Rapporti con gli acattolici

Essendo oggi i Cattolici romani [quelli “veri”, in comunione con Gregorio XVIII e la gerarchia in esilio] nella nuova situazione, per la quale si trovano ad essere circondati dalla quasi totalità di a-cattolici del “novus ordo” e di settari eretico-scismatici di varie fogge (fraternità non-sacerdotali, istituti e chiesuole varie), è bene istruirsi sul modo di comportarsi con essi [spesso anche amici e familiari] riferendosi a quanto la Santa Madre Chiesa ha sempre disposto per la salute delle anime, affinché conservino la vera fede cattolica e possano così sperare degnamente nella vita eterna che, come è certo, solo si conquista con la fede in Gesù-Cristo e l’appartenenza all’unica Chiesa di Cristo (Extra Ecclesia nulla salus!). Lo scritto riportato è di Eriberto Ione O.F.M. Capp., ed è tratto da: “Compendio di Teologia Morale”, 5° ediz. – Marietti ed., 1961, un testo classico di riferimento accreditato, con “imprimatur” e “nihil obstat”, dalla dottrina sicura ed approvata dalla Chiesa Cattolica!

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I rapporti con gli acattolici.

Il contatto con gli acattolici può avvenire nella vita civile (communicatio civilis) oppure in atti di culto (communicatio in sacris).

La comunicazione civile con persone di altra fede è permessa fino a tanto che non ne derivino pericoli per la fede. – A causa dei pericoli per la fede, può essere proibito di restare in servizio presso persone di fede diversa, o di far parte di determinate società o di frequentare scuole acattoliche (cfr. n. 202). – Sono proibite le dispute o conferenze con acattolici su argomenti religiosi, specialmente se pubbliche, quando si tenessero senza l’autorizzazione della S. Sede o, nei casi urgenti, dell’Ordinario del luogo (can. 1325, § 3), perché nascondono in sé dei pericoli. – E pure vietata la partecipazione a riunioni, congressi, conferenze o società, aventi lo scopo di riunire in una sola alleanza religiosa tutti quelli che si chiamano cristiani; anzi è proibito persino promuovere tali iniziative (S. Uff., 8 luglio 1927, AAS, X I X , 1927, p. 278). – Sono proibite anche le cosiddette conferenze ecumeniche (S. Uff., 5 giugno 1948, AAS, X L , 1948, p. 257); in questa proibizione rientrano tutte le conversazioni e riunioni, sia pubbliche sia private, tanto se svolte con vasta partecipazione quanto se ristrette a pochi individui (S. Uff., 20 die. 1949, AAS, XL IL 1950, p. 142-147). Si presuppone tuttavia che tali adunanze avvengano dietro accordo, allo scopo preciso che la parte cattolica e quella acattolica, equiparate nella posizione dei vari problemi, trattino questioni riguardanti la fede e i costumi, esponendo ciascuna la dottrina del proprio credo come sua concezione personale. — Ai vescovi non di meno si suole concedere per un triennio la facoltà di permettere simili riunioni e conversazioni di indole locale, con le opportune cautele: per es. resta sempre proibita ogni « communicatio in sacris »; tuttavia non è proibito che all’apertura e alla chiusure delle adunanze si reciti in comune il Pater noster o altra preghiera approvata dalla Chiesa cattolica. — Per conferenze, invece, e riunioni interdiocesane. nazionali e internazionali si esige sempre, in ogni singolo caso, il previo consenso della S. Sede. A tali riunioni il vescovo della diocesi curerà di inviare soltanto sacerdoti veramente competenti in materia, i quali siano in grado di esporre e di difendere la dottrina cattolica in forma chiara e convincente. I fedeli non possono prendere parte a queste adunanze e conversazioni, se non avranno prima ottenuto il permesso speciale dall’autorità ecclesiastica, che lo concederà soltanto a coloro che siano bene istruiti nella dottrina cattolica e saldi nella fede. – Nei territori di religione mista viene concessa in genere la facoltà di permettere simili conversazioni fra teologi cattolici e acattolici; competente per tale permesso è il vescovo della diocesi in cui si tengono queste conversazioni, oppure il vescovo delegato, di comune accordo, dagli altri vescovi a dirigerle. – Non sono proibite le dispute casuali, che per es. avvengono durante un viaggio, e neppure sono vietate le conferenze apologetiche, anche con contradditorio, in modo che i partecipanti possano presentare obiezioni e difficoltà. — Tanto meno dall’Istruzione del S. Ufficio del 20 dic. 1949 sono proibite quelle adunanze miste di cattolici e di acattolici, in cui non si trattano affatto argomenti circa la fede e i costumi, ma i loro partecipanti, unendo le forze, si consultano sul modo di difendere i principi di diritto naturale e il patrimonio della fede e della moralità cristiana contro gli attuali nemici di Dio; oppure quando in esse si tratta della ricostruzione di un sano ordinamento sociale e di simili questioni. È evidente che in queste riunioni ai cattolici non è lecito approvare o ammettere teorie che siano in contrasto con la rivelazione divina o con l’insegnamento della Chiesa, benché riguardanti soltanto questioni sociali.

La comunicazione in atti di culto ha luogo quando i cattolici partecipano agli atti di culto degli acattolici o permettono che gli acattolici partecipino agli atti di culto cattolico.

La partecipazione dei cattolici agli atti di culto degli acattolici può essere attiva o passiva.

a) La partecipazione attiva agli atti di culto degli acattolici è assolutamente proibita (can. 1258, § 1).

Se si tratta di partecipazione ad atti di culto che sono eretici in sè, la partecipazione è proibita già dalla legge naturale. Riguardo ad atti di culto che gli eretici hanno comuni con i cattolici, la partecipazione, anche se non ne deriva alcuno scandalo, è proibita almeno dalla legge ecclesiastica. È, quindi, illecito chiedere ad un eretico di amministrare il battesimo, e ad un cattolico fare da padrino al battesimo di eretici (anche per procuratore). Inoltre, è proibito fare da testimonio in uno sposalizio davanti al ministro di religione acattolica; ricevere la Comunione dalle mani di uno scismatico. — In pericolo di morte, però, è lecito farsi amministrare un sacramento da un ministro acattolico, se non vi sia nessun cattolico che possa somministrarlo, e non ne derivi scandalo o pericolo di perversione. Similmente, è permesso, ottenutane la dispensa, farsi amministrare il sacramento del matrimonio da parte acattolica in un matrimonio misto e di amministrarglielo; non è mai lecito, però, che si faccia davanti al ministro del culto acattolico. – È pure proibito cantare insieme nelle funzioni religiose degli acattolici, suonarvi l’organo o altri strumenti.

— Invece, non è proibito recitare privatamente con eretici preghiere scevre d’errori o di cantare canzoncine buone, se non si ha da temere che ne derivi scandalo.

Chi, contro le disposizioni del can. 1258, partecipa agli atti di culto degli eretici, è sospetto di eresia (can. 2316).

b) La partecipazione passiva ad atti di culto degli acattolici è permessa, quando la consigliano gravi ragioni d’ufficio o di cortesia e ne è escluso il pericolo di perversione o di scandalo (can. 1258, § 2). – Nella nozione di assistenza passiva s’include il non pregare e il non cantare insieme, ecc. – Con tali restrizioni, quindi, è lecito assistere al battesimo amministrato da un eretico, o a un matrimonio contratto davanti a ministro acattolico, o a un funerale. Si può anche lecitamente visitare un tempio acattolico. Se, in una regione, esiste da lungo tempo l’eresia, può anche essere talvolta permesso assistere alle funzioni religiose per pura curiosità. —

Similmente, può un domestico o una domestica, dietro richiesta, accompagnare i padroni alle funzioni religiose acattoliche. Quando i soldati o i prigionieri vengono comandati di andare alle funzioni religiose acattoliche, possono ubbidire, se il comando non fu dato in odio della fede, ma solo per ragione di disciplina. — Ascoltare prediche acattoliche può essere spesso proibito a motivo dello scandalo che ne deriva o del pericolo per la fede. Tale pericolo si verifica pure ascoltando le prediche solo per radio, specialmente se ciò accade spesso.

2 ° La partecipazione degli acattolici ad atti di culto cattolico può essere parimenti attiva e passiva.

a) La partecipazione attiva degli acattolici a funzioni religiose cattoliche è proibita, in quanto può indurre qualcuno nella persuasione che la fede cattolica non sia essenzialmente diversa da quelle acattoliche e in quanto promuove l’indifferentismo. È proibito che gli eretici facciano da padrini nel battesimo di un cattolico; e in quanto appartengono a una setta, non possono neppur validamente fare da padrini (can. 765). Per un grave motivo, però, possono fare da testimoni nel matrimonio, purché non ne risulti scandalo alcuno.

— Circa l’amministrazione dei sacramenti in pericolo di morte a coloro che sono in buona fede, cfr. n. 566 e 637. [Confessione ed estrema unzione –ndr.-]

— Non è neppure lecito amministrare loro pubblicamente i Sacramentali. Perciò, è vietato dare loro le candele benedette il giorno della Purificazione, le Sacre Ceneri il giorno delle Ceneri, le Palme benedette la Domenica delle Palme. Mentre non è vietato dare loro privatamente dell’acqua santa o una medaglia benedetta, ecc., oppure dare loro delle benedizioni per impetrare ad essi la luce della fede e contemporaneamente la salute del corpo (can. 1149). (Cfr. n. 791).

— È pure proibito far loro portare i lumi durante le funzioni liturgiche, recitare alternativamente con essi l’Ufficio divino corale, farli partecipare ai canti liturgici. Per circostanze eccezionali, è stato permesso dal S. Ufficio che fanciulle scismatiche cantassero con quelle cattoliche durante le funzioni liturgiche. — Se non si può avere alcun organista cattolico, si può temporaneamente valersi di uno acattolico, quando non ne risulti scandalo. — Il sacerdote cattolico non può accompagnare alla sepoltura ufficialmente la salma di un eretico. Per gravi ragioni, e presupposto che non ne derivi scandalo alcuno, potrebbe come persona privata seguire il feretro e recitare alcune preghiere sulla tomba.

  1. b) Passivamente si possono far partecipare gli acattolici alle funzioni sacre. È lecito anche invitarli alle nostre prediche.

Nota.

.1° Circa la prossima o remota cooperazione ad atti di culto, cfr. n. 150.

.2° L’accettazione di un acattolico nella Chiesa cattolica si compie ottimamente nella seguente forma: a) Istruire profondamente nella fede cattolica; – b) Investigare sulla validità del precedente battesimo acattolico; cfr. n. 475. – c) Riferire il caso all’Ordinario: cfr. form, n. 810. In tale relazione si chiede, a nome del convertito, che sia accettato nella Chiesa. Quando un adulto debba essere battezzato sotto condizione, di solito si chiede contemporaneamente la facoltà di poter amministrare il battesimo senza le cerimonie solenni, se non si abbia tale facoltà per diritto consuetudinario o per disposizioni generali del vescovo. Nel caso di persone che abbiano compiuto i sette anni, per sé si debbono usare le cerimonie del battesimo degli adulti; cfr. n. 488.

d) L’atto dell’accettazione: questo varia secondo che il convertito debba essere battezzato in modo assoluto o sotto condizione o non lo debba affatto. – Nella maggioranza dei casi, spetterà al vescovo giudicare se e come debba essere amministrato il battesimo; solo quando non esiste assolutamente alcun dubbio in merito, il sacerdote stesso può decidere. Quando le ricerche siano impossibili, si può conferire il battesimo sotto condizione. – α) Se il battesimo si amministra in forma assoluta, non si richiede nient’altro che il battesimo. – Quindi non si richiede l’abiura e neppure l’assoluzione dalle censure e dai peccati. Il sacerdote stia comunque attento che il battezzando abbia il dolore dei peccati personali.

β) Se il battesimo viene amministrato sotto condizione, dopo le preghiere indicate nel rituale diocesano, si emette innanzi tutto la professione di fede, segue il battesimo sotto condizione, indi la confessione e l’assoluzione condizionata. – Il formulario per la professione di fede viene dato ordinariamente dalla Curia o si trova nel Rituale diocesano. Per ciò che riguarda la emissione della professione di fede, si stende un protocollo che viene sottoscritto dal convertito, da due testimoni e dal sacerdote delegato (cfr. formulario n. 817). Alcune Curie diocesane ordinano anche l’assoluzione condizionata dall’eresia. — L’accusa dei peccati può anche precedere il battesimo condizionato, affinché il convertito venga meglio disposto al pentimento; ma l’assoluzione condizionata dei peccati deve seguire il battesimo. Poiché, però, un convertito sovente non si confessa dal sacerdote che lo battezza, quest’ordine di cose sarà spesso impossibile.

β) Se non è necessario il battesimo, dopo la professione di fede segue prima in foro esterno l’assoluzione dalla scomunica incorsa, poi la confessione sacramentale.

L’assoluzione dalla scomunica per causa dell’eresia data in foro esterno, vale anche per il foro interno (can. 2251). – Se il formulario non è contenuto nel Rituale diocesano, di solito viene trasmesso dalla Curia vescovile. — Per la validità del resto non è prescritta formula alcuna determinata. Chi non ha compiuto il 14° anno d’età, non è incorso nella censura, e perciò non ha bisogno di esserne assolto.

e) Dopo l’accettazione, un adulto ha da assistere subito alla Messa e in essa comunicarsi, eccetto che vi si oppongano gravi e urgenti motivi (can. 735, § 2 ) . L’espressione « subito » può essere presa moralmente. Un motivo ragionevole basta, affinché la cosa non debba avvenire immediatamente. — Poi, a tempo stabilito, segue la cresima. In caso di matrimoni divenuti per tal modo interamente cattolici, si potrebbe anche riprendere la benedizione nuziale e la « Missa pro sponsis ».

— In pericolo di morte, quando la cosa urge, basta registrare su protocollo, possibilmente dinanzi a due testimoni, la petizione di ammissione nella Chiesa; a ciò segue la professione di fede, la quale si può ottenere facendo opportune domande. — Ogni sacerdote ha la facoltà di assolvere in pericolo di morte da ogni censura e peccato (cfr. n. 433, 587). Per evitare difficoltà, in caso di sepoltura, si comunica la conversione al ministro acattolico (cosa che più opportunamente faranno i parenti). In fine si manda alla Curia vescovile una accurata relazione di tutto.

 

Omelia della Domenica VI dopo Epifania (rec.)

Omelia della Domenica VI dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XIII, 31-35)

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La Santa Chiesa.

Il regno dei cieli è simile ad un grano di senapa, che sebbene fra i semi ordinari, pure seminato in buon terreno, massime nella fertile regione della Palestina, spunta in germoglio, cresce in albero, si estende in rami sì robusti e frondosi, che volano ad abitarvi gli uccelli dell’aria. “Simile est regnun coelorum grano sinapis … quod minimum est omnibus seminibus”, con quel che segue nell’odierno Vangelo. Or perché mai al grano più picciolo viene paragonato il regno de’ cieli? E che va inteso per regno de’cieli? “Regnum coelorum”, risponde il magno Gregorio, “praesentis temporis Ecclesia dicitur” (Hom. 11 in Evang.), regno de’ cieli, si chiama la Chiesa da Gesù Cristo fondata nel tempo presente, e che durerà fino alla consumazione dei secoli: e si paragona ad un piccolo granello di senapa cresciuto in una gran pianta, per significare l’umile principio, e poscia l’ingrandimento della medesima Chiesa. L’umile principio della Chiesa nascente fa vedere la mano di Dio, che la fondò: l’esaltamento della Chiesa in ogni tempo fa conoscere la mano dì Dio, che la difese. Due riflessioni, signori amatissimi, su cui penso intrattenere la vostra pietà. Si tratta di un argomento in cui vedremo le divine qualità che caratterizzano la Chiesa nostra madre per vera sposa di Gesù Cristo, da Lui fondata, da Lui difesa: argomento interessante, che tutto deve richiamare l’attenzione de’ veri suoi figliuoli.

I . La difficoltà dell’opera, la debolezza dei mezzi fan conoscere quanto umile, quanto abbietto, secondo le umane vedute, fosse il principio della Chiesa nascente, e quanto la mano di Dio vi risplendé. – Viene Gesù Cristo al mondo, e si propone ed annunzia un disegno il più strano, il più inaudito. In tutta la terra regna l’idolatria. Le passioni più vergognose, i vizi più abominevoli sono autorizzati dal culto superstizioso di falsi dèi, infetti anch’essi, e celebri per ogni sorta d’iniquità. Gesù Cristo altamente dichiara esser venuto a rovesciar ogni idolo, ed atterrar ogni tempio a loro consacrato: esser venuto a confondere la scienza de’ filosofi, la superbia dei grandi, gli errori di tutti: esser venuto ad abolire le superstizioni, a togliere i vizi, a riformare i costumi, ed a piegar tutti i popoli ad una nuova credenza, e riunirli sotto una medesima legge. In formar questo disegno non ignora nulla esservi di più difficile, che il cambiamento di religione, e allora più, quando una religione radicata da secoli, una religione comoda, confacente alla corrotta natura, che, lungi dall’opporsi, autorizza e consacra le più vili passioni, e le più sfrenate dissolutezze. Tutto sa, tutto prevede, e a vista di tanti ostacoli non si arresta dal concepito disegno. – Convien dire, o essere impossibile la riuscita, o Colui che la si promette, abbia in mano dei mezzi straordinari, possenti, da sperarne felice succedimento. Appunto, i mezzi sono in sua mano; ma oh quanto diversi da quel che l’umana sapienza avrebbe creduto adoperare! I mezzi più disadatti, più contrari all’intento furono gli scelti da Gesù Cristo. Nato egli in un angolo della Giudea in una capanna da povera Madre, reputato figlio di un fabbro, dimorante fino ai trenta anni in una vile bottega, esce dalla sua vita nascosta per cominciar la grand’opera della riforma del mondo. Chiama in aiuto all’ardua impresa dodici plebei senza credito, senza scienza, dodici poveri pescatori, e lor fa intendere che nel seguirlo non cesseranno di esser poveri; che anzi, se voglion essere suoi discepoli, dovranno rinunziare per fin la speranza di ogni bene terreno. Lungi dall’allietarli con qualche umana promessa, si spiega loro chiaramente, che altro non potranno aspettarsi, che persecuzioni, catene, tormenti e morte. Sono ben dolci e lusinghiere siffatte promesse! e pure si uniscono a Lui questi uomini, e fedelmente lo seguono fino alla morte. – Muore Gesù, e colla morte dell’autore doveva naturalmente perire un’opera cominciata da sì pochi anni, sì poco avanzata, e sostenuta sì poco. Muore Gesù, e di qual morte? Muore come un seduttore, come uno scellerato, ed è sepolto. – Chi non direbbe che il suo gran progetto è insieme con Lui seppellito. Così all’umana vista doveva comparire, così si lusingava la perfida Sinagoga; ma no, il grano della senapa sepolto sotterra spunterà fra poco, e crescerà in pianta perfetta. I dodici pescatori rivestiti di una virtù che viene dall’alto, e di una forza invincibile alzanp la voce nelle piazze di Gerosolima, nelle contrade della Giudea e della Samaria, si spargono in tutte le parti dell’universo, predicano Gesù Cristo crocefisso e risorto, confermano coi miracoli la verità del suo risorgimento, la divinità di sua Persona, la purità di sua dottrina ed ecco la faccia della terra tutta cangiata. La luce del Vangelo ha aperto gli occhi alle nazioni sedenti in tenebre ed ombre di morte. La pagana superstizione fugge come la notte allo spuntar del sole, gl’idoli sono infranti, i templi sono distrutti, i vizi sbanditi, i costumi riformati, la Cristiana Religione riconosciuta la vera, il suo Fondatore adorato, la sua Croce esaltata, e dal luogo de’ supplizi passata ad ornare la corona e la fronte dei re e degl’imperatori. “A locis suppliciorum ad frontes imperatorum” (S. Agost. In Ps. XXXVI, ver. 2). – Or io domando, chi ha cambiato l’umano intelletto, chi l’à fatto piegare a credere dogmi inauditi, dogmi che sembrano rivoltare l’umana ragione? Chi ha cambiato il cuor dell’uomo corrotto dalle più sozze passioni, e gli ha fatto abbracciare una Religione sì severa, che esige la più grande purezza di opere, di affetti e di pensieri? Che proibisce uno sguardo men puro, un desiderio men retto? La mano di Dio, che nella elezione degli Apostoli ha impiegati i mezzi più deboli, più inetti, ma resi idonei e forti nella possente sua grazia a propagare e stabilir la sua fede, e a suggellarne la testimonianza col proprio sangue: la mano di Dio, che per tal mezzi ha voluto stampare in fronte alla sua Chiesa i più luminosi caratteri della verità. Ed ecco la pianta della Chiesa, nata da sì picciolo seme, che ha estesi i suoi rami dall’uno all’altro confine del conosciuto mondo. Ed oh su questi rami, quanti dal gentilesimo, quanti dall’ebraismo sono volati! Quanti eroi della fede vi han posta loro dimora, quanti fiori di martiri hanno abbellita pianta sì degna, quanti fiori di vergini l’anno adornata, quanti frutti di santi dottori, di confessori, di pontefici l’hanno arricchita! È vero che questa pianta dalle persecuzioni de’ tiranni, dall’odio de’ pagani, dal furore degli eretici, come da tanti turbini è stata in ogni tempo agitata e sconvolta; ma quel Dio che la piantò, quel Dio a cui ubbidiscono il mare e i venti e le procelle, ha sempre stesa la sua mano a difenderla, per modo che le porte di averno mai prevalessero ad atterrarla; anzi, geloso dell’onor della sua Sposa, scaricò in tutti i tempi con esemplare vendetta i colpi tremendi della sua destra sopra chiunque ardì di farli oltraggio. Aprite le storie, saggi ascoltanti, e vedrete l’esaltazione della Chiesa nella depressione dei suoi nemici, nemici i più potenti del secolo, gli imperatori idolatri. Ed è ben giusto a gloria della nostra madre rammentare i castighi di chi l’oltraggiò. – Nerone (Tacit. Sveton. Eutrop.), il cui solo nome presenta un’idea della più mostruosa crudeltà, il primo e forse il pessimo fra i persecutori della fede di Cristo, venuto in odio al senato, al popolo romano, al mondo tutto, cercato a morte, fugge travestito, e per non cader nelle mani di quei che l’inseguono, da se stesso si uccide. Non poteva trovare miglior carnefice. Domiziano (Sveton. Philostr.) anch’esso da tutti odiato per la sua barbarie, più non si soffre sul trono, e vien ucciso. Ne esulta il senato romano, e fa gettar a terra le sue statue, e cancellare dovunque ogni sua memoria: il suo cadavere si lascia in man de’ becchini, che lo sotterrano con contumelie a foggia d’infame gladiatore. Ascrive Massimino (Victor. Iul. Capitolin. et alii) ai cristiani la cagione de’ fulmini, de’ tremuoti e di tutte le disavventure dell’impero, e ne fa strage; e strage fanno di lui e di suo figlio i suoi soldati. Le loro teste son poste sulla punta di un’asta, i loro corpi gettati alle fiere. Si accende d’ira Decio (Sextus Aurelius) ed infierisce contro la religione cristiana in vederla tanto più dilatata, quanto più oppressa; e in una battaglia contro i Goti spinge il cavallo in una palude, vi resta sommerso, e più non se ne trova il cadavere. Valeriano (Costant. Magnus in orat. ad s. coetum c. 24) quanto zelatore dei culto dei falsi dèi, tanto nemico di quello di Cristo, dopo tre anni di fiera persecuzione, vinto in guerra, cade in potere di Sàpore re dei Persiani, che per avvilirlo all’estremo si serve della sua schiena ogni volta che monta a cavallo. – Sparse Aureliano (Voscus et Eusebius in Chron. Costant. ut supra) a torrenti il sangue dei fedeli; e del suo sangue si videro sparse le strade, trucidato dai suoi familiari. Chiuso da stretto assedio nella città di Marsiglia l’empio e sanguinolento Massimiano Erculeo (ibid.), disperato si sospende ad un laccio. Sotto l’impero del crudelissimo Diocleziano (Victor apud Baonium) in un sol mese si miete la vita di sette mila martiri, ed egli in vedere per tanta strage aumentarsi vie più il numero dei cristiani, divorato da diabolico livore, ha in odio la vita e se la toglie con potente veleno. Che diremo finalmente dell’apostata Giuliano? (Theodoretus lib. 4 hist. c. 25) Quest’empio restauratore del paganesimo, protettore degli ebrei da lui animati a riedificare Gerusalemme per render vana la profezia di Gesù Cristo, dopo lunga tirannia si protesta voler distruggere dai fondamenti la chiesa santa di Dio; ma nella guerra contro i Persiani, dalla prima saetta scoccata a colpo incerto, vien trafitto nel petto e nel polmone, e preso un pugno del proprio sangue, gettandolo verso il cielo, confessa esser vinto da Cristo, che per insulto chiamava il Galileo, “Galilee, vicisti”. – Vani furono dunque gli sforzi delle potestà d’ogni secolo contro l’opera del Signore. Perirono, e periranno i nemici della religione e della Chiesa, come fumo in faccia al vento: essa non perirà giammai. Della sua stabilità tien solenne promessa dall’infallibile verità del divino suo Capo. La religione cristiana porta in volto caratteri così sensibili e luminosi della protezione dell’Altissimo, che bisogna esser ciechi per non conoscerli. Se questo edificio fosse stato fabbricato sull’arena, in forza cioè d’umane opinioni e raggiri, come avrebbe potuto tenersi saldo all’impeto furibondo di tanti turbini, che da ogni lato l’hanno spinto colla maggior violenza di cui è capace l’odio, il furore, la nequizia, la prepotente empietà! Se la religione, disse già sensatamente Gamaliele, dottor della legge, ai capi dell’ebraismo radunati in concilio, se la religione che predicano questi scalzi pescatori, è opera d’uomini, e fanatismo di mente alterata, svanirà fra pochi dì da sé stessa. Se ella è opera di Dio, i vostri ostacoli per impedirla non serviranno che a promuoverla. Così avvenne, e così avverrà sino alla consumazione de’ secoli. Le opinioni degl’increduli, i sofismi degli atei, dei deisti, dei sedicenti filosofi, saranno in ogni tempo come i flutti d’un mare spumoso che si rompono a piè di scoglio saldissimo; saranno come le acque del diluvio portanti in alto l’arca di Noè; saranno come venti e tempeste, che possono bensì agitare la navicella di Pietro, ma non hanno forza di sommergerla. Dorme talora, e par che dorma Gesù; e l’empietà per qualche tempo minaccia naufragio, ma poi si sveglia, e ad un suo cenno tacciono i venti, svanisce la procella, ed il protetto naviglio galleggia sull’umiliato mare. E un prodigio di tal natura, manifesto, stupendo non l’han veduto gli occhi nostri? Rammentiamolo così di volo, fedeli amatissimi, a gloria di Dio e della sua Chiesa. Spogliata questa del temporale suo regno, fatto prigioniero il suo Gerarca, minacciata di guai sempre nuovi e sempre peggiori, oltre ogni umana speranza, l’abbiamo veduta deporre le vesti di lutto, e rivestirsi degli abiti di giocondità e di letizia. Motivi per noi, uditori miei, di stima, di attaccamento, di fedeltà, d’ubbidienza alla nostra Madre la Chiesa santa, di cui siam figli, Chiesa ora militante, soggetta a guerra, ma sempre vincitrice, e poi trionfante nel regno eterno nel divino suo sposo.

SAN MARTINO I PAPA E MARTIRE

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SAN MARTINO I PAPA E MARTIRE

12 NOVEMBRE.

[da: I Santi per ogni giorno dell’anno, Soc. S. Paolo, 1933 –imprim.-]

Certamente la vita di questo martire del dovere, il quale con ammirabile eroismo bevette fino all’ultima stilla il calice delle continue amarezze perla difesa della Chiesa, dovette apparir grande ai suoi contemporanei! Martino nacque a Todi nell’Umbria e studiò a Roma, ove si rese celebre pel suo sapere non meno che per le sue rare doti e virtù. Era appena stato consacrato Sacerdote quando Papa Teodoro lo mandò come suo nunzio a Costantinopoli per tentare il richiamo dei Monoteliti all’unità della Fede. Ma morto pochi anni dopo il Papa (649), Martino fu richiamato a Roma a succedergli. Si portò egli sulla Sede Apostolica col dolore di aver lasciato l’Oriente in preda alle eresie ed alle più gravi ribellioni. Onde, per prima cosa, convocò un Concilio Lateranense, dove espose al venerando consesso le tristi situazioni e condannò gli eresiarchi principali: il Patriarca Sergio, Paolo e Pirro assieme all’editto dell’Imperatore Costante che tollerava i disordini, e per di più mandò un suo Vicario a Costantinopoli. – I monoteliti anziché sottomettersi, s’accesero maggiormente di rabbia e tosto inviarono a Roma l’esarca Olimpio, con disegno di uccidere il Pontefice, o almeno di impadronirsi della sua persona. – Non avendo, per palese miracolo, potuto consumare la loro congiura, ricorsero a mezzi ancor più diabolici, aggravando il S. Pontefice di mostruose calunnie presso l’Imperatore, il quale, già infetto di eresia, fu spinto ad assecondare i loro empi disegni. – Spedì tosto una seconda armata e parte colla violenza, parte colla calunnia, mentre che Vescovi e Clero gridavano: « Noi vivremo e morremo con lui », i nuovi giudei riuscirono a legarlo, e nella stessa notte 8 Giugno del 654, imbarcarlo per Costantinopoli. – Colà giunto, dopo lungo e dolorosissimo viaggio fra privazioni e crudeli trattamenti, il S. Pontefice provò con irrefragabili ragioni la sua innocenza; ma indarno. – Costante tentò costringerlo a sottoscrivere gli editti già da lui stesso solennemente condannati, ma il Papa disprezzando la minacce, l’esilio e la morte stessa, rispose: « Non possumus ». Allora fu dai magistrati vilmente spogliato delle insegne pontificie, incatenato ed esposto all’infamia per le vie della città, mentre i fedeli gemevano e struggevansi in lacrime. Fu così messo in prigione per alcuni mesi, finché il 10 marzo del 655 venne deportato definitivamente in Crimea, per attendervi l’esecuzione della sentenza. – Di là il S. Pontefice scriveva: « Vivo fra le angosce dell’esilio, spogliato di tutto, lontano dalla mia Sede; sostento il fragile mio corpo di duro pane, ma nulla più mi curo delle terrene cose. Prego continuamente Iddio che per intercessione dei SS. Pietro e Paolo, tutti rimangano nella vera fede. Confido nella divina misericordia che chiuderà presto la mia mortai carriera… ». Il Signore esaudì la preghiera del S. Pontefice e morì martire del dovere per la difesa della giustizia e della verità il 16 settembre del 655, dopo 6 anni di dolorosissimo pontificato. Il suo corpo, venne sepolto provvisoriamente in una cappella della B. Vergine, e poco dopo trasferito a Roma, presso la Basilica di S. Martino di Tours.

PRATICA. — Le sofferenze di questa vita, sopportate con pazienza, sono aumento di merito per la vita eterna. Preghiamo per quelli che sono più perseguitati e tribolati.

PREGHIERA. — Dio, che ci allieti ogni anno con la solennità del tuo beato Martino Papa e Martire; concedi, propizio che mentre ne celebriamo il natalizio, ci rallegriamo ancora della sua protezione. Così sia.

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Anche noi, come il Sommo Pontefice Martino I, gridiamo quest’oggi: “NON POSSUMUS”: accettare gli insulti alla Chiesa di Cristo, gli obbrobri del novus ordo, l’ipocrisia di tanti falsi e blasfemi prelati, la fede svuotata di tutti i contenuti soprannaturali, l’usurpazione della Cattedra di Pietro e delle diocesi, la cancellazione del Sacrificio della Croce offerto al Padre per i nostri peccati e la sua sostituzione con il falso rito offerto a lucifero, il massonico signore dell’universo, la forzata spinta finale a precipitare nel lago di fuoco di tantissime anime che Cristo ha riscattato dalla eterna morte a prezzo del suo sangue. No, “non possumus”, ed in questa situazione di esilio della vera Gerarchia cattolica e del Santo Padre GREGORIO XVIII, come già fu per il suo predecessore, Gregorio XVII card. Siri, analoga a quella di S. Martino I, i cattolici si uniscano in un solo coro, come coloro che sostenevano a suo tempo il Papa esiliato: « Noi vivremo e morremo con lui »! Intanto preghiamo anche per gli apostati adepti del novus ordo, perché ritornino alla vera fede cattolica, ed innalzino alla Santissima Trinità il canto del salmo LXIII: l’ “Exaudi, Deus” … con il finale “laetabitur justus in Domino”!

Psalmus LXIII

Exáudi, Deus, oratiónem meam cum déprecor: * a timóre inimíci éripe ánimam meam. – Protexísti me a convéntu malignántium: * a multitúdine operántium iniquitátem.  – Quia exacuérunt ut gládium linguas suas: * intendérunt arcum rem amáram, ut sagíttent in occúltis immaculátum. – Súbito sagittábunt eum, et non timébunt: * firmavérunt sibi sermónem nequam.  – Narravérunt ut abscónderent láqueos: * dixérunt: Quis vidébit eos?  – Scrutáti sunt iniquitátes: * defecérunt scrutántes scrutínio. –  Accédet homo ad cor altum: * et exaltábitur Deus.  – Sagíttæ parvulórum factæ sunt plagæ eórum: * et infirmátæ sunt contra eos linguæ eórum. – Conturbáti sunt omnes qui vidébant eos: * et tímuit omnis homo. –  Et annuntiavérunt ópera Dei, * et facta ejus intellexérunt. – Lætábitur justus in Dómino, et sperábit in eo, * et laudabúntur omnes recti corde.
[Esaudisci, o Dio, la mia preghiera, quando t’invoco; * dal timore del nemico libera l’anima mia. – Tu mi hai protetto dalla cospirazione dei maligni: * dalla moltitudine di quelli che operano l’iniquità. – Perché affilarono come spade le loro lingue: * tesero il loro arco, amara cosa, per saettare nell’oscurità l’innocente. – Lo saetteranno all’improvviso, e non temeranno: * si sono confermati nel perverso disegno. – Presero consiglio per nascondere i loro lacci; e dissero: * Chi li scoprirà? – Escogitarono iniquità; * gli indagatori vennero meno nelle ricerche. – L’uomo scenderà nel fondo del suo cuore: * ma Dio sarà esaltato. – Le ferite, che essi fanno, sono frecce di fanciulli: * e le loro lingue sono rimaste senza forza, voltatesi a loro danno. – Tutti quelli che li vedevano furono turbati, * ed ogni uomo fu preso da timore. – E annunziarono le opere di Dio, * e compresero le cose da lui fatte. – Il giusto si rallegrerà nel Signore, e spererà in lui; * e tutti i retti di cuore saranno lodati.]

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 15-17]

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[J.-J. Gaume: Il segno della croce, lett. 15-17]

LETTERA DECIMAQUINTA.

10 dicembre.

Se tu mostrerai l’ultima mia lettera ai tuoi compagni, è ben facile, mio caro, ch’eglino ti dicano : Se il segno della croce è si potente, come vi si scrive, perché non opera più quello che ha fatto? A siffatta questione v’hanno varie risposte. La è di S. Agostino la prima. Parlando de’ miracoli il santo fa una giustissima osservazione. I miracoli raccontati da libri santi hanno una grande pubblicità; tutti, che leggono le scritture, o le sentono, ne hanno contezza, e doveva essere a questo modo, perché sono le prove della fede. Al presente ancora v’hanno de’miracoli fatti in nome del Signore per lo mezzo de’ Sacramenti, e delle preghiere indirizzate a’ Santi, ma non hanno la stessa notorietà, si conoscono là solamente dove accadono, e se la città è grande, restano ancora ignoti ad un buon numero di abitanti, ed alle fiate, un piccolissimo numero di cittadini ne ha contezza. E quando questi miracoli sono raccontati ad altri, scemano nella certezza, non essendo tale l’autorità che li racconta, che li si ammettano senza difficoltà, tuttavolta siano dei cristiani, che ad altri cristiani li raccontino (De Civ. Dei, lib. XVII, c. 8). In prova di che il santo racconta varii miracoli, di che egli era stato testimone, de’ quali, qualcuno operato dal segno della croce. Il perché, dalla ignoranza che i tuoi compagni, o altri, possano avere de’ miracoli, che hanno luogo presentemente, non è da negare la esistenza di essi. – A questa prima risposta è da aggiungere un’altra. Dessa è di un gran dottore, il Papa S. Gregorio (Hom. XXIX in Evang. post init.).. Distinguendo egli gli antichi da’ moderni tempi, dice : “I miracoli al cominciar della Chiesa furono necessari; per essi la fede doveva stabilirsi. Quando affidiamo alla terra una pianta dobbiamo innaffiarla, perché prenda radici, e quando ne siamo certi noi desistiamo dal farlo, ed ecco ragione perché l’Apostolo dica: Il dono della lingua è vero segno non per i fedeli, ma per gl’infedeli » (Homil. XXIX in Evang). La coltura morale si assomiglia alla fisica. Di presente che il cristianesimo ha preso radici nelle viscere del mondo, nella coscienza umana, i miracoli non sono più necessari a quella maniera che lo erano al principio della divina piantagione. Da poi che il mondo crede, diceva S. Agostino, sono scorsi quindici secoli; colui, che per credere domandasse ancora miracoli, sarebbe egli stesso un prodigio, che nel mezzo di un mondo che crede, è solo a miscredere (S. Aug. ubi supra). – Ma dato ancora, ciò, che non ammettiamo, che il segno della croce non operi più miracoli, non mostra forse il suo potere sovraumano a ciascuna ora del giorno e della notte, ed in tutti i luoghi della terra? Se tu supponi cento milioni di tentazioni in un giorno, abbi per fermo, che tre quarti di esse sono dissipate dal segno della croce: chi non ne ha fatto l’esperimento? Sii di ciò sicuro; e, ricordando che quanto da te vien fatto, è ripetuto dagli altri, tu potrai valutare la potenza permanente, ed universale del segno liberatore. – Concedo ancora di più, ed ammetto che il segno della croce non riesca sempre a scacciare gì’ immondi pensieri, a dissipare gl’incanti seduttori, a ritener l’anima sul pendio della colpa ; ma di chi n’ è la colpa? Non n’è forse la poca fede dei cristiani? Non è forse da dire della inefficacia di questo segno, quanto a ragione dicesi della inutilità della comunione per un gran numero? Il difetto non è da porre in quel che si riceve, ma nelle disposizioni di chi lo mangia: defectus non in cibo est, sed in edentis dispositione? Per guarire una tale mancanza di fede, che impoverisce e rovina i «cristiani, ho intrapreso questa nostra corrispondenza, e continuando svolgerò un nuovo titolo , che il segno della croce ha alla fiducia de’ cristiani del secolo decimonono. – Soldati, il segno della croce è un’arma, che dissipa l’inimico! Sono già tremila anni che Giobbe definì la vita una lotta continua: “Militia est vita hominis super terram”. I secoli sono scorsi, le generazioni hanno succeduto ad altre generazioni, gl’imperi han dato luogo ad altri imperi; venti volte l’umanità s’è rinnovata, e la definizione di Giobbe è sempre vera. La vita è una lotta! Lotta continua per te, come per me, per i tuoi compagni, per tutti gli uomini. Lotta, il cui cominciamento è alla culla per finire alla tomba; lotta, che dura in lutti gl’istanti della notte e del giorno, sia che l’infermità ci appeni, o che la sanità ci conforti. Lotta decisiva, che dalla vittoria, o dalla disfatta dipende non la fortuna, o la sanità, non i temporali vantaggi sì grandemente da noi stimali, ma ben altro, che a dismisura tutte queste passeggere cose avanza; poiché, è da essa che una eternità felice, o una eternità di pene trae la origine sua! Ecco, mio caro amico, la condizione dell’uomo sulla terra: noi non possiamo mutarla. Chi sono i nemici dell’uomo? Ahimè! e chi può ignorarli di nome e per attacchi sofferti? Il demonio, la carne, il mondo; sono tre formidabili potenze, che agognano la nostra perdita. Non ho in pensiero farti un corso completo d’ascetismo, epperò parlerotti della sola prima. – Come è certo che v’ha un Dio, è certo che v’hanno dei demoni. « Se non v’è satana, non c’è Dio », diceva Voltaire; ed a ragione. Se non v’è satana, non v’è colpa; se non v’è colpa, non v’ha redenzione; se non redenzione, non esiste cristianesimo; se non v’ha cristianesimo, tutto è falso: il genere umano è pazzo, e Dio non esiste! – Ora i demoni sono degli angeli prevaricatori, i quali per intelligenza, forza, ed agilità sorpassano l’uomo, e sono per numero incalcolabili. Fino all’estremo giudizio soggiornano nell’inferno, e nell’atmosfera, che ci circonda, dove invidiosi dei figli di Adamo chiamati alla felicità da essi perduta, si studiano con ogni mezzo di arreticarci. Fomentano in noi le passioni; ci creano d’intorno de’ pericoli, oscurano in noi l’occhio della fede, travolgono il senso morale, soffocano i rimorsi, ci rendono complici di loro rivolta per averci compagni de’ loro supplizi. Tutte queste verità, lo ripeto, sono certe al pari della esistenza di Dio. Tiranni dell’uomo per lo peccato, i demonii lo sono di tutte le creature sottoposte all’uomo; vinto il re, il suo regno appartiene al vincitore. Sparsi in tutte le parti del creato, ed in ciascuna creatura, le penetrano con le loro maligne influenze. Tra i limiti del potere, che loro da Dio viene accordato, essi ne formano strumento a disfogare il loro odio contro l’uomo, contro la sua anima ed il corpo. È questo ancora un dogma di fede universale. Che cosa mai conosce chi ciò ignora? Niente. Chi ne dubita? meno che niente. Quegli che lo miscrede non merita d’essere fra gli uomini ragionevoli. – Esistendo la lotta, ed essendo l’uomo tale qual’egli è, potrai tu concepire che la saggezza divina abbia lasciato il genere umano senza difesa? Come non comprendere il contrario con la stessa evidenza, che due e due fanno quattro, che, per equilibrare la lotta, Dio ha dovuto dare all’uomo un’arma potente, universale, alla portata di tutti? Qual è quest’arma? Interroghiamo tutti i secoli, ed in principal modo i cristiani, questi con grido unanime risponderanno: È il segno della croce! L’uso costante da essi fattone ribadisce la loro risposta. Questo punto di vista illumina la storia di questo segno adorabile, ne mostra la ragione, giustifica altamente la condotta «de’ primi cristiani, e condanna parimenti la nostra. – Nulla è a pezza più certo dell’essere il segno della croce arma di precisione contro satana e suoi angeli. Dimmi: quando è da provare la forza di un cannone, di una carabina, o di qualsiasi arma nuovamente formata, in qual maniera si procede? Non si aggiusta mica alla cieca fede all’inventore, ma l’autorità forma una commissione, che alla presenza di giudici competenti fa saggio di essa, e dietro ripetute esperienze porta giudizio sul merito dello strumento guerresco al suo esame commesso. Non sia altrimenti per lo segno della croce. Ma ricorda solo, che questo segno divino non è testé formato; desso è di vecchia data, e vecchissima, ma non rugginosa, né indebolita, né fuori servizio. Il giuri poi dell’esame è formato da lungo tempo, e non lascia nulla a desiderare. Desso è composto di uomini competenti dell’Oriente e dell’Occidente; uomini della specialità, che da lungo tempo conoscono 1’arma in questione, ed il mestiere delle armi non solo in teoria, ma altresì praticamente. Ecco il tribunale, ascoltane il giudizio. – Crede egli alla potenza del segno della croce, ed alla forza di quest’arma divina contro i demoni, un giudice che siffattamente parla? « Non ti colga uscir da casa tua senza fare il segno della croce; desso sarà per te bastone ed armatura inespugnabile: né uomo, né demonio oserà attaccarti, al vederti ricoperto di siffatta armatura, ed essa insegnerà a te stesso dover essere un soldato sollecito alla pugna contro satana, e guerreggiare per la corona di giustizia. Ignori forse l’operato dalla croce? La morte è stata vinta, il peccato distrutto, satana detronizzato, l’universo tornato a nuova vita; e dubiterai tu della potenza sua? ». Vi crede questo secondo giudice, che in questi termini si esprime : « Il segno della croce è l’armatura invincibile de’ cristiani. Soldato di Cristo, una tale armatura non ti abbandoni giammai né di giorno, né di notte, in nessun tempo, ed in nessun luogo. Sia che tu dorma o vegli, che viaggi o riposi, che tu mangi o beva, che attraversi i mari od i fiumi, sii tu sempre coperto di questa corazza. Orna pure e proteggi le tue membra con questo segno vincitore, nulla ti potrà nuocere; non v’ha difesa simile ad esso per potere. A vista di questo segno le infernali potenze spaventate, tremano, e prendono la fuga » [“Armemur insuperabili bac christianorum armatura hac te lorica circumtege, membraque tua omnia salutari signo extorna atque circumsepi, et non accèdent ad te mala Sunt enim vehementer contraria talis inimici. Hoc signo conspecto adversariae potestates conterritae, trementesque recedunt”. (S. Epbrem, De Panoplia et de poenitentia, apud Gretzer. p. 580, 581, et 642)]. – Vi crede, questo terzo giudice, che indirizza a’cristiani, e a sé stesso il seguente discorso: Facciamo arditamente il segno della croce. Quando i demoni lo vedono, si ricordano del Crocifisso, prendono la fuga e ne lasciano tranquilli” [“Hoc signum ostendamus audacter: quando enim demone crucem viderint, recordantur Crucifixi effugat daemones, déclinant, recedunt”. -S Cyril. Hierosol. Cathec. XIII)]. E questo quarto? « Innalziamo sulle nostre fronti l’immortale stendardo; la sua vista fa tremare i demonii, che non temono i campidogli dorati, ed hanno paura della croce » [“Immortale vexillum portemus in frontibus nostris, quod, eum daemones viderint, contremiscent; qui aurata capitolia non timent, crucem timent.” ( Origen., homil. VII in divers. Evangel locis)].Così giudica l’Oriente per l’organo de’ suoi illustri uomini S. Grisostomo, S. Efrem, S. Cirillo di Gerusalemme, ed Origine, cui sarebbe facile aggiungere altri nomi meritevoli di eguale rispetto. – Ascoltiamo l’Occidente. S. Agostino diceva ai catecumeni: « Col simbolo, e con la croce è da muovere alla battaglia contro l’inimico. Il cristiano rivestito di queste armi trionferà senza pena alcuna del suo antico e superbo tiranno. La croce basta a fare svanire tutte le macchinazioni degli spiriti delle tenebre » [“Noverint cum symboli sacramento, et crucis vexillo ei debere occurri, ut lalibus armis indutus, facile vincat christianus, de cuius oppressione male antea triumpbarverat nequissimus.” ( S. August. Lib. de symbol., c. 1)]. – Ed il suo illustre contemporaneo S. Girolamo: « Il segno della croce è scudo, che ci difende contro le infiammate frecce di satana » [“Scutum fidei in quo ignitae diaboli extinguuntur sagittae”-S.Hieron. Ep. XVIII ad Eustoch.]. Ed altrove: « Fate frequentemente il segno della croce sulla vostra fronte, onde non lasciar alcuna presa allo sterminatore dell’Egitto » [“Crebro signáculo crucis munias frontem tuam, ne exterminator Aegypti in te locum reperiat” – (Idem, Ep.XCVII ad Demetriad.)]. E Lattanzio: « Perchè si conosca tutta la potenza del segno della croce, è da considerare quanto di esso s’impauri satana. Scongiurato nel nome di Cristo, questo segno lo scaccia dai posseduti da lui. Non v’ha da meravigliarne; quando il figlio di Dio era sulla terra, con una parola sola metteva in fuga satana, tornando il riposo e la sanità alle vittime di lui: ora i suoi discepoli scacciano gli stessi spiriti immondi in nome del loro Maestro, e col segno della sua passione » [“…Ita nunc si’ctatores eius ensdeni spirtus inquinatos, de hominibus et nomine magistri sui et signo passionis exciudunt”. – (Lactant. lib. IV, c. 27)]. – L’Oriente e l’Occidente hanno parlato. I giudici i più competenti, che immaginar si possa, hanno dichiarato il segno della croce arma, ed arma di precisione contro satana. Innumerevoli esperienze servono di base al loro giudizio, che ne’ primi secoli della Chiesa avevano luogo tutto giorno al cospetto de’ cristiani e pagani su tutta la terra. Ed erano sì convincenti, da dire, il grande Atanasio, testimone oculare, senza temere di essere smentito: « Per lo segno della croce tutti gli artifizii della magia sono impotenti, gl’idoli abbandonati. Per esso la voluttà per quanto sbrigliata sia e brutale, è moderata, le anime invilite ed infangate in essa sono rilevate dalla terra ed indirizzate al cielo. In altri tempi il demonio ad ingannare l’uomo prendeva diverse forme, e tenendosi sul margine de’ fiumi, ne’ boschi e sui monti sorprendeva con i suoi prestigi gli uomini insensati: ma, di poi la venuta del Verbo questi artifizii sono impotenti; avvignacene il segno della croce discopre tutte le sataniche furberie. Se alcuno volesse farne sperimento, basterebbe solo condursi nel mezzo de’ prestigi satanici, degli oracoli ingannatori, de’ miracoli della magia, e fatto quivi il segno della croce, invocando il nome del Signore, vedrebbe che per paura di questo sacro segno i demoni fuggono, gli oracoli si ammutoliscono, e le malefiche arti tornano impotenti » “. . . Signo crucis omnia magica compescuntur, veneficia inefficacia flunt, idola universa relinquuntur”. (S. Athan. Lib. de Incarnat. Verbi)]. – Io voglio citarti qualcuna di queste esperienze. Il precettore del figlio di Costantino, Lattanzio, che sapeva delle cose della corte imperiale più che ogni altro il potesse, raccontò: « Lungo il soggiorno di Oriente, l’imperatore Massimino, curiosissimo di sapere i segreti dell’avvenire, immolava un giorno delle vittime per sapere, per lo mezzo delle loro viscere, le cose future. Qualcuna delle sue guardie cristiane fece il segno immortale, immortale signum, e tosto i demoni si salvono, il sacrificio nulla predice ». Se, a vista di questo segno, satana è costretto abbandonare i proprii tempi, come potrà restare negli altri luoghi? Ascoltiamo uno de’ più gravi dottori dell’Oriente, ed illustre storico, S. Gregorio Nisseno, che scrivendo di S. Gregorio il Taumaturgo, chiamato il Mose dell’Armenia, cosi racconta: « Troade, diacono di Gregorio, arriva sul far della sera a Neocesarea stanco da un lungo viaggio, e per ristorare le sue forze crede utile bagnarsi, epperò egli si conduce ai bagni pubblici. Questo luogo era infestato da un demonio omicida, che ammazzava quanti ardissero entrarvi dopo il tramonto del sole, ed era questa la ragione, perché le porte si tenevano chiuse la notte. – Il diacono domanda che gli si disserrassero le porte; ma il custode a dissuaderlo diceva: In fede mia, chiunque ardisce entrare in quest’ora, non ne sorte sano, ma sì mal concio per battiture da non reggersi sui piedi. La notte il demonio scorazza in questo luogo, e ben molti hanno pagato la loro curiosità temeraria con grida di dolore, e con la morte. Il diacono sprezzava tutti questi racconti, ed insisteva per aver libera l’entrata. Più non reggendo a tante inchieste il custode, per salvare la propria vita, e soddisfare al volere del diacono, trovò questo mezzo: concede la chiave, e prende la fuga. Il diacono entra, e tosto che fu tutto solo, nella prima sala depone le vestimenta. Ad un tratto, d’ogni dove sorgono oggetti di spavento, ed orrore. Spettri d’ogni maniera, a metà fuoco e fumo, sotto forma or di bestie or di uomo, fischiano al suo orecchio, gli sbuffano in faccia il loro alito, e lo circondano come in un cerchio da non poter oltrepassare. Il diacono non si smarrisce; fa il segno della croce, invoca il nome di Dio, ed incolume traversa la prima sala. Entra quella del bagno: quivi spettacolo più orrendo gli si para dinanzi, a sorprenderlo, e mettergli paura. Trema la terra, le mura scricchiolano, il suolo si apre, e lascia vedere nel fondo una fornace, le cui faville ascendono sino al volto del diacono. Egli ricorre all’arma del segno della croce e del nome del Signore, e tutto dispare. Preso il bagno si affretta a sortire; ma un demonio gli sbarra il passaggio, e tiene la porta serrata. Le porte si disserrano da per sè, e la resistenza satanica è vinta dal segno della croce. Tosto che il diacono ebbe guadagnata l’uscita, un demonio con voce umana, humana voce, gli disse : Non voler punto attribuire a tuo potere lo aver scampata la morte, ma al potere di Colui, che invocasti. Il diacono Troade divenne oggetto di ammirazione non solo pel custode dei bagni, ma ancora per tutti, che seppero non avervi perduta la vita. [Vita di S. Greg. Inter opera Nysseni]. – Quanto leggi non è un fatto isolato, mio caro, ma è parte di un vasto insieme di fatti simili, confermali da mille testimoni, e che si riproducono oggidì presso i popoli idolatri. Lasciamo che parli Lattanzio. « Quando i pagani, egli scrive, sacrificano a’ loro dei, se qualcuno degli astanti fa il segno della croce, il sacrifizio non riesce, ed il consultato oracolo non dà responsi. Questa l’è una delle cause, che mossero gli imperatori a perseguitare i cristiani. Alcuni de’ nostri avi li accompagnavano ai sacrifizi, facevano il segno della croce ed i demoni messi in fuga non potevano produrre nelle viscere delle vittime i segni indicatori. Quando gli auspici si addavano di una tal cosa, aizzati da satana, cui erano venduti, non trasandavano di menar lamento, per la presenza di profani. I principi sdegnati perseguitarono a morte il cristianesimo, perché impediva loro d’insozzarsi con sacrilegi, di che si ebbero la meritata pena » [“Cum enim quidam nostrorum, sacrificantibus dominis assistèrent, imposito frontibus signo, deos eorum fugaverunt ne possent, in visceribus hostiarum futura depingere”. ( Lact. lib. X, c. 21)]. La mia prossima lettera ti conterà qualche altro fatto.

LETTERA DECIMASESTA.

11 dicembre.

La potenza del segno della croce deve estendersi al pari di quella di satana, mio caro Federico. L’usurpatore infernale si è impossessato di tutte le parti della creazione, ed il proprietario legittimo ha dovuto cacciarnelo, e dare a chi aveva il diritto di possederle un mezzo onde mettere in fuga un tale usurpatore. Epperò il segno della croce ha, non solamente il potere d’impedire a satana il parlare, ma l’obbliga ad abbandonare le cose ed i corpi che padroneggia. — In conferma di tale verità apportiamo qualche fatto scelto fra mille. – Regnava l’imperatore Antonino, e questo Cesare filosofo rompeva a crudelissima persecuzione contro i fedeli. Roma era gremita d’idoli, ed ai piedi di essi erano trascinati i nostri avi per forzarli ad offrire l’incenso. Una delle eroiche nostre sorelle Gligeria, è condotta alla presenza del governatore della imperiale città. « Vediamo, questi le dice, prendi questa fiaccola e sacrifica a Giove. – No, risponde la vergine cristiana, io sacrifico all’eterno Dio, e non m’è però mestieri avere il fumo delle fiaccole: fa’ che siano estinte, perché il mio sacrificio torni a lui più gradito. Il governatore il comanda, e le fiaccole sono spente. Allora la nobile e casta vergine eleva gli occhi al cielo, stende la mano verso il popolo, e cosi ella gli parla:”. Così detto fa il segno della croce ed esclama: Dio onnipossente, che siete onorato da’ vostri servi colla croce di G. C. mandate deh! in pezzi questo demonio fatto dalla mano dell’uomo. Tosto ch’ella ebbe così pregato Dio, un fulmine cade, e la statua di Giove è abbattuta ». [Baron. Tom. II]. – Simile cosa leggiamo nella persona di San Procopio. Condotto innanzi agli idoli, il glorioso atleta vi resta in piedi, e rivolgesi verso l’Oriente, e forma il segno venerando su tutto il suo corpo; quindi alzando gli occhi e le mani verso il cielo dice « Signor Gesù Cristo! » Nello stesso tempo fa contro la statua un segno di croce, che accompagna con queste parole « Simulacri immondi, io vi dico, temete il nome del mio Dio, fondetevi in acqua e spargetevi sul suolo di questo tempio ». Detto, fatto. [“Vobis, inquit, dico immundis simulacris, timete Dei mei nomen, et in aquam resoluta, in hoc tempio dispergimini : quod factum est” (Surius in die 8 octob.)]. – Costretto Satana, a vista del segno della croce, ad abbandonare i luoghi da lui abitati, per la virtù dello stesso segno è obbligato di lasciare i corpi degl’infelici di che erasi impossessato. Qui ancora i falli abbondano, confermati da testimoni degnissimi di fede. – Ed eccoti innanzi ogni altro S. Gregorio, uno de’ più gloriosi pontefici che abbiano governata la Chiesa cattolica, che ci racconta un fatto ch’ebbe luogo nella patria sua. « A tempo de’ Goti, scriv’egli, il re Totila venne in Narni, piccola città a poche miglia da Roma, essendone vescovo Cassio. Il santo Vescovo credette condursi all’incontro del principe. Il continuo piangere aveva arrossito gli occhi ed il volto del Santo di modo, che Totila, nulla sapendone, lo attribuì ad intemperante uso di vino, epperò mostrò profondo disprezzo per l’uomo di Dio. Ma l’Onnipossente volle mostrare quanto grande fosse colui, che veniva fatto segno al disprezzo del sovrano; epperò nella pianura di Marni alla presenza di tutta l’armata un demonio s’impossessa dello scudiere del re, e ne fa acerbissimo strazio. Lo conducono a Cassio alla presenza del re, ed il santo fatto il segno della croce, il demonio è scacciato. Da quel momento il disprezzo di Totila si rimutò in stima, conoscendo a fondo colui che uvea vilipeso giudicando dalle sole apparenze » (1). [“Vir Domini, oratione facta, signo Crucis expulit”. Dialog. lib. III, cap. 6]. – Ascolta questo altro fatto ammirato dalla patria tua. Nella Prussia in un certo luogo chiamato Velsenberg, viveva un uomo ricco e potente a nome Ethelbert, che era posseduto da un demonio; il perché era uopo assicurarsene con ferri e catene. Molti lo visitavano nei suoi dolori, ed un giorno in presenza di alquanti pagani, e de’ sacerdoti degl’idoli, il demonio gridò: “Se il servo di Dio vivo, Swirbert, vescovo de’cristiani non viene, io non partirò da questo corpo”. E perché il demonio non cessava dal ripetere la stessa cosa, gl’idolatri confusi si ritirarono, non sapendo che fare: ma dopo molte esitazioni, si decisero di andar pel Santo, e trovatolo lo pregarono con ogni instanza perché sì rendesse presso l’ossesso. Swirbert apostolo della Frisia, e di una parte dell’Alemagna, come devi sapere, consentì, e tosto che il santo mosse verso l’ossesso, questi digrignava i denti, e metteva grida orribili; ma come il Santo si avvicinava all’abitazione lo sventurato ammansiva, e restò in fine tranquillo nel suo letto, quasi fosse dolcemente addormentato. Il Santo guardatolo, dice a’ suoi compagni di mettersi a pregare, ed egli medesimo prega il Signore perché si degni scacciare il demonio dal corpo di quello infelice per la gloria del suo Nome, e per la conversione degl’increduli. Finita la preghiera, si alza e fa il segno della croce sull’ossesso, dicendo: « In nome di nostro Signore Gesù Cristo, ti comando, spirito immondo, di uscire da questa creatura di Dio, affinché essa conosca Colui ch’è vero suo Creatore. Lo spirito maligno al momento stesso sorte lasciando un fetore terribile » [“Signavit daemoniacum signo salutiferae crucis, dicens : In nomine Domini nostri Jesu Christi praecipio Ubi, immunde spiritus, ut exeas ab hao Dei creatura, ut agnoscat suum veruni Creatorem. Statimque cum foetore spiritus malignus exiit. (Marcellin. in vit. S. Sirirbert., c. XX)]. L’infermo gongolando di gioia, cade ai piedi del Santo e domanda il Battesimo, che gli fu accordato. – Ecco, caro Federico, quanto accadeva nella Prussia quando usciva dalla barbarie. Là come dappertutto, a colpi di miracoli il Vangelo s’è fatto accettare, ed il segno della croce n’è stato lo strumento ordinario. Qual è oggi la religione de’ Prussiani? È quella de’ loro primi Apostoli? Quella che insegna a fare il segno della croce? – I protestanti dicono che un uomo onesto non deve mutare religione, ed eglino affermano di amare quanti, che conservano la religione de’ padri loro; ma, per me, amo più ancora quelli che conservano la religione degli avi. – A questo proposito, tu conosci quanto raccontasi del celebre conte di Stolberg, di questo amabile e dotto uomo, una delle glorie della vostra Alemagna, che aveva abiurato il protestantesimo: Il re di Prussia ne rimase sì dolente da ritirargli la sua grazia, ma dopo alcuni anni, avendo bisogno di consiglio, mandò per lui. Come il conte fu alla presenza del re, questi gli disse: « Non posso dissimularvi, signor conte, che ho poca stima per un uomo, che muta religione. Ed il conte di rimando: Ecco perché, Sire, disprezzo profondamente Lutero ». – Che il segno della croce sia arma universale e potente a cacciar dal corpo degli ossessi satana, è chiaro per gli esorcismi della Chiesa. Se tu dai uno sguardo al Rituale romano, tu avrai la prova di quanto dico. Ora gli esorcismi con le loro insufflazioni ed il segno della croce rimontano alla culla del cristianesimo. Tutti i Padri dell’Oriente e dell’Occidente, che hanno parlato del Battesimo ne fanno menzione. In luogo di tutti ascolta S. Gregorio il Grande. « Quando il catecumeno si presenta per essere esorcizzato, il prete gli soffia in volto affinché, il demonio scacciato, sia libera l’entrata a Gesù Cristo nostro Dio. Dopo gli fa il segno della croce sulla fronte dicendo: Ti segno colla croce di Nostro Signore Gesù Cristo. E sul petto dicendo : Pongo nel tuo petto il segno della croce di Nostro Signore Gesù Cristo » [“Cum ad exoreizandum ducitur, prinio a Sacerdote exsuffletur in faciem ejus, ut, fugato diabolo, Christo Deo nostro pateat introitus. Et tunc in fronte crux Christi agatur, dicendo, etc.”. (S. Greg. Sacramentar.)]. Come qui li vedi descritti, gli esorcismi hanno traversato i secoli, e di presente, essi sono ancora in uso su tutti i punti del globo, ove trovasi un prete cattolico, ed una creatura umana da sottrarre all’impero di Satana. [Una parola su gli esorcismi non è fuori proposito, poiché la dottrina cattolica sul conto di essi è attaccata con la riproduzione de’ vecchi pregiudizi protestanti. Lo scongiura, latinamente exorcismus, è obbligare qualcuno per la divina autorità ad operare una qualche cosa, o a desistere da qualche azione, invocando all’uopo il divino Nome. Questa invocazione del divino Nome è esplicita, se Dio è nominato, o implicita se s’interpongono i santi, ed i loro meriti, o le cose sacre. Può essere pubblico o privato l’esorcismo, è pubblico se dal ministro della Chiesa, e secondo i riti da essa prescritti è eseguito; privato, se da semplici fedeli, e con quei mezzi che loro detta la divozione [Morini De Sacram. Poenit. lib. 6 , cap. 1]. – Secondo san Tommaso (Summa 2. 2. q. 30, art.) può eseguirsi pregando per modum deprecationis, o comandando per modum compulsioni: il primo con i superiori, eccetto satana, il secondo con gl’inferiori. Può farsi infine, come lo stesso dottore insegna, sopra le persone e le cose irragionevoli [S. Th. X, ibid. art. 3. I protestanti fra le altre superstizioni de’ romanisti annoverano gii esorcismi, affermando essere cosa ridicola esorcizzare le cose inanimate, che non possono né sentire né intendere gli esorcismi, e che non esiste l’ordine degli esorcisti. Quanto i nostri fratelli dissidenti asseriscono, in secondo luogo è perfettamente gratuito. La Chiesa cristiana non può essere da meno della Sinagoga. Questa aveva i suoi esorcisti, ed esorcismi, come si rileva da Giuseppe (Antichità etc. lib. 8, cap. ); da quanto disse Cristo: Matth. XII, 27. “Si ego in Belzebub ejicio daemonia, filii Vestri in quo ejiciunt”?; ed altresì dagli Atti apostolici, cap. XIII, 14. Perlocbè gli apostoli ricevevano da Cristo virtù e potere sopra i demoni, Luc. IX, 1, ben distinto dallo stesso potere che come grazia gratis data avevano e possono avere i fedeli: Marc. XVII, V. Gli Apostoli, o la Chiesa erede del loro potere, potevano stabilire che siffatta virtù ricevuta da Cristo contro satana, fosse esercitata da un ceto a ciò destinato perché meglio venisse eseguito. Che un tale ordine sia stato sempre nella Chiesa, possono i protestanti ricavarlo da Tertulliano ad Scapulam, cap. 4, e De praescript. cap. 41. Eusebio Histor. Uh. 6, cap. 43. Cipriano epist. 45. Che non sia ridicolo esorcizzare le cose inanimate, è chiaro dal non aver noi il pensiero di far sentire la nostra voce a chi non intende nè sente, come eglino credono. La Chiesa, cattolica crede alla provvidenza divina, ed all’azione di Dio, che mette in moto tutto il mondo materiale per premiare o punire l’uomo. Essa crede altresì che i demoni possono, secondo l’economia della stessa divina provvidenza, usare a nostro danno delle cose materiali. La Chiesa per questa credenza esorcizza le cose materiali con esorcismo deprecativo, indirizzando a Dio preghiera, che placatosi, queste cose materiali cessino dall’arrecar male all’uomo. Parimente pel potere ricevuto da Cristo contro satana, lo esorcizza obbligandolo ad abbandonare le cose materiali di che usa a nostro danno. La stranezza è in noi, o in chi pensa che v’abbiano 200 milioni di uomini che pensano parlare ai turbini, agl’insetti che divorano i campi? ] – Ma i demoni dimorano non solo ne’ tempi e nelle statue dove riscuotono onori divini, nè solamente nei corpi degli infelici, ch’eglino tormentano, ma sono dappertutto, e l’aria n’è piena. Nemici infaticabili ci attaccano di continuo direttamente, o indirettamente per lo mezzo delle creature. Diretti o indiretti, aperti o nascosti, i loro attacchi diventano inutili innanzi al segno della croce. Il Signore, dice Arnobio, ha formato le nostre dita alla pugna, affinché quando siamo attaccati dai nostri nemici visibili ed invisibili, noi ne usassimo a formare sulla nostra fronte il segno trionfale della croce [“Docuit dígitos nostras ad bellum, ut dum bellum sive visibilium, sive invisibilium senserimus hostium, nos digitis armemus frontem triumpho crucis” -Arnolb in Ps. CXVIII]. – Fra le mille eroine del cristianesimo, che, fior di beltà e di purezza, maneggiavano quest’arma, quando l’iniquità de’ persecutori le condannava a perdere il candore del giglio di che erano tenerissime, è da annoverare Giustina da Nicomedia. Questa, nata di nobilissima schiatta, quanto bellissima altrettanto ricca, sprezzatrice era del mondo e tipo di cristiana modestia. Queste virtù non la salvarono dall’inspirare ad un giovane pagano cocentissimo amore. L’idolatro giovane a nome Aglaida, per ottenere il cuore di Giustina usò offerte, promesse, preghiere, ma queste inutili tornavano; poiché lo sposo della vergine cristiana era il crocifisso Signore, e da esso non valevano argomenti umani a separarla. Aglaida disperato fa ricorso a Cipriano, venuto in gran fama di mago nella città; ma, questi acceso di eguale amore per Giustina, usò a proprio conto delle sue malie. Tutto l’inferno mosse al soccorso di lui. I demoni i più violenti furono sbrigliati contro la casta e pura vergine di Nicomedia; ma Giustina moltiplicava le preghiere, le mortificazioni, e tutta in Dio raccolta, vigilante, nel forte della battaglia si segnava col segno salutare, ed i demoni vinti e scornati prendevano la fuga. Con tale arma Giustina, non solo salvò la sua virtù, ma ebbe ancora la gloria di guadagnare Cipriano, che fu martire, e divenne una delle più gloriose conquiste del segno trionfatore [Vita 26 settembre]. – Antonio, il grande atleta del deserto, maneggiò parimenti quest’arma vittoriosa in tutta la sua vita, che fu continua pugna contro satana, e con essa vinceva il nemico, che, nel forte della pugna, prendeva tutte le forme. Lasciamo parlare il degno storico di un tal uomo. « Alcune vòlte, dice santo Atanasio, tale un fracasso orrendo facevasi sentire, che la caverna di Antonio tutta ne tremava, e dalle squarciate pareti si precipitavano in folla i demoni, che prendendo le forme di bestie la riempivano di serpenti, di leoni, di tori, di lupi, d’aspidi, di dragoni, scorpioni, orsi e leopardi, e ciascuno dava grida alla maniera della bestia di che aveva presa la figura. Il leone ruggiva, e mostravasi di volerlo addentare, il toro muggendo lo minacciava con le corna, il serpe faceva sentire il suo sibilo, il lupo mostrava le zanne, il leopardo colla variopinta pelle mostrava tutta l’astuzia dello spirito infernale; tutti presentavano figure spaventose a vedere, e mettevano voci orribili a sentire. « Antonio, or battuto or ferito, sentiva vivissimi dolori nel corpo, ma l’animo contemplativo restava imperturbabile. Tuttavolta le ferite gli strappassero delle grida di dolore, pure sempre ad un modo parlava a’ suoi nemici burlandosi di loro : « Se voi aveste della forza, diceva Antonio, uno solo di voi basterebbe ad uccidermi; ma, poiché la potenza del mio Dio vi snerva, voi venite in folla per farmi paura ». Ed aggiungeva: « Se voi avete qualche potere, se Dio m’ha abbandonalo a voi, eccomi, divoratemi; ma se nulla potete, perché tanti sforzi inutili? Il segno della croce e la confidenza in Dio sono per noi fortezza inespugnabile » [“Signum enim crucis et fides ad Dominum inexpugnabilis nobis murus est” – De vit. S. Anton.]. Allora i demoni digrignavano i denti, facevano mille minacce ad Antonio, ma vedendo che i loro attacchi a null’altro riuscivano che a farsi beffare, lo lasciavano per tornare a nuovi assalti. Il coraggioso parlare che Antonio, per la fede, faceva a’ demoni, lo ripeteva a’ filosofi pagani: « Quale utilità dal disputare? diceva il patriarca del deserto a questi eterni indagatori di verità. Noi pronunziamo il nome del Crocifisso, e tutti i demoni che voi adorate come dei arrossiscono. Al primo segno della croce, eglino abbandonano gli ossessi. Vedete: dove sono gli oracoli bugiardi? ove gl’ incanti degli Egiziani? Tutto è stato distrutto da che il nome di Gesù Crocifisso ha rimbombato nel mondo ». Quindi avendo fatto venire degli ossessi, continuando cosi diceva ai suoi interlocutori: « Coi vostri sillogismi, o con qualsiasi incanto liberate queste povere vittime da quelli, che voi chiamate dei; ma se non lo potete, confessatevi vinti. Ricorrete al segno della croce, e l’umiltà di vostra fede sarà seguita da un miracolo di potenza ». A queste parole, egli invoca il nome di Gesù, fa il segno della croce sulla fronte degli ossessi, ed i demoni fuggono alla presenza de’ filosofi confusi ». (Ibid.) – I fatti dello stesso genere sono numerosi quasi come le pagine dell’istoria. Tu li conosci, io passo oltre. – Agli attacchi diretti e palesi, i demoni aggiungono gl’indiretti e nascosti, non meno pericolosi de’ primi, e più frequenti. Ve n’hanno di due sorta: gli uni interiori, e gli altri esteriori. I primi sono le tentazioni propriamente dette. Ti ho già detto che la croce è l’arma vittoriosa, che le dissipa, e dicendolo mi rendo eco della tradizione universale, e della esperienza giornaliera. «Quando voi fate il segno della croce, ricordate quello che esso significa e voi ammansirete la collera, e tutti i movimenti disordinati dell’animo », diceva il Crisostomo [“Cum signaris, tibi in mentem veniat totum crucis argumentum, ac tum iram omnesque a ratione adversos animi impetus extinseris. (S. Joan Chrys. Ve adorat, pret. Crucis n. 3)]: ed Origene aggiunge: «È tale la potenza del segno della croce, che se la si tiene innanzi agli occhi, e nel cuore, non v’ha concupiscenza, né voluttà, né furore che le possa resistere: alla sua presenza tutto l’esercito della carne e del peccato è sconfitto » [“Est enim tanta vis crucis Christi, ut nulla concupiscentia, nulla libido, nnllus furor, nulla superare possit invidia. Sed continuo ad ejus praesentiam totus peccati et carnis fugatur exercitus”. (Origen. Comment, in Epint. ad Roman., lib. VI, n. 1]. – I secondi attacchi vengono dal di fuori. Nessuna creatura sfugge alle maligne influenze di Satana, e di tutte egli fa strumento della sua collera implacabile contro l’uomo. Te l’ho già mostrato, è un articolo della credenza del genere umano. Quale arma Dio ci ha dato, poiché Egli doveva darcene una, per liberarci da tali influenze, e liberandocene preservare la nostra anima ed il nostro corpo dalle funeste insidie di colui, ch’è chiamato, con ragione, il grande omicida, “Homicida ab initio”? Tutte le generazioni si levano dal fondo de’ sepolcri, per dirmi: È il segno della croce! Tutti i cattolici viventi nelle cinque parti del mondo, uniscono la loro voce a quella dei loro antenati e ripetono: È il segno della croce! Scudo impenetrabile, torre fortissima, arma speciale contro il demonio, arma universale del pari potente contro i nemici visibili ed invisibili, arma facile per i deboli, gratuita per i poveri: è questa la definizione, che i morti ed i vivi ci danno del segno adorabile. – Quindi due grandi verità: la soggezione di tutte le creature al demonio, e la potenza del segno liberatore a liberarle da essa, ed impedir loro di non nuocerci. Da queste due verità profondamente sentite, sempre antiche e sempre nuove, sortono due fatti logici. Il primo, l’uso degli esorcismi nella Chiesa cattolica; il secondo, l’uso incessante del segno della croce presso i primitivi cristiani. Che cosa in fatti significa l’esorcismo? La credenza, che ha la Chiesa intorno al dominio, che satana esercita sulla creatura. Qual è l’effetto degli esorcismi? Il liberare le creature da questa servitù. Ora, siccome non v’ha creatura che non sia esorcizzata dalla Chiesa, ne segue, che ai suoi occhi l’universo in tutte le sue parti è un gran schiavo, un grande ossesso [Questa espressione dell’autore potrà sembrare esagerata; però crediamo aggiungere qualche parola di S. Agostino, che le dà tutta la verosimiglianza. Il santo dottore per ispiegare come i maghi possano, per lo mezzo di Satana, operare delle cose straordinarie, afferma che a ciascuna cosa visibile presiede uno spirito, il quale agisce in esse come in parte disgiunta dall’universo ; cioè con azione particolare che non può alterare le leggi generali: e come in parte che entra nell’ordine cosmico, e sottosta all’azione universale, e forma parte delle leggi, che reggono l’universo fisico. Per quest’azione che ha Satana negli esseri particolari produce delle cose straordinarie, sottostando sempre all’azione della provvidenza divina, che regge tutto il cosmo. Unaquaeque res visibilis in hoc mundo habet potestatem angelicam sibi praepositam, sicut aliquot locis divina Scriptum testatur, de qua re cui praeposita est, aliter quasi privato agit, aliter tanquam publice agere cogitur. Potentior est enim parte universitas ; quoniam illud quodibi privatim agii, tantum agere sinitur quantum lex universitalis sinit. De diversis quaest. 83, quaest. LXXIX, n. 1. (Nota del Trad.)], una grande macchina da guerra continuamente contro noi elevata. Ed a sua volta che cosa era il continuo uso del segno della croce presso i cristiani? Un esorcismo continuato. Se, con la Chiesa cattolica e col genere umano, si ammette che il demonio agogna asservire tutte le creature, ed usare di tutte esse a veicolo delle sue maligne influenze; che a ciascun’ora, in ogni momento, e per ogni azione l’uomo può entrare in contatto con esse, qual cosa mai è più ragionevole dell’ uso costante di un’arma cotanto necessaria? Per le quali cose, il frequente uso di questo segno presso i nostri avi, mostra la loro profonda filosofia. Eglino conoscevano a fondo, ed in tutta la sua distesa la legge del mondo morale, il dualismo; comprendevano che, l’attacco essendo universale e continuo, era mestieri, per conservare l’equilibrio, che la difesa fosse universale e del pari continuata [Per intendere come Satana usi di tutti gli elementi della natura per apportar del male alla umana famiglia, e sfogare contro essa l’invidia di che è pieno, è da leggere l’eccellente opera, approvata dall’ accademia di Francia, e scritta da una delle sue principali glorie, Monsieur de Mirville. In essa si troverà svolta con scienza ed erudizione questa parte dell’arte satanica: l’opera ha per titolo: Des Esprits ctc. Esortiamo, ancora per lo stesso fine, alla lettura dell’altra eccellente opera di M.r de Mouseaux La Magie au XIX siede. (Nota del Trad.)]. Di nuovo, che di più logico? Eglino facevano il segno della croce sopra ciascuno de’ loro sensi. Vuoi intenderne il perchè? I sensi sono le porte dell’anima, servono da intermedi tra essa e le creature. Quando essi sono segnati della croce, le creature non possono entrare in comunicazione con l’animo, che per lo mezzo de’ mediatori santificati, dove perdono le loro funeste influenze. Ma questo non bastava per i nostri padri. Eglino facevano l’adorabile segno su tutti gli oggetti di loro uso, e per quanto loro fosse possibile, su tutte le parti della creazione. Le case, i mobili, le porte, le fontane, i limiti de’campi, le colonne degli edifici, le navi, i ponti, le medaglie, le bandiere, i cimieri, gli scudi, gli anelli: in tutto era impresso 1’adorando segno. Impediti dalle occupazioni e dalle distanze dei luoghi di ripeterlo continuamente ed in ogni dove, lo immobilizzavano scolpendolo e dipingendolo sul prospetto di tutte le creature, fra le quali passavano la loro vita. Parafulmine e monumento di vittoria, tale era allora il segno augusto. Parafulmine divino, atto ad allontanare i principi dell’aria con la loro incalcolabile malizia, ben altrimenti dalle barre di ferro, che sormontano i nostri edifici per scaricare le nubi pregne di elettricismo. Monumento di vittoria che accenna alla vittoria del Verbo incarnato riportata sul re di questo mondo, come le colonne dal vincitore elevate sul campo di battaglia servono da monumento commemorativo della sconfitta dal nemico sofferta. – Dalle alture di Costantinopoli contempliamo con san Giovanni Crisostomo il mondo smaltato di questi parafulmini, e da questi monumenti di vittorie, « Più preziosa dell’universo, dice l’eloquente patriarca, la croce brilla sul diadema degl’imperatori. Dappertutto dessa si presenta al mio sguardo, e la trovo presso i re, e presso i sudditi, presso le donne e gli uomini; con essa si ornano le vergini e quelle che menarono marito, gli schiavi ed i liberi. Tutti la segnano sulla miglior parte del loro corpo, la fronte, dov’essa risplende come una colonna di gloria. – Dessa è alla sacra mensa; nelle ordinazioni dei preti non manca, ed alla cena mistica del Salvatore io la rimiro: dessa è scolpita in tutti i punti dell’orizzonte, sormonta le case, si eleva nelle pubbliche piazze, nei luoghi abitati e nei diserti, lungo le strade, sulle montagne, nei boschi, sulle colline, sul mare al sommo delle navi, nelle isole; dessa è sulle finestre e su le porte, al collo de’cristiani, sui letti e gli abiti, sui libri e sulle armi; ne’ festini, sui vasi di oro e di argento, sulle pietre preziose, nelle pitture degli appartamenti. – La si forma sugli animali infermi, su gli ossessi, nella guerra e nella pace, il giorno e la notte, nelle riunioni da sollazzo e di penitenza. Appartiene a chiunque cerca essere protetto da questo segno adorabile. Che v’ha da recar meraviglia? Il segno della croce è il simbolo della nostra emancipazione dalla schiavitù, il monumento della libertà del mondo, ricordo della mansuetudine del Signore. Quando tu lo esegui ricorda il prezzo sborsato pel tuo riscatto, e tu non sarai schiavo di nessuno. Eseguilo, non solo col tuo dito, ma più ancora con la tua fede. Se tu in tal modo lo farai sulla tua fronte, nessuno spirito potrà resistere alla tua presenza; egli vede il coltello da che è stato piagato, e la spada che l’ha ferito a morte. Se alla vista de’ luoghi del patibolo noi siamo presi da orrore; immagina quel che debba soffrire Satana ed i suoi angeli, a vista dell’arme con che il Verbo eterno ha abbattuta la potenza, ed ha troncato il capo al dragone » [Quod Christus sit Deus opp. t. 1, p. 698, edit. Paris; et in Math., homil. 54, t. VII, p. 610, et in c. Ill ad Philip.]. Dimani le riflessioni che fa sorgere in mente questo spettacolo sublime, sì eloquentemente descritto.

LETTERA DECIMASETTIMA.

 12 dicembre.

Arma universale ed invincibile per l’uomo, parafulmine per le creature, simbolo di libertà pel mondo e monumento di vittoria pel Verbo Redentore: tale fu, mio caro Federico, il segno della croce agli occhi dei primi cristiani. Da questa convinzione procedeva l’uso ch’eglino ne facevano, i sentimenti, che loro inspirava, il magnifico e piacevole spettacolo, a cui testé assistemmo. – Conservammo noi la fede de’ padri nostri? Per i cristiani del secolo decimonono qual cosa mai è il segno della croce? come usano di esso a pro di sé stessi e delle creature? I sentimenti di fede, di confidenza, di rispetto, di fiducia e di amore, che loro inspira, sono vivi e reali? Il maggior numero di quelli, che fanno un tale segno non lo eseguono forse ignorando quel che operano, e senza attribuirgli valore alcuno, ed importanza? Quanti non lo eseguono affatto? Quanti credono ricevere onta dall’eseguirlo? Quanti ancora non son presi da sdegno al vederlo? E per fermo, eglino l’hanno tolto dalle loro case e da’ loro appartamenti, cassato dalla loro mobilia, ed inutilmente lo si cercherebbe nelle pubbliche piazze, nelle passeggiate delle città, lungo le vie e nei parchi; poiché l’han fatto disparire da tutti i luoghi, dove i padri nostri l’avevano innalzato. Eglino, nuovi iconoclasti del secolo XIX, hanno spezzate le croci! – Qual cosa mai è questa, ed a quale avvenire accennano siffatti sintomi? Vuoi saperlo? Rimonta al principio illuminatore della storia. Due principi oppositi si disputano il dominio del mondo, Io spirito del bene e lo spirito del male (1). Tutto che si opera è, o per inspirazione divina, o per inspirazione satanica. L’institu-zione del segno della croce, l’uso continuo di esso, la fiducia che inspira, la potente virtù attribuitagli, è una inspirazione divina o satanica ? È o l’una, o l’altra. – Se è una inspirazione satanica, il fiore della umanità, che sola fa questo segno, è da poi oltre diciotto secoli incurabilmente cieca, mentre che il rifiuto della umana compagnia, che sprezza la croce, avrebbe ogni lume: è un dire, che i miopi, i loschi e i ciechi del tutto vedano più di colui, che ha due buoni occhi. Credi possibile che l’orgoglio possa tanto impazzire da affermare simile paradosso, e che vi sia tale una incredulità, e di sì robusti polsi da sostenerlo? – Ma se il segno della croce praticato, ripetuto, caro, considerato come arma invincibile, universale, permanente, necessaria alla umanità contro satana, le sue tentazioni e i suoi angeli, è una inspirazione divina, che vuoi che io pensi di un mondo, che non comprende più un tal segno, che più non lo esegue, che si vergogna di esso, che più non lo saluta, che lo vuole scomparso dalla vista degli occhi suoi, e dal cospetto del sole? A meno che la natura umana non si sia del tutto immutata, e che il dualismo non sia che una chimera; a meno che satana non abbia abbandonata la pugna; a meno che le creature non abbiano cessato di essere i veicoli delle sue funeste influenze: il cristiano d’oggidì sprezzatore del segno della croce non è, che un rampollo degenere di una nobile razza. Desso è un razionalista insensato che non comprende più la lotta, né le condizioni di essa; il secolo decimonono è un soldato presuntuoso, che, spezzate le armi, e deposta ogni armatura, si getta alla cieca nel mezzo delle spade e delle lance nemiche, con braccia legate, e a petto nudo; la società moderna, una città, sommersa nel sensualismo de’ baccanali, smantellata, circondata d’innumerevoli inimici, che agognano a farne ruina e passare a fil di spada la guarnigione. – Farne una ruina Ma non è questa già fatta? Ruina di credenze, ruina di costumi, ruina dell’autorità, ruina della tradizione, ruina del timor di Dio e della coscienza, ruina della virtù, della probità, della mortificazione, dell’ubbidienza, dello spirito di sacrificio, di rassegnazione e di speranza: dappertutto, ruine cominciate, o ruine compite. Nella vita pubblica e nella privata, nelle città e nelle borgate, nei governanti e nei governati, nell’ordine delle idee e nel dominio de’ fatti, quanto di perfettamente cattolico resta incolume, ed intero? – Ma in tutto ciò nulla v’ha, caro Federico, che ci debba meravigliare. Togli il segno della croce e tutto si spiega. Meno v’ha di croci nel mondo, più v’ha di satana. La croce è il parafulmine del mondo; toglilo, e la folgore cade a schiacciare e bruciare. Il segno della croce accenna al dominio del vincitore, n’è trofeo: spezzarlo è un far rivivere l’antico tiranno, e preparargli il ritorno. – Ascolta quanto scriveva, or sono diciassette secoli, uno degli uomini, che abbiano intesa tutta la misteriosa potenza di questo segno, dico il martire, il più illustre fra i martiri, Ignazio di Antiochia. Contempla questo vescovo dai bianchi capelli, carico di catene, che attraversa seicento leghe per condursi a farsi dilaniare da’ leoni al cospetto della gran Roma. Vedilo; è calmo quasi fosse sull’altare, ilare, come se andasse ad una festa, e dà, lungo il cammino, istruzioni ed incoraggiamenti alle chiese dell’Asia accorse a salutarlo. Questi nella sua ammirabile lettera ai cristiani di Filippi, scrive: « II principe di questo mondo mena gran festa, quando qualcuno rinnega la croce. Esso conosce esser la croce, che gli apporta la morte, perché dessa è l’arma distruggitrice di sua potenza. La vista di essa gli mette orrore, il suo nome lo spaventa. Innanzi questa venisse fatta, nulla trasandò perché la si formasse, ed a siffatta opera egli spinse i figli della incredulità, Giuda, i Farisei, i Sadducei, i vecchi, i giovani, i sacerdoti: ma tosto che la vide sul punto d’essere compita si turba. Immette rimorsi nell’animo del traditore, gli presenta la corda, lo spinge a strangolarsi; spaventa con segni la moglie di Pilato, ed usa ogni sforzo ad impedire che venisse compiuta la croce, non perché avesse rimorso, che se ne avesse non sarebbe del tutto cattivo; ma perché presentiva la sua disfatta. Né s’ingannava: la croce è il principio della sua condanna, di sua morte, e della sua perdita ». [“Prìnceps mundi hujus gaudet, cum quis rrueem ipsius negavit, cognoscit enìm crucis confessionem, suum esse ipsius exitium. id enim trophaeum est contra ipsius potentiam; quod ubi vlderit, horret, et audiens timet, et ante’iuam fa-bricaretur crux, studebat ut fabriraretur, et operabatur in Juda…. cum autem paranda esset crux, tumultuabatur, etpoe-nitentiam immisit proditori…. Crux enim Cbristi prima fuit condemnationis, mortis et perditionis causa”. (Ignatius AI. Ep. ad Philip., ep. VIII (Nota del Trad.).] – Ecco due insegnamenti: orrore e timore di satana alla vista della croce e del segno di essa; gioia di lui nell’assenza dell’ una e dell’altro. Vede egli un’ anima, un paese senza la croce vi entra senza paura, e vi dimora tranquillo. Come inevitabilmente al cader del sole le tenebre succedono alla luce, cosi del pari desso ristabilisce il suo impero al disparir della croce. Il mondo attuale n’è sensibile prova. Non parlo del diluvio di negazioni, empietà, bestemmie inaudite che inondano il mondo, ma, che cosa mai sono, per chi non si soddisfa di sole parole, i milioni di tavole giranti e parlanti, gli spiriti battenti o familiari, le apparizioni, le evocazioni, questi oracoli e consultazioni medicali, le comunicazioni con i pretesi morti, che, ad un tratto, hanno invaso il vecchio ed il nuovo mondo (1 ). Son forse queste cose nuove? No: l’umanità le ha già viste. Ma quando? Quando il segno della croce non proteggeva il mondo, quando Satana era dio e Re delle società! Di presente siffatte cose col ricomparire con proporzioni ignote di poi il vecchio paganesimo, quale avvertenza ne danno? se non che il segno liberatore cessando di proteggere il mondo, Satana lo invade di nuovo. – Tu il vedi, caro amico, sono ben poco intelligenti quelli che abbandonano il segno della croce. Siano eglino oggetto di nostra compassione e non d’imitazione! Fra tutte le circostanze in cui è da separarsi da loro, ve n’ha una in che lo si deve inevitabilmente. Per noi, come per i nostri padri, il segno della croce avanti e dopo il pranzo dev’esser cosa sacra; poiché come tale lo comandano la ragione, l’onore, la libertà. – La ragione. Se interroghi i tuoi compagni dimandando loro perché non facciano il segno della croce innanzi prendano il cibo, ciascuno ti dirà: Non voglio singolarizzarmi operando altrimenti degli altri. Non voglio ch’io sia segnato a dito, e che altri si burli di me, per la osservanza di una pratica inutile, ed ormai fuori moda. – Non vogliono singolarizzarsi! Per loro onore, stimo credere, che non intendano la forza di siffatta espressione. Singolarizzarsi, è un dire, isolarsi, non operare come tutti gli altri. In siffatto senso si può ben essere singolare senza taccia di ridicolo; anzi, v’hanno delle circostanze ch’è mestieri esserlo ad isfuggire la colpa. – Nel mezzo di un manicomio, l’uomo ragionevole che opera assennatamente; in un paese di ladri, l’uomo onesto, che rispetta l’altrui, sono de’ singolari: son dessi ridicoli? – Nel senso in che è presa dai tuoi compagni, singolarizzarsi vuol dire isolarsi, operando con maniere, che, movendo al riso, si oppongono agli usi ammessi e ci rendono ridicoli. Resta però vedere se, fare siffatto segno innanzi e dopo il pranzo sia un singolarizzarsi in maniera ridicola. Per fermo, ti diranno, perché è un operare altrimenti dagli altri. Ma v’hanno altri ed altri. V’hanno alcuni, che fanno il segno della croce, e ve n’hanno altri ancora che non lo eseguono. Di siffatto modo facendolo o non facendolo noi non ci singolarizziamo, noi siamo sempre con altri. Siam noi ridicoli? Per rispondere a tale domanda è da osservare chi siano quelli, che fanno un tal segno, e chi quelli, che lo trasandano. – Quelli che lo praticano sono tu, io, la tua onorevole famiglia, la mia, né siam soli; prima di noi e con noi ve n’hanno ben altri ancora. V’hanno tutti i veri e coraggiosi cattolici dell’Oriente e dell’Occidente da poi diciotto secoli, i quali, come vedemmo, sono il fiore della umanità, e con siffatta compagnia si diviene si poco ridicolo, ch’è un esserlo al sommo, non appartenendo ad essa. Se ne eccettui quelli che vivono di parole, e che con esse vorrebbero tutto pagare, la proposizione è indegna di esser discussa. – Nulla v’ha di più certo dell’aver con tutto studio il fiore della umanità eseguito il segno della croce, avanti e dopo il pranzo. I Padri de’ quali, ho testé apportate le sublimi testimonianze, Tertulliano, S. Cirillo, S. Efrem, S. Crisostomo, non lasciano alcun dubbio sulla universalità di questa religiosa usanza, presso tutti i cristiani della primitiva Chiesa. Ma lascia che io ne aggiunga qualche altro. Quando si siede a mensa, dice il grande Atanasio, e si spezza il pane, lo si benedice per tre volte col segno della croce, e si rendono le grazie » [“Cum in mensa sederis, coeperisque frangere panem, ipso ter consignato signo crucis, gratias age”. – De Viginet., n. 13]. – La benedizione della mensa col segno della croce non era solamente in uso presso le famiglie nella vita civile, ma l’era altresì negli eserciti, nella vita del campo. S. Gregorio di Nazianzo racconta, a questo proposito, un fatto venuto in gran fama. – Giuliano, l’Apostata, gratificava l’esercito con istraordinaria distribuzione di viveri e di danaro. Dallato al principe v’era un braciere acceso, e tutti i soldati vi gettavano un granello d’incenso. I soldati cristiani imitarono i commilitoni pagani, nulla sapendo che in ciò vi fosse idolatria. Compiuta la distribuzione, tutti in uno raccolti desinavano in onore del principe. Sul cominciar della mensa, fu presentata la coppa ad un soldato cristiano, e questi, secondo l’usato, la benedisse. Tosto una voce si levò a dirgli: Quello che fai ripugna a quanto testé operasti. Che feci? Hai tu dimenticato l’incenso ed il braciere? Ignori che idolatrasti, che rinnegasti la tua fede? – Com’ebbe ciò inteso, levossi il guerriero e con lui i compagni d’arme, e tutti gemendo e strappandosi i capelli, a grandi grida, si dichiararono cristiani, e protestarono contro l’inganno loro fatto dall’imperatore, e domandarono nuove prove per confessare la propria credenza. L’apostata fattili arrestare e legare li condannò a morire, e dispose venissero condotti al luogo del supplizio: ma, a non far de’ martiri, accordò loro la vita rilegandoli nelle più lontane frontiere dell’impero [Orat. 1, contra Julian., Theodoret. Hist., lib. Ill, c. 16]. – Quando un prete trovavasi in un convito, a lui apparteneva l’onore di fare il segno della croce sugli alimenti [Ruinart. Actes du martyrs de saint Theodole]. – La benedizione della mensa era in tanta stima di cosa santa, che al nono secolo i Bulgari convertiti alla fede domandavano al Papa Nicolò I, se il semplice laico potesse supplire al prete in tale funzione. Per fermo, rispose il Pontefice; avvegnaché, a tutti è commesso preservare, col segno della croce, quanto gli appartiene, dalle insidie del demonio, e trionfare di tutti i suoi attacchi per lo nome di nostro Signore [“Nam omnibus datum est, ut et omnia nostra hoc signo debeamus ab insidiis munire diaboli, et ab ejus omnibus impugnationibus in Christi nomine triumphare. (Resp. ad consult. Bulgar.)]. – I tempi successivi han visto perpetuarsi presso tutti i veri cattolici dell’Oriente e dell’Occidente l’uso del segno della croce prima e dopo il pranzo, e tu sai come sussista ancora di presente. Noi conosciamo quelli che fanno il segno della croce, e gli altri che non lo fanno; è da vedere a chi i tuoi compagni diano la preferenza. I pagani non lo fanno, ed i giudei nemmeno, i maomettani neppure, gli atei e i cattivi cattolici neanche, i cattolici ignoranti o schiavi del rispetto umano parimente lo trasandano. Ecco quelli che non fanno il segno della croce, e che beffano quanti sono teneri di sì pia usanza. Da qual lato è la singolarità ridicola? Nella prossima lettera il resto della obbiezione.

La CHIESA CATTOLICA condanna e vieta espressamente la CREMAZIONE .

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L’obbrobrio della cremazione viene oggi fatto passare come pratica approvata dalla Chiesa Cattolica. Innanzitutto, ciò che viene sbandierato dai media di regime massonico, non è di fede cattolica, ma di fede marrano-modernista appannaggio della falsa chiesa conciliare, o meglio del tempio masso-liberista, sinagoga di satana. Ma poiché molti non sanno, non capiscono, o non voglio capire, ci intratteniamo con questo scritto, sull’ennesimo abominio modernista anticattolico, quindi ulteriore via per finire dritti nel fuoco eterno preparato per gli angeli ribelli e per coloro che lottano contro Cristo e la sua Chiesa [anche se inconsapevolmente … colpevolemente però!]. Per chiarire le idee a tanti inebetiti allocchi colpevolmente ignoranti, ricorriamo, come al solito, alla Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera cattolica edita in Vaticano nel 1950 [oggi uno dei centri “direzionali” della Massoneria mondiale], coll. 838-841 del vol. IV, voce: CREMAZIONE., redatta addirittura da mons. Pietro Palazzini, quando ancora era nella Chiesa Cattolica, prima di essere nominato  non-Cardinale della falsa chiesa del novus ordo, dall’anti-Papa Montini [i cui atti sono quindi tutti invalidi, comprese le nomine cardinalizie].

CREMAZIONE

[Enciclop. Cattolica, C. d. V. 1950]

La voce crem. (dal lat. Crematici = abbruciamento) è stata riservata dall’uso all’atto dell’abbruciamento del cadavere umano. Il quale atto, com’è praticato oggi nei nostri paesi, è una combustione del cadavere pronta, completa e secondo la tecnica scientifica, mentre presso i popoli meno civili è un incinerimento più o meno completo con speciale cerimoniale religioso, com’era presso gli antichi. Secondo una simbologia, piuttosto convenzionale, l’incinerimento sembra voler significare che i corpi sono per sempre risoluti e dispersi, mentre il rito contrario dell’inumazione accompagna l’idea della morte equiparata a sonno, ed esprime con più aderenza la fede cristiana nella finale risurrezione. Ciò come espressione simbolica, non come realtà. In via assoluta infatti la crem. non è contraria a nessuna verità naturale o rivelata; molto meno è tale da costituire un ostacolo all’onnipotenza di Dio per la resurrezione dei corpi. E neppure può dirsi che leda in qualche modo i diritti della persona umana. Il cadavere non è più persona e quindi non è più per sé ed in sé essenzialmente inviolabile. Di fatto però la crem. è ripugnante alla disciplina della Chiesa fin dai suoi primi inizi, contraria agli squisiti sensi di pietà cristiana verso i defunti; mentre il rito contrario, l’inumazione, per unanime, ininterrotto, tradizionale insegnamento, è assurto ad una aderente significazione dell’immortalità dell’anima, della fede nella risurrezione della carne; ad un richiamo palese di avvenimenti ed insegnamenti biblici, già operanti nella tradizione giudaica, come dell’idea del corposeme ( Cor. XV, 36-44), della terra madre (Ger. III, 19; Iob. I, 2 1 ; Eccli. XL, 1), della morte-riposo e sonno (Dan. XII, 2 ; Io. XI, 11-39). Un pagano del II sec. diceva dei cristiani « execrantur rogos, et damnant ignium sepulturas » (Minucio Felice, Octavius, cap. 11: PL 3, 267). E ne faceva noto anche il motivo: la fede nella risurrezione della carne. Non si tratta dunque di una semplice consuetudine, contraria ai roghi, ma di una esecrazione, di una condanna fatta per principio religioso e così aperta da essere nota anche ai pagani. I quali, appunto per fare insulto alle convinzioni cristiane, non raramente si accanivano contro le martoriate spoglie dei martiri, incinerendole (Eusebio, Hist. eccl., V, capp. 1 e 2, PG 20, 433). – I cristiani si ritenevano gravemente ingiuriati per lo scempio fatto ai cadaveri dei loro fratelli e gli apologisti protestavano, pur facendo capire di non aver nulla a temere per la resurrezione. – Sono state tuttavia rinvenute in cimiteri cristiani urne cinerarie c resti combusti; ma il luogo di invenzione, spesso sotto cimiteri pagani, e le iscrizioni, nessuna delle quali finora è stata riscontrata cristiana, ci autorizzino senz’altro a ritenere che le dette urne cinerarie provengano per frane dai soprastanti monumenti funerari pagani (cf. O. Marucchi, Manuale di archeologia cristiana, Roma 1933. P- 201). – Materialismo, superstizione, incongruenze ridicole, tutto concorreva ad alienare l’animo dei cristiani dalla crem., oltre gli inutili maltrattamenti, a cui era sottoposto il cadavere. La consuetudine cristiana dell’inumazione, già in uso tra gli Ebrei, prende piede anche nel mondo pagano contro la pratica del rogo, proporzionalmente al diffondersi della fede cristiana e si estende ad ogni qualità di persone, anche le più alte, che avessero abbracciato il cristianesimo. I convertiti al cristianesimo, anche se di nobile casato, al fasto del rogo preferivano i loculi cimiteriali cristiani, mentre la liturgia della Chiesa si orientava tutta al rito dell’inumazione, riecheggiando gli alti significati che la tradizione ha dato alla deposizione del cadavere sotterra. – Con la vittoria della Chiesa tra la fine del IV e l’inizio del V sec, cessa la crem. nell’Impero romano. – La stessa rarità o quasi assenza della documentazione canonica in materia, è indice della assenza di abusi. Le testimonianze indirette dei concili, che legiferano in materia funeraria ci documentano la consuetudine universale di inumare i cadaveri (C. 28, C. XIII , q. 2 ). – Anche fuori dell’Impero romano i roghi sono scomparsi generalmente in ogni paese, ove è penetrato il cristianesimo. – I Sassoni renitenti ad abbandonare la crem., ne sono pressati da un capitolare di Carlo Magno del 789 (ed. Boretius, I , 69). Prima di loro avevano abbandonato la crem. i Turingi e dopo gli Scandinavi, i Norvegesi, gli Svedesi, i Danesi (1205) ed i Prussiani (1245). – Dopo il mille una strana usanza funebre si era andata diffondendo in Europa, che in qualche maniera aveva punti di contatto con la crem. Si scarnificavano artificialmente i cadaveri, previa cottura, perché più facilmente le ossa ripulite potessero essere trasferite da un luogo ad altro. Simile trattamento fu applicato al figlio dell’imperatore Conrado, all’arcivescovo di Colonia, Rainaldo (1162), a Federico I , il Barbarossa (1167) e ad alcuni suoi dignitari, a S. Luigi IX di Francia (1270) a Teobaldo, re di Navarra, Isabella d’Aragona, Filippo IV di Francia, e ad altri (Aimoino, De gestis Francorum, V, Parigi 1514, cap. 55). Una decretale di Bonifacio VIII (1299) colpisce di scomunica « latae sententiae », riservata alla S. Sede, i.mandanti e gli esecutori di tale operazione; privando insieme il corpo, così trattato, di sepoltura ecclesiastica (c. 1, De sepulturis, III, 6, in « Extravag. Comm.). La decretale nel suo testo e contesto è anche una condanna implicita della crem. – La condanna ottenne i l suo effetto, perché per secoli non si hanno più tracce di nuovi abusi. Sarà l’atteggiamento decisamente anticristiano dei cremazionisti odierni e dei loro sodalizi pro-crem. che susciterà per un fatto, in sé non strettamente legato con la dottrina, l’avversione dei credenti e le esplicite condanne della Chiesa. – Le origini del moderno movimento per la crem. si vogliono ricollegare con la Rivoluzione del sec. XVIII. Vi fu infatti un progetto di legge al Consiglio dei Cinquecento (11 nov. 1797), per ottenere che fosse resa facoltativa la crem., ma la cosa fu respinta. I tentativi saranno però ripresi più tardi nei vari Stati europei e con un certo successo. La massoneria ha molte responsabilità al riguardo. Pur non potendosi, per insufficenza di prove, imputarle la genesi di tale movimento, è certo che lo ha favorito in tutti i modi per spirito soprattutto anticlericale, curando di dargli quel carattere di indipendenza e di spirito di libertà di pensiero, di svincolamento da tradizioni religiose che è stata la causa principale delle condanne della Chiesa. Il vero lancio dell’idea cremazionista si ebbe in Italia nel 1857 ad opera di Ferdinando Coletti, un medico che fu seguito da vari colleghi; e nel 1867 formava oggetto di una proposta parlamentare non ammessa però alla lettura, ad iniziativa dell’on. Salvatore Morella celebre divorzista. Ma le proposte ripetute ebbero successo col decreto del 1874, il cui art. 67 permette la crem. come cosa, tuttavia eccezionale: da cosa eccezionale, grazie alla propaganda ed alle pressioni di una trentina di società cremazioniste, sorte nel frattempo, passava ad essere facoltativa con decreto del 1892. – Dopo il suo quarto d’ora di fortuna nel secolo scorso la c. è oggi in regresso in Italia. [Oggi le logge massoniche del Vaticano post-conciliare, in combutta con le logge a prevalenza giudaica, l’hanno riportata in auge – ndr. -]. Negli altri paesi gli inizi della campagna cremazionista si ebbero pure nel secolo scorso, e quasi dappertutto risulta il carattere storicamente antireligioso della crem. La crem. trovò traccia anche nelle altre legislazioni: fu ammessa in Francia (1887), in Belgio (1932), nella Spagna rossa (1932), nel Portogallo (1910), i n Danimarca (1892), in Cecoslovacchia (1919), in Inghilterra (1904), Finlandia (1926), Austria (1922), in molti degli Stati dell’America del nord, nell’Argentina (1886) ecc. All’avanguardia della prassi cremazionista sta forse la Svezia seguita dalla Norvegia, Svizzera (dove la legge in proposito è cantonale) e Germania. La Chiesa protestante si è mostrata in proposito molto conciliante, avversa invece la chiesa ortodossa e più di tutte la Chiesa cattolica. Ma non già per partito preso. -Difatti proprio in questo secolo la Chiesa dava prova di tolleranza in materia con i neofiti dell’India, permettendo ai suoi ministri di rimanere passivi, pur senza approvare, di fronte a casi di crem. di cadaveri di cristiani, promossa da parenti pagani per ragioni di prestigio di casta. E ciò per non porre ostacoli alla loro conversione (Collectanea S. Congr. de Propaganda Fide, n. 1626-27 sett. 1884). Intransigente invece si mostrò per opposte ragioni di fronte ai cremazionisti dei paesi cattolici nei quali era evidente il proposito di scristianizzare. Nel I° documento che è della S. Congregazione del S. Uffizio in data 19 maggio 1886 la Chiesa condanna la crem. come un detestabile abuso, proibisce di destinare per testamento o convenzione con le società di crem., o comunque, il proprio cadavere alla crem. o di far cremare quello degli altri; proibisce di appartenere a società cremazioniste, che, se affiliate alla massoneria, soggiacciono alle pene ecclesiastiche comminate contro quest’ultima (Acta Sanctae Sedis 19 [1886], p. 46). Il 15 dic. dello stesso anno usciva un altro decreto della medesima Congregazione, che interdiceva ai sacerdoti l’accesso al forno crematorio per compiervi i riti sacri, pur permettendoli, nella, casa del defunto o in Chiesa, qualora la c. avesse luogo per volontà dei superstiti. Che, se la c. avviene per destinazione del defunto, mantenuta fino alla morte, egli è privato della sepoltura ecclesiastica.Sorgevano in seguito a questi decreti molte questioni morali relative ai Sacramenti, ai suffragi ed alla cooperazione; questioni che venivano affrontate nel decreto del S. Uffizio del 27 luglio 1892. Con questo si interdiceva di amministrare i Sacramenti ai fedeli che senza essere massoni, avevano optato per la crem. e non volevano ritrattarla anche in seguito ad ammonizione; e si proibiva di applicare per loro pubblicamente la Messa in caso di decesso; si dichiarava illecita, pena l’interdizione dei Sacramenti, la cooperazione alla crem., fatta con l’animo da trasgredire il precetto ecclesiastico, pur tollerandosi la cooperazione materiale, qualora venisse tolto dalle cerimonie per la c. qualsiasi segno di aderenza alla setta massonica o di ostilità alla Chiesa (Collectanea S. Congr. De Propaganda Fide, n. 1808).Coerente a questi principi sulla cooperazione è l’istruzione del S. Uffizio del 3 ag. 1897, con cui rispondendosi alla superiora delle suore « a Matre Dolorosa », si tollerava, se eseguito dietro ordine espresso del medico, l’incenerimento di membra amputate, pur raccomandandosi, se possibile, la sepoltura in luogo benedetto (Acta Sanctae Sedis, 30 [1897] p. 630). Il codice di diritto canonico ritiene i principi e le istruzioni dei predetti decreti, ed alla loro luce vanno interpretati i canoni relativi. Il can. 1203 § 1 prescrive il seppellimento dei cadaveri, riprova la crem. e dichiara irrita la volontà del defunto, che avesse lasciato mandato in qualsiasi maniera per la crem. del suo cadavere, interdicendo la cooperazione alla crem. stessa a norma del decreto del 1892. È questa irritazione della volontà del defunto l’unico elemento nuovo della legislazione canonica. – La pena per chi, in qualunque modo, abbia dato disposizione che venga cremato il proprio cadavere, e non l’abbia ritrattata, è a norma del can. 2291 n. 5 e 1240 § 1 e 5, la privazione della sepoltura ecclesiastica, e quindi, a norma del can. 1204, dell’accompagnamento alla Chiesa, delle esequie e della deposizione in luogo sacro.- Conseguentemente il defunto sarà privato di qualunque messa esequiale, anche anniversaria (can. 1241). – La privazione della sepoltura ecclesiastica rimane in vigore come pena, anche se la crem. di fatto non sia eseguita, qualora risulti che il defunto abbia perseverato fino alla morte nel suo proposito di crem. Qualora sia dubbia questa volontà la sepoltura ecclesiastica non viene interdetta. Cosi non viene proibita, se la crem. è eseguita contro la ritrattazione dell’autore o senz’altro contro qualsiasi precedente volontà del defunto; ma occorre allora prevenire lo scandalo, il che potrà ottenersi anche rendendo pubblica la vera volontà del defunto, e occorre ancora seppellire le ceneri, a modo di inumazione di cadavere. L’accompagnamento di un cadavere al forno crematorio può riguardarsi non come un atto di religione, ma come un dovere di civili onoranze e sotto questo aspetto, anche se ci fosse il ministro acattolico, a norma del can. 1258 § 2 sarà lecito. Se negata la sepoltura ecclesiastica, si è chiamato un ministro acattolico, chi lo ha fatto è sospetto di eresia e non può essere ammesso ai Sacramenti, se non dopo aver riparato lo scandalo (risposta del S. Uffizio al vescovo di Linz, 25 febbr. 1926; AAS, 18 [1926], p. 282). – Le società di crem. sono certamente proibite, ma non sub censura a meno che non siano affiliazioni della massoneria. Anche gli acattolici, a norma del c. 12, sono tenuti ad osservare le leggi della Chiesa sulla crem. – Nel giugno del 1926 un’istruzione del S. Uffizio gettava l’allarme su una ripresa della crem., richiamando quasi letteralmente i decreti del 1886 e ribadendo ancora una volta la dottrina della Chiesa. È opportuno però rilevare, a scanso di equivoci, che nel campo puramente disciplinare e rituale: se le circostanze lo richiedessero, la Chiesa potrebbe, senza contraddirsi, cambiare disposizioni. E anche oggi non trova nulla a ridire, qualora la crem. sia richiesta in circostanze straordinarie, come guerra, epidemie ecc. per una certa e grave ragione di bene pubblico, come non trovò nulla a ridire in passato contro la pena di morte, applicata per crem. – Oltre i motivi religiosi, contro la crem., sta un grave argomento di indole sociale, tratto dalla medicina legale, che ha tra i suoi oggetti di studio, il cadavere umano, anche per qualche tempo dopo il suo seppellimento, in seguito ad una morte, che possa apparire violenta o delittuosa. Ora la crem. distrugge con il cadavere una delle eventuali prove del delitto; è dunque anche socialmente pericolosa per una maggiore sicurezza data al delitto.

BIBL.: B. Biondelli, La c. dei cadaveri umani esaminata nella sua ragione morale, religiosa e politica, Milano 1874; J . Matteucci, La crem. dei cadaveri, combattuta nei suoi rapporti storici, chimici, e religiosi, Bologna 1875; A. Guidini, La crem. dei cadaveri nei rapporti igienici e morali, Milano 1875; A. Cadet, Hygiène, inumation, crémation ou incénération des corps, Parigi 1878; A. Rota, È ammissibile la crem. dei cadaveri? Scritti contro la crem., Venezia 1882; A. Chollet, La crémation, in Revue des sciences ecclésiastiques, 54 (1886), pp. 981 sgg. ; A. Besi, Inumazione e c. dei cadaveri, Padova 1886; E. Valton, s. v., in DThC, III, coll. 2310-23; J . Besson, Incinération, in DAFC, II, coll. 628-44; H. Leclercq, Incinération, in DACL, VII, coll. 502-508; E. P. Regatillo, Crematio cadaverum, in Sal Terrae, 17 (1928), pp. 706-13; C. S . , De crematione corporis humani, in Periodica de re mor. can. lit., 18 (1929), pp. 62-82; E. Voosen, De inhumatione, in Collationes Namurcenses, 26 (1932), pp. 349-62; V. Dalpiaz, De cadaverum crematione, in Apollinaris, 17 (1934), pp. 246-54; F. Abba, La crem, Torino 1936; N . lung, Crémation, in DDC, IV coli. 757-62; E. Righi-Lambertini, De vetita cadaverum crematione…, Venegono inf. 1948. –

Pietro Palazzini

MEDICINA . – A favore della crem. sono portati, dai fautori, argomenti d’indole storica, tecnica, igienica, sociale, politica e religiosa. In particolare: 1) L’aggravarsi del problema della sistemazione dei cadaveri nelle sempre più vaste necropoli annesse alle città, crescenti per il fenomeno dell’urbanesimo: così, p. es., mentre nel 1870 il cimitero del Verano a Roma occupava un superfice di 15 ettari, attualmente le aree cimiteriali complessive della città (Verano, Flaminio) e del suburbio coprono ca. 100 ettari. 2) La difficoltà pratica di sistemare il camposanto in condizioni di ubicazione e orientazione tali da riuscire veramente non dannoso alla falda idrica sotterranea per le infiltrazioni nel sottosuolo o in rapporto alla direzione delle correnti atmosferiche dominanti, destinate a convogliare in direzione opposta all’abitato le esalazioni miasmatiche. Quantunque i competenti abbiano chiaramente dimostrato che un cimitero impiantato con tutte le regole dell’igiene non porta alcun danno al vicino abitato, bisogna riconoscere che praticamente non è facile risolvere il problema in maniera soddisfacente e son ben pochi i cimiteri non criticabili dal punto di vista igienico. Però, sia le ragioni addotte dal punto di vista dell’ingombro spaziale sia quelle d’indole igienica, se possono apparire a prima vista di notevole importanza, praticamente si rivelano non preoccupanti. Gli stessi cimiteri hanno una loro vita relativamente breve; pochi anni, al massimo una diecina, compiono nei morti quell’incenerimento che la fiamma produrrebbe in pochi istanti; la vita prepotentemente avanza e mentre la storia mostra che molte città sorsero e molti nuovi fertili campi furono conquistati dall’aratro, dove già i nostri avi trovarono pietosa sepoltura, non ha mai parlato di necropoli che soffocarono o inghiottirono città di viventi. Dal punto di vista igienico è dimostrato l’ottimo potere filtrante esercitato dalla terra sui germi patogeni più pericolosi (vaiolo, colera, tifo, ecc.); è dato d’osservazione che, ogni qualvolta scoppia un’epidemia, le fonti del contagio e della diffusione partono dai vivi e non dai morti; che non si assiste mai a risvegli di vecchie epidemie quando, nel periodo di sviluppo urbanistico del sec. XIX, i vecchi cimiteri furono travolti dal sorgere e dal dilatarsi dei nuovi abitati.

BIBL.: Documentation catholique, 23 (1930, 1), coli. 1363-1406; L . Maccone, Storia documentata della c. presso i popoli antichi e moderni, con speciale riferimento all’igiene, Bergamo 1931; E. Righi-Lambertini, Crem. o inumazione?, in La scuola cattolica, 1946, II , p. 132 sgg.; n i , p. 205 sgg.; 1947, 1, p. 28 sgg. Giuseppe de Ninno.

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Da questo scritto dell’Enciclopedia Cattolica si evince chiaramente che la cremazione è una pratica considerata abominio dalla Chiesa Cattolica, e pertanto proibita, tranne in caso di pubbliche calamità, con pene canoniche come si legge appunto nel Codice Canonico. Giova qui ricordare ai soliti “finti tonti”, gli ignobili e sacrileghi novatori del “conciliabolo roncallo-montiniano”, che il Codex Juris Canon. Pio-Benedettino del 1917 è parte integrante del Magistero della Chiesa Cattolica, quindi irreformabile ed eterno, essendo parte della Lettera Enciclica di S.S. Benedetto XV PROVIDENTISSIMA MATER – Pentecoste del 1917- [BOLLA che promulga il codex juris canonicus “… cui intendiamo attribuire validità perpetua, « promulghiamo il presente Codice, così come è stato redatto, e decretiamo e comandiamo che esso abbia d’ora in poi forza di legge per tutta la Chiesa », e lo affidiamo alla vostra salvaguardia e vigilanza.]. Codici successivi, promulgati da invalide pseudo-autorità [come gli apostati marrani antipapi del Novus Ordo], sono assolutamente invalidi, sacrileghi e blasfemi, parto distocico di lucifero. Pensare quindi semplicemente di essere cremato, costituisce peccato mortale degno del fuoco eterno; la cremazione impedisce addirittura la sepoltura ecclesiastica o in edifici sacri, indice quindi di estromissione dalla Chiesa cattolica, e pertanto sigillo sicuro di dannazione eterna. E chi afferma il contrario, anche se carnevalescamente addobbato con talare di colore porpora, rossa, nera o addirittura bianca, è un eretico, come tale estromesso dalla comunione della Chiesa Cattolica, quindi candidato certo all’eterna cremazione!

 

Permettetemi di portarvi alla Casa di mio Padre…!

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L’Arcibasilica Papale del Santissimo Salvatore

Basilica di San Giovanni in Laterano – Roma

L’Arcibasilica Papale del Santissimo Salvatore, comunemente nota come Arcibasilica di San Giovanni in Laterano. La basilica di San Giovanni in Laterano, o Basilica Lateranense, è la Chiesa Cattedrale della diocesi di Roma e la Sede ecclesiastica ufficiale del Vescovo di Roma, che è il Papa – Gregorio XVIII.

   Queste parole sono utilizzate in riferimento all’Arcibasilica Papale, ed anche se il vero Papa attualmente non è assiso nella sua sede ecclesiastica ufficiale, che è appunto questa Arcibasilica, si suppone che formalmente sia seduto su di essa, che è il suo trono legittimo, defraudato da impostori!

Guarda, Signore, la mia miseria, perché il nemico ne trionfa”. L’avversario ha steso la mano su tutte le sue cose più preziose; essa infatti ha visto i pagani penetrare nel suo santuario, coloro ai quali avevi proibito di entrare nella tua assemblea”. [Lam. I: 9-10]

Essa è la più antica ed è al primo posto tra le quattro basiliche papali o basiliche maggiori di Roma (che possiedono la Cattedra del vescovo di Roma).

La Cattedrale del Papa, L’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano, è denominata la “Chiesa madre” di tutte le chiese non solo nella città di Roma, ma in tutto il mondo.

La grande scritta sulla parte anteriore principale dell’Arcibasilica, riporta: ‘Clemens XII Pont Max Anno V Christo Salvatori In Hon. SS Ioan Bapt et Evang., una sintetica iscrizione latina che significa “Papa Clemente XII, nel quinto anno del suo Regno, dedica quest’edificio a Cristo Redentore, in onore di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista”; Questo perché le cattedrali di tutti i Patriarchi sono dedicate a Cristo Salvatore; la co-dedica a San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, è stata aggiunta secoli più tardi… Come Cattedrale del vescovo di Roma, si propongono pure altre chiese nella Chiesa cattolica, tra cui Basilica di San Pietro. Per questo motivo, a differenza di tutte le altre basiliche romane, essa detiene il titolo di Arcibasilica.

La dedicazione ufficiale

La dedicazione ufficiale della Basilica e l’adiacente Palazzo del Laterano fu presieduta nel 324 da papa Silvestro I, che dichiarava entrambi gli edifici essere “Domus Dei” o “Casa di Dio”. Al suo interno, è stato disposto il Trono papale, rendendola Cattedrale del vescovo di Roma. Nella riflessione della definizione della basilica al primato nel mondo come “Chiesa madre”, le parole: ‘ Sacrosancta Lateranensis ecclesia omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput’ (che significa “Sacrosanta Chiesa in Laterano, la madre e il capo di tutte le chiese della città e del mondo”), sono incise nella parete frontale tra le porte dell’ingresso principale. Il Palazzo del Laterano e la Basilica sono stati consacrati due volte. Papa Sergio III li ha dedicati a San Giovanni Battista nel x secolo in onore del Battistero appena consacrato della Basilica. Papa Lucio II ha dedicato il Palazzo del Laterano e la basilica anche a San Giovanni Evangelista nel XII secolo. Pertanto, S. Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista sono considerati come co-patroni della Cattedrale, essendone Cristo il Salvatore stesso il patrono principale, come indica l’iscrizione all’ingresso della Basilica, secondo tradizione nelle cattedrali patriarcali (che sono dedicate tutte a Cristo stesso).

Preghiamo Dio che il vero Vescovo di Roma, il Santo Padre – Papa GREGORIO XVIII , possa occupare come un tempo, il trono, il suo legittimo trono Santo (che i ladri hanno usurpato).

Hymnus

Caelestis urbs Jerusalem,

Beata pacis visio,

Quae celsa de viventibus

Saxis ad astra tolleris,

Sponsaeque ritu cingeris

Mille angelorum millibus.

O sorte nupta prospera,

Dotata Patris gloria,

Respersa Sponsi gratia,

Regina formosissima,

Christo jugata principi,

Caeli corusca civitas.

Hic margaritis emicant,

Patentque cunctis ostia:

Virtute namque praevia

Mortalis illuc ducitur,

Amore Christi percitus

Tormenta quisquis sustinet.

Scalpri salubris ictibus,

Et tunsione plurima,

Fabri polita malleo

Hanc saxa molem construunt,

Aptisque juncta nexibus

Locantur in fastigio.

Decus Parenti debitum

Sit usquequaque Altissimo,

Natoque Patris unico,

Et inclyto Paraclito,

Cui laus, potestas, gloria

Aeterna sit per saecula.

Amen.

[Inno: Celeste città di Gerusalemme, beata visione di pace, eccelsa, fatta di vive pietre, tu t’innalzi agli astri, incoronata come sposa da mille e mille Angeli! O sposa fedelissima, dotata della gloria del Padre, ricolma della grazia dello Sposo, regina bellissima, unita a Cristo principe, fulgente città del cielo. Di gemme brillano e a tutti sono aperte le sue porte, perché per la virtù dei meriti vi giunge ogni mortale, che per amore di Cristo sostiene tormenti. Le pietre che formano questa mole, son tagliate a colpi di salutare scalpello, e levigate assiduamente col martello, e, bellamente unite insieme, ne adornano il fastigio. * Da ogni parte sia reso l’onore dovuto al Padre Altissimo, al Figlio suo unigenito e all’inclito Paraclito, al quale siano resi lode, potere e gloria per tutti i secoli. Amen.]

sgiovannilaterano

DEDICAZIONE ARCIBASILICA SS. SALVATORE

9 NOVEMBRE.

Fino dall’antichità più remota si solevano consacrare a Dio con particolare solennità i luoghi destinati al culto divino. E’ un fatto questo che troviamo verificato nella storia di tutti i popoli, ma specialmente in quella del popolo d’Israele. Tutti infatti sanno quale fosse la magnificenza e la ricchezza del Tempio di Gerusalemme, e con quale pompa il Re Salomone lo abbia fatto consacrare a Dio. – Anche la Chiesa di Cristo ebbe fin dai suoi inizi i luoghi dedicati al culto: ai tempi dalla predicazione apostolica non erano che camere separate nelle case dei fedeli; in seguito si ebbero vere chiese. Durante le persecuzioni tutte queste chiese furono distrutte ed i cristiani costretti a ritirarsi nelle catacombe. Quando l’Imperatore Costantino il Grande, dopo la vittoria riportata su Massenzio, diede piene libertà ai seguaci del Vangelo (313), questi non risparmiarono fatiche e spese per edificare al Signore templi sontuosi, e numerose e grandiose furono le chiese che vennero fabbricate in quei tempi. Lo stesso imperatore ne diede l’esempio facendo costruire sul Monte Celio a Roma, in luogo dell’antico Palazzo Laterano una magnifica Basilica che fece dedicare al SS. Salvatore. In essa fu edificata una cappella dedicata e S. Giovanni Battista che serviva di Battistero, donde il nome di S. Giovanni in Laterano dato dai cristiani a quella chiesa. Il Pontefice S. Silvestro la consacrò solennemente il giorno 9 novembre e stabilì che le cerimonie da lui seguite in quella circostanza, fossero quelle con cui i cattolici avrebbero dovuto in seguito consacrare i loro templi. – La Basilica del Santissimo Salvatore sia per la sua magnificenza, sia per l’abituale residenza che in essa facevano anticamente i Sommi Pontefici, fu sempre dai cristiani considerata come la principale, la madre e la signora di tutte le chiese del mondo, e perciò, sola fra tutte, viene anche designata col titolo di Arcibasilica. Fin dai tempi di S. Leone Magno la officiava una collegiata di canonici regolari; oggi ai canonici regolari furono sostituiti canonici secolari col titolo di prelati. -Sebbene il Pontefice S. Silvestro, avesse ordinato che gli altari nelle chiese dovessero essere di pietra, tuttavia noi troviamo in questa basilica un altare di legno. Ciò non deve far meraviglia poiché dai tempi da S. Pietro a S. Silvestro, i cristiani solevano celebrare il Santo Sacrificio su altari portatili di legno. L’altare inoltre che fu collocato nella Basilica Lateranense era quello che aveva ordinariamente servito ai Sommi Pontefici nella celebrazione dei Divini Misteri, e correva tradizione che sul medesimo avesse celebrato lo stesso Principe degli Apostoli S. Pietro. Per questo venne posto in quella chiesa e fu nel medesimo tempo ordinato che nessuno, all’infuori del Papa, potesse su di esso celebrare il Santo Sacrificio. La Basilica del Santissimo Salvatore, più volte distrutta durante il percorso dei secoli, fu sempre con sollecitudine ricostruita, e l’ultima sua riedificazione avvenne sotto il Pontificato di Benedetto XIII, che la riconsacrò l’anno 1724. Fu in quest’occasione che venne stabilita ed estesa a tutta la cristianità la festa che oggi celebriamo.

FRUTTO. — Diportiamoci con sommo rispetto nella Casa del Signore, ricordando le parole del Divin Maestro: « La mia casa è casa d’orazione ».

PREGHIERA. — O Dio, che annualmente rinnovi il giorno della consacrazione di questo santo tempio, e per la virtù dei sacri misteri ci conservi incolumi, ascolta la preghiera del tuo popolo, e chiunque entrerà in questo tempio per domandarti favori, si rallegri nel vedere attuati i suoi desideri. Così sia.

 

 

IL MISTERO D’INIQUITA’

IL MISTERO D’INIQUITA’

[p. E. André: La Sainte Église capp. XXII-XXIII]

Cap. XXII

     Dal tempo di san Paolo, alcuni cristiani di Tessalonica, sulla fede di pretese visioni, si erano persuasi che la fine del mondo fosse prossima; e per questo non lavoravano più per vivere, come se queste preoccupazioni fossero ormai superflue. L’apostolo scrisse loro una lettera molto severa, per disilluderli: dice loro che la fine del mondo non è prossima, che sarà preceduta da segni premonitori, in particolare dall’apparizione di un uomo molto cattivo e crudele persecutore della Chiesa, che chiama l’uomo di peccato. Fa allusione ad alcuni insegnamenti che aveva dato loro a viva voce sugli ultimi tempi del mondo, e aggiunge queste parole enigmatiche: “Sapete ciò che impedisce che quest’empio si riveli, cosa che farà nel tempo stabilito. Poiché il mistero d’iniquità già opera nel mondo: che colui che ora lo trattiene, sia tolto di mezzo. Allora sarà rivelato quest’empio, che il Signore Gesù ucciderà con il soffio della sua bocca” (2 Tes II,6-9). Non pretendiamo cercare ciò che l’apostolo intende per questo ostacolo provvidenziale che impedisce la manifestazione dell’uomo di peccato, dell’Anticristo; vogliamo solamente studiare ciò che può essere il mistero d’iniquità a cui fa allusione. – Vi è nel mondo un mistero d’iniquità: questo mistero fa il suo cammino occulto nell’umanità decaduta; poiché è un mistero, cioè un’opera che si trama segretamente. Qual è questo mistero? Esisteva già dai tempi dell’apostolo; cercava di svilupparsi parallelamente all’estensione del regno di Dio. L’apostolo penetrava queste trame infernali, e le denunciava ai fedeli. Lo ripetiamo: qual è questo mistero?- Abbiamo percorso le molteplici forme di errore che circondano e combattono la verità di Dio: una tra queste sarà questo mistero d’iniquità che cerchiamo di scoprire? – Il giudaismo non è il mistero d’iniquità di cui parla l’apostolo: poiché è buono in se stesso, e non è divenuto cattivo che per la sua opposizione alla fede cristiana. È dunque l’idolatria? L’idolatria è un’empietà manifesta: ma, dai tempi dell’apostolo, scompariva di fronte al cristianesimo come la neve si scioglie ai raggi del sole. Il fondo dell’idolatria, è l’ignoranza; non comporta quel dispiegamento di malizia, né quel carattere misterioso che l’apostolo ci segnala. San Paolo avrebbe voluto parlare di alcuni tentativi sordi di eresia e di scisma, che si sarebbero prodotti in mezzo ai primi fedeli? Non lo pensiamo. L’eresia che è una negazione parziale della fede, lo scisma che è una rottura dell’unità, sono, se si vuole, dei misteri d’iniquità: non sono “il” mistero d’iniquità propriamente detto, nel quale bisogna intendere una negazione totale della verità, un’opposizione radicale ad ogni bene, ad ogni pace. – Non abbiamo difficoltà a dire che il maomettismo è fuori questione, poiché l’apostolo parla di un male che esisteva dai suoi tempi e che si tramava sotto i suoi occhi. Avrebbe voluto designare, con un’espressione forte, i cattivi costumi di certi cristiani, che sono per la Chiesa una così dura prova? Evidentemente no. Un cristiano depravato, che comunque conserva la fede, non è precisamente un mostro d’iniquità; è sovente un uomo debole e ignorante. È forse più colpevole di un uomo nato nell’eresia; e tuttavia, secondo la testimonianza di Sant’Agostino, è più facilmente convertibile. La pula interna, dice questo Padre, è più facilmente cambiata in frumento, che la pula esterna. – Quanto al potere secolare, non è ad alcun titolo un mistero d’iniquità: l’apostolo, per primo, lo dichiara buono, utile, onorabile. Se diviene cattivo e nocivo, ciò non tiene per nulla alla sua essenza.- Riassumendo, l’apostolo ha voluto parlare di un male occulto ben diversamente pericoloso rispetto a tutte le forme di errore che abbiamo percorso. Ha voluto designare non so quale virus inoculato nelle vene dell’umanità decaduta, che la lavora, nel quale sono condensati tutti i veleni dell’inferno. Questo male segreto e violento si lega nel suo spirito all’apparizione dell’uomo di peccato, del nemico personale di Gesù Cristo, dell’Anticristo. La manifestazione di costui sarà l’irruzione completa di questo male che avrà covato durante secoli.

***

   Il diavolo dominava nel mondo prima della venuta di Nostro Signore; dominava apertamente e pubblicamente. Quando il Salvatore è apparso, sentì crollare il suo impero. Come quelle bestie selvagge che, all’avvicinarsi del giorno, rientrano nelle loro tane, dovette lasciare il pieno giorno e ritirarsi nel segreto delle conventicole. Sant’Agostino, a cui non è sfuggito nulla, ne faceva la sottolineatura; ci descriveva certi uomini orgogliosi e immondi, che praticavano in segreto riti sacrileghi, sommersi da una curiosità cieca e senza fine. Erano gli stessi che San Paolo aveva visto, quando parlava del mistero d’iniquità che si tramava di nascosto; ne traccia il ritratto nella seconda lettera a Timoteo (2 Tm III); San Giuda e San Pietro ce li descrivono ugualmente. Il grido reiterato di questi apostoli ci fa a sufficienza comprendere la vastità del pericolo: ci sembra vedere la chioccia evangelica battere le ali, richiamando i suoi piccoli perché, sopra di loro, plana lo sparviero. Vediamo che gli apostoli ebbero sovente a che fare con dei maghi: erano gli uomini del diavolo, gli operai del mistero d’iniquità. Il famoso Simone, antagonista di san Pietro, era il corifeo della loro setta infernale. Le sette gnostiche raccolsero questo lievito d’empietà forzata, di malizia tenebrosa. Si concentrò nel Manicheismo, nel quale vediamo le pratiche più immonde allearsi agli errori più grossolani, nel quale si entrava per gradi, grazie a delle iniziazioni successive: cosa che suppone un affinamento della scelleratezza, un vero mistero d’iniquità. –   San Leone Magno che, dopo Sant’Agostino, seguiva con i suoi occhi queste operazioni tenebrose, faceva un’immensa differenza tra il manicheismo e una eresia; per lui il manicheismo era la cloaca di tutti i vizi e di tutti gli errori, era il male (Sermone 16). Questo male orribile non scomparve, come diverse eresie; sembrò continuare per un tempo in quell’Oriente che gli diede i natali. Poi penetrò in Occidente attraverso infiltrazioni segrete. Pietro il Venerabile lo segnala in Pierre de Bruys; San Bernardo lo combatte con dei miracoli; ma resta indistruttibile. Nel XII e XIII secolo, fa irruzione nel sud della Francia e nel nord d’Italia. Gli Albigesi non erano che un ritorno di manicheismo; quanto ai settari italiani, si chiamavano sfacciatamente manichei. –  Più tardi i Templari fecero, ahimè! delle loro dimore santificate dalle benedizioni della Chiesa, dei ripari d’empietà e di abominazioni. Il resto di questi infelici cavalieri fuggirono in Scozia dove continuarono principalmente le loro macchinazioni infernali. Segnaliamo questa filiazione di errori mostruosi, questa propagazione del mistero d’iniquità, prendendo dal buon libro del Padre Deschamps, ed anche da eccellenti articoli, sfortunatamente interrotti, pubblicati su La Croix mensile da Mons. Dutartre. Da allora, un grande e valente vescovo [mgr. Fava] ha indicato i Sociniani come i padri della massoneria contemporanea; questi settari hanno sicuramente una grande affinità con i nostri massoni, nel carattere delle loro negazioni naturaliste e radicali; tuttavia noi non vediamo in loro che un canale della trasmissione delle vecchie sozzure del vecchio mondo; il punto di partenza è ben più indietro. Ci sembra che la massoneria è, alla lettera, la cloaca di tutte le corruzioni dell’umanità; nei riti che impiega, si trova la traccia di tutte le sue origini; vi è per esempio una cerimonia che è esattamente il bema dei manichei, o festa commemorativa della morte di Mani. Come spiegare quest’identità se non con la trasmissione degli errori che noi abbiamo descritta? Comunque sia, è certo che l’azione delle società segrete si mostra in tutte le insurrezioni moderne contro l’autorità della Chiesa; e sono loro che hanno fatto la Ri-voluzione francese, essenzialmente satanica. A questo proposito, menzioniamo un fatto almeno curioso. Nel XV secolo, Pierre d’Ally, cardinale e vescovo di Cambrai, da certi calcoli astronomici, fissava al 1789 la data dell’apparizione dell’Anticristo. [Citiamo Dom Mabillon, nella sua edizione delle opere di San Bernardo. A riguardo di un predicazione di San Norberto, riportata nella sua lettera 45, il sapiente riporta tutte le opinioni e predizioni riguardanti l’Anticristo. Ecco le sue parole a riguardo di Pierre d’Ailly: Petrus de Alliaco, cardinalis et episcopus Cameracensis, ex astronimicis indiciis et observationibus, predixit Antichristus anno Domini 1789 exoriturum]. –  È certo che in quel giorno l’anticristianesimo prese corpo e spaventò il mondo. Oggi, ciascuno sa l’opera delle società segrete. Cercano dappertutto di impadronirsi dei poteri pubblici, e sferrano contro la Chiesa una guerra ipocrita e perfida, una guerra a morte. Lavorano ad abbracciarla in un insieme di leggi sacrileghe; e contano in un dato momento di soffocarla. – Tutte le misure sono prese, diceva un giorno il principe N… a Mons. M…; se la Chiesa vi sfugge, io mi converto, poiché è divina. – Principe, preparate il vostro atto di fede, rispose tranquillamente il vescovo. Da quando il nostro Santo Padre il Papa Leone XIII ha denunciato la massoneria in una recente enciclica [Humanum genus, 1884], con così tanta gravità, forza, e moderazione in questa stessa forza, nessun credente negherà più che non sia essa il mistero d’iniquità. 

Capitolo XXIII

I Due Campi

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      Le società segrete preparano alla Chiesa una suprema prova, un supremo combattimento, un supremo trionfo. Esse sono l’opera per eccellenza dello spirito delle tenebre e del male. Sono l’antagonista irreconciliabile della Chiesa, regno di pace e di luce. Nemiche di ogni bene, cercano di realizzare il male allo stato puro; così la loro ultima parola è il nichilismo. – La Chiesa e la massoneria sono dunque i due poli opposti: se ci si permette di improntare queste parole alla scienza, diremo che la Chiesa è il polo positivo, e la massoneria il polo negativo. Tra essi fluttuano le società, nelle quali a fianco del male vi sono dei resti del bene: li abbiamo enumerati, sono il giudaismo, l’idolatria, il maomettismo, le eresie e gli scismi. Ora ecco il fenomeno che si produce. Queste società intermediarie si disgregano sotto l’azione opposta dei due poli contrari: una parte dei loro elementi ritorna al bene completo e alla Chiesa; il resto, terminando di corrompersi, passa alla massoneria, che è la negazione assoluta.-  Quando la disgregazione sarà consumata, non resteranno più al mondo che le due potenze: ci sarà allora la lotta, lotta ad oltranza, lotta che terminerà, grazie ad un intervento personale di Nostro Signore, con una vittoria della sua Chiesa. E sarà la fine dei tempi.

***

   Ora, è incontestabile che la separazione del mondo in due campi ben definiti si opera rapidamente. Percorriamo, per convincercene, le diverse società religiose o piuttosto le false religioni. – Il giudaismo è oggi in uno stato caratteristico. La scomparsa della politica cristiana gli ha lasciato prendere nel mondo una preponderanza ben degna di attirare l’attenzione degli animi seri. La politica cristiana, ispirandosi al dato della fede, si comportava in rapporto al giudaismo, come Dio si comportava in rapporto a Caino. Da un lato lo escludeva dai diritti civili e politici, sapendo bene che il suo odio deicida non ha abdicato; e dall’altra, sapendo che dovrà un giorno convertirsi e compiere grandi cose per Dio e il suo Cristo, lo proteggeva e non permetteva che si cercasse di annientarlo. I Giudei restavano dunque confinati nei loro ghetti, rendendo testimonianza a loro modo al Salvatore che hanno crocifisso; ma né politicamente, né socialmente, potevano mischiarsi al popolo cristiano. –  Oggi tutto è cambiato. La rivoluzione ha dato loro spazio nel grande giorno. Ha loro conferito i diritti civili e politici. Da quel momento i Giudei, che l’attaccamento di Dio ha dotato di un genio superiore a quello degli altri popoli, hanno preso facilmente la superiorità sui cristiani degenerati e apostati. Si sono sparsi dappertutto; e in questo momento tengono il mondo legato ai loro fili, con l’alta finanza e con la direzione del giornalismo che si sono accaparrata. Ora, non è meno certo che tengano in mano i fili delle società segrete. Vi è, pare, una loggia misteriosa, esclusivamente composta da Giudei, che è il centro di tutte le ramificazioni tenebrose della massoneria; ed è là, come in un sinedrio d’inferno, che matura il piano di guerra contro la Chiesa, che si preparano i colpi che le sono inferti. E, mentre il giudaismo forma il nocciolo dell’anticristianesimo, si produce tra i Giudei una contro-corrente che porta delle conversioni in una proporzione incredibile fino ai nostri giorni. Questi Giudei convertiti diventano ardenti proseliti; si ricordano tra loro il venerabile Libermann di cui si spera la beatificazione prossima, il padre Hermann, i fratelli Ratisbonne e i fratelli Lémann.- Gli scismi e le eresie subiscono ugualmente una crisi, e volgono visibilmente al loro declino come forme di società religiose. Il razionalismo ha toccato questi separati, e li ha messi in condizione di rientrare nella Chiesa o di perdere completamente la fede. Il protestantesimo non è più che una catapecchia aperta a tutti i venti; scricchiola da tutte le parti; quelli che si credevano al sicuro si salvano alla bell’e meglio, e molti si rifugiano nella Chiesa come nella casa costruita sulla roccia. Ogni giorno si segnalano delle conversioni numerose; ed è così che l’America e l’Inghilterra passano al cattolicesimo a vista d’occhio. C’è da sottolineare, d’altronde, che la fine delle eresie è meno impregnata di malizia che l’inizio. I figli degli eretici non ereditano necessariamente le negazioni dei loro padri, a almeno la loro repulsione ostinata per la verità. Sono cristiani, essendo battezzati; possono vivere lungo tempo nella fede e nella buona fede; per l’inclinazione del loro battesimo, sono portati ad abbracciare la verità che viene loro presentata. Infine Dio tiene questi popoli separati con dei legami segreti, che in un dato momento li attirano alla Chiesa. Diamo qualche esempio: La Chiesa anglicana ha sempre conservato, nella sua separazione da Roma, un culto estremo per l’antichità e per la scienza ecclesiastica. Bossuet sottolineava questo segno, e scriveva nel libro VII delle sue Variations: “Una nazione così sapiente non resterà tanto tempo in questo abbaglio. Il rispetto che essa conserva per i Padri, e le sue continue curiose ricerche sull’antichità la riporteranno alla dottrina dei primi secoli. Non posso credere ch’essa persista nell’astio che ha concepito contro la cattedra di Pietro dalla quale ha ricevuto il cristianesimo.” Ciò che prediceva Bossuet duecento anni fa si realizza oggi. Si leggano le lettere del padre Faber, la Storia della mia conversione del Card. Newman, il Trattato dello Spirito Santo del Card. Manning, e ci si convincerà che è stato il loro rispettoso amore per l’antichità a ricondurre questi grandi uomini all’abbraccio della Chiesa vera, dove innumerevoli anime le hanno seguite. Per quanto riguarda la Chiesa greca, vi è un altro motivo di speranza. Questi poveri scismatici hanno per la Santa Vergine un amore che potrebbe far arrossire molti cattolici; ed è questo culto ardente che sarà per essi la via della vita, il cammino del ritorno. In questo momento, dei grandi scuotimenti si producono nella Chiesa orientale; il riavvicinamento a Roma s’accentua di più in più. Quanto alla Chiesa russa, l’aurora ahimè! Non è ancora per lei. E tuttavia il vasto impero dei tartari è sottomesso, per il lavoro segreto del nichilismo, all’eventualità di una rivoluzione terribile, i cui termini potrebbero ben essere un ritorno collettivo al cattolicesimo. Si hanno dei dati certissimi, dai quali Alessandro I è morto cattolico; e sarebbe sufficiente la conversione dello zar per trascinare quella del popolo. [Queste previsioni purtroppo non hanno avuto luogo – ndr. -] Riassumendo, tutte le comunioni separate da Roma, minate dalla massoneria, attaccate frontalmente dal razionalismo, non possono tenere a lungo sul terreno della separazione; occorre e occorrerà che i loro adepti che vogliono conservare la fede rientrino nell’imprendibile fortezza che è la Chiesa Cattolica. – I maomettani non possono essere confusi con i cristiani dissidenti; racchiudono un fondo di anticristianesimo che li rende irriducibili e inconvertibili. Tuttavia, quale sorprendente sintomo si produce a Costantinopoli? Dei Turchi vengono a pregare Nostra Signora di Lourdes dai benedettini di Féri-Kéui e sono guariti; le nostre suore di carità sono trattate con venerazione da questi infedeli; la processione del Corpus Domini attraversa le strade solennemente. Evidentemente, il fanatismo turco è ben crollato. E se i mussulmani in massa resistono alla fede, non possiamo sperare che almeno alcuni l’accetteranno? D’altronde il mondo mussulmano attraversa un periodo critico. L’egemonia turca è contestata. Vi sono dei sordi tentativi di rivolta che giungeranno a rendere l’autonomia ai paesi curvati sotto la dominazione del sultano. Allora che accadrà? Non si realizzerà la predizione di Joseph de Maistre che annuncia un “Te Deum” a Santa Sofia prima della fine del secolo? – Resta l’idolatria. È un fatto generalmente rimarcato, che gli infedeli ricevono i nostri missionari con una benevolenza semplice e sincera; ma si trova tra di loro una setta che diventa il covo della resistenza al Vangelo. E questa setta è una vera massoneria. I missionari l’hanno segnalata nei punti più opposti del globo. Ascoltiamoli. “In Cina, dice M. Pourias (Annales di novembre 1882), questi massoni si chiamano Kiang-Fou; terrorizzano il paese con delle bande armate, commettono ogni sorta di eccessi possibili, e sono i nemici dei missionari.” Nel cuore dell’Africa, scrive il Padre Lutz (Annales di luglio 1883), si chiamano Simos. Di aspetto sornione e feroce, i denti limati a punta, sono tra loro legati da terribili giuramenti; fanno subire ai loro iniziati delle prove che sono rivoltanti torture; hanno delle riunioni notturne, dove non temono di mangiare carne umana, e entrano in comunione col diavolo; il loro odio per i missionari è istintivo e irreconciliabile. Il missionario aggiunge: “Questa associazione è la massoneria africana. Un lavoro da fare, per i missionari, sarà quello di comparare le diverse società segrete del mondo civilizzato e non civilizzato, di far emergere l’analogia impressionante che esiste tra esse, e di là provare ch’esse hanno lo stesso fondatore e lo stesso capo. Se vi è una differenza, non è che nella forma. Il diavolo, ad imitazione di Dio, si fa tutto a tutti, Dio per salvare le anime, lui per dannarle. In Europa, prende l’aria di un gentiluomo; in Africa, dove può agire liberamente, si mostra qual è, selvaggio e brutale.” – Così, è avverato il fatto che l’idolatria posa la sua principale resistenza alla fede nell’arsenale delle società segrete. Esse sono dunque il nemico, il nemico capitale, e presto l’unico nemico.

   ***

   Questa è in effetti la conclusione che emerge da questo sguardo sul mondo. Il giudaismo tiene le fila e organizza le ramificazioni della massoneria. Gli scismi e le eresie, con le loro parziali negazioni, sono superati dalla negazione totale che è la parola d’ordine delle sette, e non possono più mantenere la loro attitudine ambigua tra la fede e la incredulità consumata. Il maomettismo è minacciato di soccombere in un cataclisma. L’idolatria, impotente a resistere in pieno giorno contro le luci del Vangelo, si ritira nelle caverne delle società segrete. Tutti questi occupano il mondo intero, e costituiscono una sorta di cattolicità del male opposta alla cattolicità del bene. All’inverso delle eresie, degli scismi, del maomettismo stesso, il cui veleno perde ogni giorno la sua forza, queste società segrete non cessano di crescere in malizia come in audacia infernale: si avverte che si appropriano di tutta l’iniquità del mondo, e preparano così l’apparizione mostruosa di colui che San Paolo chiama: l’uomo di peccato.

Scomunica e censura: nota da meditare attentamente!

Scomunica [da: Enciclopedia cattolica]

Il CIC definisce la scomunica (sc.) [2257, par.1]: “la censura che esclude il punito dalla comunione dei fedeli e che produce gli effetti elencati nei canoni seguenti” (cann. 2258 – 67). Ma la separazione dello scomunicato dalla comunione dei fedeli è più un ricordo del passato che una realtà effettiva: il vescovo scomunicato, ad es., continua ad essere il capo della propria diocesi con tutti i diritti inerenti.

Scomunica: Effetti. – Neppure è esatto che la scomunica produce effetti inseparabili e che essi vengono elencati nei cann. 2258-67. Gli effetti della scomunica sono molteplici e vengono sanciti in numerosi canoni, che non fanno parte del diritto penale. Essi poi sono più o meno gravi, secondo che la scomunica sia semplicemente incorsa, divenga notoria, sia inflitta o dichiarata con sentenza o decreto penale; gravissimi se lo scomunicato viene dichiarato « vitando ». A qualsiasi scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2°; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico;) usufruire di un privilegio ecclesiastico; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa;

1) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. Egli non partecipa delle indulgenze, suffragi e preghiere pubbliche della Chiesa. Se viola la censura, ponendo un atto di ordine, riservato ai chierici in sacris, diviene irregolare (can. 985, n. 70 ) . Se poi persiste per un anno intero nella contumacia, è sospetto di eresia (can. 2340 §1), a tutti gli effetti di legge. Se il fedele è notoriamente incorso nella s. non può lecitamente fungere da padrino nel Battesimo (can. 766, n. 20) e nella Cresima (can. 796, n. 30 combinato col can. 766, n. 2°); inoltre non può essere scusato dall’osservanza della censura per evitare l’infamia (can. 2232 §1, ultimo comma ) , né assolto dal semplice confessore, nei casi urgenti, dalla censura, se riservata, a norma del can. 2254 §1, primo comma; infine gli deve essere impedita l’assistenza attiva agli Uffici divini (can. 2259 § 2, ultimo comma) . Se poi è stato scomunicato o dichiarato tale con sentenza o precetto penale non può lecitamente ricevere neppure i sacramentali (can. 2260 §1, secondo comma); validamente fungere da padrino nel Battesimo o nella Cresima, essere nominato arbitro ( can. 1931, primo comma) , esercitare il diritto di elettorato attivo, presentazione o designazione, porre atti di giurisdizione (can. 2264, secondo comma), ottenere una grazia pontificia, se nel rescritto non viene fatta menzione della s.: perde la capacità di conseguire dignità, uffici, benefici ed incarichi nelle Chiese, di ottenere pensioni ecclesiastiche (can. 2265 § 1, 2° combinato col § 2 ), e di acquistare il diritto di patronato (can. 1453 § 1, ultimo comma ). Inoltre egli rimane privato dei frutti della dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi, se ne abbia precedentemente conseguito qualcuno (can. 2266). Personalmente può stare in giudizio solo per impugnare la giustizia o la legittimità della s. inflittagli; per mezzo di un procuratore per scongiurare un pericolo che sovrasti al bene della sua anima; nel resto è privo della capacità processuale (can. 1654,§ 1) . Se muore, senza aver dato segni di penitenza, gli deve essere negata la sepoltura ecclesiastica (can. 1240 § 1, 2°) con tutte le conseguenze di legge (can. 1241). E se, nonostante tale divieto, egli viene seppellito nel luogo sacro, questo rimane profanato (can. 1172 §1, 4° e 1207). Allo scomunicato « vitando » infine, cioè a colui che sia stato dichiarato tale in una sentenza o decreto di condanna, pronunciati dalla S. Sede e pubblicati nelle forme stabilite dalla legge, e al reo di ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2258 § 2), deve essere impedito di assistere alla sacre funzioni, e se riesce impossibile allontanarlo, queste ordinariamente non possono aver luogo o essere continuate (can. 2259, § 2, I comma). – Egli rimane privato non solo dei frutti, ma delle stesse dignità, benefici, uffici o incarichi ecclesiastici (can. 2266, ultimo comma) . È permesso aver relazioni con lui nelle cose di ordine temporale solo ai genitori, al coniuge, ai figli, ai dipendenti e a coloro che abbiano un giusto motivo di farlo (can. 2267). Gravi pene sono comminate ai suoi correi, complici, e ai chierici, che lo ammettono alle sacre funzioni (can. 2338 § 2) .

2 . Comparazioni con le altre censure. — È facile cogliere le profonde differenze tra la scomunica e le altre censure: l’interdetto e la sospensione. La prima esclude il punito dalla comunione dei fedeli, sia pure nei limiti indicati di sopra; il secondo invece vieta soltanto alcuni atti della comunione, i quali sono diversi a seconda della specie dell’interdetto; la sospensione poi, i cui effetti sono separabili e quasi sempre separati, proibisce soltanto l’esercizio della potestà ecclesiastica, inerente all’ufficio o beneficio. Inoltre la s. è sempre censura, mentre l’interdetto e la sospensione possono essere anche pena vendicativa (v .). Infine la s. può colpire soltanto le persone fisiche, pertanto se viene inflitta ad un corpo morale soltanto i singoli colpevoli sono tenuti a sottostare ad essa. Invece la sospensione può colpire sia una persona fisica che morale collegiale e l’interdetto anche un luogo (can. 2255 § p. 2) .

  1. Riserva e assoluzione della scomunicaNel CIC sono comminate 37 scomuniche, di esse sono riservate alla S. Sede 4 “specialissimo modo”, 11 “speciali modo”, 11 simpliciter, all’Ordinario 6 e 5 non sono riservate. – Le prime colpiscono i seguenti gravissimi delitti: 1) profanazione delle Sacre Specie (can. 2320); 2) ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2343 § 1°); 3) assoluzione del complice nel peccato d’impudicizia semplice o qualificata (can. 2367); 4) violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 2369 § 1, comma 1). Le seconde ordinariamente sono comminate ai rei di delitti contro la fede o che comunque fanno presumere la mancanza di fede nel colpevole, e in specie dei seguenti: 1) apostasia, eresia e scisma (can. 2314); 2) edizione, difesa, ritenzione e lettura dei libri che propugnano l’apostasia o lo scisma (can. 2318 §1); 3) simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote (can. 2322, n. 1°); 4) ricorso al concilio universale avverso leggi, decreti e ordini del Sommo Pontefice [in “Execrabilis” –ndr.-] (can. 2332 ); 5) ricorso al potere secolare per impedire l’emanazione, la promulgazione o l’esecuzione di atti della S. Sede o dei suoi legati (can. 2333); 6) emanazione di leggi, ordini o decreti lesivi della libertà o dei diritti della Chiesa; l’impedire, facendo ricorso al potere secolare, l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica (can. 2334); 7) il convenire davanti ad un giudice laico un cardinale, un legato della S. Sede, un ufficiale maggiore della Curia Romana (assessori, segretari, sottosegretari o sostituti delle SS. Congregazioni ed altri prelati ad essi equiparati) per atti del loro ufficio, e il proprio Ordinario (can. 2341,1 comma); 8) ingiuria reale sulla persona di un cardinale o di un legato del Sommo Pontefice (can. 2343 § 2, 1°); 9) usurpazione o detenzione di beni o di diritti della Chiesa Romana (can. 2345); 10) contraffazione o alterazione di lettere, decreti o rescritti della S. Sede ed uso doloso di essi (can. 2360 § 1 ) ; 11) calunniosa denunzia ai superiori di un confessore per sollecitazione (can. 2363).

Le simpliciter riservate colpiscono i seguenti delitti: 1) traffico sacrilego delle indulgenze (can. 2327); 2) iscrizioni alla massoneria o ad associazioni affini [es. Rotary e Lion etc. –ndr.- ) (can. 2335); 3) assoluzione, data con dolo senza la necessaria facoltà, di una scomunica riservata specialissimo o speciali modo alla S. Sede (can. 2338 § 1) ; 4) correità o complicità in un delitto per cui uno viene dichiarato scomunicato « vitando », sua ammissione a prendere parte agli uffici divini o comunicazione in divinis con lui, consapevole e spontanea da parte di un chierico (can. 2338 § 2) ; 5) il convenire davanti ad un giudice laico un vescovo che non sia il proprio Ordinario, un abate o prelato nullius, o un superiore generale di un istituto religioso di diritto pontificio (can. 2341, comma 11); 6 ) violazione della clausura delle monache o dei regolari e illegittima uscita delle prime dal monastero (can. 2342, nn. 1 °, 2 °, 30); 7) usurpazione o distrazione di beni ecclesiastici (can. 2346) ; 8) duello (c a n. 2351 § 1); 9) Matrimonio attentato da chierici in sacris (vescovi, sacerdoti, diaconi, suddiaconi), e da regolari o monache che abbiano emesso la professione solenne (can. 2388 § 1); 10) simonia circa gli uffici, i benefici e le dignità ecclesiastici (can. 2392, n. 1°); 11) sottrazione, distruzione, occultamento o alterazione di un documento appartenente alla Curia vescovile (can. 2405). – Sono riservate all’Ordinario le scomuniche comminate contro i seguenti delitti: 1) celebrazione del matrimonio misto davanti ad un ministro acattolico, patto concluso nell’unirsi in matrimonio di educare la prole fuori della Chiesa, di far battezzare i figli da ministri a cattolici, e di educarli nella religione acattolica (can. 2319, nn. 1°- 4°); 2) fabbricazione, vendita, distribuzione ed esposizione alla pubblica venerazione di false reliquie (can. 2326); 3) ingiuria reale sulla persona di un chierico o di un religioso, non costituito in una delle dignità, di cui ai §§ 1-3. Certo ci vuole un po’ di pazienza per districarsi tra i canoni, ma chi vuole vedere, ne ha abbastanza per farsi un’idea chiara di censure e scomuniche.

– Ecco che allora i sedicenti “tradizionalisti” scismatici, eretici gallicani e sedevacantisti, rientrano nella categoria « riservate “speciali modo”», sia per scisma ed eresia, [p. 1], sia [p. 3] per “simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote [come i non-preti lefebvriani e sedevacantisti, che non hanno alcun mandato canonico, non sono mai stati ordinati validamente da “non-vescovi” senza giurisdizione e senza mandato pontificio], i non-fedeli scismatici perché partecipanti ad un falso culto! Per i modernisti ecumenisti della “chiesa dell’uomo, ugualmente c’è scomunica per eresia manifesta o anche apostasia, e per il punto 4), che scomunica tutti gli aderenti al falso concilio c.d. Vaticano II secondo la bolla “Execrabilis”. Tutti coloro che rientrano in queste categorie di scomunicati, sono formalmente fuori dalla Chiesa Cattolica, e per salvarsi in eterno hanno bisogno in assoluto della rimozione delle censure, cosa che, tranne che in “articulo mortis”, può essere ottenuto solo dal Santo Padre (Gregorio XVIII) o da un suo delegato. Questi sono i canoni e le leggi della Chiesa cattolica, piaccia o meno. Chi vuole salvare l’anima in eterno deve attenersi scrupolosamente ad essi, entrare o rientrare ad ogni costo nella Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, nella quale solo c’è salvezza.

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Haec est fides catholica, quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit, salvus esse non poterit” – “ Quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit, absque dubio in æternum peribit”. [Symbol. di S. Atanasio] e per chi fa finta di non conoscere il latino: “Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente” – “colui che non la conserva integra ed inviolata, perirà senza dubbio in eterno”.

Ragazzi, svegliatevi prima che giunga il Padrone della casa, altrimenti sarete buttati fuori al buio e li … sarà pianto e stridor di denti!

Enciclica MIRARI VOS: una boccata di Cattolicesimo puro.

Il Magistero della Chiesa è l’unica fonte di verità per questi nostri funesti tempi di spirituale sovversione. I falsi pastori attuali, hanno abiurato ed apostatato vergognosamente professando dottrine e novità deliranti, dal conciliabolo detto Vaticano II in poi, con perdite innumerevoli di anime, sprofondate così nel fuoco eterno della perdizione. Oggi che si respira tanfo abominevole di eresia come il gas di scarico del traffico cittadino dell’ora di punta, e proprio nei templi una volta popolati da Ministri cattolici, abbiamo bisogno di respirare aria pura di montagna, spiritualmente parlando. L’unico contenitore di questa aria pura spirituale, salutare “bombola” di ossigeno con maschera antigas, oltre alla Scrittura divina correttamente interpretata dai Padri della Chiesa, è il Sacro Magistero dei Sommi Pontefici e dei XX Concili ecumenici radunati sotto la guida di un Papa vero e legittimo. Tra gli scritti magisteriali abbiamo tratto dal tesoro della Chiesa, una “perla” di inestimabile valore per l’anima di un cristiano e per la salvezza eterna, la lettera Enciclica “Mirari vos” di S. S. Gregorio XVI, Mauro Cappellari, del 15 agosto dell’anno 1832. Rileggendola si vede come l’attuale ideologia modernista è esattamente agli antipodi del contenuto dell’enciclica, il che fa capire chiaramente come sul trono di Pietro ci sia il vicario del “truffaldino menzognero”, il servo del “cornuto”. Quel che stupisce è la totale ignoranza dei sedicenti cattolici-modernisti di ogni livello, realizzando così le profezie di Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”[Is. V, 20] e … “Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito”[Is. VI, 9-10] – Siamo proprio giunti nel tempo in cui … “… il Signore ha versato su di voi uno spirito di torpore, ha chiuso i vostri occhi, ha velato i vostri capi” [Is. XXIX-10]. E allora si rallegri la nostra anima alla lettura della parola del Vicario di Cristo, essa che è PAROLA DI DIO infallibile ed irreformabile. – Tra le idiozie ed i deliri modernisti attualmente sbandierati, si condanna apertamente e senza appello l’indifferentismo, la libertà di coscienza, la libertà di stampare ogni bestialità, il libero pensiero senza controllo del tasso alcoolemico, la libertà di culti eretici, falsi, idolatri e pagani, il disprezzo delle cose sacre, l’autorità della Chiesa contestata, il mutamento della dottrina eterna, l’aggiornamento alle esigenze attuali, la perversione matrimoniale, la salvezza fuori dalla Chiesa cattolica, … ma d’altra parte oggi la religione è gestita da non-vescovi, non-preti, non-papi, mai validamente consacrati o eletti, da burattini senza sigillo sacerdotale nell’anima … cosa potremmo mai aspettarci? Solo il castigo oramai incombente ci potrà liberare da questi servi di beliaal. Intanto, tra una prece e l’altra, godiamoci questa ventata di aria pura, una boccata di santo Cattolicesimo. Buona lettura.

ENCICLICA

”MIRARI VOS”

DI S. S. GREGORIO XVI

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AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

GREGORIO PP. XVI SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Non riteniamo che voi vi meravigliate perché, da quando è stato imposto alla Nostra pochezza l’incarico del governo di tutta la Chiesa, non vi abbiamo ancora indirizzato Nostre lettere, secondo la consuetudine introdotta fin dai primi tempi e come la benevolenza Nostra verso di voi avrebbe richiesto. Era questo per la verità uno dei Nostri più vivi desideri: dilatare senza indugio sopra di voi il Nostro cuore, e parlarvi in comunione di spirito con quella voce con la quale nella persona del Beato Pietro fu divinamente ingiunto a Noi di confermare i fratelli (Lc XXII,32). Ma voi ben sapete per quale procella di mali e di calamità fin dai primi momenti del Nostro Pontificato fummo d’improvviso balzati in un mare così tempestoso, che se la destra del Signore non avesse testimoniato la propria virtù, avreste dovuto per la più perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostro fatale sommergimento. L’animo rifugge dal rinnovare con l’amara esposizione di tanti infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e piuttosto Ci piace innalzare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il quale con la dispersione dei ribelli Ci trasse dall’imminente pericolo e sedata la furiosa tempesta Ci fece respirare. Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi le Nostre idee relative al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che sopraggiunse per conciliare il ristabilimento dell’ordine pubblico pose un ostacolo alla realizzazione del Nostro proposito. – Un nuovo motivo per tenerci silenziosi giunse dalla insolenza dei faziosi, che tentarono di alzare nuovamente il vessillo della fellonia. Vero è che, vedendo Noi che la lunga impunità e la costante Nostra benigna indulgenza, anziché ammansire, alimentavano piuttosto lo sfrenato furore dei ribelli, dovemmo infine, sebbene con acerbissimo dispiacere, ricorrere alle armi spirituali (1Cor IV, 21) per frenare tanta loro pervicacia, valendoci dell’autorità conferitaci a tal fine da Dio: ma da questo appunto potete agevolmente comprendere quanto più laboriosa e pressante sia resa la Nostra quotidiana sollecitudine. – Ma giunti finalmente, secondo il costume dei Predecessori, a prendere nella Nostra Basilica Lateranense quel possesso che per le citate ragioni avevamo dovuto differire, troncato ogni indugio Ci rivolgiamo sollecitamente a voi, Venerabili Fratelli, e quale testimonianza della Nostra volontà vi indirizziamo questa Lettera fra l’esultanza di questo giorno lietissimo, in cui festeggiamo il trionfo della Vergine Assunta in Cielo, onde Ella, che fra le più dolorose calamità Noi sperimentammo sempre Avvocata e Liberatrice, tale pure Ci assista propizia nello scrivere a voi, e con la sua celeste ispirazione fecondi la Nostra mente di quei consigli che siano sommamente salutari per il gregge cristiano. – Dolenti invero, e col cuore sopraffatto dall’amarezza, veniamo a voi, Venerabili Fratelli, che, atteso il vostro zelo ed il vostro attaccamento alla Religione, ben sappiamo essere sommamente angustiati per l’acerbità dei tempi in cui essa versa miseramente, poiché davvero potremmo dire che questa è l’ora delle tenebre per vagliare come grano i figli di elezione (Lc 22,53). A ragione si può ripetere con Isaia: “Pianse, e la terra avvelenata dai suoi abitanti scomparve, perché avevano mutato il diritto, avevano rotto il patto sempiterno” (Is XXIV,5). – Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune. Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. – Viene disprezzata la santità delle cose sacre: e l’augusta maestà del culto divino, che pur tanto possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori d’ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al sicuro di fronte all’ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. Bersaglio di incessanti, durissime vessazioni è fatta questa Nostra Romana Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù Cristo stabilì la base della Chiesa; i vincoli dell’unità di giorno in giorno maggiormente s’indeboliscono e si sciolgono. La divina autorità della Chiesa viene contestata e, calpestati i suoi diritti, si vuole assoggettarla a ragioni terrene; con suprema ingiustizia si vuole renderla odiosa ai popoli e ridurla ad ignominiosa servitù. Intanto s’infrange l’obbedienza dovuta ai Vescovi, e viene conculcata la loro autorità. Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove un’orribile e nefanda guerra. Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl’insegnamenti viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati ampiamente il guasto della Religione ed il funestassimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono ferme la forza e l’autorità di ogni dominazione, si vedono aumentare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma una congerie così enorme di disavventure si deve in particolare attribuire alla cospirazione di quelle Società nelle quali sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v’ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette più scellerate. – Queste cose, Venerabili Fratelli, ed altre forse più gravi che al presente sarebbe troppo lungo annoverare e che voi ben conoscete Ci addolorano, di un dolore tanto più acerbo e continuo in quanto, posti sulla cattedra del Principe degli Apostoli, Ci sentiamo obbligati a tormentarci più di ogni altro dallo zelo per tutta la Casa di Dio. Ma scorgendoci collocati in una sede ove non basta piangere soltanto queste innumerabili sciagure, ma occorre compiere ogni sforzo per procurarne l’estirpamento, ricorriamo a tal fine al sussidio della vostra Fede, ed eccitiamo la vostra sollecitudine per la salvezza del gregge cattolico, Venerabili Fratelli, la cui specchiata virtù, religione, prudenza ed assiduità Ci danno coraggio, ed in mezzo all’afflizione che Ci cagionano circostanze così disastrose, dolcemente Ci confortano e consolano. – È Nostro obbligo, infatti, alzare la voce e tentare ogni prova, perché né il cinghiale della selva devasti la vigna, né i lupi rapaci piombino a fare strage del gregge. A Noi spetta guidare le pecore soltanto a quei pascoli che siano per esse salubri, e scevri d’ogni anche lieve sospetto d’essere dannosi. Dio non voglia, o carissimi, che mentre premono tanti mali e tanti pericoli sovrastano, manchino al proprio ufficio i Pastori che, colpiti da sbigottimento, trascurino le pecore o, deposta la cura del gregge, si abbandonino all’ozio ed alla pigrizia. Trattiamo anzi, perciò, nell’unità dello spirito la comune causa Nostra, o per meglio dire la causa di Dio, e contro i comuni nemici si abbiano per la salute di tutto il popolo la medesima vigilanza in tutti e il medesimo impegno. – Ciò poi adempirete felicemente se, come esige la ragione del vostro incarico, attenderete indefessamente a voi stessi e alla dottrina, richiamando spesso al pensiero che “la Chiesa Universale riceve l’urto di ogni novità” ( S. Celstino Papa, Ep. 21 ad Episc. Galline) e che, secondo il parere del Pontefice Sant’Agatone, “delle cose che furono regolarmente definite, nessuna dovessi diminuire, nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse debbono essere custodite intatte nelle parole e nei significati” (S. Agatone papa, Ep. ad Imp.). Integra rimarrà così la fermezza di quella unità che ha il proprio fondamento e si esprime in questa Cattedra di Pietro, donde appunto derivano su tutte le Chiese i diritti della veneranda comunione e dove tutte “possono rinvenire muro di difesa e sicurezza, porto protetto dai flutti e tesoro d’innumerevoli beni” (S. Innocenzo Papa, Ep. II). A rintuzzare pertanto la temerità di coloro i quali adoperano tutti i mezzi o per abbattere i diritti di questa Santa Sede, o per sciogliere il rapporto delle Chiese con la stessa (rapporto in forza del quale esse hanno fermezza, solidità e vigore), inculcate il massimo impegno di fedeltà e di venerazione sincera verso la stessa Sede, facendo chiaramente intendere con San Cipriano che “falsamente confida di essere nella Chiesa chi abbandona la Cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la Chiesa” (San Cipriano, De unitate Ecclesiae). – A tale obiettivo debbono perciò tendere i vostri travagli, le vostre cure sollecite e l’assidua vostra vigilanza, affinché gelosamente sia custodito il santo deposito della Fede in mezzo all’infernale cospirazione degli empi, che con Nostro estremo cordoglio vediamo intenta a derubarlo e a perderlo. Si ricordino tutti che il giudizio intorno alla sana dottrina da insegnare ai popoli, non meno che il governo ed il giurisdizionale reggimento della Chiesa sono presso il Romano Pontefice, “a cui fu conferita da Gesù Cristo la piena potestà di pascere, reggere e governare la Chiesa universale” (Conc. Flor., sess. 25) come dichiararono solennemente i Padri del Concilio di Firenze . È poi obbligo di ogni Vescovo tenersi fedelissimamente attaccato alla cattedra di Pietro, custodire santamente e scrupolosamente il deposito della Fede, e pascere il gregge di Dio affidatogli. I Sacerdoti debbono stare soggetti ai Vescovi i quali, avverte San Girolamo [S. Girolamo, Ep. 2 ad Nepot. a. I, 24], devono essere considerati dagli stessi come “padri della loro anima“: né si dimentichino mai che anche dagli antichi Canoni è loro vietato d’intraprendere azione alcuna nel sacro Ministero, e di assumersi l’ufficio d’insegnare e di predicare “senza il consenso del Vescovo a cui il popolo fu affidato ed al quale si domanderà conto delle anime“(Ex can. ap. 38). Infine si tenga presente quale regola certa e sicura che tutti coloro che osassero macchinare qualche cosa contro questo ordine così stabilito perturberebbero lo stato della Chiesa. – Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da quell’affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e imperfetta e dipendente dalla civile autorità quella sacra disciplina che la Chiesa fissò per l’esercizio del culto divino, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri. – Essendo inoltre massima irrefragabile, per valerci delle parole dei Padri Tridentini, che “la Chiesa fu erudita da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, e che viene ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale di giorno in giorno le suggerisce ogni verità“, appare chiaramente assurdo ed oltremodo ingiurioso per la Chiesa proporsi una certa “restaurazione e rigenerazione“, come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento, quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad oscuramento o ad altri inconvenienti di simil genere: tutte macchinazioni e trame dirette dai novatori al malaugurato loro fine di gettare le “fondamenta di un recente umano stabilimento” onde avvenga quello che era tanto condannato da San Cipriano, “che la Chiesa divenisse cosa umana” (S. Cipriano, Ep. 52), quando, al contrario, è cosa tutta divina. Ma coloro che vanno meditando siffatti disegni considerino che per testimonianza di San Leone, al solo Romano Pontefice “è affidata la disciplina dei Canoni” e che a lui solo appartiene, e non a privato uomo chicchessia, i1 definire sulle regole “delle paterne sanzioni“, e, come scrive San Gelasio [S. Gelasio, papa, Ep. ad Episcopum Lucaniae] “bilanciare in tal maniera i decreti dei Canoni e commisurare in tal modo i precetti dei Predecessori: dopo diligenti riflessioni si dia un conveniente temperamento a quelle cose che la necessità dei tempi richiede di dover moderare prudentemente per il bene delle Chiese“. – E qui vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a favore della Religione, affinché vi opponiate all’immonda congiura contro il celibato clericale: congiura che, come sapete, si accende ogni dì più estesamente, unendo ai tentativi dei più sciagurati filosofi dell’età nostra anche alcuni dello stesso ceto ecclesiastico: di persone che, dimentiche della loro dignità e del loro ministero, trascinate dal lusinghiero torrente delle voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa impudenza che non ristettero dal presentare in più luoghi pubbliche reiterate domande ai Governi, onde venisse abrogato ed annientato questo santissimo punto di disciplina. Ma troppo C’incresce di trattenervi lungamente sopra questi turpi attentati, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra affinché impieghiate ogni vostro zelo per mantenere sempre, secondo quanto prescritto dai Sacri Canoni, intatta, custodita, ferma e difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si scagliano gli strali degli impudichi. Inoltre, l’onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni premure affinché in esso, chiamato da San Paolo “Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa” (Eb 13,4), nulla s’introduca o si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua santità o leda l’indissolubilità del suo vincolo. Vi aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati dell’empietà. È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può rompersi. Rammentando che il matrimonio si annovera fra le cose sacre, e che per questo è soggetto alla Chiesa, essi abbiano di continuo presenti le leggi da questa stabilite in materia, e quelle adempiano santamente ed esattamente come prescrizioni, dalla cui osservanza fedele dipendono la forza, la validità e la giustizia del medesimo. Si astenga ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concilii che lo riguardano, ben conoscendosi che esito in felicissimo sogliono avere quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa o senza che sia stata implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di cieca passione vengono celebrati senza che gli sposi si prendano alcun pensiero della santità del Sacramento e dei misteri che vi si nascondono. Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall’Apostolo che esiste “un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo” (Ef IV,5), temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore “essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo” (Lc XI, 23), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi “senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata” (Symbol. S. Athanasii). – Ascoltino San Girolamo il quale – trovandosi la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma – racconta che, tenace come egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio” (S. Girolamo, Ep. 58). A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino: “Anche il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive della radice?“(S. Agostino, Salmo contro part. Donat.). – Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. “Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?” esclamava Sant’Agostino (Ep. 166). Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il “pozzo d’abisso” (Ap IX, 3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina. – A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita “libertà della stampa” nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. – Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra. Eppure(ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della Religione e della verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio, usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte? – Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali libri (At XIX,19). Basti leggere le disposizioni date a tale proposito nel Concilio Lateranense V, e la Costituzione che pubblicò Leone X di felice memoria, Nostro Predecessore, appunto perché “quella stampa che fu salutarmente scoperta per l’aumento della Fede e per la propagazione delle buone arti, non venisse rivolta a fini contrari e recasse danno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo” (Act. Conc. Lateran. V, sess. X). Ciò stette parimenti a cuore dei Padri Tridentini al punto che per applicare opportuno rimedio ad un inconveniente così dannoso, emisero quell’utilissimo decreto sulla formazione dell’Indice dei libri nei quali fossero contenute malsane dottrine (Conc. Trid., sess. 18 e 25). Clemente XIII, Nostro Predecessore di felice memoria, nella sua enciclica sulla proscrizione dei libri nocivi afferma che “si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi impuri di pravità non periscano bruciati” (Christianae reipublicae, 25 novembre 1766). Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla e di eseguirla. – Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra le mani di tutti propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare la fedeltà e la sommissione dovuta ai Principi, e ad accendere ovunque le torce della guerra, vi esortiamo ad essere sommamente guardinghi, affinché i popoli, a seguito di tale seduzione, non si lascino miseramente rimuovere dal diritto sentiero. Riflettano tutti che, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, “non vi è potere se non da Dio, e le cose che sono furono ordinate da Dio. Perciò chi resiste al potere, resiste all’ordinamento di Dio, e coloro che resistono si procurano da se stessi la condanna” (Rm 3,2). Il divino e l’umano diritto gridano contro coloro i quali, con infamissime trame e con macchinazioni di ostilità e di sedizioni impiegano i loro sforzi nel mancare di fede ai Principi, ed a cacciarli dal trono. – Fu appunto per non contaminarsi di tanto obbrobrioso delitto che gli antichi Cristiani, pur nel bollore delle persecuzioni, sempre bene meritarono degl’Imperatori e della salvezza dell’Impero, adoperandosi con fedeltà nell’adempiere esattamente e prontamente quanto veniva loro comandato che non fosse contrario alla Religione: impegnandosi con costanza ed anche con il sangue abbondantemente sparso in battaglie per essi. “I soldati cristiani – afferma Sant’Agostino – servirono l’Imperatore infedele; quando si toccava la causa di Cristo, non conoscevano che Colui che è nei Cieli. Distinguevano il Signore eterno dal Signore temporale, tuttavia proprio per il Signore eterno ubbidivano quali sudditi anche al Signore terreno” (Salmo CXXIV, n. 7). Tali argomenti aveva sotto gli occhi l’invitto martire San Maurizio, capo della Legione Tebana, allorché – come riferisce Sant’Eucherio – così rispose all’Imperatore: “Imperatore, noi siamo tuoi soldati, però siamo al tempo stesso servi di Dio, e lo confessiamo liberamente… Eppure, neanche questa stessa dura necessità di serbare la vita ci spinge alla ribellione: ecco, abbiamo le armi, eppure non facciamo resistenza, perché reputiamo sorte migliore il morire che l’uccidere” (S. Eucherio, apud Ruinart, Act. SS. MM. de SS. Maurit. et Soc., n. 4). Tale fedeltà degli antichi Cristiani verso i loro Principi risplende anche più luminosa se si riflette con Tertulliano che a quei tempi “non mancava ai Cristiani gran numero di armi e di armati se avessero voluto farla da nemici dichiarati. Siamo usciti da poco all’esterno, egli dice agli Imperatori, e già abbiamo riempito ogni vostro luogo, le città, le isole, i castelli, i municipi, le adunanze, gli accampamenti stessi, le tribù, le curie, il palazzo, il senato, il foro… A qual guerra non saremmo stati idonei e pronti, quando pure fossimo inferiori di numero, noi che ci lasciamo trucidare tanto volonterosamente, se dalla nostra disciplina non fosse permesso più il lasciarsi uccidere che l’uccidere? Se tanta moltitudine di persone, quale noi siamo, allontanandosi da voi, si fosse rifugiata in qualche remotissimo angolo dell’orbe, avrebbe certamente recato vergogna alla vostra potenza la perdita di tanti cittadini, quali che fossero; anzi l’avrebbe punita con lo stesso abbandono. Senza dubbio vi sareste sbigottiti di fronte a tale solitudine… e avreste cercato a chi poter comandare: vi sarebbero rimasti più nemici che cittadini, mentre ora avete minor numero di nemici, tenuto conto della moltitudine dei Cristiani” (Tertulliano, Apologet., cap. 37). – Esempi così luminosi d’inalterabile sommissione ai Principi, che necessariamente derivavano dai santissimi precetti della Religione Cristiana, condannano altamente la detestabile insolenza e slealtà di coloro che, accesi dall’insana e sfrenata brama di una libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a svellere qualunque diritto del Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più duro servaggio. A questo scopo per verità cospirarono gli scellerati deliri e i disegni dei Valdesi, dei Beguardi, dei Wiclefiti e di altri simili figli di Belial, che furono l’ignominia e la feccia dell’uman genere, meritamente perciò tante volte colpiti dagli anatemi di questa Sede Apostolica. Né certamente per altro motivo codesti pensatori moderni sviluppano le loro forze, se non perché possano menar festa e trionfo con Lutero, e compiacersi con lui di “essere liberi da tutti“, disposti perciò decisamente ad accingersi a qualunque più riprovevole impresa per giungere con più facilità e speditezza a conseguire l’intento. Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dagli amatori d’una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e civile. Ma a tante e così amare cause che Ci tengono solleciti e nel comune pericolo Ci crucciano con dolore singolare, si unirono certe associazioni e determinate aggregazioni nelle quali, fatta lega con gente d’ogni religione, anche falsa e di estraneo culto, si predica libertà d’ogni genere, si suscitano turbolenze contro il sacro e il civile potere, e si conculca ogni più veneranda autorità, sotto lo specioso pretesto di pietà e di attaccamento alla religione, ma con mira in fatto di promuovere ovunque novità e sedizioni. Queste cose, Venerabili Fratelli, con animo dolentissimo, ma pieni di fiducia in Colui che comanda ai venti e porta la tranquillità, vi abbiamo scritto affinché, impugnato lo scudo della Fede, seguitiate animosi a combattere le battaglie del Signore. A voi sopra ogni altro compete stare qual muro saldo di fronte ad ogni superba potenza che si voglia alzare contro la scienza di Dio. Da voi si brandisca la spada dello Spirito, che è la parola di Dio, e siano da voi provveduti di pane coloro che hanno fame di giustizia. Chiamati ad essere coltivatori industriosi nella vigna del Signore, occupatevi di questo solo, e a questo solo volgete le comuni vostre fatiche: cioè che ogni radice di amarezza sia divelta dal campo a voi assegnato e, spento ogni seme vizioso, cresca in esso, abbondante e rigogliosa, la messe delle virtù. Abbracciando con paterno affetto coloro che si applicano agli studi filosofici, e più ancora alle sacre discipline, inculcate loro premurosamente che si guardino dal fidarsi delle sole forze del proprio ingegno per non lasciare il sentiero della verità e prendere imprudentemente quello degli empi. Si ricordino che Dio “è il duce della sapienza e il perfezionatore dei sapienti” (Sap VII,15), e che non può mai avvenire che senza Dio conosciamo Dio, il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio (S. Ireneo, lib. 14, cap. 10). È proprio del superbo, o piuttosto dello stolto, il volere pesare sulle umane bilance i misteri della Fede, che superano ogni nostra possibilità, e fidare sulla ragione della nostra mente, che per la condizione stessa della umana natura è troppo fiacca e malata. – Per il resto, i Nostri carissimi figli in Cristo, i Principi, assecondino questi comuni voti – per il bene della Chiesa e dello Stato – con il loro aiuto e con quell’autorità che devono considerare conferita loro non solo per il governo delle cose terrene, ma in modo speciale per sostenere la Chiesa. – Riflettano diligentemente su quanto deve essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere più a cuore la causa della Fede che quella del Regno, come ripetiamo con il Pontefice San Leone: “Al loro diadema per mano del Signore si aggiunga anche la corona della Fede“. Posti quasi come padri e tutori dei popoli, procureranno a questi quiete e tranquillità vera, costante e doviziosa, particolarmente se si adopreranno a far fiorire tra essi la Religione e la pietà verso Dio, il quale porta scritto nel femore: “Re dei Re, e Signore dei Signori“. – Ma per impetrare successi così prosperi e felici, solleviamo supplichevoli gli sguardi e le mani verso la Santissima Vergine Maria, la quale sola vinse tutte le eresie, ed è la massima Nostra fiducia, anzi la ragione tutta della Nostra speranza. Ella, la grande Avvocata, col suo patrocinio, in mezzo a tanti bisogni del gregge cristiano, implori benigna un esito fortunatissimo a favore dei Nostri propositi, sforzi ed azioni. – Tanto con umile preghiera domandiamo ancora al Principe degli Apostoli San Pietro e al suo Co-Apostolo San Paolo, affinché rimaniate tutti saldi come solido muro, e non si ponga altro fondamento diverso da quello che fu già posto. Animati da questa serena speranza, confidiamo che l’Autore e il Perfezionatore della Fede Gesù Cristo consolerà finalmente noi tutti nelle tribolazioni che troppo ci tengono bersagliati. Intanto, foriera ed auspice del celeste soccorso, a voi, Venerabili Fratelli, e a tutte le pecore affidate alla vostra cura impartiamo affettuosamente l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 15 agosto, giorno solenne dell’Assunzione della Beata Vergine Maria,

dell’anno 1832, anno secondo del Nostro Pontificato.

GREGORIO PP. XVI

Omelia della Domenica V dopo Epifania (rec.)

Omelia della Domenica V dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XIII, 24-30)

zizzania

Zizzania e Frumento.

 “Non avete voi seminato (così al proprio padrone i suoi servi agricoltori) non avete seminato nel vostro campo il buon frumento? Come dunque è spuntata insieme con esso la mala zizzania”? – “Volete che sull’istante ci conduciamo ad estirparla?”- “No, rispose il padrone, perché essendo ancor tenere le pianticelle del grano, sradicherete colla zizzania il buon frumento. Lasciate pur crescere l’uno e l’altra sino alla maturità, e darò allora i miei ordini ai mietitori. Farò che, separata dal grano quest’erba malvagia, stretta in fascetti sia gettata al fuoco, e il buon frumento sia portato e custodito nel mio granaio”. Fin qui la parabola del corrente Evangelo. Uditene la facile interpretazione. Quel padrone, padre di famiglia, è il nostro Padre celeste; il campo, in cui è seminato il grano e la zizzania, è la santa Chiesa, che nel suo seno accoglie buoni e cattivi, discoli e ubbidienti figliuoli. Questa mescolanza però non è durevole. Verrà il tempo della messe, e la morte con falce inesorabile troncherà grano e zizzania. Si farà prima al tribunale di Cristo giudice, poscia nel giorno estremo la gran separazione. Saran divisi i petulanti capretti dalle innocenti pecorelle, l’eletto frumento dalla maledetta zizzania, gli eletti da’ reprobi. Verranno questi da’ demoni gettati ad ardere nel fuoco eterno, e quelli portati dagli angeli nel regno dei cieli. Fedeli miei, qual sarà la nostra sorte? Possiamo argomentarlo fin da ora: Siam noi zizzania? aspettiamoci il fuoco. Siam frumento? Il cielo sarà la nostra mansione. A chi più vi assomigliate? Acciò possiate meglio comprenderlo, vi esporrò da prima le naturali qualità della zizzania, che applicheremo a noi in senso morale; v’indicherò dappoi le naturali proprietà del frumento che applicheremo a noi altresì nel senso stesso. Da questo confronto potrete conoscere qual sarà per essere la vostra eterna sorte.

I . Sulla scorta di S. Basilio ( S. Basil. In 5 Hom. Ex.), e degl’indagatori della natura, osserviamo le qualità della zizzania. È questa un’erba malvagia, che nasce in pessimo terreno, e talvolta in mezzo al frumento, erba che poco s’innalza di terra. Si assomigliano a questa coloro che sempre intenti alla terra coi pensieri, coi desideri, e cogli affetti del cuore, altro non hanno in mira, che il lucro, l’interesse, e gli acquisti dei beni terreni. Uomini creati pel cielo non pensano, anzi, al dir del re Profeta, hanno stabilito di non pensare che alla terra, e nella terra fissar gli occhi, fissar le radici di una dominante passione, “Oculos suos statuerunt declinare in terram(Ps. XVI). A costoro io direi, se mi ascoltassero, miei cari, disinganniamoci; il nostro fine non son le cose che passano col tempo. Siam fatti pel cielo; lassù, dice l’Apostolo, dobbiamo innalzare la mente e il cuore, “quæ sursum sunt sopite, non quæ super terram” (Ad. Col. III). Da questa terra ci staccherà la morte, e quanto più, le radici delle nostre affezioni alla terra saranno tenaci e profonde, tanto più il taglio riuscirà doloroso, e incontreremo la mala sorte della rea zizzania. – S’insinua inoltre quest’erba maligna fra le radici dell’ancor tenera biada, e dove la rende sterile, dove la fa perire. Figura più espressiva delle scandalose persone non vi è di questa. Gesù Cristo infatti, dice il Crisostomo, chiamò tutti gli scandali e tutti gli scandalosi col nome di zizzania. “Omnia scandala et eos qui faciunt iniquitatem zizaniorum nomine significasse intelligitur(in Cat. Aurea D. Th.). La zizzania, di cui parla l’odierno Vangelo, fu sparsa dì notte da un uomo nemico, “inimiciis homo hoc fecit”. Questi, secondo i sacri espositori, è il demonio, che per mano degli uomini sparge nel mondo la scandalosa zizzania. Il demonio, dice S. Agostino, ha i suoi apostoli: son questi gli scandalosi, che coi laidi discorsi, col vestir immodesto, colle oscene pitture, colle invereconde poesie, coi libri ereticali, colle massime all’Evangelio contrarie fan perire l’innocenza, corrompono i buoni costumi, e danno morte a tante anime incaute. Che possono aspettarsi gl’iniqui seminatori di questa diabolica zizzania, se non il fuoco? – La zizzania in fine produce frutti così cattivi, che se per incuria misti col frumento vanno sotto la macina, e ridotti in farina restano mescolati col pane, cagionano a chi lo mangia vertigini, capogiri, e ubriaca rendono la persona; onde quel frutto, presso varie nazioni, si appella con nome significante quel brutto effetto. Oh, a quanti in questo secolo pervertito gira il capo circa le verità della fede! Finché vissero da buoni cristiani, finché, mantennero una retta coscienza ed una onesta condotta, non furono soggetti a capogiri intorno ai dogmi della santa religione; sana era la mente, perché sano era il cuore. Ma dopo aver mangiata la velenosa zizzania in quell’eretico autore, in quel poeta lascivo, in quella pratica disonesta, in quella rea amicizia, lo stomaco si è alterato, il cuore si é corrotto, e son saliti al cerebro vapori rivoltosi, ed hanno invasato l’intelletto dubbi, incertezze rispetto all’eterne verità. Che avviene poi di ognun di costoro? Le ree sue passioni, trovandosi senza freno, l’assalgono, gli tolgono l’uso della retta ragione; ond’egli ebro, insensato più non conosce sé stesso, e nel furor della sua ebbrezza, rompe il freno della coscienza, squarcia il velo di ogni naturale onestà, scuote il giogo della legge umana e divina, e per lui Dio più non esiste. “Dixit insipiens in corde suo, non est Deus(Ps. XIII, 1). O povera umanità presa da un’ubriachezza di nuova foggia! “Paupercula et ebria, non a vino” (Isai. LI, 21). Ma l’esito di questa ebbriosa smania sarà simile a quella di un povero uomo plebeo, che agitato dal vino uscito di senno, si gloria, si vanta, si crede ricco, potente, animoso, e digerito il vino si trova debole, infermo, avvilito, e riconosce ridotta ad uno stato peggiore la propria miseria. Durino pur quanto la vita i deliri dell’iniqua zizzania, alla fine stretta in fasci, a fasci sarà gettata “ad comburendum”. – Date ora, fratelli carissimi, un interiore sguardo a voi stessi, ed osservate se fra voi e le pessime qualità della descritta zizzania, trovaste mai qualche confronto. Se fosse così, deh per carità, cangiate vita, cangiate costume. A questo fine, dicono i S. Agostino e Tommaso, ( In catena aurea) il padrone evangelico non volle che così subito si estirpasse la zizzania del campo, per significarci che Iddio pietoso pazientemente aspetta che quei peccatori, che sono zizzania, possano coll’aiuto della grazia, per vera penitenza, trasformarsi in grano eletto.

  1. II. Passate ora a vedere, secondo l’evangelica allegoria, se piuttosto, come mi giova sperare, siete simili al buon frumento. Vien questo gettato sul campo, e sepolto sotterra, ove mercé la pioggia, e il calore del sole si schiude, si sviluppa, e vi muore per rinascere moltiplicato in biondeggianti spighe. Ecco il tipo di un buon cristiano. Egli nel suo battesimo, secondo la frase di S. Paolo (Rom. VI, 4), fu sepolto con Cristo, per poi risorgere con Cristo; ma prima deve morire di sua mistica morte colla rinunzia al mondo, al demonio, e alla carne. Né crediate esser questa una mia applicazione ingegnosa. È Gesù Cristo che precisamente lo afferma nel suo santo Vangelo colla similitudine del frumento, “nisi granum frumenti , dice egli, cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet(Ion. XII, 24). Se come un granello di frumento in seno” alla terra l’uomo cristiano non muore, resterà sterile, e non potrà rinascere a vita migliore. Ma come una tal morte va intesa? Udite: sono in noi tutte le passioni, e tutte pel peccato d’origine, al male inclinate, la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’iracondia, l’accidia, e come tante fiere stanno chiuse nel nostro cuore, come in un serraglio. Il tenere in freno queste bestie feroci cogli aiuti della ragione e della fede, il correggerle, il mortificarle, è come dar loro la morte: ucciderle non è possibile, ma si possono e si debbono, coll’impero della volontà, assistita dalla grazia, soffocare in guisa che non arrivino ad offendere né coi denti, né cogli artigli. L’uomo infame vive, ma pure è morto alla vita civile. Del pari vive sono le nostre passioni, ma se si raffrenano i loro moti, se s’impediscono i loro sfoghi, han vita, ma perché senz’azione, si possono dir morte,come morte al mondo si appellano le religiose persone, che pei voti solenni non han più beni propri, non più libertà di stato, non più elezione di volontà. È questa la mistica morte. Ma perché più facile in noi si renda, conviene anche dar morte agli strumenti dei quali si servono le malnate nostre passioni. I sensi del corpo son le armi, son gli incentivi delle nostre passioni, e di queste non si vinceranno gli assalti, se non si spuntano quest’armi, se non si estinguono quest’incentivi. Mortificazione dunque dei sensi in tutto ciò ch’è contrario alla legge di Dio e della Chiesa: custodia d’occhi, che non trascorrano in oggetti pericolosi; freno alla lingua, che non prorompa in maldicenze, in imprecazioni, in bestemmie; freno alla gola, che osservi la temperanza e i comandati digiuni; in somma, mortificazione della carne per vivere secondo lo spirito, come inculca l’Apostolo. Ma questo spirito conviene che muoia anch’esso nell’uso delle sue facoltà, Deve morir l’intelletto coll’umile sottomissione in credere tutto ciò che Dio ha rivelato, la memoria colla dimenticanza delle ricevute offese, la volontà con la perfetta rassegnazione a quella di Dio in ogni cosa. Ecco la mistica necessaria morte, di cui parla il Redentore in quella sua grande e meravigliosa sentenza, così chiamata da S. Agostino: “Qui amat animam suam perdet eam(Ion. XII, 23). Chi ama l’anima sua, e vuol salvarla, la faccia morire a tutte le disordinate sue voglie. Il martire S. Ignazio, discepolo di S. Giovanni Evangelista, Vescovo d’Antiochia, da Traiano condannato alle bestie nell’anfiteatro romano, mandò lettera ai fedeli di Roma, che n’attendevano l’arrivo, e: “figliuoli miei, scriveva, io son frumento di Cristo, sarò stritolalo dai denti delle fiere come dalla mola, per esser fatto pane mondo, accettevole agli occhi suoi. “Frumentum Christi sum, dentibus bestiarum molar, ut panis mundus veniar(Hieron. De Script. Eccl.). Questa é ben altra morte; Iddio nelle circostanze presenti non l’esige da noi; ma nell’ordine dell’attuale provvidenza, non può dispensarci dalla morte de’ nostri sensi, delle nostre potenze, delle nostre passioni, come veniva dicendo. – Il frumento inoltre giunto a maturità va sotto le verghe, e a colpi sonori si sguscia, e si divide dalla sua paglia. Veniamo al senso morale. Se voi, sotto i pubblici o privati flagelli, che vengono dalla mano di Dio, o per castigo o per prova, abbassate il capo, e con pazienza e rassegnazione dite con Giobbe, “sit nomen Domini benedictum”; buon segno, voi siete grano eletto. Ma se voi sotto la sferza delle tribolazioni, delle quali abbonda questa valle di pianto, se nelle malattie, nelle disgrazie, nelle persecuzioni, come un rospo sotto il flagello, raddoppiate il veleno, prorompete in maledizioni, vomitate bestemmie, ve la prendete contro Dio, contro gli uomini, come autori dei vostri guai, mentre non ne son che gli strumenti, ohimè, voi non siete buon grano. Mirate un S. Paolo, e salutarmente confondetevi, udite questo grande Apostolo delle genti: “Io, dice egli, sono stato per ben tre volte battuto con verghe, ed una volta sepolto sotto una tempesta di pietre per amor di Gesù Cristo, e a gloria del suo santo nome: “Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum pro Christi nomine(2 ad Cor. XI, 25). – Gesù stesso, dice S. Agostino, era un grano di frumento sottoposto ai flagelli de’ perfidi Giudei, “erat granum mortificandum infidelitater judeorum(Tract. 51 in Ioan.). A questi esempi, che dice la nostra delicatezza, che aborre ogni sorta di mortificazione, e che né pure nelle tribolazioni, che scansar non si possono, sa fare della necessità virtù? Finalmente il frumento, per purgarlo dall’inutile paglia, posto nel vaglio vien agitato, ed esposto allo spirar del vento, che via portando la paglia dispersa, lo lascia cader sull’aia purgato e mondo. Le morale applicazione su questo punto ce la somministra Gesù Cristo con quel che disse a S. Pietro ed agli Apostoli: “Ecce Satanas expetivit vos, ut cribraret sicut triticum”(Luc. XXII, 31). Ha concepito il demonio l’iniqua idea di ventilarvi come frumento nel vaglio. Così avvenne; gli Apostoli, i cristiani in ogni tempo sono stati dal demonio, e dai seguaci di lui, agitati nel vaglio delle persecuzioni, ed esposti al vento delle false dottrine; ma si son mantenuti saldi nella fede, e sani nel costume. Seguite l’esempio. Il nemico non dorme; non cedete ai suoi assalti, state fermi ai venti delle tentazioni, degli scandali e degli errori, e come grano purgato, farete certa la vostra elezione e salvezza. – Da queste due pitture della zizzania e del frumento potrete conoscere a quale più vi assomigliate. Se nella zizzania riscontrate il vostro ritratto, ohimè! il fuoco vi aspetta; se nel frumento, consolatevi, avete un gran segno della beata vostra predestinazione.