore degli altri. Non è forse qui dove le persone di diverso sesso cercano di piacere, di amare e di farsi amare? Non è forse qui dove le passioni, eccitate dai ragionamenti, dalle danze, dal suono degli strumenti, si sfogano senza ritegno e s’immergono negli ultimi eccessi? Oso affermare che è moralmente impossibile alla persona più virtuosa di uscire da quelle combriccole cosi innocente come vi è entrata, e non voglio alcun’altra prova di quel che dico fuor la testimonianza che rendere ne possono quegli e quelle che vi si sono ritrovati. Che diremo noi degli abiti immodesti, degli abbellimenti studiati, di cui le persone del minor sesso si adornano per darsi in spettacolo al mondo, per piacere a coloro che le veggono? Esse sono doppiamente colpevoli, e nell’intenzione che hanno, e nel fine che pur troppo ottengono. – Finalmente io chiamo occasion di peccato quelle conferenze ancora che sembrano innocenti tra persone che hanno di mira il matrimonio; conferenze peccaminose, ove, sotto pretesto di conoscersi, di farsi amare, si oltrepassano i limiti dell’onestà e della modestia: possono vedersi, ma si deve farlo onestamente, raramente ed alla presenza di un padre, di una madre, che debbono vegliare sulla lor condotta. Quando essi fuggono la loro compagnia, quando si cercano le tenebre, quando si veggono tra essi ad ore indebite, non si separano d’ordinario senza peccato. Ma oimè! questa morale non piace a molti, e sovente i padri e le madri favoreggiano pur troppo il libertinaggio dei loro figliuoli; sotto pretesto di far loro trovare un collocamento, danno ad essi la libertà di andare ove loro piace, la notte come il giorno, di frequentare chi loro torna a grado. Conviene poi stupirsi se vi sono tanti disordini nella gioventù, se il libertinaggio e l’impurità fanno tanto progresso nel mondo, poiché si trovano tante occasioni che inducono a questo peccato, cui l’uomo è già così propenso di sua natura, e mentre al difetto di vigilanza sopra se stesso si aggiunge la temeraria facilità di esporsi alle occasioni di commetterlo? – L’ozio gli dà ancora un nuovo impulso. Infatti, se l’ozio, al dire della Scrittura, è l’origine dei vizi, lo è parimente dell’impurità. Simile a quelle acque le quali non avendo alcun corso si corrompono e spargono lontano la contagione di cui sono infette, l’anima che marcisce nell’ozio, esposta in questo stato allo avvelenato soffio dello spirito impuro, vede oscurare tutta la sua bellezza, e perisce finalmente bevendo un veleno che la lusinga: simile ancora ad una piazza senza difesa, che rimane presa al primo assalto che le si dà, il cuore snervato dall’ozio lascia allo spirito tentatore un adito facile; e poco prevenuto contro le astuzie del nemico, diventa ben tosto schiavo. Ne chiamo in testimonio l’esperienza di quelle persone disoccupate, la cui vita si passa in non far nulla; a quanti malvagi pensieri non è la mente loro soggetta? Quanti movimenti sregolati non si sollevano nel loro cuore? Egli è una casa vuota ove il demonio d’impurità trova ben presto da alloggiare. In qual tempo, fratelli miei, siete voi più sovente tentati dallo spirito maligno? In qual tempo avete voi più sovente ceduto alle sue tentazioni? Confessate essere stato in quei giorni in cui, non essendo occupati né dal lavoro né da opere di pietà, vi siete renduti per la vostra inazione accessibili a tutti i colpi del vostro nemico. Confessiamo dunque, fratelli miei, che, sebbene violenta sia l’inclinazione dell’uomo per i piaceri carnali, sebbene potente sia il demonio per trascinarlo al male, l’uomo non sarebbe giammai vinto, se si tenesse in guardia, se vegliasse sopra i suoi sentimenti, se fuggisse l’occasione e l’ozio, che sono le sorgenti fatali dell’impurità. Ma il difetto di vigilanza e di occupazione, la temerità nella condotta, ecco le cagioni ordinarie di questo vizio abbominevole; questo è ciò che lo rende sì comune nel mondo che non àvvene alcuno, dice s. Gregorio, che perda più gli uomini. Questo peccato è una delle cause del piccolo numero degli eletti; perché è certo, secondo l’Apostolo, che niuno di coloro che vi sono soggetti entrerà mai nel regno dei cieli: or un’infinità di persone si lascia signoreggiare da questa passione; i giovani ed i vecchi, i ricchi ed i poveri, coloro che sono liberi e coloro che sono legati in matrimonio; questo peccato è ancora tanto più pernicioso alla salute, quanto che non soffre parvità di materia, come molti altri; tutto vi è mortale, da che vi si dà un intero consenso; benché non fosse che ad un solo pensiero contrario alla purità, non si richiede di più per esser dannato; a più forte ragione bisogna dir ciò dei desideri, delle parole, delle azioni: qual precauzione non si deve dunque prendere per preservarsene? Per indurvi a prendere queste precauzioni, vediamo i tristi effetti di questo peccato.

II. Punto. Per darvi, fratelli miei, qualche idea dei funesti effetti che trascina seco il peccato di cui ragioniamo, io potrei alla bella prima rappresentarvi i terribili castighi con cui Dio l’ha punito anche in questa vita. Sin dal principio del mondo tutta la terra non fu inondata da un diluvio universale se non per estinguere i fuochi impuri, che la concupiscenza aveva accesi nel cuore degli uomini. Cinque grandi città furono ridotte in cenere dal fuoco del cielo, perché esse erano tutte imbrattate dalle infami libidini dei loro abitanti. Più lungi voi vedete ventiquattromila Istraeliti trucidati d’ordine di Dio per essersi abbandonati ai disordini di questa infame passione; io passo sotto silenzio molti altri esempi, di cui fanno menzione i libri santi. Aggiungerei soltanto in confermazione della verità che questo peccato vergognoso è diametralmente opposto agli interessi più essenziali dell’uomo. Non si richiede molto tempo per provare ciò, una fatale esperienza ce lo fa pur troppo vedere; l’obbrobrio, la confusione, l’infamia sono la porzione dei voluttuosi; benché distinti siano essi d’altra parte nel mondo, tosto che sono notati con questa macchia, divengono l’oggetto del dispregio non solo delle persone dabbene, ma dei libertini ancora, i quali sebbene soggetti a questo vizio, non lasciano però di biasimarlo negli altri. La riputazione meglio stabilita non può sostenersi contro un’accusa formata in questo articolo. – Che dirò della perdita dei beni, dalla sanità, della vita medesima, che questo peccato strascina seco? Mentre di che non è capace un uomo soggetto a questa passione? Fa d’uopo consumarsi in folli spese per contentarla ed avere accesso presso dell’idolo cui ha prodigalizzato le sue adorazioni a spese della coscienza, a spese della fedeltà che deve ad una consorte? Egli risparmia su tutto il restante per sacrificar tutto alla sua inclinazione; la famiglia mancherà di tutto e sarà anche sovente la trista vittima dei furori di lui. Fa d’uopo esporre la santità a veglie che lo indeboliscono, a malattie vergognose che accorciano i suoi giorni, la sua vita a pericoli che la minacciano, ed a mille altri mali che passo sotto silenzio. Nulla v’è che non soffra e cui non si esponga per soddisfare una passione ostinata, che lo abbrucia, che lo fa miseramente ed inutilmente languire; sovente egli e frustato nella sua aspettazione, non ha per ricompensa delle sue ricerche che delle infedeltà che lo sconcertano; teme sempre di essere soppiantato da un rivale: se arriva a soddisfare la sua passione, quel preteso piacere non è seguito che da pungenti affanni, da amarezze, da rimorsi di coscienza, da tormenti. Vi dirò di più che questa passione produce le disunioni, i divorzi che sono lo scandalo della religione, le gelosie, gli odi, i duelli, gli omicidi e nulla vi dico, di cui non siensi veduti e non si veggano ancora dei tristi esempi nella città e nelle campagne, nelle provincie e nei regni: ella porta dappertutto la discordia, il disordine e la desolazione. Ma io mi fermo a farvi conoscere i mali infiniti che essa particolarmente cagiona nell’anima di colui che ne è signoreggiato; questi mali sono l’accecamento dello spirito, la durezza del cuore, che lo conducono all’impenitenza finale e alla riprovazione eterna. È proprio del peccato di accecare colui che lo commette, perché esso estingue i lumi della ragione e della fede: infatti in un uomo ragionevole lo spirito deve dominare sulla carne; ma nel voluttuoso si è la carne che domina sullo spirito, che gli comanda, che lo assoggetta al suo impero. Questo spirito, involto nella materia, non vede più quel che fa; egli perde, per cosi dire, l’attività, che è suo attributo essenziale, perché è divenuto affatto terrestre ed animale; noi ci rendiamo ordinariamente simili a quel che amiamo, dice s. Agostino. Quindi in quanti mancamenti egli non cade? A quali traviamenti non è egli esposto? Più non opera che come le bestie, anzi ancora peggio di esse, perché servesi del poco di lume che gli resta per far cose che le bestie medesime non fanno: Comparatus est iumentis insipientibus et simìlis factus est illis (Ps. XLVIII). Convien egli stupirsi se l’anima sensuale perde i lumi della fede? L’uomo animale non può concepire le cose di Dio, dice l’Apostolo: Animalis homo non percipit ea quae sunt spirìtus Dei (1 Cor.2). La legge insegna a quest’anima che essa è creata ad immagine di Dio, che è riscattata col prezzo del suo sangue, che è divenuta per mezzo del battesimo il tempio dello Spirito Santo: qual motivi capaci di ritenere il disonesto! Ma egli non fa attenzione alcuna a tutto questo; egli perde dì vista titoli onde è onorato: di figliuolo di Dio si rende vile schiavo del demonio, prostituisce le sue membra che sono incorporate con quelle di Gesù Cristo; profana vergognosamente il tempio augusto ove lo Spirito Santo ha fatta la sua dimora, per farne una cloaca di iniquità. Quale indegnità! Quale accecamento! L’impudico porta sì lungi il suo accecamento che vorrebbe far credere il suo peccato una cosa indifferente ed anche permessa; egli mette tutto in opera per persuaderlo agli altri, a fine di fare più facilmente soccombere alla sua passione le vittime che vuol sacrificare: si può egli diventare più stupido? E non bisogna forse aver perduto ogni coscienza di doveri e di religione? L’uomo schiavo di questo peccato non ha dunque più sentimento della religione che professa, perché la passione che l’acceca ricopre la sua anima di tenebre che estinguono in lui il lume della fede. Non è forse ancora di questa avvelenata sorgente che si sono veduti nascere gli errori che hanno desolata la Chiesa? Essa è che ha prodotti e produce tuttavia i deisti, gli atei, che non hanno lo spirito guasto in materia di credenza se non perché il loro cuore è dalla lussuria corrotto. Non rigettano essi la religione se non perché ella molesta ed incomoda le loro passioni?Perché mai vediamo noi al giorno d’oggi tanti libertini ragionare, disputare sulle verità del Cristianesimo, combatterle e contraddirle, trattare i nostri santi misteri, gli articoli di nostra fede da favole, da racconti fatti a piacere per intimorire gli spiriti deboli? Se noi risaliamo all’origine dei loro pretesi dubbi, delle loro indiscrete critiche, noi la troveremo in un cuor guasto, il quale vorrebbe che non vi fosse religione alcuna, alcun sacramento, alcuna parola di Dio, alcun Dio vendicatore de’ misfatti, a fine di abbandonarvisi con maggior libertà. Vediamo noi forse che coloro i quali sono schiavi della impurità siano persone ben regolate, assidue all’orazione e alla frequenza de’ sacramenti? No, senza dubbio; se danno qualche segno esteriore di religione si è per salvare le apparenze, per conservarsi una riputazione che loro è necessaria nel mondo, per avere un impiego, per arrivare ad uno stabilimento. Ma se noi li conoscessimo a fondo, vedremmo che il loro spirito è così lontano dalla verità, come il loro cuore dall’innocenza, e che il demonio impuro, da cui sono posseduti, li acceca e li perverte. Non bisogna punto stupirsi se cadono nella durezza di cuore, che è come una conseguenza necessaria dell’accecamento dello spirito. Che cosa è un peccatore ostinato? È un uomo, dice s. Bernardo, che non è tocco dalla compunzione, né intenerito dalla pietà, né attirato dalle promesse, né intimorito dalle minacce: che è insensibile alle correzioni, indocile alle ammonizioni; è un uomo cui l’orazione, la parola di Dio, i Sacramenti e tutti i mezzi di salute che la Religione fornisce, sono inutili. Tale è lo stato deplorabile di un peccatore immerso nel pantano degli osceni piaceri. Questo peccatore non è mosso né dalla bellezza delle ricompense che Dio promette alle anime caste, né dal rigore de’ castighi che riserba agli impudichi. Il fuoco dell’inferno, che sarà il supplizio particolare del voluttuoso, benché terribile gli si rappresenti, non oppone che un riparo insufficiente agl’impeti della passione che lo trasporta. Le altre verità della religione non fanno impression maggiore su di lui. Così la parola di Dio, sebbene potente sia essa stata e lo sia ancora per convertire i peccatori, nulla serve spesso ad un impudico. Egli l’ascolta senza essere colpito né convertito; egli è sordo a tutte le correzioni che gli si fanno; non vuole ascoltare né gli avvisi d’un pastore né le salutevoli ammonizioni che amici caritatevoli gli faranno per trarlo dai suoi disordini; basta solo parlargliene per incorrere la sua disgrazia; si è una piaga che non vuole si tocchi o di cui non si può intraprendere la guarigione che con circospezioni difficili a praticare. Che cosa sarà dunque capace di ricondurre l’impuro al suo dovere? L’orazione? Ma egli punto non prega, o se prega, è sempre lo stesso: perché? Perché non prega con desiderio sincero di essere esaudito; durante l’orazione egli è occupato dell’oggetto che l’ha sedotto; come Agostino peccatore, egli chiede a Dio di spezzare legami che non vuol rompere e che non si romperanno senza di lui. I sacramenti, che sono i gran mezzi di salute che Gesù Cristo ci ha lasciati, non avranno essi forse la virtù di guarirlo? Si, senza dubbio, se vi si accostasse con sante disposizioni; ma l’impudico si allontana dai sacramenti, perché non vuol raffrenare una tirannica propensione; o se egli vi si accosta, invece di trovare la vita in quelle sorgenti di grazie, vi ritrova un fatal veleno che accresce il suo male per la profanazione che ne fa, e questo per due ragioni, che vi prego di ben osservare: si è che ordinariamente l’impudico che s’accosta ai sacramenti, e massime a quello della Penitenza, o non dichiara il suo peccato o non ha un fermo proponimento di correggersi. No, fratelli miei, non evvi alcun peccato che altri sia più tentato di celare nel tribunale della Penitenza e che si celi effettivamente più spesso del peccato d’impurità, perché porta un carattere d’infamia che non si osa manifestare. Ne chiama in testimonio la vostra esperienza: voi che gemete ancora su tante confessioni sacrileghe, qual è la cagione dei vostri rammarichi, se non una trista vergogna che per l’addietro vi fece celare qualcheduno di quei peccati che sono l’obbrobrio della religione e la perdizione del colpevole? Un’altra ragione che rende le confessioni dell’impudico nulle e sacrileghe si è che, supponendo in lui coraggio bastante per dichiarare il peccato, non ha poi un fermo proponimento di correggersi. Io trovo la prova di questa verità nelle frequenti sue ricadute. Infatti non v’è peccato alcuno il cui abito sia sì difficile a correggere. Un voluttuoso non cerca forse incessantemente l’occasione di soddisfare la sua passione? Non contento di averle sacrificata una infelice vittima che egli ha guadagnata con le sue sollecitazioni, fa nuovi tentativi; e se la conquista gli sfugge, trova ben il mezzo di farne delle altre. Se non può riuscire ne’ suoi disegni, egli non è meno colpevole per i cattivi desideri cui il suo cuore s’abbandona. – Quelle persone che per avere un’assoluzione han rotto per qualche tempo i loro malvagi commerci, annoiate d’una separazione che le fa languire, palesano subito il vizio della loro risoluzione, rinnovando ben tosto la catena fatale che le rendeva schiave l’una dell’altra. Ah! quanto è mai raro, trovare peccatori di questa sorte che si convertano sinceramente, sia a cagion della malvagia inclinazione che li predomina ed a cui hanno molta pena a resistere, sia a motivo dei violenti assalti che il nemico della salute dà a coloro che gli hanno aperto l’ingresso del loro cuore. Il che Gesù Cristo ci fa conoscere nel Vangelo quando dice che lo spirito immondo non abbandona un’anima che signoreggia a modo suo, che ha disegno di ritornarvi e di regnarvi allora con un impeto più assoluto, perché tosto che vi è rientrato, lo stato del peccatore diventa peggior di prima; Fiunt novissima hominis ilius peiora prioribus, cioè la sua conversione diventa più difficile per le frequenti ricadute cui il suo abito la espone: queste ricadute lo conducono all’ostinazione, l’ostinazione all’impenitenza, e l’impenitenza alla riprovazione. Ecco fratelli miei, ciò che ha fatto sempre riguardare questo peccato come un grande ostacolo alla salute; ecco ciò che deve destarne in voi un sommo orrore, indurvi a fare tutti i vostri sforzi per non soccombervi e ad usare tutti i rimedi più efficaci per guarirne, se vi siete soggetti. Mentre a Dio non piaccia ch’io pretenda rimandare i peccatori di questo carattere senza speranza di guarigione e di salute! Ma bisogna per questo metter in pratica i mezzi che sono per proporvi terminando questo discorso.

Pratiche. Per guarir un male, bisogna andar alla sorgente; il peccato d’impurità viene ordinariamente da un difetto di violenza sopra se stesso, dalle occasioni cui uno si espone e dall’ozio. Bisogna dunque vegliare sopra i vostri sensi, fuggir le occasioni ed occuparvi. Vegliate sopra i vostri occhi per allontanarli dagli oggetti capaci di fare malvage impressioni sopra i vostri cuori: Averte oculos meos ne videant vanitatem. Se i vostri occhi sono colpiti dalle ingannatrici lusinghe di una caduca bellezza, per disgustarvene pensate allo stato orribile cui sarà essa dalla morte ridotta, quando diverrà il pascolo dei vermi: questo pensiero vi preserverà dal veleno della libidine. Non leggete giammai libri capaci di darvi la minima idea contraria alla virtù della purità; se voi ne avete qualcheduno, gettatelo al più presto nel fuoco. Non date giammai orecchio alle canzoni profane, ai discorsi lascivi; guardatevi ancora di più dal proferire nei vostri discorsi parola che offenda la modestia, siate esatti su questo punto sino allo scrupolo: fuggite sopra tutto le occasioni pericolose alla castità, mentre se voi mancate di prudenza a questo riguardo, ogni altra precauzione sarà inutile. Occupatevi altresì secondo il vostro stato; ed il demonio, confuso di vedersi forzato sino nell’ultimo trinceramento, non mancherà di abbandonare una piazza che da tutte le parti gli oppone una egual resistenza. Accostatevi sovente ai sacramenti, abbiate ricorso all’orazione, che è un mezzo eccellente per ottenere la continenza; è quello di cui servivasi il grande Apostolo per respingere lo stimolo di satanasso che lo agitava: Ter Dominum rogavi. Mortificate le vostre passioni con l’astinenza e non siate del numero di coloro di cui parla la Scrittura, che facendo del loro ventre un Dio, alimentano con la loro dissolutezza il fuoco impuro che li divora; resistete fortemente al primo pensiero del male con qualche elevazione del vostro cuore a Dio; ditegli con un sentimento di dolore di vedervi esposti a tante occasioni di dispiacergli: Allontanate dalla mia mente, o mio Dio, questo malvagio pensiero. Abbracciate in spirito la croce di Gesù Cristo, tenetevi ad essa attaccati sino che la calma succeda alla tempesta; ogni qualvolta il nemico della salute si sforzerà di farvi cadere nelle sue reti, munitevi del pensiero e della rimembranza del vostro ultimo fine. Come! vorrò io, direte voi allora, per un piacere d’un momento, bruciare durante tutta l’eternità? Se il ritratto dell’ inferno che vi formerete nella vostra immaginazione non è spaventevole abbastanza per allontanare la tentazione, provate a toccar un momento il fuoco di quaggiù e domandate a voi medesimi, come faceva un santo solitario in simili tentazioni: Come potrò io soffrire un fuoco eterno, che sarà il supplizio del mio peccato, io che non posso soffrire un momento un fuoco dipinto? No, no, non voglio comprare ad un sì gran prezzo una soddisfazione passeggera di cui non avrò che una trista rimembranza. Piuttosto morire che imbrattar l’anima mia della minima macchia. Perseverate in questa risoluzione, poiché voi sarete molto risarciti del sacrificio dei piaceri che farete sulla terra dai torrenti di delizie di cui sarete inondati nel cielo. Così sia.

Credo… 

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris.

[Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Comunione spirituale

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

(Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché a coloro ai quali concedi di godere di una divina partecipazione, non permetta di soggiacere agli umani pericoli.)

Preghiere leonine

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

Ordinario della Messa

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.