2 NOVEMBRE-COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

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Commemorazione dei DEFUNTI

[Dom Gueranger – l'”anno liturgico” Vol.II]

Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (I Tess. IV, 12). La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l’Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l’accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un Purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.

L’espiazione del peccato.

Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l’anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l’uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un’eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel Battesimo e nel martirio, sommergere nell’abisso dell’oblio divino anche l’ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell’altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.

Il merito.

In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l’anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto. Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, – chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell’altro – alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (I Cor. XII, 27). – Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed é accettata secondo tutto il suo valore e secondo l’intenzione di colui che l’applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all’anima per la quale mi piace offrirla (De Suffragiis, Sectio VI).

Le indulgenze.

È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono à quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l’Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell’efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita. – Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? É così pungente che nessuna miseria della terra l’uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il « fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all’oceano del paradiso » (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt. V, 26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me voi almeno che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Giob. XIX, 21).

La preghiera per le anime del Purgatorio.

Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il Purgatorio rigurgiti più che mai per l’affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l’approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l’unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. – In quest’opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [Propagato nel secolo XVIII dai Chierici Regolari Teatini e arricchito di favori spirituali dai Papi Benedetto XIII, Pio VI e Pio IX], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo della felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria. – Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell’oblazione dell’augusto Sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (II Macc. XII, 46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell’anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l’anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo che non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant’Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura prò mortuis, IV). – Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l’istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l’attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l’Abate di Cluny, sant’Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei Santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell’inferno che, con visioni – che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2, 13) – accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell’abisso avessero a temere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di Sant’Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina. I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.

Le tre Messe.

I sacerdoti possono dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all’intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti. L’intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione dalla confisca dei beni ecclesiastici.Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

I VESPRI DEI MORTI

Eloquenza e scienza non raggiungeranno mai l’altezza di insegnamento e la potenza di supplica che regnano nell’Ufficio dei Morti. Solo la Chiesa conosce i segreti dell’altra vita e la via del cuore di Cristo, solo la Madre può avere il tatto supremo che le permette di consolare gli orfani, gli abbandonati, quelli che sono rimasti sulla terra in lacrime, alleggerendo la purificazione dolorosa ai figli che l’hanno lasciata.

Primo Salmo. [CXIV]

Dilexi: il primo canto del purgatorio è un canto di amore. Le angosce di quaggiù sono finite, sono lontani i pericoli dell’inferno e, confermata in grazia, l’anima non pecca più ed ha in sé soltanto riconoscenza per la misericordia che l’ha salvata, per la giustizia che la purifica e la rende degna di Dio. Il suo stato di quiete assoluta e di attesa fiduciosa è tale che la Chiesa lo chiama « un sonno di pace » (Canone della Messa). – Piacere a Dio, un giorno, senza riserve! Separata dal corpo che l’appesantiva, la distraeva con mille futili preoccupazioni (Sap. IX, 15) l’anima si immerge in questa unica aspirazione e converge tutte le sue energie, tutti i tormenti, dei quali ringrazia il cielo, perché aiuta la sua debolezza a soddisfare tale aspirazione. O crogiolo benedetto nel quale si consumano i resti del peccato, in cui si paga ogni debito! Dalle sue fiamme soccorritrici, sparita ogni traccia dell’antica sozzura, l’anima piglierà il volo verso lo Sposo veramente felice, sicura che le compiacenze del Diletto non avranno per essa limitazioni.

Secondo Salmo. [CXIX]

Come però si prolunga il suo esilio doloroso! Se è in comunione con gli abitanti del cielo per mezzo della carità, il fuoco che la castiga non è materialmente diverso da quello dell’inferno. Il suo soggiorno confina con quello dei maledetti, deve sopportare la vicinanza del Cedar infernale, dei nemici di ogni pace, dei demoni, che perseguitarono la sua vita mortale con assalti, con insidie, che al tribunale di Dio ancora l’accusavano con bocche ingannatrici. La Chiesa si appresta a supplicare: Strappatela alle porte dell’inferno.

Terzo Salmo. [CXX]

Tuttavia l’anima non vien meno e, levando i suoi occhi verso le montagne, sa che può contare sul Signore, che non è abbandonata dal cielo che l’attende, né dalla Chiesa della quale è figlia. Per quanto sia vicino alla regione del pianto eterno, il purgatorio, in cui giustizia e pace si abbracciano (Sai. LXXXIV, 11), non è inaccessibile agli Angeli. Questi augusti messaggeri portano il conforto di divine comunicazioni alle quali si aggiunge l’eco delle preghiere dei beati e dei suffragi della terra. L’anima è ormai sovrabbondantemente assicurata che il solo male, il peccato, non la può più toccare.

Quarto Salmo. [CXXIX]

L’uso del popolo cristiano dedica alla preghiera per i morti il Salmo CXXIX in modo particolare: è un grido di angoscia e, nello stesso tempo, di speranza. La privazione cui sono sottoposte le anime nel purgatorio deve toccare profondamente il nostro cuore. Non hanno ancora raggiunto il cielo, ma ormai hanno cessato di appartenere alla terra e hanno con ciò perduto i favori con i quali Dio compensa i pericoli del viaggio in questo mondo di prove e, per quanto siano perfetti i loro atti di amore, di fede e di speranza, esse non meritano più. Delle sofferenze, che accettate come sono, varrebbero a noi la ricompensa di mille martiri, nulla rimane a queste anime, nulla fuorché il fatto del regolamento di un conto, che la sentenza del giudice ha appurato. – Come non possono meritare, non possono neppure soddisfare come noi alla giustizia per mezzo di equivalenze da Dio accettate. La loro impotenza a giovare a se stesse è più radicale di quella del paralitico di Betsaida (Gv. V) perché la piscina della salvezza la possiede la terra con l’augusto Sacrificio, i Sacramenti e l’uso delle chiavi onnipotenti affidate alla Chiesa. – Ora la Chiesa, che non ha più giurisdizione su di esse, conserva però la sua tenerezza di Madre e la sua potenza presso lo Sposo non è diminuita e quindi fa sue le loro preghiere, apre i tesori, che la sovrabbondante redenzione del Signore le ha procurati, paga con il suo fondo dotale Colui che le ha costituito il fondo stesso, perché liberi le anime o allevii le loro pene e in questo modo, senza ledere alcun diritto, la misericordia si apre il passo e raggiunge l’abisso in cui regnava soltanto la giustizia.

Quinto Salmo.[CXXXVII]

Ti loderò, perché mi hai esaudito. La Chiesa non prega mai invano e l’ultimo salmo dice la sua riconoscenza e la riconoscenza delle anime che l’Ufficio che sta per terminare ha liberate dall’abisso o per lo meno avvicinate al cielo. Grazie a quell’Ufficio e cioè alla Chiesa, più d’una delle anime ancora prigioniere è entrata nella luce. Seguiamo col pensiero e con il cuore i nuovi eletti, che sorridendo e ringraziando noi, loro fratelli o figli, si elevano radiosi dalla regione delle ombre e cantano: Ti glorificherò, 0 Signore, davanti agli Angeli, ti adorerò, finalmente, nel tuo santo tempio! No, il Signore non disprezza le opere delle sue mani.

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Omelia di S. S. GREGORIO XVII (Cardinal SIRI)

Commemorazione dei defunti [1972]

Un’altra volta, come ieri giorno di tutti i Santi, oggi abbiamo ascoltato le otto beatitudini (Mt V, l-12a), il codice della santità. Noi saremo giudicati secondo questo codice; quelli per i quali intendiamo pregare sono stati giudicati secondo questo codice. – Vedete, è probabile ed è anche abbastanza naturale che quello che ci spinge a pregare per i morti sono cari ricordi, nostalgie, che portiamo in noi di esperienze pregresse, cari volti, cari contorni; e allora preghiamo. In questo caso vedete che il movente della preghiera per i morti è legato a cose personali e allora, quando la preghiera per i morti è legata a memorie personali, affetti che la morte ha interrotto almeno nella loro esterna manifestazione, noi finiamo per pregare per pochi, e i morti sono tanti, tanti. – Dobbiamo portarci su motivazioni più grandi per andare al largo. La preghiera per i defunti, specialmente fatta in una chiesa cattedrale, nella prima chiesa di Liguria, deve andare al largo, e occorrono ragioni che non siano soltanto affettive o sentimentali, ma che ci spingano al largo. – E una ragione l’avete avuta ora nella lettura del Vangelo. Quando si pensa che tutti coloro che sono andati all’eternità – cosa che accadrà per tutti noi -, sono stati giudicati secondo questo codice della santità – “Beati i poveri di spirito, beati i pacifici, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete, beati i misericordiosi”, per arrivare a sentirci dire: “Beati voi quando vi perseguiteranno e diranno di voi ogni male a cagion mia”, capite bene che allora viene freddo a pensarci; se non ci fosse il soccorso della misericordia di Dio, ci si arresterebbe. Ma quando si pensa che tutta l’umanità è stata giudicata su questo codice, quella umanità per la quale è stato promulgato, la cosa diventa difficile. E allora la nostra preghiera deve andare al largo: non basta chiudersi nei nostri ricordi, anche belli, anche onesti, nelle nostre nostalgie, che possono essere utili per la nostra vita, perché talvolta le nostalgie ripresentano le cose migliori, i volti più esemplari, le circostanze più entusiasmanti verso il bene della nostra vita, ma bisogna andare al largo e ricordarsi della serietà di questo giudizio che hanno dovuto passare. Noi, quando siamo al buio o alla mezza luce, non vediamo le macchie dei nostri abiti, ma quando ci esponiamo al sole in una giornata limpida, al sole di mezzogiorno, vediamo quasi le macchie che non ci sono. Ma vi immaginate voi la esposizione di un’anima di fronte a Dio! Come le macchie che la flebile mezza luce poteva anche consentire a noi di non vedere, diventano vivificate, presenti, qualificate per la vergogna di chi le porta. – Ho detto questo perché noi qui non preghiamo solo per la cerchia dei nostri morti, ma in questa cattedrale si è obbligati a pregare, andando al largo, per tutti. Quasi tutti non li abbiamo conosciuti, non abbiamo motivi umani che ci evochino qualche cosa che personalmente ci stringe, ma è la realtà di Dio, la realtà del giudizio e la realtà del criterio in questo giudizio che muove a pregare per tutti. – Anche perché normalmente succede questo: che si ha, si avrà quello che si è dato; un giorno in questa cattedrale pregheranno per tutti noi che siamo qui. Se ragioneranno secondo quello che ho detto in questa sera, la rugiada della loro preghiera arriverà anche a noi. Ma se non facciamo noi, non possiamo aspettare troppo che gli altri facciano. Non è egoismo, è soltanto l’implorazione del misero, del povero – e lo siamo tutti davanti a Dio -, che allarga le braccia, perché abbiamo bisogno della misericordia di Dio come quelli che sono morti non meno che quelli che verranno dopo di noi, e vogliamo poterla cantare in eterno.