J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 18-19]

LETTERA DECIMAOTTAVA.

15 dicembre.

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Mio caro Amico,

L’onore è la seconda ragione, che ci obbliga a restar fedeli all’antico uso del segno della croce avanti e dopo il pranzo. I tuoi compagni al contrario ostentano credere essere onorevole cosa lo astenersene, ed eglino dicono: Non voglio che altri mi rimarchi, e che si burli di me. Facciamo l’autopsia di questo nuovo pretesto. Innanzi tutto la ragione, ed il vedemmo, condanna quelli che disprezzano la croce, epperò l’onore non saprebbe essere per loro, poiché non lo si trova con lo sragionare. Aggiungono, non voler essere notati. Impossibile! checché eglino facciano, saranno sempre notati, e rimarcati. Io non li credo sì infelici da non trovarsi mai con veri cattolici allo stesso desco, ed allora, per fermo, saranno necessariamente e ben tristemente osservati. È vero che ciò per essi, come dicono, è indifferente; ma questo disprezzo è poi fondato? Qui ritorna la questione degli uni e degli altri che abbiamo già risoluta. Lo scherno, di che tanto sessi hanno paura, segue sempre l’osservazione, solo presso il vero cattolico, questa si rimuta in un sentimento di compassione verso di loro. Contentandomi d’esporre i tuoi compagni, e quelli che ad essi si assomigliano alle osservazioni de’ cattolici, uso indulgenza con esso loro; pertanto essi, come vedrai, astenendosi dal pregare innanzi e dopo il pranzo, pel pretesto di non farsi notare, si disonorano al cospetto di tutta la umanità: seguimi nel mio ragionare. Quegli si disonora agli occhi di tutta l’umanità che volontariamente si pone nel rango delle bestie. Ora sino a’ dì nostri non si conosceva in natura che una sola specie di esseri che mangiasse senza pregare, ma di presente due: le bestie e quelli che loro si assomigliano. Dico “che loro si assomigliano”, perché tra un uomo che mangia senza pregare ed un cane, quale differenza vi trovi tu? Per me io non ve ne trovo alcuna, e l’Accademia è con me. Bipede o quadrupede, seduto o coricato, gracidando, ciarlando o grugnando, essi sono gli uni come gli altri; poiché con le mani, o con le branche, gli occhi, il cuore, i denti immersi nella materia, divorano stupidamente il loro pasto senza elevare la lesta verso la mano che lo dona. L’uomo che agisce di siffatto modo si degrada; egli da bestia si mette a tavola, bestialmente vi dimora, e come bestia ne sorte. La mia proposizione ti sembra troppo assoluta, e tu esclami: “È poi vero, mi dici, che per lo innanzi non si conoscesse che le sole bestie, i buoi, gli asini, i muli, i porci, le ostriche, mangiassero senza pregare?” Nulla v’ha di più vero: “La preghiera su gli alimenti è antica quanto il mondo, estesa quanto il genere umano”.  Dai primordi dell’antichità la si trova presso gli Ebrei. « Quando tu avrai mangiato e sarai satollo, dice la legge di Mose, benedici il Signore » [Cum comederis et satiatus fueris, dicas Domino.] (Deuter. VIII, 10). Ecco la preghiera su gli alimenti. Fedeli a tale comando gli Ebrei usavano tali cerimonie nel benedire la mensa, che il padre circondato dai figli, diceva: Benedetto sia il Signore Dio nostro, la cui bontà concede il cibo ad ogni creatura. Quindi presa una coppa di vino nella destra la benediceva, dicendo: Benedetto il Signore nostro Dio, che ha creato il frutto della vite. Egli lo gustava il primo, e poi la passava a’ convitati. In seguito, preso il pane con entrambe le mani, continuava dicendo: Lodato e benedetto sia il Signore Dio nostro, che ha creato il pane dalla terra. Lo spezzava, ed imboccatone un pezzo, lo passava agli altri. Dopo tutto questo cominciava la mensa. E se accadesse cangiar di vino, o, che nuova vivanda si apprestasse, si facevano nuove benedizioni, perché ogni alimento venisse purificato c consacrato. Il pranzo era seguito da un cantico di ringraziamento. Tutti questi riti diventano a dismisura più venerandi da che sono stati consacrati dallo stesso figlio di Dio, e nulla potrebbe meglio mostrare la importanza di essi. In effetti, che fa l’adorabile Maestro del genere umano nell’ultima sua cena, quando unito a’ cari discepoli mangia l’agnello pasquale ? [“Et accepto calice, gratias egit et dixit: accipite et dividite inter vos”.] (Luc. XXII, 17). Qual cosa fa egli quando dopo la cena canta con i suoi discepoli il cantico di ringraziamento? “Et hymno dicta exierunt in montem Oliveti” [Marc. XIV, 26]. Egli si conforma religiosamente agli usi della santa nazione. V’hanno altresì ben altre circostanze, in cui vediamo il modello eterno dell’uomo pregare innanzi prendesse il cibo, o che ad altri il desse! Egli rompe i pani, e fatti in pezzi i pesci li distribuisce al popolo; ma, prima eleva al cielo li occhi e benedice quel cibo [Marc. VIII. — Math. XIV.]. – Tutte queste espressioni, secondo i padri, mostrano la benedizione degli alimenti, e che il Verbo incarnato l’ha fatto per insegnarci di non prendere cibo alcuno senza benedirlo, e rendere a Dio le grazie (Teofilat. In Math. XIV). Non v’ha da meravigliare se troviamo in uso presso i primi cristiani la benedizione della mensa; poiché le azioni dell’ Uomo-Dio erano la regola della loro condotta, e gli Apostoli le ricordavano loro di continuo. «Presso di noi, dice Polidoro Virgilio, v’ ha il costume di benedire la mensa innanzi il pranzo; e ciò per imitare il Signor Nostro. L’Evangelio ci ricorda ch’Egli di essa usò sì nel deserto, benedicendo i pani, che in Emmaus, alla mensa de’ discepoli ». E Tertulliano aggiunge : « Con la preghiera comincia e finisce il pranzo » [Oratio auspicatur et claudit cibum] ( Tertull. Apologet.).Potrei a queste autorità aggiunger quelle del Crisostomo, di S. Girolamo, di Origene, de’ Padri latini e greci, ma non è mestieri citarli, poiché il fatto non è messo in dubbio. Dirò solo, che abbiamo il Benedicite ed il Gratias in magnifici versi di Prudenzio : Christi prius Genitore potens. Siffatti cantici provano a filo ed a segno, quanta coscienza si facessero i nostri avi di conformarsi agli esempi di Nostro Signore, come questi se era conformato all’uso degli antichi Ebrei, che ubbidivano in ciò al comando di Dio. Noi abbiamo altresì in prosa queste formule di benedizioni, e noi riporteremo questi monumenti della veneranda nostra antichità. Innanzi il pranzo: « O voi che apprestate il nutrimento a quanti respirano, benedite gli alimenti che prendiamo. Voi avete detto, cha se accadesse bere qualche cosa avvelenata, questo non ci apporterebbe nocumento alcuno, se invocassimo il vostro nome, poiché Voi siete Onnipotente. Togliete da questi alimenti quanto può esservi di nocivo, e male per noi » [Mamachi:Costumi de’primitivi cristiani”] . E dopo il pranzo: « Benedetto mille volte siate, o Signore, che ci avete nutrito sin dalla infanzia nostra, e con noi tutto, che respira. Colmate i nostri cuori di gioia, perché facile ci torni compiere ogni maniera di buone opere per Gesù Cristo Signor nostro, cui, con voi, e con lo Spirito Santo sia gloria, onore e potenza. Cosi sia » [Stukius: Antiq. Convivial.]. Queste formule profondamente filosofiche, come tosto vedremo, hanno attraversato i secoli, e, o nella loro primitiva integrità, o con qualche modificazione, sono in uso fra cattolici fino ad oggidì. I protestanti, malgrado la loro avversione agli usi cattolici, 1’hanno conservate, e buon numero di famiglie in Alemagna ed Inghilterra, non tralasciano la preghiera innanzi il pranzo. Ma quello che potrà sembrare più strano, è la benedizione della mensa in uso presso i pagani. Si, mio caro Federico, questi modelli di obbligo per la gioventù da collegio, usavano religiosamente di quanto i tuoi compagni, discepoli ed ammiratori di essi, si vergognano. « Mai, dice Ateneo, gli antichi prendevano il cibo, senza prima invocare gli dei ». E parlando degli Egiziani, aggiunge: « Dopo aver preso posto sul letto da mensa, si alzavano, e postisi in ginocchio, il capo della festa, od il prete, recitava le consuete preghiere, che gli altri dicevano con lui: dopo ciò cominciava il pranzo ». Né altrimenti era in uso presso i Romani. Tito Livio a proposito della morte di un uomo ordinata da Quinto Flaminio, per piacere ad una cortigiana, si esprime con siffatti termini. « Questo atto mostruoso fu commesso nel mezzo delle coppe, lungo il pranzo, quando è costume, pregare gli dei, ed offrir loro delle libagioni » [Liv. Decad. IV. Lib IX]. Tu sai che le libagioni erano una specie di preghiera quanto usatissima, altrettanto nota. I Romani, a mo’ di esempio, ne facevano quasi in tutte le ore: il mattino alzandosi, la sera andando a letto, quando facevano qualche viaggio, ne’ sacrifici, in occasione de’ matrimoni, al cominciamento e fine del pranzo. Questi antichi maestri del mondo non assaporavano il cibo, senza averne prima consacrata una parte alla divinità. La parte prelevata era posta su di un altare, o su di una tavoletta, Patella, che ne faceva le veci. Era questo il loro Benedicite ed il loro Gratias. – Perpetuità della tradizione degna di osservazione! Abbiamo veduto presso gli Ebrei delle nuove benedizioni al mutarsi del vino, ed alle nuove portate, e lo stesso uso era presso i Romani. AI secondo servito, avevano luogo delle libazioni particolari in onore degli dei, che si credeva assistessero alla mensa, e ciascun convitato spargeva un po’ di vino sulla tavola, o sulla terra, accompagnando tale spargimento di alcune preghiere in onore degli dei. I Greci avevano servito da modello ai Romani. Presso di loro, stessa era la frequenza, ed istesso l’uso delle libagioni sul cominciar del pranzo ed in fine di esso, né diverse le preghiere al mutar del vino. Quando, dice Diodoro di Sicilia, si mesceva a’ convitati del vino puro, era antico costume dire: Dono del buon genio; e quando lo si apprestava con l’acqua, dicevasi: Dono di Giove Salvatore; perché il vino puro è contrario si alla salute del corpo, che a quello dello spirito » (Diod. Sicul. Lib. III). Ma non era questa la sola forma di rendimento di grazie, ve n’era un’altra generale usala alla fine del pranzo, che s’indirizzava al padre degli dei (idem Lib. II). L’uso di benedire il cibo presso i pagani era sì comune da dar luogo a questo proverbio: Non prendere dalla caldaia il cibo innanzi sia santificato. [“Ne a chytropode cibum nondum santificatum rapias”]. Questo proverbio, secondo Erasmo, voleva dire: Non vi gettate da bestia su gli alimenti; mangiateli dopo averne offerte le primizie agli dei. Ed in effetti, presso gli antichi, secondo che Plutarco dice, il giornaliero pranzo stesso era classato fra le cose sacre; il perché i convitati consacrandone le primizie agli dei, testimoniavano con ciò, che, secondo loro, prendere il cibo, era reputata cosa santa. Quindi, Giuliano l’apostata, nel celebre banchetto del sobborgo di Antiochia, per riconoscere pubblicamente, e tener salda la tradizione pagana, fece benedire la mensa dai sacerdoti di Apollo (Sozomen Hist., lib. III, c. IX). I barbari stessi imitavano in ciò i popoli inciviliti. I Vandali ne’ loro pranzi facevano circolare una coppa consacrata a’ loro dei con stabilite formule. Presso gli Indiani il re non gustava alcuna vivanda se non fosse stata consacrata a’ demoni. Malgrado la differenza de’ costumi, de’ gradi d’incivilimento e di clima, gli abitanti della Zona glaciale avevano le medesime pratiche di quelli della Zona torrida. Gli antichi Lituani, quelli della Samogizia [regione della Lituania -n.d.r.-], e gli altri barbari del nord invocavano i demoni per santificare le loro mense. Nel fondo delle loro capanne avevano de’ serpenti addomesticati, che, in dati giorni, per lo mezzo di lini bianchi, lasciavano salire sulla tavola, perché gustassero le vivande allestite, e queste allora venivano considerate come sacre, ed i barbari allora solo le mangiavano senza alcuna paura. La benedizione della tavola trovasi egualmente presso i Turchi, e presso gli Ebrei moderni. Questi ultimi, fedeli alle paterne tradizioni conservano ancora l’uso di ripetutamente pregare lungo il pranzo. Cosi alle frutta dicono: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato le frutta degli alberi. All’ultimo servito: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato vari alimenti (Stukius: ubi supra et c. XXXVIII, “De libationibus ante et post epulas”). Per quanto materialisti siano, i popoli contemporanei dell’Indo-China, della Cina, e del Thibet non fanno eccezione a questa legge, la quale, porto opinione, che si trovi presso i popoli i più degradati dell’Africa. Come ho detto, tu il vedi, caro amico, la preghiera, innanzi e dopo il pranzo, è antica quanto il mondo, estesa come il genere umano. Ora, se l’esistenza di una legge si conosce dalla permanenza degli effetti; se a cagion d’esempio, vedendo che il sole levasi ad un determinato punto dell’orizzonte, ogni uomo ha ragione di affermare che una legge dirige i suoi movimenti, io non ho minor ragione di affermare che benedire la mensa è una legge della umanità.  Osservarla dunque, è un agire come tutto il genere umano; il non osservarla, è operare come gli esseri che non appartengono alla umana famiglia ; è, alla lettera, assomigliarsi alle bestie. Tu puoi domandare a’ tuoi compagni se l’onore vi trova il suo conto. Fra breve esplicherò la legge, che comanda la benedizione della mensa.

LETTERA DECIMANONA.

15 dicembre

« I soli coccodrilli mangiano senza pregare. » Tale assioma, tu mi dici, caro amico, riassume le nostre due ultime lettere. Questa tua parola non sarà dimenticata: “I miei compagni, tu continuando dici, sono stati come francesamente dicesi, aplatis, dai fatti da voi riportati, per essi tutto cosa nuova. Ma eglino sono come per lo passato, non fanno il segno della croce avanti il pranzo. — La sola novità che vi ha, è il poter io eseguirlo liberamente, avendo eglino paura del mio assioma ». Non mi meravigliano punto siffatte cose! — Come tanti altri, i tuoi compagni, e quelli, che loro si assomigliano, benché parlino di libertà a gran gola, sono schiavi del tiranno il più vile, del rispetto umano. Poveri giovani! per meglio nascondere la loro schiavitù, terminano la loro obbiezione dicendo: “Il segno della croce su gli alimenti è una pratica inutile, e fuori moda”. Nel fondo del loro intimo pensiero, questo parlare vuol dire: Tutti quelli che non mangiano come noi, cioè da bestie, appartengono alla specie de’ gonzi, più o meno rispettabile. I preti, ed i religiosi de’ gonzi; i veri cattolici della patria tua, gonzi; gli Ebrei, gli Egiziani, i Greci, i Romani, gonzi; il fiore della umanità, gonza; l’umanità tutta è gonza, e con essa, mio padre, mia madre, le mie sorelle: io, ed i miei simili, noi soli siamo saggi sulla terra, i soli illuminati fra tutti i mortali! È mestieri che io strappi la maschera di che cercano coprirsi: a che fare, basterà il mostrare come la benedizione della tavola col segno della croce, sia un atto di libertà, azione utilissima, e ch’è fuori moda solo nelle basse regioni del cretinismo moderno. Questa ultima considerazione unita a quella dell’onore e della ragione, giustifica pienamente la nostra condotta, e nel medesimo tempo, rende ragione della pratica universale del genere umano. – La libertà. — Tre tiranni si disputano la libertà dell’uomo; la mia, la tua, quella de’ tuoi compagni. Questi tiranni sono il mondo, la carne, il demonio. Per non essere schiavi di questi tiranni, noi, e con noi tutta la famiglia umana benediciamo la mensa. Lo abbiamo veduto, ed il ripeto: il non fare il segno della croce avanti il desinare, è un separarsi dal fiore della umanità; il non pregare, è un assomigliarsi alle bestie. Nell’un caso, e nell’altro è schiavitù; poiché questo è sottomettersi ad un potere dispotico, ed è tale, quel potere, che comanda senza averne il dritto, o, che comanda contro la ragione, contro il dritto, contro l’autorità. Chi è il potere, che m’inibisce fare il segno della croce, e che, se ho il coraggio di disobbedirlo, mi minaccia di farmi oggetto di beffe? Qual è il suo dritto? da chi ha ricevuto egli il mandato? Dove sono i titoli che lo raccomandano alla mia docilità? Le ragioni della sua difesa? Questo potere usurpatore, è il mondo attuale, mondo ignoto agli annali dei secoli cristiani, mondo da sale, da teatro, da caffè, da bettole, da traffico, da borsa; è l’uso di questo mondo, l’empietà di questo mondo, il suo marcio materialismo: la beozia dell’intelligenza. Ora, questa minorità, nata ieri e già decrepita, questa minorità in permanente insurrezione contro la ragione, contro l’onore, contro il genere umano, ha la pretensione d’impormi i suoi capricci! E sarò io sì dappoco da sottomettermi? E dopo aver fatto divorzio con la ragione, con l’onore, col fiore della umanità, avrò io il coraggio di parlare di dignità, di libertà, d’indipendenza? Vana parola sarà questa ! Le catene della schiavitù si mostrerebbero di sotto l’orpello dell’orgoglio; la maschera bucata non nasconderebbe la figura della bestia, ed il buon senso ci seguirebbe dicendo: Mida, il re Mida ha gli orecchi di asino. Vadano pure gli indipendenti d’oggidì superbi di un tale complimento; noi altri gonzi, nol vogliamo a nessun prezzo. Vergognosa è la schiavitù professata al mondo, ma l’è più ancora quella del vizio. L’ingratitudine è vizio; la ghiottoneria è vizio, come l’è altresì l’impurità. Contro questi tre tiranni ci difendono il segno della croce, e la preghiera della mensa. L’ingratitudine. — L’hanno al presente due religioni, quella del rispetto, e quella del disprezzo. — La prima rispetta Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, le creature.—Per essa lutto è sacro; perché tutto è da Dio, tutto Gli appartiene, ed a Lui ritorna. Essa m’insegna usare di tutto con spirito di dipendenza, perché nulla mi appartiene; con spirito di timore, perché sarà mestieri rendere di tutto conto; con spirito di riconoscenza, perché tutto è benefizio, l’aria stessa che respiro. — La seconda disprezza tutto — Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, e le creature; i suoi settatori usano ed abusano della vita e de’ beni di Dio, quasi ne fossero proprietari ed irresponsabili. La prima ha scritto sulla sua bandiera, riconoscenza; la seconda ingratitudine. L’una e l’altra mostrano la loro presenza dal momento in cui l’uomo si assimila i doni di Dio col prendere il cibo necessario alla vita. Il fiore della umana famiglia prega e ringrazia; avendo tale coscienza della sua dignità da non soffrire che vada confusa con le bestie; ed è tale il sentimento del dovere, da non poter restare muto alla vista de’ benefizi di che è colmato. Esso trova, con ragione, mille volte più odiosa l’ingratitudine verso Dio che non lo sia quella esercitata contro gli uomini, e non può patire essere schiavo di tal vizio.— Vergogna per colui, cui la riconoscenza è peso insopportabile; il cuore ingrato non fu mai un buon cuore! – L’adepto alla religione del disprezzo si vergogna di essere riconoscente, e mangia come la bestia, o come il figlio snaturato, che non trova né nel suo cuore, né nelle sue labbra, una parola di gratitudine da indirizzare al padre, che, con bontà senza limiti, sopperisce ai bisogni e provvede ai piaceri di lui. E perché si sottrae al dovere, si crede libero! Si proclama indipendente! Indipendente da chi, e da che? Indipendente da quanto è da amare, e da rispettare: dipendente da quanto è degno di disprezzo, e bisogna odiare. L’è veramente gloriosa questa maniera d’indipendenza! — La ghiottoneria. — Altro tiranno che siede con noi al nostro desco, e che incatenando gli occhi, il gusto, l’odorato alle vivande, rende l’uomo adoratore del dio ventre. — Allora l’uomo non parla per l’abbondanza del cuore, ma dello stomaco ; egli non cerca la qualità de’ cibi atti a riparare le forze, ma quella che solletica il gusto; non mangia per vivere, ma fine e scopo del suo vivere è il mangiare. Di siffatto modo l’organismo sviluppa il suo impero, e l’intelligenza si affievolisce, diventa schiava. La delizia della carne non è compatibile con la saggezza; i grandi «omini non furono ghiottoni, tutti i santi sono stati modelli di sobrietà! [“Sapientia non invenitur in terra suaviter viventium”: Iob. XXVIII, 13]. Osserva bene, mio caro amico, che io parlo della ghiottoneria come ricercatezza negli alimenti, delicatezza nella scelta, avidità e sensualità nel mangiare, il che troppo sovente è seguito dalla intemperanza. Ora l’intemperanza mena seco un tal corteggio d’infermità e malattie, che la ghiottoneria uccide più uomini che la stessa spada: [“Plures occidit crapula, quam giadius” “Vigilia, cholera, et tortura viro infrunito. (Eccli. XXXI, 23, et XXXVI, 3].  Cosi Nabucodònosor, Faraone, Alessandro, Cesare, Tamerlano e tutti i carnefici coronati, che hanno coperto il mondo di cadaveri, hanno fatto morire minor numero di uomini che la ghiottoneria. Dispiacevole mistero è questo, che mostra tutta la saggezza, che v’ha nell’uso del segno della croce e della preghiera innanzi e dopo il pranzo. Con essa noi chiamiamo Dio a nostro soccorso, e ci armiamo contro un nemico che attacca tutte le età, tutti i sessi e le condizioni, e che agogna incatenarci al più grossolano de’ nostri istinti. Per essa, noi apprendiamo che mangiare è una guerra, e che per non essere vinti è mestieri, secondo il detto di un gran genio, prendere gli alimenti come le medicine per bisogno, e non per piacere [“Hoc docuisti me, Domine, ut quemadmodum medicamenta, sic alimenta sumpturus accedam”. S. August. Confess, lib. X, c. 311]. – L’impurità. — La schiavitù dell’animo cominciata per la ghiottoneria, si compisce con l’impurità. — Chi nutre delicatamente la sua carne, tosto ne subirà la rivolta vergognosa. — Cosa lussuriosa è il vino, in esso risiede la lussuria. Il vino puro nuoce alla sanità dell’anima, ed a quella del corpo. — Nello stomaco del giovane il vino è come l’olio nel fuoco. — La ghiottoneria è la madre della lussuria, ed il carnefice della castità. — Essere ghiottone e pretendere d’essere casto, è un voler estinguere il fuoco con l’olio. — La ghiottoneria estingue l’intelligenza.— Il ghiottone è un’idolatra, adora il dio ventre. — Il tempio del dio ventre è la cucina; l’altare, la tavola; i suoi sacerdoti, i cuochi; le vittime, le vivande; l’incenso, l’odore di esse. — Questo tempio è la scuola dell’impurità. — Bacco e Venere si danno la mano. — La ghiottoneria ci fa guerra continuamente; se trionfa chiama tosto la sua sorella, la lussuria. — La ghiottoneria e la lussuria sono due demoni inseparabili. — La moltitudine delle vivande, e delle bottiglie attira quella degli spiriti immondi, di cui il peggiore è il demonio del ventre. — La sanità fisica e morale de’ popoli, è da dedurre dal numero dei cuochi ». Intendi gli oracoli della saggezza divina, ed umana? È la voce dei secoli confermata dalla esperienza. Qual è il mezzo che ha l’uomo per conservare la sua libertà contro di un nemico, altrettanto più pericoloso, che seducendo incatena ed uccide? Il passato ed il presente non ne conoscono che un solo; il soccorso di Dio: l’avvenire non potrà conoscerne altri da questo. Il soccorso divino si ottiene da Dio con la preghiera, ed una prece particolare è stata stabilita presso tutti i popoli per fortificarsi contro le tentazioni della mensa. Ora se quelli, che la fanno, non restano sempre vittoriosi, come sarà possibile, che quelli, che non l’hanno in uso, che la disprezzano e la beffano, possano persuadersi che eglino restino vittoriosi sul campo di battaglia. Per crederlo, è mestieri avere ben altre prove dalle loro asserzioni, bisognano de’ fatti, e questi sono i loro costumi. Ch’essi mostrino i misteri de’ loro pensieri, de’ loro desideri, degli sguardi, de’ secreti discorsi, della loro condotta. Ma una tal mostra non è necessaria; noi l’abbiamo di continuo nella esposizione, che di sé fa lo scandalo della pubblica immoralità. – Il demonio. — Qui si mostra pienamente la stupida ignoranza del mondo attuale. — Per fermo che il sacro dovere della riconoscenza, come la imperiosa necessità di difendersi contro la gola e la voluttà, giustificano pienamente l’uso della benedizione della tavola; ma, io oso affermare ch’esso poggia su di una ragione più forte, e profonda. — Noi lo abbiamo detto: v’ha un dogma, mai dimenticato dal genere umano, che insegna esser tutte le creature sotto l’azione del principe del male, da poi che questo trionfò del padre della specie umana: tutti i popoli hanno creduto, come alla esistenza di Dio, che le creature, penetrate dalle maligne influenze del demonio, sono gli strumenti del suo odio contro l’uomo. Da siffatta credenza traggono origine le infinite purificazioni in uso presso tutte le religioni, in tutti i climi, lungo tutto il corso de’ secoli; ma v’ha una circostanza, in cui l’uso delle purificazioni si mostra invariabile, ed è quella del desinare. L’universalità, l’inflessibilità di questo uso nel prendere il cibo, è fondato su due fatti. —Il primo, che il demone della tavola è il più pericoloso; il secondo, che l’unione operata per l’azione del mangiare tra l’uomo ed il cibo è di tutte le unioni la più intima, questa arriva fino all’assimilazione. — L’uomo può dire del cibo digerito: È l’osso delle mie ossa, la carne della mia carne, il sangue del mio sangue. — Ecco perché, essendo le creature sì viziate, Iddio non ha fatto mai perdere di vista all’uomo il pericolo di tale azione. Che siffatto timore, sia la profonda ragione del segno della croce e delle preghiere su degli alimenti, è reso manifesto dalle formule stesse delle benedizioni, e dell’azione di grazie. Cristiani e pagani, tutti, senza alcuna eccezione, domandano, che, le tristi influenze a che le creature sono sottomesse, siano allontanate. Ecco qualche argomento, che calza meglio a’ tuoi compagni, e per essi più convincente di tutte le autorità della Chiesa. —Porfirio — il primo fra tutti i teologi del paganesimo, e l’interprete il più dotto dei misteri, e dei riti pagani, scriveva in siffatti termini: “È da sapere che tutte le abitazioni son piene di demoni; il perché si purificano scacciandone questi ospiti malefici col pregare gli dei. Ancor più: di essi tutte le creature sono piene, ed alcune specie di cibi particolarmente; di modo, che quando noi sediamo a mensa, non solo essi prendono posto di lato a noi, ma si attaccano al nostro corpo. Ecco la ragione dell’uso delle purificazioni, il cui scopo principale, non è solo invocare gli dei, ma altresì scacciare i demoni. Questi si dilettano di sangue e d’impurità, ed a soddisfare tale piacere s’introducono nei corpi di coloro che ad essi sono soggetti. Non v’ha movimento di voluttà violento, e desiderio veementemente disordinato, che non sia eccitato della presenza di questi ospiti » (Porphyr, apud Euseb. Praep. Erang. lib. IV. o. 22 ). Non ti parrebbe ciò scritto da san Paolo, tanto è precisa questa rivelazione del mondo soprannaturale? Oltre queste influenze occulte e permanenti di satana sugli alimenti, Iddio di tanto in tanto, permette dei fatti straordinari, che rivelano la presenza del nemico, e la necessità di allontanarlo dagli alimenti, innanzi di essi si taccia uso. Leggesi in S. Gregorio il Grande: “Nel monastero dell’abate Equizio accadde che una religiosa entrando nel giardino, vide una pianta di lattuga che le solleticava l’appetito. La prese, e dimenticando di fare il segno della croce, la mangiò avidamente. All’istante medesimo fu posseduta dal demonio, cadde rovescione per terra dimenandosi per fortissime convulsioni. Tosto accorre il santo Abate e prega Dio che si degnasse confortare la povera religiosa. Il demonio tormentato ancora esso per le preghiere, gridò: “Che mai ho fatto? Che ho fatto io? Io era su quella lattuga; la religiosa non me ne ha scacciato. In nome di Gesù Cristo l’Abate gli ordinò di uscire dal corpo della serva del Signore, e di non più tormentarla. Il demonio ubbidì, e la religiosa immantinente fu guarita » [S. Gregor. Dialog, lib. I, dial. IV.]. I fatti parlano come le autorità, la teologia pagana come la cristiana, l’oriente come l’occidente, l’antichità come i tempi moderni, Porfirio come san Gregorio. Quali autorità possono a queste opporre i tuoi compagni? Dire che il genere umano è un gonzo, e che l’uso universale di benedire gli alimenti sia una “superstizione fuori moda”, è facile cosa: ma io non so appagarmi di sole parole; però di’ a’ tuoi compagni, che se per legittimare l’uso di non benedire la mensa, possono apportare una ragione, che valga un soldo di Monaco, prometto loro, a seconda del gusto di ciascuno, o un merlo bianco, o un busto al Panteon. – Aspettando, resta stabilito, che pregare avanti il pranzo è una legge della umanità; e che era riserbato all’epoca nostra produrre degli spiriti forti che vanno superbi di assomigliarsi due volte al giorno a’ cani, a’ gatti, al coccodrillo.

PRESENTAZIONE DELLA VERGINE AL TEMPIO

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[Prov 8:34-36; 9:1-5]

Beatus homo qui audit me, et qui vigilat ad fores meas quotidie, et observat ad postes ostii mei. Qui me invenerit, inveniet vitam, et hauriet salutem a Domino. Qui autem in me peccaverit, laedet animam suam; omnes qui me oderunt diligunt mortem. – Sapientia aedificavit sibi domum: excidit columnas septem. Immolavit victimas suas, miscuit vinum, et proposuit mensam suam. Misit ancillas suas ut vocarent ad arcem et ad moenia civitatis. Si quis est parvulus, veniat ad me. Et insipientibus locuta est: Venite, comedite panem meum, et bibite vinum quod miscui vobis.

 [Beato l’uomo che mi porge ascolto e che veglia ogni giorno alla mia porta ed aspetta all’ingresso della mia casa. Chi troverà me, troverà la vita, e riceverà dal Signore la salvezza; Ma chi peccherà contro di me, nuocerà all’anima sua. Tutti coloro che mi odiano amano la morte. – La Sapienza si è fabbricata una casa, ha tagliato sette colonne. Immolò le sue vittime, versò il vino e imbandì la sua mensa. Mandò le sue ancelle, perché chiamassero, ai bastioni e alle mura della città: “Chi è fanciullo, venga da me”. Ed agli stolti disse: “Venite, mangiate del mio pane e bevete il vino che io vi versai”].

Hymnus

O gloriosa virginum,

Sublimis inter sidera,

Qui te creavit, parvulum

Lactente nutris ubere.

Quod Heva tristis abstulit,

Tu reddis almo germine:

Intrent ut astra flebiles,

Caeli recludis cardines.

Tu regis alti janua,

Et aula lucis fulgida:

Vitam datam per Virginem

Gentes redemptae plaudite.

* Jesu, tibi sit gloria,

Qui natus es de Virgine,

Cum Patre, et almo Spiritu

In sempiterna saecula. Amen.

[O gloriosa tra le Vergini, assisa al di sopra degli astri, Colui che t’ha creata tu nutrì col latte del tuo seno. Ciò che a noi tolse la triste Eva, tu rendi colla tua augusta prole; ainché i miseri trovino adito nell’empireo, tu del cielo schiudi le porte. Tu del gran Re sei la porta, Tu sei la corte fulgente di luce. O genti redente, applaudite alla vita dataci dalla Vergine. Sia gloria a te, o Gesù, che sei nato dalla Vergine, insieme col Padre e con lo Spirito Santo, per tutti i secoli. Amen.]

21 NOVEMBRE

PRESENTAZIONE DI MARIA SS. AL TEMPIO

presentazione

[Dom P. Guèranger. L’anno liturgico, vol. II]

Origine e carattere della festa.

La Presentazione di Maria, ultima festa mariana dell’anno liturgico, inferiore alle altre per solennità e iscritta molto tardi nel calendario, è tuttavia fra le più care al clero e alle persone consacrate a Dio. – Come è nato in Oriente il culto della Madonna, così in Oriente è sorta questa festa e vi era celebrata già nel secolo VII. – In Occidente, la Francia fu la prima ad accoglierla, alla corte romana di Avignone, nel 1372 e, un anno dopo, nella cappella del palazzo reale di Carlo V, il quale, anzi, con lettera del 10 novembre 1374 ai Maestri ed alunni del collegio di Navarra, espresse il desiderio che fosse celebrata in tutto il regno. – « Carlo, per grazia di Dio re dei Francesi, ai nostri amati sudditi: salute in Colui, che non cessa di onorare la Madre sua sulla terra. Fra gli altri oggetti della nostra sollecitudine, preoccupazione e riflessione di ogni giorno, occupa a buon diritto il primo posto nei nostri pensieri il desiderio che la Beata Vergine e Santissima Imperatrice sia da noi onorata con amore grandissimo e lodata come merita la venerazione che le è dovuta. È infatti nostro dovere renderle onore e, volgendo in alto gli occhi dell’anima nostra, sappiamo quale incomparabile protettrice sia per noi, quale potente mediatrice sia presso il suo benedetto Figlio per tutti coloro che la onorano con cuore puro… Volendo perciò esortare il nostro fedele popolo a celebrare la festa, come proponiamo Noi stessi di fare, a Dio piacendo, in tutti gli anni della nostra vita, ne inviamo l’Ufficio, affinché con la devozione aumentiamo le vostre gioie » (Launoy, Historia Navarrae gymnasii, Pars I, L. I, c. 10). – A quel tempo i principi parlavano così. E si sa come in quegli anni il saggio e pio re, proseguendo l’opera iniziata a Brétigny per mezzo della Vergine di Chartres, salvasse una prima volta dagli Inglesi la Francia sconfitta e smembrata. In quell’ora, critica per lo Stato come per la Chiesa, il sorriso di Maria Bambina portava all’uno e all’altra il grande beneficio della pace. – La festa odierna ricorda l’avvenimento più notevole e unico senza dubbio dell’infanzia della Santissima Vergine Maria: la sua Presentazione al Tempio da parte di Gioacchino e Anna e la sua consacrazione a Dio. Il fatto ci è riportato dagli apocrifi e particolarmente dal Protoevangelo di Giacomo, che nella prima parte risale al il secolo. Scritti posteriori ingraziosirono il racconto con mille dettagli, belli ma fantastici, dei quali si impadronirono tosto poeti, pittori e agiografi. La Chiesa accolse soltanto il fatto della Presentazione al Tempio.

La consacrazione di Maria.

Quando lo ritennero opportuno, san Gioacchino e sant’Anna condussero la loro piccola Bambina al Tempio e là, come ritengono parecchi santi, La consacrarono al Signore, che l’aveva loro concessa nella vecchiaia. – Da parte sua, Maria ratificò la consacrazione fatta dai genitori, la consacrazione già fatta nel momento della sua Concezione Immacolata e si donò senza riserve, volendo per tutta la vita essere la Serva del Signore. « La Madonna, diceva san Francesco di Sales, fa oggi un’offerta quale il Signore la vuole, perché, oltre la sua persona, che sorpassa tutte le altre, fatta eccezione del Figlio suo, offre tutto ciò che è, tutto ciò che ha e questo è quanto Dio chiede » (Opere, t. IX, p. 236).

I sentimenti di Maria.

L’Olier fa notare che « l’offerta, che Maria aveva fatta di se stessa fin dalla concezione immacolata, era segreta, ma che, come la religione comprende doveri interni e nascosti e doveri esterni e pubblici, Dio volle che rinnovasse l’offerta nel Tempio di Gerusalemme, unico santuario della vera religione allora esistente nel mondo intero, ed Egli stesso Le ispirò di andare ad offrirsi a Lui in quel luogo. La Bambina benedetta, santificata nella carne, l’anima penetrata e piena della divinità, mentre le sue facoltà naturali sembravano morte, era in tutto diretta dallo Spirito Santo. Con la sola attività del proprio spirito, chiudendo ogni porta alla saggezza umana, viveva soltanto secondo Dio, in Dio, per Dio e sotto la direzione stessa di Dio… » Posseduta dallo Spirito di Dio, tutta ardore e amore, era condotta al Tempio dallo Spirito divino, che la elevava oltre le possibilità dell’età e della natura. Bambina di tre anni appena, sale da sé i gradini del Tempio… per far vedere che soltanto lo Spirito divino La dirige e per insegnare a noi che, operando con la sua potenza nelle anime nostre. Egli è il vero sostegno delle nostre infermità… » Maria rinnova allora il voto di vittima e di ancella con amore ancora più puro, più grande, più nobile e più ammirabile di quando Io aveva emesso nel tempio sacro del seno di sant’Anna e tale amore, crescendo continuamente, sviluppandosi momento per momento, senza interruzioni e senza posa, la rende immensa. Tutta consumata da questo amore, non vuole avere di vita, movimento, libertà, spirito, corpo, niente altro che in Dio. Il dono fatto di sé è così vivo, ardente e stimolante che l’anima è, in ogni momento e in modo perpetuo, disposta ad abbandonarsi in Dio, ad appartenergli sempre di più, convinta di non esserlo mai abbastanza e desiderosa di esserlo maggiormente, se le è possibile… » Infine, offrendosi a Dio, come ostia viva a Lui consacrata in tutto quello che è e in tutto quello che sarà un giorno, rinnova la consacrazione a Dio di tutta la Chiesa, che già aveva fatta nel momento della sua Concezione e specialmente la consacrazione delle anime, che, seguendo il suo esempio, si sarebbero consacrate al divino servizio in tante sante comunità. In quel giorno la legge antica vede realizzarsi qualcosa di quello che essa significava: il Tempio di Gerusalemme vede compiuta una delle sue speranze e accoglie fra le sue mura uno dei templi dei quali è immagine la Santissima Vergine Maria, tempio vivo di Cristo, come Gesù sarà tempio vivo e perfetto della divinità » (Vie intérieure de la Sainte Vierge, pp. 127-133).

Dopo la Presentazione.

Maria non resta al tempio, perché nessuno meglio di Gioacchino e Anna sono preparati ad educare la Madre di Dio; ma vi ritorna spesso per essere iniziata alla legge mosaica, per unirsi ai sacrifici offerti a Dio ogni giorno e pregarLo di inviare presto il Messia promesso e tanto atteso. – « Conoscendo pienamente i misteri del Figlio di Dio… Maria contempla e adora Gesù Cristo in tutte le figure della liturgia mosaica. Al tempio è come circondata da Cristo, Lo vede dappertutto e, in certo senso, Ella è la pienezza della Legge, poiché compie al momento del declino della Legge, ciò che questa non aveva ancora potuto consumare dalla sua istituzione. Vedendo le vittime del tempio. Maria sospira per la morte della vittima annunziata dai profeti, per la morte di Colui che salverà il mondo e che sarà ad un tempo Sacerdote, Vittima e Tempio del suo sacrificio. Maria adempie senza saperlo in quel tempo le funzioni sante del sacerdozio che avrebbe esercitato sul Calvario… è il Sacerdote universale, il sommo Sacerdote della Legge, il Pontefice magnifico, che immola in anticipo, spiritualmente. Gesù Cristo alla gloria del Padre… E, come offre a Dio Se stessa, in tutto quello che è e in tutto quello che sarà, offre, nello stesso tempo, tutta la Chiesa. » La Legge richiamava il Messia… La Santissima Vergine lo chiama con maggiore potenza ed efficacia, più dei Patriarchi e dei Profeti, per la sua inimitabile santità, per le sue qualità auguste, per l’ardore della carità verso gli uomini e per l’amore ardentissimo e veemente per il Verbo incarnato, del quale già contempla la bellezza affascinante, nelle comunicazioni del Verbo stesso, delle quali il Padre si compiace favorirla… » (Olier, ibid. pp. 137-144). La festa della Presentazione è così per noi provvidenziale preparazione al periodo liturgico dell’Avvento, ormai vicino, durante il quale, insieme con tutti i santi del Vecchio Testamento e soprattutto uniti alla preghiera di Maria, chiederemo per le anime nostre e per il mondo intero il grande beneficio della nuova nascita del Salvatore.

Preghiera.

« Rallegratevi con me voi tutti che amate il Signore, perché, ancora piccolina, piacqui all’Altissimo » (Secondo respons. del primo Notturno dell’Uff. della Madonna). Nell’Ufficio cantato in tuo onore ci rivolgi, o Maria, questo invito e quale festa meglio di questa lo giustificherebbe? Quando, piccola più per l’umiltà che per l’età, candida e pura salivi i gradini del tempio, il cielo dovette riconoscere che ormai le compiacenze dell’Altissimo erano per la terra. Gli Angeli, in una pienezza di luce mai vista, compresero le tue grandezze incomparabili, e la maestà di un Tempio in cui Dio raccoglieva un omaggio superiore a quello dei nove Cori angelici, la prerogativa augusta del Vecchio Testamento di cui eri Figlia e i cui insegnamenti perfezionavano in Te la formazione della Madre di Dio. – Tuttavia la santa Chiesa Ti dichiara imitabile per noi in questo mistero della Presentazione, come in tutti gli altri, o Maria (Lezione seconda del secondo Notturno). Degnati particolarmente benedire i privilegiati che la grazia della vocazione fa abitare qui in terra nella casa del Signore e siano essi pure il fertile ulivo (Eccli. 24, 19) nutrito dello Spirito Santo col quale oggi ti paragona san Giovanni Damasceno (Lezione prima del secondo Notturno). Ma non è forse ogni cristiano, per il suo Battesimo, cittadino e membro della Chiesa, vero santuario di Dio del quale il tempio di Gerusalemme è soltanto figura? Per tua intercessione ci sia possibile seguirTi da vicino nella tua felice Presentazione, per meritare di essere noi pure presentati, al tuo seguito, all’Altissimo nel tempio della sua gloria.

Dal libro di san Giovanni Damasceno sulla fede ortodossa.

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Libro 4, cap. 15.

Gioacchino si scelse per sposa Anna, donna piena di meriti e degna dei più grandi elogi. Ma come la primiera Anna, provata dall’afflizione della sterilità, ottenne con la preghiera e con un voto la nascita di Samuele; così pure costei ottenne con suppliche e con una promessa la Madre di Dio, onde neppur qui la cede a nessuna delle donne più illustri. Così la grazia (che questo vuol dire il nome di Anna) dà alla luce la Sovrana (questo significa il nome di Maria). La quale infatti è veramente stata costituita la Sovrana di tutte le creature, divenendo la Madre del Salvatore. Ella vede la luce nella casa di Gioacchino, detta la piscina probatica, e più tardi è condotta nel empio. Piantata così nella casa di Dio e nutrita dallo Spirito Santo, ella, simile a fertile olivo, diviene il santuario d’ogni virtù, distaccando il suo cuore da tutte e cupidigie di questa vita e della carne, e conservando la sua anima vergine unitamente al suo corpo, come conveniva a colei che doveva ricevere Dio nel suo seno.

Hymnus 

Quem terra, pontus, sídera

Colunt, adórant, prædicant,

Trinam regéntem máchinam,

Claustrum Maríæ bájulat.

Cui luna, sol, et ómnia

Desérviunt per témpora,

Perfúsa cæli grátia,

Gestant puéllæ víscera.

Beáta Mater múnere,

Cujus supérnus ártifex

Mundum pugíllo cóntinens,

Ventris sub arca clausus est.

Beáta cæli núntio,

Foecúnda sancto Spíritu,

Desiderátus géntibus,

Cujus per alvum fusus est.

* Jesu, tibi sit glória,

Qui natus es de Vírgine,

Cum Patre, et almo Spíritu

In sempitérna sæcula. Amen.

[Colui che la terra, il mare, il cielo, venerano, adorano ed esaltano, colui che governa questo triplice mondo Maria portò nel suo seno. Colui al quale la luna, il sole, e tutte le cose obbediscono da tutti i tempi, portò il grembo della Vergine, penetrato dalla grazia celeste. Madre beata per sì grande dono: l’Artefice sommo, che nel pugno contiene il mondo, si raccolse nell’arca del tuo seno. Beata all’annuncio del cielo, feconda di Spirito Santo, il desiderato delle genti venne alla luce nel tuo seno. O Gesù, sia gloria a te che sei nato dalla Vergine, con il Padre e lo Spirito Santo, per tutti i secoli.].

 

 

 

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “QUI PLURIBUS”

In questa bella giornata di novembre, si ha tanta voglia di respirare aria pura, per ripulire dai veleni dell’aria i polmoni e le vie respiratorie, purificare il sangue, far affluire ossigeno puro al cervello, al cuore e a tutto il corpo. A maggior ragione si sente la necessità di purificare l’anima, lo spirito da tanto smog spirituale, dalle venefiche esalazioni del novus ordo, dal tanfo sulfureo che proviene dalle chiese una volta cattoliche ed oggi usurpate dai modernisti, dagli abominevoli e pestilenziali odori dello sterco massonico! Noi cattolici abbiamo bisogno di respirare a pieni polmoni, con la mente, l’intelletto e la memoria, l’ossigeno purissimo del Magistero cattolico, parola stessa di Dio, infallibile ed irreformabile. Oggi vogliamo deliziarci con una Enciclica, la prima scritta dal Santo Padre da poco insediato, S. S. Pio IX, del novembre del 1846, un giorno probabilmente simile all’odierno. Notiamo come è respinto con vigore tutto quanto oggi propugnato da false, idolatre e paganeggianti false pseudo-autorità religiose. Respiriamo quindi l’ossigeno purissimo, profumato di santità, dell’Enciclica “Qui pluribus”. All’epoca il Pontefice vedeva addensarsi le nubi minacciose dell’apostasia, oggi purtroppo siamo in piena tempesta ma, dopo i tre giorni di buio profetizzati, aspettiamo che torni il sereno ed il rinnovato splendore per la Chiesa di Cristo, e per il suo Capo visibile, il vero successore di S. Pietro. Nessun altro commento: leggiamo con devozione e somma gratitudine a Dio! “Qui pluribus iam abhinc annis una Vobiscum …. “

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S. S. Pio IX:

“Qui pluribus”

De huius temporis erroribus

Erano già molti anni da quando, insieme con Voi, Venerabili Fratelli, Ci affaticavamo secondo le Nostre forze di adempiere l’ufficio episcopale, sovraccarico di tante sollecitudini, e di pascere nei monti, nei rivi e nei pascoli ubertosi d’Israele la porzione del gregge cristiano affidata alle Nostre cure, quand’ecco, per la morte dell’illustre Predecessore Nostro Gregorio XVI (del quale ammireranno certamente i posteri la memoria e le gesta gloriose registrate con auree note nei fasti della Chiesa), subitamente e fuor d’ogni Nostra previsione fummo innalzati per arcano consiglio della divina Provvidenza al supremo Pontificato, non senza grandissimo turbamento e trepidazione dell’animo Nostro. Infatti, se il peso del ministero apostolico fu sempre giustamente reputato gravissimo e pericoloso, assai più terribile riesce in questi tempi difficilissimi per la società cristiana. – Noi, conoscendo appieno la Nostra debolezza, nel considerare i gravissimi uffici del supremo Apostolato, massimamente in mezzo a tante vicissitudini, Ci saremmo abbandonati alla mestizia e al pianto se non confidassimo in Dio, che è Nostra salvezza, che non abbandona mai chi pone in Lui la sua speranza, e che, per manifestare la virtù della sua potenza, a reggere la sua Chiesa sceglie sovente chi è più debole, affinché tutti sempre più conoscano essere la Chiesa da Lui solo governata e difesa con ammirabile provvidenza. Grandemente ancora Ci conforta la consolazione che abbiamo da Voi, Venerabili Fratelli, da Voi che siete compagni e coadiutori Nostri nel procurare la salvezza delle anime e che, chiamati a partecipare delle Nostre sollecitudini, con ogni cura e con ogni studio attendete all’adempimento del vostro ministero e alle opere della santa milizia. – Allorché dunque Ci fummo assisi, benché immeritevoli, in questa sublime Cattedra del Principe degli Apostoli, e nella persona del Beato Pietro ricevemmo dallo stesso eterno Principe dei Pastori il gravissimo ufficio di pascere e governare non solo gli agnelli, cioè l’universo Popolo cristiano, ma anche le pecore, cioè i Vescovi, niente certamente desiderammo più che d’indirizzare a Voi tutti una parola che Vi dimostrasse l’intimo affetto di carità che Ci stringe a Voi. Pertanto, dopo aver preso, secondo il costume e l’istituto dei Nostri Predecessori, nella Basilica Lateranense il possesso del sommo Pontificato, senza frapporre indugio, con questa lettera eccitiamo la Vostra esimia pietà, affinché con sempre maggiore alacrità e diligenza vegliate sul gregge affidatovi e, combattendo il nemico dell’uman genere con vigore e costanza episcopali (come conviene a buoni soldati di Gesù Cristo), stiate saldi per la difesa della casa d’Israele. – Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto acerba e terribile guerra muovano, in questa nostra età, contro la Chiesa cattolica uomini congiunti fra loro in empia unione, avversari della sana dottrina, disdegnosi della verità, intenti a tirare fuori dalle tenebre ogni mostro di opinioni, e con tutte le forze accumulare, divulgare e disseminare gli errori presso il popolo. Con orrore certamente e con dolore acerbissimo ripensiamo tutte le mostruosità erronee e le nocive arti e le insidie con le quali si sforzano questi odiatori della verità e della luce, peritissimi artefici di frodi, di estinguere ogni amore di giustizia e di onestà negli animi degli uomini; di corrompere i costumi; di sconvolgere i diritti umani e divini; di scuotere e, se pur potessero, di rovesciare dalle fondamenta la Religione cattolica e la società civile. – Sapete, Venerabili Fratelli, che questi fierissimi nemici del nome cristiano, miseramente tratti da un cieco impeto di folle empietà, sono giunti a tale temerità di opinioni che “aprendo la bocca a bestemmiare Iddio” (Ap 13,6) con inaudita audacia, non si vergognano d’insegnare apertamente che i sacrosanti misteri della nostra Religione sono invenzioni umane; accusano la dottrina della Chiesa cattolica di contraddire al bene ed ai vantaggi della società umana; né temono di rinnegare la divinità di Cristo medesimo. E per potere più facilmente sedurre i popoli ed ingannare gl’incauti e gl’inesperti, si vantano che solo a loro siano note le vie della prosperità umana; né dubitano di arrogarsi il nome di filosofi, quasi che la filosofia, che si aggira tutta nella investigazione delle verità naturali, debba rifiutare quelle che lo stesso supremo e clementissimo Autore della natura, Iddio, per singolare beneficio e misericordia si è degnato di manifestare agli uomini, affinché conseguano vera felicità e salvezza. Quindi con fallace e confuso argomento non cessano mai di magnificare la forza e l’eccellenza della ragione umana contro la fede santissima di Cristo, e audacemente blaterano che la medesima ripugna alla ragione umana. Del che niente si può pensare od immaginare né di più stolto, né di più empio, né di più ripugnante alla ragione medesima. Sebbene infatti la fede sia al di sopra della ragione, pur tuttavia fra di esse non si può trovare nessuna vera discordanza e nessun dissidio, quando ambedue prendono origine da una stessa fonte d’immutabile ed eterna verità, da Dio Ottimo Massimo; e per tale motivo vicendevolmente si aiutano, di modo che la retta ragione dimostra e difende la verità della fede, e la fede libera la ragione da ogni errore e mirabilmente la illustra, la rafforza e la perfeziona con la cognizione delle cose divine. – Né con minore fallacia certamente, Venerabili Fratelli, questi nemici della divina rivelazione, con somme lodi esaltando il progresso umano, vorrebbero con temerario e sacrilego ardimento introdurlo perfino nella Religione cattolica; come se essa non fosse opera di Dio, ma degli uomini, ovvero invenzione dei filosofi, da potersi con modi umani perfezionare. – Contro siffatto delirare possiamo ben ridire la parola con cui Tertulliano rimproverava i filosofi della sua età, “che fecero il Cristianesimo Stoico, o Platonico, o Dialettico” . E certamente poiché non è la nostra santissima Religione un risultato della ragione umana, ma fu da Dio clementissimamente manifestata agli uomini, ognuno intende facilmente che dall’autorità di Dio medesimo essa acquista ogni sua forza, né la ragione umana può mutarla o perfezionarla. – Bensì alla umana ragione appartiene il cercare con ogni diligenza il fatto della rivelazione, affinché non sia ingannata ed erri in una cosa di tanta importanza, e per rendere a Dio un ossequio ragionevole, come sapientissimamente insegna l’Apostolo, quando sia certa che Iddio le ha parlato. – Chi infatti ignora o può ignorare che a Dio che parla si debba prestare ogni fede, e che alla ragione medesima niente sia più conforme che l’acquietarsi e l’aderire fermamente alle cose che si conoscano rivelate da Dio il quale non può essere né ingannato né ingannatore? – Ma quanti meravigliosi e splendidi argomenti esistono per convincere l’umana ragione che la Religione di Cristo sia divina e che “ogni principio dei nostri dogmi venga dal Signore dei Cieli” ; e però della nostra fede niente sia più certo, più sicuro, più santo ed edificato sopra più soldi fondamenti! Questa fede, maestra della vita, guida della salvezza, liberatrice di tutti i vizi, feconda madre e nutrice di virtù, fu sigillata con la nascita, la vita, la morte, la resurrezione, la sapienza, i prodigi, le predizioni del suo autore e perfezionatore Gesù Cristo. Sfolgoreggiante da ogni parte di una luce di soprannaturale dottrina; arricchita dei tesori delle celesti dovizie; ampiamente illustre ed insigne per i vaticini dei profeti, per lo splendore di tanti miracoli, per la costanza di tanti martiri, per la gloria di tutti i santi; questa fede vivificata dalle salutari leggi di Cristo, ritraendo sempre nuova vita dalle stesse crudelissime persecuzioni, con il solo vessillo della Croce percorse l’orbe universo e per terra e per mare, dal luogo ove nasce sin dove muore il sole. Dileguata la fallacia degli idoli, sgombrata la caligine degli errori, trionfando di ogni sorta di nemici, illuminò con la luce delle dottrine e assoggettò al soavissimo giogo di Cristo medesimo popoli, genti, nazioni quantunque barbare per ferocia, e diverse d’indole, di costumi, di leggi, d’istituti, annunziando a tutti la pace, annunziando beni. Le quali cose certamente risplendono da ogni parte di tanta luce, di sapienza e di potenza divina, che la mente ed il pensiero di ciascuno facilmente intendono che la fede di Cristo è opera di Dio. – Pertanto la ragione umana, conoscendo chiaramente per siffatti argomenti splendidissimi e fermissimi, che Dio è l’autore della fede, non può sospingersi più oltre, ma, tolta ogni difficoltà e rimosso ogni dubbio, conviene che presti ossequio alla fede medesima, tenendo per cosa data da Dio tutto ciò che essa propone da credere e da fare. – E di qui si vede chiaro quanto errino coloro che, abusando della ragione e stimando opera umana la parola di Dio, a loro arbitrio osano spiegarla ed interpretarla, quando Iddio medesimo ha costituito una viva autorità, la quale insegni e stabilisca il vero e legittimo senso della sua celeste rivelazione, e con infallibile giudizio definisca ogni controversia di fede e di costumi, affinché i fedeli non siano raggirati da ogni turbinio di dottrina, né siano per umana nequizia indotti in errore. La quale viva ed infallibile autorità è in quella sola Chiesa che da Cristo Signore fu edificata sopra Pietro, Capo, Principe e Pastore della Chiesa universale, la cui fede, per divina promessa, non verrà mai meno, ma sempre e senza intermissione durerà nei legittimi Pontefici i quali, discendendo dallo stesso Pietro ed essendo collocati nella sua Cattedra, sono anche eredi e difensori della sua medesima dottrina, della dignità, dell’onore e della sua potestà. E poiché “ove è Pietro ivi è la Chiesa” , e “Pietro parla per bocca del Romano Pontefice” , e “sempre vive nei suoi successori, e giudica” , e “appresta la verità della fede a coloro che la cercano” , perciò le divine parole sono da interpretare nel senso che ha tenuto e tiene questa Romana Cattedra del beatissimo Pietro; “la quale, madre di tutte le Chiese e maestra” , sempre serbò la fede consegnatale da Cristo Signore integra ed inviolata, ed in quella ammaestrò i fedeli, mostrando a tutti la via della salute e la dottrina dell’incorrotta verità. Ed è questa appunto la “principale Chiesa donde nacque l’unità sacerdotale” ; questa la metropoli della pietà “nella quale è intera e perfetta la solidità della Religione cristiana” , “nella quale sempre fiorì il principato della Cattedra Apostolica” , “cui a motivo del suo primato è necessario che si stringa ogni altra Chiesa, cioè dovunque sono i fedeli” , “perché chi non raccoglie con lei, disperde” . – Noi dunque, che per imperscrutabile giudizio di Dio siamo collocati in questa Cattedra di verità, eccitiamo grandemente nel Signore la Vostra egregia pietà, Venerabili Fratelli, affinché con ogni sollecitudine e con ogni studio vogliate assiduamente ammonire ed esortare i fedeli affidati alla Vostra cura che, aderendo fermamente a questi principi, non si lascino mai ingannare da coloro che, sotto specie dell’umano progresso ma con abominevole intenzione, vogliono distruggere la fede ed assoggettarla empiamente alla ragione, e manomettere la parola del Signore, con grandissima ingiuria a Dio medesimo che, mediante la sua celeste Religione, con tanta clemenza provvide al bene ed alla salute degli uomini. – Conoscete ancora, Venerabili Fratelli, altre mostruosità di errori ed altre frodi, con cui i figli del secolo acerbamente impugnano la divina autorità e le leggi della Chiesa, per conculcare insieme i diritti della potestà civile e di quella sacra. A questo mirano inique macchinazioni contro questa Romana Cattedra del Beatissimo Pietro, nella quale Cristo pose l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa. A questo mirano altresì quelle sette segrete che occultamente sorsero dalle tenebre per corrompere gli ordini civili e religiosi, e che dai Romani Pontefici Nostri Predecessori più volte furono condannate con lettere apostoliche che Noi, con la pienezza della Nostra Potestà Apostolica, confermiamo e ordiniamo che siano diligentissimamente osservate. Questo vogliono le scaltrissime società Bibliche mentre, rinnovando le vecchie arti degli eretici, senza badare a spese non si peritano di spargere fra gli uomini anche più rozzi i libri delle divine Scritture, volgarizzati contro le santissime regole della Chiesa e sovente corrotti con perverse spiegazioni, affinché, abbandonate la divina tradizione, la dottrina dei Padri e l’autorità della Chiesa cattolica, tutti interpretino la parola del Signore secondo il loro privato giudizio e, guastandone il senso, cadano in errori gravissimi. – Gregorio XVI di santa memoria, al quale seppure con minori meriti siamo succeduti, emulando gli esempi dei suoi Predecessori, con sua lettera apostolica riprovò tali società , e Noi parimenti le vogliamo condannate. Altrettanto diciamo di quel sistema che ripugna allo stesso lume della ragione naturale, che è l’indifferenza della Religione, con il quale costoro, tolta ogni distinzione fra virtù e vizio, fra verità ed errore, fra onestà e turpitudine, insegnano che qualsivoglia religione sia ugualmente buona per conseguire la salute eterna, come se fra la giustizia e le passioni, fra la luce e le tenebre, fra Cristo e Belial potesse mai essere accordo o comunanza. Mira al medesimo fine la turpe cospirazione contro il sacro celibato dei Chierici, fomentata, oh che dolore!, anche da alcuni uomini di Chiesa, miseramente dimentichi della propria dignità, e cedevoli agli allettamenti della voluttà. A questo tende altresì la perversa istituzione di ammaestrare nelle discipline filosofiche, con le quali si corrompe l’incauta gioventù, propinandole il fiele del drago nel calice di Babilonia. – A questo punta la nefanda dottrina del Comunismo, come dicono, massimamente avversa allo stesso diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo. A questo aspirano le tenebrose insidie di coloro che, in vesti di agnelli, ma con animo di lupi, s’insinuano con mentite apparenze di più pura pietà e di più severa virtù e disciplina: dolcemente sorprendono, mollemente stringono, occultamente uccidono; distolgono gli uomini dalla osservanza di ogni religione, e fanno scempio del gregge del Signore. – Che diremo infine, per tralasciare molte altre cose a Voi notissime, del terribile contagio di tanti volumi e libercoli che volano da ogni parte ed insegnano a peccare, artificiosamente composti, pieni di fallacia, con immensa spesa disseminati per ogni luogo a divulgare pestifere dottrine, a depravare le menti e gli animi degli incauti con gravissimo detrimento della Religione? Da questa colluvie di errori e da questa sfrenata licenza di pensiero, di parole e di scritture, avviene poi che si peggiorino i costumi, che sia dispregiata la santissima Religione di Cristo e vituperata la maestà del culto divino, che sia travagliata la potestà di questa Sede Apostolica, combattuta e ridotta in turpe schiavitù l’autorità della Chiesa, conculcati i diritti dei Vescovi, violata la santità del matrimonio, scosso il governo d’ogni autorità, oltre tanti altri danni della società cristiana e civile, che insieme con Voi, Venerabili Fratelli, siamo costretti a lamentare. – In tante vicende dunque di cose e di tempi, angustiati nel profondo del cuore per la salvezza del gregge a Noi divinamente affidato, niente lasceremo intentato, niente non provato secondo il dovere del Nostro apostolico ministero, per provvedere con tutte le forze al bene della famiglia cristiana. Ma la Vostra illustre pietà, la Vostra virtù, la Vostra prudenza, Venerabili Fratelli, Noi eccitiamo nel Signore, affinché mediante il celeste aiuto, insieme con Noi, difendiate coraggiosamente la causa di Dio e della Chiesa, come domandano il luogo in cui sedete e la dignità di cui siete rivestiti. Con quanto ardore dobbiate combattere, bene intendete vedendo le ferite della intemerata Sposa di Cristo e l’impeto acerbissimo dei suoi nemici. E primieramente ben sapete essere Vostro compito difendere con episcopale vigore la fede cattolica e vegliare con ogni studio affinché il gregge a Voi consegnato rimanga stabile ed immobile nella fede: chi “non l’avrà serbata integra ed inviolata, senza dubbio perirà in eterno” . A difendere pertanto ed a conservare questa fede ponete ogni diligenza, non cessando mai d’insegnarla a tutti, raffermando gl’incerti, convincendo i contraddittori, confortando i deboli, nulla dissimulando o tollerando che possa in alcun modo ottenebrare la purezza della fede medesima. Né con minore forza d’animo fomenterete in tutti l’unione con la Chiesa cattolica, fuori della quale non vi è salvezza, e l’obbedienza verso questa Cattedra di Pietro alla quale, come a fermissimo fondamento, tutto l’edificio della Nostra santissima Religione sta appoggiato. Con pari costanza però abbiate cura di custodire le santissime leggi della Chiesa, per le quali fioriscono e s’invigoriscono la virtù e la Religione. – Essendo poi “gran pietà l’aprire i nascondigli degli empi e debellare in essi il demonio a cui servono” , per quanto è in Noi Vi preghiamo che scopriate al popolo fedele le svariate insidie, le frodi, gli errori dei nemici; e lo allontaniate diligentemente dai libri pestiferi; e lo esortiate assiduamente affinché fuggendo le sette e le società degli empi come la faccia del serpente, eviti con la massima cura tutte quelle cose che avversano l’integrità della fede, della Religione e dei costumi. – Perciò non sia mai che Voi cessiate di predicare il Vangelo, in modo che il popolo cristiano ogni giorno cresca più erudito nei santi precetti della legge cristiana e nella scienza di Dio, si allontani dal male, faccia il bene e cammini nelle vie del Signore. E poiché Voi sapete che siete ambasciatori di Cristo, che si protestò di essere mansueto ed umile di cuore, e che non venne per chiamare i giusti ma i peccatori, lasciando a noi esempio affinché seguissimo le sue orme, non stancatevi se alcuni troverete erranti, fuori della via della verità e della giustizia, di richiamarli e di rimproverarli con animo dolce e mansueto e con paterne ammonizioni, e di riprenderli ed ammonirli con ogni bontà, pazienza e dottrina, “quando spesso verso i malvagi possa più la benevolenza della severità e delle minacce, più la carità della forza” . – Procurate ancora con ogni efficacia, Venerabili Fratelli, di far sì che i fedeli seguano la carità, cerchino la pace ed adempiano attentamente le opere della carità e della pace, in modo che deposte le inimicizie, composte le discordie, tutti si amino con vicendevole carità, siano perfetti nell’unità del sentire e del volere, ed abbiano una medesima parola e siano unanimi in Gesù Cristo Signor Nostro. Inculcate nel popolo cristiano l’obbedienza e la soggezione dovuta ai Principi ed alle potestà, insegnando secondo la dottrina dell’Apostolo che “non è potestà se non da Dio” (Rm XII,1.2), e che coloro che resistono alla potestà resistono al volere di Dio e quindi si acquistano la dannazione; mai da nessuno possa essere violato senza colpa il precetto di ubbidire alla stessa potestà, a meno che non sia comandata qualche cosa che contrasti alle leggi di Dio e della Chiesa. – Ma poiché “niente serve ad istruire gli altri nella pietà e nel culto del Signore, quanto la vita e l’esempio di coloro che si dedicarono al divino ministero” , e poiché tale suole essere per lo più il popolo, quali sono i sacerdoti, nella Vostra singolare sapienza vedete chiaramente, Venerabili Fratelli, che dovete Voi con sommo studio lavorare affinché il Clero sia ornato di serietà di costumi, integrità di vita, santità e dottrina, affinché sia diligentissimamente mantenuta la disciplina ecclesiastica secondo le norme dei sacri canoni, ed ove fosse caduta si restituisca nell’antico splendore. Per questo ben sapete quanto dobbiate guardarvi, per comando dell’Apostolo, d’imporre inconsideratamente le mani, ma vorrete iniziare nei sacri ordini e destinare a trattare i santi misteri soltanto coloro che per diligente indagine conoscerete degni di onorare le Vostre diocesi con la virtù e la sapienza, fuggendo tutto ciò che ai chierici è vietato, attendendo alla lettura, alle esortazioni, alla dottrina, “facendosi esempio dei fedeli nelle parole, nella conversazione, nella carità, nella fede, nella castità” (1Tm IV,12), per meritarsi la venerazione di tutti ed infiammare il popolo negli esercizi della Religione cristiana. Meglio è certamente, come sapientissimamente ammonisce l’immortale Benedetto XIV Nostro Predecessore, “meglio è avere minor numero di ministri, ma buoni, idonei ed utili anziché molti, i quali poi nulla valgano nella edificazione del corpo di Cristo, che è la Chiesa” .

Né ignorate di dovere con maggior diligenza investigare principalmente i costumi e la scienza di coloro ai quali si commette la cura ed il reggimento delle anime, affinché, come fedeli dispensatori della multiforme grazia di Dio, procurino continuamente di pascere e aiutare il popolo a loro affidato con l’amministrazione dei sacramenti, con la predicazione della divina parola, con l’esempio delle buone opere, e conformarlo ai precetti, agli istituti ed agli insegnamenti della Religione per condurlo nelle vie della salvezza. Voi comprendete chiaramente che se i Parroci ignorano o trascurano il loro ufficio, ne segue tosto che i costumi dei popoli si corrompano, si rilassi la disciplina cristiana, si rallenti e si scuota il culto della Religione, e nella Chiesa si introducano facilmente tutti i vizi e le corruttele. Affinché poi la parola di Dio che “viva, efficace e più penetrante di una spada a doppio taglio” (Eb IV,12) ci è stata data in salute delle anime, per colpa dei ministri non divenga infruttuosa, non cessate giammai, Venerabili Fratelli, di ammonire i sacri oratori che, ben valutando la gravità del loro ufficio, esercitino religiosissimamente il ministero evangelico, non già con gli argomenti della persuasione umana, né con ambizioso e vuoto apparato di umana eloquenza, ma con la manifestazione dello spirito e della virtù, in modo che trattando rettamente la parola della verità, e non predicando se stessi, ma Cristo Crocifisso, apertamente e chiaramente con grave e limpido linguaggio, secondo la dottrina della Chiesa cattolica e dei Padri annunzino ai popoli i dogmi ed i precetti della nostra santissima Religione, spieghino accuratamente i particolari doveri di ciascuno, ispirino in tutti l’orrore della colpa, infiammino alla pietà, affinché i fedeli, salutevolmente ristorati con la parola di Dio, evitino i vizi, seguano le virtù, fuggano le pene eterne, e siano fatti capaci di conseguire la gloria celeste. – Con la Vostra pastorale sollecitudine e prudenza avvertite, eccitate sempre gli ecclesiastici tutti a meditare quale ministero abbiano ricevuto nel Signore, così che tutti adempiano diligentissimamente il proprio ufficio, amino soprattutto il decoro della Casa di Dio, e con intimo senso di pietà e senza interruzione preghino fervidamente, e secondo il precetto della Chiesa recitino le ore canoniche, con le quali possono impetrare per sé divini aiuti che li soccorrano nelle gravi incombenze del loro ufficio, e possano ancora rendere Dio placato e propizio al popolo cristiano. – Siccome poi, Venerabili Fratelli, alla Vostra sapienza non sfugge che la Chiesa non può avere idonei ministri se non da Chierici ottimamente cresciuti ed istruiti e che dalla loro istruzione per gran parte dipende tutto il corso del rimanente della loro vita, così tutto il nerbo del Vostro zelo episcopale sia principalmente indirizzato a questo: a che i giovani Chierici fin dai teneri anni siano correttamente ammaestrati nella pietà, nella solida virtù, nelle lettere e nelle più severe discipline, soprattutto nelle sacre. Per la qual cosa niente avrete più a cuore di procurare con ogni mezzo la istituzione dei seminari, secondo le prescrizioni dei Padri Tridentini, dove ancora non esistono; dove già sono istituiti vorrete, se sia necessario, ampliarli e fornirli di ottimi rettori e di maestri, e con attentissimo e continuo studio vegliare affinché i giovani Chierici vi siano santamente e religiosamente educati nel timore di Dio, nella disciplina ecclesiastica, nelle scienze sacre secondo la dottrina cattolica, scevre da ogni errore, nelle tradizioni della Chiesa, negli scritti dei Santi Padri, nelle sacre cerimonie, nei riti; così potrete avere forti ed industriosi operai i quali, di animo veramente sacerdotale rettamente avviati negli studi, abbiano forza di coltivare diligentemente nella calamità il campo del Signore, e di combatterne strenuamente le battaglie. – Oltre a questo, conoscendo quanto valga a conservare la dignità e la santità dell’ordine ecclesiastico il pio istituto degli esercizi spirituali, il Vostro zelo episcopale curerà sommamente questa salutare opera, né tralascerete di ammonire e di esortare tutti coloro che sono chiamati al servizio divino, affinché spesso si ritraggano in santa solitudine per deporre le cure esteriori e, con la meditazione delle cose eterne e divine, si purifichino dalle macchie contratte tra la polvere mondana, e possano rinnovare lo spirito ecclesiastico e, spogliato l’uomo vecchio, con le sue opere rivestire il nuovo che è creato in giustizia e santità. – Né Vi rincresca se alquanto più lungamente Ci siamo intrattenuti intorno alla educazione ed alla disciplina del Clero. Non ignorate, infatti, che vi sono molti i quali, infastiditi per la incostanza e mutabile varietà degli errori, sentono la necessità di professare la nostra Religione santissima, e tanto più facilmente saranno condotti con l’aiuto di Dio ad abbracciarne la dottrina, i precetti, i consigli, quanto più vedranno risplendere la pietà e l’integrità del Clero, congiunte alla sapienza ed ai virtuosi esempi. – Del resto non dubitiamo, carissimi Fratelli, che Voi tutti, accesi d’ardente carità verso Dio e verso gli uomini, infiammati di sommo amore per la Chiesa, forniti di virtù quasi angeliche, armati di zelo episcopale e di prudenza, congiunti in un medesimo desiderio di santa volontà, seguiterete le orme degli Apostoli ed imiterete, come a Vescovi si conviene, Gesù Cristo, esempio di tutti i Pastori, del quale siete ambasciatori. – Per confermare a Voi medesimi gli animi del Vostro gregge, illuminare con lo splendore della Vostra santità il Clero ed il popolo fedele, vorrete mostrarvi ricchi di misericordia, e compatendo coloro che ignorano ed errano, cercherete con amore le pecore che si smarriscono, secondo l’esempio del Pastore evangelico e, ponendole con paterno affetto sulle Vostre spalle, le ricondurrete all’ovile, non cedendo a cura o fatica, perché verso tutte le anime a Noi care, redente col sangue preziosissimo di Cristo, e raccomandate alle Vostre cure religiosissimamente, adempiate tutti gli uffici della dignità pastorale col difenderle dall’impeto e dalle insidie dei lupi rapaci, con il ritrarle dai pascoli avvelenati, con l’avviarle a quelli salubri e sicuri, con il sospingerle tutte mediante le opere Vostre, con la parola e con l’esempio nel porto della salvezza eterna. – Attendete dunque virilmente, Venerabili Fratelli, a procurare la gloria di Dio e della Chiesa, e con ogni alacrità, sollecitudine, vigilanza, in questa opera tutti insieme adoperatevi affinché, banditi completamente gli errori e divelti i vizi dalle radici, la fede, la Religione, la pietà e la virtù prendano sempre maggiore incremento, e tutti i fedeli, rifiutando le opere delle tenebre, come figli della luce camminino degnamente piacendo a Dio in tutte le cose, e fruttificando di ogni opera buona. Fra le massime angustie, le difficoltà, i pericoli che non possono specialmente in questi tempi mancare al Vostro gravissimo ministero episcopale, non vogliate spaventarvi, ma prendete conforto nel Signore e nella potenza della virtù di Colui “che riguardandoci dall’alto intenti alla difesa del suo nome, rafforza i volenterosi, aiuta i combattenti, corona i vincitori” . Siccome poi non può esservi cosa a Noi più gradita né più desiderabile che l’aiutare con ogni affetto, opera e consiglio Voi che amiamo nelle viscere di Gesù Cristo, ed insieme con Voi difendere e propagare la gloria di Dio e la fede cattolica, e far salve le anime per le quali siamo pronti, se sia necessario, a dare la vita stessa, venite Fratelli, ve ne preghiamo e ve ne scongiuriamo, venite con grande animo e con grande fiducia a questa Sede del Beatissimo Principe degli Apostoli, centro della Unità Cattolica, fonte ed apice dell’Episcopato e di tutta la sua autorità; venite a Noi in qualunque momento avrete bisogno dell’aiuto, del conforto e dell’appoggio dell’autorità Nostra e della medesima Santa Sede. Noi Ci confortiamo nella speranza che i Principi, carissimi figli Nostri in Gesù Cristo, per la loro pietà e Religione ricorderanno come la “Regia potestà è a loro conferita non solamente per governare il mondo, ma specialmente quale sostegno della Chiesa” , e che Noi “trattando la causa della Chiesa trattiamo quella del loro regno e della prosperità e della pace delle loro Province” . Sicché confidiamo che mediante l’aiuto e l’autorità loro assecondino i comuni Nostri voti, consigli e premure, e difendano la libertà e l’incolumità della Chiesa medesima “affinché il loro Potere sia difeso con la destra di Cristo” . – Affinché tutte queste cose avvengano felicemente e prosperamente secondo la Nostra attesa, accostiamoci con fiducia, Venerabili Fratelli, al trono della grazia, e con fervorose preghiere senza intermissione scongiuriamo nella umiltà del Nostro cuore il Padre delle misericordie, ed il Dio di ogni consolazione, che per i meriti dell’Unigenito suo Figlio si degni confortare, con l’abbondante copia dei celestiali favori, la Nostra debolezza, e con la Sua onnipotente virtù riduca in pace coloro che Ci combattono, e dovunque accresca la fede, la pietà, la devozione, la concordia; con che la santa sua Chiesa, eliminati interamente le avversità e gli errori, goda la sospirata tranquillità e sia un solo ovile ed un solo Pastore. – Perché poi il clementissimo Signore più facilmente ascolti le Nostre preghiere ed esaudisca i Nostri voti, poniamo sempre per intermediaria presso di Lui la Santissima Madre di Dio, l’Immacolata Vergine Maria, che di noi tutti è madre dolcissima, mediatrice, avvocata, speranza sicurissima e fedelissima, del cui patrocinio nessuna cosa è presso Dio più valida e pronta. Invochiamo ancora il Principe degli Apostoli, al quale lo stesso Cristo consegnò le chiavi del Regno dei Cieli, e che stabilì pietra della sua Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non potranno prevalere giammai; invochiamo insieme a lui il coapostolo Paolo, e tutti i Santi del Cielo che, già coronati, posseggono la palma, affinché ottengano la desiderata abbondanza della divina grazia a tutto il popolo cristiano. – Infine, ad auspicio di tutti i doni celesti e a testimonianza del Nostro principalissimo affetto verso Voi, ricevete l’Apostolica Benedizione che dall’intimo del Nostro cuore, Venerabili Fratelli, diamo a Voi, a tutto il Clero ed ai fedeli affidati alla Vostra cura.

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Dato in Roma il 9 novembre 1846, anno primo del Nostro Pontificato

Omelia della Domenica XXIV dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXIV dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXIV, 15-35) 

giudizio

Giudìzio Finale.

Il giudizio universale, che ci dipinge con i più tetri colori l’odierno Vangelo, vien predetto da Gesù Cristo e stabilito alla fine del mondo, affinché la sentenza, da Lui pronunziata in segreto nel giudizio particolare all’istante della morte, sia palese agli Angeli ed agli uomini al cospetto di tutto il mondo. Vuole in quel terribile giorno, che giorno dai profeti si appella d’ira, di tribolazione, d’angustia, di calamità, di misericordia, di tenebre, di caligine, e di vendetta; vuole, dissi, che la sua giustizia sia pubblicamente riconosciuta dai buoni, e dai malvagi, vuole che il corpo partecipi dei beni e de mali dell’anima, abbia la sua ricompensa o il suo castigo, vuole in fine al presente con questo minacciato giudizio finale atterrire i malvagi, confortare i buoni e per gli uni e per gli altri giustificare la sua provvidenza. Son questi i punti che scelgo a materia e partizione della presente Omelia: e senza più trattenervi in lungo preambolo dico: Giudizio universale di Dio terrore degli empi, giudizio universale di Dio, conforto dei giusti, giudizio universale di Dio giustificazione di sua provvidenza. L’importante argomento tutta si merita la vostra attenzione.

I – Giudizio universale di Dio terrore degli empi. – Lo so che quanto l’empietà è più inoltrata tanto men crede e tanto men teme le divine minacce. Ma che pro il credere, che pro il non credere, che pro il non temere, se appunto per questo si rinnoverà in essi la luttuosa catastrofe avvenuta ai loro simili nei tempi di Noè? Dai palchi dell’Arca che egli andava fabbricando, io son d’avviso che più d’una volta alzasse la voce e, “verrà un giorno, dicesse ai curiosi spettatori, verrà un formidabile giorno, in cui aperte le cateratte del cielo cadranno le acque a vendicar le vostre colpe, a spegnere le fiamme impure della corrotta vostra generazione, acque micidiali, acque che tutte allagheranno orribilmente la terra, e voi, cercando invano sui più alti monti scampo e salvezza, sarete tutti sommersi nell’onde sterminatrici d’un universale diluvio. Aveva un bel gridare il buon patriarca, a quella minacciosa predizione, a quel funestissimo annunzio niun si commosse, e ben lontani dal crederlo, fu preso in derisione il salutevole avviso: né pur ai fatti s’arrese quella cieca gente, e vide colla massima indifferenza arrivar le tigri, i leoni, gli elefanti, ingombrar l’aria e la terra bestie d’ogni pelo, uccelli d’ogni piuma e tutti ricoverarsi in seno all’Arca. – Cristiani ascoltanti, “sìcut in dìebus Noe, ita erit adventus filii hominis” (Matt. XXIV, 37). Verrà un giorno somigliante al tempo di Noè, in cui il figliuol dell’uomo Cristo Gesù in aria di tremenda Maestà, preceduto dal segno trionfale della sua Croce, seduto sopra luminosa nube, in contegno di Giudice inesorabile, discenderà dal Cielo, giorno estremo di tutti i giorni, in cui pioverà fuoco dal cielo e tutta ridurrà in cenere la faccia della terra, giorno in cui la maggior parte degli uomini sarà sommersa in un diluvio d’eterno fuoco. “Sicut in diebus Noe, ita erit adventus filii hominis”. Or chi mi ascolta? Il mondo, il gran mondo nè pur vi pensa, o come di cosa lontana né si risente, né si commuove, e l’empio giunto al profondo dell’empietà non crede, non teme e se la passa con un disprezzo. “Impius, cum in profundum venerit peccatorum, contemnit (Prov. XVIII, 3). Ma questo non temere, direi ai miscredenti, se mi ascoltassero, questo disprezzare è appunto il colmo della vostra cecità e il contrassegno più certo che sopra di voi cadrà quel fulmine che non temete. Non temettero gli antidiluviani il minacciato universale eccidio e vi restarono sommersi. Ma che dissi, non temete? Affettate di non temere, e quanto più ostentate trepidezza e bravura, tanto più scoprite il vostro spavento. Un ente di ragione, una cosa seconda voi non esistente e che non esisterà giammai, non deve formare il soggetto dei vostri pensieri, nè dei vostri discorsi, né dei vostri scherni, ma voi studiando ragioni a non credere, cercando motivi a non temere, ma voi impugnando in voce, in iscritto le verità rivelate, e spogliando gli inconcussi gli argomenti che le convalidano con un disprezzo autorevole, date a conoscere che in far tutto ciò avete dell’interesse, che riguardate la religione come nemica, e come tale la fate scopo delle vostre saette e delle vostre irrisioni: segni evidentissimi che vi spaventa e che la temete appunto per questo che non volete temerla. – Temete pure e non aspettate a temere in faccia alla morte. Tanti increduli pari a voi, e di voi più intrepidi in vita, han fatto impallidire la Filosofia del secolo, e al punto estremo chi s’è ricreduto, chi s’è stretto al Crocifisso, chi ha chiamato i sacerdoti prima vilipesi, chi ha invocato i soccorsi della religione prima perseguitata. Né crediate che questi infelici fossero in vita senza spavento. La gioventù, la sanità, i piaceri, le passioni sopivano i reclami della sinderesi che più vivamente si facevano sentire al primo mal di capo, alla prima febbre, alla prima disgrazia. – Disingannatevi dunque, o spiriti di questo secolo che vantate fortezza, che con tutti gli sforzi dell’intelletto e della volontà non riuscirete giammai a far tacere i latrati della rea vostra coscienza che a vostro dispetto parla, vi punge, vi condanna e vi minaccia un giudizio appena morti, un giudizio nella consumazione dei secoli.

II. Voi sì che siete comprese da timore, ma da timor salutare, o anime giuste, in pensare quale sarà la vostra sorte in quel gran giorno, se colle pecorelle innocenti, o coi capri lascivi, se alla destra cogli eletti, o alla sinistra coi reprobi. Confortatevi però, il temer Dio ed i rigori della sua giustizia è proprio dei santi. Tremava per l’orrore un S. Girolamo al rammentare il finale giudizio, e gli pareva sentirsi rimbombare all’orecchio le squillo dell’angelica tromba, che sveglierà tutti i morti e li chiamerà ad esser giudicati nella gran valle. Tremava un S. Cipriano gran santo anche senza il martirio, e guai a me, diceva piangendo, quando dovrò comparire al giudizio! Temete ancor voi anime buone, che il vostro timore si deve cangiare in conforto. Chi salvò Noè colla sua famiglia? Il timore del creduto divino castigo: per questo esso, i figli suoi e le rispettive consorti si mantennero giusti e a Dio fedeli, e in seno all’arca benedissero Dio che li salvò. – Cristiani timorati, voi al presente siete derisi dal mondo, la vita devota che menate è riputata stoltezza, in quel giorno si cangerà linguaggio; e noi, diranno i vostri derisori, noi fummo gli stolti, noi gli insensati, “nos insensati vitam illorum æstimabamus insaniam(Sap. V, 4-5) , ci pareva loro condotta zotica, disonorata, “et finem illorum sine honore; ed eccoli ora nel numero dei figliuoli di Dio, “ecce quomodo computati sunt inter filios Dei”. Voi vedove desolate, voi pupilli oppressi, voi poveri abbandonati, ridotti nelle più strette angustie da prepotenti, da liti ingiuste, da usurarie estorsioni, voi spogliati dei vostri averi, voi defraudati de’ vostri sudori, starete in quella valle in luogo di sicurezza, stabunt justi in magna constantia adversus eos qui se angustiaverunt et abstulerunt labores eorum(V. 1), e i vostri oppressori tremeranno in alzare a voi lo sguardo, inorriditi, confusi e disperati per l’imminente perdita di loro eterna salute, “videntes turbabuntur timore horribili … in subitatione insperatæ salutis(v. 2).

III. Seguite ad ascoltarmi, o anime giuste, ed ammirate la divina Provvidenza che nel giustificare sé stessa vi porge nuovi conforti. Un giudizio particolare al fin dei nostri giorni deciderà di nostra eterna sorte. Così c’insegna la Fede. Dunque qual necessità d’un giudizio universale alla fine del mondo? Per molte ragioni, risponde l’Angelico S. Tommaso: basti indicarne una sola al nostro proposito. La divina Provvidenza viene sovente incolpata, e sulle lingue cristiane s’ascoltano talvolta certe tronche parole, certe mal misurate esclamazioni che s’accostano alla vera bestemmia. “O Signore, dice taluno, dov’è la vostra Provvidenza? L’empio è esaltato come i cedri del Libano, e l’uomo dabbene è depresso come il fango delle piazze; trionfano i malvagi, gemono i buoni. Sfoggia da grande il ladro civile, l’uomo onesto è quasi sempre povero. Par che convenga esser iniquo per esser fortunato. Santa fede! Divina Provvidenza! Ohimè ch’io vacillo. Così si parla di quell’altissima Provvidenza, di cui s’ignorano le tracce ammirabili. E vero che la Provvidenza stessa anche su questa terra le tante volte giustifica sé medesima e fa vedere che la prosperità dei malvagi è come polvere in faccia al vento, che il peccato non fa fortuna, che le Giezabelle non vanno sempre in gala, che gli Acabbi non sempre godono l’altrui, che i Nabbucchi non sono sempre adorati, che gli Epuloni non siedono sempre a convito; ma è vero altresì che la Provvidenza medesima, vuole al cospetto dell’universo far a tutti conoscere la somma equità e l’inscrutabile sapienza, con cui ha governato l’umane cose; ha perciò stabilito un giorno d’universale sindacato, un giorno di giustificazione per sé, di premio per i buoni, di castigo per i malvagi.Non vi meravigliate più dunque, o fedeli, veder talvolta oppresso il giusto, prosperato il miscredente: poiché dopo il breve corso di questa vita, alla fine di tutti i giorni si vedrà che il sommo Iddio con provvido e sapiente consiglio ha permessa la persecuzione de’ tiranni per conoscere la pazienza de’ Martiri. Si vedrà ch’Egli ha provato i suoi eletti, come l’oro nel fuoco per renderli più puri per virtù, più ricchi per merito: che per l’opposto ha permesso l’esaltazione degli empi, per temporanea mercede di qualche naturale virtù, riservati al giorno delle vendette come vittime coronate di fiori, destinate alla scure.E per finire là onde cominciai, non abbiamo l’esempio assai luminoso nella persona del Patriàrca Noè e in quella de’ scioperati spettatori della sua Arca? “Veniva; riflette S. Agostino, deriso Noè come uomo di buona pasta. Chi lo tacciava di semplice, chi d’illuso, perché sull’idea d’un futuro andava con tanto zelo fabbricando quella macchina che non vedeva mai fine; ed egli sopportando in pace le derìsioni, le beffe attendeva infaticabile al suo lavoro e all’adempimento del divino comando: quegli in ozio, in conviti, in amori; Noè in travaglio, in pazienza, in sudori; quegli intenti a goder del presente; Noè applicato a provvedere al futuro. Intanto chi l’indovinò? Chi colse nel punto? Uno sguardo su quell’acque mortifere che tutta hanno allagata la terra, sulle quali galleggiano i gonfi cadaveri de’ derisori del buon Patriarca”.Un altro sguardo a Noè, egli salvo fra un mondo perduto benedice Iddio che lo salvò, benedice il sudore che sparse, la fatica che sostenne, la pazienza che praticò. Uditori miei cari, applicate la facile immagine. Quel che avvenne nei giorni di Noè, avverrà nel dì finale quando a giudicare la terra discenderà dal cielo l’Uomo-Dio Cristo Gesù “Sicut in diebus Noe, ita erit adventus Filii hominis”. Staranno i giusti nella gran valle in luogo di sicurezza, come da un’arca di salute vedranno il naufragio dei miseri loro persecutori, “Stabunt iusti in magna constantia adversus eos, qui se angustiaverunt”. Vedranno gli empi con occhio livido l’altrui fortuna e inutilmente si rideranno sulla propria sciagura.Peccator videbit et irascetur, denti bus suis fremet et tabescet” ( Ps. III, 10). Giudicate or voi da qual parte sarà meglio trovasi in quel giorno, se con Noè e con i giusti , o con gl’increduli e coi perversi.

 

AL DI FUORI DELLA CHIESA CATTOLICA NON C’È SALVEZZA -5-

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Mons. George Gray

PARTE IX

D. 32. Ma poiché tutto questo è così evidente (per quanto riguarda la necessità della Chiesa cattolica per la salvezza), come è possibile che ancora al giorno d’oggi, tanti che si professano membri della Chiesa di Cristo, sembrano mettere continuamente questa verità in discussione, col deporre a favore di coloro che non sono nella loro comunione, e propongono per essi dei distinguo, con tutte le loro forze, per dimostrare una possibilità di salvezza per coloro che vivono e muoiono in una falsa religione?

R. Questo è uno di quei dispositivi di cui il nemico delle anime si avvale in questi tempi infelici per promuovere la propria causa, e vi sono motivi per temere, per varie ragioni, che si sia fatto strada anche tra coloro che appartengono all’ovile di Cristo per i seguenti motivi:

1)- poiché vivono tra coloro che professano false religioni, e spesso hanno connessioni più intime con loro, naturalmente e lodevolmente sviluppano amore ed affetto per loro. Questo li rende in un primo momento poco disposti a pensare che i loro amici siano fuori dalla via della salvezza. Poi si procede col desiderare e sperare che non possa essere così. Il risultato è essi vengono a rimettere in discussione il loro stato di cose; e da qui il passo è facile onde addurre ogni pretesto per convincere se stessi che non sia così.

2.)- In tutto il mondo vanno ricercati, in questi nostri giorni, principi latitudinari: si provano sentimento di pietà e di comune appartenenza a Dio per maomettani, ebrei ed infedeli, cosa che non era mai stato avvertito prima tra i Cristiani. Questo è generato, con caratteristiche speciose, da un modo liberale di pensare e da sentimenti di falsa generosità; è diventato pertanto una moda il pensare e parlare in tal fatta. Ora la moda possiede una potenza persuasiva, dalla quale anche le persone buone non sono sempre immuni; e quando si sentono quei sentimenti ogni giorno risuonare nelle proprie orecchie, e tutto ciò che sembra ad essi contrario viene reso ridicolo e condannato, si cede naturalmente alla delusione, e si allontana dalla mente il desiderio di esaminare la forza di questi sentimenti per paura di scoprire la loro falsità. Quando, per timore di essere disprezzati, non si vuole più riconoscere la verità, ed è molto più facile credere a ciò che sembra essere vero, per cui senza ulteriore esame, viene adottato come conclusivo ogni ragionamento sofistico a suo favore.

3.)- Inoltre molto spesso un interesse mondano accetta questa prepotente influenza in modo che si produca lo stesso risultato. Un membro della Chiesa di Cristo vede il suo amico separato essere un potente con gran credito in tutto il mondo, ed è in grado pertanto di essere a lui di grande aiuto, e sa, che se avesse abbracciato la vera fede, avrebbe perso tutta la sua influenza, e sarebbe stato nell’impossibilità di servirsene. Questo lo rende attivo nel desiderare la sua conversione; ma il pensiero che il suo amico non sia sulla via della salvezza gli duole; inizia quindi a desiderare che potrebbe essere salvato così come egli è, nella sua religione. Perciò si viene a sperare che anche egli possa salvarsi, e volentieri non si adotta nessuna dimostrazione o prova che faccia pensare diversamente. E vero naturalmente che tutti questi motivi avrebbero poca influenza su di un membro sincero della Chiesa di Cristo, che capisca pienamente la sua religione, ed abbia un unico senso in ciò che gli si insegna su questo punto. Ma il grande problema di molti che adottano tali modi personali di pensare e di parlare è:

4.)- Che ignorano i principi della loro religione; essi non esaminano a fondo la questione, ed una volta che si siano infettati con lo spirito della moda del giorno, non sono più disposti ad esaminare; addirittura si rivoltano anche verso un amico zelante che tenti di disingannarli confutando quei miserabili sofismi che si presumono a favore del loro modo libero di pensare, e rifiutano di aprire gli occhi alla verità, o anche solo di guardare ai motivi che la sostengono.

D. 33. Quali sono tali argomenti da sofisti con i quali vengono ingannati?

R. Li abbiamo già visti sopra e confutati completamente uno per uno. Ma il loro grande errore nasce principalmente dalle loro idee erronee circa l’ignoranza invincibile e le condizioni richieste per essere un membro della Chiesa di Cristo. Pertanto devono: o negare la propria fede, o acconsentire a questa proposizione fondamentale, che: “senza fede è impossibile piacere a Dio”; nell’ammettere quest’ultima verità, fanno però ancora finta che l’ignoranza invincibile possa scusare un uomo davanti a Dio anche in tutti gli altri casi; quindi si è portati scusare anche i diversi casi per cui si conclude che se un uomo non ha la vera fede, “l’ignoranza invincibile lo salverà”, non considerando i due sensi che queste parole contengono, uno dei quali è certamente vero, ma l’altro non meno certamente falso. L’ignoranza invincibile servirà infatti a salvare dalla colpa di avere una falsa fede e di non avere la Vera Fede: questo è certamente vero! Ma dire che l’ignoranza invincibile lo salverà, cioè lo porterà alla salvezza, è certamente falso, così come da tutto quello che abbiamo visto sopra pienamente dimostrato. – Anche in questo altro caso, se ammettono quest’altra proposizione generale, che: “fuori della vera Chiesa di Cristo non c’è salvezza”, o la devono riconoscere, o devono rinunciare alla propria religione, supponendo che un uomo possa essere un membro della vera Chiesa agli occhi di Dio, anche se non unito con essa in comunione, come è appunto nel caso dei bambini battezzati nati nell’eresia fino a quando non arrivino all’età di giudicare da se stessi. L’errore sta nel non considerare che tutti gli adulti di una falsa religione non possono essere membri della Chiesa agli occhi di Dio in nessun altro senso se non quello per cui dice il nostro Salvatore: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile”. Ma, siccome Egli ha esplicitamente dichiarato che era necessario portare anche quelli alla comunione della sua Chiesa, questo dimostra incontestabilmente che essi e tutti quelli come loro, non essendo membri della Chiesa, non possano essere salvati nel loro stato attuale, se non si uniscono alla sua comunione.

D. 34. Ma non è lodevole e meritorio mostrare tutta l’indulgenza e la condiscendenza a coloro che sono fuori della Chiesa, e comportarsi verso di loro con tutta clemenza e dolcezza?

R. Ma sicuramente: non è solo lodevole, ma nostro assoluto dovere, per quanto la verità debba essere salvaguardata. Infatti tradire la verità usando tale atteggiamento deve essere considerato reato grave, e altamente pregiudizievole per entrambe le parti. L’esperienza, infatti, dimostra che il modo libero di pensare e di parlare che alcuni membri della Vera Chiesa hanno di recente adottato, produce le peggiori conseguenze, sia per se stessi che per coloro che si ha desiderio di favorire.

(1) coloro che sono separati dalla Chiesa di Cristo, sanno bene che essa professa costantemente, come un articolo del suo Credo, che senza la vera fede, e fuori dalla sua comunione, non c’è salvezza. Quando, dunque, si vedono i membri della Chiesa che parlano dubbiosamente su questo punto che sembra mettere in discussione la verità della dottrina, compresi i relativi pretesti e distinguo per raggirarla, cosa possono essi pensare? Che effetto questo può aver prodotto sulle loro menti? Non tenderà questo a spegnere il desiderio di indagare la verità che Dio gli ha insegnato, e non chiudere il cuore ad un tale buon pensiero? L’amor proprio non manca mai di carpire avidamente tutto ciò che favorisce i suoi desideri; e se una volta trovano questa verità messa in discussione anche da coloro che si presume credano, si prenderà in considerazione l’argomento come una mera controversia di scuole, e non ci si porrà più la questione.

(2) Questo modo di pensare e di parlare tende naturalmente a spegnere tutto lo zelo per la salvezza delle anime nei cuori di coloro che lo adottano; e mentre essi stessi si convincono che c’è una possibilità di salvezza per coloro che muoiono in una falsa fede e fuori della Chiesa di Cristo, l’amore di sé sarà facilmente incline a non porsi alcun problema circa la loro conversione; anzi, si è talvolta addirittura spinti a pensare che sia più consigliabile il non adoperarsi per disingannarli, perché non si dovrebbe cambiare la loro attuale situazione di “ignoranza scusabile”, come la chiamano, in una ostinazione colposa, non pensando che, per il loro pio e zelante sforzo, potrebbero essere portati alla conoscenza della verità, e salvare così le loro anime, considerando oltretutto che, attraverso il loro abbandono poco caritatevole, possano essere privati di una così grande felicità. Guai al mondo, infatti, se i primi predicatori del Cristianesimo fossero stati animati da tali sentimenti non cristiani.

(3) Non è meno pregiudizievole per i membri della Chiesa abbracciare per se stessi tali modi di pensare; questo non può che raffreddare il loro zelo e la stima per la religione, rendendoli così più incuranti nel preservare la loro fede, che per motivi mondani si espone al pericolo, in tempo di tentazione, di abbandonare tutto. Infatti, se un uomo è profondamente persuaso della verità della sua santa religione e della necessità di essere un membro della Chiesa di Cristo, sarà mai possibile che si esponga ad una qualsiasi occasione di perdere un così grande tesoro o, per qualsiasi timore o favore mondano, di abbandonarlo? Dal momento che l’esperienza dimostra però che molti, per qualche insignificante vantaggio mondano, non si espongono a tale pericolo, andando in posti dove non possono praticare la loro religione, e trovano ogni incentivo a lasciare, o, impegnandosi in impieghi in contrasto con il loro dovere, esponendo anche i loro figli alle stesse occasioni pericolose, questo sicuramente accade solo per mancanza di una giusta idea circa l’importanza della propria religione; e, ad un esame rigoroso, si è sempre trovato che ci siano, come causa radicale in un grado più o meno elevato, dei sentimenti latitudinaristi sopra esposti.

(4) Inoltre, se una persona comincia a esitare una volta circa l’importanza della sua religione, quale autostima egli può avere per quanto riguarda le sue leggi, le regole, o le pratiche? L’amor proprio, sempre attento a soddisfare se stesso, non tarderà molto a suggerirgli che, se non è assolutamente necessario appartenere a questa religione, tanto meno necessario è che si debba sottoporre a tutti i suoi precetti; quindi sono giustificate tutte le libertà, i comandi della Chiesa vengono disprezzati, gli esercizi di devozione trascurati, e l’ombra della religione sarà fugata dai lumi dei sentimenti liberali, giungendo fino alla distruzione di tutte le virtù solide e gli esercizi di pietà.

D. 35. Che diremo allora di quei membri della Chiesa di Cristo che in realtà abbandonano la loro religione, e rinunciano alla loro fede?

R. Siccome Dio stesso ha dato una risposta completa e ben precisa a questa domanda in tre diversi luoghi della sua Sacre Scritture, sarebbe presunzione rispondere con parole diverse. In primo luogo, Egli dice per bocca del suo santo Apostolo S. Paolo, ” Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro. Tuttavia se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia. Infatti una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio; ma se produce pruni e spine, non ha alcun valore ed è vicina alla maledizione: sarà infine arsa dal fuoco!”. [Eb. VI: 4] Su questo passaggio, il pio editore del Reims-Nuovo Testamento dice nella nota, “che è impossibile per coloro che sono ricaduti dopo il Battesimo essere nuovamente battezzati; a coloro che hanno apostatato dalla Fede, dopo aver ricevuto tante grazie, è molto difficile tornare nuovamente allo stato felice dal quale sono decaduti” – . Ed ancora: “se pecchiamo volontariamente “, dice lo stesso santo Apostolo,” … dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli.” [Eb. X: 26]: per cui, dice lo stesso autore citato, “Egli parla del peccato di apostasia volontario dalla verità conosciuta, dopo di che, in quanto non possiamo essere battezzati di nuovo, non possiamo aspettarci di avere un’abbondante remissione dei peccati, che Cristo ci ha acquistato con la sua morte, applicata alle nostre anime in maniera così ampia come è nel Battesimo, ma abbiamo piuttosto tutte le ragioni di aspettarci un giudizio terribile, tanto più in quanto apostati dalla verità conosciuta. Infine, per bocca del santo Apostolo S. Pietro, Dio dichiara lo stato di queste persone in tal modo: “Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del Signore e salvatore Gesù Cristo, ne rimangono di nuovo invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo precetto che era stato loro dato. Si è verificato per essi il proverbio: Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel brago”. [2 Pt. II: 20]

D. 36. È detto sopra che è solo di recente che questo modo di pensare sulla necessità della vera fede, e di essere in comunione con la Chiesa di Cristo, come abbiamo esaminato, è apparso tra i membri della Chiesa: non era tenuto dai cristiani in tutte le epoche passate lo stesso linguaggio?

R. Tutt’altro, e questo è uno dei più grandi motivi della sua condanna: essa è una novità, si tratta di una nuova dottrina, inaudita alle origini, anzi è proprio in contrasto con la dottrina uniforme di tutti i grandi luminari della Chiesa, in tutte le epoche passate. Questi grandi e santi uomini, i testimoni più ineccepibili della fede cristiana dei loro giorni, sapevano non esserci nessun altro linguaggio su questo argomento, se non quello pronunciato davanti a loro da Cristo e dai suoi Apostoli, e sapevano che il loro Maestro Divino aveva dichiarato: “chi crede non sarà condannato”, ed hanno poi sentito il suo Apostolo proclamare un anatema terribile contro chiunque: “se anche un angelo dal cielo, avesse osato modificare il Vangelo che aveva predicato, [Gal. I: 8]; lo sentirono affermando pure in termini espressi, che: “senza fede è impossibile piacere a Dio” ed hanno costantemente tenuto sempre lo stesso linguaggio. E dato che non si è visto il più piccolo accenno nella Scrittura che facesse pensare che coloro che erano fuori della Chiesa potessero essere salvati dall’ignoranza invincibile, questa ingannevole stortura non è stata riportata mai, nemmeno una volta in tutti i loro scritti.

PARTE X

D. 37. In che modo, allora, questi Santi Padri della Chiesa si esprimono su questo argomento?

R. Sarebbe interminabile poter raccogliere tutte le loro testimonianze; le poche che seguono possono bastare come un campione del tutto. S. Ignazio, vescovo di Antiochia e discepolo degli Apostoli, nella sua epistola a Filadelfia, dice: “Quelli che fanno una separazione non erediteranno il regno di Dio.” Sant’Ireneo, vescovo di Lione, e Martire nel secondo secolo, dice: “La Chiesa è la porta della vita, ma tutti gli altri sono ladri e briganti, e quindi da evitare.” [De Haer., Lib. ic 3]. S. Cipriano, vescovo di Cartagine, e martire della metà circa del terzo secolo, afferma: “La casa di Dio è una sola, e nessuno può avere la salvezza, se non nella Chiesa.” [Epist. 62, alias 4] E nel suo libro sulla unità della Chiesa, egli dice ancora, “Non può avere Dio per suo Padre chi non ha la Chiesa per sua madre. Se qualcuno sarà scampato al diluvio restando fuori dall’arca di Noè, anche colui che è fuori della Chiesa allora può sfuggire alla dannazione. ” . Ed ecco che, per quanto riguarda i Padri più primitivi del 4° secolo: San Crisostomo parla così: “Sappiamo che la salvezza appartiene alla Chiesa solo, e che nessuno può partecipare di Cristo, né essere salvato, fuori della Chiesa Cattolica e della fede cattolica, “[Hom. 1. a Pasqua.]. – S. Agostino, nella stessa epoca, dice: “La Chiesa cattolica solo è il Corpo di Cristo, lo Spirito Santo non dà vita a nessuno che sia fuori da questo Corpo,” [Epist. 185, § 50, Edit. Bened.]. E in un altro luogo, “La salvezza non si può avere che nella Chiesa cattolica. Fuori della Chiesa Cattolica nessuno può ottenere nulla che sia la salvezza. Egli può avere l’onore, può avere il battesimo, può avere il Vangelo, può ugualmente credere e predicare nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo, ma non può trovare la salvezza in nessun altro posto che non sia la Chiesa cattolica “[Serm. annuncio Cresarieus de Emerit]. Ed ancora una volta:.. “Nella Chiesa cattolica,” dice, “ci sono buoni e cattivi, ma quelli che sono separati da lei, perché le loro opinioni sono opposte alle sue, non possono essere buoni, anche se le opinioni di alcuni di essi appaiono lodevoli, perché è la loro stessa separazione dalla Chiesa che li rende malevoli, secondo la parola del nostro Salvatore [S. Luca XI: 23]: ‘chi non è con me è contro di me e chi non raccoglie non con me, disperde ‘. [Epist. 209, ad Feliciam]. – Lattanzio, un altro grande lume del quarto secolo, dice: “È unicamente la Chiesa cattolica che conserva il vero culto. Questa Chiesa è la fonte della verità, è la casa della fede, è il tempio di Dio. Se qualcuno non entra in questa Chiesa, o se ne allontana, la sua salvezza eterna è disperata. Nessuno deve lusingarsi ostinatamente, quando sono in gioco la sua anima e la sua salvezza. ” [Divin. Instit., Lib. iv. iv. c. c. 30] – S. Fulgenzio, nel VI secolo, parla ancora così: “Tenete per fermo e senza alcun dubbio che nessuno che è battezzato fuori della Chiesa cattolica può partecipare della vita eterna se, prima della fine di questa vita, non sia reintrodotto nella Chiesa cattolica ed in essa incorporato. ” [Lib. de Fid., c. 37]. Questi pochi casi sono sufficienti per mostrare la fede del mondo cristiano in tutte le epoche precedenti; e tutti i santi scrittori del Cristianesimo, in ogni tempo, parlano di questo argomento allo stesso modo.

D. 38. Queste testimonianze sono forti, e parlano chiaramente della questione; ma dopo queste prove non è sorprendente che qualcuno rimetta ancora in discussione questo punto della dottrina?

R. Questo, può essere compreso in verità, solo considerando lo spirito generale della mondanità ed il disprezzo per ogni religione, ora così universalmente prevalente; anche i primi riformatori ed alcuni dei loro seguaci, vedendo le chiare prove della Scrittura circa questo aspetto della dottrina, e non trovando il più piccolo fondamento in questi scritti sacri per sostenere il contrario, l’hanno abbastanza riconosciuto, per quanto agissero contro se stessi. Abbiamo visto come i teologi di Westminster parlano a questo proposito nella confessione di fede, utilizzata fino ad oggi dalla Chiesa di Scozia, e che è stata ratificata e adottata dall’Assemblea Generale nel 1647, come standard della loro religione. Ma i loro predecessori nel secolo precedente, quando la religione presbiteriana è iniziato in Scozia, parlano non meno chiaramente sullo stesso argomento; nella loro confessione di fede, autorizzata dal Parlamento nell’anno 1560, “come dottrina fondata sulla Parola infallibile di Dio”, si parla in tal modo: articolo XVI .: “Come noi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, così noi costantemente crediamo, che fin dall’inizio ci sia stata, è, e ci dovrà essere, fino alla fine del mondo, una Chiesa, vale a dire, una società di una moltitudine di uomini, scelti da Dio, che giustamente hanno abbracciato il culto dalla vera fede in Gesù Cristo… e questa Chiesa è cattolica, cioè universale, perché comprende gli eletti di tutte le età, ecc. …; fuori di questa Chiesa non vi è né la vita né la felicità eterna: e quindi assolutamente aborriamo la bestemmia di coloro che affermano che gli uomini che vivono secondo equità e giustizia debbano essere salvati, qualunque religione essi abbiano professato”. Questa confessione dell’originale chiesa di Scozia è stata ristampata e pubblicata a Glasgow nell’anno 1771, e da questa è tratto appunto questo passaggio. Calvino stesso confessa la stessa verità, con queste parole, parlando della Chiesa visibile: “Fuori dal suo seno”, dice, “non c’è nessuna remissione dei peccati, non c’è salvezza auspicabile, secondo Isaia, Gioele ed Ezechiele … di modo che è sempre molto pernicioso discostarsi dalla Chiesa”, e questo egli afferma nelle sue stesse istituzioni. [B. iv. c. c. 1, 4]. – Noi aggiungeremo ancora una testimonianza che è particolarmente forte; essa è del Dott Pearson, un vescovo della Chiesa d’Inghilterra, nella sua esposizione del Credo, modificato nel 1669, dove si dice: “La necessità di credere la Chiesa cattolica è comparsa, in primo luogo, nel fatto che Cristo l’ha indicata come l’unico modo per accedere alla vita eterna. Leggiamo per primo: [Atti II: 47] ‘Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati’. E poi, in questo fare quotidiano Cristo continuamente non ha mai nominato due strade per il Paradiso, né ha costruito una chiesa secondaria, per fare un istituto diverso per la salvezza di altri uomini: “… non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”[Atti IV: 12], se non il Nome di Gesù, e che il Nome non è comunque dato sotto il cielo se non nella Chiesa, e come nessuno è stato salvato dal diluvio, se non quelli che erano all’interno dell’arca di Noè, salvati per aver essi recepito il comando di Dio, e nessuno dei primogeniti d’Egitto visse, se non era all’interno delle abitazioni i cui stipiti erano cosparsi di sangue, secondo il comando di Dio dato per la loro conservazione, e come nessuno degli abitanti di Gerico poté sfuggire al fuoco o alla spada, se non si fosse trovato all’interno della casa di Raab, la cui protezione era stata data come un patto: … così nessuno potrà mai sfuggire l’ira eterna di Dio, se non appartiene al Chiesa di Dio. “Ecco in che misura la forza della verità ha prevalso tra i più eminenti ed illuminati membri della Riforma prima che i princîpi del latitudinarismo si insinuassero tra di loro! Quale deve essere il rimprovero davanti al tribunale di Dio per quei membri della Chiesa di Cristo, che rimettono in discussione o cercano di invalidare questa grande e fondamentale verità, che è la stessa cinta di recinzione e la barriera della vera religione, come viene così ripetutamente dichiarato da Dio nella Sua Santa Scrittura, professata dalla Chiesa di Cristo in tutti i tempi, ed attestata con la massima fermezza dai luminari più eminenti del Cristianesimo, e candidamente riconosciuta anche dagli scrittori più celebri ed illuminati della Riforma! Ogni tentativo di indebolire l’importanza di questa verità divina non deve essere considerato dal grande Dio come tradire la sua causa e gli interessi della sua Santa Fede? E saranno in grado di far valere costoro anche la loro ignoranza invincibile nel difendere la propria causa davanti a Lui?

D. 39. Quali sono i sentimenti propri e le disposizioni che questa grande verità dovrebbe produrre nel cuore e nella condotta di coloro che sono membri della Chiesa di Cristo?

R. Nulla può contribuire più efficacemente a produrre le disposizioni più necessarie e salutari nei loro cuori, sia verso Dio, sia l’un verso l’altro, e nei confronti di coloro che sono separati dalla loro comunione, che la considerazione frequente e grave della loro vocazione alla fede di Cristo, e la comunione con quella chiesa in cui non vi è salvezza. Per quanto riguarda Dio, questo non può non ispirare loro che i sentimenti più teneri di affetto, di amore e di gratitudine verso di Lui, per vedersi altamente favoriti dalla sua infinita bontà, senza alcun merito da parte loro, a preferenza di tante migliaia di altri che sono lasciati nell’ignoranza e nell’errore. Essi non dovrebbero mai cessare di lodarLo ed adorarLo per un così grande ed inestimabile favore, e dovrebbero essere assidui nel dare prova della sincerità della loro gratitudine ed amore per Lui, con un’obbedienza continua ai suoi comandamenti. Quanto gradite siano a Dio Onnipotente queste cose, e quanto li richieda da coloro che Egli ha così altamente favorito, è evidente dalla sua divina Parola, nella quale spesso ritornano alla mente la grandezza della grazia della nostra vocazione, ed il pressante invito a fare un ritorno a Dio adeguato a queste sante virtù: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dice S. Paolo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.”, In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità …. Perciò anch’io … non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza”. [Ef. I: 3-4, II 15-19]. – Ecco con quanto ardore Egli desidera che possiamo avere una giusta misura di quella sua grande misericordia! E infatti poco dopo descrive la grandezza di questo favore ed il ricambio che richiede da noi dicendo: ” Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù”. [Ef. II: 19-20]. – “Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre …”. [Ef. V: 8-11]. In un altro luogo dice: “Perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto; ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto”. [Col I: 10-13]. Ed ancora, scrivendo a Tito, egli dice,”Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone”. [Tt III. 8]. Infine, per dimostrare l’assoluta necessità di questa corrispondenza di gratitudine da parte nostra, alla grande bontà di Dio nei nostri riguardi, ci assicura che è solo a condizione del nostro perseverare nella nostra santa fede, e nella speranza della nostra chiamata, che ci si può aspettare la ricompensa eterna di essere presentati senza macchia davanti a Dio: “… E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo”. [Col. I: 21-23]. – Pietro descrive anche la grazia della nostra vocazione nei termini più belli, e ci assicura che il disegno di Dio di chiamarci ci induce a dover elevare un rendimento adeguato a Lui tessendo le sue lodi. “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce …” [1 Pt. II: 9]. Quanto è grande l’obbligo per tutto questo di vivere bene e studiare in tutte le cose di fare la volontà di Dio, soprattutto quando Cristo stesso dice espressamente: ” … Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, che essi vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli “! 

Parte XI: CONCLUSIONE

D. 40. Quali sono le disposizioni ed i comportamenti che questa bontà inestimabile di Dio richiede nei membri della sua Chiesa reciprocamente?

R. S. Paolo ce li descrive in una luce molto forte, come segue: “Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti”. [Ef. IV: 1-6] Vediamo qui con quali tinte forti si dimostra che l’umiltà, la mitezza e l’amore fraterno siano le virtù essenziali per la nostra vocazione, e che tutto ciò che appartiene alla nostra santa Religione, richieda che dobbiamo vivere nella loro pratica costante; ed ancora che siamo tutti uniti in un solo corpo, la Chiesa di Cristo, animato da uno solo Spirito, lo Spirito di Gesù che guida e conduce quel corpo verso la verità intera, e che siamo chiamati ad una sola speranza della nostra chiamata: al possesso di Dio stesso nella gloria eterna, e che tutti noi serviamo un solo Signore, il Signore nostro Gesù Cristo, che tutti noi professiamo una sola fede, la Santa Fede che Egli ha rivelato all’umanità, senza la quale è impossibile piacere a Dio; che siamo tutti santificati da un solo Battesimo, che tutti serviamo solo Dio, che siamo tutti figli dello stesso Padre, e che questo Padre celeste è sempre presente in noi, cosicché tutta la nostra condotta è nuda ed aperta davanti a Lui. Come sconveniente, poi, deve essere agli occhi di questo Padre nostro, vederci intrattenere in discordie o cattiva volontà tra di noi! E come è indegno della nostra vocazione e disonorevole alla nostra religione se, essendo membri dello stesso corpo, servi dello stesso Maestro, figli dello stesso Padre, uniti insieme da tanti forti legami della Religione, dobbiamo vivere in animosità e nell’inimicizia reciproca. – In un altro luogo, lo stesso santo Apostolo descrive le disposizioni necessarie a coloro che Dio ha chiamato come “Suoi” eletti, per la grazia inestimabile di essere membri della sua Santa Chiesa, e dice: “Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!” [Col. III: 12-15]. E il comportamento contrario è così disdicevole e quindi indegno della nostra vocazione, tanto che san Giacomo lo dichiara essere addirittura diabolico. “Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrena, carnale, diabolica …” [Giac. III: 14-15] Tutto questo è tratto dalla dottrina espressa del nostro stesso grande Maestro, che comanda non solo a tutti i suoi seguaci di vivere nell’amore fraterno e nell’unione tra di loro, ma dichiara questo essere collegato alla loro vocazione, che è il segno distintivo della loro appartenenza a Lui: «da questo conosceranno tutti”, Egli dice, «che siete miei discepoli, se avete amore gli uni gli altri.” [Giovanni XIII: 35]

D. 41. Quali sono dunque le disposizioni che i membri della Chiesa di Cristo dovrebbero avere, e quale linea di condotta dovrebbero seguire nei confronti di coloro che sono separati dalla loro comunione?

R. È impossibile avere un amore vero e sincero di Dio, senza amare anche tutto ciò che è collegato a Lui; se quasi tutto è collegato con Dio, maggiore deve essere il nostro amore verso il prossimo. Ora, tutti coloro che sono in una falsa religione, pertanto separati dalla comunione della Chiesa, hanno per molti altri aspetti una connessione molto vicino con Dio, perché essi sono sue creature, opera delle sue mani, realizzate per la sua gloria; sono sue immagini, realizzate a sua somiglianza; essi sono redente dal Sangue di Gesù che è morto per l’umanità; essi sono creati per essere eternamente felici con Lui in Paradiso, perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma piuttosto che desista e viva. Tutte queste considerazioni dimostrano che noi siamo tenuti ad avere un amore sincero e fervente nei loro confronti, ed uno zelo caritatevole per la loro salvezza eterna, e di conseguenza ad avere una tenera simpatia ed una compassione per loro, considerando il pericolo in cui sono le loro anime; e questa è la disposizione radicale ed essenziale dei nostri cuori, che siamo tenuti ad avere nei confronti di tutti gli uomini, senza eccezione. Di questo abbiamo un bellissimo esempio in S. Paolo che esprime in tal modo le disposizioni del suo cuore verso i suoi fratelli, gli ebrei increduli: “Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore ed una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, (vale a dire, una maledizione), separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne.” [Rom. IX: 1]. Ora, questo amore sincero e lo zelo per la loro salvezza dovrebbe manifestarsi principalmente in questi punti seguenti:

(1.) Nell’essere ” … pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi …” [1 Piet. III: 15], , essere cioè sempre disposti e pronti a spiegare loro la nostra santa fede e mostrare i motivi su cui essa si fonda, ogni volta che uno di loro ci chiede di farlo. Questo dovrebbe essere porto loro con tutta modestia e la dolcezza, non entrando in dispute improduttive, non tenendo dietro a contese con calore ed acrimonia, anche se essi dovessero essere sempre così irragionevoli in quello che dicono contro di noi, ma rendendo conto della speranza che è in noi con la dolcezza e la carità, e lasciando l’esito alle disposizioni della Divina Provvidenza; la Scrittura dice: “Evita inoltre le discussioni sciocche e non educative, sapendo che generano contese. Un servo del Signore non dev’essere litigioso, ma mite con tutti, atto ad insegnare, paziente nelle offese subite, dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità e ritornino in sé sfuggendo al laccio del diavolo, che li ha presi nella rete perché facessero la sua volontà.”[2 Tim. II: 23-26]; e: “Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno.”. [Col. IV: 5-6].

(2.) Essere sincero nella preghiera a Dio per la loro conversione e la loro salvezza, è quanto espressamente comandato nella Scrittura: “Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini … Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”. [1 Tim. II: 1,3-4]. Abbiamo un bellissimo esempio di questo nello stesso santo Apostolo, che, pieno di carità per la salvezza degli ebrei, ha pietà del loro zelo considerato un loro errore, e riversa le preghiere del suo cuore per loro: “Fratelli, dice, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza. Rendo infatti loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza”. [Rom. X: 1]

(3) Dare loro il buon esempio, nell’esercizio di opere buone, e nella pratica di tutte le virtù cristiane. Niente è di maggiore efficacia del dare agli altri un esempio favorevole della nostra santa religione, che una buona vita. Questo è un argomento vivente che insegna ai più ignoranti e convince i più ostinati. E quindi per questo troviamo più volte comandato nelle Scritture il proposito di edificare coloro che sono al di fuori, e di eccitare in loro il glorificare Dio. “Così risplenda la vostra luce. dice Gesù Cristo stesso, davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. [Matt. V: 16] e San Pietro si esprime così su questo importante compito: “Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all’anima. La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio. … perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti”. [1 Pet. II: 11,15] – S. Paolo richiede anche la medesima cosa, dicendo: “offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro” [Tit. II: 7].

(4) Se infine, non sopportando tale comportamento pio ed edificante, dovessero essere consentite persecuzioni e prove dalla Divina Provvidenza permesse per noi per un suo scopo saggio e giusto, se ad esempio dovessimo essere diffamati falsamente, se le verità della nostra santa religione dovessero essere calunniate e la nostra dottrina travisata, non dobbiamo meravigliarci né restare scoraggiati; ma occorre ricordare che questo è anche il modo in cui il mondo trattava lo stesso nostro Signore e Maestro, che aveva preannunciato già che i suoi fedeli seguaci dovessero essere trattati allo stesso modo. San Pietro ci assicura anche che questo è uno dei segni di coloro che seguono le sette di perdizione, il parlare male della verità: “… Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato”. [2 Piet. II: 2]; e S. Giuda aggiunge, “… costoro invece bestemmiano tutto ciò che ignorano”. [Giuda 10] – Tali prove non dovrebbero diminuire, anche nel minimo grado, la nostra carità sincera verso di loro ed il desiderio della loro salvezza; ma piuttosto dovremmo aumentare la nostra pietà e la compassione per le loro povere anime, impegnarci più seriamente nel pregare per loro, imitando il nostro benedetto Salvatore che, sulla croce, pregò per i suoi persecutori: “Padre … ” Egli ha detto, “… perdona loro, perché non sanno quello che stanno facendo”. Soprattutto, non dobbiamo mai possedere il benché minimo desiderio di vendetta “rendendo male per male, oltraggio per oltraggio, ma, “ … al contrario, rispondete benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati per avere in eredità la benedizione” [1 Pet. III: 9] Al contrario, consideriamo le nostre prove come disposte ed ordinate dalla mano di Dio “, senza il Quale non un capello del nostro capo può cadere a terra”, e dobbiamo essere “… lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù Cristo” [Atti V: 41]. Perché ” … se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate,…. È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male.” [1 Pet. 3: 14, 17] – E quindi, “Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome.” [1 Pet. IV: 12-16] – Ricordiamo infine sempre le parole di Nostro Signore: “… Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli! ” [Matt. V: 11-12]. [Fine]

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Dopo questa illuminante lettura, penso che tutti abbiamo una più chiara idea della questione oggi così turbinosamente ammantata da veli offuscanti e torbidi esercizi di confusione dottrinale, nei quali si ritrovano ideologie massoniche. apertamente professate anche dai falsi prelati del “novus ordo” che le spacciano addirittura per cattoliche ed evangeliche. Basterebbe questo unico documento per smascherare i “clown in talare”, gli affabulatori di menzogne parateologiche e di ermeneutiche deliranti che portano ben lontano dalla Chiesa Cattolica, con tutte le conseguenza che la sana dottrina ci insegna, come visto. Cosa aspettare allora per rientrare nella Chiesa Cattolica, l’unica Chiesa fondata da Gesù Cristo, l’Arca  nella quale rifugiarsi per sfuggire al fuoco eterno. Il Novus ordo, cioè la sinagoga cabalista infiltrata nella Chiesa, così come tutte le sette eretiche e scismatiche, anche e soprattutto quelle che si definiscono “tradizionaliste” per meglio ingannare i loro sprovveduti non-fedeli, sono garanzia di perdizione eterna dell’anima, perché fondamentalmente a-cattoliche, in quanto non riconoscendo il “vero” Capo del Corpo mistico di Cristo, la Chiesa cattolica, che è il successore di S. Pietro, o peggio riconoscendone scientemente uno chiaramente falso, apostata ecumenista, si pongono di fatto fuori dalla Chiesa di Cristo! Invochiamo il nostro Maestro divino affinché ci liberi e ci immunizzi dalla peste e dalla melma spirituale che ci travolge, chiedendo nel contempo alla Vergine Santissima il trionfo del suo Cuore Immacolato sul serpente maledetto, il lucifero baphomet, “signore dell’universo” quello che è riuscito nell’intento descritto dal Profeta Isaia nel cap. XIV: “… Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo” [v. 14]. Ma il destino che seguirà a breve sarà quello dei versetti successivi: “… E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso! Quanti ti vedono ti guardano fisso, ti osservano attentamente. È questo l’individuo che sconvolgeva la terra, che faceva tremare i regni, che riduceva il mondo a un deserto, che ne distruggeva le città, che non apriva ai suoi prigionieri la prigione? Tutti i re dei popoli, tutti riposano con onore, ognuno nella sua tomba. Tu, invece, sei stato gettato fuori del tuo sepolcro, come un virgulto spregevole; sei circondato da uccisi trafitti da spada, come una carogna calpestata”. (vv. 15-19) Finirà così: “Carogna calpestata … come i suoi servi, le vipere nemiche di tutti gli uomini, gli apostati con talare o clergy man e gli adepti con grembiulini!”. Dio ci salvi!

schiaccia

Et IPSA conteret caput tuum!

AL DI FUORI DELLA CHIESA CATTOLICA NON C’È SALVEZZA -4-

georgehay

Vesc. George Hay

PARTE VII

 D. 21. Come si dimostra che quando un uomo resiste o trascura le grazie di Dio, esse sono da lui prese? E che: se le avesse perse, la colpa è solo sua?

R. Questo fatto è evidente da tutta la Scrittura; ma perché possa essere pienamente compreso, dobbiamo considerare le diverse fatali conseguenze che derivano da un abuso ostinato di queste grazie:

(1) Queste grazie sono ritirate da loro; infatti, Dio, nella sua misericordia infinita, aspetta non una sola volta pazientemente i peccatori, rinnovando le sue iniziative volte alla loro conversione; ma se essi ancora resistono o abusano caparbiamente delle sue grazie, queste vengono diminuite, poi sempre più rarefatte. Così il nostro Salvatore dice del servo inutile, “Toglietegli la mina” …. e “ … a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” [Luca XIX: 24, 26]. E questo in che senso? Se egli non ha, come gli si può prendere qualcosa? Il senso è, che chi non ha migliorato quello che già possiede, gli sarà tolto anche quello che ha. Lo stesso si ripete in diverse altre occasioni.

(2) Quanto più le grazie di Dio sono indebolite o ritirate dai peccatori per i loro abusi ripetuti, più le loro passioni si rafforzano nei loro cuori, acquisendo così esse una maggiore padronanza di essi, fino a renderli loro miserabili schiavi; “Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito. L’ho abbandonato alla durezza del suo cuore, che seguisse il proprio consiglio. ” [Ps. LXXX: 12] E S. Paolo ci assicura che, mentre i saggi tra le nazioni pagane, con la luce della ragione stessa, sono pervenuti ad una chiara conoscenza dell’esistenza di Dio e della sua potenza e Divinità, questi, “… , pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa” [Rom. I: 21].

(3) Se la loro ostinazione aumenta ancora, essi chiudono gli occhi alla luce della verità che Dio offre loro, permettendo loro di essere sedotti dalla menzogna, e “… dare retta a spiriti dell’errore e a dottrine diaboliche “. [1 Tim. IV: 1] Così: “… con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità” [2 Ts. II: 10]. Questo testo molto duro, mostra chiaramente due grandi verità: in primo luogo, che Dio offre la verità a tutti; e, in secondo luogo, che la fonte della loro dannazione è del tutto proveniente da se stessi, per il rifiuto di riceverLo.

(4) Se, pertanto, continuano, nella loro perversione, e muoiono nei loro peccati, la loro parte sarà una condanna terribile per sempre; a loro “Dio, nella sua ira, giura che essi non entreranno nel suo riposo”. [Ps. XCIV: 2] Su di essi Egli pronuncia quella frase terribile: ” Poiché vi ho chiamato e avete rifiutato, ho steso la mano e nessuno ci ha fatto attenzione; avete trascurato ogni mio consiglio, e la mia esortazione non avete accolto; anch’io riderò delle vostre sventure, mi farò beffe quando su di voi verrà la paura, quando come una tempesta vi piomberà addosso il terrore, quando la disgrazia vi raggiungerà come un uragano, allora mi invocheranno, ma io non risponderò, mi cercheranno, ma non mi troveranno. Poiché hanno odiato la sapienza e non hanno amato il timore del Signore; non hanno accettato il mio consiglio e hanno disprezzato tutte le mie esortazioni; mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni.” [Prov. I: 24-30]. – La loro condanna è prefigurata in quella di Gerusalemme che era stata ribelle a tutte le chiamate di Dio, e la cui sorte il nostro Salvatore lamenta in queste parole impressionanti: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sarà lasciata deserta! “. [Matt. XXIII: 37]! “… vorrei, e Tu non hai voluto”. Questa è il loro grande crimine: ti ho inviato il mio profeti e servi, le mie grazie e le luci, i profeti e i santi, ma questi li hai abbattuti e distrutti, e non hai dato nessun ascolto a loro! Il destino miserabile di tutti questi peccatori infelici, così come pure profetizzata a Gerusalemme, strappa le lacrime dagli occhi di Gesù, quando Egli, piangendo su quella città, disse: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”. [S. Luca XIX: 42-44] – Costoro sono quelli che, essendo stati invitati al matrimonio-cena del gran Re, ne hanno respinto l’invito uccidendone i servi; per cui: “… ha inviato le sue truppe a sterminare quegli omicidi, e bruciato la loro città,” [Matt. XXII: 7], dichiarando alfine che: “… nessuno di loro dovrebbe gustato della sua cena”.

D. 22. Qual è la conclusione di tutte queste verità?

R. La conclusione è molto semplice – e cioè, se Dio Onnipotente si è compiaciuto di enunciare che nessuno sarà salvato se non ha la vera fede di Gesù Cristo e non è in comunione con la Sua Santa Chiesa; questo non è in contrasto con l’infinita bontà di Dio, perché Egli dà a tutti le grazie sufficienti, per mezzo delle quali tutti possono, se corrispondono ad esse, essere portati alla vera fede e alla Chiesa di Cristo; e se qualcuno si perde, questo non è dovuto certamente ad alcuna mancanza della bontà di Dio, ma al loro abuso delle grazie loro elargite. Su alcuni, anzi, Egli dona queste grazie più abbondantemente, dando loro cinque talenti, mentre agli altri ne ha dato, più parsimoniosamente, a chi due, e a qualcuno uno solo; ma Egli dà a tutti sufficientemente per il loro presente volere, e darà ancor più se questi si migliorano, finché al termine li possa portare alla conoscenza della sua verità e alla salvezza.

D. 23. Ma supponiamo che una persona viva nella selvaggia Tartaria o in America dove il nome di Cristo non è mai stato ascoltato: supponiamo anche che questa persona partecipi ai dettami della coscienza illuminata dalle grazie che Dio si compiace di dargli, e costantemente si conformi ad esse: ancora, come è possibile che possa essere portato alla conoscenza ed alla fede di Gesù Cristo?

R. Questo caso è certamente possibile; e se dovesse capitare non può essere messo in dubbio, ma Dio Onnipotente, con i tesori della sua infinita saggezza, fornisce i mezzi per portare una persona alla conoscenza della verità, anche se dovesse inviare un Angelo dal cielo per istruirlo. “La mano del Signore non è accorciata, perché Egli non possa salvare” [Isa.], in qualunque difficoltà una povera anima possa essere; Egli ha, fatto cose meravigliose nel passato in casi di questo genere, ed è certamente in grado di fare nuovamente lo stesso: e dal momento che ha così chiaramente annunziato, che fuori della Vera Chiesa e senza vera fede in Cristo non c’è salvezza, non ci può essere alcun dubbio che, nel caso supposto, si sarebbe preso cura efficacemente nel portare una persona alla felicità.

D. 24. C’è nella Scrittura qualche passo che con autorità dimostri questo?

R. Non ci può essere più valida prova della Scrittura di alcuni fatti non correlati. Abbiamo infatti in essa due bellissimi esempi dell’agire di Dio in tal fatta per casi simili, il che dimostra che potrebbe fare ancora lo stesso, se qualche evenianza lo richiedesse. L’uno è quello dell’eunuco di Candace, regina d’Etiopia: egli, seguendo le luci che Dio gli aveva dato, pur vivendo a grande distanza da Gerusalemme, aveva conosciuto il culto del vero Dio, tanto che era solito passare, di tanto in tanto, del tempo a Gerusalemme per adorarLo. Quando, però, il Vangelo cominciò ad essere annunciato, la religione ebraica non poteva più salvarlo; ma essendo egli ben disposto dalla fedeltà alle grazie che aveva fino a quel momento ricevute, non venne abbandonato da Dio Onnipotente; infatti quando stava tornando al suo paese da Gerusalemme, il Signore gli inviò, portato da un Angelo, San Filippo affinché lo incontrasse, lo istruisse nella fede di Cristo, e lo battezzare. [Atti VIII: 26]. – L’altro valido esempio è quello di Cornelio, un ufficiale dell’esercito romano della truppa italica cresciuto nell’idolatria. Nel corso degli eventi storici, il suo reggimento giunse in Giudea, ove vigeva una religione diversa dalla propria: il culto di un solo Dio. Per la grazia attivata nel suo cuore, credette in questo unico Dio, e seguendo gli ulteriori movimenti della grazia divina, si mise a dare molte elemosine ai poveri, pregando intensamente questo Dio che gli dicesse direttamente cosa fare. Dio lo ha abbandonato? No assolutamente; ma mandò un Angelo dal cielo a dirgli da chi doversi recare al fine di essere pienamente istruito nella conoscenza e nella fede di Gesù Cristo, ed essere accolto nella sua Chiesa mediante il Battesimo. Ora, ciò che Dio ha fatto in questi due casi, non è forse in grado di farlo analogamente in tutti gli altri casi, Lui che ha mille modi nella sua saggezza per condurre le anime che desiderano in modo veramente serio la conoscenza della verità e la salvezza? Ed anche se una tale anima si trovasse nelle più remote regioni selvagge del mondo, Dio non potrebbe inviarle un Filippo o un Angelo dal cielo per istruirlo e così, con la sovrabbondanza della sua grazia interna o con innumerevoli altri modi a noi sconosciuti, non potrebbe infondere nella sua anima la conoscenza della verità? La faccenda in verità è: che dobbiamo attentamente fare la nostra parte nel rispettare ciò che Dio ci concede; in virtù di questo noi siamo certi, che se non ci mancherà il desiderio di Lui, Dio non sarà mai manchevole verso di noi, e quando comincia il buon lavoro in noi, questo sarà anche portato alla perfezione se siamo attenti ad assecondarlo e a non frapporre ostacoli ai suoi disegni.

D. 25. Ma se non si è portati alla fede ed alla Chiesa di Cristo, come che si può corrispondere alle grazie ricevute?

R. Dio non voglia; sebbene sia certo che Dio non mancherà di portare tutte le persone alla fede ed alla Chiesa di Cristo se esse corrispondono fedelmente alle grazie che Egli dona loro, Egli stesso non si limita comunque nel conferire quella singolare pietà a tutti gli altri. Se fosse infatti questo il caso, pochi in effetti avrebbero potuto riceverla! Ma Dio, per mostrare le infinite ricchezze della sua bontà e la sua misericordia, la dona a molti anche tra i più immeritevoli; l’ha conferita infatti anche a molti degli ebrei increduli che avevano crocifisso Gesù Cristo, ed ai sacerdoti che Lo perseguitavano a morte, anche se si erano ostinatamente opposti a tutti i mezzi che Egli aveva precedentemente utilizzati, alla sua dottrina ed ai miracoli per convertirli. In questo Egli agisce come Signore e Maestro, e come un “dissipatore” elargisce i suoi doni; Egli dà a tutti gli aiuti necessari e sufficienti nel loro stato attuale; a coloro che cooperano, Egli non manca mai di dare sempre più abbondantemente aiuto; e al fine di mostrare le ricchezze della sua misericordia, al numero dei più immeritevoli Egli dona i suoi favori più singolari per la loro conversione. Quindi nessuno ha motivo di lamentarsi; tutto dovrebbe essere solleciti a collaborare con quanto già possiedono; nessuno dovrebbe darsi alla disperazione a causa della propria ingratitudine passata, ma dovrebbe invece confidare con certezza che Dio, ricco di misericordia, avrà ancora pietà, in caso si ritorni a Lui. Solamente devono temere e tremare coloro che rimangono ostinati nelle loro vie perverse, e continuano a resistere alle chiamate della sua misericordia, rimandando la loro conversione da un giorno all’altro. Infatti, anche se la sua misericordia infinita non conosce limiti nel perdono dei peccati, per quanto numerosi e gravi essi siano, se ci pentiamo, le offerte della sua misericordia sono limitate, e qualora si superino questi limiti per la nostra caparbietà, non ci sarà più misericordia per noi. Il tempo della misericordia è fissato per tutti, e se non riusciamo ad abbracciare le sue offerte entro un certo termine, le porte della misericordia saranno per noi chiuse per sempre. Una volta che lo sposo è entrato nella camera matrimoniale, le porte vengono chiuse, e le vergini stolte che erano impreparate sono per sempre escluse, con questo rimprovero terribile da parte di Gesù Cristo: “non so voi chi siete; allontanatevi da me, voi tutti operatori di iniquità”. Poiché non si sa quindi per quanto ancora durerà il tempo della misericordia, non si dovrebbe ritardare di un attimo l’occasione; se si rifiuta l’attuale offerta, questa potrebbe essere l’ultima. “L’ora verrà come un ladro nella notte, quando meno ce lo aspettiamo”, come Cristo stesso ci assicura, e quindi Egli ci comanda di essere sempre pronti.

PARTE VIII

D. 26. Che opinione, quindi, possiamo formarci circa la salvezza di chi, in particolare, è fuori della vera Chiesa di Cristo e vive in una falsa religione?

R. In risposta a questo, io posso fare un’altra domanda: “Che opinione ci si forma, riguardo alla salvezza di chi vive nello stato evidente di peccato mortale, come l’adulterio, la rapina, l’impurità, o cose simili? Nessuno può certo presumere di dire che quell’individuo sarà certamente perduto; ma ognuno può capire e dire che se questi muore in quello stato, senza pentimento, non può assolutamente essere salvato. Se interviene la volontà di Dio positivamente per salvarlo, questi, prima di morire, avrà la grazia del pentimento sincero: questo perché Dio Onnipotente richiede espressamente dai peccatori un sincero pentimento come condizione “sine qua non” per poter essere salvati: “… Se non vi ravvedete,” dice, “voi tutti similmente perirete.” [S. Luca XIII: 3]. Lo stesso vale per una persona che è fuori della “Vera” Chiesa, e vive in una falsa religione. Se egli muore in quello stato, non può essere salvato; e se c’è la volontà di Dio nel volerlo salvare, senza dubbio lo condurrà alla vera fede, rendendolo un membro della Chiesa di Cristo prima di lasciare questo mondo; e il motivo è lo stesso come per l’altro caso. Dio, come abbiamo visto in precedenza, richiede che tutti gli uomini siano uniti alla Chiesa nella Vera Fede come condizione di salvezza, e : “… quindi tutti i giorni aggiungeva alla Chiesa, coloro che dovevano essere salvati” [Atti II: 47]. Ora, anche se un uomo è al momento un grande avversario della Chiesa di Cristo, ed un altro è membro della Chiesa ma grande peccatore, nessuno può sapere che cosa Dio attuerà per entrambi, prima di morire, di modo che nessun possa dire che o l’uno o l’altro verranno persi; perché se Dio vuole, Egli può dare sia la luce della vera fede all’uno, sia la grazia del vero pentimento all’altro, anche nei loro ultimi momenti di vita, e quindi salvarli.

D. 27. Ma supponiamo che una persona viva in una falsa religione, e muore senza essere unito alla comunione della Chiesa di Cristo: si può dire di un tale che egli è certamente perduto?

R. Devo qui porre un’altra domanda. Supponiamo che un grande peccatore continui a vivere nei suoi peccati, e muore senza alcuna apparenza di pentimento: si potrebbe dire di un tale che egli è certamente perduto? Certamente no; perché nessun uomo conosce, o può sapere quello che potrebbe essere passato tra Dio e l’anima di quel peccatore nei suoi ultimi momenti; tutto ciò che si può dire è che, se egli è effettivamente morto senza pentimento, di certo è perduto; ma se Dio, nella sua infinita bontà, ha gli ha dato la grazia di un ravvedimento perfetto, ed egli ha corrisposto da parte sua ad un così grande favore, sarà salvo. Allo stesso modo, si potrebbe supporre che una persona che viva in una falsa religione muoia senza dare alcun segno di abbracciare la vera fede, o senza essersi riconciliati con la Chiesa di Cristo: non possiamo mai dire di un tale con certezza che egli è perduto; tutto ciò che possiamo dire è che questi si trova ad essere nelle stesse condizioni dell’altro caso: se è effettivamente morto come ha vissuto, separato dalla vera Chiesa di Cristo e senza la vera fede di Cristo, egli non può essere salvato. Ma se Dio, nella sua grande misericordia, gli ha dato nei suoi ultimi momenti la luce e la grazia di vedere e abbracciare la vera fede, e lui ha corrisposto ad un così grande favore, come Dio richiede, sarà salvo. Ora, siccome nessun uomo sa o può sapere, che cosa possa esser passato nell’anima dell’uno o dell’altro nei loro ultimi momenti, nessun può pronunciare la sentenza definitiva della loro perdita con assoluta certezza.

D. 28. Ma, nel caso proposto, se una persona, nei suoi ultimi istanti di vita, deve ricevere la luce della fede da parte di Dio e abbracciarla con tutto il cuore, non sarebbe questo sufficiente a fare di lui un membro della Vera Chiesa agli occhi di Dio?

R. Certamente, senza dubbio; il caso è lo stesso di quello del Battesimo. Anche se Gesù Cristo dice espressamente, “… se uno non nasce da acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio” [Giovanni III: 5], cosa che stabilisce l’assoluta necessità del Battesimo per la salvezza, supponiamo che un pagano istruito nella fede di Cristo l’abbracci con tutto il cuore, ma muore improvvisamente senza il Battesimo, o venga portato via da amici infedeli, o sia messo nell’assoluta impossibilità di ricevere il Battesimo e muoia nelle disposizioni di cui sopra, cioè con sincero pentimento e con il desiderio del Battesimo: questa persona senza dubbio riceverà tutti i frutti del Battesimo da parte di Dio, e quindi si dice che è “battezzato nel desiderio”. Allo stesso modo, supponiamo che una persona cresciuta in una falsa religione abbracci con tutto il cuore la luce della vera fede che Dio gli dà nei suoi ultimi momenti, quando è assolutamente impossibile per lui in quello stato aderire alla “Comunione esterna alla Chiesa agli occhi degli uomini”, certamente sarà considerato unito ad essa agli occhi di Dio per mezzo della vera fede che abbraccia ed il suo desiderio di essere unito alla Chiesa, se fosse stato nelle sue possibilità.

D. 29. C’è qualche ragione per credere che Dio Onnipotente spesso dia la luce della fede o la grazia del pentimento, nell’ora della morte, a coloro che hanno vissuto tutta la loro vita nell’eresia, o nel peccato?

R. Che Dio possa convertire in un solo istante il cuore più ostinato, sia alla vera fede, che al pentimento, è evidente dagli esempi di S. Paolo, Zaccheo il pubblicano, San Matteo Apostolo e molti altri; ed in particolare, di San Pietro, al quale in un attimo Egli ha rivelato la divinità di Gesù Cristo, che per questo motivo così gli si rivolge: “Benedetto sei tu, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ha rivelato questo a te, ma il Padre mio che è nei cieli. ” [Matteo. XVI: 17]; Egli allora può fare questo in punto di morte con la stessa facilità con la quale può farlo in qualsiasi altro momento della vita, e questo non può essere messo in dubbio, perché è cosa già vista per il buon ladrone sulla croce: Egli è lo stesso Dio onnipotente in ogni momento. Ma deve essere ben compreso che c’è motivo di pensare che questo non sia un caso molto frequente. Sì, certamente nella rivelazione ci sono ben pochi motivi di pensare questo, anzi la Scrittura, come abbiamo visto sopra, minaccia proprio il contrario. Tutto ciò che si può dire è che, siccome Dio è in grado di farlo, potrebbe farlo; e siccome Egli è misericordioso, Egli potendo, lo fa; e questa possibilità è sufficiente per impedirci di emettere un giudizio sullo stato di ogni anima che ha lasciato questo mondo: ma sarebbe certamente al limite della follia, ed un tentare manifestamente Dio, se una persona prosegua in un strada malvagia nella speranza di trovare simile misericordia all’ultimo momento.

D. 30. Non vediamo, anche tra le false religioni, molti buone persone ben disposte, che vivono una buona vita, e sono anche devote e pie a modo loro; non è forse difficile pensare che queste persone non verranno salvate?

R. Ma non è forse molto più ragionevole, e oltretutto più conforme a tutto il tenore di ciò che Dio ha rivelato, supporre che, se esse sono veramente tali davanti a Dio, così come appare agli occhi degli uomini, e sapendo che continueranno a corrispondere alle grazie che dà loro, Egli non permetterà loro di morire nella loro falsa religione, e senza dubbio li porterà alla vera fede prima che esse muoiano? La porta della salvezza non è affatto chiusa a queste persone in nessun caso qui prospettato; l’unica difficoltà è il modo in cui si può arrivare a questo. Supporre che possano raggiungere la salvezza anche coloro che muoiono nella loro falsa religione, è supporre che Dio agisca in contrasto con se stesso ed in opposizione a tutto ciò che ha rivelato agli uomini su questa materia; ma aderendo alla Sua Santa Parola, e credendo fermamente che Dio ” … aggiunge ogni giorno alla Chiesa, quelli che devono essere salvati”, e che la maggior parte di quelli di cui si parla senza dubbio potrebbero essere aggiunti ad essa, se sono di quel numero felice, non rendiamo la loro salvezza più difficile sia per se stessi che per Dio, evitando la conseguenza terribile di supporre che Dio agisca in contrasto con se stesso e la sua volontà rivelata? Se queste persone sono veramente tali agli occhi di Dio, come appaiono agli uomini, e se Gesù Cristo, prevedendo la loro perseveranza, accresce le grazie che dona loro, e le riconosce tra il numero delle sue pecore “… alle quali Egli dona la vita eterna”, allora è evidente che queste sono nella condizione di quelli di cui Egli stesso dice nel Vangelo: “… ho altre pecore che non sono di questo ovile,” [S. Giovanni X: 16] sia le une che le altre sono considerate come appartenenti a Lui, secondo la sua legge riconosciuta, per quanto concerne la loro salvezza; ma l’una delle due non si unisce ala comunione visibile della sua Chiesa. Ora di queste ultime Egli aggiunge subito: “… Anche loro devo portare, ed esse ascolteranno la mia voce, e non ci sarà che un solo gregge ed un solo pastore”. Non era sufficiente per la loro salvezza riconoscere che fossero le sue pecore? Ma poiché non era così, era necessario che esse dovessero essere unite al gregge al quale quindi non appartenevano. Lo stesso quindi deve essere il caso di coloro di cui qui parliamo: anche esse sono le pecore di Gesù Cristo, perché Egli prevede che alla fine saranno salvate; ma in quanto non sono attualmente nell’alveo della sua Chiesa, al fine di “garantire la loro salvezza “, anche loro deve portare, prima che esse muoiano, affinché ci possa essere “un solo gregge ed un solo pastore.”

D. 31. Questo è molto forte. Ma non è proprio questo è il caso da cui molti pretendono di porre una grande questione, dalla quale sembra trarre forza in loro favore l’opinione che si salvano coloro che muoiono in una falsa religione?

R. Il loro errore nasce dall’idea che si fanno delle opere buone, e dal loro non osservare la grande differenza che c’è tra le buone azioni morali naturali e le buone opere soprannaturali cristiane, che sole porteranno l’uomo al cielo. Essendo infatti danneggiata la nostra natura dal peccato, ci sono pochi o nessuno della progenie di Adamo che abbiano buone disposizioni naturali, ma alcuni sono più inclini ad una virtù, altri ad un’altra. Così alcuni sono di una umana, benevola disposizione, un po’ tenera e compassionevole verso gli altri in difficoltà; alcuni sono magari in posizione più verticale nei loro rapporti, un po’ temperati e sobri; alcuni un po’ miti e pazienti; alcuni hanno anche sentimenti naturali di devozione e di rispetto per l’Essere Supremo. Ora, tutte queste buone disposizioni naturali da se stesse sono ben lungi dall’essere “virtù cristiane”, e sono del tutto incapaci di portare un uomo al Cielo. Esse infatti fanno di lui una persona gradita agli uomini procurandogli stima e riguardi tra quelli con cui vive; ma non sono di alcuna utilità davanti a Dio per quanto riguarda l’eternità. Per convincersene basti osservare che le buone disposizioni naturali di questo tipo si trovano in maomettani, in ebrei e pagani, così come tra i cristiani; ancora nessun cristiano può supporre che un maomettano, Ebreo, o pagano, che muore in quello stato, otterrà il regno dei cieli per mezzo di queste virtù! I farisei, tra il popolo di Dio, sono stati notevoli per molte di tali virtù; avevano una grande venerazione per la legge di Dio; avevano fatto aperta professione di pietà e devozione, davano larghe elemosine ai poveri; digiunavano e pregavano tanto; erano assidui in tutte le osservanze pubbliche della religione; erano particolarmente ligi nella loro rigorosa osservanza del sabato, e avevano in orrore tutti la profanazione del santo Nome di Dio; ma Gesù Cristo stesso dichiara espressamente: “… Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” [Matteo V: 20]. Ci viene detto di uno di loro, andato al tempio per pregare, e che agli occhi del mondo era un uomo molto buono e conduceva una vita innocente, priva di quei crimini più grossolani che sono così comuni tra gli uomini, digiunava due volte alla settimana, e dava le decime di tutto ciò che possedeva; ma Cristo stesso ci assicura che agli occhi di Dio egli era condannato. Tutto questo dimostra che nessuna delle suddette buone disposizioni naturali è in grado di per sé di portare qualsiasi uomo al Cielo. E la ragione è questa: perché “… non vi è infatti altro Nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo essere salvati, se non il nome di Gesù solo,” [Atti IV: 12]; quindi le opere buone di qualsiasi sorta, eseguite solo attraverso buone disposizioni naturali, non potranno certamente essere coronate da Dio con la felicità eterna. Per ottenere questo glorioso premio, le nostre buone opere devono essere santificate dal sangue di Gesù-Cristo, e diventare virtù cristiane. Ora, se si cerca nella Sacra Scrittura, troviamo due condizioni assolutamente necessarie per rendere le nostre buone opere gradite a Dio, e favorevoli alla nostra salvezza: 1) In primo luogo, se siamo uniti a Gesù Cristo con la vera fede, che è la radice ed il fondamento della virtù tutta cristiana; S. Paolo dice infatti espressamente: “Senza la fede è impossibile piacere a Dio.” (Hebr.XI: 6) Osservate la parola “impossibile”; non dice che è difficile, ma che è “impossibile”. Mettiamo quindi che un uomo abbia così tante buone disposizioni naturali, che sia il più caritatevole, devoto e mortificato come lo erano i farisei, ma se non ha la vera fede in Gesù Cristo, non potrà entrare nel regno dei cieli. I farisei si sono rifiutati di credere in Lui, e quindi tutte le loro opere non erano buone a nulla per ottenere loro la salvezza; e se la nostra giustizia non li supera in questo punto, come Cristo stesso ci assicura, non potremo mai entrare nel suo Regno celeste. Ma anche la vera fede in sé, per quanto necessaria, non è sufficiente da sola a rendere le nostre buone opere decisive per la salvezza, benché necessarie. – 2) In secondo luogo, dobbiamo essere nella carità con Dio, nella sua amicizia e la grazia, senza la quale nemmeno la stessa vera fede potrà mai salvarci. Per convincersene, dobbiamo solo dare ascolto a S. Paolo, il quale dice: “… Anche se dovessi avere tutta la fede, in modo da trasportare le montagne, anche se dovessi distribuire tutti i miei beni per nutrire i poveri, anche se dovessi dare il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi carità, nulla mi giova. ” [1 Cor. XIII: 2]. – Di modo che occorre pensare che un uomo, benché pacifico, moderato, inoffensivo e religioso a suo modo, caritatevole verso i poveri, e che goda di numerosi altri favori, se non ha la vera fede di Gesù Cristo, e non ha la carità con Dio, tutte le sue virtù apparenti non portano a nulla; è impossibile per lui piacere a Dio attraverso di esse; e se si vive morendo in quello stato, queste non gli saranno di alcun profitto. Quindi è chiaro che coloro che muoiono in una falsa religione, quantunque ineccepibile possa essere la loro condotta morale agli occhi degli uomini, in quanto non hanno la vera fede di Cristo e non sono nella carità con Lui, non sono sulla via della salvezza; niente ci può valere in Cristo, se non “… la fede che opera per mezzo della carità”. [Gal. V: 6]. [Continua]

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DEDICAZIONE DELLE BASILICHE DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO – 18 novembre

DEDICAZIONE DELLE BASILICHE

DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

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18 NOVEMBRE.

Come l’anniversario del Tempio di Gerusalemme era giorno solenne presso gli Ebrei, così le nostre Chiese, divenute per la dedicazione il tempio del Dio vivente presso di noi, solennizzano ogni anno l’anniversario di questo memorabile avvenimento. La Liturgia che unisce il pensiero della chiesa materiale a quello della Chiesa mistica di Cristo, non fa oggi che ripeterci la Casa del Signore essere luogo di rifugio, di preghiera e di santificazione. Tra questi luoghi sacri che i prodi guerrieri di Cristo resero celebri, e che i Cristiani venerano da tempo immemorabile, il primo è sempre stata la Confessione o tomba di S. Pietro. – Dicesi che l’illustre Principe degli Apostoli fosse sepolto subito dopo la morte, nel luogo stesso del martirio, sul colle Vaticano. Nel medesimo giorno S. Paolo, decapitato alle Acque Salvie, ove ora si vede la Chiesa delle Tre Fontane, venne deposto lungo la via Ostiense, fuori le mura di Roma, e precisamente ove ora sorge l’attuale e grandiosa Basilica. Se pensiamo che gli stessi pagani erano soliti di dedicare agli dèi bugiardi, con speciale atto consacrativo, gli edifici destinati al culto divino, non dobbiamo meravigliarci se a maggior diritto troviamo nel Cristianesimo istituzioni corrispondenti. Infatti, cessate le persecuzioni, vediamo svolgersi una grande magnificenza nelle costruzioni delle Chiese. – Il pio Imperatore Costantino dopo aver fondato la prima Chiesa Madre in Laterano, ne fece fabbricare sette altre a Roma ed un numero maggiore in Italia. La prima di queste sette situata sul colle Vaticano, fu dedicata in onore di S. Pietro; e un’altra ne fece sorgere lungo la Via Ostiense, poco distante dal luogo del martirio di S. Paolo a lui dedicata. – La ricchezza e la magnificenza di questi grandiosi templi non la cedevano punto a quanto l’architettura aveva prodotto di più perfetto in tutto l’impero. Papa S. Silvestro ne fece la solenne consacrazione. Dopo oltre 11 secoli l’antica Basilica Vaticana minacciava di cadere, quando sotto il pontificato di Giulio II nel 1506, fu riedificata su l’attuale grandioso disegno e nuovamente consacrata da Urbano VIII al 18 Novembre del 1626. Per opera dei sommi artisti del tempo, quali il Bramante, Raffaello, Michelangelo e Bernini, essa è riuscita il più vasto tempio del mondo. Sotto i suoi altari si conservano le reliquie di un grande numero di Papi, martiri, ed altri santi; ma le più preziose sono quelle di S. Pietro, poste sotto un magnifico altare detto della “Confessione” su cui solo il Romano Pontefice [attualmente impedito – ndr.-] può celebrar Messa. – La ricchissima Basilica di S. Paolo che ai 18 Luglio 1823 fu distrutta da un incendio venne riedificata anch’essa col nuovo splendore di un’arte perfetta, e riconsacrata con grandissima pompa dal Pontefice Pio IX il 10 Dicembre 1854 tra immenso stuolo di. Cardinali e Vescovi convenuti da tutto l’Orbe cristiano a Roma per la proclamazione del dogma dell’Immacolata. Oggi dunque, come 15 secoli addietro, veneriamo in esse le gloriose spoglie dei Principi degli Apostoli. Quivi le turbe devote, dice S. Giovanni Crisostomo, e l’imperatore, benché ammantato di porpora, viene a visitarle, le onora con un bacio rispettoso, e prostrato, riguarda come favore del Cielo l’avere per protettori un pescatore ed un tessitore di tende.

RICORDO. — La chiesa è la casa del Signore; è luogo di preghiera e perciò merita rispetto, decoro e devozione.

PREGHIERA. — Ti preghiamo, Dio Onnipotente che in questi luoghi da noi indegni dedicati al Tuo nome, tu porga le orecchie di tua pietà a quanti ti invocano. Così sia. [da: I Santi per ogni giorno dell’anno – 1933]

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In questo giorno di festa grande per la Chiesa di Cristo, il cuore dei cattolici è oggi purtroppo pieno di mestizia, perché si è avverata la profezia di S. Luigi Maria Grignion de Montfort, nitidamente esposta nella sua “preghiera infuocata”:

La divina legge è trasgredita, il vostro Vangelo abbandonato, i torrenti di iniquità inondano sulla terra e travolgono perfino i vostri servi. Tutta la terra si trova in uno stato deplorevole, l’empietà regna sovrana; il vostro santuario è profanato e l’abominio è fin nel luogo santo. Giusto Signore, Dio delle vendette, lascerete nel vostro zelo, che tutto vada in rovina? Ogni luogo diverrà alla fine come Sodoma e Gomorra?”

C’è da restare attoniti nell’osservare la situazione di attuale apostasia diffusa nella società, nei popoli, soprattutto fin nelle chiese e nei sacri palazzi di un tempo, gestiti dalla “setta” dei marrano-modernisti, i falsi sacerdoti mai validamente consacrati, che tutto vuol distruggere, consegnando ciò che eventualmente resta al “nemico di Dio e di tutti gli uomini”; è uno stato di profonda amarezza, anche se tutto era già stato ampiamente profetizzato fin dalle origini della Chiesa dallo stesso Maestro divino. Lo sgomento deve lasciar posto però alla speranza, cominciando magari a rileggere la lettera di S. Anastasio al suo gregge, quando la peste giudaico-ariana sembrava aver definitivamente preso possesso della Chiesa Cattolica: “Dio solo vi consoli! … Che cosa vi rattrista … è il fatto che altri hanno occupato le chiese con la violenza, mentre voi, durante questo periodo, ne siete fuori? È un dato di fatto che essi hanno i palazzi: ma voi avete la Fede Apostolica! Essi possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete fuori dai luoghi di culto, ma la Fede abita in voi! Prendiamo in considerazione: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente! Chi ha perso e chi ha vinto nella lotta: colui che occupa gli edifici, o colui che custodisce la Fede? Vero è che le premesse sono buone solo quando è predicata la Fede Apostolica: tutto è santo, solo quando tutto si svolge là in modo Santo … –

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Quel che resta della Chiesa di Cristo …

Penitenza e preghiera ci confortino allora in attesa che il “soffio della bocca” del Signore bruci l’empia setta relegandola nell’imo degli inferi, e tutto torni, nella Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica, a splendere come una volta:

“Et ambulabunt gentes in lumine ejus: et reges terrae afferent gloriam suam et honorem in illam. Et portae ejus non claudentur per diem: nox enim non erit illic. Et afferent gloriam et honorem gentium in illam. Non intrabit in eam aliquod coinquinatum, aut abominationem faciens et mendacium, nisi qui scripti sunt in libro vitae Agni”- [E le genti cammineranno dietro alla sua luce, e i re della terra le porteranno la loro gloria e il loro onore. E le sue porte non si chiuderanno nel giorno, perché non vi sarà notte. E a lei sarà portata la gloria e l’onore delle genti. Non entrerà in essa nulla d’immondo o chi commette abominazione e menzogna, bensì quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello. Apo 21:24-27].

Preghiamo in particolare con i salmi del Re-Profeta:

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Leva manus tuas in superbias eorum in finem. Quanta malignatus est inimicus in sancto! Et gloriati sunt qui oderunt te in medio solemnitatis tuae; posuerunt signa sua, signa; et non cognoverunt sicut in exitu super summum. Quasi in silva lignorum securibus exciderunt januas ejus in idipsum; in securi et ascia dejecerunt eam. Incenderunt igni sanctuarium tuum, in terra polluerunt tabernaculum nominis tui. Dixerunt in corde suo cognatio eorum simul: quiescere faciamus omnes dies festos Dei a terra. Signa nostra non vidimus; jam non est propheta; et nos non cognoscet amplius. Usquequo, Deus, improperabit inimicus? irritat adversarius nomen tuum in finem? Ut quid avertis manum tuam, et dexteram tuam de medio sinu tuo in finem?

[Volgi i tuoi passi a queste rovine eterne: il nemico ha devastato tutto nel tuo santuario. Ruggirono i tuoi avversari nel tuo tempio, issarono i loro vessilli come insegna. Come chi vibra in alto la scure nel folto di una selva, con l’ascia e con la scure frantumavano le sue porte. Hanno dato alle fiamme il tuo santuario, hanno profanato e demolito la dimora del tuo nome; 8pensavano: “Distruggiamoli tutti”; hanno bruciato tutti i santuari di Dio nel paese. Non vediamo più le nostre insegne, non ci sono più profeti e tra di noi nessuno sa fino a quando… Fino a quando, o Dio, insulterà l’avversario, il nemico continuerà a disprezzare il tuo nome? Perché ritiri la tua mano e trattieni in seno la destra? – Ps. LXXIII, 3-11;

Salmo LXXVIII

      Deus, venerunt gentes in haereditatem tuam; polluerunt templum sanctum tuum; posuerunt Jerusalem in pomorum custodiam. Posuerunt morticina servorum tuorum escas volatilibus caeli, carnes sanctorum tuorum bestiis terrae. Effuderunt sanguinem eorum tamquam aquam in circuitu Jerusalem, et non erat qui sepeliret. Facti sumus opprobrium vicinis nostris, subsannatio et illusio his qui in circuitu nostro sunt. Usquequo, Domine, irasceris in finem? accendetur velut ignis zelus tuus? Effunde iram tuam in gentes quae te non noverunt, et in regna quae nomen tuum non invocaverunt; quia comederunt Jacob, et locum ejus desolaverunt. Ne memineris iniquitatum nostrarum antiquarum; cito anticipent nos misericordiae tuae, quia pauperes facti sumus nimis. Adjuva nos, Deus, salutaris noster; et propter gloriam nominis tui, Domine, libera nos, et propitius esto peccatis nostris, propter nomen tuum. Ne forte dicant in gentibus: Ubi est Deus eorum? et innotescat in nationibus coram oculis nostris ultio sanguinis servorum tuorum qui effusus est. Introeat in conspectu tuo gemitus compeditorum; secundum magnitudinem brachii tui posside filios mortificatorum; et redde vicinis nostris septuplum in sinu eorum; improperium ipsorum quod exprobraverunt tibi, Domine. Nos autem populus tuus, et oves pascuae tuae, confitebimur tibi in saeculum; in generationem et generationem annuntiabimus laudem tuam. –

[O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto in macerie Gerusalemme. Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli agli animali selvaggi. Hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme, e nessuno seppelliva. Siamo divenuti l’obbrobrio dei nostri vicini, scherno e ludibrio di chi ci sta intorno. Fino a quando, Signore, sarai adirato: per sempre? Arderà come fuoco la tua gelosia? Riversa il tuo sdegno sui popoli che non ti riconoscono e sui regni che non invocano il tuo nome, perché hanno divorato Giacobbe, hanno devastato la sua dimora. Non imputare a noi le colpe dei nostri padri, presto ci venga incontro la tua misericordia, poiché siamo troppo infelici. Aiutaci, Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome, salvaci e perdona i nostri peccati per amore del tuo nome. Perché i popoli dovrebbero dire: “Dov’è il loro Dio?”. Si conosca tra i popoli, sotto i nostri occhi, la vendetta per il sangue dei tuoi servi. Giunga fino a te il gemito dei prigionieri; con la potenza della tua mano salva i votati alla morte. Fa’ ricadere sui nostri vicini sette volte l’affronto con cui ti hanno insultato, Signore. E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti renderemo grazie per sempre; di età in età proclameremo la tua lode.]

Salmo LXXXIII :

 Quam dilecta tabernacula tua, Domine virtutum! Concupiscit, et deficit anima mea in atria Domini; cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum. Etenim passer invenit sibi domum, et turtur nidum sibi, ubi ponat pullos suos. Altaria tua, Domine virtutum, rex meus, et Deus meus. Beati qui habitant in domo tua, Domine; in saecula saeculorum laudabunt te. Beatus vir cujus est auxilium abs te, ascensiones in corde suo disposuit, in valle lacrimarum, in loco quem posuit. Etenim benedictionem dabit legislator; ibunt de virtute in virtutem, videbitur Deus deorum in Sion. Domine Deus virtutum, exaudi orationem meam; auribus percipe, Deus Jacob. Protector noster, aspice, Deus, et respice in faciem christi tui. Quia melior est dies una in atriis tuis super millia; elegi abjectus esse in domo Dei mei magis quam habitare in tabernaculis peccatorum. Quia misericordiam et veritatem diligit Deus, gratiam et gloriam dabit Dominus. Non privabit bonis eos qui ambulant in innocentia. Domine virtutum, beatus homo qui sperat in te.

 [Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia languisce e brama gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. Anche il passero trova la casa, la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi! Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio. Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente, anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni. Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion. Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe. Vedi, Dio, nostro scudo, guarda il volto del tuo consacrato. Per me un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove, stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi. Poiché sole e scudo è il Signore Dio; il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine. Signore degli eserciti, beato l’uomo che in te confida.]

 

AL DI FUORI DELLA CHIESA CATTOLICA NON C’È SALVEZZA -3-

 georgehay

Vescovo George Hay di Scozia [1729-1811]

PARTE V

 D 12. I membri della Chiesa di Cristo, raggiunta l’età della ragione, non sono in obbligo di esaminarsi su come essi vivono, se cioè in modo giusto o meno, così come quelli che sono cresciuti in una setta separata dalla Vera Chiesa?

R. Non vi è nulla che la Chiesa di Cristo abbia desiderato più ardentemente, del fatto che i suoi figli debbano essere accuratamente istruiti nella loro religione, apprenderne la dottrina, nella misura di cui sono capaci. Per questo fine si raccomanda strettamente ai loro pastori di essere assidui nell’istruire i loro fedeli fin dai primi anni di vita, ben sapendo che più sanno della loro religione, più sono legati ad essa. La vera Chiesa di Cristo è opera di Dio, la dottrina insegnata contiene le verità di Dio; ora, la verità più si esamina attentamente, e più illustre, nobile e vera apparirà; e Dio Onnipotente ha dato tale splendida testimonianza della verità della sua religione, che più essa viene esaminata con sincerità, più convince e delizia. Ecco, dunque, ove sta la differenza: quando un membro della Chiesa di Cristo considera la sua religione, non può avere alcun ragionevole motivo di dubbi che lo riguardino, e più la prende in esame, più si convince di essere nella verità. Ma un individuo cresciuto in una falsa religione, se ripensa a tutto, non può non percepire forti motivi di dubbio; e più si esamina, più la sua menzogna si manifesterà, perché la falsità non potrà mai sopportare la luce di un esame attento ed imparziale.

D 13. Ma quale può essere allora la spiegazione del fatto che vediamo comunque molti uomini di buona reputazione e sapienti tra le diverse sette di cristiani, alcuni delle quali devono senza dubbio essere false, in quanto si contraddicono e si condannano l’un l’altra?

R. Per capire questo dobbiamo osservare che la Parola di Dio dichiara che Dio stesso vuole che “tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.” [1 Tim. II : 4] In conseguenza di questo sincero desiderio di Dio, Egli non manca mai di dare a tutti gli aiuti necessari dall’esterno e le grazie sufficienti per portarli alla conoscenza della verità, se collaborano interiormente; ma se essi chiudono gli occhi alla sua luce e se, per la corruzione del loro cuore, non hanno alcun riguardo per le sue grazie, rimangono nella loro ignoranza; ma la loro ignoranza è volontaria nella sua causa, ed è una giusta punizione della loro colpa. – Ora, anche se molti di coloro che sono cresciuti in una falsa religione possono vivere una vita buona per onestà morale agli occhi del mondo, eppure essa può essere molto biasimevole agli occhi di Dio, e le loro passioni segrete ed i legami alle cose di questa vita, possono mettere un ostacolo che impedisce che il suo disegno misericordioso li porti alla conoscenza della verità. Il superbo Fariseo era un uomo giusto agli occhi del mondo, e tuttavia fu condannato da Dio Onnipotente per l’orgoglio segreto del suo cuore. E per quanto riguarda i sapienti e gli uomini di cultura che si trovano in una falsa religione, il loro apprendimento non li esime dall’orgoglio e dalla passione; anzi, la Parola di Dio ci assicura che: “la conoscenza gonfia;” [1 Cor. VIII: 1] e, in generale, dove non c’è vera umiltà e amore per Dio, più c’è l’apprendimento, più c’è l’orgoglio, la presunzione, il desiderio di gloria, l’ostinazione del cuore, e di conseguenza una maggiore opposizione alla Fede; Gesù Cristo stesso dice agli ebrei, i cui cuori induriti hanno resistito a tutte le prove della sua dottrina e dei suoi miracoli: “E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” [Giovanni V: 44] – Ci sono stati, senza dubbio, molte persone sapienti, sia tra gli ebrei che tra i gentili, quando il Vangelo venne predicato, dapprima dagli Apostoli, e tuttavia, nonostante i miracoli innumerevoli che davano prova del suo essere Dio, S. Paolo ci dice esplicitamente che ” … noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” [1 Cor. I: 23] perché, nonostante tutto il loro sapere, il loro orgoglio, le passioni e i pregiudizi accecavano così tanto le loro menti, che la luce del Vangelo brillava invano su di loro. Non deve quindi sorprendere il vedere dotti in una falsa religione, tanto più che il loro sapere è di solito di tipo mondano, perché la fede è un dono di Dio; e non è la conoscenza della testa, ma l’umiltà e la sincerità del cuore che dispone l’anima a ricevere da Lui tale dono; sì, Cristo stesso dice espressamente, “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” [Matteo. XI: 25]. Dobbiamo concludere, quindi, che tra coloro che sono cresciuti in una falsa religione, separati perciò dalla Chiesa di Cristo, ma che sanno che c’è una Chiesa che si dichiara essere l’unica vera Chiesa di Cristo, e che hanno quindi l’opportunità di ascoltarla, e sono a conoscenza di coloro che sono nella sua comunione, è altamente improbabile che ci possa essere un’ignoranza invincibile in qualsiasi luogo. Ma se si dovesse trovare tra loro un’ignoranza invincibile, il loro stato sarà lo stesso di quello considerato per le persone che non hanno mai avuto la possibilità di conoscere una religione vera diversa dalla falsa.

 D. 14 Come è da intendersi, allora, il dire di coloro che, essendo cresciuti in una falsa religione, non hanno alcuna possibilità di conoscere la Vera Chiesa e la fede di Cristo, o ne hanno sentito parlare solo in una prospettiva falsa e odiosa? Possono questi essere salvati se vivono e muoiono nella loro separazione dalla comunione della Chiesa di Cristo, e nella ignoranza invincibile della verità?

R. Il dotto autore del libro intitolato “Carità e Verità”, che sembra disposto ad andare il più oltre possibile a favore di coloro che non sono uniti nella comunione alla Chiesa di Cristo, candidamente confessa, che è abbastanza incerta la salvezza, anche qualora ci si trovi nell’ignoranza invincibile; egli infatti, stabilisce il vero stato della questione, dicendo: “Il concetto significativo è che nessuno è salvato a meno che egli sia in comunione con la Chiesa cattolica, sia realmente che virtualmente, di fatto o di desiderio, e che non siamo affatto sicuri, generalmente parlando, che qualcuno possa essere salvato fuori della Chiesa Cattolica, anche se è invincibilmente ignorante della vera Chiesa, e della vera Religione (parte 1, D. 3.) Il motivo ne è, che non c’è una sola testimonianza della Sacra Scrittura, che dia motivo di pensare che qualcuno possa essere salvato fuori da questa comunione, anche se ci sono molti, come abbiamo visto sopra, che lo dichiarano fortemente. – Tutte le ragioni che vengono portate a favore di coloro che sono fuori della Chiesa, sono tratte da casi immaginari e dalle nostre idee imperfette circa la bontà di Dio, o dall’idea personalmente formata di cosa si intenda per essere un membro della vera Chiesa, e queste sono per lo più le persone di cui parliamo nella presente investigazione e che premettono come il principale motivo di questi ragionamenti. – E la linea di ragionamento è questa: “supponiamo che un uomo nato e battezzato in una setta eretica, quando è arrivato alla maggiore età, si trovi in circostanze tali che gli impediscano di non aver mai sentito parlare della vera Religione, se non in termini così falsi ed odiosi che lo inducono a fargliela detestare, e renderlo sempre più legato alla sua convinzione e, per questo motivo, di trovarsi in una ignoranza invincibile della verità: è riconosciuto da tutti che un uomo, per mezzo del Battesimo, diventa un membro della Chiesa di Cristo, e che, se muore prima che arrivi all’uso della ragione, sarà certamente salvato nella sua innocenza battesimale. Ora supponiamo il caso che, anche quando avanzi in età, continui a vivere una vita innocente e, cooperando con le grazie che Dio gli dona, perseveri nella sua innocenza, e faccia del suo meglio, in base alle sue conoscenze, e facendo forse anzi ancor meglio che se conoscesse la vera fede: non è forse in contrasto con la bontà di Dio il presupporre che un tale uomo, vivendo e morendo in questo stato, andrebbe perso? Non è eglii, agli occhi di Dio, un vero e proprio membro della Chiesa di Cristo, anche se non unito nella sua comunione? E, se è morto nella sua innocenza, non deve essere forse salvato? – Questo è l’argomento proposto; ma ha un aspetto specioso. Si deve osservare che vi è una forte ragione più per dubitare che ci sia mai stato, o mai ci sarà, un caso del genere: (1) Non vi è il più piccolo appiglio nella Scrittura che ce lo lasci supporre. – (2) Poiché è impossibile per l’uomo nel suo stato attuale di decadenza, il perservare nella sua innocenza battesimale per un lasso di tempo qualsiasi, e tanto meno il perseverare in essa fino alla fine della vita, senza che vi sia una grazia speciale e straordinaria da parte di Dio; e, siccome per consentire loro di restare in questa innocenza, occorre una grazia di una portata giustamente stimata come uno dei più singolari favori che possa dare Dio ai suoi servi fedeli, a coloro cioè che sono membri della sua Chiesa e godono quindi di tutti i potenti aiuti che solo possono essere trovati nella sua comunione, questo è come supporre che Egli possa concedere questo favore inestimabile a chi è fuori della sua comunione, e di conseguenza privo di tutti questi aiuti! E se si può supporre che egli perda la sua innocenza battesimale commettendo un peccato mortale, ma recuperi la grazia della giustificazione con un sincero pentimento, la difficoltà aumenta ancor più. Un pentimento, senza l’aiuto dei Sacramenti, sufficiente per ottenere la grazia della giustificazione, presuppone una contrizione perfetta, fondata sull’amore di Dio sopra tutte le cose; questo è un favore così raramente concesso ai peccatori, anche nella Chiesa stessa, che il Sacramento della Penitenza è nominato da Gesù Cristo come mezzo per compensare il nostro deficit in questo senso. Ora, è cosa probabile che Dio Onnipotente possa concedere in modo oltremodo singolare un favore a chi ha perso la sua innocenza e non è nella comunione della sua Chiesa per ottenere gli aiuti che essa offre per il suo recupero? – (3) Ma, lasciamo pure che accada quanto immaginato nel supposto, e che Dio Onnipotente dia a costui queste grazie straordinarie per cui possa conservare la sua innocenza battesimale fino all’ultimo, morire nella grazia di Dio, ed andare in paradiso: non sarebbe questo una contraddizione per Dio, che agirebbe cioè in diretto contrasto con l’intero tenore della sua volontà rivelata? Tutte le testimonianze della Scrittura consentono di dimostrare che Dio abbia stabilito essere la vera fede in Gesù Cristo e la comunione con la Chiesa di Cristo, le condizioni necessarie della salvezza; e tuttavia, nel caso specifico considerato, sarebbe salvata la persona che non aveva la vera fede in Gesù Cristo, e non era in comunione con la sua Chiesa, vivendo e morendo in una confessione eretica. Vi è quindi la più grande ragione di ritenere che un caso del genere non accadrà mai, e che una persona cresciuta in eresia ed invincibilmente ignorante della verità, sia privata degli aiuti e delle grazie che sono le conseguenze della vera fede, grazie cioè che si trovano solo nella vera Chiesa; non potendo quindi conservare la sua innocenza, continuando nell’eresia, morrà nei suoi peccati e si perderà: non certo perché non aveva la vera fede, di cui si suppone essere stato invincibilmente ignorante, ma per gli altri peccati per i quali muore nello stato di colpa.

 D. 15 Ma coloro che sono nell’eresia e nell’ignoranza invincibile della verità, possono essere salvati?

R. Dio non voglia che dovremmo dire questo! Tutte le ragioni di cui sopra dimostrano efficacemente che coloro che vivono e muoiono in quello stato, non saranno salvati e che, secondo l’attuale Provvidenza non possono essere salvati; ma il grande Dio è in grado di portarli fuori da quello stato, curando anche la loro ignoranza se per loro è invincibile nella situazione attuale, portandoli però alla conoscenza della vera fede e alla comunione della sua Santa Chiesa, e quindi alla salvezza: possiamo inoltre aggiungere che se Egli è desideroso, nella sua infinita misericordia, di salvare coloro che si trovano attualmente in uno stato di ignoranza invincibile della verità, al fine di agire in modo coerente con se stesso e con la sua santa Parola, Egli senza dubbio li porterà all’unione della sua Santa Chiesa prima della loro morte, per poterli salvare.

 D. 16 Ci sono dei presupposti Scritturali che supportino questa dottrina?

R. Questa dottrina è fondata sulle dichiarazioni le più positive della Scrittura. Nella Scrittura si definisce questa verità fondamentale: “Il fondamento sicuro di Dio rimane fermo, avendo questo sigillo: Il Signore conosce chi sono suoi.” [2 Tim. II: 19]. Cioè, Dio, da tutta l’eternità, conosce quelli che, cooperando con le grazie che deve riversare su di loro, persevereranno fino alla fine nella sua fede ed amore, e saranno felici con Lui per sempre. Ora, a tutti gli uomini, senza eccezione e in qualunque stato, anche pagani, Maomettani, Ebrei, eretici invincibili o nell’ignoranza invincibile, Dio, per i meriti di Cristo, e per amor Suo, dà tali grazie quando le vede adeguate al loro stato attuale, in vista della loro salvezza eterna; se sono conformi a quanto Egli dà, e collaborano con loro, Egli quindi offre loro sempre di più, fino a portarli finalmente a tal fine felice; ma se essi resistono e abusano di quelle grazie che ricevono, non ne saranno più date loro, e saranno quindi lasciati nel loro stato, come giusta punizione per la loro ingratitudine. – Coloro, dunque, che Dio Onnipotente prevede facciano un uso corretto delle sue grazie per essere salvati, li destina alla vita eterna; e la Scrittura ci assicura a sua volta che la buona ed adeguata maniera sia il portare alla conoscenza della vera fede e alla comunione della sua Chiesa Santa. Così, “Il Signore aggiungeva ogni giorno alla Chiesa, coloro che devono essere salvati” [Atti II: 47]. Ora, ciò che il Signore ha fatto ogni giorno al tempo degli Apostoli, quotidianamente continuerà a farlo fino alla fine del mondo; e siccome allora nessuno poteva essere salvato, se non fossero stati aggiunti alla Chiesa in quei giorni, così non può esservi alcuna diversità anche oggi; ed infatti non vi è alcuna nuova rivelazione dal tempo degli Apostoli che ci faccia conoscere un modo diverso di raggiungere la salvezza. Anche in questo caso la Scrittura dice che: “tutti quelli che erano ordinati alla vita eterna, credettero,” [Atti XIII: 48]. Cioè, sono stati portati alla vera fede predicata dagli Apostoli: lo stesso poi sarà sempre fatto in seguito; per cui se allora nessuno era ordinato alla vita eterna senza aver creduto, così sarà anche in seguito. Il nostro Salvatore stesso decide questo punto in termini ancora più chiari, quando dice: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche loro DEVO PORTARE, ed esse ascolteranno la mia voce, e non ci sarà che un solo gregge ed un solo pastore “. [Giovanni X: 16] Qui Egli parla chiaramente di quelli che non avevano ancora sentito la sua voce, che erano ebrei o pagani, non uniti nel novero dei suoi Apostoli e degli altri discepoli; eppure Egli le chiama “le sue pecore”, perché “il Signore conosce chi sono i suoi”, e ha preconosciuto coloro che avrebbero collaborato con la sua grazia nel seguire la sua voce; ora Egli dichiara espressamente, “anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce.” Non era sufficiente per la loro salvezza che essi fossero pronti nella disposizione dei loro cuori a rispondere alla sua chiamata e di fare meglio se avessero saputo meglio; ma era necessario che dovessero in realtà essere portati alla comunione della sua schiera, “anche quelle io devo condurre;” era necessario quindi che essi dovessero avere la vera fede di Cristo “… e ascolteranno la mia voce,” al fine di garantire la loro salvezza; perché, come dice poco più avanti: “… le mie pecore ascoltano la mia voce e Io le conosco, ed esse mi seguono, e Io do loro la vita eterna, e non periranno in eterno, e nessun uomo le strapperà dalla mia mano.” [Giovanni X: 27]. – Questo sarà ancora più focalizzato dal resoconto che S. Paolo dà delle varie fasi della Divina Provvidenza nella salvezza degli eletti e delle principali grazie che saranno donate loro per questo gran finale; “per quelli che ha preconosciuti,” dice, “… poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.” [Rom. VIII: 29]. In primo luogo, si stabilisce che “… il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: Il Signore conosce i suoi,” [2 Tim. II: 19]. Dio, da tutta l’eternità, preconobbe chi avrebbe migliorato i talenti che Egli doveva nel tempo riversare su di loro, e chi, perseverante fino alla fine, sarebbe stato suo per sempre. Ora, dice l’Apostolo, “chi” Egli ha quindi “preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo” ;, ha preordinato cioè che tutti i suoi eletti dovessero essere simile a Gesù Cristo, “… Voi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.” [Col. III: 9]. Per procurarsi questa conformità con Gesù Cristo, il passo successivo è quello di essere chiamati: “… quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati”, vale a dire, con la conoscenza e la fede di Gesù Cristo, e per la comunione della sua Santa Chiesa; cioè, Egli dà loro tali grazie interne e così dispone tutte le circostanze esterne, affinché siano efficaci nel portarli a questa grande felicità; e … quelli che ha quindi chiamato alla vera fede “li ha pure giustificati”, con l’essere cioè portati alla vera fede, senza la quale è “ … impossibile piacere a Dio”, e continua a dare ancora ulteriori grazie, il timore, la speranza, l’amore di Dio, ed il dolore dei propri peccati, con i quali, cooperando, si è portati per mezzo di suoi santi Sacramenti alla grazia della giustificazione. Grazie sempre maggiori sono concesse loro, ed essi, perseverando sino alla fine nella loro collaborazione, vengono ricevuti alla fine nella gloria eterna; “… quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati”: qui è evidente che il nostro essere chiamati alla Fede e alla Chiesa di Gesù Cristo è preordinato da Dio Onnipotente come un passo essenziale nella vicenda della salvezza, una condizione necessaria da essere eseguita, prima ancora di poter essere giustificati dalla colpa dei nostri peccati, e di conseguenza, senza la vera fede, e fuori della comunione della Chiesa di Cristo, non vi è alcuna possibilità di salvezza! Non è meno evidente che, lasciare che una persona sia in qualunque stato, come i pagani, i Moamettani, gli Ebrei, o gli eretici, se Dio Onnipotente preconosce che questa persona collaborerà con quelle grazie che da tutta l’eternità Egli aveva deciso di riversare su di lui, e continuerà fedele fino alla fine, Egli non gli permetterà in alcun modo di vivere e morire nello stato attuale, ma preordinando così le cose, traendo fuori i tesori della sua saggezza divina, prima o poi questi verrà portato all’unione della Chiesa di Cristo, fuori dalla quale Egli ha preordinato che la salvezza non possa essere trovata.

PARTE VI

  D.17 Come può essere dimostrato, nel brano sopra citato di S. Paolo (D. 16), che la nostra vocazione sia la chiamata alla Fede e alla Chiesa di Cristo?

R. Nulla è più evidente da tutto il tenore del Nuovo Testamento; laddove si parla dell’oggetto della nostra chiamata o vocazione, è sempre dichiarato che esso è la fede e la Chiesa di Cristo. Così S. Paolo, parlando della propria vocazione, dice: ‘ “Ma quando Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio … ” [Gal. I: 15] Quindi, esortandoci a camminare in modo degno della vocazione a cui siamo chiamati, con l’umiltà e la carità, egli aggiunge immediatamente gli oggetti della nostra vocazione con la più potente motivazione che occorre avere: “Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.” [Ef. IV: 4] Anche in questo caso, “E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo.” [Col. III: 15] Inoltre: “incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.” [1 Tess. II: 12]. L’oggetto, di conseguenza, della nostra vocazione è l’unica fede di Cristo e il corpo di Cristo, il regno di Cristo, che è la sua Chiesa. Quindi lo stesso santo Apostolo dice in un altro luogo, “Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli …” [Eb. XII: 22-23]. Vediamo qui l’oggetto della nostra vocazione, la Chiesa di Cristo; e san Pietro dice: “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce”. [1 Piet. II: 9]. Il grande fine a cui la nostra vocazione ci porta è quindi: essere un membro di questa nazione santa, essere uno di questo popolo acquistato, essere portato a questa ammirabile luce della vera fede.

 D 18. Ma come possiamo conciliare ciò con l’infinita bontà di Dio, per cui nessuno sarà salvato senza la vera fede di Cristo, e senza essere in comunione con la sua Chiesa, poiché sulla base di questo, la maggior parte degli uomini, di gran lunga, sarà persa, visto che il numero di coloro che non hanno la fede e non sono nella comunione della sua Chiesa, supera sempre di gran lunga il numero di coloro che vi sono?

R. Che il maggior numero degli uomini sarà perso è una verità che Cristo stesso dichiara, quando Egli stesso dice che: “… molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”, e che “molti passeranno per la strada ampia della distruzione, ma pochi sono coloro che trovano la via stretta della vita “. La difficoltà di conciliare questo con la bontà di Dio scomparirà se si considera ciò che la rivelazione cristiana insegna; da essa si apprende infatti che l’uomo, per l’abuso volontario del suo libero arbitrio, dopo aver rinunciato a quello stato felice per cui Dio l’aveva creato, si rese indegno di qualsiasi favore o misericordia da Dio; così che Dio, con la più grande giustizia, avrebbe potuto, volendo, lasciarlo senza rimedio in quella miseria che i peccati meritavano, così come ha effettivamente fatto nel lasciare gli angeli decaduti. È stato quindi per l’effetto della sola sua infinita bontà che Dio ha mostrato tanta pietà per l’uomo, e ancor più, fornendogli un così inaudito rimedio ai suoi mali: “Dio ha tanto amato il mondo”, dice il Vangelo, “che ha dato il suo unigenito Figlio,” per cercare e salvare quelli che si sarebbero persi, morendo su una croce per loro. Ma siccome l’uomo, con l’abuso volontario del suo libero arbitrio, aveva perso il favore del suo Dio, Dio stesso ha decretato che nessuno che abbia il pieno uso della propria ragione debba raccogliere i frutti della redenzione di Cristo, se non con atti volontari e alle condizioni che Egli richiede da loro; per cui Cristo “… divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che Gli obbediscono …” [Eb. V: 9]. – L’uomo, dalla miserabile corruzione della sua natura col peccato, era assolutamente incapace di svolgere da se stesso queste condizioni; perciò Dio, per la ricchezza della sua bontà, e il desiderio che tutti devono essere salvati per i meriti di Gesù Cristo, dà a tutta l’umanità l’aiuto soprannaturale della sua grazia, perché Egli possa correggere il loro stato attuale, al fine della loro salvezza. Dio con queste grazie muove gli uomini a fare il bene ed evitare il male; e se collaborano con i suoi favori, Egli darà loro nuove e maggiori grazie. Se continuano a corrispondere Egli ne darà loro ancora di più; finché Egli li porterà finalmente alla vera fede e alla Chiesa di Cristo, e ad un lieto fine; ma se resistono alle sue grazie, se ne abusano ed agiscono in contrasto con esse, se essi rifiutano queste chiamate e le offerte di misericordia, Egli porta pazienza con loro ancora per un po’, ma alla fine ferma la erogazione di tali favori immeritati, e li lascia perire nella loro ingratitudine ed ostinazione. Quindi, se la maggior parte del genere umano è perduto, questo è interamente dovuto a se stessa per l’abuso della bontà di Dio, e per la resistenza ai mezzi usati per la loro salvezza; di modo che la nostra salvezza proviene soltanto dalla bontà di Dio, mentre la nostra perdizione tutta da noi stessi, in base a quello che dice il santo Profeta, “La rovina è tua, o Israele, il tuo aiuto è solo in me.” [Osea XIII: 9]

 D. 19 Questa è, infatti, una rivendicazione completa della bontà divina; ma ci sono alcune parti che devono essere spiegate: per prima cosa, come si evince dalla Scrittura che Dio dona a tutti gli uomini le grazie qui menzionate in vista della loro salvezza?

R. Questo è evidente da tre importanti motivi registrati nella Scrittura: In primo luogo, la Scrittura ci assicura che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che nessuno dovrebbe essere perso. Così, “Come, io vivo”, dice il Signore Dio: “Io non voglio la morte del malvagio, ma che si converta dalla sua condotta e viva.” [Ez. XXXIII: 2]. Quindi il nostro Salvatore dichiara: ” così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli. ” [Matth. XVIII: 14] “… ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi “. [2 Pietro III: 9] E S. Paolo afferma espressamente: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, e giungano alla conoscenza della verità” [1 Tim. I: 4] vuole quindi che tutti gli uomini siano salvati, e vuole che giungano alla conoscenza della verità, come condizione essenziale della salvezza. Ora, da questa sincera volontà di Dio per la salvezza di tutti gli uomini, consegue come necessariamente che Egli dona a tutti gli uomini come aiuto le sua grazie sufficienti e, se fanno buon uso di esse, queste portano alla conoscenza della verità e alla salvezza; siccome essi sono assolutamente incapaci di muovere qualsiasi passo verso questo fine senza il suo aiuto, se vogliono salvarsi, alla fine, devono anche utilizzare i mezzi in modo tale che, se alla fine non sia raggiunta la meta, questo non sia dovuto a Lui. Se Dio non lo facesse, noi non sapremmo comprendere l’affermazione secondo la quale Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che non vuole la morte del malvagio. – In secondo luogo, la Scrittura dichiara che Gesù Cristo è morto per la redenzione di tutti gli uomini, senza eccezioni. Così, “… Gesù Cristo ha dato se stesso in riscatto per tutti.” [1 Tim. II: 6]. “Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti” [2 Cor. V: 15]. – “… abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono” [1 Tim. IV: 10] “. “ … ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”. [1 Giovanni II: 1]. E San Giovanni Battista ha detto di Lui: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo” [Giovanni I: 29] e lui stesso dice: “… il pane che Io darò è la mia carne per la vita del mondo”. [Giovanni VI: 52] Anche in questo caso, “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”; [Luca XIX: 10] e “… vengo, non per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo”; [Giovanni XII: 47] e S. Paolo dice di Lui: “Questa parola è sicura e degna di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori …” [1 Tim. I: 15] Ma, siccome tutti sarebbero stati persi, poiché tutti senza eccezione erano peccatori, ecco che Gesù Cristo è venuto a cercare e a salvare tutti. Ora, da ciò consegue anche, come conseguenza necessaria, che tutti, senza eccezione, devono ricevere, in una certa misura, tali frutti ed i vantaggi del suo riscatto, direttamente o indirettamente, mediatamente o immediatamente, così sufficienti come sono a procurare la loro salvezza, se si collabora con essi. Se qualcuno, poi, non sia in realtà salvato, questo non può essere dovuto ad una mancanza da parte di Gesù Cristo, ma al proprio abuso delle sue grazie; perché non avrebbe significato dire che Egli è il Salvatore di tutti, se tutti non hanno ricevuto i frutti della sua redenzione in previsione della loro salvezza. – In terzo luogo, le Scritture ci assicurano che tutti gli uomini in realtà ricevono da Dio, in egual grado, modo, e proporzione necessari, come aiuto, in base al loro stato attuale, le sue grazie tanto da permettere come garanzia la loro salvezza, se collaborano con esse. Infatti, in primo luogo, Dio onnipotente, per il suo sincero desiderio della salvezza di tutti “… ha mandato il suo Figlio nel mondo, perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui.” [Giovanni III: 17]. Dal che S. Paolo trae questa semplice tesi: “… Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui?” [Rom. VIII: 32]; … almeno tutte quelle cose assolutamente necessarie per la nostra salvezza, e senza le quali essa non sarebbe mai in nostro potere raggiungerla? Ora, siccome ha sacrificato il Figlio suo per tutti noi, senza eccezione, e con questa stessa visione, “perché il mondo”, cioè, tutto il genere umano, “potesse essere salvato da Lui”, a tutti, senza eccezione Egli dona in aiuto le grazie così, sia mediatamente o immediatamente, direttamente o indirettamente, da metterle in loro potere per essere salvati. In secondo luogo, la Scrittura dichiara ancora che Cristo ” … è la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo,” [Giovanni I: 9]. – Di conseguenza ogni uomo che viene in questo mondo partecipando della Sua luce, la riceve a tal punto e in proporzione adeguata a quel momento, luogo e modalità ritenuta opportuna. – Infatti, in terzo luogo, “… a ciascuno di noi è data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”; [Ef. IV: 7] e: ” … la grazia di Dio nostro Salvatore è apparsa a tutti gli uomini” [Tit. II: 2]. – In quarto luogo, la bontà e la misericordia di Dio per tutta l’umanità sono mostrate nella Scrittura: “Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata.” [Sap. XI: 23-24]. – Ora, come poteva essere detto “per risparmiare tutti,” e di “avere compassione di tutti,” in vista del pentimento, se Egli non avesse dato a tutti tali grazie, almeno quelle assolutamente necessarie per aiutarli a portarli al pentimento? Ed infine, il nostro Salvatore stesso dice: “Ecco, io sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce, ed apre a me la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui, ed egli con me, e a colui che vincerà, darò di sedere con me sul mio trono “. [Apoc. III: 20] Egli bussa ad ogni porta, ad ogni cuore, con i moti della sua santa grazia; e se qualcuno si sforza di aprire e cooperare con la sua grazia, in modo da superare gli ostacoli, tutto andrà bene. Da questo è evidente che tutti gli uomini, senza eccezione, in qualunque stato si trovino, una volta o l’altra ricevano le grazie da Dio come frutti della redenzione di Gesù, in vista della loro salvezza eterna ed Egli, sia mediatamente che immediatamente, li porterà a tal fine se hanno fatto un uso corretto di esse; se, quindi, non si è salvati, la colpa è del tutto propria. Le grazie, infatti, non sono date nella stessa misura e proporzione a tutti, ma “secondo la misura del dono di Cristo” e ” … ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro” [1 Cor. VII: 7]. Nella distribuzione dei talenti, si vede che uno ne ha ricevuto cinque, un altro due, e un altro uno solo; Dio è padrone dei suoi propri doni, può dare più abbondantemente ad uno rispetto ad un altro, come Egli vuole; ma ciò che ognuno riceve è sufficiente per il suo scopo presente, e colui che ha ricevuto un solo talento l’aveva completamente in suo potere per ottenere lo stesso premio come gli altri due, se avesse migliorato il suo talento come hanno fatto gli altri; ma siccome egli è stato negligente ed infruttuoso, è stato giustamente condannato per la sua pigrizia.

 D. 20 Come si può dimostrare che se un uomo coopera con le grazie che Dio dona, queste saranno sempre di più aumentate in lui?

R. Questo è evidente: (1) Dal fine che Dio raggiunge nel darle: tutte le grazie che Dio dona all’uomo, per i meriti di Cristo, sono date in vista della sua salvezza, e per il desiderio di salvarlo. Se l’uomo, quindi, non ha posto nessun ostacolo da parte sua, ma migliora la presente la grazia, lo stesso desiderio di grazia che Dio ha della sua salvezza, e che lo ha spinto a concedere la prima, lo indurrà necessariamente a darne una seconda, una terza, e così via, fino a quando non sarà perfezionata la grande opera per la quale egli le dà; e, di conseguenza, la Scrittura dice: ” … e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.”. [Filipp. I: 6]. Si tratta di una verità indiscutibile, quindi, che Dio non verrà mai meno da parte sua nel darci tutti gli ulteriori necessari aiuti, se facciamo un buon uso di quelli che Egli ha già dato; Egli non ci abbandonerà mai, se prima non siamo noi ad abbandonarLo. E lo stesso santo Apostolo ci esorta, “… quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore” [Filipp. II: 12]. – Questo ci mostra che Dio non manca mai da parte sua se noi facciamo la nostra parte ed il nostro lavoro, con timore e tremore, secondo le grazie che elargisce. Quindi ecco anche, le esortazioni frequenti dello stesso Apostolo “a non trascurare la grazia di Dio;” [1 Tim. IV: 14] “Per suscitare la grazia di Dio che è in noi”; [2 Tim. I: 6]; “… vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio” [2 Cor. VI: 1], e “… guardare diligentemente che nessuno venga meno alla grazia di Dio. “… vigilate che nessuno venga meno alla grazia di Dio” [Eb. XII: 15].- (2) Si può vedere la stessa verità da queste testimonianze della Scrittura per cui siamo certi che: se serviamo Dio e ne osserviamo i precetti, potremo avanzare nel suo amore in unione con Lui; servirLo ed obbedirLo è fare un buon uso delle grazie che Egli ci dà: essere più amato da Lui uniti a Lui è ricevere da Lui ancora grazie sempre più grandi. Così il nostro Salvatore dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (vale a dire, farà la mia volontà, corrisponderà alle mie grazie), “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” [Giovanni XIV: 23]. Così anche San Giacomo dice: “Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi.- … Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà” [Giacomo IV: 8, 10]. Perciò san Pietro ci esorta “… a prendere attenzione a non cadere dalla nostra fermezza, ma per crescere nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo; ” … state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo” [2 Pet. III: 17-18], perché la costante fermezza nel suo servizio, per corrispondere alla sua grazia, è il modo più sicuro, di ottenere di più da Lui. – (3) E ‘dimostrato Con la dichiarazione esplicita di Gesù Cristo che dice: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. ” Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” [Giovanni XV: 1]. – Anche nella parabola dei talenti, il Padrone ha ordinato di prendere il talento dato al servo inutile e darlo all’altro che ne ha avuto dieci, e poi aggiunge: “A chiunque ha sarà dato”[Luca XIX: 26]: cioè a tutti coloro che hanno, e fanno un buon uso di ciò che possiedono; quando il padrone è partito, ha dato un talento a ciascuno dei suoi servi, e dicendo loro: commerciatelo fino al mio ritorno.” [Ver. 13] E quando è tornato ha trovato che uno aveva guadagnato dieci talenti, ma il servo infingardo nessuno, perché aveva conservato il talento ricevuto riponendolo in un tovagliolo; in modo che l’unica differenza tra i due è stata che l’uno aveva migliorato quello che aveva ricevuto dal suo padrone, e l’altro non lo aveva fatto; e quindi a quello che aveva moltiplicato i suoi talenti, è stato dato sempre di più. L’espressione è ripetuta dal nostro Salvatore, in diverse occasioni, ma soprattutto in Marco “… poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” [IV: 24], dove, considerando la grande grazia per gli ebrei nel comunicare loro la sua santa Parola, Egli li esorta a stare attenti a fare ritorno a Dio, migliorando quella grazia e le promesse, e farlo in modo che sarà loro dato di più: ” … fate attenzione”, diceva loro: “a quello che ascoltate: con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi”; e poi aggiunge subito, come regola generale: ” … anzi vi sarà dato di più” [Ver. 25]. Allo stesso modo Dio Onnipotente dice a tutti i peccatori il cui cuore tocca con i suoi rimproveri e la verifica della loro coscienza: “Volgetevi alle mie esortazioni: ecco, io effonderò il mio spirito su di voi e vi manifesterò le mie parole”. [Prov. I: 23]. Se essi collaborano con la grazia della sua riprovazione e procedono, Egli concederà loro maggiori favori.   [Continua]

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AL DI FUORI DELLA CHIESA CATTOLICA NON C’È SALVEZZA -2-

georgehay

[Mons. George Hay]

PARTE III

 D. 4 Non è una dottrina molto poco caritatevole, dire che nessuno possa essere salvato fuori della Chiesa o se non crede, come fa la Chiesa?

R. Se questa dottrina fosse un semplice parere umano, o il risultato di ragionamenti umani, potrebbe essere chiamata non caritatevole; ma è una dottrina in cui la ragione umana non entra. Si tratta di un punto di vista che dipende unicamente dalla volontà dell’Onnipotente; e l’unica questione è sapere ciò che Egli si è compiaciuto di decidere a riguardo. Ora, le Sacre Scritture dichiarano nei termini più elementari, che Egli si è compiaciuto di ordinare che nessuno sarà salvato fuori della Chiesa di Cristo o senza la vera fede; e come si può avere il coraggio di dire che una dottrina insegnata e definita da Dio stesso sia poco caritatevole? – Ma l’errore in cui molti cadono nasce dal non riflettere che Dio non è obbligato a salvare nessuno. Ha perseguito gli angeli caduti con il massimo rigore della giustizia, e poteva giustamente trattare l’uomo allo stesso modo. Se, dunque, Egli si compiace di offrire la salvezza agli uomini per i meriti di Gesù Cristo, questo è unicamente effetto della sua infinita misericordia; e come Egli è il perfetto padrone dei suoi doni propri, Egli ha pure piena libertà di richiedere qualsiasi condizione gli piaccia per donarli a noi. Ora, l’intero tenore della Sua volontà rivelata dichiara che Egli richiede che coloro che desiderano salvarsi, siano componenti della sua Chiesa, e possiedano la vera fede di Gesù Cristo, come condizioni indispensabili di salvezza: e chi ha il coraggio di trovare un difetto in quel che Egli desidera fare? O chi potrà dire, che è poco caritatevole il pensare e il credere ciò che Egli ha così espressamente e così più volte dichiarato nelle sue Sacre Scritture? – Si osservi inoltre che non è la sola Chiesa cattolica che professa questa dottrina. Abbiamo visto che i fondatori della Chiesa protestante della Scozia ritengono, in termini espressi, che “per chi è fuori della vera Chiesa di Cristo non c’è alcuna possibilità ordinaria di salvezza”, ed è stato inserito come un articolo della loro fede pubblicamente definito della loro religione, la “Confessione di fede”, che tutti i suoi ministri devono sottoscrivere. La Chiesa d’Inghilterra anche, allo stesso modo, dichiara, in un articolo del suo Credo, “che se uno non conserva tutta la fede cattolica e senza macchia, senza dubbio perirà in eterno; ” e assicura i suoi membri che questo credo può essere dimostrato con i testi più evidenti della Sacra Scrittura che, di conseguenza, tutti i suoi ministri devono sottoscrivere. Inoltre, si afferma: “che devono essere maledetti coloro che hanno la presunzione di dire che ogni uomo (anche se non ha la vera fede di Gesù Cristo), sarà salvato dalla legge o setta che ha professato.” – Se, dunque, questa dottrina è considerata poco caritatevole, anche le Chiese, sia di Inghilterra che di Scozia, devono evidentemente cadere sotto la stessa condanna. – È vero, infatti, che, anche se i fondatori di queste Chiese, convinti dalle testimonianze ripetute ed evidenti della Parola di Dio, professano questa verità, e l’hanno inserita nelle norme pubbliche della loro religione, nella loro progressione, ora la declinano, e accusano la Chiesa Cattolica di non essere caritatevole nella sua enunciazione; ma questo dimostra solo la loro inconsistenza, e che sono privi di ogni certezza di ciò che credono; infatti, se si tratta di una verità divina che “fuori dalla Chiesa cattolica non c’è salvezza”, essa deve restare immutabile quando sono state fondate queste religioni che sono fuori della vera Chiesa e senza la fede cattolica, e se i loro primi fondatori erano in errore su questo punto, quale sicurezza possono avere i loro seguaci oggi per qualsiasi altra cosa questi abbiano insegnato? – Ma la Chiesa cattolica, sempre coerente ed uniforme nella sua dottrina, mantenendo sempre le parole che una volta per sempre le sono state messe in bocca dal suo Divino Maestro, in ogni momento ed in ogni età ha creduto ed ha insegnato la medesima dottrina come verità rivelata da Dio, che: “fuori della vera Chiesa di Cristo, e senza la sua vera fede, non vi è alcuna possibilità di salvezza”; e la più autentica testimonianza pubblica dei suoi nemici dimostra che questa è la dottrina di Gesù e del suo Vangelo, quali che siano i privati, egoistici ed interessati motivi, che possano far dire il contrario. Essa non ha paura alcuna di essere ritenuta priva di carità su questo aspetto. Al contrario, si considera proprio in funzione della carità il dovere di avvertire gli uomini del pericolo che corrono, in un affare di tale immensa importanza come è quello della loro salvezza eterna; ed è in virtù della compassione per la loro situazione, che usa ogni mezzo in suo potere, in particolare la fervente preghiera a Dio, per la conversione di tutti coloro che sono fuori dalla vera via, e che possono essere portati a conoscenza della verità ed essere così salvati. – Questa è la vera carità; la carità è una virtù del cuore, che fa sì che un uomo ami l’anima del suo prossimo, e si sforzi di promuovere la sua salvezza; solo questa è l’opinione che merita di essere chiamata caritatevole e che tende ad eccitare ed a promuovere questa disposizione; mentre, al contrario, un uomo distratto e indifferente all’anima del suo prossimo, è veramente poco caritatevole. E’ chiaro, quindi che le accuse di essere “poco caritatevole” sono assolutamente false, dichiarazioni calunniose, impiegate per rendere odiosa la Chiesa Cattolica e la sua dottrina. I suoi nemici hanno pensato che la mancanza di carità fosse un crimine scioccante per ogni mente ben disposta, e dovesse eccitare l’odio e l’avversione, se riversata su di Essa. Sapevano che i loro seguaci, erano sempre pronti a credere a tutto ciò che fosse contro di Essa, e non si sarebbero presi nessuna cura di esaminare i motivi di una tale accusa, prendendo per scontato che Essa fosse colpevole sulla base delle loro affermazioni fraudolentemente evidenziate e il cui parere non risulta verificato. Ma la minima attenzione facilmente dimostra che il comportamento della Chiesa è l’effetto di una autentica carità. Era S. Paolo caritatevole quando ha dichiarato che “né i fornicatori, né idolatri, né adulteri, ecc, possederanno il regno di Dio?” [1 Cor. VI: 9]; o quando ha pronunciato “un anatema su chiunque, anche se fosse un Angelo dal cielo, che dovesse predicare un Vangelo diverso da quello che aveva egli stesso predicato?” [Gal. 1: 8] Al contrario! … era la sua ardente carità e lo zelo per la loro salvezza, che lo ha reso così serio nell’avvertirli del pericolo. Come può allora la Chiesa cattolica essere considerata poco caritatevole solo perché dice quello che dichiara, e per lo stesso motivo caritatevole? L’atteggiamento negativo è sicuramente di tutti coloro che non sono nella sua comunione, ed il considerarla poco caritatevole, è una mera imposizione irriflessiva.

 D. 5 Ma gli atti di un uomo che agisce secondo i dettami della sua coscienza, e segue esattamente la luce della ragione che Dio ha impiantato in lui a sua guida, non sono sufficienti a portarlo alla salvezza?

R. Questo è una proposizione speciosa: un grave errore si nasconde dietro di essa. Quando l’uomo è stato creato, la sua ragione era allora illuminata dalla grazia della giustizia originale con la quale era stata adornata la sua anima; la ragione e la coscienza erano allora guide sicure per condurlo sulla via della salvezza. Ma a causa del peccato originale, questa luce è stata miseramente oscurata, e la sua ragione offuscata da ignoranza e errori. Essa non è interamente estinta, ed ancora possiede insegnamenti chiari su molte grandi verità, ma attualmente essa è così influenzata dall’orgoglio, dalle passione, dal pregiudizio, e da altri simili motivi di corruzione, che in molti casi serve solo per confermare l’errore, dando una copertura apparentemente razionale ai suggerimenti dell’amor proprio e delle passioni. Questa coscienza, molto spesso, si può utilizzare nelle cose naturali; ma nel soprannaturale, nelle cose che riguardano Dio e l’eternità, la nostra ragione, se lasciata a se stessa, è miseramente cieca. Per rimediare a questo, Dio ci ha dato la luce della fede come guida certa e sicura per condurci alla salvezza, nominando la Sua Santa Chiesa custode e depositaria di questa luce celeste; Di conseguenza, un uomo può anche fingere di agire secondo ragione e con coscienza, potendosi anche illudere di rettitudine nel farlo, ma in verità, la ragione e la coscienza, se non illuminate e guidate dalla vera fede, non potranno mai portarlo alla salvezza.

D. 6 La Sacra Scrittura dà qualche luce su questa materia?

R. Nulla può essere più evidente delle parole della Sacra Scrittura. “C’è un modo”, dice il saggio, “C’è una via che sembra diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte”. [Prov. XIV: 12]. Questo viene ribadito più avanti [Prov. XVI: 25]. Cosa c’è di più semplice di questo, per dimostrare che un uomo può agire secondo ciò che pensa alla luce della ragione e della coscienza, persuaso che stia facendo bene ma, di fatto, si trova solo sulla via della perdizione? E tutti coloro che vengono sedotti da falsi profeti e falsi maestri, non pensano forse di essere nel giusto? Non è forse con il pretesto di agire secondo coscienza che essi vengono sedotti? Eppure la Bocca della Verità ha dichiarato, che “… se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa,” [Matt. XV:. 14]. – Al fine di mostrare a noi quello che l’eccesso di malvagità dell’uomo può far passare con il pretesto di “seguire” la propria coscienza, la stessa verità eterna dice ai suoi Apostoli, “… è giunto il momento, che chiunque ucciderà penserà di rendere culto a Dio” [Giovanni XVI: 2]; ma osservare ciò che Egli aggiunge: “E queste cose faranno, perché non hanno conosciuto il Padre né me,” [ver. 3]. Il che dimostra che se uno non ha la vera conoscenza di Dio e di Gesù Cristo, che può essere ottenuta solo attraverso la vera fede, non c’è enormità in cui egli non possa essere coinvolto, pensando di agire secondo la ragione e la coscienza. Se avessimo solo la luce diretta della ragione, questo sarebbe giustificato; ma siccome Dio ci ha dato una guida esterna nella sua Santa Chiesa, per aiutare e correggere la nostra ragione accecata alla luce della fede, la nostra ragione da sola, senza l’assistenza di questa guida, non può mai essere sufficiente per la salvezza. – Niente potrà mettere questo in una luce più chiara che un paio di esempi. – La coscienza dice ad un pagano che: non solo è legittimo, ma doveroso adorare ed offrire sacrifici agli idoli, opera delle mani dell’uomo. Sarà questa la condizione che sarà in grado, secondo la sua coscienza, di salvarlo? O saranno questi atti di idolatria innocenti e graditi agli occhi di Dio, perché sono eseguiti secondo coscienza? La risposta che la Parola di Dio dà a questa domanda, con la parole del saggio è invece: “… maledetto l’idolo opera di mani e chi lo ha fatto; questi perché lo ha lavorato, quello perché, corruttibile, è detto dio. Perché sono ugualmente in odio a Dio l’empio e la sua empietà; l’opera e l’artefice saranno ugualmente puniti”[Sap XIV: 8, 10.], o anche: “Colui che offre un sacrificio agli dèi, oltre che al solo Signore, sarà votato allo sterminio” [Es. XXII: 19]. Allo stesso modo, la coscienza di un Ebreo dice: che egli può legittimamente e con merito bestemmiare Gesù Cristo, e approvare la condotta dei suoi antenati che Lo hanno messo a morte su di un albero. Sarà tale bestemmia a salvarlo, solo perché questa è proferita secondo i dettami della sua coscienza? Lo Spirito Santo per bocca di S. Paolo, al contrario dice: “Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema”, cioè: “maledetto”, [1 Cor. XVI: 22]. – Ad un maomettano viene insegnato dalla sua coscienza, che sarebbe un crimine credere in Gesù Cristo, e non credere in Maometto; sarà l’empia coscienza a salvarlo dal momento che la Scrittura ci assicura che: “non vi è infatti altro Nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo essere salvati”, che il nome di Gesù solo?; e “colui che non crede al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio sopravanza su di lui.” – Tutte le varie sette sono state separate dalla Chiesa vera, in ogni tempo, l’hanno uniformemente calunniata con il mal parlare della verità da Essa professata, credendo nella loro coscienza che questo non era solo cosa legittima, ma altamente meritoria. Saranno queste calunnie contro la Chiesa di Gesù Cristo a salvarli a causa della loro coscienza che le approva? La Parola di Dio dichiara: “che la nazione e il regno che non la serve perirà …” e “… Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina”. [2 Piet. II: 1]. – In tutti questi ed altri casi consimili, il dettame della loro coscienza è il crimine più grande, e dimostra a quali aberrazioni possa portare una coscienza ed un’empia ragione, quando esse sono sotto l’influenza dell’orgoglio, della passione, dei pregiudizi, e dell’amor proprio. La coscienza e la ragione, quindi, non possono mai essere guide sicure per la salvezza, se non guidate dalla luce sacra della verità rivelata.

PARTE IV

D. 7 Ma supponiamo che una persona sia in uno stato di invincibile ignoranza della fede di Gesù Cristo e della sua Chiesa: questa ignoranza invincibile, non lo farà salvare?

R. Anche questa è una proposizione altamente speciosa, e temo che, se non viene correttamente considerata, possa trarre molti in un pericoloso errore; faremo quindi il possibile per esaminarla a fondo. E qui dobbiamo innanzitutto osservare come comunemente siano mescolate insieme due questioni differenti quando si parla di ignoranza invincibile: la prima è, “può una persona che invincibilmente ignora la vera fede o la Chiesa di Cristo essere condannata proprio a causa di tale ignoranza? Cioè, gli sarà imputata l’ignoranza come un crimine? O sarà la sua ignoranza invincibile la scusante dalla colpa del non credere? A questo rispondo che: come nessun uomo può essere colpevole di un peccato che è assolutamente fuori del suo potere, una persona che invincibilmente ignora la vera Fede e la Chiesa di Cristo non sarà condannata a causa dell’ignoranza; tale ignoranza non gli sarà imputata come un crimine, ma senza dubbio lo scusa dalla colpa di incredulità: in questo tutti i teologi sono d’accordo, senza dubbi o esitazioni. Un pagano, per esempio, che non ha mai sentito parlare di Gesù Cristo, non sarà condannato come criminale proprio per mancanza di fede in Lui; un eretico che non ha mai avuto alcuna conoscenza della vera Chiesa di Cristo non sarà condannato come colpevole perché non si unisce in comunione con la Chiesa. Fino a questo punto, la prima domanda non ammette controversie. La seconda domanda è questa: “può una persona invincibilmente ignorante della vera fede o della Chiesa di Gesù, che vive e muore in quello stato, essere salvato?” – Questo è molto importante, ma è una questione molto diversa dalla prima, anche se troppo spesso viene confusa con essa. Ora, per rispondere a questa domanda in modo chiaro e preciso, dobbiamo considerare due casi diversi: in primo luogo, quello dei maomettani, degli ebrei, e dei pagani, che, non avendo mai sentito parlare di Gesù Cristo o della sua religione, sono invincibilmente ignoranti; e, in secondo luogo, di tutte le diverse sette di cristiani che sono separati dalla vera Chiesa di Cristo da eresie.

D. 8. Cosa c’è allora da dire per tutti quei maomettani, ebrei e pagani che, non avendo mai sentito parlare di Gesù Cristo o della sua Religione, sono quindi invincibilmente ignoranti rispetto ad entrambi? Possono essere salvati, se vivono e muoiono in quello stato?

R. La risposta molto semplice a questo quesito è: essi non possono essere salvati, ed essi non sono tra coloro che “possono entrare nel regno di Dio”. E’ vero, come abbiamo visto sopra, che non saranno condannati solo perché non hanno la fede di Cristo, di cui sono invincibilmente ignoranti. Ma la fede di Cristo, anche se è una condizione essenziale della salvezza, non è che una condizione, ma ne sono necessarie anche altre. – E anche se l’ignoranza invincibile certamente salva un uomo dal peccato nel non sapere ciò di cui egli è invincibilmente ignorante, non è impossibile supporre che questa ignoranza invincibile su di un punto provocherà la mancanza di tutte le altre condizioni richieste. Ora, tutti quelli di cui noi parliamo qui, sono in stato di peccato originale, “alieni da Dio, figli d’ira,” per non essere battezzati; ed è un articolo di fede cristiana che, se il Peccato Originale non viene lavato via dalla grazia del Battesimo, non c’è salvezza; per questo Cristo stesso dichiara espressamente: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce da acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio” [Giovanni III: 5]. E, in effetti, se anche i figli di genitori cristiani che muoiono senza Battesimo, non possono andare in Paradiso, quanto meno sarà possibile per coloro che, oltre a non essere battezzati, vivono e muoiono nella ignoranza del vero Dio, di Gesù Cristo e della sua fede! Per questo motivo, si può inoltre supporre che abbiano anche commesso molti peccati attuali. Anzi, immaginare che pagani, maomettani, o ebrei che vivono e muoiono in questo stato possano essere salvati, è supporre che l’ignoranza salverà gli adoratori di idoli, di Maometto, ed i bestemmiatori di Gesù Cristo, anche nelle colpe attuali e con il peccato originale, e questo li metterebbe ben al di sopra dei cristiani stessi e dei loro figli. Il destino di tutti questi, la Scrittura lo indica come segue: “… e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando Egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi. Questo accadrà, in quel giorno.”[2 Ts. I: 7-10]. Questo è tremendamente preciso, è infatti una risposta chiara e decisiva all’attuale domanda.

D. 9 Che giudizio da’ la Scrittura di tutti quei cristiani che sono separati dalla Chiesa a causa dell’eresia? Possono questi essere salvati se sono nell’ignoranza invincibile, e vivono e muoiono nel loro stato di separazione dalla vera Chiesa di Cristo?

R. Questi sono in uno stato molto diverso da maomettani, ebrei e pagani, a condizione che abbiano ricevuto un vero Battesimo; però se: 1) non hanno il Battesimo, 2) o ne hanno modificato la forma che Cristo ha ordinata di dargli, allora non sono in condizioni migliori dei pagani per ciò che attiene alla possibilità della loro salvezza, anche se si presumono o assumono il nome di cristiani. Se hanno il Battesimo valido, allora per esso, sono veri membri della Chiesa di Cristo, e chi di loro muore in giovane età, nell’innocenza battesimale, senza dubbio sarà salvato. Ma, per quelli tra loro che giungono agli anni della discrezione, e vengono educati in una falsa fede, vivono e muoiono in uno stato di separazione dalla comunione della Chiesa di Cristo, dobbiamo distinguere due casi diversi. Il primo è quello di coloro che vivono tra i cattolici o vi sono cattolici che vivono nello loro stesso circondario, che sanno quindi che ci sono queste persone, e sentono spesso parlare di loro. Il secondo caso riguarda coloro che non hanno tale conoscenza, e che ascoltano raramente o mai i cattolici dei quali si parla se non in una luce falsa ed odiosa.

D. 10 Che cosa c’è da dire di coloro che vivono tra i cattolici? Se sono nell’ignoranza invincibile, e muoiono nel loro stato di separazione, possono essere salvati?

R. E’ quasi impossibile per coloro che appartengono a questa classe di persone, essere in uno stato di ignoranza invincibile; per essere invincibilmente ignorante sono richieste necessariamente tre condizioni: in primo luogo, che una persona abbia un vero e sincero desiderio di conoscere la verità; poiché: a) se egli è tiepido e indifferente ad un affare di tale importanza come la propria salvezza eterna; b) se egli è disattento nel considerare se sia esso nel giusto o no; c) se, asservito a questa vita presente, non si da alcuna preoccupazione della futura, è chiaro che l’ignoranza derivante da questa disposizione è una ignoranza volontaria, e quindi altamente colpevole agli occhi di Dio. Questo sarà ancora più grave se una persona è sì, positivamente disposta a cercare la verità, ma ha paura di un disagio mondano, e quindi evita ogni occasione di conoscerla. Di questi la Scrittura dice: “Finiscono nel benessere i loro giorni e scendono tranquilli negli inferi. Eppure dicevano a Dio: Allontanati da noi, non vogliamo conoscer le tue vie.” [Giobbe XXI: 13-14]. In secondo luogo, per definire invincibile l’ignoranza, è necessario che un individuo sia sinceramente deciso ad abbracciare la verità ovunque essa possa trovarsi, e qualunque cosa possa comportare e costare. Infatti, si deve essere completamente risoluti a seguire la volontà di Dio, ovunque essa appaia in tutte quelle cose necessarie alla salvezza; ma se, al contrario, non si è disposti a tralasciare quello che sembrerebbe una trascuranza del proprio dovere o un’offesa ai propri amici e parenti, o ad esporsi a qualche perdita temporale o a degli svantaggi sociali, l’ignoranza è allora colpevole, e il soggetto non può mai giustificarsi davanti al suo Creatore. Di questo il nostro Salvatore dice: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” [Matt. X: 37]. La terza cosa necessaria perché una persona sia in uno stato di ignoranza invincibile è che essa sinceramente voglia al meglio possibile conoscere il proprio dovere, ed in particolare, che raccomandi la questione seriamente a Dio Onnipotente, pregando per avere la sua luce e la sua guida. Infatti, qualunque possa essere il desiderio di conoscere la verità, se non si utilizzano i mezzi adeguati nel trovarla, l’ignoranza non è invincibile, bensì volontaria. L’ignoranza è invincibile solo quando una persona ha un sincero desiderio di conoscere la verità, con una risoluzione piena di abbracciarla, ma: o non ha i mezzi possibili di conoscenza, o dopo essersi ingegnato al meglio con tutti i possibili tentativi, non è in grado di acquisirla. Pertanto, se una persona è carente nel cercare di conoscere al meglio il proprio dovere, la sua ignoranza non è invincibile, ed è solo colpa sua il non sapere; e se la scarsa attenzione al problema, l’indifferenza, i motivi mondani, o gli ingiusti pregiudizi influenzano il suo giudizio, e lo inducono a cedere ad una formazione distorta, non ha né un’ignoranza invincibile, né il timore di Dio. Ora questo è incompatibile con la bontà e le promesse di Dio, come se una persona, cresciuta in una falsa religione, ma che ha soddisfatto a queste tre condizioni, e usa i suoi migliori sforzi per conoscere la verità, venisse lasciata nell’ignoranza invincibile; ma se, per il suo attaccamento al mondo, agli oggetti sensibili o a proponimenti egoistici, non si disponga o si abbandoni nel modo da usare i mezzi adeguati per giungere alla verità, la sua ignoranza è volontaria e colpevole, ma non è invincibile.

 D. 11 Ma cosa succede se non sorgono mai dei dubbi nella sua mente, e la persona va avanti in buona fede nella condizione in cui è stato allevato?

R. E’ un errore pensare che sia necessario un dubbio formale per rendere l’ignoranza del proprio dovere volontaria e colpevole; è sufficiente che ci sia una ragione sufficiente per dubitare, poiché i suoi ingiusti pregiudizi, l’ostinazione, l’orgoglio, od altre mal disposizioni del cuore, possono ostacolare queste ragioni affinché pongano un eccitante dubbio formale nella sua mente. Saul non aveva dubbi quando ha offerto il sacrificio prima che arrivasse il Profeta Samuele; al contrario, egli era convinto che avesse le ragioni più valide per farlo, ma è stato condannato proprio per questa azione, rifiutato da Dio Onnipotente egli stesso e la sua famiglia. Gli ebrei credevano che stavano agendo bene quando hanno messo il nostro Salvatore a morte; anzi, il loro sommo sacerdote ha dichiarato in pieno sinedrio che era opportuno per il bene e la sicurezza della nazione che dovessero farlo. Erano in preda ad un grossolano errore, anzi, e purtroppo erano ignari del loro dovere; ma la loro ignoranza era colpevole, e sono stati severamente condannati per quello che hanno fatto, anche se è stato fatto per ignoranza. E infatti tutti coloro che agiscono con una coscienza falsa ed erronea sono altamente biasimevoli per avere una tale coscienza, per il fatto che non hanno mai intrattenuto alcun dubbio formale. Anzi, non avendo essi un tale dubbio, anche in presenza di appena deboli elemeni per dubitare, questo li rende ancor più colpevoli, perché mostra una maggiore corruzione del cuore, ed una maggiore disposizione alla depravazione. Una persona che si è portata, nella falsa fede che la Scrittura chiama “sette di perdizione, dottrine diaboliche, cose perverse, bugie e ipocrisie” e che ha sentito parlare della vera Chiesa di Cristo, che condanna tutte queste sette, e vede le loro divisioni ed i dissensi, ha sempre davanti agli occhi una ragione forte per mettere in dubbio la sicurezza del proprio stato. – Se si fa un esame con una disposizione sincera di cuore, ella si convince di essere nel torto; e più si prende in esame, più chiaramente lo vede, ed è per questa ragione elementare, che è semplicemente impossibile trovarsi inconsapevolmente in una falsa dottrina, poiché anche l’ipocrisia deve sempre essere supportata da solidi argomenti sufficienti a soddisfare una persona ragionevole e che non cerca sinceramente la verità, non chiede la luce di Dio perché sia guidata a dirigersi alla ricerca di essa. Quindi, se una persona non dubita mai, ma va avanti, come si suppone, in buona fede, a modo suo, nonostante le forti motivazioni circa i dubbi che egli ha ogni giorno davanti agli occhi, ciò pure dimostra evidentemente che è supinamente negligente nelle preoccupazioni per la sua anima, o che il suo cuore è totalmente accecato dalla passione e dal pregiudizio. – Ci sono state molte di queste persone incredule tra gli ebrei e i pagani al tempo degli Apostoli, nonostante la splendida luce della verità che questi predicatori sacri esponevano e spandevano in tutto il mondo, e questa è stata la ragione più potente per la quale, pur portandosi a dubitare delle loro superstizioni, erano così lontane dall’avere dubbi, da pensare che uccidendo gli Apostoli avrebbero reso un servizio a Dio. Da dove è nata questa risoluzione? S. Paolo stesso ce ne informa: ” … al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio. E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio.”[2 Cor. IV: 2]. Ecco la vera causa della loro incredulità: essi sono così asserviti alle cose di questo mondo per la depravazione del loro cuore, che il diavolo li acceca in modo che non possano vedere la luce; ma l’ignoranza derivante da tali disposizioni depravate è colpevole, è una ignoranza volontaria e quindi essa non li può giustificare. [Continua]

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Et Ipsa conteret caput tuum

AL DI FUORI DELLA CHIESA CATTOLICA NON C’È SALVEZZA -1-

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… et Ipsa conteret caput tuum

Proponiamo dei capitoli estratti da un testo molto preciso e chiaro sulla dottrina cattolica, dal quale si evince nitidamente come l’attuale “Novus Ordo” sia completamente fuori rotta nel seguire la dottrina cattolica, e con l’eresia manifesta dell’indifferentismo religioso, l’abominio liberal-massonico del “primato della libera coscienza” e della salvezza che si ottiene in ogni religione, abbia raggiunto un grado di apostasia tale da metterla ben al di fuori della “vera” Religione Cattolica, l’unica fondata dal Divin Salvatore Gesù Cristo e l’unica porta di accesso alla “Eterna Salvezza”. Il problema, per la verità, riguarda una quantità incalcolabile di anime, che seguendo tali aberrazioni dottrinali, ampiamente e ripetutamente condannate dal Magistero della Chiesa, sconfinando dalla Chiesa di Cristo, e cadendo nello stato di eresia, sono condannate all’eterna perdizione. Affinché si possa stimolare una riflessione profonda che faccia riconsiderare i fondamenti elementari della fede cattolica, e farli riconoscere come i soli fattori di salvezza, proponiamo, con spirito di carità fraterna, la lettura di questi capitoli. Possa il Signore nostro Gesù-Cristo illuminare la mente di tanti fratelli abbagliati dalla falsa luce degli angeli della perdizione e dei loro adepti travestiti con talari variopinte, occupanti il tempio del Dio “vero”, Uno e Trino, e del Figlio suo Gesù-Cristo, lupi rapaci, tutti impegnati nello sprofondare anime nel luogo preparato per i loro mandanti e per essi stessi che li servono. Ancora una volta vi proponiamo, affranti e con cuore avvilito, le parole dell’Apostolo: “… chi non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio” [2 Giov. 9]. Vi scongiuriamo, nel Nome di Dio l’Altissimo, e nel Nome del Figlio suo Gesù-Cristo: FRATELLI SALVATEVI! Non indugiate ancora, oggi avete tempo, domani chissà! Che il Cuore Immacolato della Vergine Maria schiacci quanto prima la testa del serpente primordiale, delle tante vipere velenose e dei rettili dalle orecchie tappate che avvelenano il mondo ed uccidono le anime redente da Cristo.

Al di fuori della Chiesa cattolica non c’è Salvezza!

georgehay

[del vescovo George Hay di Scozia [1729-1811], Estratti da “Il cristiano sincero”].

Prima domanda: Si può ottenere la salvezza in assenza della vera fede, e fuori della comunione della Chiesa di Cristo?

PARTE I

Introduzione e stato della questione

Non c’è nulla a cui il grande Apostolo delle genti sembra dedicarsi di più nella gloria del suo zelo ardente che alla salvezza delle anime, e nella sincerità del suo cuore, che a fornire al mondo le sacre verità eterne pure ed incorrotte. Egli non si vergognava di queste verità divine; si rallegrava invece quando veniva chiamato a soffrire per loro; egli non cercava la stima ed il favore degli uomini nella loro enunciazione; il suo unico obiettivo era quello di promuovere l’onore del suo santo Maestro, e guadagnare anime a Lui, per cui non aveva bisogno di usare parole lusinghiere, o di adattare la dottrina del Vangelo agli umori degli uomini. – Sapeva che le verità rivelate da Gesù Cristo sono inalterabili, e che: “Il cielo e la terra passeranno, ma le sue parole non passeranno mai”, e che, di conseguenza, corrompere queste sacre parole anche in un unico articolo, sarebbe “… pervertire il Vangelo di Cristo” [Gal. I: 7], un peccato così grave tanto che lo Spirito Santo, per propria bocca, minaccia una maledizione a chiunque, anche un Angelo dal cielo, che ne sia colpevole. Perciò egli descrive la propria condotta nella predicazione del Vangelo nel modo seguente: “Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, “[Atti XX: 18-20]” – “Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo”. [1 Ts. II: 2,4-6] “Noi non siamo infatti come quei molti che mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo”. [2 Cor. II: 17]. – “ … al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti ad ogni coscienza, al cospetto di Dio … Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù” [2 Cor. IV: 2, 5]. – “Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!” [Gal. I: 10]. – Ora, “Cristo mi ha mandato a predicare il Vangelo, non con sapienza di parola affinché la croce di Cristo avrebbe dovuto essere annullata; la parola della croce infatti per quelli che periscono è follia, ma per coloro che sono salvati, per noi, è potenza di Dio…. è piaciuto a Dio con la stoltezza della predicazione di salvare i credenti…. e la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini… Dio ha scelto le cose folli del mondo, perché Egli possa confondere i sapienti; Dio ha scelto e le cose deboli del mondo, perché Egli possa confondere i forti, affinché nessuna carne si glori alla sua vista “…. – “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo; non però con un discorso da sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio (….) Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (….) Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, (….) perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. [1 Cor. I: 17-18, 21, 25, 27, 29]. “Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” [Rom. 1: 16]. – E quindi “… – “Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. (….) e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”. [1 Cor. II: 1, 4, La Chiesa di Cristo, animata dallo stesso Spirito divino di verità che ha ispirato questo santo Apostolo, ha intutti i tempi regolato la sua condotta secondo il modello iniziale e nelle sue parole e nell’esempio. – Carissimi, avevo un gran desiderio di scrivervi riguardo alla nostra salvezza, ma sono stato costretto a farlo per esortarvi a combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte”.. [Giuda, I: 3]; – “ … custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, [1 Tim. VI: 20]; e le sacre parole di Dio, “ … le parole che ti ho messo in bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre”. [Isai. LIX: 21]. – Non sa quindi cosa vuol dire temporeggiare nella religione, per piacere agli uomini, non per adulterare il Vangelo di Cristo agli umori loro; dichiara le sacre verità rivelate da Gesù Cristo nella loro semplicità originaria, senza cercare di proporre loro discorsi persuasivi con la sapienza umana, e tanto meno mascherarli con un abito non loro. – La verità, semplice e disadorna, è l’unica arma che impiega contro i suoi avversari, a prescindere dalle loro censure o dalle loro approvazioni. “Questa è la verità”, dice, “rivelata da Dio; questo si deve abbracciare, o voi non potete avere parte con Lui.”-.” Se il mondo guardando a questo, dice che si tratta di una follia, non c’è da sorprendersi, perché “… L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito”. [1 Cor. II: 14]; ma che “la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini; “e ha pietà di questa cecità, e prega ardentemente Dio perché li illumini, “… sii dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità” [2 Tim. II : 25]. Se mai c’è stato un momento in cui questa condotta della Chiesa sia stata necessaria, è senza dubbio questa età presente, che sembra particolarmente pretenderla. Allo stato attuale le porte dell’inferno sembrano aperte, e l’infedeltà di ogni genere si erge senza legge sulla terra; le verità sacre della religione sono insultate e negate, il Vangelo adulterato da innumerevoli interpretazioni contraddittorie; la sua semplicità originale sfigurata da altezzose parole e da discorsi persuasivi di sapienza umana. Si consentono migliaia di condiscendenze e difformità dalle dottrine immutabili della fede e delle massime pure della morale, e “la via stretta che conduce alla vita” viene trasformata in una “strada larga che conduce alla perdizione.” – Questa osservazione vale in particolare per quel parere latitudinario così comune al giorno d’oggi, secondo cui un uomo possa essere salvato in qualsiasi religione, a condizione di vivere una buona vita morale a seconda della luce che riceve; al presente la fede in Cristo è annullata ed il Vangelo reso inutile. Un Ebreo, un maomettano, un pagano, un deista, un ateo, sono allora tutti compresi in questo schema secondo il quale, se vivono una buona vita morale, hanno un uguale diritto alla salvezza così come un cristiano! Essere un membro della Chiesa di Cristo non è più necessario: se viviamo una buona vita morale, che apparteniamo o no ad Essa, siamo comunque sulla via della salvezza! Così si apre un ampio campo alle passioni umane! La mente umana può concedersi ogni licenza per qualsiasi capriccio! È quindi della massima importanza esaminare la fondatezza di questa opinione, per vedere se possiamo basare con sicurezza la nostra salvezza su di essa. E’ senza dubbio questo l’interesse degli atei e deisti: adottare questo parere, per esaltare con le più alte lodi la liberalità del sentimento e della carità; ma un cristiano che crede al Vangelo non lo recepirà certo così facilmente: egli sa che solo le Scritture contengono la verità di Dio, e che egli non è sicuro nell’accordare la fiducia da riporre in qualsiasi massima, benché speciosa, che non sia ben radicata nei loro oracoli sacri; e quindi, prima di adottare questa strana opinione, rigorosamente la si esaminerà attraverso il confronto con ciò che le Scritture insegnano. – Fare questo è lo scopo della seguente inchiesta: dimostrare al meglio, mediante le dichiarazioni precise contenute nella Parola di Dio, che il suddetto libero pensiero è un fatto diametralmente opposto alla luce della rivelazione; perché da essa si apprende che il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è apparso tra gli uomini, al fine di istruirli nella conoscenza di quelle verità divine dalle quali dipende la loro salvezza; e quindi Egli richiede assolutamente “vera fede in Lui” e nelle sacre verità che Egli ha rivelato, come condizione necessaria alla salvezza. Apprendiamo pure che Egli ha istituito una Chiesa santa sulla terra, che deve essere il deposito di queste verità, e che Egli assolutamente richiede a tutti di essere uniti a quella Chiesa per essere salvati. Sulla convinzione di queste due verità le chiese “cristiane” in generale sono d’accordo. Le Chiese di Inghilterra e Scozia, non meno che la Chiesa Cattolica, le riconoscono solennemente, e sostengono che, senza la vera fede di Gesù Cristo, e senza essere un membro della sua vera Chiesa, non c’è salvezza. – Sono tutti d’accordo nella convinzione di queste verità, per quanto essi differiscano nella loro applicazione. In questa indagine, allora, viene difesa la causa comune della cristianità; a quale Chiesa poi l’autore appartenga, apparirà facilmente, e se egli applica queste verità generali alla sua Chiesa, è solo perché egli crede che Essa sia la vera Chiesa. Ma un membro di qualsiasi altra chiesa, deve fare lo stesso percorso e ragionare di conseguenza; perciò, senza ulteriori preamboli, procederemo appunto all’esame delle parole della confessione di fede della Chiesa di Scozia, secondo la quale: fuori della Chiesa di Cristo non c’è alcuna possibilità di salvezza ordinaria [Confessione di fede, cap. XXV]

[Nel procedere di questa indagine, il Vescovo Hay dimostra come la Chiesa cattolica romana sia l’unica vera Chiesa di Cristo, al di fuori della quale non c’è salvezza. Nel menzionare le Chiese di Inghilterra e Scozia, il Vescovo Hay vuole semplicemente dimostrare che la convinzione fondata sulla Sacra Scrittura, che c’è cioè una sola vera Chiesa, è comune alle Chiese di Inghilterra, Scozia e Roma.]

D. 1 Come si evince tutto questo dalle Sacre Scritture?

R. Le Sacre Scritture sono molto semplici su questo punto; ma siccome i vari testi propongono diversi punti di vista, noi, per una maggiore chiarezza, li consideriamo separatamente.

SEZIONE I

Prove dirette dalla Scrittura

1 – Il profeta Isaia, che predice la gloria della Chiesa di Cristo, dice: “Nessun’arma affilata contro di te avrà successo, farai condannare ogni lingua che si alzerà contro di te in giudizio”. [Isaia LIV: 17]. “Perché il popolo e il regno che non vorranno servirti periranno e le nazioni saranno tutte sterminate”.[Isaia LX: 12]. Qui vediamo dichiarato in termini espliciti che tutti coloro che si oppongono alla Chiesa di Cristo, e rifiutano di sottoporsi alla sua autorità, saranno condannati da Essa, e periranno.

2 – Il nostro Salvatore dichiara lo stesso concetto in termini ancora più forti, quando dice ai pastori della sua Chiesa, nella persona dei suoi Apostoli, nel mandarli a predicare il Vangelo: “Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città [Matt. X: 14, 15]. – Il nostro Salvatore, dopo averci istruito di ammonire il nostro fratello in privato, e poi con due o tre testimoni, dice: “… Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni”, così conclude: “Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano [Matt. XVIII: 17]. I pagani sono coloro che non conoscono il vero Dio e che adorano gli idoli e gli stessi demoni al posto di Dio. I pubblicani erano tra gli ebrei una classe di persone odiose per i loro crimini, e considerati da tutti come abbandonati da Dio, e perciò lasciati alla loro probità. Come tali, quindi, tutti quelli che resistono ostinatamente alla voce della Chiesa, sono classificati e condannati per bocca di Gesù-Cristo stesso come pagani e pubblicani.

3 – Il nostro Salvatore, parlando della sua Chiesa sotto la figura di un gregge, di cui Egli stesso è il buon pastore, dice: “Ed ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” [Giovanni X: 16]. Egli parla qui di coloro che non sono stati uniti in comunione con i suoi Apostoli e gli altri discepoli, e li chiama in quel momento “le sue pecore;” ma per mostrare che non c’era salvezza per loro nello stato in cui erano, non essendo uniti a loro, Egli ancora dice: “anche quelle io devo raccogliere”, il che dimostra che, sulla base della disposizione dei decreti divini, era assolutamente necessario che tutti coloro che appartengono a Gesù Cristo, tutti coloro che Egli riconosce come sue pecore, devono essere portati a Lui, ed uniti in comunione in un solo gregge, che è la sua Chiesa.

4 – In conseguenza di questo, siamo certi che, quando gli Apostoli hanno cominciato a pubblicare il Vangelo, “Il Signore ha aumentato i giorni, cosicché potessero essere salvati”. Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone”, o, come nella traduzione dei protestanti: “Il Signore in quel giorno li aggiunse alla Chiesa, per essere salvati,” [Atti II: 41]; questo sottolinea nel modo più forte, ciò che Dio ha fatto in realtà, e che l’essere aggiunti alla Chiesa è per Lui una condizione assolutamente necessaria per essere salvati; e se così doveva essere allora, deve essere così anche ora ed ancor più fino alla fine del mondo; le condizioni della salvezza, ordinate all’inizio e rivelate da Gesù Cristo, non possono essere modificate da nessun altro; ed Egli non ha mai fatto alcuna nuova rivelazione per modificarli.

5 – La Chiesa è il Corpo di Cristo, e tutti coloro che appartengono alla Chiesa sono membra del suo corpo ed uniti a Gesù Cristo, il Capo; ma coloro che sono fuori della Chiesa non sono membri del suo corpo, né sono uniti con Cristo capo. Ora, parlando della sua Chiesa e dei suoi membri sotto la figura di una vite con i suoi tralci, Egli dice: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e Io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano”. [Giovanni XV: 5, 6].; – Ciò che Cristo dice qui sotto la figura di una vite è altrettanto vero per i membri ed il corpo; nessun membro separato dal corpo può fare nulla; non ha né vita né sentimento, ma cade nella corruzione: il che dimostra espressamente che se non siamo uniti alla Chiesa di Cristo, se noi consideriamo questa Chiesa come un corpo composto dal capo e dalle membra, o come una vite con i suoi rami, se non siamo uniti a Cristo, siamo sulla via della perdizione!

SEZIONE II

Prove dalla necessità della Vera Fede

1 – Gesù Cristo, rivolgendosi al Padre eterno, dice: “Questa è la vita eterna: che conoscano Te, l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo.” [S. Giovanni XVII: 3]. Quindi necessariamente tutti coloro che non conoscono Gesù Cristo non possono avere la vita eterna.; ora, questa conoscenza di Gesù Cristo non è la semplice conoscenza che sia esistita una tale persona, ma il credere che Lui significa riconoscere ciò che Egli è: il Figlio eterno di Dio, fatto uomo per la salvezza del genere umano; e, pertanto, ancora dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna.” [Giovanni III: 16] – ne consegue allora che il credere in Gesù Cristo è una condizione richiesta positivamente da Dio per la salvezza; e pertanto, senza questa convinzione non ci può essere la salvezza perché, come Egli stesso dichiara di nuovo: “Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel Nome dell’unigenito Figlio di Dio”. [Giovanni III: 18] e “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui” [Giovanni III: 36]. E il discepolo prediletto, aggiunge: “Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l’anticristo!” [2 Giovanni I: 7] con il che è evidente che coloro che non conoscono Gesù Cristo, e di conseguenza non credono in Lui, così come quelli che non sanno che sia esistita una tale Persona, ma si rifiutano di credere e confessare che Egli è il Figlio di Dio venuto nella carne, non possono essere salvati; ecco che quindi il riconoscere e il credere in Gesù Cristo è definito da Dio Onnipotente, come una “condizione assoluta” per la salvezza.

2 – Ma non basta credere nella Persona di Gesù Cristo; si è tenuti inoltre a credere alla sua dottrina, alle sue parole, a quelle verità divine che Egli ha rivelato; ed in effetti, come possiamo credere che Lui sia Dio, se ci rifiutiamo di credere a quello che dice? Quindi, quando Egli ha dato ai pastori della sua Chiesa, nella persona dei suoi Apostoli, l’incarico di predicare il Vangelo, ha ordinato loro di insegnare al mondo “di osservare tutte quelle cose che vi ho comandato” [Matt. XXVIII: 20]. E aggiunge subito, “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crede sarà condannato” [Mar. XVI: 16]. Qui è evidente che la convinzione circa la sua dottrina e l’osservanza di tutte quelle cose comandate ai suoi Apostoli affinché le insegnassero, sono una condizione necessaria alla salvezza. Anzi, aggiunge in altro luogo: “Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli Angeli santi”. [Marco VIII: 38] – Ora, se vergognarsi delle sue parole porta ad una tale condanna, quale sarà la sorte di coloro che le negano? E’ evidente, quindi, che la vera fede di Gesù Cristo comprende la fede sia nella sua Persona, che nelle sue parole, cioè nella sua dottrina; ed è questa fede che è stata stabilita da Dio Onnipotente essere condizione necessaria alla salvezza. –

3 – Come è impossibile che Gesù Cristo potesse rivelare delle contraddizioni, o dire ad uno che tutto ciò sia vero, e ad un altro che invece è falso? La vera fede di Gesù Cristo non può contenere contraddizioni, deve essere la stessa ovunque, e in nessun punto contraria a se stessa. Questo la Scrittura afferma esplicitamente, “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.” [Eph. IV: 5] Ora, S. Paolo dichiara espressamente che “senza fede è impossibile piacere a Dio…….” [Eb. XI: 6]; di conseguenza questa unica vera fede di Gesù Cristo è così assolutamente necessaria come condizione di salvezza, che senza di essa, qualunque altra cosa un uomo possa fare o volere, è impossibile piacere a Dio, e quindi essere salvati.

4 – La Scrittura dichiara che, quando gli Apostoli hanno manifestato le verità del Vangelo ” … abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna”. [Atti XIII: 48]. Di conseguenza, coloro che non credono, non sono stati destinati alla vita eterna; donde, evidentemente, consegue che la fede è una condizione assolutamente necessaria per ottenere da Dio la vita eterna.” S. Paolo afferma che: “Tuttavia il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: Il Signore conosce i suoi …] [2 Tim. II: 19]; vale a dire, che Dio, da tutta l’eternità, certamente sa chi sono i suoi, chi sono quelli che, obbedendo alla sua santa grazia, continueranno ad essere fedeli fino alla fine, per essere felici con Lui per sempre … e tutti questi Egli ordina alla vita eterna. Quando, dunque, la Scrittura afferma che “tutti quelli che erano destinati alla vita eterna, credettero,” dimostra chiaramente che la convinzione delle verità del Vangelo, o della vera fede, è definita da Dio come una condizione necessaria di salvezza, in quanto nessuno è destinata ad essa se non quelli che credono.

5 – Il nostro Beato Salvatore, parlando di coloro che appartengono a Lui, dice: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me (….), le mie pecore ascoltano la mia voce e Io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”. [Giovanni X: 14, 27, 28]. Quali eventuali parole esprimono più chiaramente che conoscere Gesù Cristo, sentire la sua voce, e seguirLo – il che è credere e obbedire a Lui – sono i segni distintivi delle sue pecore, alle quali Egli dona la vita eterna? Di conseguenza, coloro che non credono non sono affatto dei suoi, e, pertanto, non saranno salvati; Egli lo dice infatti espressamente agli ebrei: “Ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore.” [Giovanni X: 26]; “se infatti non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati” [Giovanni VIII: 24]; questo è ugualmente una dimostrazione che la fede in Gesù Cristo è espressamente nominata da Dio Onnipotente come condizione di salvezza; “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”. [Atti IV: 12].

6 – S. Paolo, esprimendo il pensiero del Salmista: “Oggi, se udite la sua voce”, ecc, (Ps. XCIV), dice, “E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto? In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede”. [Ebr. III, 18, 19]. Per questo li esorta: “Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente” [Ebr. III, 12]; e ancora: “È dunque riservato ancora un riposo sabatico per il popolo di Dio. Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.” [Eb. IV: 9, 11].; in tutto questo passaggio, lo scopo principale dell’Apostolo è quello di dimostrare che i non credenti non possono andare in Paradiso; e questa verità è confermata da Dio Onnipotente anche con un solenne giuramento.

7 – Le Sacre Scritture dichiarano che i non credenti, invece di andare in Paradiso, saranno condannati al fuoco dell’inferno, e tutti come il peggiore dei criminali. Così l’Onnipotente dichiara a San Giovanni Apostolo “… Ma per i vili e gl’increduli, gli abietti e gli omicidi, gl’immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte”. [Ap. VIII 21: 8]. Se, dunque, Dio Onnipotente ha giurato che i non credenti non sono entrati nel suo riposo, e se dichiara che la loro parte sarà l’inferno, si deve chiudere gli occhi per non vedere che la vera fede, la vera fede in Gesù Cristo e la sua parole: – cioè la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio – è assolutamente necessariamente posta da Dio Onnipotente come condizione di salvezza! [come fanno gli apostati modernisti –ndr. -]

8 – La Parola di Dio ci assicura che, antecedentemente alla fede in Cristo, tutta l’umanità era sotto il peccato, e che non è possibile essere giustificati dal peccato se non dalla fede in Gesù Cristo, ritenuta da Dio come il mezzo per ottenere la giustificazione. Così: “Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c’è nessun giusto, nemmeno uno…” [Rom. III: 9,10] – “… E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue …” [Rom. III: 22-25]. Inoltre, ” … la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. [Gal. 3: III: 22]

9 – Queste testimonianze sacre della Parola di Dio sono così chiare e convincenti, che la Chiesa d’Inghilterra ammette e abbraccia il Credo Atanasiano come contenente nient’altro che le verità divine, e ciò che può essere dimostrato mediante le prove più evidenti della Scrittura, come è dichiarata nell’ottavo dei trentanove articoli. Ora, il Credo di Atanasio inizia così “Chiunque vuole essere salvo, innanzitutto è necessario che egli possegga la fede cattolica, e che colui che non la conserva integra ed inviolata, senza dubbio perirà in eterno.” Poi, dopo aver spiegato i grandi ‘misteri della fede cattolica riguardante l’Unità e la Trinità di Dio, l’Incarnazione e la morte di Gesù Cristo, conclude con queste parole: “Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccia fedelmente e fermamente”.. Questo parla chiaramente, infatti, e non ha bisogno di spiegazioni. Ora, visto che la vera fede, o la convinzione di quelle verità che Gesù Cristo ha rivelato, è quindi assolutamente necessaria come condizione di salvezza, se ne deduce, come conseguenza naturale, che fuori della vera Chiesa di Cristo non c’è salvezza, perché questa vera fede può essere trovata soltanto nella vera Chiesa di Cristo; ad Essa è stato affidato il sacro compito delle verità eterne; le parole di Gesù Cristo le sono state messe in bocca, e con un patto esplicito fatto da Dio, esse non devono mai discostarsi dalla sua bocca. E’ quindi solo dai pastori della Chiesa che possiamo imparare la vera fede, dal momento che essi soli sono autorizzati a predicarla, ed in essi sentiamo Cristo stesso. Quindi S. Paolo dice: “Ora, come potranno invocarLo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che Lo annunzi? E come Lo annunzieranno, senza essere prima inviati? [Rom. X: 14, 15]. – Ora, i pastori della Chiesa sono stati ordinati e inviati da Gesù Cristo ad “insegnare a tutte le nazioni e a predicare il Vangelo ad ogni creatura”, di conseguenza, è solo da loro che le verità del Vangelo possono essere apprese.