Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (7), capp. X e XI

CAPITOLO X.

LA CROCIFISSIONE.

Le montagne scelte pel supplizio dei rei. — A qual fine. — Passo di Quintiliano, di Valerio Massimo, di Svetonio. — Arrivo dei condannati. — Occupazione dei carnefici.— I condannati distesi prima per terra, e poi messi sulle loro croci. — Forma della croce. — Cinque specie di croci: la croce semplice, la croce biforcata, la croce decussata, la croce commissa, e la croce immissa. — Qual fu la croce del Buon Ladrone.—Sentenza di Tertulliano, di s. Girolamo, di s. Paolino.— Ragioni misteriose di questa sentenza.— La forma della croce perpetuata nel T che incomincia il canone della Messa. — Passi di Innocenzio III, di Niceforo, e di Sandini.

Ora che ben conosciamo il Calvario, appressiamoci alla santa collina, e montiamo fino alla sua sommità, seguendo i tre condannati che vanno a morirvi. Perché mai, in luogo di una aperta pianura, o di una valle, si scelse un luogo eminente per la crocifissione? La risposta ad un tale quesito, mentre ci rivela gli usi dei popoli antichi, conferma colla testimonianza della storia profana, il racconto della storia sacra. Oltre le misteriose ragioni, che tra tutti i luoghi del mondo, fecero preferire il Calvario pel supplizio dell’uomo-Dio e dei suoi compagni, una ve n’ha al tutto semplice e tratta dall’uso generale dell’antichità. – A fine di render utile e salutare lo spettacolo dell’ignominioso e più crudele dei supplizi, i popoli antichi avevano disposto che le croci dei malfattori venissero piantate nei luoghi più esposti alla vista e più frequentati, e di preferenza sulla cima delle montagne, « Tutte le volte, dice Quintiliano, che sospendiamo alla croce dei malfattori, noi scegliamo le vie più rinomate, affinché il più gran numero possibile di persone siano testimoni di un tale spettacolo, e colpiti di un salutare terrore » Valerio Massimo così racconta la morte di Policrate, tiranno di Samo. « Inquieto per la felicità della quale aveva costantemente goduto, codesto principe, a prevenire la gelosia degli Dei, volle imporsi un sacrificio gettando in mare una preziosissima gemma che egli aveva carissima; ma pochi giorni appresso quella gemma si rinvenne nel corpo di un pesce; e questa fu l’ultima sua contentezza. Mentre meditava la conquista dell’Ionia, fu preso a tradimento da Orete satrapo di Cambise che lo fece crocifiggere sulla cima più elevata del monte Micale, di faccia a Samo. » Per le stesse ragioni le croci facevansi molto elevate. A ciò alludeva quella crudele ironia dell’imperator Galba, riferita da Svetonio. « Un condannato a morte invocava le leggi, e faceva valere il suo titolo di cittadino Romano. In vista di esaudirlo e di rendergli men penoso il supplizio, Galba ordinò ch’ei fosse crocifisso su una croce molto più alta delle altre e vestito di bianco.» La straordinaria altezza della croce doveva far conoscere la sua dignità di cittadino romano, e la veste bianca propria dei cittadini romani doveva attirare singolarmente su di lui l’attenzione degli spettatori. – Intanto Gesù, Dima ed il suo compagno giungono alla sommità del Calvario. Tra i soldati, ai quali era affidata l’esecuzione, alcuni scavano le fosse per impiantarvi le croci, altri gettano a terra i condannati e li acconciano sulle croci legate sul loro dorso. Misterioso spettacolo! « Nel medesimo luogo, dice s. Agostino, v’eran tre croci. Sopra una di esse il ladro predestinato, sull’altra il ladro riprovato, su quella di mezzo Gesù, che era per salvare l’uno e condannare l’altro. Nulla di più somigliante fra loro che queste tre croci, nulla di più dissimile fra loro di quei crocifissi. » Come udimmo da s. Agostino, le tre croci erano somiglianti; ma quale ne era la forma? Presso gli antichi la croce come strumento di supplizio, non era né sempre, né ovunque la medesima. Se ne distinguono cinque diverse specie. La croce semplice, simplex, era un largo trave, sul quale s’inchiodava il paziente in modo, che prendesse l’attitudine più o meno distinta d’uomo in croce. Quando questa specie di crocifissione aveva luogo, quel trave era così basso che gli animali carnivori potevano arrivare alla vittima, e sbranarla viva sull’istrumento del suo supplizio. Ne abbiamo due celebri esempi; uno nella Scrittura, l’altro nel martirio di s. Blandina. Sette figli di Saulle essendo stati dati nelle mani dei Gabaoniti, costoro li crocifìssero. Aia, loro madre, si tenne immobile giorno e notte a piè delle croci per impedire che gli augelli di rapina, e le belve carnivore divorassero i suoi sventurati figliuoli. Eusebio parlando dell’illustre martire di Lione dice : « Blandina essendo stata attaccata ad una trave, fu esposta alla voracità delle bestie. A tale spettacolo, tutti quelli che avevano combattuto con essa ripresero animo. Essi erano pieni di una gioia soprannaturale, vedendola crocifissa presso a poco siccome lo era stato Gesù Cristo. Essi ne trassero un buono augurio per la vittoria, da che sotto la figura della loro sorella credevan di vedere Colui, che per essi era stato posto in croce. Andarono essi pertanto incontro alla morte pieni della dolce confidenza, che chiunque muoia per la gloria di Gesù Cristo, riceverà una vita novella nel seno stesso del Dio vivente. » [Lettere delle Chiese di Vienna e di Lione in Euseb. Hist. lib. V. c. x].La croce biforcata chiamata furca, perché prende la forma di una forca ad Y, si trova usata sovente per supplizio degli schiavi. Un autore pagano, Apulejo, parla di questa specie di croce come istrumento di morte per i malfattori ordinari. La croce decussata, vale a dire in forma traversa come la lettera X. Essa è volgarmente conosciuta sotto il nome di Croce di S. Andrea, perché fu lo strumento sul quale l’Apostolo dell’Acaja subì il suo martirio.La croce commissa, croce avente la formo del nostro T maiuscolo, che e lo stesso del Tau dei Greci, e degli antichi Ebrei. La croce immissa è la croce ordinaria, chiamata croce latina. Ognuno sa che essa si compone di un tronco traversato nella parte superiore da due braccia in linea retta †. Di tutte queste croci quale servì al supplizio di Nostro Signore, e dei suoi compagni? La croce commissa rispondono senza esitare Tertulliano, s. Girolamo, e s. Paolino. « La lettera T dei Greci e dei Latini (dice Tertulliano) è la figura della Croce.» S. Girolamo : « Nell’antico alfabeto ebraico, di cui si servono tuttavia i Samaritani, l’ultima lettera T è la figura della Croce.» S. Paolino: « Nostro Signore senza il soccorso d’innumerevoli ed animose legioni, ma col misterioso istrumento della Croce, la cui figura è rappresentata dalla greca lettera T, e che è la cifra del numero trecento, ha trionfato delle potenze nemiche.» La testimonianza di questi antichi Padri ci sembra su questo punto preferibile al sentimento di molti altri non meno rispettabili. Tali sono s. Giustino, s. Ireneo, s. Agostino, che parteggiano per la surriferita croce immissa. Or ecco le nostre ragioni. Fin nei più minuti particolari della sua passione Nostro Signore effettuava tutte le figure e le profezie. E sol quando ei l’ebbe effettuate tutte, disse: « Tutto è consumato. » Ora la croce commissa realizza alla lettera due grandi figure profetiche. Nelle parole da noi citate, Tertulliano fa allusione al passo di Ezechiele, nel quale il Signore comanda di segnare con la lettera T la fronte di coloro, che dovevano essere preservati dallo sterminio. « Ed il Signore gli disse: va’ per mezzo alla città, per mezzo a Gerusalemme, e segna un Tau sulle fronti degli uomini, che gemono e sono afflitti per tutte le abominazioni che si fanno in mezzo ad essa » Il Tau è la figura materiale e misteriosa della Croce. Impresso sulla fronte degli abitanti di Gerusalemme, li scampava dalla morte temporale; e impresso sulla fronte dei Cristiani il Tau reale li salva dalla morte eterna. Or ecco un altro mistero. Nella numerazione greca ed ebraica la lettera T conta per trecento. E con trecento soldati Gedeone trionfò del grande esercito dei Madianiti. Era di notte e ciascun soldato portava una fiaccola in un vaso di terra, Al concertato segnale son rotti tutti quei vasi, le faci risplendono, suona la tromba: e il terrore invade il nemico esercito, che in gran disordine si dà scompigliato alla fuga. In mezzo alle tenebre del Calvario, il velo dell’umanità, che copre la divinità di Nostro Signore, è lacerato dalle torture della croce; la divinità si manifesta coi miracoli, e col Tau misterioso, che vale trecento, il vero Gedeone mette in fuga le infernali potenze. La tradizione sulla verace forma della croce si è perpetuata in una particolarità conosciuta da pochi. Negli antichi Messali, il T col quale incomincia il Canone, Te igitur clementissime Pater, è accompagnato da una croce dipinta sopra quella medesima lettera. Ond’è che la figura e la realtà si trovano insieme confuse. Le moderne edizioni pongono in luogo della croce un incisione che rappresenta Nostro Signore in croce e posta sempre al principio del Canone. Assai prima di noi, fece quest’osservazione di dotto Pamelio. Tuttavia alcuni Padri, come già notammo, danno alla Croce di Nostro Signore la forma più conosciuta fra noi. Il Papa Innocenzo III parlando al IV Concilio di Laterano, pare aver risoluta la questione dicendo: « Il Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto Ebraico. Essa è la precisa figura della Croce, quale era prima che Pilato vi collocasse in cima il nome e il titolo del Crocifisso Signore. » – Non meno chiaramente si esprime lo storico Niceforo. « Allorché fu ritrovata la S. Croce, se ne rinvennero tre separate, più una bianca tabella sulla quale Pilato aveva fatto scrivere in più lingue, Gesù re de’ Giudei Questa tabella, situata sul capo di Nostro Signore si elevava in forma di colonna, e dichiarava che il Crocifisso era il re dei Giudei. » Infine l’autore della Glossa dice nei termini più precisi: « L’iscrizione che sormontava la Croce ne formava il quarto braccio. » [« Tabulam supra crucem loco quarti brachii fuisse. » In Clement., De smma Trinit.]. – Ciò posto, conchiude il Sandini, l’accordo è presto fatto. I Padri che danno alla croce dei condannati dei Calvario la forma del Tau, fanno astrazione dalla soprapposta tabella. Coloro che le danno non tre, ma quattro estremità, tengono conto dell’aggiunta iscrizione, e parlano indistintamente dell’una e dell’altra. La Croce è il mistero dei misteri,, il trofeo del figlio di Dio., lo strumento benedetto della nostra Redenzione, il segno pieno di terrore per gli uni, di speranza per gli altri, che precederà il supremo Giudice, quando nell’ultimo giorno del mondo discenderà dal Cielo per retribuire a ciascuno secondo le opere sue, al cospetto di tutte le nazioni radunate. E chi potrebbe trovar lunghi e fastidiosi i più minuti particolari presi ad esame per farla conoscere quale fu già vista nel mondo, e quale allora si rivedrà?

CAPITOLO XI.

I DOLORI.

I condannati fissati alla croce non con le corde, ma con i chiodi. — Passi di Artemidoro, di S. Agostino, di S. G. Grisostomo, di Molano, di Giusto Lipsio. — Numero dei chiodi. — Testimonianze di Innocenzio III, di Luca di Tuy, di Gregorio di Tours, di Baronio e di altri. — Torture di quei che erano crocifissi. — Il suppedaneum . — Altezza delle croci. — I condannati si crocifiggevano ignudi. — Ignominia e dolori del supplizio della croce. — Bestemmie dei ladroni.

Noi lasciammo i tre condannati gettati per terra e stesi sulle loro croci. I carnefici incominciano la loro barbara operazione. Udite i colpi di martello che risuonano sui chiodi del patibolo. Infatti con dei chiodi, e non già con delle corde, come vorrebbero far credere taluni dipinti, i crocifìssi erano appesi allo strumento del loro supplizio. Una tal usanza era generale. La croce, scrisse un’autore pagano, si compone essenzialmente di due cose, del legno e dei chiodi. » S. Agostino, esimio conoscitore delle antiche costumanze, si esprime in questi termini. « Gli infelici attaccati alla croce con dei chiodi, lungo tempo soffrivano. Le loro mani erano coi chiodi fissate al legno, e i loro piedi ne erano traforati. Il buon ladrone aveva il corpo trafitto dai chiodi, ma ne era intatta l’anima, e la sua intelligenza non era punto crocifìssa. » – Giovan Crisostomo afferma la medesima cosa. « E come, egli dice, non ammirare il buon Ladrone che traforato dai chiodi, conserva tutta la sua presenza di spirito? » Non altrimenti parlano tutti gli organi della tradizione, e solo a scanso di una soverchia prolissità, non ne alleghiamo i testi. L’uso dei chiodi nella crocifissione era a tal segno invariabile, che il dottissimo Gretzer conchiuse: « Non può comprendersi affissione in croce senza i chiodi. » E qual’era il numero dei chiodi? Fu esso il medesimo pei due ladroni, e per Nostro Signore? Non abbiamo ragione da dubitarne. Ora la tradizione degli antichi Padri ci assicura che il Figliuolo di Dio fu attaccato alla croce con quattro chiodi; due per le mani, e due per i piedi. Luca di Tuy, detto il Salomone della Spagna, riporta e chiosa il seguente passo d’Innocenzio III. « Quattro chiodi trafissero il Salvatore: ed aggiunge: questa è la testimonianza di quel gran Vicario di Dio, e dottore della Chiesa, di quel martello degli eretici, Innocenzio III. E quale testimonianza più di questa autorevole? Che di più vero di queste parole, discese dal trono di Dio, cioè a dire dalla Chiesa romana, per bocca del Padre di tutti i fedeli, il sommo Pontefice Innocenzio III? » Impertanto rappresentare Nostro Signore e i Ladroni affissi alla croce con soli tre chiodi è contrario alla tradizione più antica, ed anche alla ragione. Come mai con un sol chiodo trapassare i due piedi, soprapposti? Sembra questa un’operazione difficile anche per parte dei carnefici, mentre al contrario si vede esser facile con quattro chiodi. Posando in piano i piedi sul suppedaneo, poteano esser facilmente traforati e solidamente affissi con due chiodi appositi. Quei chiodi, dei quali Roma conserva un prezioso avanzo, eran di forma quadrata e lunghi circa cinque pollici, di una corrispondente grossezza e col capo a forma di fungo. Sospinti a gran colpi di martello, trapassavano da parte a parte le mani dei condannati. Le membrane, le vene, le fibre, le ossa, i muscoli e tutti i tessuti nervosi, sede della sensibilità, eran lacerati e rotti: il sangue ne usciva in copia, e provavansi dolori inesprimibili. Dalle mani si passava ai piedi, stesi sul suppedaneo sul quale posano, son essi come le mani traforati e confìtti alla croce. Le contorsioni e le grida delle vittime rallegrano o contristano gli spettatori. Abbiam nominato il suppedaneo; ci conviene dire che cosa fosse. Sospendere un corpo umano col semplice sostegno di quattro chiodi, due dei quali non traversavano che la palma delle mani, certamente non presentava una sufficiente solidità. Tratta dal grave peso del corpo la parte superiore delle mani poteva facilmente fendersi, e lasciar cadere il paziente. Nella previsione di un tal pericolo, la croce era munita di un legno, sul quale veniva a poggiare la pianta dei piedi. Negli antichi autori, un siffatto legno è chiamato sedile, suppedaneum, solistaticulum, ossia piccolo appoggio. Il Papa Innocenzio III ne parla così. « Quattro pezzi di legno composero la Croce del Signore; il tronco, la traversa, il suppedaneo, ed al vertice l’iscrizione. » Inchiodati sul loro letto di dolori, per non più discenderne, i condannati erano elevati da terra, affinché tutto il popolo potesse godere dello spettacolo del loro supplizio. La croce cadendo nello scavo preparato a riceverla, comunicava una violenta scossa a tutto il loro corpo, e fa fremere il solo pensare all’effetto di quel violento moto sulle membra piagate e lacerate. A rendere poi immobile nello scavo la croce, sostegni, chiodi posti con forza continuavano il doloroso movimento, fino a che saldo restasse il patibolo. E qual ne era l’altezza? Facemmo già osservare che l’altezza della croce variava secondo la dignità del condannato. Ciò nondimeno, la Croce di Nostro Signore non pare che fosse più elevata di quella dei due ladroni. S. Agostino dice che desse erano tutte tre simili, e sappiamo che vi fu necessità di un gran miracolo per poter riconoscere la vera croce dalle altre due. – Un’autorevole tradizione dà alla Croce del Salvatore quindici piedi di altezza, ed otto piedi di lunghezza al legno trasversale. Siffatte dimensioni nulla hanno d’inverosimile. Supponendo la croce profondata nello scavo per un piede e mezzo, il Capo di Nostro Signore, e quello dei suoi compagni doveva essere all’altezza di tredici piedi e mezzo da terra. Può ben credersi che fosse così, poiché per arrivare alla sacrosanta bocca del Signore allorché disse, Ho sete, bisognò porre la spugna sulla punta di una canna. Sia per l’impazienza che avevano i Giudei di soddisfare al loro cieco furore, sia per la tema che alcun miracolo non facesse loro sfuggir di mano l’augusta Vittima, sia finalmente per farlo ravvisare come il maggior colpevole dei tre condannati, Nostro Signore fu crocifisso il primo, e sulla cima più prominente del Calvario, mentre più in basso furono poste le croci dei due ladroni. V’è pur luogo a credere che i Giudei ed i soldati, ormai paghi e soddisfatti, non procederono che assai lentamente alla crocifissione degli altri due. Dopo che l’ebbero crocifisso, dice S. Matteo, si spartirono le sue vesti, tirando a sorte, e gli posero scritto sopra la sua testa il suo delitto: Questi è Gesù il Re dei Giudei. Allora furono crocifissi con lui i due ladroni, uno a destra e l’altro a sinistra. » Egli è probabile che avessero anch’essi il loro titolo scritto sul capo. Ma quel che par certo si è, che eglino al pari di Nostro Signore furono crocifissi ignudi. Tal era l’uso dell’antichità. La qual cosa ci vien confermata da questa facezia di cattivo gusto riferita da Artemidoro. « Essere crocifisso è un bene pel povero che vien sollevato da terra, ed è un male pel ricco ch’è crocifisso ignudo. » In quel momento piombò su di essi tale una piena di fisici e morali dolori, che il pensiero non giunge a formarsene un’idea. – « Fra tutti i generi di morte, dice S. Agostino, non ve ne ha uno più crudele della crocifissione. E ciò è sì vero che noi naturalmente chiamiamo croci i dolori e gli affanni giunti al più alto grado d’intensità. Pendenti dal legno del supplizio, avendo mani e piedi trafitti dai chiodi, i crocifissi morivano lentamente. Crocifiggere uno non era ucciderlo, poiché vivevasi lungamente su quel patibolo. Non per prolungare la vita sceglievasi quel genere di supplizio, ma sì per ritardare la morte, affinché non troppo presto finisse il dolore. » Il dolore pare al contrario che presto dovesse avere fine per il mancar della vita. Come mai poteva il crocifisso lungamente conservarla? Tutto in lui soffriva, e soffriva mortalmente: sospeso a quattro chiodi, immoto o scosso che fosse, il suo corpo provava dolori acutissimi che andavano al cuore. Violenti spasimi contraevano i muscoli, e l’irritamento nervoso straziava le viscere. La continua perdita del sangue, rendendo ognor più deboli le membra, faceale più sensibili allo spasimo. A sì fiera tortura si aggiungeva un’ardentissima sete cagionata dagli ardori della febbre. Trovarsi in siffatto stato, con innanzi agli occhi la m orte, ed attenderla per lunghe ore tra le imprecazioni e gli scherni di tutto un popolo, senza incontrare uno sguardo compassionevole, senza trovare in se stesso un consolante pensiero, è facile immaginare qual dovesse essere la disperazione del reo impenitente attaccato alla croce, e farsi una ragione delle sue bestemmie. Non sapendo con chi prendersela, Dima e il suo compagno si volgono a Nostro Signore. Veggono essi loro ai fianchi quel personaggio sconosciuto, la cui inalterabile calma ed il silenzio fan vivo contrasto con le loro imprecazioni e le convulsive loro agitazioni. Hanno inteso dire ch’Egli fosse il Figlio di Dio; il suo titolo porta scritto Re dei Giudei; intorno a lui si vedono persone che gli sono di gran cuore devote, e se fra le turbe accorse molti lo insultano, molti ancora lo piangono. Allora, per un sentimento che l’eccesso del dolore spiega, ma non giustifica, gli rinfacciano le loro torture, e lo svillaneggiano. Conviciabantur ei [Mc.XV, 32] « Se tu sei il Cristo, salva te stesso, e noi : » Si tu es Christus, salva temetipsim et nos [Luc., XXIII, 39.]. E ripetono contro l’innocente Vittima tutti gl’insulti dei Sacerdoti e gli oltraggi dei Seniori del popolo. Idipsum autem et latrones, qui crucifixi erant cum eo, improperabant ei – [Matth., XXVII, 44.] – Ed è egli vero che ambedue i ladroni si facessero l’eco delle bestemmie lanciate dai Giudei contro Nostro Signore? S. Luca dice: « Uno dei ladroni pendenti lo bestemmiava dicendo: Se tu sei il Cristo salva te stesso e noi [« Unus autem de his qui pendebant latronibus blasphemahat eum dicens: Si tu es Christus, salva temetipsum et nos. » – Luc., XXIII, 39.]. – Fondati su questo testo, parecchi Padri. han preteso che solo il cattivo ladrone avesse così bestemmiato; ma il maggior numero è di sentimento contrario. Si appoggiano questi sull’autorità di S. Matteo e di S. Marco, che positivamente incolpano del medesimo peccato tutti e due i ladroni. Poco sopra abbiamo riportate le loro parole. Alcuni dotti commentatori tolgono di mezzo la difficoltà, cc Può dirsi, così scrive il Cardinale Ugone, ed è ciò anche più conforme alla verità, che in sulle prime il Buon Ladrone bestemmiasse egli pure come il malvagio, ma che si rimanesse quando il Signore nella sua misericordia si degnò v visitarlo » – Un altro interprete, non meno autorevole, Tito vescovo di Bosra nel quarto secolo ci dà la medesima spiegazione. « Perché, egli chiede, S. Matteo e S. Marco ci assicurano che i due ladroni insultavano Nostro Signore, mentre S. Luca non ne incolpa che un solo? Sul principio entrambi i ladroni bestemmiavano il Signore al pari dei giudei. Eglino per avventura il facevano per gratificarsi il popolo bestemmiatore, ed ottenerne grazia, o almeno un qualche sollievo nelle loro angosce; ma vedendosi delusi nelle loro speranze, uno dei due sipentì, ed ammonì gravemente il Compagno a far senno. » – Checché ne sia, se il Buon Ladrone bestemmiò, la sua conversione è tanto più ammirabile; e noi ci facciamo a narrarla. È tempo ch’essa venga a confortare l’anima contristata dallo spettacolo che fin qui avemmo innanzi agli occhi.

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.