GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (4): GNOSI E PLATONISMO

GNOSI E PLATONISMO -I-

[Elaborato dal volume di E. Couvert, “la Gnose contre la Foi”, cap. I]

Quando nel dicembre 1864, il Santo Padre, Papa Pio IX, pubblicò, insieme all’Enciclica “Quanta Cura”, il “Syllabus comprendente i principali errori del nostro tempo”, il primo errore condannato, al numero 1, fu il Panteismo così definito: “1. Nessun supremo, sapientissimo e provvidentissimo Nume divino esiste distinto da questa universalità di cose, e Dio altro non è che la natura stessa delle cose e perciò soggetto a mutazioni, e diventa Dio realmente nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio, ed hanno la stessissima sostanza di Dio; ed un’identica cosa è Dio con il mondo, e per conseguenza lo spirito con la materia, la necessità con la libertà, il vero col falso, il bene col male, e il giusto con l’ingiusto.  [Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.]. « … e diventa Dio realmente nell’uomo e nel mondo … ».  Queste parole rendono un suono sorprendentemente moderno ed evocano nettamente una certa teologia modernista oggi onnipresente. Così il Panteismo – lungi dall’essere una dottrina obsoleta, ricoperta da uno spesso strato di polvere delle biblioteche – è ben vivente ai nostri giorni, così come lo era nel 1864, tanto che il Papa lo pose in prima linea assoluta tra gli errori del tempo. Il Panteismo è praticamente sempre esistito nella cristianità, in modo più o meno larvato, poiché ha sempre costituito, per un certo numero di filosofi, di apologisti ed anche di teologi, una sorta di tentazione permanente. Come spiegare che questo errore tanto grossolano, offensive per la Maestà divina e per la ragione umana, abbia una vita così dura a morire? Due sembrano essere le cause essenziali, 1°- innanzitutto l’influenza di Platone, 2°- poi quella della gnosi alleata del neoplatonismo alessandrino. Questa doppia influenza la si ritrova nel 1°) Cristianesimo antico – lo stesso Sant’Agostino avrà un bel da fare per allontanarsene, ed Origene ne sarà segnato per sempre -, 2°) nella cabala giudaica, 3°) nell’umanesimo rinascimentale, 4°) nella scuola tradizionalista post-rivoluzionaria, 5°) nel romanticismo, e purtroppo persino 5°) in certe correnti religiose contemporanee e 6°) nell’ultramodernismo apostatico attuale del satanico “novus ordo” dei marrano-massoni usurpanti.

GNOSI E PLATONISMO:

LA DOTTRINA DI PLATONE del V secolo avanti Cristo …

È difficile esporre metodicamente il pensiero di Platone sminuzzato e disperso in una moltitudine di dialoghi socratici. Tenteremo comunque di riassumere l’essenziale del suo insegnamento. 1° – Platone pone in principio due mondi antinomici, il mondo delle Idee, increato, ed il mondo della Materia. 2° – Quest’ultima è informe, indeterminata ed inintellegibile; essa non è che il ricettacolo di tutte le forme possibili capaci di riceverle, ma non di darsi loro. Essa è detta comunque eterna, ingenerabile, increata; essa porta in se stessa dunque un carattere divino, come le idee. Il problema diventa allora quello di sapere qual è il dio di Platone. La risposta è oscura ed indecisa. 3° – La parola “Dio” (ὁ θέος) in lui, designa ordinariamente il Demiurgo, un «operaio divino», un architetto costruttore (δημιουργος, operaio), genio mediatore, incaricato di mettere ordine ed armonia in un caos primitivo. 4° – In Platone non c’è dunque la minima idea di “creazione”: ecco una nozione totalmente ESTRANEA al suo pensiero. 5° – L’uomo è un “duplice” ed appartiene ai due mondi. Questa dualità è l’effetto di una caduta, è una espiazione. 6° – L’anima è uscita al mondo delle Idee, essa cioè preesisteva alla nascita dell’uomo in questo mondo di materia e gli sopravviverà dopo la morte del corpo. 7° – È questa stessa preesistenza delle anime prima della nascita che è utilizzata come argomento principale dell’immortalità dell’anima nel Fedone. 8° – L’anima è incarcerata in un corpo, tra i corpi ed il ricordo delle idee è oscurato in essa. 9° – L’anima comporta tre parti:

.a) L’ἐπιθυμια o appetito inferiore, che risiede nel ventre e che la porta verso il corpo ed i piaceri sensuali;

  1. b) Il θυμος o cuore o appetito superiore che ha la sua sede nel petto e che la porta verso ciò che è bello e buono;
  2. c) Il νους o ragione che ha la sua sede nel capo e che è la facoltà di conoscere e di volere l’ordine intellegibile sotto la sovrana direzione del Bene. – 10° – Il filosofo cura la sua anima: staccandosi quanto più può dal corpo, egli trascorre la vita a liberare la propria anima, cioè a morire! 11° – Il corpo è un ostacolo per l’intelligenza: esso la spinge nella ricerca della verità. Le sue sensazioni ne abusano e turbano i suoi ragionamenti. Più essa si distacca dal corpo, più diviene se stessa, meglio ragiona. Chi dunque raggiungerà la verità, se non colui che si sarà sbarazzato del suo corpo? 12° – Così dunque fin quando saremo impigliati in un corpo, noi non potremo possedere se non in modo imperfetto la verità, oggetto del nostro amore. – 13° – La conoscenza non viene quindi dal sensibile. È solo attraverso la percezione sensibile che l’anima intraprende la ricerca della verità, rientrando in se stessa. La percezione delle apparenze sensibili è per essa un’occasione di ritrovare in essa, come un ricordo dimenticato o come una reminiscenza, la conoscenza intellegibile del mondo e delle Essenze o Idee. 14° – Le percezioni sono le eccitanti, e non l’origine della Scienza, …: “La dialettica ascendente”. Lungi dall’essere un movimento per cui il pensiero uscirebbe dall’anima per cercare l’essere, è al contrario il movimento mediante il quale il pensiero rientra nell’anima per ritrovarvi la scienza dell’essere che l’anima porta in sé, innata. 15° – Il maestro non insegna nulla al suo discepolo: Egli si contenta di risvegliare in lui la conoscenza che egli già porta nell’anima sua, ma che è come velata, oscurata, ottenebrata dal corpo. Il maestro è una “ostetrica” della verità. Come l’ostetrica fa nascere il bambino dal seno di sua madre, così il maestro fa uscire la “verità” dal seno dell’anima: questa è la maieutica di Socrate! – Infine Platone, nel “Banchetto”, 16° – Platone concepisce l’amore unicamente come un desiderio, un appetito del Bene per sé, un cammino per portare a perfezione ciò che è deficitario nella nostra anima in seguito alla caduta in questo mondo materiale, uno sforzo per riacquistare le Bellezza perfetta del mondo delle Idee. È un amore captativo, ripiegato su se stesso, che ignora il dono agli altri. Si chiama l’amore platonico. Ogni qual volta il platonismo farà irruzione nella nostra civilizzazione cristiana, si vedrà apparire questo amore (eros), che rifiuta la costruzione di un focolare stabilizzato nel matrimonio, che rifiuta i figli, e quindi la Vita, un amore sterile, che si auto divora, apparentato alla morte. È il mito di Isotta, è l’amore cortese, dei trovatori, l’amore platonico degli umanisti, è infine l’amore romantico, questa malattia dell’anima che ha imprigionato tutta la nostra letteratura.

LA LETTURA GNOSTICA DEL PLATONISMO DEL II SECOLO DOPO CRISTO!

 Intorno al II secolo dopo Gesù-Cristo, è apparsa una nuova scuola filosofica, quella dei neo-platonici. A partire dall’insegnamento di Platone, Plotino, Porfirio, Giamblico, Proclo, Ierocle ed i loro amici hanno ricostruito un “platonismo” nel quale hanno introdotto i miti di Orfeo e di Pitagora. Con questa sapiente amalgama, essi hanno presentato Platone come il discepolo iniziato ai misteri orfici ed alla setta pitagorica. « Ciò che Orfeo ha promulgato attraverso oscure allegorie, dice Proclo, Pitagora lo insegnò dopo essere stato iniziato ai misteri orfici e Platone ne ebbe piena conoscenza dagli scritti orfici e pitagorici. » – Nulla di più facile e di più scontato! È sufficiente ritrovare in Platone le diverse parti della dottrina esoterica dei misteri e si possono scoprire lo fonti alle quali si è “abbeverato”. La dottrina delle «Idee archetipe delle cose » esposta nel “Fedro” è collegabile ed analoga alla dottrina dei  « Numeri sacri » di Pitagora. Il Timeo dà una esposizione molto confusa e approssimativa di una cosmologia; la dottrina dell’anima, delle sue migrazioni e della sua evoluzione, attraversa tutta l’opera di Platone, ma principalmente la si ritrova nel “Banchetto” ed il “Fedone”. I nostri filosofi neo-platonici costituiscono allora la Scuola di Alessandria. Essi affermano una filiazione delle idee platoniche mediante uno studio comparato delle tradizioni orfiche e pitagoriche. « Questa filiazione, ci dice E. Schuré ne “I grandi iniziati”, tenuta segreta per secoli, non fu rivelata che dai filosofi alessandrini, perché furono i primi a pubblicare il senso esoterico dei Misteri. » Cosa diviene allora l’insegnamento di Platone, dopo questa “meravigliosa amalgama”? precedentemente, dai fedeli di Dioniso, l’anima era collegata al divino, e l’iniziato, prendendo coscienza di questo collegamento, entrava in estasi, in uno stato di sonnambulismo, in una “follia” divina. L’Orfismo aveva sviluppato questa intuizione divina in un « discorso sacro », che elaborò una saggezza filosofica. Ecco i temi trattati dai nostri filosofi neoplatonici:

  • Dualità dell’uomo, corpo ed anima.
  • Eccellenza dell’anima, di origine divina e di natura divina (teion di plotino) fatta per vivere nel soggiorno degli dei immortali, essendo l’anima una particella della divinità.
  • Come punizione per una colpa (?), l’anima è imprigionata in un corpo terrestre ove la sua divinità è offuscata; ma essa può essere liberata da questa cattività con l’iniziazione ai misteri e la via orfica, via ascetica e “purificante”.
  • Dopo la morte, essa scende nell’Ade, ove è giudicata (ma da chi?). se essa è impura, resta nell’Ade ove si reincarna in un corpo terrestre. È la metempsicosi! Se in seguito a successive reincarnazioni, arriva alla via orfica, alla purificazione, essa ritrova la sua divinità e raggiunge la società degli dei.

Plotino espone questa infermità dell’anima, questa “malattia dell’anima decaduta”: « Il tempo [vale a dire il nostro mondo corporeo] è il frutto di una dissociazione della vita dell’anima. » Essa deve dunque fuggire verso l’Eterno: « Rifugiamoci, egli dice, verso questa cara patria » (Enneadi). “Evadiamo dalla vita, dal tempo, dalla storia per ritrovare la nostra condizione divina ed immutevole”. – Non solamente i filosofi neo-platonici hanno costituito una nuova scuola di filosofia, la Scuola di Alessandria, ma essi hanno anche stabilito una liturgia per tutti i loro discepoli fedeli, desiderosi di risalire verso il soggiorno divino [con iniziazione e montata successiva]. Gerolamo Carcopino ci ha descritto come inizialmente esistesse questa basilica pitagorica della Porta Maggiore a Roma, ove gli iniziati utilizzavano i miti religiosi del paganesimo antico come i simboli del ritorno al mondo divino. Si sono anche studiate le tombe dei neoplatonici nell’impero romano. Nei confronti di questa nuova filosofia platonica, non si può che essere colpiti dalla sua somiglianza con la dottrina degli gnostici della stessa epoca, come è stata in precedenza esposta [v. num. precedenti]. I temi metafisici in realtà sono gli stessi, ma sbarazzati dalla stravagante mitologia degli gnostici e di ogni riferimento a Gesù-Cristo ed all’insegnamento del Vangelo. – Cos’è dunque questa risalita dell’anima platonica nel soggiorno degli dei con l’estasi, se non il ritorno all’ « unità primordiale » dei nostri gnostici? E si potrebbe così proseguire il parallelismo tra i due insegnamenti. Ma si pone allora la questione fondamentale: questo destino immortale nel mondo divino è una immortalità personale? Perde l’anima la sua personalità nell’ora precisa in cui perviene alla sua destinazione? Noi sappiamo dall’insegnamento degli gnostici che l’anima divinizzata si perde nel « Pleroma », nel Gran Tutto, ritorno dunque al “nulla”. Siamo in pieno Panteismo.

La dittatura intellettuale di Platone

Nel momento della massima diffusione del Cristianesimo nel mondo greco-romano, Platone regnava come maestro incontrastato sugli spiriti. Quando i filosofi, gli intellettuali si convertono al Crisrianesimo, vi introducono i modi di pensare ed i presupposti metafisici del Patonismo, senza rendersi conto che tra gli insegnamenti di Platone e di Gesù-Cristo, vi è una fondamentale opposizione ed una assoluta incompatibilità. Da ciò una ambiguità nelle loro risposte agli attacchi lanciati dai filosofi pagani: come manifestare simultaneamente la loro ammirazione per la filosofia pagana ed il loro attaccamento all’insegnamento del Vangelo? Noi vedremo che questa amalgama è impossibile e che, secondo il vigore della oro intelligenza o la fermezza della loro fede, gli uni o gli altri dovettero scegliere tra Platone e Gesù-Cristo. Eugène de Faye, nel suo “Origène” scrive: « A partire dal II secolo dell’era cristiana, tutti, filosofi, gnostici, sapienti, teologi cristiani, ritornano al “dio” di Platone. » Origene stesso, malgrado la sua opposizione alle tesi di Celso, aderisce agli insegnamenti di Platone. Egli accetta la dualità anima-corpo, la caduta dell’anima nella materia corporea considerata come una prigione. Nutre un grande rispetto per gli Astri, considerati come esseri intelligenti capaci di agire sulle anime (sono queste le tesi degli astrologi). Egli chiede soltanto che non li si adori. Si sforza poi maldestramente ed artificialmente di trovare analogie tra il linguaggio di Platone ed i dati biblici. Ma si sforza pure di difendere Dio dall’accusa di essere l’autore del male. Egli dice, come Celso che il Male è inerente alla materia. Egli è dunque impegnato incessantemente nella polemica contro Celso, perché deve marcare la sua ammirazione per la filosofia pagana, denunciandone le conseguenze quando viene a scontrarsi con l’insegnamento cristiano. « Origene, ci dice Porfirio, era Cristiano rispetto alle leggi, ma nelle credenze relative alle cose della divinità, era greco, e faceva convergere l’arte dei greci nelle favole straniere [cioè il Cristianesimo]. Egli frequentava in effetti, incessantemente, Platone. Le opere di Numenio, di Nicomaco, di Cronio, di Apollofane, di Longino di Moderato e degli uomini istruiti nelle dottrine pitagoriche erano il suo passatempo … fu da loro che conobbe il metodo allegorico dei Misteri dei greci, e li adattò in seguito alle scritture dei giudei. » Numerio d’Apamea chiamava Platone un « Mosè atticizzante »; per lui anche la materia era l’opera cattiva di un demiurgo. Anche i filosofi neo-platonici contro i quali lottavano, beneficiavano di un immenso prestigio. Porfirio era ammirato dagli apologeti cristiani. San Girolamo stesso era un suo ammiratore da giovane. San Agostino parla di lui con gran rispetto: « philosophus nobilis, magnus gentilium philosophus doctissimus philodophorum ». Egli lo pone al livello di Pitagora e di Platone. – Solo più tardi, dopo matura riflessione ed una migliore comprensione della fede cristiana, manifesterà la sua inquietudine e rigetterà tale ammirazione: « Laus ipsa, qua Platonem vel platonicos seu Academicos philosophos tantum extuli quantum impios nomine non opportuit, non immerito mihi diplicuit. » «Io ho lodato ed ammirato questi filosofi, quando essi erano invece degli uomini empi, ed ho avuto molta difficoltà ad allontanarmene. » Ciò che è l’esatta verità. Sant’Agostino non si è mai staccato dal Platonismo completamente ed anche quando lo rigettava esplicitamente, ne restava impregnato. [Vedi in Gnosi: teologia di satana (6)]

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Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.