Omelia della Domenica XXIV dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXIV dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXIV, 15-35) 

giudizio

Giudìzio Finale.

Il giudizio universale, che ci dipinge con i più tetri colori l’odierno Vangelo, vien predetto da Gesù Cristo e stabilito alla fine del mondo, affinché la sentenza, da Lui pronunziata in segreto nel giudizio particolare all’istante della morte, sia palese agli Angeli ed agli uomini al cospetto di tutto il mondo. Vuole in quel terribile giorno, che giorno dai profeti si appella d’ira, di tribolazione, d’angustia, di calamità, di misericordia, di tenebre, di caligine, e di vendetta; vuole, dissi, che la sua giustizia sia pubblicamente riconosciuta dai buoni, e dai malvagi, vuole che il corpo partecipi dei beni e de mali dell’anima, abbia la sua ricompensa o il suo castigo, vuole in fine al presente con questo minacciato giudizio finale atterrire i malvagi, confortare i buoni e per gli uni e per gli altri giustificare la sua provvidenza. Son questi i punti che scelgo a materia e partizione della presente Omelia: e senza più trattenervi in lungo preambolo dico: Giudizio universale di Dio terrore degli empi, giudizio universale di Dio, conforto dei giusti, giudizio universale di Dio giustificazione di sua provvidenza. L’importante argomento tutta si merita la vostra attenzione.

I – Giudizio universale di Dio terrore degli empi. – Lo so che quanto l’empietà è più inoltrata tanto men crede e tanto men teme le divine minacce. Ma che pro il credere, che pro il non credere, che pro il non temere, se appunto per questo si rinnoverà in essi la luttuosa catastrofe avvenuta ai loro simili nei tempi di Noè? Dai palchi dell’Arca che egli andava fabbricando, io son d’avviso che più d’una volta alzasse la voce e, “verrà un giorno, dicesse ai curiosi spettatori, verrà un formidabile giorno, in cui aperte le cateratte del cielo cadranno le acque a vendicar le vostre colpe, a spegnere le fiamme impure della corrotta vostra generazione, acque micidiali, acque che tutte allagheranno orribilmente la terra, e voi, cercando invano sui più alti monti scampo e salvezza, sarete tutti sommersi nell’onde sterminatrici d’un universale diluvio. Aveva un bel gridare il buon patriarca, a quella minacciosa predizione, a quel funestissimo annunzio niun si commosse, e ben lontani dal crederlo, fu preso in derisione il salutevole avviso: né pur ai fatti s’arrese quella cieca gente, e vide colla massima indifferenza arrivar le tigri, i leoni, gli elefanti, ingombrar l’aria e la terra bestie d’ogni pelo, uccelli d’ogni piuma e tutti ricoverarsi in seno all’Arca. – Cristiani ascoltanti, “sìcut in dìebus Noe, ita erit adventus filii hominis” (Matt. XXIV, 37). Verrà un giorno somigliante al tempo di Noè, in cui il figliuol dell’uomo Cristo Gesù in aria di tremenda Maestà, preceduto dal segno trionfale della sua Croce, seduto sopra luminosa nube, in contegno di Giudice inesorabile, discenderà dal Cielo, giorno estremo di tutti i giorni, in cui pioverà fuoco dal cielo e tutta ridurrà in cenere la faccia della terra, giorno in cui la maggior parte degli uomini sarà sommersa in un diluvio d’eterno fuoco. “Sicut in diebus Noe, ita erit adventus filii hominis”. Or chi mi ascolta? Il mondo, il gran mondo nè pur vi pensa, o come di cosa lontana né si risente, né si commuove, e l’empio giunto al profondo dell’empietà non crede, non teme e se la passa con un disprezzo. “Impius, cum in profundum venerit peccatorum, contemnit (Prov. XVIII, 3). Ma questo non temere, direi ai miscredenti, se mi ascoltassero, questo disprezzare è appunto il colmo della vostra cecità e il contrassegno più certo che sopra di voi cadrà quel fulmine che non temete. Non temettero gli antidiluviani il minacciato universale eccidio e vi restarono sommersi. Ma che dissi, non temete? Affettate di non temere, e quanto più ostentate trepidezza e bravura, tanto più scoprite il vostro spavento. Un ente di ragione, una cosa seconda voi non esistente e che non esisterà giammai, non deve formare il soggetto dei vostri pensieri, nè dei vostri discorsi, né dei vostri scherni, ma voi studiando ragioni a non credere, cercando motivi a non temere, ma voi impugnando in voce, in iscritto le verità rivelate, e spogliando gli inconcussi gli argomenti che le convalidano con un disprezzo autorevole, date a conoscere che in far tutto ciò avete dell’interesse, che riguardate la religione come nemica, e come tale la fate scopo delle vostre saette e delle vostre irrisioni: segni evidentissimi che vi spaventa e che la temete appunto per questo che non volete temerla. – Temete pure e non aspettate a temere in faccia alla morte. Tanti increduli pari a voi, e di voi più intrepidi in vita, han fatto impallidire la Filosofia del secolo, e al punto estremo chi s’è ricreduto, chi s’è stretto al Crocifisso, chi ha chiamato i sacerdoti prima vilipesi, chi ha invocato i soccorsi della religione prima perseguitata. Né crediate che questi infelici fossero in vita senza spavento. La gioventù, la sanità, i piaceri, le passioni sopivano i reclami della sinderesi che più vivamente si facevano sentire al primo mal di capo, alla prima febbre, alla prima disgrazia. – Disingannatevi dunque, o spiriti di questo secolo che vantate fortezza, che con tutti gli sforzi dell’intelletto e della volontà non riuscirete giammai a far tacere i latrati della rea vostra coscienza che a vostro dispetto parla, vi punge, vi condanna e vi minaccia un giudizio appena morti, un giudizio nella consumazione dei secoli.

II. Voi sì che siete comprese da timore, ma da timor salutare, o anime giuste, in pensare quale sarà la vostra sorte in quel gran giorno, se colle pecorelle innocenti, o coi capri lascivi, se alla destra cogli eletti, o alla sinistra coi reprobi. Confortatevi però, il temer Dio ed i rigori della sua giustizia è proprio dei santi. Tremava per l’orrore un S. Girolamo al rammentare il finale giudizio, e gli pareva sentirsi rimbombare all’orecchio le squillo dell’angelica tromba, che sveglierà tutti i morti e li chiamerà ad esser giudicati nella gran valle. Tremava un S. Cipriano gran santo anche senza il martirio, e guai a me, diceva piangendo, quando dovrò comparire al giudizio! Temete ancor voi anime buone, che il vostro timore si deve cangiare in conforto. Chi salvò Noè colla sua famiglia? Il timore del creduto divino castigo: per questo esso, i figli suoi e le rispettive consorti si mantennero giusti e a Dio fedeli, e in seno all’arca benedissero Dio che li salvò. – Cristiani timorati, voi al presente siete derisi dal mondo, la vita devota che menate è riputata stoltezza, in quel giorno si cangerà linguaggio; e noi, diranno i vostri derisori, noi fummo gli stolti, noi gli insensati, “nos insensati vitam illorum æstimabamus insaniam(Sap. V, 4-5) , ci pareva loro condotta zotica, disonorata, “et finem illorum sine honore; ed eccoli ora nel numero dei figliuoli di Dio, “ecce quomodo computati sunt inter filios Dei”. Voi vedove desolate, voi pupilli oppressi, voi poveri abbandonati, ridotti nelle più strette angustie da prepotenti, da liti ingiuste, da usurarie estorsioni, voi spogliati dei vostri averi, voi defraudati de’ vostri sudori, starete in quella valle in luogo di sicurezza, stabunt justi in magna constantia adversus eos qui se angustiaverunt et abstulerunt labores eorum(V. 1), e i vostri oppressori tremeranno in alzare a voi lo sguardo, inorriditi, confusi e disperati per l’imminente perdita di loro eterna salute, “videntes turbabuntur timore horribili … in subitatione insperatæ salutis(v. 2).

III. Seguite ad ascoltarmi, o anime giuste, ed ammirate la divina Provvidenza che nel giustificare sé stessa vi porge nuovi conforti. Un giudizio particolare al fin dei nostri giorni deciderà di nostra eterna sorte. Così c’insegna la Fede. Dunque qual necessità d’un giudizio universale alla fine del mondo? Per molte ragioni, risponde l’Angelico S. Tommaso: basti indicarne una sola al nostro proposito. La divina Provvidenza viene sovente incolpata, e sulle lingue cristiane s’ascoltano talvolta certe tronche parole, certe mal misurate esclamazioni che s’accostano alla vera bestemmia. “O Signore, dice taluno, dov’è la vostra Provvidenza? L’empio è esaltato come i cedri del Libano, e l’uomo dabbene è depresso come il fango delle piazze; trionfano i malvagi, gemono i buoni. Sfoggia da grande il ladro civile, l’uomo onesto è quasi sempre povero. Par che convenga esser iniquo per esser fortunato. Santa fede! Divina Provvidenza! Ohimè ch’io vacillo. Così si parla di quell’altissima Provvidenza, di cui s’ignorano le tracce ammirabili. E vero che la Provvidenza stessa anche su questa terra le tante volte giustifica sé medesima e fa vedere che la prosperità dei malvagi è come polvere in faccia al vento, che il peccato non fa fortuna, che le Giezabelle non vanno sempre in gala, che gli Acabbi non sempre godono l’altrui, che i Nabbucchi non sono sempre adorati, che gli Epuloni non siedono sempre a convito; ma è vero altresì che la Provvidenza medesima, vuole al cospetto dell’universo far a tutti conoscere la somma equità e l’inscrutabile sapienza, con cui ha governato l’umane cose; ha perciò stabilito un giorno d’universale sindacato, un giorno di giustificazione per sé, di premio per i buoni, di castigo per i malvagi.Non vi meravigliate più dunque, o fedeli, veder talvolta oppresso il giusto, prosperato il miscredente: poiché dopo il breve corso di questa vita, alla fine di tutti i giorni si vedrà che il sommo Iddio con provvido e sapiente consiglio ha permessa la persecuzione de’ tiranni per conoscere la pazienza de’ Martiri. Si vedrà ch’Egli ha provato i suoi eletti, come l’oro nel fuoco per renderli più puri per virtù, più ricchi per merito: che per l’opposto ha permesso l’esaltazione degli empi, per temporanea mercede di qualche naturale virtù, riservati al giorno delle vendette come vittime coronate di fiori, destinate alla scure.E per finire là onde cominciai, non abbiamo l’esempio assai luminoso nella persona del Patriàrca Noè e in quella de’ scioperati spettatori della sua Arca? “Veniva; riflette S. Agostino, deriso Noè come uomo di buona pasta. Chi lo tacciava di semplice, chi d’illuso, perché sull’idea d’un futuro andava con tanto zelo fabbricando quella macchina che non vedeva mai fine; ed egli sopportando in pace le derìsioni, le beffe attendeva infaticabile al suo lavoro e all’adempimento del divino comando: quegli in ozio, in conviti, in amori; Noè in travaglio, in pazienza, in sudori; quegli intenti a goder del presente; Noè applicato a provvedere al futuro. Intanto chi l’indovinò? Chi colse nel punto? Uno sguardo su quell’acque mortifere che tutta hanno allagata la terra, sulle quali galleggiano i gonfi cadaveri de’ derisori del buon Patriarca”.Un altro sguardo a Noè, egli salvo fra un mondo perduto benedice Iddio che lo salvò, benedice il sudore che sparse, la fatica che sostenne, la pazienza che praticò. Uditori miei cari, applicate la facile immagine. Quel che avvenne nei giorni di Noè, avverrà nel dì finale quando a giudicare la terra discenderà dal cielo l’Uomo-Dio Cristo Gesù “Sicut in diebus Noe, ita erit adventus Filii hominis”. Staranno i giusti nella gran valle in luogo di sicurezza, come da un’arca di salute vedranno il naufragio dei miseri loro persecutori, “Stabunt iusti in magna constantia adversus eos, qui se angustiaverunt”. Vedranno gli empi con occhio livido l’altrui fortuna e inutilmente si rideranno sulla propria sciagura.Peccator videbit et irascetur, denti bus suis fremet et tabescet” ( Ps. III, 10). Giudicate or voi da qual parte sarà meglio trovasi in quel giorno, se con Noè e con i giusti , o con gl’increduli e coi perversi.

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.