LO SCUDO DELLA FEDE (140)

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (7)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE VII

Anche i Papi cattivi sono veri Papi.

43. Prot. Quanto fin qui ho accordato riguardo al Papa, intendo sia detto dei buoni Papi, non già dei cattivi, dei quali certamente ne ha avuti la Chiesa Romana, poiché questi non solo non possono riguardarsi come infallibili etc., ma neppure come veri Papi: onde fu interrotta per essi la linea di successione. Che però tengo per certo che non potrete in ciò contraddirmi, e condannerete il Cattolicismo che diversamente la pensa e mi condanna.

Bibbia. « Questo dice il Signore: Guai a’ pastori d’Israele i quali pascon se stessi, etc. » (Ezec. XXXIV, 2).

« Venne poi un uomo di Dio ad Heli, e dissegli: Queste cose dice il Signore:… Per qual motivo avete dato de’ calci alle mie vittime, e a’ miei doni, che io ordinai che mi fossero offerti nel tempio: e hai avuto maggior rispetto pei tuoi figliuoli che per me, col mangiarvi le primizie di tutti i sacrifizj d’Israele mio popolo? Per questo, dice il Signore Dio d’Israele :… Ecco che viene il tempo quando io troncherò il. tuo braccio, etc. » (I Reg. II, 27 segg.). Ecco dunque che Dio stesso riguarda come veri pastori i cattivi pastori d’Israele, riconosce Heli per vero Sommo Pontefice, quantunque traditore del suo ministro per la sua iniqua connivenza alle scelleratezze dei propri figli. A questi potrei aggiungerti un Menelao, un Giasone, un Lisimaco, ed altri ancora, (II Macc. IX, 7, etc.) uomini grandemente facinorosi, e persino ladri sacrileghi, simoniaci, assassini, sanguinari e favoreggianti l’idolatria; i quali, ciò nonostante, sempre considerati furono come veri Sommi Pontefici, né alcuno mai ne ha dubitato.

Prot. Dice il Redentore : « Chi non entra per la porta nell’ovile, ma vi sale per altra parte è un ladrone e assassino. Ma a quegli che vi entra per la porta è il pastore delle pecore.  » (Giov. X, 1 segg.).

Bibbia. Nel caso nostro, cioè quanto alla validità della elezione e istituzione, il non entrar per la porta altro non significa che l’essere innalzati a tal dignità da coloro a cui ciò non si compete. Li altri entrano senza dubbio per la porta (quando non ostino valide leggi irritanti), sebbene vi entrino illecitamente, iniquamente, se per vie inique vi entrano. Che però sta scritto: « State soggetti a’ (vostri) padroni, non solo ai buoni e modesti, ma anche a’ discoli. » (I Piet. II, 18). E poi riconosciuti furono anche da Gesù per veri Pontefici Anna, e Caifa, i più scellerati che abbiano mai esistito.

44. Prot. Ciò sia pur vero; ma non sarà mai vero che tali Pontefici abbian da Dio nelle lor decisioni il dono dell’infallibilità, etc.

Bibbia. « Gesù parlò alle turbee ai suoi discepoli, dicendo: Sulla cattedra di Mosè si assisero gli Scribi e i Farisei; tutto quello, pertanto, che vi diranno osservatelo e fatelo; ma non fate secondo le opere loro. » (Matt. XXIII, 1, 2). – « Ma uno di essi per nome Caifa, che era in quell’anno Pontefice, disse loro: voi non sapete nulla, né riflettete che torna conto a noi che un uomo muoia pel popolo, e non perisca tutta la gente. E questo (N. B.) non disse egli di suo capo, ma essendo Pontefice di quell’anno profetò che Gesù morrebbe per la nazione »  (Giov. XI, 49, 50). Vedi adunque che l’infallibilità non è annessa ai costumi, ma bensì alla dignità, all’officio dei designati da Dio, e che Egli stesso permette talvolta che abbiano tal dignità uomini indegni, onde tutti conoscano tal verità, e niuno dubitar possa della sicurezza di lor decisioni e insegnamenti.

43. Prot. Niente ho più che ridire. « Nulla vi è di più ingiusto che biasimar la dottrina a causa delle colpe in cui cadono i Dottori.(Melantone, Epist. ad Camerarium, de matriin. Lutherì.)

« Il Papa nulla insegna di opposto alla dottrina di Gesù Cristo. » (Grozio, presso Bossuet: Dissert. prelim. intorno la dottrina, e critica di Grozio.)

« In Roma esistono i mausolei di presso che tutti i Papi. L’anima del Cristiano resta straordinariamente commossa in veder riuniti, in questo santuario dei più profondi misterj, gli inviluppi terrestri di tanti grandi spiriti, che han regolato, diretto, rappresentato l’elemento supremo della vita delle passate generazioni, e i quali si sono distinti come altrettante colonne della verità » (Hurter, Storia di Innocenzo III, T. 2. lib. 13. p, 346). – « La lunga serie de’ Papi, senza interruzione di sorta, da colui che nel secolo XIX ha unto Napoleone, rimonta e si riunisce con quel Pontefice che consacrò Pipino…. Essa va più oltre e la vediamo forte e fiorente, coetanea coi vecchi secoli del mondo. » (La Rivista Protestante, di Edimbuigo riportata dal Genio Cattolico di Friburgo: 1845. p. 172.). Se a questi miei sentimenti unite quanto, poco fa, vi ho dichiarato, cioè che « Roma mai è venuta a patti coll’errore: » che « La Religione quale ella fu ed è al presente si conserva tutta bella e maestosa pel sublime ministero de’ Papi, » conoscerete che anche su questo punto siamo interamente d’accordo.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (21)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (21)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI

DOMANDA 39a

Concilio Lateranense IV (1215), cap. 2:

« Ebbene, noi, coll’approvazione del sacro universale Concilio, crediamo e affermiamo con Pietro (Lombardo) che esiste un essere unico e supremo, incomprensibile a dir vero e ineffabile ed è in verità il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo: tre Persone unite e insieme distinte ognuna delle medesime: e perciò c’è in Dio soltanto una Trinità, non una Quaternità, in quanto che ciascuna delle tre Persone è quell’essere, ossia sostanza, essenza o natura divina, che sola è il principio di tutte le cose e al di fuori di esso niente si può trovare; e quell’essere non è generante, né generato, né procedente, ma è il Padre che genera e il Figlio che è generato e lo Spirito Santo che procede, dimodoché c’è distinzione nelle Persone e unità nella natura. Altro è dunque il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo, non però altra cosa; ma l’essere, che è Padre, è il Figlio è lo Spirito Santo perfettamente identico, com’è da credere, secondo la ortodossa dottrina cattolica, che sono consostanziali. Difatti il Padre, generando dall’eternità il Figlio, a Lui diede la sua sostanza, secondo quanto Egli stesso attesta: Più grande di tutto è ciò che diede a me il Padre (Jo., X , 29). Né si può dire che gli abbia dato una parte della sua sostanza, ritenendone una parte per sé, in quanto la sostanza del Padre è indivisibile, perché semplicissima: né che l’abbia trasferita, per generazione, al Figlio, rimanendone privo, che avrebbe cessato Esso stesso d’essere una sostanza. È chiaro dunque che il Figlio, nascendo, ricevette la sostanza del Padre senza diminuzione di sorta, cosicché Padre e Figlio hanno la medesima sostanza e identico essere sono il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, che ne procede. Orbene, quando la Verità prega il Padre pe’ suoi fedeli, dicendo: Voglio che siano un’unica cosa in noi, come un’unica cosa siamo anche noi (Jo., XVII, 22): questa parola « unica cosa » s’ha da intendere, riguardo a’ fedeli, per unità d’amore nella grazia, mentre per le Persone divine s’ha da intendere per identità di natura, come afferma pure la Verità in altro luogo: Siate perfetti com’è perfetto anche il Padre celeste (Matth., V, 48); quasi dicesse più chiaramente: Siate perfetti nella perfezione di grazia, com’è perfetto il Padre vostro del Cielo nella perfezione di natura, l’una e l’altra cioè a modo proprio ». (Mansi, XXII, 983 s.).

II. Concilio di Lione (1274) De processione Spiritus Sancti:

«Affermiamo con fedele e riverente professione che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non come da due principii, ma come da un solo, non per due, ma per unica spirazione. Così ha finora affermato, predicato e insegnato, così fermamente pensa, predica, afferma e insegna la sacrosanta Chiesa Romana, madre e maestra di tutti i fedeli; tal’è il pensiero immutabile e verace de’ Padri e Dottori ortodossi tanto Latini quanto Greci. Ma siccome parecchi caddero in errori vari per ignoranza della predetta irrefragabile verità, noi, per desiderio di precludere la via a siffatti errori, condanniamo, col consenso del sacro Concilio, e riproviamo quelli che oseranno negare l’eterna processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, oppure temerariamente asserire che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come da due principii e non come da unico ». (Mansi, XXIV, 81).

Concilio Fiorentino, Decretum prò Graecis:

« Nel nome della S. Trinità, Padre Figlio e Spirito Santo, col consenso di questo sacro universale Concilio Fiorentino definiamo che sia creduta e accolta questa verità di fede da tutti i Cristiani e tutti professino allo stesso modo che lo Spirito Santo è eternamente dal Padre e dal Figlio e ha la sua essenza e il suo essere sussistente unitamente dal Padre e dal Figlio e che procede eternamente dall’uno e dall’altro come da unico principio e per unica spirazione; dichiarando il pensiero de’ santi Dottori e Padri, che dicono lo Spirito Santo procedere dal Padre per mezzo del Figlio, nel senso che anche il Figlio è, secondo i Greci causa, secondo i Latini principio alla sussistenza dello Spirito Santo alla pari del Padre. E poiché il Padre, generando, diede al Figlio suo unigenito tutte quelle cose che son del Padre, tranne l’esser Padre, il Figlio dall’eternità riceve la stessa processione dello Spirito Santo da parte del Padre, che pure lo ha generato dall’eternità. Inoltre definiamo che, per chiarezza della verità e per una necessità allora urgente, fu lecitamente e ragionevolmente aggiunta al Simbolo l a spiegazione di quelle parole « Filioque ». (Mansi, XXXI, 1030).

S. Agostino, De Trinitate, I, 7:

« Gl’interpreti cattolici de libri divini vecchi e nuovi, che prima di me scrissero a proposito della Trinità che è Dio, tutti, quanti ne ho potuti leggere, intesero insegnare a norma delle Sacre Scritture che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo coll’eguaglianza dell’unica e identica sostanza, che non ammette separazione, affermano la divina unità; sicché non sono tre dei, ma un Dio solo, benché il Padre abbia generato il Figlio e perciò non sia il Figlio chi è il Padre; e il Figlio sia stato generato dal Padre; perciò il Padre non sia chi è il Figlio; e lo Spirito Santo non sia né il Padre, né il Figlio, ma soltanto lo Spirito del Padre e del Figlio, anch’Egli uguale al Padre e al Figlio e appartenente all’unità della Trinità ». (P. L., 42, 824).

S. Epifanio, Ancoratus, 8:

« Ciascuna di queste denominazioni è singolare, né ha nulla che dall’altra sia significato. Difatti il Padre è padre e non ha nulla che gli sia stato posto a confronto, o congiunto con altro padre, per non essere eventualmente due gli dei. Il Figlio unigenito, Dio vero da Dio vero, senz’appropriarsi il nome di Padre, né tuttavia estraneo al Padre, ma nell’unica sussistenza del Padre, è l’Unigenito per esser Figlio di singolare e propria denominazione; ed è Dio da Dio affinché l’unico Dio si chiami Padre e Figlio. E lo Spirito Santo unico, senza usurpare né il nome del Figlio né quello del Padre, ha nome Spirito Santo, senza essere estraneo al Padre. Difatti lo stesso Figlio unigenito così parla: Lo Spirito del Padre (Jo., XV, 26); e ancora: Che procede dal Padre (ib.), e ancora: dal mio riceverà (ib., XVI, 14 s.); dimodoché non lo si ritenesse estraneo né al Padre né al Figlio, ma della stessa sostanza e divinità, Spirito divino, Spirito di verità, Spirito di Dio…. Dunque c’è Dio nel Padre, c’è Dio nel Figlio, c’è Dio nello Spirito Santo, che è egualmente da Dio ed è Dio. Difatti lo Spirito di Dio è lo Spirito del Padre e lo Spirito del Figlio, non in forza d’una qualsiasi composizione, com’è in noi dell’anima e del corpo, ma perché medio tra Padre e Figlio, procedente dal Padre e dal Figlio, terzo nella denominazione ». (P. G., 43, 29).

S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, I , 12:

« Il Padre è sorgente e autore tanto del Figlio quanto dello Spirito Santo, però del solo Figlio è padre e produttore dello Spirito Santo. Il Figlio a sua volta è figlio, Verbo, sapienza, potenza, immagine, splendore, figura del Padre, e dal Padre. Ma lo Spirito Santo non è figlio del Padre, ma Spirito del Padre in quanto ne procede; difatti non vi è impulso senza lo Spirito. Anzi è detto pure Spirito del Figlio, in quanto procede non da esso direttamente, ma per suo mezzo dal Padre. Difatti soltanto il Padre è autore ». (P. G., 94, 850).

DOMANDA 41a.

Concilio di Laterano (649) sotto S. Martino I , can. I , Contra Monothelitas:

« Chi non ammette, secondo il pensiero de’ santi Padri, propriamente e veracemente il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, Trinità nell’unità, e unità nella Trinità, cioè un unico Dio in tre sussistenze consostanziali e di pari gloria, l’unica e medesima divinità dei tre, natura, sostanza, virtù, potenza, regno, impero, volontà, operazione increata, senza principio, incomprensibile, immutabile, creatrice d’ogni cosa e protettrice, sia condannato ». (Mansi, X, 1151).

S. Fulgenzio, De Fide, 4:

« Poiché in quell’unico vero Dio trino è per natura vero non soltanto ciò ch’è Dio uno, ma pure ciò ch’è Trinità, perciò lo stesso vero Dio è Trinità nelle Persone e unico nell’unica natura. Per quest’unità di natura tutto il Padre è nel Figlio e nello Spirito Santo, e tutto il Figlio è nel Padre e nello Spirito Santo, e tutto lo Spirito Santo è nel Padre e nel Figlio. Nessuno di essi è estraneo a qualsivoglia di essi, perché nessuno precede l’altro nell’eternità o l’eccede in grandezza o lo supera di potenza ». (P. L., 65, 673-74).

S. Efrem, Hymnus de dejunctis e Trinitate, 11-12 :

« Il Padre genitore, il Figlio generato dal suo seno, lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio; il Padre creatore che fece il mondo dal nulla; il Figlio creatore che creò tutte le cose insieme al suo genitore. « Lo Spirito Santo paraclito e consolatore, per opera del quale viene compiuto tutto ciò che fu e sarà ed è; mente il Padre, verbo il Figlio, voce lo Spirito Santo: tre nomi un’unica volontà, un’unica potenza ». (Lamy, S. Ephr. hymni et serm., III, 2421).

S. Gregorio Nazianzeno, Oratio, XXXIII, 16:

« Essi (i fedeli) adorano come unica divinità il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio… lo Spirito Santo, unica natura in tre proprietà intelligenti, perfette, sussistenti per sé stesse, distinte sì di numero, ma non di divinità ». (P. G., 36, 235).

DOMANDA 46a.

IV Concilio di Laterano e Concilio Vaticano: Vedi D. 36.

DOMANDA 47a.

Concilio Vaticano: Vedi D. 36.

DOMANDA 48a.

S. Giovanni Crisostomo, Contra Anomeos, XII, 4:

« Non soltanto (Dio) creò la creatura, ma dopo averla creata la protegge e sostenta, angeli o arcangeli che tu voglia, o potestà superiori, o tutte quante le cose che cadono e non cadono sotto la vista: tutte usufruiscono della sua provvidenza e, supposto che siano private dell’influsso efficace di Lui, dileguano, rovinano, periscono ». (P. G., 48, 810).

DOMANDA 49a.

S. Agostino, De spiritu et littera, 58:

« Orbene, Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla cognizione della verità (I Tim., II, 4); in modo però da non toglier loro il libero arbitrio, dal cui buono o cattivo uso saranno con somma giustizia giudicati. Ciò posto, gl’infedeli operano bensì contro la volontà di Dio, se non credono al suo vangelo; ma con ciò non la spuntano, piuttosto privano sé stessi d’un grande e sommo bene e s’irretiscono in castighi punitivi e sperimenteranno tra i tormenti il potere di Colui, di cui mentre godevano i doni, disprezzarono la misericordia ». (P. L., 44, 238).

DOMANDA 50a.

S. Efrem Siro, Carmina Nisibena, III, 8 e 10:

« È noto che il buon Dio non volle i mali che in ogni tempo affliggono gli uomini, pur avendoli mandati lui; e che la causa delle nostre afflizioni sono i nostri peccati. Nessuno può lagnarsi del nostro Creatore, bensì Lui di noi, perché, peccando, l’abbiam costretto contro sua volontà a sdegnarsi con noi e a percuoterci a malincuore…. E l’uomo pure infligge castighi allo scopo di cavarne un utile. Perché ognuno castiga i suoi servi, per tenerseli soggetti; ma il buon Dio castiga i suoi servi perché essi stessi di sé siano padroni. I tuoi mali sieno altrettante ammonizioni per te ». (Ed. G. Bickell, p. 80).

DOMANDA 52a.

S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, II, 3:

« Dunque l’Angelo è una sostanza intelligente, fornita di perpetuo movimento e di libero arbitrio, incorporea, a Dio ministra, immortale in sua natura per munificenza di Dio. Soltanto il Creatore ne conosce la precisa sostanza e definizione. È detta incorporea e immateriale per rapporto a noi; perché, in confronto di Dio il solo a niuno paragonabile, tutto si scopre grossolano e materiale. Soltanto la natura divina è davvero immateriale e incorporea ». (P. G., 94, 866 s.).

DOMANDA 53a.

S. Atanasio, De virginitate, 5 :

« Gran rimedio per la salvezza dell’anima è l’umiltà; satana infatti non fu precipitato dal cielo per colpa d’impudicizia o di adulterio o di furto, ma per la sua superbia finì in fondo agli abissi. Difatti queste furono sue parole: Salirò e pianterò il mio trono fuor dal paese di Dio e sarò simile all’Altissimo (Isa., XIV, 14). Per esse fu abbattuto e il fuoco eterno diventò sua porzione ed eredità ». (P. G., 28, 258).

S. Gregorio Magno, In Evangelia, I I , 34, 7, 8, 9:

« Ho detto nove le schiere degli Angeli, perché sulla testimonianza del sacro testo sappiamo che ci sono gli Angeli, gli Arcangeli, le Virtù, le Potestà, i Principati, le Dominazioni, i Troni, i Cherubini e i Serafini. « Bisogna pur sapere che il vocabolo « Angeli » è denominazione dell’ufficio, non della natura. Difatti que’ santi spiriti della patria celeste sempre sono spiriti, ma non sempre si possono chiamar Angeli, inquantochè sono Angeli soltanto allor che annunziano qualche cosa… E quelli che annunziano le cose meno importanti, Angeli, mentre Arcangeli sono quelli che annunziano le più importanti… Perciò a Maria Vergine fu mandato non un Angelo qualsiasi, ma l’Arcangelo Gabriele. Era giusto che questo incarico fosse affidato all’Angelo più nobile, perché recava il più nobile de’ messaggi. Essi poi sono enumerati anche con nomi propri allo scopo d’indicare anche col nome la loro importanza nell’opera. Difatti Michele è detto: Chi come Dio?; e Gabriele: Fortezza di Dio; e Raffaele: Medicina di Dio ». (P. L., 76, 1249 ss.).

DOMANDA 54a.

S. Girolamo, In Matthæum, lib. III, ad cap. XVIII:

« Grande è la dignità delle anime, tale che fin dall’origine per loro custodia hanno delegato un Angelo ». (P. L., 26, 130).

DOMANDA 58a

S. Ireneo, Adv. haereses, V, 24, 3 e 4:

« Il diavolo dunque, in quanto è un Angelo ribelle, può unicamente… sedurre e traviare l’anima dell’uomo a trasgredire i precetti di Dio e a poco a poco accecare il cuore di coloro, che avrebbero disposizione a servirlo, affinché dimentichino proprio il vero Dio e adorino invece lui come dio…. Si è schierato sempre più contro l’uomo, per invidia di esso e per volerlo vincolare alla sua tirannia di ribelle ». (P. G., 7, 1188).

DOMANDA 60a.

V Concilio di Laterano (1512-1517) sess. VIII De anima humana:

« A di’ nostri (e ci duole constatarlo) il seminator di zizzania, vecchio nemico del genere umano, ha osato sovrasseminare ed aumentare nel campo del Signore taluni disastrosi errori, sempre ributtati da’ fedeli, specialmente circa la natura dell’anima razionale, che cioè sia mortale oppure unica in tutti e singoli gli uomini; e taluni avventati filosofastri affermano che, almeno in linea filosofica, ciò è vero. Desiderando prendere adatti rimedii contro siffatta epidemia, col consenso di questo sacro Concilio, condanniamo e riproviamo quanti asseriscono che l’anima intellettiva sia mortale oppure unica in tutti e singoli gli uomini, o almeno ne dubitano. Quella infatti non soltanto è davvero e per sé  stessa ed essenzialmente la forma del corpo umano, com’è detto in un canone del Papa Clemente V di f. m. nostro predecessore, canone pubblicato nel (generale) Concilio di Vienna; ma è immortale e in proporzione al numero de’ corpi, cui s’infonde, volta per volta moltiplicabile e moltiplicata e da moltiplicarsi… Ora, siccome verità non può contraddire a verità, definiamo che sia affatto falsa qualunque asserzione contraria alla verità della fede illuminata; energicamente vietiamo come non lecito d’inventar dogmi differenti; e decretiamo che coloro che si ostinano ad affermare siffatto errore, sono da evitare e punire come detestabili e abbominevoli eretici ed infedeli che seminan dappertutto pessime eresie, a grave danno della cattolica fede ». (Mansi, XXXII, 842).

Pio IX, Lett. Dolore haud mediocri, 30 apr. 1860, al Vescovo di Breslavia:

« Inoltre s’è avvertito che il Baltzerin quel suo opuscolo, riducendo qui tutta la controversia, cioè se per il corpo esista un principio proprio di vita separato nella realtà dall’anima razionale, osò spingersi a tal punto di temerità da proclamar persino eretica la sentenza contraria e sostenere con un mar di parole che per tale deve ritenersi. Ciò noi non possiamo non riprovare considerando che nella Chiesa di Dio è affatto comune la sentenza di ammetter nell’uomo un unico principio della vita, cioè l’anima razionale, dalla quale il corpo riceve anche il movimento e tutta la vitalità e sensibilità; inoltre essa pare a molti dottori tra i più autorevoli indissolubilmente congiunta col dogma della Chiesa, sicché ne costituisce la legittima e sola vera interpretazione né si può rifiutare senza errore nella fede ».

(Acta Pii IX, donde fu estratto il Sillabo, Roma, 1865, p. 178).

S. Giovanni Damasceno, De fide ortodoxa, II, 12:

« Orbene l’anima è vivente, semplice e incorporea sostanza, che sfugge per sua propria natura alla percezione della vista corporea, immortale, fornita di ragione e d’intelletto, che fa uso del corpo fornito di organi al quale corpo conferisce la vita, lo sviluppo, la sensibilità e la potenza di generare; e non ha una mente diversa da sé e separata, dal momento che la mente altro non è che una parte sottilissima di essa: ciò che rappresentano gli occhi nel corpo, ciò è la mente nell’anima; possiede il libero arbitrio e potenza di volontà e d’azione ». (P. G., 94, 923, s.).

DOMANDA 62a.

Benedetto XII, Costit. Benedictus Deus, 29 giugno 1336:

« Per mezzo di questa costituzione, valevole per sempre, definiamo con autorità apostolica: secondo l’universale disposizione di Dio, le anime de’ Santi tutti, morti prima della passione del Signor nostro Gesù Cristo, e similmente le anime de’ santi Apostoli, martiri, confessori, vergini e altri fedeli defunti dopo ricevuto il sacro battesimo di Cristo, se in punto di morte non ebbero nulla da purgare, o non ci sarà quando, anche in avvenire, morissero, oppure — se allora ci fu o ci sarà — quando si siano, dopo morte, purgate; inoltre le anime de’ fanciulli rinati pel medesimo battesimo di Cristo e da battezzarsi, che muoiono, una volta battezzati, prima dell’uso del libero arbitrio, tutte quante furono sono e saranno in cielo subito dopo la loro morte e subito dopo la purificazione accennata per quelle, che di siffatta purificazione avevan bisogno, anche prima di ricongiungersi al loro corpo, cioè prima del giudizio generale, dall’Ascensione in qua del Salvatore e Signor nostro Gesù Cristo; e furono sono e saranno associate in compagnia de’ santi Angeli al regno de’ cieli e al celeste paradiso con Cristo; e dopo la passione e morte del Signore Gesù Cristo, videro e vedono la essenza divina per via d’intuizione e anche faccia a faccia, esclusa ogni intermedia creatura in linea e in ufficio di oggetto della visione, ma per immediata e nuda e chiara e scoperta manifestazione ad esse della divina essenza; e le anime così veggenti godono della divina essenza; e per effetto di tal visione e godimento le anime de’ defunti son davvero felici e hanno vita e riposo in eterno; e anche le anime di quelli che moriranno in futuro, contempleranno la medesima divina essenza e ne godranno prima del giudizio generale; e la visione e il godimento dell’essenza divina renderà superflui per esse gli atti di fede e di speranza, in quanto fede e speranza son propriamente virtù teologiche; e dacché sarà stata o sarà incominciata la detta intuitiva visione e il detto godimento in quell’anime medesime, la medesima visione e godimento perdura di continuo, senz’alcuna interruzione, o attenuazione di detta visione e godimento, e continuerà sino alfin al giudizio e da quel momento in perpetuo. – « Inoltre definiamo che, secondo l’universale disposizione di Dio, l’anima di chi muore in peccato mortale attuale subito dopo la sua morte discende all’inferno, dov’è tormentata dalle pene infernali, e che nondimeno nel giorno del giudizio tutti gli uomini compariranno coi loro corpi dinanzi al tribunale di Cristo per render ragione del fatto loro, affinché ciascuno manifesti di sé stesso come operò, sia bene sia male (II ai Cor., V , 10) » .

(Bullarium Romanum, ed. Torino, IV, 346 a.).

S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, IV, 27 :

« Quelli che avranno ben operato, rifulgeranno come il sole cogli angeli nella vita eterna, col nostro Signore Gesù Cristo per veder sempre e sempre esser veduti e per godere gioia indefettibile, lodandolo per secoli interminabili col Padre e con lo Spirito Santo » .

DOMANDA 63a.

S. Pio V, Costit. Ex omnibus afflictionibus, 1 ott. 1567, nella quale si condannano i seguenti errori di Baio:

« 1. Non si chiamano rettamente grazia i meriti né degli angeli né del primo uomo ancora innocente.

« 2. Come l’opera cattiva per natura sua è meritoria di morte eterna, così per natura sua l’opera buona è meritoria di vita eterna.

« 3. La felicità sia per gli angeli buoni, sia per il primo uomo, se avesse perseverato in quella condizione, era una ricompensa, non una grazia.

« 4. La vita eterna fu promessa all’uomo, in istato d’integrità, e all’angelo in vista delle opere buone; e le opere buone, secondo legge di natura, bastano per sé stesse a conseguirla.

« 5. Nella promessa fatta sia all’angelo sia al primo uomo è osservata e implicita la disposizione di giustizia naturale, in forza della quale la vita eterna è promessa ai giusti in ricompensa delle buone opere senz’altro riguardo.

« 6. Per legge di natura fu stabilito all’uomo che, se perseverava nell’obbedienza, sarebbe giunto alla vita immortale.

« 7. I meriti del primo uomo non decaduto furono doni della prima creazione; ma, secondo il linguaggio della S. Scrittura, non giustamente si chiaman grazia; perciò devon chiamarsi soltanto meriti, non anche grazia.

« 8. Nei redenti per la grazia di Cristo non può riscontrarsi alcun merito buono che non sia conferito gratuitamente a un immeritevole.

« 9. I doni concessi all’uomo non decaduto e all’angelo forse con qualche ragione posson dirsi grazia; ma poiché, secondo il linguaggio usuale della S. Scrittura, col nome di grazia s’intendono soltanto que’ doni, che son conferiti per merito di Gesù Cristo agl’immeritevoli e agl’indegni, perciò né i meriti, né la ricompensa, che loro è conferita, si deve dir grazia.

« 11. Il fatto che, per aver vissuto piamente e da giusti in questa vita mortale sino alla fine della vita, conseguiamo la vita eterna, non si deve propriamente ascrivere alla grazia di Dio, bensì a naturale disposizione, da Dio con giusto giudizio stabilita fin dal primo momento della creazione; e in questa ricompensa de’ buoni non si guarda al merito di Cristo, ma solamente alla prima costituzione del genere umano, nella quale fu stabilito per legge naturale che la vita eterna giusto giudizio di Dio sia conferita all’osservanza de’ precetti ». (Du Plessis, Collectio Judiciorum, III, II, 110 ss.).

Clemente XI, Costit. Unigenitus, contro gli errori di Quesnel, 8 settembre 1713, prop. 35 tra le condannate:

« La grazia in Adamo è conseguenza della creazione ed era dovuta alla natura sana e integra ».

(Id., ibid. III, I I, 462).

Pio VI, Costit. Auctorem fidei contro gli errori del Sinodo di Pistoia, 20 Ag. 1794, 16a . tra le proposizioni condannate:

« La dottrina del sinodo circa lo stato di fortunata innocenza, qual è presentato in Adamo prima del peccato, cioè in guisa da comprendere non soltanto l’integrità, ma pure la santità interiore con islancio a Dio per amor di carità, e inoltre una specie di ricostituzione, dopo la caduta, della primitiva santità; tal dottrina presa nel suo complesso insinua che quello stato fosse un corollario della creazione, dovuto per natural esigenza e condizione della natura umana, non un beneficio gratuito di Dio: è falsa, già condannata in Bajo e Quesnell, erronea, favorevole all’eresia pelagiana ».

(Bullarii Romani Continuatio, ed. Prati, t. VI, p. III, 2710).

DOMANDA 65a.

S. Giovanni Crisostomo, In Genesim, XIII, 1 :

« Hai visto come in grazia della parola ogni cosa è stata formata? Ma vediamo che cosa dica poi a proposito della creazione dell’uomo. E Dio formò l’uomo. Bada come, col temperar le parole, di cui si serve per adattarsi alla nostra insufficienza insegna tanto il modo quanto la diversità della creazione, in virtù della quale, per esprimermi umanamente, lo addita formato, a così dire, dalle mani di Dio, come s’esprime il profeta: Le tue mani m’hanno fatto e plasmato (Giobbe, X, 8) ». (P. G., 53, 106).

DOMANDA 66a.

S. Efrem, In Genesim, cap. 2:

« Veniamo a intendere che Adamo per tre capi fu creato a immagine e somiglianza di Dio. Ma non credere che sia chiamata immagine di Dio la esterna apparenza di Adamo, bensì l’anima formata del libero arbitrio, di potenza e d’impero sopra le altre creature; ossia, come ogni cosa è in mano e in potere di Dio, così ad Adamo fu soggettato il mondo. Anche ricevette pura e integra l’anima, quindi capace d’ogni virtù e divino carisma; finalmente l’intelletto e la ragione, colla quale capisce, distribuisce e ordina tutte le cose e talmente riesce a svolgersi in ogni senso e a formarsi d’ogni cosa l’immagine da sembrare che tutto sia come contenuto in lui solo ».

( S . Ephrem, Opera omnia, ed. Romana, I, syriace et latine, 128).

S. Basilio, Sermo asceticus, I:

« L’uomo fu fatto a immagine e somiglianza di Dio, (Gen., I, 26), ma il peccato, derivato da un trasporto dell’anima verso viziosi desiderii, deturpò la bellezza di quell’immagine. Orbene, Dio, che creò l’uomo, è vera vita. Pertanto colui che ha perduto la somiglianza di Dio, ha perduto anche la partecipazione della vita; chi poi è lontano da Dio non può vivere una vita felice. E allora ritorniamo allo stato primitivo di grazia, donde per il peccato siam decaduti; e di nuovo abbelliamoci a immagine di Dio ». (P. G., 31, 870, ss.).

S. Agostino, Enarratio in Ps. 49, 2:

« È chiaro, dunque, se li ha chiamati dei, che sono stati deificati dalla sua grazia e non generati dalla sua sostanza. Come difatti è atto a giustificare soltanto chi è giusto per se stesso e non per dono altrui, così a deificare è in grado solo colui che per sé stesso è Dio, non per partecipazione altrui. Ora chi giustifica anche deifica perché colla giustificazione rende figli di Dio. Diede infatti a loro la possibilità di diventar figli di Dio (Giov., I , 12). Se siam divenuti figli di Dio, siamo anche divenuti dei, ma per grazia dell’adottante, non della natura generatrice ». (P. L., 36, 565).

DOMANDA 74a.

Il Concilio Cartaginese ( 418) approvato da Zosimo, can. 2 contro i Pelagiani:

« Così pure fu decretato che sia scomunicato chiunque sostiene che i neonati non devono esser battezzati, oppure che sono bensì battezzati per la remissione dei peccati, ma che da Adamo non derivano pur l’ombra di colpa originale da espiarsi col lavacro di rigenerazione, sicché logicamente per essi la forma del battesimo « per la remissione de’ peccati » , s’intende non vera, ma falsa. Dacché il detto dell’Apostolo: Per via d’un solo uomo entrò nel mondo il peccato e per via del peccato la morte e così passò di uomo in uomo a tutti, perché in esso tutti peccarono (Ai Rom., V, 12) non ha da intendersi se non come l’intese sempre la Chiesa universale diffusa dappertutto. Di fatto per questa regola di fede anche i bambini, che in sé stessi nemmeno hanno ancor potuto commettere peccato di sorta, perciò son battezzati per la remissione, de’ peccati in quanto che in essi vien purificato per mezzo della rigenerazione ciò che contrassero per generazione ». (Mansi, III, 811).

II° Concilio di Orange (529) confermato da Bonifacio II, contro i Semipelagiani:

« Can. I. Chi afferma che per il peccato di prevaricazione d’Adamo non fu cangiato in peggio tutto l’uomo, cioè anima e corpo, ma, rimanendo invulnerata la libertà dell’anima, ammette soggetto a corruzione soltanto il corpo, contraddice, ingannato dall’errore di Pelagio, alla S. Scrittura, che dice: Perirà proprio l’anima che ha peccato (Ez., XVIII, 20); e: Non  sapete che, se ad uno vi rendete schiavi in obbedienza, schiavi rimanete di lui, al quale obbedite? (ai Rom., VI, 16); e ancora: Uno è dichiarato schiavo di colui, dal quale è vinto (I P di Piet., II, 19).

« Can. 2. Se alcuno afferma che soltanto ad Adamo, non alla sua discendenza, recò danno la sua prevaricazione, o almeno confessa che soltanto la morte del corpo, pena del peccato, non però anche il peccato, morte dell’anima, si sia propagato dal primo uomo al genere umano tutto, fa ingiustizia a Dio, perché contraddice all’Apostolo, il quale afferma: Per via d’un sol uomo entrò il peccato nel mondo e, per il peccato, la morte, e così la morte si propagò a tutti gli uomini, perché in quello tutti peccarono. (Ai Rom., V, 12) ». (Mansi, VIII, 712).

Concilio Fiorentino, Decretum prò Jacobitis:

« Crede fermamente, professa e insegna che nessuno mai, concepito di uomo e di donna, fu liberato dal dominio del demonio, se non per merito del mediatore fra Dio e gli uomini, Gesù Cristo Signor nostro, il quale, concepito senza peccato, nato e morto, da solo colla sua morte abbatté il nemico del genere umano, distruggendo i nostri peccati e dischiuse l’ingresso al regno de’ cieli, che il primo uomo con tutta la discendenza per cagione del proprio peccato aveva perduto. E tutte le sacre espressioni del Vecchio Testamento, i sacrifici, i sacramenti, le cerimonie additarono in antecedenza che un giorno sarebbe venuto ». (Mansi, XXXI, 1738).

Concilio di Trento, sess. V, Decretum de peccato originali:

« 1. Chi non professa che il primo uomo Adamo, dopo aver trasgredito nel Paradiso il comando di Dio, perdette all’istante la santità e giustizia, nella quale era stato stabilito, e che per tale colpa di prevaricazione incorse nell’ira e nello sdegno di Dio e perciò anche nella morte, che già prima Dio gli aveva minacciata, e insieme colla morte nella schiavitù del tiranno, che poi ebbe dominio di morte, cioè il Diavolo; e che tutto Adamo, anima e corpo, per quella colpa di prevaricazione fu cangiato in peggio, sia scomunicato.

« 2. Chi asserisce che la prevaricazione d’Adamo abbia soltanto a lui nociuto, non alla sua discendenza; che per sé  soltanto e non anche per noi abbia perduto la santità e la giustizia da Dio ricevuta e poi perduta; o che, infettatosi egli per il peccato di disobbedienza, abbia trasfuso per tutto il genere umano soltanto la morte e le pene corporali, non invece il peccato, che è morte dell’anima, sia scomunicato, perché  contraddice al detto dell’Apostolo: Per via d’un sol uomo entrò il peccato nel mondo e, per il peccato, la morte, e così la morte si propagò a tutti gli uomini, perché in quello peccarono tutti (Ai Rom., V, 12).

« 3. Chi asserisce che il suddetto peccato di Adamo, che è unico quanto all’origine e trasmesso a tutti per propagazione, non per imitazione, vale a dire proprio a ciascuno, si tolga o con le forze dell’umana natura, o con altro rimedio, che non siano i meriti del mediatore unico, Signor nostro Gesù Cristo, che nel suo sangue ci riconciliò con Dio, divenuto per noi giustizia, santificazione, redenzione (Ia ai Cor., I , 30); oppure nega che proprio il merito di Gesù Cristo si applica tanto ai bambini quanto agli adulti, per mezzo del Sacramento del Battesimo ritualmente conferito nella forma della Chiesa, sia scomunicato; difatti non c’è altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale possiamo noi salvarci (Atti, IV, 12). Quindi quel grido: Ecco l’agnello di Dio, ecco chi toglie i peccati del mondo (Giov., I, 29). E quell’altro: Tutti voi, che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (Ai Gal., III, 27).

« 4. Chi afferma che i neonati, fossero pure quelli di genitori già battezzati, non si devono battezzare; oppure che si battezzano sì per la remissione dei peccati, ma non contraggono da Adamo ombra di peccato originale, da doversi espiare nel lavacro di rigenerazione per ottenere la vita eterna; sicché logicamente la formola del Battesimo « in remissione de’ peccati » per essi ha da intendersi non vera, ma falsa, sia scomunicato; di fatti non altrimenti deve intendersi quel detto dell’Apostolo: Per via di un sol uomo entrò nel mondo il peccato e per il peccato la morte, e così la morte si propagò a tutti gli uomini, perché in quello tutti peccarono (Rom., V, 12), se non come sempre lo ha inteso la Chiesa universale diffusa dappertutto. Difatti in forza di questa norma di fede, secondo la tradizione degli Apostoli, anche i bambini, che nemmeno furono in grado mai di commettere da sé stessi peccato, perciò sono battezzati per la remissione de’ peccati in quanto che si purifica per rigenerazione in essi ciò che contrassero per generazione. Infatti se uno non rinasce nell’acqua e nello Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gio., III, 5).

« 5. Chi sostiene che la colpa del peccato originale non viene rimessa, per la grazia di Gesù Cristo nostro Signore, la quale vien conferita nel Battesimo; oppure asserisce anche che non vien tolto tutto ciò, che ha vera e propria ragion di peccato, dicendo invece che semplicemente vien cancellato, o non imputato: sia scomunicato. Difatti in chi è rinato pel Battesimo Dio non ha nulla da odiare, perché in essi non vi è più causa di dannazione, dal momento che davvero sono stati sepolti insieme con Cristo a morte per virtù del Battesimo (Rom., VI, 4); che non vivono più secondo la carne (Rom., VIII, 1), ma smesso l’uomo vecchio e rivestito il nuovo, che fu creato secondo il disegno di Dio (Ef., IV, 22) son divenuti innocenti, immacolati, puri, senza colpa e cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (Rom., VIII, 17); sicché niente più impedisce loro l’ingresso al cielo. Questo santo Sinodo invece professa e pensa che ne’ battezzati rimane la concupiscenza, ossia fomite, la quale, siccome rimane per il combattimento, non può nuocere a chi non consente, ma virilmente s’oppone per la grazia di Gesù Cristo; che anzi chi combatterà lealmente, sarà coronato (II Tim., II, 5). Questa concupiscenza l’Apostolo qualche volta la chiama peccato; orbene il sacro Sinodo dichiara che mai la Chiesa Cattolica intese chiamarla peccato perché davvero e propriamente sia un peccato, ma perché deriva dal peccato e al peccato induce. Che se alcuno pensa il contrario, sia scomunicato.

« 6. Tuttavia questo sacro Sinodo dichiara che non intende di comprendere in questo decreto, dove si parla del peccato originale, la beata e immacolata Vergine Maria, madre di Dio; ma che siano osservate le Costituzioni di Papa Sisto IV di f. m., sotto le pene che vi si contengono e che ora rinnova ».

Pio IX, Allocuz. Singulari quadam, 9 die. 1854:

« E questi seguaci, o meglio idolatri, della ragione umana, che se la propongono come una vera maestra e sotto la sua guida si ripromettono ogni prosperità, hanno certamente dimenticato quanto grave e dolorosa ferita sia stata inflitta all’umana natura dalla colpa del progenitore, in quanto la mente fu ottenebrata e la volontà divenne proclive al male. Perciò anche i più famosi filosofi fin da’ tempi più antichi, pure scrivendo di cose eccellenti, tuttavia contaminarono i loro insegnamenti con errori gravissimi; e di qui quell’incessante lotta, che sperimentiamo dentro di noi, così rappresentata dall’Apostolo: Sento nelle mie membra una legge che ripugna alla legge della mia coscienza (Rom,, VII, 23) ».

(Acta Pii IX, p. I, I, 624).

S. Cirillo Alessandrino, In Epist. ad Rom., al V, 18 :

« Ma noi siam divenuti peccatori per la disobbedienza di Adamo in questo modo preciso: egli era stato creato sì per la vita incorruttibile, e innocenti erano i suoi costumi nel paradiso delle delizie, intenta sempre alla contemplazione di Dio la mente, intatto e calmo il corpo, scevro d’ogni turpe piacere, perché non vi ribollivano passioni. Ma, poiché cadde in peccato e fu soggetto a corruzione, subito irruppero nella corporal natura le impure compiacenze e scaturì dentro noi la fiera legge delle membra. Dunque la natura per la disobbedienza d’un solo, cioè d’Adamo, contrasse il morbo del peccato, e così molti furono i costituiti nella condizione di peccatori, non perché abbian peccato in compagnia di Adamo, dal momento che ancor non esistevano, ma perché son della stessa natura di Adamo, caduta sotto la legge del peccato ». (P. G., 74, 790).

DOMANDA 75a.

Concilio di Trento: V. Dom. 74a.

Sisto IV, Costit. Cam præexcelsa, 28 febbr. 1476:

« Riteniamo giusto, anzi un dovere d’invitare con le indulgenze e col perdono de’ peccati tutti quanti i fedeli di Cristo, affinché ringrazino e lodino il Signore Dio onnipotente…. per la mirabile concezione dell’Immacolata Vergine e offrano le Messe e gli altri divini uffici a questo fine stabiliti e vi prendano parte ».

(Extra comm., III, 12, 1 e 2).

Pio IX, Costit. Ineffabilis Deus, 8 dic. 1854:

« A onore della santa e individua Trinità, a decoro e splendore della Vergine Madre di Dio, per l’esaltazione della fede cattolica e l’accrescimento della cristiana religione, coll’autorità del Signor nostro Gesù Cristo, de’ beati Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, proclamiamo e definiamo che la dottrina secondo la quale la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione fu, per singolar grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista de’ meriti di Cristo Gesù Salvatore del genere umano, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è dottrina rivelata da Dio e perciò i fedeli tutti la devono credere fermamente e costantemente. Quindi coloro che presumeranno (Dio non voglia) pensare diversamente da quanto Noi abbiam definito, conoscano e sappiano bene che, condannati dal loro stesso giudizio, essi hanno fatto naufragio circa la fede e si sono separati dall’unità della Chiesa e inoltre, con ciò, da sé stessi vanno soggetti alle pene stabilite dal diritto, se a parole o per iscritto o con qualsiasi mezzo esteriore oseranno significare quel che pensano in cuor loro ». (Acta Pii IX, p. I, I, 616).

S. Efrem, Carmina Nisibena, XXVII, 8:

« Davvero tu (Signore) e la madre tua siete i soli belli in tutto; difatti non c’è ombra in te, Signore, e nessuna macchia nella madre tua ».

(Ed. G. Biekell, p. 122-123).

S. Agostino, De natura et gratia, 42:

« Eccettuata dunque la santa Vergine Maria, della quale per onor di Dio non voglio nemmeno discutere, quando si parla di peccati (e difatti donde possiam sapere che maggior grazia le sia stata concessa per vincere in ogni parte il peccato, dal momento che meritò di concepire e generare Chi sappiam bene che non ebbe peccato?) dunque, eccettuata la Vergine, se potessimo radunare e interrogare tutti que’ santi e sante se fossero o no senza peccato, quando vivevano in terra, che cosa crediamo che risponderebbero? Forse quel che afferma costui (Pelagio) oppure l’apostolo Giovanni? Di grazia, non esclamerebbero a una voce, per quanto grande sia stata in questa vita l’eccellenza di santità: Se dicessimo che non abbiam peccato, c’inganniamo da noi stessi e non è in noi la verità ( I Giov., I , 8) ». (P. L., 44, 267).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (22)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (20)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (20)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 2°

Concilio di Firenze: Vedi la Domanda 349; Concilio di Trento: D. 532.

Benedetto XV, Encicl. Ad Beatissimi, 1 nov. 1914:

« L’essenza e la natura della fede cattolica è siffatta, che nulla le si può aggiungere, nulla togliere: o si ritiene per intero, o per intero si respinge: « Tale è la fede cattolica, che nessuno, senza averla creduta con fedeltà e fermezza, potrà andar salvo (Simb. Atanas.). Non v’ha dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del Cattolicismo; basti a ciascuno di dire così: « Cristiano il mio nome e cattolico il mio cognome » (S. Paciano, Epist. prima; P. L., 13, 1055); soltanto si studi essere veramente tale, quale si denomina ». (Aeta Apostolicæ Sedis, VI, 577).

DOMANDA 4°

S. Agostino: In Joannem, CXVIII, 5:

« Qual è quel segno di Cristo che tutti conoscono se non la croce di Cristo? E se questo non è applicato o sulle fronti dei credenti, o all’acqua stessa con la quale sono rigenerati, o all’olio col quale sono unti per crisma, o al sacrificio dal quale son nutriti, nulla si compie secondo il rito ». ( P. L., 35, 1950).

DOMANDA 5°.

Innocenzo III, De sacro Altaris mysterio, I I , 45:

« Il segno poi della Croce si deve far con tre dita, giacché lo si compie invocando la Trinità…. così che discenda dall’alto in basso e dalla destra passi alla sinistra…. Alcuni tuttavia fanno il segno di Croce da sinistra a destra…. specialmente per segnare in un solo e identico modo se stessi ed altri ». (P. L., 217, 825).

DOMANDA 7°.

Concilio Vaticano, Constit. Dei Fìlius, cap. 4:

« Oltre quelle verità, che la ragione umana può raggiungere, ci si propongono da credere misteri nascosti in Dio, che, senza la divina rivelazione, non si possono conoscere…. I divini misteri, per loro stessa natura, superano talmente l’intelletto creato che, anche conosciuti per la rivelazione e creduti per la fede, rimangono tuttavia nascosti nel velo della fede stessa, e avvolti quasi come in una nebbia, fino a che in questa vita mortale siam pellegrini lontani da Dio ».

Pio IX, Epist. Tuas libenter, 21 dic. 1863, agli arcivescovi di Monaco e di Frisinga:

« Non vogliamo perciò nemmeno dubitare che i membri dell’Assemblea stessa, conoscendo e professando la ricordata verità, non abbian voluto a un tempo respingere e riprovare apertamente quello strano filosofar moderno che, pur ammettendo la divina rivelazione come fatto storico, tuttavia sottopone alle indagini della ragione umana le misteriose verità, dalla stessa divina rivelazione proposte, come se quelle verità fossero soggette alla ragione, o quasi che la ragione potesse, in forza de’ suoi principi, studiare e comprendere tutte le verità e i misteri soprannaturali della nostra santissima fede, i quali trascendono l’umana ragione talmente, che questa non potrà mai né comprenderli né dimostrarli colle sue sole forze e in base a principi meramente naturali ».

(Acta Pii IX, I, III, 641).

DOMANDA 12°.

Concilio Vaticano, Constit. Dei Filius, cap. 2:

« La stessa santa madre Chiesa crede e insegna che Dio, come principio e fine di tutte le cose, può certamente esser conosciuto col lume naturale dell’umana ragione dalle cose create; perché le cose invisibili di lui, da dopo la creazione del mondo, si sono rese, per mezzo delle creature, palesi all’intelligenza (Rom., I, 20); tuttavia piacque alla sapienza e alla bontà di Dio di rivelare, per altra via, cioè soprannaturale, se stesso e i decreti eterni della sua volontà, come dice l’Apostolo: – Dopo aver molte volte e in molti modi parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio » (ad Hebr., I, I e segg.). 1

Idem., 1. c., canone I, De revelatione: 1

« Se alcuno dirà che il Dio uno e vero, Creatore e Signore nostro, non si può certamente conoscere col lume naturale della ragione umana, per mezzo delle creature, sia scomunicato ».

Pio X, Dal Motu proprio Sacrorum Antistitum, 1 settembre 1910, Giuramento contro gli errori del modernismo:

« Io…. accolgo e accetto fermamente tutte e singole le verità che furono definite, affermate, dichiarate dall’infallibile magistero della Chiesa, specialmente quei punti di dottrina, che direttamente s’oppongono agli errori contemporanei. E in primo luogo professo che Dio, come principio e fine di tutta le cose, può essere con certezza conosciuto e perciò anche dimostrato, col lume naturale della ragione per mezzo delle cose create, cioè delle opere visibili della creazione ».

(Acta Apost. Sedis, II, 669).

S. Ireneo, Adversus haereses, II, 9, 1:

« La stessa condizione (del mondo) mostra chi l’ha creato; e la creatura il suo Creatore; e il mondo proclama chi l’ha ordinato. Orbene, la Chiesa universale ricevette questa tradizione dagli Apostoli ».

(P. G., 7, 734).

S. Agostino, Sermo 141, 2:

« Donde questi empi (Rom., I , 18) appresero la verità? Iddio forse parlò a qualcuno di loro? Ricevettero forse la legge, come il popolo Israelita, per mezzo di Mosè? Donde dunque appresero il vero persino vivendo in mezzo all’iniquità? – Udite quel che segue ed è chiaro: « Perché ciò che può conoscersi di Dio, dice, è manifesto in essi: avendolo Dio loro manifestato » (ibid., 19). Lo manifestò a loro, ai quali non diede la legge? Senti come lo manifestò: « Perché le cose invisibili di Lui sono rese visibili all’intelligenza per mezzo delle creature » (ibid., 20). Interroga il mondo, la bellezza del cielo, lo splendore e l’ordine delle stelle…. interroga tutte le cose e rifletti se non ti rispondono con un loro linguaggio: ci ha fatto Iddio. Interrogarono tutto ciò anche celebri filosofi e dall’arte conobbero l’artefice ».

(P. L., 38, 776).

DOMANDA 13°

Concilio Vaticano: Vedi Domanda 12.

DOMANDA 17°.

Concilio Vaticano, 1. c., capo 2:

« È merito di questa divina rivelazione se le verità divine, che per sé non trascendono la umana ragione, anche nello stato presente del genere umano, da tutti si possono conoscere senza difficoltà, sicuramente, senza alcun errore ».

DOMANDA 18°.

Concilio Vaticano, 1. c, capo 3.

« Nondimeno, affinché l’ossequio della nostra fede fosse consentaneo alla ragione, Dio volle agli aiuti interni dello Spirito santo, aggiungere gli argomenti della sua rivelazione, cioè i fatti divini, e soprattutto i miracoli e le profezie che, siccome dimostrano magnificamente l’onnipotenza di Dio e la sua infinita sapienza, sono segni certissimi della divina rivelazione, e adatti all’intelligenza di tutti».

Origene, Contra Celsum, VI, 10:

« È una caratteristica propria della divinità predire il futuro in modo che la ragione della profezia superi le forze urnane e, dall’essersi avverata, si debba giudicare che l’autore è lo Spirito Santo ».

(P. G., II, 1306).

DOMANDA 21a.

S. Teofilo Antiocheno, Ad Autolycum, I I I , 12 :

« Le sentenze dei Profeti e degli Evangelisti sono concordi, perché tutti hanno parlato ispirati dall’unico Spirito di Dio ».

(P. G., 1138).

S. Epifanio, Adversus hæreses, Hær. 61, 6:

« Ma è necessaria anche la tradizione: perché non si può attinger tutto alle Scritture. Perciò i santissimi Apostoli consegnarono alcune cose allo scritto, altre alla tradizione ».

DOMANDA 23a.

Concilio Tridentino, sess. IV, Decretum de Canonicis Scripturis:

« Il sacrosanto ecumenico e generale Sinodo Tridentino… proponendosi continuamente di conservare nella Chiesa, tolti via gli errori, la purezza stessa del Vangelo, che, già promesso dai Profeti nelle Sacre Scritture, nostro Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, dapprima promulgò di propria bocca, poi, per mezzo degli Apostoli, fece predicare a ogni creatura (Matth., XXVIII, 19 ss.; Marc. XVI, 15) come sorgente d’ogni verità salutare e della disciplina morale: osservando inoltre che tale verità e disciplina sono contenute ne’ libri santi, nelle tradizioni non scritte, le quali direttamente comunicate da Cristo agli Apostoli o da questi tramandate, per così dire, a mano sotto dettatura dello Spirito Santo, son giunte fino a noi; seguendo l’esempio de’ Padri ortodossi, accoglie e venera con pari amore e riverenza tutti i libri tanto del Vecchio quanto del Nuovo Testamento, essendone autore l’unico Dio, e le tradizioni stesse, riguardanti la fede e i costumi, come ricevute per bocca da Cristo, o per dettatura dallo Spirito Santo, e conservatesi con perpetua successione nella Chiesa Cattolica. Inoltre crede bene inserire a questo decreto un indice de’ libri sacri, affinché nessun dubbio possa sorgere quali sieno i libri che dal Sinodo stesso sono accettati. E precisamente: Del Vecchio Testamento i cinque di Mosè, vale a dire Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; il libro di Giosuè, de’ Giudici, di Ruth, i quattro dei Re, i due dei Paralipomeni, il primo di Esdra e il secondo detto Neemia, quel di Tobia, di Giuditta, di Esther, di Giobbe, il Salterio Davidico di 150 Salmi, le Parabole, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele, i 12 Profeti minori, cioè Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Habacuc, Sofonia, Aggeo, Zacharia, Malachia; due de’ Maccabei, primo e secondo; del Nuovo Testamento i quattro Vangeli, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti degli Apostoli compilati dall’Evangelista Luca; 14 Lettere di Paolo Apostolo, quella ai Romani, 2 ai Corinti, quella ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, quella a Tito, a Filemone, agli Ebrei; dell’Apostolo Pietro due, di Giovanni Apostolo tre, una di Giacomo apostolo, una di Giuda Apostolo e l’Apocalisse di Giovanni Apostolo. – Anatema a chi non accoglierà come sacri e canonici que’ libri per intero con ogni lor parte, secondo che si soglion leggere nella Chiesa Cattolica e quali si hanno nell’antica edizione volgata latina; e a chi disprezzerà scientemente e a bello studio le predette tradizioni ».

Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 2:

« Orbene questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede della Chiesa universale dichiarata dal santo Sinodo Tridentino, è contenuta « ne’ libri scritti e nelle tradizioni non scritte quali pervennero a noi, o accolte dagli Apostoli dalla bocca di Cristo stesso o comunicate quasi per mano agli Apostoli stessi per dettatura dello Spirito Santo » . Ora questi libri del Vecchio e Nuovo Testamento, per intero colle loro parti tutte, secondo che sono enumerati nel decreto del medesimo Concilio e si hanno nell’edizione antica volgata latina, sono da accogliersi come sacri e canonici non perché, messi insieme per solo studio umano, siano stati poi approvati autorevolmente da lei; e nemmeno soltanto perché contengono la rivelazione senza errore; ma perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali furono consegnati alla Chiesa stessa ».

Leone XIII, Encicl. Providentissimus Deus, 18 nov. 1893:

« E difatti i libri tutti e per intero, raccolti dalla Chiesa come sacri e canonici, con ogni loro parte, furono scritti per ispirazione dello Spirito Santo; ed è talmente assurdo che nella divina ispirazione possa nascondersi un qualsiasi errore che non soltanto di per se stessa esclude ogni errore ma lo esclude e rifiuta per quella necessità stessa onde Dio, somma Verità, non può esser per nulla imputabile di qualsivoglia errore. Questa è l’antica e costante credenza della Chiesa, definita nei Concilii Fiorentino e Tridentino, anche con dichiarazione solenne, e confermata finalmente nel Concilio Vaticano, che dice perentoriamente: « I libri del Vecchio e del Nuovo Testamento…. hanno per autore Dio…. ». Non ha dunque importanza che lo Spirito Santo abbia adoperato uomini come strumento dello scrivere, quasi che qualche falsità sia potuta sfuggire, non dico all’autore primario, ma agli scrittori ispirati. Difatti Esso in persona con soprannalural potenza in tal modo li eccitò e mosse a scrivere, in tal modo li assistette mentre scrivevano che nella loro mente concepivano proprio e soltanto quelle cose, ch’Egli comandava, e intendevano di scriverle fedelmente e l’esprimevano esattamente con infallibile verità: altrimenti non Egli sarebbe l’autore di tutta la S. Scrittura…. E questa persuasione de’ Padri tutti e de’ Dottori che, cioè, le sacre Scritture, quali furon compilate dagli scrittori sacri, erano affatto scevre da qualsiasi errore, fu così perfetta che dedicarono tutto il loro acume e scrupolo a concordare e conciliare i non pochi passi, che parevano offrire qualche contrasto o dissomiglianza (que’ passi stessi che sono obiettati dalla cosidetta scienza moderna); dichiarando unanimemente che que’ libri per intero non meno che nelle parti derivano dalla divina ispirazione e che Dio, parlando in persona per mezzo degli scrittori sacri, non poteva lasciar correre o dire nulla assolutamente di diverso dalla verità ».

(Acta Leonis XIII, XIII, 357-59).

DOMANDA 25a.

Concilio Tridentino e Concilio Vaticano: Vedi Dom. 23.

DOMANDA 27a

Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 4:

« Né la dottrina della fede rivelata da Dio è stata, come un qualsiasi pensamento filosofico, offerta per essere perfezionata dall’ingegno degli uomini, ma consegnata come divino deposito alla Sposa di Cristo, per esser fedelmente custodita e infallibilmente interpretata, Perciò anche de’ sacri dogmi si deve sempre ritenere quel senso, una volta spiegato dalla santa Madre Chiesa, né si deve staccarsene mai sotto colore e a titolo di più alta comprensione. Cresca bensì e faccia molti e grandi progressi la comprensione, la scienza e la sapienza tanto di ciascuno quanto di tutti, tanto d’un sol individuo quanto di tutta la Chiesa col progredire del tempo e delle generazioni; ma unicamente nel suo genere, cioè nel medesimo dogma, secondo il medesimo senso e il medesimo pensiero ».

Idem, Costit. Pastor æternus, cap. 4 :

« Per adempiere a questo compito pastorale, i Nostri predecessori s’adoperarono indefessamente affinché la salutare dottrina di Cristo fosse propagata presso tutti i popoli della terra e con pari sollecitudine vigilarono a conservarla sincera e pura dov’era stata accolta. Perciò, seguendo una lunga consuetudine delle chiese e osservando la prescrizione d’un’antica regola, i prelati di tutto il mondo, sia singolarmente sia radunati ne’ Sinodi, riferirono a questa Sede Apostolica quei pericoli, soprattutto, che pullulavano in materia di fede, affinché i danni alla fede fossero riparati specialmente là dove la fede non può subir difetto (S. Bernardo, Epist. CXC). Dal canto loro i Pontefici romani, a norma de’ tempi e delle contingenze, ora colla convocazione di Concili ecumenici o diligentemente rilevato il pensiero della Chiesa sparsa per il mondo, ora per mezzo di Sinodi particolari, ora con altri mezzi offerti dalla divina Provvidenza, definirono doversi ritenere quelle verità che avevano, coll’aiuto di Dio, riconosciuto consentanee alle sacre Scritture e alla tradizione apostolica. E difatti ai successori di Pietro lo Spirito Santo fu promesso non perché proponessero, per sua rivelazione, una nuova dottrina, ma perché custodissero religiosamente e fedelmente dichiarassero, grazie alla sua assistenza, la rivelazione tramandata per mezzo degli Apostoli, ossia il deposito della fede. Orbene, tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono di quelli la dottrina apostolica, colla piena consapevolezza che questa Sede di S. Pietro rimane sempre intatta e immune da ogni errore, secondo la virtù, divina promessa del Signor nostro Salvatore, fatta alla persona del capo de’ suoi discepoli: Io ho pregato per te che non venga meno la tua fede; e tu convertito un giorno, conferma i tuoi fratelli (Luc., XXII, 32) » .

S. Ireneo, Adversus hæreses, III, 3, 1 s :

« Per chi vuole veder la verità, in ogni Chiesa è dato riconoscere la tradizione degli Apostoli predicata in tutto il mondo: e possiamo noverare quelli, che furono costituiti dagli Apostoli come Vescovi e loro successori fino a noi Ma, poiché sarebbe lungo enumerare in questo libro le successioni d’ogni Chiesa, ci basta indicare la tradizione ricevuta dagli Apostoli e la fede predicata della Chiesa più grande e antica e a tutti ben nota, fondata e stabilita in Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo: fede e tradizione che, per ininterrotta successione di Vescovi, arriva fino a noi. Basta, dico, per confutare e confondere quelli tutti che razzolano in tutti i modi…. salvo che come conviene. — Difatti con questa Chiesa (la Romana), per il suo primato, bisogna pur che s’accordi ogni chiesa, vale a dire tutti e dappertutto i fedeli, se in essa è stata sempre conservata da parte de’ fedeli la tradizione apostolica (P. G., 7, 849) ».

DOMANDA 36a.

Concilio IV di Laterano (1215), cap. I:

« Crediamo fermamente e schiettamente affermiamo che unico e solo è il vero Dio, eterno, immenso e immutabile, incomprensibile, onnipotente e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo; tre Persone sì, ma unica essenza, sostanza ossia natura semplicissima; da nessuno il Padre, il Figlio soltanto dal Padre e da entrambi lo Spirito Santo: senza principio, sempre, e senza fine: generante il Padre, nascente il Figlio e pròcedente lo Spirito Santo; consustanziali e tra loro eguali nella onnipotenza e nell’eternità; unico principio d’ogni cosa; creatore d’ogni cosa visibile o invisibile, spirituale e corporale; che immediatamente dal principio del tempo, per sua onnipotente virtù, fece dal nulla la duplice creatura, la spirituale e la corporale, cioè l’angelica e la terrestre; e di poi la umana, commista, per così dire, di spirito e di corpo. Satana infatti e gli altri demonii furono ben creati buoni per natura da Dio, ma essi da sé stessi divennero cattivi. A sua volta l’uomo, per suggestione del diavolo, peccò.

« Questa santa Trinità, indivisa quanto alla comune essenza, distinta quanto alle proprietà personali, comunicò per la prima volta, osservando un ordine perfetto nella successione del tempo, la dottrina di salvezza al genere umano, servendosi di Mosè e de’ santi Profeti ».

(Mansi, XXII, 981 s.).

Concilio Vaticano, Costit. Dei Filius, cap. 1:

« La Chiesa Romana santa, cattolica, apostolica crede e professa che unico è il Dio vero e vivo, creatore e Signore del cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito d’intelligenza, di volontà, d’ogni perfezione. E siccome Egli è unica sostanza spirituale semplicissima e immutabile, dev’essere proclamato distinto di fatto e per natura dal mondo, felicissimo in sé e da sé stesso e in modo ineffabile sovrastante a tutte le cose, che sono e possono pensarsi al di fuori di lui.

« Quest’unico vero Dio, per sua bontà e virtù onnipotente, con liberissima decisione e non per aumentare la sua felicità, né per acquistarne, bensì per manifestare ne’ beni, che compartisce alle creature, la sua perfezione, creò subito al principio del tempo, l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale, cioè l’angelica e la terrestre e di poi l’umana, commista, per così dire, di spirito e di corpo.

« Orbene, Dio colla sua provvidenza protegge e governa tutte quante le cose create, giungendo energicamente da limite a limite e tutto disponendo con soavità (Sap. VIII, I). Tutto infatti è nudo e scoperto alla sua vista (Hebr., IV, 13), anche ciò ch’è per accadere in dipendenza del libero agire delle creature ».

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, IV, 5 :

« Questo Padre del Signor nostro Gesù Cristo non è circoscritto in qualche luogo, né è minor del cielo; anzi son fattura delle sue mani appunto i cieli e tiene in pugno tutta quanta la terra; Egli è in tutte le cose e fuor da tutte;…. conosce il futuro ed è potente più di chicchessia, tutto sa e tutto fa secondo che vuole, non soggetto a qualsivoglia vicenda, né categoria di esseri, né sorte, né destino ineluttabile. È perfetto in tutto e possiede lo splendore d’ogni virtù parimenti. Non scema né  cresce, ma riman sempre il medesimo e al medesimo modo; e tien preparato per i peccatori il castigo e la corona per i giusti ».

( P . G , 33, 459).

DOMANDA 37a

Concilio Vaticano: V. Dom. 36.

LO SCUDO DELLA FEDE (139)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (6)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE VI.

L’ infallibilità del Papa, e de’ Generali Concili..

36. Prot. Se dunque il Papa di Roma si contentasse di esser riconosciuto qual vero successor di S. Pietro nella suprema dignità e potestà di ordine e di giurisdizione sopra tutta la Chiesa, nulla vi sarebbe più che ridire. Ma egli oltre a questo, pretende di avere il dono dell’infallibilità in tutte le sue decisioni, ex Cathedra, come sogliono i Papisti appellarle; cosicché i fedeli debbono riguardarle come tante infallibili verità! Oh; questo è troppo! Tal detestabile errore in verun modo deve tollerarsi nella Chiesa di Dio. Non è egli vero?

Bibbia. Sempre che il Papa succede a S. Pietro nella Supremazia su tutta la Chiesa, nella dignità di Sommo Pastore, succede anche, per conseguenza, in tutte quelle prerogative che come tale ebbe S. Pietro. Ora è fuor di dubbio che unitamente alle altre prerogative del Primato ebbe da Gesù Cristo S. Pietro il gran dono dell’infallibilità nel suo magistero. Ascoltane di nuovo le divine parole. « E Gesù rispondendo disse a lui…. Ed io dico a te che tu sei Pietro (pietra), e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’ inferno non prevarranno contro di lei. » (Matth. XVI, 18 e segg.). Ora poi essendo certo che l’inferno non può. prevalere contro la Chiesa che per via dell’errore, è certo parimente che questa divina promessa « le porle dell’inferno, etc. » equivale ad una manifesta dichiarazione dell’infallibilità di S. Pietro. Imperocché, essendo stata tutta la Chiesa affidata al supremo governo e direzione di lui, è manifesto che, se egli nel suo magistero fosse stato soggetto ad errare, e quindi ad insegnare l’errore, a sanzionarlo colle sue decisioni, alle quali, per di più, è obbligato ciascuno assolutamente ad obbedire, ben presto l’inferno prevalso avrebbe contro la Chiesa. Né sono men decisive le parole che seguono: « Tutto ciò a che avrai legato sopra la terra, sarà legato anche ne’ cieli: e tutto ciò che avrai sciolto sopra la terra, sarà sciolto anche ne’ cieli. » Imperocché con tal promessa Gesù Cristo solennemente si obbliga di ratificare in cielo quanto avesse Pietro ordinato, deciso, etc. sopra la terra. Dunque, se non vuoi dire che siasi Gesù Cristo impegnato di ratificare anche l’errore; ti è forza convenire aver Egli concesso a S. Pietro l’infallibilità. Qui non si dà via di mezzo.

37. Parimente Gesù disse a S. Pietro: Pasci i miei agnelli: Pasci le mie pecore (Giov. XXI, 15-17) cioè i fedeli tutti, senza eccezione, Laici e Pastori; i quali spiritualmente non si pascono che colla scienza e colla dottrina, siccome è scritto: « Darò a voi pastori secondo il cuor mio, e vi pasceranno colla scienza e colla dottrina? » (Gerem. III, 13.). Posto ciò, è cosa evidente che Gesù Cristo concesse a S. Pietro l’.infallibilità, perché in caso diverso ne sarebbe avvenuto: 1° Che Egli avrebbe assegnato alla sua Chiesa una guida erronea, collo obbligo a tutti di seguirla; cosa impossibile, e che non può immaginarsi senza empietà. 2.° Che neppure avrebbe potuto sussistere lo stesso Primato di S. Pietro; poiché consistendo questo principalmente nella potestà, e potestà inappellabile, di farsi obbedire in materia d’insegnamento, di dottrina, di fede; è chiaro che nessuno sarebbe stato tenuto a obbedirgli, se nelle sue ordinazioni e decisioni fosse stato soggetto all’errore; e quindi in ambedue questi casi la Chiesa stessa non avrebbe potuto, almeno per lungo tempo, sussistere, perché, mancando di un punto sicuro di appoggio, l’inferno prevalso avrebbe contro di essa. Onde nelle attuali disposizioni della Provvidenza Divina, non può negarsi l’infallibilità di S. Pietro senza negarsi nel tempo stesso il suo Primato, e tanto essa è necessaria quanto è necessaria la esistenza della Chiesa, la salute del genere umano, l’onore stesso di Gesù Cristo.

38. Finalmente Gesù disse a Pietro: « Simone, Simone, ecco che satana va in cerca di voi per vagliarvi come si vaglia il grano: ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli. » (Luc. XXII, 57). Ora dal testo è chiaro che le insidie di satana erano dirette contro tutti gli Apostoli, che il pericolo era a tutti comune. Perché dunque questa singolarissima preghiera per la fede del solo Pietro? Il perché ti è dichiarato in quelle ultime parole: « E tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli. » Dalle quali è manifesto che tal preghiera non ebbe per oggetto quella fede che riguardava Pietro come persona privata, ma come Sommo Pastore, quella che a tutti i fedeli servir doveva di norma, ossia l’infallibilità di S. Pietro in materia di fede, di dottrina, che è la fede necessaria al Capo Supremo visibile di tutta la Chiesa, e la sola che può esser atta a confermare i fratelli.

39. Prot. Mi persuaderebbero le vostre ragioni, se smentite non fossero dagli eventi; imperocché: 1.° S. Pietro dopo questa preghiera negò Gesù Cristo. « Ma egli lo negò, dicendo : etc. » (Luc. XXII, 57). 2.° S. Paolo riprese S. Pietro: « perché era riprensibile? » (Gal. II, 11. )Ecco dunque svanita col fatto l’infallibilità di S. Pietro.

Bibbia. Rispondo al I.° che la caduta di Pietro non avvenne per mancanza di fede, ma per timore, per puro effetto di umana fragilità, come è chiaro dal testo: poiché appena caduto, «uscì fuori e pianse amaramente. » (Luc. XXII, 62) Che se anche caduto fosse per mancanza di fede, ciò nulla varrebbe pel caso nostro; essendo certissimo che la sua missione di Capo della Chiesa, e quindi la necessaria sua infallibilità, non cominciava che dopo l’ascensione al cielo del Redentore. Quanto al 2.° è noto dal contesto che fu ripreso da S. Paolo non per cose riguardanti la fede, né la dottrina, o la disciplina universale, ma perché privatamente usava verso i Giudei de’ rispetti umani non convenienti; né allora operava come Capo della Chiesa, ma come privata persona: nei quali casi nessuno ti dirà che il Sommo Pastore sia infallibile.

40. Prot. Concedo che S. Pietro fosse infallibile, ma non ne segue da ciò che sia infallibile il Papa, quantunque suo successore; imperocché anche agli altri Apostoli fu concessa l’infallibilità, eppure è certo che non passa ne’ Vescovi lor successori.

Bibbia. Non vi è parità di ragione: perché l’infallibilità concessa agli altri Apostoli era una prerogativa straordinaria, e quindi puramente personale: la quale perciò finiva con essi, né ad altri passar doveva. Ma l’infallibilità concessa a S. Pietro come a Capo della Chiesa e pel governo di essa è una prerogativa ordinaria, di officio, essenzialmente annessa al Primato; onde passa insieme con lo stesso Primato ai suoi successori. Infatti, osserva che, unitisi gli Apostoli in Concilio per decider la controversia delle osservanze legali, S. Pietro disse loro: « Uomini fratelli, voi sapete come fin da principio Dio fra noi elesse che per bocca mia udissero le genti la parola del Vangelo e credessero » (Act. XV, 7) S. Paolo poi dice: « Io sono stato costituito predicatore, e Apostolo dottor delle Genti. » (I Tim. II, 7) E Gesù aveva detto a tutti gli Apostoli: « Come il Padre mandò me; anch’io mando voi. » (Giov. XX, 21) Come dunque può intendersi che Dio abbia eletto che non dalla bocca di Paolo, o degli altri Apostoli (mentre essi pure erano infallibili, ed a ciò erano eletti), ma dalla bocca di Pietro debbano le genti udire la parola del Vangelo e credere, se non che in tutti i dubbi e controversie in materia di fede e di dottrina la Chiesa tutta ricorrer deve in ogni tempo alla Sede di Pietro per udirne le infallibili decisioni, gli oracoli di verità? Trovane un’altra ragione, se puoi.

41. Prot. Questo è troppo! Imperocché Gesù disse pure agli Apostoli: « Ecco che io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione de’ secoli. »(Matt. XVIII, 20)  — « Dove sono due o tre congregati nel nome mio, quivi son’io in mezzo di essi. » (ivi, XVIII. 20).  Di più, gli Apostoli stessi, terminato il Concilio da voi citato, cosi scrissero ai fedeli: E paruto allo Spirito Santo ed a noi, etc. » – V. 28. – Dunque non è vero che per le decisioni in materia di fede, di dottrina sempre ricorrere si debba alla Sede di Pietro, agli oracoli del Papa: anzi ciò si appartiene al corpo dei Pastori e dei fedeli insieme riuniti, siccome sta scritto: « la Chiesa (non il Papa) è colonna e sostegno della verità. » (I. Tim. III, 15)

Bibbia. È innegabile che anche al corpo dei principali Pastori riuniti in Concilio rappresentante tutta la Chiesa (non già al corpo dei fedeli in generale. Perché non a questi, ma ai soli Apostoli eran dirette quelle divine parole) è promessa l’infallibilità: ma vi è apposta la condizione che siano congregati in nome o per autorità di Gesù Cristo: Nel nome mio. Ora è fuor di dubbio che verun concilio può esser congregato in nome o per autorità di Gesù Cristo, se non da colui nelle mani del quale Gesù Cristo ha depositato la divina sua autorità su tutta la Chiesae al quale disse: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore. » È vero che gli Apostoli dissero: « È paruto allo Spirito Santo ed a noi: » ma è vero ancora che in quel Concilio presedevail solo Pietro, che egli e non altri pronunziò la dogmatica decisione, dicendo: « Perché tantate voi Dio per imporre sul collo dei discepoli un giogo, che né i Padri nostri, né noi abbiamo potuto portare? Ma per la grazia di Gesù Cristo CREDIAMO esser salvati nello stesso modo che essi. » (Act. XV, 10-11.) Onde in questo senso soltantotal decisione fu decisione di tutto il Concilio, in quanto che fu da Pietro tutti per divino impulso convennero nello stesso punto di verità; e però dissero: « È paruto allo Spirito ed a noi. » Quello che più monta si è che S. Pietro pronunciò quella solenne decisione non solo senza aspettare il parere degli altri, ma interrompendoli improvvisamente nel fervor della disputa. « Mentre ferveva la disputa, alzatosi Pietro, disse, etc. » Da tutte queste cose insieme considerate risulta chiaramente, 1° che il Capo Supremo della Chiesa può decidere anche senza il Concilio, ma non viceversa: 2.° che non vi è Concilio legittimo atto a rappresentare la Chiesa per decidere, se non è congregato dal Santo Padre, o almeno di suo consenso: 3.° esser necessario che sia da lui presieduto immediatamente, o mediatamente: 4° che a lui solo appartiene pronunziare definitivamente, o almeno ratificare le decisioni, onde abbiano forza di obbligare; tanto più che a lui solo fu detto : « Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: … e tu conferma i tuoi fratelli. » Onde ben vedi che alla fin fine tutti ricorrer debbono alla Sede di Pietro. Siccome poi tanto il Capo Sapremo, o Papa, quanto il Concilio unito al Capo Sapremo rappresentano veramente tutta la Chiesa, perciò la loro infallibilità e decisioni si dicono e sono decisioni e infallibilità della Chiesa, e quindi all’uno, ed all’altro si riferisce quella divina sentenza: « La Chiesa è colonna e sostegno della verità. » La qual sentenza è pure una prova di più della continuazione della infallibilità di Pietro nei Successori suoi; senza della quale non potrebbe tal sentenza verificarsi.

42. Prot. « Io ho mancato di rispetto al Papa. Io me ne pento. Degnatevi riferire al Santo Padre, che io non domando che di ascoltare la voce della Chiesa. » (Lutero, in Disput. Lipsica, Opp. T. 4, p. 213.) « Io non pretendo di dubitare né del Primato e dall’autorità della Santa Sede, né di cos’alcuna che sia contraria alla potestà del Papa. » (il medes. Appellat. In Conc. Dominic. 28 Novemb. 1518, Opp. T. 1) « Gesù Cristo disse: Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, ec. Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore. Tutto il mondo confessa che in questi passi è asserita l’autorità del Papa, che la fede di tutto il mondo dee conformarsi a quella che professa la Chiesa Romana. Io rendo grazie a Gesù Cristo di questo, che ha conservato sulla terra con grande miracolo questa unica Chiesa, che sola può mostrare che vera è la nostra fede; di sorte che Ella mai in alcun decreto si è allontanata dalla vera fede » (Lutero, Opp. T. 1, p. 178-188). « La Chiesa vien dichiarata: il grande e speciale sostegno della verità. – e i suoi vari ministri si dicono mezzi ad aggiustare ogni differenza ed incertezza di dottrina, e sicurare l’unità della fede: e si fa a lei una diretta promessa, che la parola di verità a lei affidata non mai si perderà, e ciò in conseguenza della sempre presente assistenza dello Spirito Santo. Come i settarii protestanti intendano questi passi io noi so: come, per esempio, è inteso in alcun modo il primo citato da quelli che negano una Chiesa visibile. Dall’altro canto se sola una Chiesa visibile può esser sostegno e mantenimento della verità, e se perciò si parla quivi di Chiesa visibile, si vede bene quanto alto debba esser l’officio, quanto augusto e magnifico il privilegio a lei qui assegnato. Forse che S. Paolo non parla in queste parole di qualche cosa esistente al tempo suo?… Sicuramente, dunque, lo Spirito dell’Onnipossente Dio si è impegnato a lei pel mantenimento della fede da generazione in generazione sino alla fine del mondo. » (il celebre Newman quando era protestante, nell’Opera Romanism and Protestantism.). « A meno che non si volesse rinunziare di esser conseguenteseco medesimo, certa cosa ella è esservi un solo sovrintelligibile, o come altri dicono, soprannaturalismo, cioè il Romano-Cattolico.Questo dilungandosi dalle usanze de’ protestanti,… si giova della Scrittura e della Tradizione, e si attiene a quella esposizione che ne dà la Chiesa. Per la qual cosa non può andare errato, essendo tutto preveduto e provveduto. Se qualche dubbiezza in alcun membro della Chiesa pur rimanesse, vi ha un fonte di luce, al cui raggio sottoponendosi, comparisce vera e chiarissima la decisione di lei. » (Krug, Parere filosofico in materia di Cattolicesimo). – « È dannoso e terribile credere qualche cosa contro la fede della Chiesa…. Il Salvatore disse in S. Matteo – XVIII. 20. – Io sono con voi sino alla consumazione de’ secoli. – E S. Paolo – I. a Tim. III. 15. – La Chiesa-è la colonna ed il sostegno della verità. – Per conseguenza, se Dio non può mentire, la Chiesa non può errare. » (Lutero, Lettera ad Alberto di Prussia) « Il consenso di tutti i fedeli mi ritiene nella riverenza all’autorità del Papa. » (Il medes. In Disput. X. Lipsica, Opp. T, 1, p. 251) « Il Papa ha il diritto di convocare il Concilio. » (Melantone, Lib. 4, Epist. 196). « La religione qual’ella fu, ed è al presente, si conserva tutta bella e maestosa pel sublime ministero de’ Papi. » (Giov. Moller, Op. T. III, p. 156, ediz. di Stuttgart). « Roma non è mai venuta a’ patti coll’errore, per farsene un amico tirandolo dalla sua parte. Lungi da ogni sorta di viltà, ma generosa e forte, non ha mai inchinalo il suo capo, né abbassate le sue pupille in faccia ad una sola eresia. Senza punto riguardare a cosa alcuna, per difesa della più piccola delle dottrine sue, recise e ributtò da sé la Chiesa Greca datasi a seguir l’errore, sebbene questa costituisse a que’ tempi la metà del mondo cristiano. » (Herder, Idee sulla Storia, dell’Umanità. T. 2, p. 200).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (19)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (19)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

APPENDICI

APPENDICE III.

Di quelli che sono in pericolo di morte.

Se accade che sia in pericolo di morte un infermo battezzato, sia bambino, sia fanciullo, sia adulto, che ignora il catechismo e vuol giovarsi degli altri Sacramenti della Chiesa, il sacerdote lo istruisca sommariamente intorno a Dio, a Dio remuneratore, ai misteri della Ss. Trinità e della Redenzione umana, alla reale presenza di Cristo nell’Eucaristia e al sacramento della Penitenza; e lo esorti a implorar perdono da Dio de’ peccati commessi, per intercessione della beata Vergine Maria, nostra Madre amorosissima; ne ascolti, per quanto è possibile, la confessione e gl’impartisca l’assoluzione sacramentale; finalmente gli somministri il sacramento del Corpo di Cristo e, se tempo avanza, anche la Estrema Unzione. – Se invece l’infermo non è battezzato e chiede il Battesimo, ma non può essere istruito più accuratamente, per conferirgli il Battesimo basta sia istruito intorno a Dio, a Dio remuneratore e, come sopra, a’ principali misteri della fede e che dimostri in qualche modo di assentirvi e prometta seriamente di osservare i comandamenti della Religione cristiana. Che se non è in grado nemmeno di chiedere il Battesimo, però abbia prima o nella attuale condizione manifestato in qualche modo probabile l’intenzione di riceverlo, dev’essere battezzato sotto condizione; e se, poi, guarito, rimanga dubbio circa la validità del conferito Battesimo, sia di nuovo conferito il Battesimo sotto condizione. – In mancanza del sacerdote e di tempo per chiamarlo, qualsiasi persona, per prepararlo, quant’è possibile, alla morte, istruisca l’infermo, l’esorti e lo battezzi, come s’è detto sopra.

APPENDICE IV.

DECRETO circa le Indulgenze concesse a coloro, che si adoperano a insegnare o a imparare la Dottrina Cristiana.

PIO PP. XI

a perpetuo ricordo del fatto.

Con nostra lettera motu proprio del 29 giugno 1923, Noi abbiamo istituito presso la Sacra Congregazione del Concilio uno speciale Ufficio coll’incarico di regolare e propagare nella Chiesa tutta l’azione catechistica. Orbene, adesso la Commissione Catechistica dell’Ufficio medesimo, allo scopo di promuovere sempre più l’istruzione religiosa del popolo cristiano e specialmente de’ fanciulli, ci prega istantemente di ricompensare coi doni spirituali delle Indulgenze coloro, che s’adoperano a insegnare o a imparare il Catechismo cristiano. Vero è che i nostri predecessori di vener. mem. Paolo Pp. V e Clemente Pp. XIII concedettero già siffatti doni spirituali, che a que’ tempi parevano bastare; ma ora giudichiamo nel Signore che tali doni son da accrescersi e da conformarsi ai bisogni del nostro tempo. Abrogate dunque le Indulgenze già concesse da que’ Romani Pontefici, udito inoltre il parere del Nostro caro Figlio Cardinale di S. Romana Chiesa Penitenziere Maggiore, fidando nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità de’ santi Apostoli Pietro e Paolo, concediamo misericordiosamente nel Signore a tutti e singoli i fedeli di Cristo, che per mezz’ora circa, non meno però di un terzo d’ora, si presteranno a insegnare o a imparare la dottrina cristiana almeno due volte al mese, indulgenza plenaria, da lucrarsi due volte nel medesimo mese e in giorni di loro scelta; purché, veramente pentiti, confessati e comunicati, visitino qualche chiesa od oratorio pubblico e vi preghino secondo l’intenzione Nostra o del Romano Pontefice. Inoltre ai medesimi fedeli, ogniqualvolta si presteranno durante il suddetto periodo di tempo a insegnare o a imparare la dottrina cristiana, elargiamo una indulgenza parziale di cento giorni, da lucrarsi colla contrizione almeno del cuore. Non ostante qualsiasi disposizione in contrario. La presente avrà valore per sempre in avvenire.

Roma, presso S. Pietro, sotto Fanello del Pescatore, il 12 Marzo 1930, nono del Nostro Pontificato.

E. CARD. PACELLI

Segretario di Stato.

APPENDICE V. (*)

(*) Questa Appendice fa parte del Catechismo di S.S. Pp. Pio X.

Sunto storico della divina rivelazione.

I. – Creazione del mondo e dell’uomo.

1. Al principio nulla esisteva fuor di Dio: ed Egli, per essere infinitamente perfetto e felice da sé, non avea bisogno di nessuno e di nulla; sicché solamente per bontà sua s’indusse a creare, cioè a far dal nulla tutte le cose contenute in cielo e in terra, visibili e invisibili.

2. Ogni cosa creata fu creata con ordine stupendo; e l’uomo, ultima creatura e per così dire corona del creato, fu fatto a immagine e somiglianza di Dio.

3. Al primo uomo, che chiamò Adamo, Dio diede per compagna Eva, formandola da una costa di lui; e da questi due provenne tutto quanto il genere umano.

II. – Della caduta dell’uomo e della promessa del Redentore.

4. L’uomo, costituito re di tutta la terra, fu posto in un amenissimo luogo, il paradiso terrestre, dove poteva goder d’ogni piacere: tuttavia, perché riconoscesse il pieno dominio del Creatore, Dio gli comandò di non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male.

5. Eva, credendo più al serpente che a Dio, e Adamo, per contentar Eva, trasgredirono miserabilmente il comando divino e per loro colpa accadde quel che Dio aveva minacciato per patto, cioè che non soltanto i due, ma tutti gli uomini poi rimanesser privi sia della grazia e dell’eterna felicità, sia di tutti gli altri doni che rimediavano alle deficienze dell’umana natura. Così diventarono soggetti alla schiavitù del demonio, alle passioni, ai dolori e anche alla morte; ed esposero tutti al pericolo di perdere l’eterna felicità.

6. Ma Dio, dopo averli scacciati dal paradiso terrestre e condannati alla fatica, al dolore e alla morte fisica, non tolse loro la speranza dell’eterna salvezza; anzi preannunziò che, grazie al Messia ovvero Cristo, sarebbe stata da Lui distrutta la orribile signoria del demonio: e che il Messia verrebbe nella pienezza de’ tempi; e che, sorretto da questa speranza e fede, l’uomo rivivrebbe, conformandosi alla legge morale, scolpita nel suo cuore.

III. – Della corruzione degli uomini, del diluvio, del popolo eletto.

7. Ma fin da Caino, che per invidia uccise suo fratello Abele, le colpe si moltiplicarono talmente sulla terra, col crescere del genere umano, che tutti senz’eccezione si corrompevano. Perciò Dio mandò sulla terra il diluvio e tutti perirono tranne Noè, uomo giusto, colla sua famiglia, perché Dio lo volle salvo nell’arca, ossia nave grandiosa che gli aveva comandato di costruire. Orbene, per contraccambio di questo beneficio Noè, al cessar del diluvio, fece offerta sull’altare d’un olocausto.

8. Però le varie schiatte provenute da Sem, da Cam, da Jafet figli di Noè, deviarono dal retto sentiero e coll’andar del tempo, dimenticato l’unico vero Dio, adorarono idoli d’ogni sorta. Dio pertanto scelse, tra i pochissimi fedeli della schiatta di Sem, il caldeo Abramo, lo chiamò fuor di patria e gli promise, purché si mantenessero giusti lui e i suoi discendenti, d’essere il loro Dio, inoltre di accrescerli sterminatamente, facendoli dominatori della terra di Canaan ossia Palestina, non solo, ma, di più, benedire nel seme di Abramo tutte le genti. Questa promessa medesima fu da Dio rinnovata sia ad Isacco, figlio di Abramo, sia a Giacobbe o Israele, secondogenito d’Isacco.

9. Così la progenie di Abramo e d’Isacco divenne il popolo eletto, perché conservasse la fede e la vera religione e tramandasse a’ posteri la promessa del Salvatore.

IV. – Dell’esilio in Egitto degli Ebrei e della loro liberazione per mezzo di Mosè.

10. Giacobbe morì nell’Egitto, dove s’era rifugiato, in occasione di terribile carestia, con tutti i suoi presso il figlio prediletto Giuseppe, che i fratelli avevan venduto, per malevolenza, a certi Egiziani come schiavo. Il Faraone, cioè re d’Egitto, preso d’ammirazione per il dono della profezia, per la fedeltà e per la saggezza di Giuseppe, l’innalzò alla più alta carica del regno. Nell’Egitto gli Ebrei crebbero in tal numero e raggiunsero tale prosperità, che un altro Faraone poi, crudelissimo, che aveva in sospetto la loro potenza, fece ogni sforzo di spegnerli, durante una schiavitù durissima, comandando di buttar nel Nilo i loro maschi neonati.

11. Dio però venne in aiuto del suo popolo. Difatti la figlia stessa del re salvò dalle acque Mosè, futuro salvator del popolo, lo fece allevar nella reggia; e per mezzo di lui più tardi ingiunse Dio al re di liberare il popolo ebreo. E, siccome il Faraone non voleva ubbidire, ne devastò orrendamente il regno con dieci flagelli, detti le piaghe d’Egitto, l’ultimo de’ quali fu di uccidere nottetempo, pel ministero d’un Angelo, tutti i primogeniti degli Egiziani, mentre furono rispettate dall’Angelo le case degli Ebrei, ch’essi aveano segnato col sangue d’un agnello.

12. Il re cedette e Mosè, partito subito col popolo, passò il mar Rosso, grazie alla miracolosa separazion delle acque, nelle quali, pentiti della conceduta partenza, anche gli Egiziani discesero, per inseguir gli Ebrei. Ma le acque si ricongiunsero su loro e tutti perirono. Così avvenne il passaggio, cioè la Pasqua (Ex., XII); e del fatto prodigioso gli Ebrei ogni anno celebrarono il ricordo, fino alla Pasqua di Gesù Cristo, nella quale fu redento il genere umano dalla servitù del peccato, di gran lunga la peggiore di tutte.

V. – Gli Ebrei nel deserto, la legge, Giosuè, la terra promessa.

13. Agli Ebrei, guidati attraverso il deserto, Iddio diede, sul monte Sinai con grande autorità fra tuoni e fulmini, il Decalogo, vale a dire dieci comandamenti, scolpiti sopra due tavole di pietra; e vi aggiunse altri precetti rituali e sociali, che il popolo doveva osservare fino alla venuta del Messia per rendersi meritevole delle divine promesse.

14. F u questo il vecchio Testamento, cioè patto di Dio col popolo eletto: questa la legge antica, mosaica, la quale, co’ suoi minuti e gravosi precetti, mirava a conservar la fede e il culto dell’unico vero Dio, ignorato dappertutto da’ popoli, e quasi a preparare il nuovo Testamento, cioè la nuova legge di Cristo infinitamente superiore all’antica: finalmente quest’è il fondamento, sul quale poggia la costituzione del popolo ebreo, fondata da Mosè.

15. Pure così favoriti da Dio e meravigliosamente sostentati nel deserto, gli Ebrei ritardarono per le loro colpe l’ingresso alla terra promessa. Anzi Mosè vi morì proprio sulla soglia e gli succedette Giosuè, che finalmente dopo quarant’anni di peregrinazione s’impossessò della Palestina e la spartì in dodici tribù, che debbono la loro origine ai dodici figli di Giacobbe.

VI. –  Giudici, i Re, Davide, Salomone, il Tempio, il regno di Giuda,

16. Morto Giosuè, i Giudici governarono il popolo; ed erano suscitati da Dio ogni qualvolta qualche grave frangente li richiedeva; poi i Re, tra i quali fu primo Saul. A lui, abbandonato da Dio, succedette Davide, uomo davvero valoroso e fedele, della tribù di Giuda; e nella sua famiglia rimarrà ereditario il regno e nascerà finalmente il Messia, il cui regno non avrà fine.

17. Salomone, figlio di David, il più sapiente degli uomini, edificò a Dio in Gerusalemme un amplissimo e magnifico tempio: ma, già vecchio, s’abbandonò alla lussuria e all’idolatria, e per questo delitto, come anche per la crudeltà del figlio e successor suo Roboam, dieci tribù si separarono dalla casa di Davide e costituirono, con Geroboam, autore della scissione, il regno di Israele. Anche questo cascò in breve nell’idolatria, fu maledetto da Dio e distrutto dagli Assiri.

18. Frattanto anche le tribù di Giuda e Beniamino, che formavano il regno di Giuda fedeli ai successori di Davide, prevaricarono più volte, nonostante i fieri rimproveri de’ Profeti, specialmente al tempo di empii re come Achaz e Manasse. Perciò intervenne il re di Babilonia, Nabuccodonosor, che distrusse Gerusalemme col suo tempio e condusse i n ischiavitù re e popolo.

VII. – La schiavitù babilonese, il ritorno in patria e la riedificazione del tempio.

19. Gli Ebrei, afflitti dalla schiavitù di Babilonia e commossi dagli ammonimenti de’ Profeti, si convertirono e confermarono la loro fede in Dio e nella libertà d’Israele per mezzo del Messia.

20. Così, dopo 70 anni, al tempo di Ciro, re de’ Persiani, che aveva soggiogato Babilonia, avvenne il ritorno in patria del popolo d’Israele, secondo la mirabile profezia del profeta Isaia; e la città, sotto la guida di Zorobabele e di Neemia, fu ricostruita con unanime slancio di pietà e patriottismo e, anzitutto, il tempio che, per quanto meno splendido del vecchio per architettura e decorazione, doveva però essere onorato dalla presenza dell’aspettato Dominatore e Angelo del nuovo Testamento. Fu restituito il culto pubblico a Dio e, per opera del sacerdote Esdra, richiamato il popolo all’obbedienza della legge: anzi della legge furono letti e spiegati opportunamente in presenza di tutti, gli esemplari.

21. Di poi, collo scorrere de’ secoli, la libertà civile, la forza e la potenza del popolo ebreo decadde man mano; tuttavia, se anche molti non furono fedeli ai buoni propositi antichi, non si raffreddò, anzi crebbe e si consolidò lo studio della legge divina e similmente l’aspettazione del Salvatore, giorno per giorno più chiaramente manifestato dai Profeti, finché apparve Gesù Nazareno, nel quale tutte a un punto le profezie furono divinamente adempite (Cfr. Part. III, D. 80)..

VIII. – Vita, predicazione, morte, risurrezione e ascensione di Gesù Cristo.

22. Gesù nacque in Betlemme da Maria Vergine, della casa di Davide, sposa a Giuseppe. Come le avea preannunziato l’Angelo Gabriele, la fecondò lo Spirito Santo; perciò, pur conservandosi vergine, divenne Madre del Verbo Divino, che s’incarnò da Lei.

23. In conformità della legge, circonciso e chiamato Gesù ossia Salvatore, visse — dopo l’esilio in Egitto, costrettovi dalla persecuzion d’Erode — nella cittadina di Nazaret, sottomesso a Maria e Giuseppe, in continuo progresso « di sapienza, d’età e di grazia nel cospetto di Dio e degli uomini ». A trent’anni, ricevuto il Battesimo di penitenza da Giovanni Battista sulle rive del Giordano, cominciò a predicare attraverso la Giudea e la Galilea l’Evangelo, o buona novella, vale a dire la remissione de’ peccati e la vita eterna per tutti coloro, che crederebbero in Lui e obbedirebbero a’ suoi precetti; e con i miracoli confermò la sua divina dottrina e missione.

24. Molti credettero in Lui, specialmente gli Apostoli ossia messaggeri, scelti da Lui stesso per istituire la Chiesa, di cui designò capo e fondamento Pietro. Ma contro di Lui eccitarono l’odio e l’invidia i pontefici, i farisei e i dottori della legge, gelosi del suo potere, insofferenti de’ suoi rimproveri contro gli errori e le imposture che commettevano. E per quest’odio il Sinedrio, tribunale supremo della nazione, lo condannò a morte, Lui il Redentore aspettato dalle genti, e gli antepose l’assassino Barabba quando Pilato, governatore romano, benché vile d’animo, fece lo sforzo di salvargli per grazia la vita, in occasione della Pasqua. – Straziato da crudelissimi tormenti, flagellato, coronato di spine e crocifisso tra due assassini sul Calvario presso Gerusalemme, esalò a capo chino l’ultimo respiro perdonando a’ nemici non solo, ma implorando da Dio il perdono a loro. Così l’opera della Redenzione fu da Lui compiuta, con perfetta soddisfazione all’eterno Padre per noi. Allora fu adempito il vecchio Testamento, cioè il patto stretto con quell’ingrato popolo, dal quale Dio Redentor di tutti era stato respinto e crudelmente suppliziato: ed Egli consacrò col suo sangue prezioso il nuovo ed eterno Testamento.

26. Deposto nel sepolcro il corpo di Gesù, l’anima di Lui discese agl’inferi per liberarne l’anime de’ giusti, che vi aspettavan la redenzione. Ma il terzo dì, come più volte avea predetto, risuscitò da morte; e dopo le sue apparizioni alle pie donne, a Pietro, ai due discepoli che andavano in Emmaus, a tutti gli altri Apostoli, ancora dubitosi della verità di quel fatto, questi, osservate ben bene le sue piaghe gloriose, finalmente rimasero certi della risurrezione di Cristo. Ed Egli, dopo averli ammaestrati circa il regno di Dio e comunicata l’autorità di rimettere e ritenere i peccati, li mandò in tutto il mondo a istruire e battezzar tutte le genti, promettendo di mandare lo Spirito Santo e di rimaner con loro fino alla consumazione de’ secoli. Orbene, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, in vista di loro salì al cielo e siede alla destra del Padre con pieno potere in cielo e in terra.

IX. – La venuta dello Spirito Santo e la Chiesa Cattolica.

27. Dopo altri dieci giorni, nella festa di Pentecoste, lo Spirito Santo promesso da Cristo discese sugli Apostoli e sulla Chiesa nascente, per non separarsene mai più. Così fu fondato e compiuto il regno di Dio, con gli Apostoli come reggitori e propagatori e con il soprannaturale sussidio sia della divina parola, diffusa colla predicazione o consegnata agli scritti, sia de’ Sacramenti (tra i quali spetta il primo posto alla Santissima Eucaristia, sotto i cui veli nascosto Cristo di continuo è a noi presente), sia finalmente de’ doni dello Spirito Santo Paraclito: e cominciò, indipendentemente dalla Sinagoga, a esercitare la propria missione per la salvezza del genere umano. E avvenne che a poco a poco i pagani, nonostante le durissime persecuzioni dell’impero romano, si convertirono dal culto indegno degli idoli e dall’orrenda corruzione de’ costumi e moltissimi, abbraciata la fede cattolica, divennero insigni per gloria d’ogni virtù.

28. Non andò molto che, insieme colla capitale col re e col tempio, precipitò in rovina la nazione de’ Giudei, che si dispersero per tutte le regioni del mondo, si sfasciò sotto il peso de’ suoi vizii il mondo antico, scomparvero per vecchiaia regni e imperi; ma la Chiesa colla civiltà da lei promossa rimane sempre più all’avanguardia per la salvezza della società umana, benché nazioni anche potentissime abbiano miseramente fatto secessione dal suo grembo materno per via di scisma e d’eresia e benché i nemici del Cristianesimo abbiano sempre scatenato guerre e seguitino tutt’ora a scatenarne contro di essa. « Le porte dell’inferno non avranno sopravvento »: fidati in questa divina promessa, i buoni soldati di Cristo di nulla affatto temono, pregano colla Chiesa Madre, Iddio, faticano, sopportano pazientemente le avversità tutte, aspettando la risurrezione finale e il ritorno glorioso di Gesù Cristo giudice, che preannunziò gli odii, le persecuzioni e le defezioni, ma insieme accrebbe e confortò il coraggio di tutti i suoi fedeli con quelle parole famose: « Se il mondo vi odia, sappiate che odiò me per primo. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Confidate! io ho vinto il mondo » (Giov., X V , 18-20; XVI, 33) (Gli argomenti per dimostrare la divinità di Gesù Cristo sono nel nostro Catechismo maggiore, alla Dom. 82).

LO SCUDO DELLA FEDE (138)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (5)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE V.

Il Papa succede nel primato a S. Pietro, per successione di diritto divino.

31. Prof. Ammetto, dunque, perché innegabile, la Supremazia di S. Pietro secondo il senso cattolico, sopra tutta la Chiesa. Il Papismo però passa più oltre. Egli pretende che il suo Papa di Roma succeda per diritto, o istituzione divina nel primato a S. Pietro; il che in verun modo può ammettersi, e perché da un fatto particolare non può dedursi una regola generale, e perché S. Pietro mai è stato a Roma, e perché insomma, se anche vi fosse stato, la successione sarebbe sempre di umano diritto, non divino.

Bibbia. E incontrastabile, che S. Pietro doveva aver successori nel suo Primato, perché il sistema una volta stabilito da Gesù Cristo pel governo visibile della sua Chiesa, durar deve quanto la medesima Chiesa, siccome sta scritto: « Egli [Gesù] altri costituì Apostoli, altri profeti, altri pastori e dottori per lo perfetto adunamento de’ santi, per l’opera del ministero, per la edificazione del Corpo di Cristo: finché ei incontriamo tutti nella unità della fede, e della cognizione del Figliuolo di Dio. » (Efes. IV. 11. 12. 13.). Vale a dire, sino alla fine del mondo. – « Ed ho anche delle altre pecorelle, che non sono di quest’ovile, le quali ancora mi conviene addurre, e ascolteranno la mia voce, e sarà uno solo gregge e un solo pastore. » (Giov. X. 16,)  Anche questo vaticinio non poteva verificarsi durante la vita di S. Pietro; poiché non avrà perfetto compimento che verso la fine del mondo. Che poi per quel solo pastore non debba intendersi soltanto Gesù Cristo, ma anche un altro Capo visibile suo Vicario, e successore di S. Pietro, è cosa evidente da quanto fin qui ho detto a questo proposito, e tu stesso non puoi contradire se ritrattar non vuoi le tue antecedenti dichiarazioni. Che se brami conoscere in modo più chiaro e preciso questa gran verità, ascolta ancora S. Paolo. « In un solo spirito tutti noi siamo stati battezzati per essere un solo Corpo, o Giudei, o Gentili, o servi, o liberi…. Le membra sono molte, uno il corpo ;… E non può dire l’occhio alla mano: non ho bisogno dell’opera tua: e similmente il capo a’ piedi, non siete necessari, per me.1 » (I Cor. XII, 13 e segg.). Ecco dunque un Capo di tutto il corpo della Chiesa ben diverso da Gesù Cristo, perché è tale che non può dire a’ piedi, cioè neppure agli infimi membri, non siete neeessarj per me, non ho bisogno di voi.

2.° È incontrastabile che il Primato di S. Pietro passa ai successori tal quale egli lo ha ricevuto; ed essendo esso infallibilmente di diritto divino, perché istituito e conferito da Gesù Cristo, anche i successori lo hanno interamente di divino diritto, ossia non lo hanno, e non lo riconoscono che unicamente da Gesù Cristo. Il luogo scelto da S. Pietro per sede di esso Primato (supposto non ne abbia avuto comando da Dio) è certamente di umano diritto, ma non così la successione in chi succede nella Sede di Pietro, ovunque questa sia stabilita; perché tal successione è infallibilmente di diritto divino. Che poi S. Pietro non sia stato a Roma, e quindi il Papa non sia suo successore, come ti è noto?

32. Prot. S. Paolo scrivendo ai Romani non saluta S. Pietro, il che non avrebbe omesso di fare se fosse stato Pietro il Vescovo di Roma.

Bibbia. Meschinissima prova, perché non è che negativa. Infatti lo stesso S. Paolo scrivendo agli Ebrei non saluta S . Giacomo, scrivendo agli Efesini non saluta Timoteo: oserai dire perciò che il primo non fosse Vescovo di Gerusalemme, ed il secondo di Efeso? Ma poi, ascolta: « Dopo queste cose uscito (S. Paolo) di Atene venne a Corinto: e trovato un certo Giudeo per nome Aquila, nativo di Ponto, il quale era venuto di fresco dall’ Italia; … essendo che Claudio aveva ordinato che partissero da Roma tutti i Giudei, etc. » (Act. XVIII, 1,2). Dunque aveva dovuto partire anche S. Pietro. Ora chi ti assicura che quando S. Paolo scrisse a’ Romani, S. Pietro fosse già ritornato, o non piuttosto fosse tuttora assente, e perciò abbia lasciato di salutarlo?

Prot. Voi con tal modo di dire supponete che sia stato a Roma! Con quali prove?

Bibbia. Così scrive S. Pietro: « Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia con voi eletti etc. » (I. di Pietr. v. 13. Nei frammenti agrari (romani) intitolati a Fausto, e Valerio VV PP, pp. p. 307, ediz. Di Vil. Goes, cosi sta scritto: « Circa urbem Babylonis Romæ maritimum fiet, etc. ». E a p. 266. « Contra urbis Babylonis Romam maritimi limites fient etc. » Dal che è manifesto che Roma anche presso i Romani aveva il saprannome di Babilonia). Ora essendo fuor di dubbio che gli Apostoli per Babilonia intendevano Roma pagana, come è chiaro dall’Apocalisse, Cap. XII. – è parimente fuor di dubbio che S. Pietro scrisse quella Lettera in Roma. A quella ne fece succedere un’altra, nella quale dice: « Essendo io certo che ben presto il mio tabernacolo ha da esser posto giù, secondo quello che lo stesso Signor nostro Gesù Cristo mi ha significato etc. » (II. Piet. I, 14) Onde è chiaro che S. Pietro non solamente è stato in Roma, ma che ivi è morto; e quindi che il Papa di Roma è il vero suo successore. Che se ancor non vuoi credere, dimmi almeno: chi è stato il primo fondatore della Chiesa di Roma?

33. Prot. È stato S. Paolo, e non altri. (Così, molti protestanti)

Bibbia. Oh! questa è bella !!! … S. Paolo nel principio della sua lettera ai Romani così dice loro: « Or io voglio, o fratelli, che non siavi ignoto come spesso feci proposito di venire da voi, per far qualche frutto anche tra voi, come tra le genti, ma sono stato sino a quest’ora impedito » Dunque prima che S. Paolo andasse a Roma, già era fondata e fioriva la Chiesa alla quale egli scrive: come, dunque, poteva averla fondata prima di esservi stato?

34. Prot. Tengo anch’io come voi; imperocché: « Se non vi fosse altra ragione che questa, aver, cioè, voluto Iddio render duratura la sua Chiesa visibile, ne seguirebbe per conseguente che cotesta Chiesa debba avere sulla terra un governo ecclesiastico universale. Per la qual cosa, se avvi realmente una Chiesa visibile, se esiste un governo ecclesiastico, il cui potere si estenda dall’uno all’altro punto della terra, è bene a ragione che questo governo si trovi in qualche luogo. Ora pare certissimo che Roma sopra tutte le altre città abbia questo vantaggio di esser la più atta a custodire nelle sue mura il Capo, e, a così dire, anche la fonte dell’intero governo della Chiesa Cristiana. » (Jac. Andreæ; Rationes a Deo petitæ: p. 24)

« La tradizione ci insegna, che Dio, per conservare la sua Chiesa nell’unità, ha stabilito una Cattedra, ed un’autorità superiore che vegli a mantenerla, la quale è quella della Chiesa di Roma (5 Nicole; Instruction X. sur le Symbole: § 10)

« Ben’è noto a ciascuno quella grande ed immortale idea che presenta la pietra angolare su cui ferma le sue basi il Papato. L’unione che si avvera tra ‘l cielo e la terra, le sensibili cose come mezzi, e le soprumane come fine: le sensibili, ad onore di Dio, le invisibili a gloria dell’uomo – sebbene tutto sia principalmente ordinato a gloria di Dio). Cotesta idea si poteva bene a ragione considerare come la leva dell’obbedienza dei popoli al sacerdozio, come l’idea fondamentale di Cristo medesimo, siccome quella per cui oggi non altrimenti che nel tempo che fu, si mantiene salda l’unità dell’antica Chiesa. Lungi da questo principio unificativo, essa sarebbe stata divisa ed infranta in un numero di sette e di partiti senza fine, tra i quali poi con grande difficoltà, se pure impossibile cosa non fosse, si sarebbe a mala pena trovato lo Spirito di Cristo. » (G. Chr. R. Maltei), Il potere e la dignità del principe: Heidelberga, 1843, p. 283).

« Siccome vi sono de’ Vescovi che presiedono a più Chiese, cosi il Romano Pontefice presiede a tutti i Vescovi. Non vi è uomo prudente a mio credere, che riprovi questa economica polizia. Laonde per ciò che spetta a questo articolo, della superiorità pontificia, non vi è contrasto. » (Melantone, lib. Epistolar. theologicar., Epist. 74, p. 244). « La Chiesa è un corpo, dunque molte singole parti la debbono comporre, e il Vescovo di Roma è quegli che ne ha la presidenza, e ne è il Capo. Il che si fonda sul modello di quel principato posseduto da Pietro sugli altri Apostoli, PER DIVINA ISTITUZIONE. Qual rimedio migliore contro gli scismi che l’unità in un solo che presegga? L’esperienza stessa lo ha dimostrato, quand’anche Cristo medesimo non l’avesse detto. Chi poi sarà tra i Cristiani che negherà essere stato S. Pietro tra i Romani? » (Ugo Grotius, Ad Consultationem Cassandri, 1642, p. 51.).

35.  « Le istorie ci insegnano che per due singolari ragioni la Chiesa Romana è sempre stata in fama e in gloria singolare. Primieramente perché essa mette capo in Roma ov’era la sede dell’impero, e poi, che è più, perché è stata fondata da Pietro e Paolo Apostoli Principi. » (A. Dreierus, De primate Petri, 1035, Thes. I .). « Tutte le storie affermano che Pietro è stato il primo Papa di Roma. » (Lutero, presso Tavardent, in notis ad Cap. 2, lib.. 3 S. Irenei), — « La presenza di Pietro in Roma è un fatto pieno di storica certezza. » (Bertholdt, Istruzione istorico-critica del V. e del N. Testamento, part. 5. p 2090.).

 « In forza di ciò più non contrasto che Pietro sia venuto, e sia morto in Roma.1 » (7 Calvino, libr. 4. Inst. Cap. 6, § 15).

« Pietro e Paolo godono un santissimo riposo in Roma, ove sono sepolti in pace. » (Berder, imiei pensieri sulla filosofia del genere umano, T. 3, p. 162) Non vi è nell’antica storia evento alcuno tanto incontrastabile per l’appoggio di dotti testimoni antichi e tanto tra sé consenzienti, quanto il fatto della venuta di S. Pietro in Roma.1 »(Schroch, Storia della Chiesa cristiana; part. 2, p. 155).

« Se tutto questo si vuol negare, gettiamo al fuoco ogni storia, e combattiamo qualunque verità; poiché né l’una, né l’altra varranno più a nulla. » (Rasnage, Annales eccl. Polit. Ad an. 62)

« Sarebbe indizio di somma stoltezza, e segno di non essere sano d’intelletto, il voler negare che Pietro abbia fermata la sua stanza in Roma, edificata quivi la Chiesa, e glorificata coll’effusione del suo sangue. » (G, Cave, Del Cristianesimo primitivo: cap. 5. )

« Che se alcuni protestanti, specialmente Spanhem, hanno voluto negare, ad esempio di certi avversari de’ Pontificii del medio evo, che S. Pietro sia mai stato in Roma, ciò fatto hanno per polemica di fazione. » (Gieseler, Manuale della Storia Ecclesiastica: T. I ed. 2, p. 89). Insomma

« La Chiesa Romana non solamente è Cattolica, ma inoltre è Capo della Chiesa Cattolica, e ben lo dimostra S. Girolamo in una sua Epistola diretta a S. Damaso. Non vi è chi lo ponga in dubbio. » ( Ugone Grozio, Append. Epist. 679).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (18)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (18)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) – BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

APPENDICI

APPENDICE I .

(Dagli Atti del Concilio Vaticano)

SCHEMA di costituzione del Catechismo piccolo secondo le correzioni ammesse dalla Congregazione generale.

PIO VESCOVO SERVO DE SERVI DI DIO A PERPETUO RICORDO DEL FATTO CON APPROVAZIONE DEL SACRO CONCILIO

Compilazione e uso di un unico catechismo piccolo per tutta la Chiesa.

L’amorosa madre Chiesa, istruita dall’insegnamento e dall’esempio del suo sposo Gesù Cristo Salvator nostro, dedicò sempre straordinaria cura e diligenza ai fanciulli acciocché, nutriti col latte della celeste sapienza, fossero per tempo educati alla pietà in ogni sua manifestazione. Perciò il sacrosanto Sinodo di Trento non solamente incaricò i Vescovi di provvedere che ai fanciulli s’insegnassero con cura le nozioni fondamentali della fede e l’obbedienza tanto a Dio quanto ai genitori, (Sess. XXIV, c. 4, de Reform.) ma si assunse di più il compito di preparare un formulario e un metodo fisso per istruire il popolo cristiano già fin dai primi rudimenti della fede; perché lo seguissero in ogni diocesi coloro, che avessero mandato di legittimo pastore e maestro (id. id., c. 7, de Reform.; Catech. Rom. in Præf.). Siccome non poté essere compilato dallo stesso Santo Sinodo, questa Sede Apostolica, conformandosi a un voto di quello (id., XXV, Decret. De Indice librorum, Catechismo etc.), lo condusse felicemente al desiderato termine col pubblicare il « Catechismo per i parroci ». E non si contentò; ma, pel desiderio di rispondere più perfettamente all’intenzione de’ Padri tridentini, approvò anche, nell’intento che sempre poi fosse osservato un unico e ugual metodo nell’insegnare ed apprendere la dottrina cristiana, un piccolo catechismo, composto, per suo incarico, dal Ven. Card. Bellarmino; e lo raccomandò assai caldamente a tutti gli Ordinarii, ai parroci e agli altri, cui spetta il detto insegnamento (Clem. VIII, Brev. Pastoralis, 15 luglio 1598; Bened. XIV, Constit. Etsi minime, 7 febbr. 1742). Poiché si sa che non piccoli inconvenienti oggi derivano dal numero enorme de’ piccoli catechismi nelle diverse Provincie e Diocesi, Noi, coll’approvazione del Sacro Concilio, tenendo sott’occhio anzitutto il detto catechismo del Ven. Card. Bellarmino, poi anche quelli più diffusi tra il popolo cristiano, provvederemo che di Nostra autorità ne sia compilato uno nuovo in lingua latina, affinché tutti si servano di esso, togliendo di mezzo per l’avvenire le varietà de’ piccoli catechismi (In questo schema non è fatta menzione del piccolo catechismo, per quelli che, a norma del Decreto Quam singulari di Pio Pp. X, devono essere ammessi per la prima volta alla s. Comunione. Prima di tal decreto non si ammettevano d’ordinario i fanciulli alla prima Comunione, se non in età più avanzata secondo le varie usanze locali e, per prepararli convenientemente, s’adoperava il catechismo del Bellarmino, oppure altri somiglianti. Ma, dopo la pubblicazione del Decreto di Pio X, catechismi di tal sorta, com’è stato detto nel Proemio, servono per i fanciulli che, fatta la prima Comunione, continuano nello studio della dottrina cristiana, non per quelli, che — a norma del citato Decreto — sono ammessi per la prima volta alla santa Comunione.). A loro volta, nelle singole Provincie, i Patriarchi o gli Arcivescovi, udito prima il parere dei loro Suffraganei, consultati poi anche gli altri Arcivescovi della stessa regione e lingua, cureranno che quel testo sia fedelmente tradotto in lingua volgare. Ma in facoltà de’ Vescovi, purché sia sempre tenuto in uso il piccolo catechismo per la prima istruzione de’ fedeli, senza giunte di sorta, resterà il compilare più ampie lezioni di catechismo per maggior istruzione de’ fedeli e difesa contro errori, che eventualmente infestano i loro paesi. Però se vorranno pubblicare queste lezioni, non a parte, ma unitamente al testo del catechismo suddetto, ordiniamo che appunto il testo da noi prescritto apparisca da tali lezioni nettamente distinto.

(A questo scopo è pienamente idoneo il terzo nostro catechismo composto per gli adulti e per le persone colte; in esso difatti sono esposte più diffusamente le verità della dottrina cristiana. Da esso fu ricavato, senza mutar sillaba, il secondo catechismo de’ fanciulli, sicché, se vogliono col tempo formarsi miglior cognizione della dottrina cristiana, se la possano procurare più facilmente coll’uso del catechismo maggiore; lasciando facoltà agli Ordinari di svolgere più ampiamente, conforme ai vari bisogni locali, taluni punti della dottrina e di completarli coll’aggiunta di altri, come si spiega meglio nel Proemio.). – Finalmente raccomandiamo assai assai, come spesso fecero i nostri Predecessori, a quelli, che hanno incarico d’insegnare, l’uso del ricordato Catechismo ai parroci; perché poco gioverebbe che i fedeli mandassero a mente le formule del catechismo, se nel comprenderle non fossero guidati dalla viva voce del maestro, ognuno in proporzione della sua capacità; e a questo proposito è di somma importanza, che unico sia il modo d’insegnar la fede e comune la norma e la prescrizione di educare il popolo cristiano a tutte le pratiche di pietà (Catech. Rom. in Præf.).

APPENDICE II

DECRETO della S. Congregazione de’ Sacramenti circa l’età per ammettere alla prima Comunione eucarìstica.

Le pagine del Vangelo attestano splendidamente di quanto amore Cristo amò i piccoli quaggiù; difatti era sua delizia star con essi, soleva metter loro la mano sul capo, abbracciarli, benedirli. E si sdegnò del fatto che fossero allontanati da’ suoi discepoli, che rimproverò con queste severe parole: Lasciate che i pargoli vengano a me e non allontanateli, perché di essi è il regno di Dio (Marc, X, 13, 14, 16). – E quanto facesse conto della loro innocenza e candore di spirito, ben dimostrò quando, chiamato a sé un fanciullo, disse a’ discepoli: In verità vi dico, non entrerete nel regno de’ cieli, se non vi farete fanciulli. Chi dunque si fa umile come questo fanciullo, è più grande nel regno de’ cieli. E chi accoglierà in mio Nome un fanciullo come questo, è come se accogliesse me (Matt., XVIII, 3). Ciò ricordando, la Chiesa Cattolica, fin da’ suoi primordii, si diede premura di condurre a Cristo i fanciulli per mezzo della Comunione eucaristica, che costumò amministrare ad essi, anche lattanti; e ciò faceva, com’era prescritto in quasi tutti gli antichi libri rituali, fino al secolo XIII, in occasione del battesimo, e tal costume in taluni luoghi durò molto tempo; presso i Greci e gli Orientali dura anche al presente. E per evitare il pericolo che, specialmente i lattanti, rimettessero il pane eucaristico, fu costume a principio di amministrar loro l’Eucaristia soltanto sotto la specie del vino. E non solamente in occasione del battesimo, ma spesse volte anche di poi erano i bimbi rifocillati col cibo divino. Difatti come in talune chiese vi fu l’usanza di somministrare l’Eucaristia, subito dopo il Clero, ai bimbi, così altrove a loro si davano i frammenti residui alla Comunione degli adulti. – Più tardi nella Chiesa latina questa pratica andò in disuso e non più si ammisero alla sacra mensa i bambini, se non avevano un barlume almeno di raziocinio e una qualche nozione dell’Augusto Sacramento. Ora questa nuova disciplina, già fatta propria da taluni Sinodi particolari, fu confermata con solenne sanzione dal Concilio ecumenico Lateranense IV, dell’anno 1215, colla promulgazione del celebre canone XXI, dov’è prescritta la Confessione sacramentale e la sacra Comunione per i fedeli, che abbiano raggiunto l’età della ragione, con queste parole: « Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto agli anni della discrezione, confessi schiettamente da solo tutti i suoi peccati, almeno una volta l’anno, al proprio sacerdote e abbia cura, a norma delle sue forze, di sodisfare la penitenza ingiuntagli, ricevendo con divozione almeno in tempo di Pasqua il sacramento dell’Eucaristia, salvo che, per consiglio del proprio sacerdote, giudichi di astenersene durante qualche tempo e per motivo ragionevole ». – Il Concilio di Trento (Sess. XXI, de Communione, c. 4), senza riprovare affatto l’antica disciplina di somministrare l’Eucaristia ai bimbi, confermò il decreto Laterano e pronunciò la scomunica contro chi la pensi al contrario : « Sia scomunicato chi dirà che tutti e singoli i fedeli di Cristo, dell’uno e dell’altro sesso, non sono obbligati, giunti che siano agli anni della discrezione, di comunicarsi ogni anno, al meno a Pasqua, secondo il precetto di santa madre Chiesa » (Sess. XIII, de Eucaristia, c. 8, can. 9). Dunque, in forza del citato decreto Laterano, che vige tuttora, i fedeli di Cristo, appena giunti agli anni della discrezione, son obbligati d’accostarsi, almeno una volta l’anno, ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma nel calcolare quest’età della ragione, ossia della discrezione, col tempo s’introdussero non pochi errori e deplorevoli abusi. Chi ritenne di assegnare un’età della discrezione per il Sacramento della Penitenza e una differente per ricevere l’Eucaristia; e per la Penitenza età della discrezione giudicarono fosse quella, nella quale si è in grado di distinguere il bene dal male e perciò di commettere peccato; mentre che per l’Eucaristia si richiedeva più matura età, quando cioè si può avere più ampia conoscenza delle cose di fede e più matura preparazione. – Così, secondo le varie usanze locali e opinioni, fu stabilita, per ricevere la prima Comunione, qui l’età di dieci o dodici anni, là di quattordici o anche più, interdicendo frattanto la Comunione eucaristica ai fanciulli e a’ giovinetti minori dell’età prescritta. Questo costume, in forza del quale, col pretesto di salvar il decoro dell’augusto Sacramento, se ne tengon lontano i fedeli, fu cagione di molti inconvenienti e danni. Difatti avveniva che l’innocenza de’ fanciulli, tenuta lontano dall’amplesso di Cristo, non era alimentata da nessun succo di vita interiore; e ne veniva di conseguenza che, privata del più forte aiuto, la gioventù, circondata da tante insidie, perduta l’innocenza, precipitava ne’ vizi ancor prima d’aver gustato i sacri misteri. E sebbene sia vero che alla prima Comunione si premette un’istruzione più diligente e una più accurata Confessione sacramentale, benché purtroppo non dappertutto; tuttavia è dolorosa sempre la perdita della prima innocenza, che, col ricevere in età più tenera l’Eucaristia, forse poteva evitarsi. E non è meno da riprovare il costume diffuso in parecchi luoghi di proibire ai fanciulli, non ancor ammessi alla mensa eucaristica, la confessione sacramentale, oppure di non impartir loro l’assoluzione. Così accade che rimangano per lungo tempo e con gran pericolo nel laccio di peccati fors’anche gravi. E c’è di peggio. In taluni luoghi ai fanciulli, non ancor ammessi alla prima Comunione, si proibisce il Viatico, persino in pericolo urgente di morire, e così, morti e seppelliti col rito de’ bambini, non fruiscono de’ suffragi della Chiesa. Tali danni cagionano coloro, che insistono eccessivamente sulla necessità di preparazione straordinaria alla prima Comunione, non badando che tale precauzione scaturisce dagli errori giansenistici, che sostengono la santissima Eucaristia debba essere un premio, non una medicina per la fragilità umana. Certamente il Sinodo di Trento pensava l’opposto quando insegnò ch’essa è « contravveleno, grazie al quale ci liberiamo dalle colpe d’ogni giorno e ci preserviamo da’ peccati mortali » (Sess. XIII, de Eueharistia, c. 2); e questa dottrina fu di fresco dalla S. Congregazione del Concilio più severamente inculcata con decreto del 26 dicembre 1905, che apre a tutti, adulti e giovinetti, la porta della Comunione quotidiana, imponendo solamente due condizioni, lo stato di grazia e la retta intenzione della volontà. – E davvero non pare che ci sia motivo giusto, mentre in antico si porgevano ai bimbi anche lattanti i residui delle sacre specie, di esigere adesso una straordinaria preparazione da fanciulletti, che per gran fortuna vivono in istato di candore e innocenza originaria e hanno grandissimo bisogno, date le molte insidie e i pericoli odierni, di quel mistico cibo. Gli abusi, da noi lamentati, provengono dal fatto di non saper giustamente precisare qual sia l’età della discrezione, assegnandone una per la Penitenza, un’altra per l’Eucaristia. Invece il Concilio Laterano, poiché prescrive congiuntamente l’obbligo della Confessione e della Comunione, richiede un’unica e identica età per l’uno e l’altro Sacramento. Dunque, se per la Confessione si ritiene età della discrezione quella, nella quale si è in grado di distinguere il bene dal male, vale a dire si giunge a un certo uso della ragione, anche per la Comunione deve dirsi età della discrezione quella, nella quale si è in grado di distinguere il pane eucaristico dal pane comune, cioè di nuovo quando il fanciullo ha conseguito l’uso della ragione. E non diversamente intesero la cosa i principali interpreti del Concilio Laterano e i contemporanei. È noto infatti dalla storia della Chiesa che molti Sinodi e decreti vescovili, già fin dal secolo XII, cioè poco dopo il Concilio Laterano, ammisero alla prima Comunione i fanciulli di sette anni: e c’è di più una testimonianza di somma autorità, quella del Dottor d’Aquino, di cui leggiamo: « Quando ormai i fanciulli cominciano ad avere un qualche uso della ragione, sicché siano in grado di concepir devozione per questo Sacramento (l’Eucaristia), allora si può a essi conferire questo Sacramento » (Summ. Theol., III part., q. 80, a. 9, ad 3.). E il Ledesma spiega: «Affermo, per consenso universale, che si deve concedere l’Eucaristia a tutti quelli che hanno l’uso della ragione, per quanto precocemente l’abbiano quest’uso, sia pure che quel fanciullo conosca tuttora in confuso quel che fa » (2  (2 ) Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S. Comunione. Appendix XIII. p. 88.). Il Vasquez spiega quel passo medesimo così: « Una volta che il fanciullo è giunto a quest’uso della ragione, subito, per lo stesso diritto divino, è obbligato in modo che la Chiesa non lo può affatto liberare » (P. II, De Sacr. Euchar., n. 63). Così pure insegna S. Antonino, che scrive: «Ma quando (il fanciullo) è capace di dolo, cioè quando può commetter peccato mortale, allora è obbligato al precetto della Confessione e, per conseguenza, della Comunione » (P. III, tit. 14, c. 2, § 5), Anche il Concilio di Trento costringe a questa conclusione. Nella Sess. XXI, c. 4 ricorda che « i bambini ancor privi dell’uso di ragione non sono stretti da nessun obbligo alla Comunione sacramentale dell’Eucaristia »; e l’unica ragione assegnata è che non possono far peccato: « In verità — dice — non possono a quell’età perdere l’acquistata grazia di figli di Dio ». Dunque da qui si capisce il pensiero del Concilio che i fanciulli son tenuti dal bisogno e dall’obbligo della Comunione allorché posson perdere, col peccato, la grazia. E concordano con questi concetti le parole del Concilio Romano, celebrato da Benedetto XIII, il quale insegna che l’obbligo di ricevere l’Eucaristia comincia « dopo che i fanciulli e le fanciulle son giunti all’età della discrezione, cioè quella, nella quale son capaci di distinguere questo cibo sacramentale, che altro non è se non il vero corpo di Gesù Cristo, dal pane comune e profano; e sono in grado di accostarvisi colla dovuta divozione e riverenza (Istruzione per quei che debbono la prima volta ammettersi alla S. Comunione. Appendice XIII, p. 11). Orbene, il Catechismo Romano dice: « Nessuno, meglio del padre e del sacerdote, al quale confessano i peccati, può stabilire in qual’età sieno da concedersi a’ fanciulli i sacri misteri. A quelli spetta per l’appunto indagare e interrogare i fanciulli se hanno acquistato una qualche cognizione e possiedono il gusto di questo mirabile Sacramento » (P. II, De Sacr. Euchar., n. 63.). Insomma si deduce che l’età della discrezione per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo sa distinguere il pane eucaristico dal pane comune e corporale in modo da poter presentarsi all’altare devotamente. Dunque non si esige una perfetta cognizione delle cose di .fede, poiché bastano alcuni elementi, cioè una qualche cognizione: né il pieno uso di ragione, poiché basta un uso iniziale, cioè un qualche uso di ragione. Perciò merita biasimo il differire, in questo caso, la Comunione e il fissare un’età troppo avanzata per riceverla; tutto ciò la Sede Apostolica spesse volte ha condannato. Per es., Pio Papa IX di f. m., con una lettera del Card. Antonelli ai Vescovi di Francia in data 12 marzo 1866, riprovò severamente l’uso invalso in certe diocesi di protrarre la prima Comunione a età troppo avanzata e, per di più, prestabilita. Dal canto suo la Sacra Congregazione del Concilio il 15 marzo 1851 corresse un capitolo del Concilio Provinciale di Rouen, nel quale si proibiva di ammettere i fanciulli alla Comunione prima dei dodici anni. E così s’è espressa questa sacra Congregazione per la disciplina de’ Sacramenti in una causa di Strasburgo del 25 marzo 1910: trattandosi se potevano essere ammessi alla Comunione giovinetti di dodici o di quattordici anni, rispose che « fanciulli e fanciulle, giunti agli anni della discrezione o all’uso della ragione, si devono ammettere alla sacra mensa ». – Dopo avere maturamente considerato tutto ciò, questo Sacro Dicastero per la disciplina de’ Sacramenti, nell’adunanza generale del 15 luglio 1910, decise di stabilire, affinché i suddetti abusi vengano del tutto rimossi e i fanciulli s’uniscano a Gesù Cristo fin dai teneri anni e ne vivano la vita e vi trovino protezione contro i pericoli della corruzione, la norma che segue per la prima Comunione de’ fanciulli, norma da osservarsi dappertutto:

I. – L’età della discrezione sia per la Confessione sia per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno, tanto al di sopra quanto al disotto. Da questo tempo comincia l’obbligo di sodisfare ad ambedue i precetti della Confessione e della Comunione.

II- Per la prima Confessione e la prima Comunione non è necessaria la piena e perfetta conoscenza della dottrina cristiana. Però il fanciullo dovrà poi, gradualmente, imparare tutto il catechismo secondo la sua capacità.

III. – La conoscenza della religione richiesta in un fanciullo, affinché si prepari come conviene alla prima Comunione, è tale ch’egli capisca, secondo la sua intelligenza, i misteri di fede necessari per necessità di mezzo e che distingua tra pane eucaristico e pane comune e corporale, sicché s’accosti alla Ss. Eucaristia colla devozione, che comporta l’età stessa di lui.

IV. – L’obbligo del precetto di confessarsi e comunicarsi, che pesa sul fanciullo, ricade principalmente su coloro, che devono averne cura, cioè  sui genitori, sul confessore, sugl’istruttori e sul parroco. Spetta poi al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore, secondo il Catechismo Romano, ammettere il fanciullo alla prima Comunione.

V. – Si diano premura i parroci di preparare e far la Comunione generale de’ fanciulli uno o più volte l’anno e di ammettervi non soltanto i novellini, ma pure gli altri, che, col consenso de’ genitori o del confessore, come s’è detto sopra, già per la prima volta hanno ricevuta la Comunione. Per gli uni e per gli altri sien premessi alcuni giorni d’istruzione e di preparazione.

VI. – Deve aver ogni sollecitudine, chi ha cura dei fanciulli, che dopo la prima Comunione i medesimi fanciulli s’accostino spesso alla S. Mensa e, se possibile, anche ogni giorno, come desiderano Gesù Cristo e la madre Chiesa, e che ciò facciano con quella divozione dell’anima, che comporta l’età. Anche rammenti chi ha tal cura il gravissimo dovere, cui è tenuto, di provvedere che i fanciulli stessi continuino a intervenire alle pubbliche lezioni di catechismo, o almeno suppliscano in altro modo all’istruzione religiosa de’ medesimi.

VII. – Si deve riprovare assolutamente l’usanza di non ammettere alla Confessione, o di non assolvere mai i fanciulli, quando son giunti all’uso della ragione. A tal fine gli Ordinarli locali curino di togliere radicalmente questo abuso, ricorrendo anche ai provvedimenti suggeriti dal diritto.

VIII. – È deplorevolissimo l’abuso di non somministrare il Viatico e l’Estrema Unzione ai fanciulli dopo l’uso della ragione e di seppellirli col rito de’ bambini. Gli Ordinarli locali procedano severamente contro coloro, che continuino in questo abuso.

Il S.mo Signor Nostro Pio Papa X , nell’udienza del sei corrente mese, approvò tutte queste deliberazioni prese dai Padri Cardinali di questa Sacra Congregazione e ordinò che il presente decreto sia pubblicato e promulgato. Comandò inoltre agli Ordinarii di portare a conoscenza il decreto medesimo, non soltanto de’ parroci e del clero, ma anche del popolo, a cui volle che sia letto ciascun anno durante il tempo del precetto pasquale, in lingua vernacola. Di più i medesimi Ordinari dovranno riferire alla S. Sede, ogni quinquennio, insieme con tutte l’altre informazioni della diocesi, anche dell’osservanza di questo decreto. – Non ostante qualsiasi disposizione in contrario. Dato in Roma, dalla residenza di questa stessa Congregazione il giorno 7 del mese di Agosto dell’anno 1910.

D. CARD. FERRATA, Prefetto.

F . Giustini, Segretario.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (19)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (17)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (17)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) – BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

CAPO XI.

Dei peccati attuali ossia personali (*).

(*) Circa il peccato originale, vedi sopra le D. 59 e segg.

D. 562. Chiunque, non ostante la grazia che Dio sempre concede per la salvezza, trasgredisce la sua legge, che cosa fa?

R. Chiunque, non ostante la grazia che Dio sempre concede per la salvezza, scientemente e liberamente trasgredisce la sua legge, commette un peccato attuale, ossia personale.

D. 563. Che cos’è dunque il peccato attuale?

R. Il peccato attuale è una trasgressione della legge di Dio, scientemente e liberamente commessa.

(Questa nozione del peccato rimane vera non solo quando il peccato vada contro un comandamento divino, ma anche quando vada contro un comandamento umano, perché è sempre Dio quello che comunica il potere – ogni potere vien da Dio – ed esige l’osservanza dei comandamenti emanati dai legittimi superiori – ubbidite a quelli che vi soprastanno).

D. 564. In quanti modi si può commettere il peccato attuale?

R. Si può commettere il peccato attuale col pensiero, con la parola, e con l’opera, e questa o ponendola od omettendola; si può ancora commetterlo o contro Dio, o contro noi stessi, o contro il prossimo, secondo che la legge violata riguardi direttamente Dio, noi stessi o il prossimo.

D. 565. Che cosa viene a prodursi dalla ripetizione del medesimo peccato attuale?

R. Dalla ripetizione del medesimo peccato attuale viene a prodursi un abito, per cui siamo inclinati a male operare; tale abito vien detto vizio.

D. 566. Come si divide il peccato attuale?

R. Il peccato attuale si divide in mortale e veniale (S. Gerol.: Adv. Jovinian., I I , 30; S. Cesar. d’Arles, Sermo XIV, 2).

D. 567. Che cos’è il peccato mortale?

R. Il peccato mortale è una trasgressione alla legge, scientemente e liberamente commessa con la coscienza di un obbligo grave.

D. 568. Perché tale peccato vien detto mortale?

R. Tale peccato vien detto mortale perché distoglie l’anima dal suo ultimo fine; la priva della sua vita soprannaturale, che è la grazia santificante; la rende meritevole della morte eterna nell’inferno; rende inefficaci i meriti acquisiti, a tal segno che non hanno più valore ai fini della salvezza, fintanto che non rivivano per via della grazia ricuperata; ed infine impedisce le opere meritorie della vita eterna.

(Ezech., XVIII, 24; XXXIII, 13; Paolo: I ad Cor., VI, 9, 10; XIII, 1-3. — Sii pronto, o Cristiano, a perdere tutti i beni della terra, ad andare incontro a qualunque sia male, compresa la morte, piuttosto che di macchiarti di un peccato mortale, l’unico, vero e grande male dell’uomo, offesa infinita fatta a Dio, mostruosa ingratitudine verso di Lui, temerità inaudita e rovina per sé stessa irreparabile dell’anima tua. Di fronte alla incalzante tentazione, pensa all’infernale voragine nel cui abisso verresti da te stesso a precipitarti peccando mortalmente; pensa a Gesù Crocifisso di cui stai per calpestare il sangue e le piaghe. Tieni sempre fissa in mente la parola dell’Eccli., XXI, 2: « Fuggi il peccato come se vedessi un serpente »).

D. 569. Che cos’è il peccato veniale?

R. Il peccato veniale è una trasgressione della legge, scientemente e liberamente commessa con la coscienza di un obbligo leggero.

(Rispetto alla materia, il peccato mortale può definirsi: la trasgressione (scientemente e liberamente commessa) di una legge che gravemente obbliga, cioè la cui materia è grave;

il peccato veniale: la trasgressione di una legge che leggermente obbliga, cioè la cui materia è leggera;

per sapere, poi, se la materia della legge è grave o leggera, bisogna di tal giudizio chiedere il criterio alla Rivelazione, all’autorità dei Santi Padri, alle dichiarazioni della Chiesa, all’opinione comune dei Dottori; ma su questo punto i fedeli potranno attenersi al giudizio di un prudente confessore. Qualora, poi, si venisse a commettere un peccato, a ragione della materia, mortale, ma con l’erronea coscienza di un obbligo lieve, quel peccato sarà veniale; sarà, viceversa, mortale un peccato che, veniale a ragione della materia, vien però commesso con la coscienza (erronea) di un obbligo grave. Da ciò segue che le definizioni qui presentate del peccato, sia mortale che veniale, sono sempre vere).

D. 570. Perché tale peccato vien detto veniale?

R. Tale peccato vien detto veniale perché, non distogliendo esso l’anima dal suo ultimo fine, né producendo la morte spirituale, più facilmente può ottenere il perdono, anche senza la confessione sacramentale, e costituisce dell’anima una specie d’infermità che per la sua stessa natura più facilmente può venir guarita (Pio V, prop. 20 fra quelle condannate del Bajo, 1 ott. 1567. — Da ciò segue che il semplice ripetersi o moltiplicarsi dei peccati veniali non può mai da solo costituire peccato mortale; qualora però col ripetersi dei peccati lievi, venisse ad assommarsi una materia grave, allora ne conseguirebbe, sì, il peccato mortale, ma non a ragione del ripetersi dei veniali, ma unicamente a ragione della materia grave, tale divenuta con l’assommarsi della lieve.).

D. 571. Quali sono i principali effetti del peccato veniale?

R. I principali effetti del peccato veniale sono i seguenti: esso diminuisce il fervore della carità, dispone l’anima al peccato mortale, e rende l’uomo meritevole della pena temporale da scontarsi in questa vita o nell’altra.

D. 572. I peccati sia mortali sia veniali sono tutti uguali fra loro?

R. I peccati sia mortali sia veniali non sono uguali fra loro, ma allo stesso modo che i peccati veniali sono gli uni più lievi degli altri, così i peccati mortali sono gli uni degli altri più gravi (Giov., XIX, 11; S. Tom., l a 2æ, q. 73, a. 2).

D. 573. Quali sono i peccati mortali gravissimi per la loro intima natura?

R. I peccati mortali, gravissimi per la loro intima natura, son quelli direttamente commessi contro Dio.

D. 574. Quali sono i peccati contro lo Spirito Santo?

R. I peccati contro lo Spirito Santo sono :

1° il disperare della salvezza;

2° il presumere di poter conseguire la salvezza senza meriti;

3° l’impugnare una verità per tale riconosciuta;

4° il portare invidia al bene spirituale di un altro;

5° l’ostinarsi nei peccati;

6° l’impenitenza finale.

(Matt., XII, 31, 32; Marco, III, 28, 29; Luca, XII, 10. —

Circa il primo e il secondo peccato, v. le D. 527, 528. Commette il terzo peccato colui il quale, riconosciuta la verità della fede, ciò nonostante la nega, pur di abbandonarsi al peccato con maggior libertà. Commette il quarto colui il quale della sua invidia fa oggetto, non solo la persona del fratello, ma la stessa grazia di Dio crescente nel mondo. Commette il quinto colui che fermamente si propone di rimaner attaccato alla colpa. Commette il sesto colui che fermamente si propone di non pentirsi. — S. Tom., 2a 2ae, q. 14, a. 1, 2).

D. 575. Perché si chiamano codesti, peccati contro lo Spirito Santo?

R . Si chiamano codesti, peccati contro lo Spirito Santo, perché il peccatore, con malizia intenzionale, rimuove da sé quanto potrebbe trattenerlo dal peccare, disprezzando precisamente quella grazia che allo Spirito Santo si suole attribuire in maniera speciale, come alla fonte di ogni bene (S. Pietro Canisio: De peccatis in Spiritum Sanctum, n. I; S. Tom., 1. C.).

D. 576. Quali sono quei peccati contro il prossimo che gridano verso Dio?

R. I peccati contro il prossimo, che gridano verso Dio sono:

1° l’omicidio volontario;

2° il peccato carnale contro natura;

3° l’oppressione dei poveri;

4° il defraudare gli operai della mercede loro dovuta

(Gen, IV, 10; XVIII, 20; Esod., XXII, 23, 27; Deut., XXIV, 15; Giac., V, 4).

D. 577. Perché si dice che tali peccati gridano verso Dio?

R. Si dice che tali peccati gridano verso Dio, perché più degli altri portano manifesto il segno della malvagità, e più altamente chiamano sui loro autori l’ira e la vendetta divina (Paolo: ad Rom., I, 28-32; XII, 1-6; la ad Cor., III, 16-17; V, 11; VI, 9, 10; ad Galat., V, 19-2; la ad Tim., VI, 9, 10; 2a ad Tim., III, 2-5; S. Pietro Canisio: De peccatis in cælum

clamantibus, 1. c.).

D. 578. Quali sono i peccati capitali?

R. I peccati capitali sono:

1° la superbia;

2° l’avarizia;

3° la lussuria;

4° l’ira;

5° la gola;

6″ l’invidia;

7° l’accidia.

D. 579. Perché questi peccati si chiamano capitali?

R. Questi peccati si chiamano capitali, perché sono come la fonte e la radice degli altri peccati e vizi.

(S. Tom., l a 2ae, q. 84, a. 3, 4. Così la superbia (disordinato desiderio della propria eccellenza) è fonte e radice della presunzione, ambizione, vanagloria, iattanza….;

l’avarizia (disordinato desiderio dei beni temporali), all’indurimento del cuore verso i bisognosi, del furto, della frode, dell’inganno….;

l’ira (disordinato desiderio della vendetta), all’indignazione, contumelia, bestemmia, imprecazione, delle risse, dell’omicidio….;

la gola (disordinato desiderio del cibo e della bevanda), dell’ebetismo, della loquacità, della scurrilità….; l’invidia (tristezza del bene altrui in quanto impedisce la propria eccellenza), dell’odio, della detrazione, della calunnia, del godere per l’avversità, e dell’affliggersi per le prosperità del prossimo….;

l’accidia (tristezza pel bene spirituale a cagion della fatica che esso importa), del fastidio delle cose spirituali, della trascuranza di gravi doveri, della tristezza per la divina amicizia Per quanto riguardo la lussuria, cfr. la dom. 228, not. 1° e la dom. 229, nota 1°).

D. 580. Quali virtù si oppongono ai peccati capitali?

R. Ai peccati capitali si oppongono rispettivamente:

1° l’umiltà;

2° la liberalità;

3° la castità;

4° la mansuetudine;

5° l’astinenza;

6° la gioia per il bene del prossimo;

7° la diligenza.

D. 581. Dobbiamo noi fuggire oltre il peccato, anche le occasioni di peccare?

R. Oltre il peccato, dobbiamo fuggire, nella misura del possibile, anche le occasioni prossime di peccare, quelle, cioè, in cui l’uomo si espone al grave pericolo di peccare: infatti, chi ama il pericolo in esso perirà.

D. 582. Può accaderci di dover rendere conto a Dio dei peccati altrui?

R. Può accaderci di dover rendere conto a Dio dei peccati altrui se e in quanto, o ne siamo stati la causa col comando, il consiglio oppure il consenso, o non li abbiamo impediti, pur potendo e dovendo impedirli.

CAPO XII.

Dei Novissimi.

D. 583. Che cosa ci addita Iddio nella sacra Scrittura come mezzo efficacissimo d’evitare i peccati?

R. Dio, nella Sacra Scrittura, ci addita come mezzo efficacissimo d’evitare i peccati, la considerazione dei Novissimi, e ciò fa ammonendoci con queste parole: « In ogni opera tua abbi presenti i tuoi Novissimi, e in eterno non peccherai » (Eccli. III, 27).

D. 584. Che cosa s’intende con la parola Novissimi?

R. Con la parola Novissimi s’intende tutto ciò che agli uomini accade in fine della loro vita, cioè la morte, il giudizio, l’Inferno, il Paradiso; senonché dopo il giudizio e prima del Paradiso può aversi il Purgatorio.

D. 585. Quali punti soprattutto dobbiamo meditare nel riferirci alla morte?

R. Nel riferirci alla morte dobbiamo meditarla soprattutto come pena del peccato, come quell’istante dal quale dipende l’eternità, in modo che dopo la morte non v’è più alcun tempo a penitenza o a merito, e infine come quell’evento di cui sono incerte l’ora e le circostanze (Gen., II, 17; III, 19; Eccli., XIV., 12, 13; XLI, 1-3; Matt., XXIV, 42-44; Luca, XII, 39, 40; Paolo: ad Rom., V, 12; VI, 23; la ad Thess., V, 2; ad Hebr., IX, 27; Conc. di Tr., sess. V De peccato originali, can. 1).

D. 586. Che cosa succede in primo luogo all’anima immediatamente dopo la morte?

R. Immediatamente dopo la morte l’anima deve presentarsi al tribunale di Cristo per subirvi il giudizio particolare (Eccli., XI, 28; Paolo: ad Rom., XIV, 10; ad Hebr., 19, 27; Bened. VII: Const. Benedictus Deus, 29 genn. 1336; S. Agost.: De anima, II, 8. — Dell’universale giudizio trattano la  D. 112 e le segg.).

D. 587. Circa quali cose vien giudicata l’anima nel giudizio particolare?

R. Nel giudizio particolare l’anima vien giudicata circa ogni cosa senza eccezione, vale a dire circa i pensieri, le parole, le opere e le omissioni; e tale giudizio verrà confermato nel giudizio universale come in una esteriore manifestazione (Matt., X, 26; XII, 36; Paolo: la ad Cor., IV, 5.).

D. 588. Quale sarà dopo il giudizio particolare la sorte dell’anima?

R. Dopo il giudizio particolare, o l’anima, per il peccato mortale, è priva della grazia, e allora verrà condannata alle pene dell’Inferno; o è in istato di grazia, fino ad esser libera da qualunque peccato veniale e da qualunque debito di pena temporale, e allora viene senz’altro assunta alla gloria del Paradiso; finalmente se essa è in istato di grazia, ma non senza qualche peccato veniale o qualche debito ancora da scontare di pena temporale, allora viene trattenuta nel Purgatorio fino a quando non abbia pienamente soddisfatto alla divina giustizia (II Macc, XII, 46; Luca, XVI, 22; XXIII, 43; Paolo: 2a ad Cor., V, 1-3; Conc. di Fir.: Decr. prò Græcis; S. Giov. Damasc.: De fide ortodoxa, IV, 27.).

D. 589. Quale sarà nell’Inferno la sorte dei dannati?

R. Nell’Inferno, chiamato nelle sacre Lettere anche abisso o geenna, vengono tormentati da pene eterne i demoni, e in una con essi gli uomini dannati, nell’anima sola prima del giudizio universale, nell’anima e nel corpo dopo quel giudizio medesimo (Matt., VIII, 12; XIII, 42; XXIV, 51; XXV, 30, 41, 46; Luca, XIII, 27, 28; XVI, 22, 24, 28; Paolo: 2″ ad Thess., I , 9; Apoc, XIV, 9-11; Conc. Lat., IV, c. I; Conc. di Fir., 1. C.; Vigilius Papa: Adv. Originem, can. 9; Bened. XII, 1. e; Pio IX: Epist. ad Arch. et Epis. Italiæ, 10 ag. 1863).

D. 590. Quali sono le pene con le quali vengono tormentati i dannati nell’Inferno?

R. Le pene con le quali vengono tormentati i dannati nell’Inferno, sono:

1° la pena del danno, vale a dire la perpetua privazione della visione beatifica di Dio;

2° la pena del senso, vale a dire un fuoco reale che tormenta senza consumare, le tenebre, il rimorso e l’angoscia della coscienza, nonché la società dei demoni e degli altri dannati (Matt., III, 12; XIII, 42; XVIII, 8; XXIV, 51; XXV, 30, 41, 46; Luca, XIII, 28; XVI, 24, 28; Apoc, XXI, 8; Cat. p. parr., p. I , c. VIII, n. 9, 10).

D. 591. Le pene dei dannati sono per tutti le medesime?

R. La pena del danno è per tutti la medesima; le a tre pene dei dannati non sono per tutti le medesime, ma diverse secondo il numero e la gravità dei peccati (Conc. di Fir., 1. c.; S. Greg. M.: Dialog., IV, 43; S. Agost.: De fide, ope et caritate, 3).

D. 592. Qual sorte sarà quella dell’anima nel Purgatorio?

R. L’anima sconta nel Purgatorio le pene temporali dovute per i peccati e di cui non ha ancora del tutto pagato il debito nella vita presente, e ciò fino a quando non abbia pienamente sodisfatto alla divina giustizia e non sia in grado di essere ammessa nel Paradiso (II Macc, XII, 43-46; Matt., XII, 32; Paolo: la ad Cor., III, 12-15; Conc. II di Lione: Prof, fidei Mich. Pai.; Conc. di Fir., 1. c.; Conc. di Tr., sess. XXV, Decr. de Purgat.; Bened. XII, 1. c.; Leone X: prop. 37-40 inter damnatas Martini Luteri, 15 giug. 1520; Pio IV: Profess. fidei trid.; S. Greg. M.: Dial, IV, 39).

D. 593. Con quali pene vien punita l’anima nel Purgatorio?

R. L’anima vien punita nel Purgatorio con la pena del danno e con quella del senso, vale a dire con la temporanea privazione della visione beatifica e con altre pene gravi.

D. 594. Le pene delle anime nel Purgatorio sono uguali per tutti?

R. Le pene delle anime nel Purgatorio non sono uguali per tutti, ma implicano gradi differenti di acerbità e di durata a seconda del peccato veniale e del debito della pena temporale da scontarsi dai singoli; inoltre i suffragi di cui quelle anime sono l’oggetto, possono quelle stesse pene abbreviare e mitigare.

D. 595. Cesserà il Purgatorio dopo il giudizio universale?

R. Dopo il giudizio universale il Purgatorio cesserà; e le anime tutte che vi rimanevano trattenute, compiuta nei modi da Dio stabiliti la loro soddisfazione, verranno accolte nel Paradiso (Matt., XXV, 31-34, 41, 46; Giov., V, 29; S. Agost.: De civitate Dei, XXI, 13, 16).

D. 596. Quale sarà la sorte dei giusti in Paradiso?

R. Nel Paradiso le anime dei giusti, senza il corpo prima del giudizio universale, insieme al corpo dopo quel medesimo giudizio, godono in eterno la beatifica visione di Dio, e in una con questa ogni sorta di bene, senza alcuna mescolanza o timore di male, nella società del Signor nostro Gesù Cristo, della beata Vergine Maria e degli altri beati.

(Sap., III, 7, 8; V, 5, 16, 17; Is., XLIX, 10; LX, 18-22; Matt., XIII, 43; XIX, 28, 29; XXV, 34, 46; Luca, XVI, 22; XXII, 29, 30; Giov., XVII, 24; Paolo: la ad Cor., II, 9; XV, 41 e segg.; 2a ad Cor., XII, 4; l a di Pietro, I, 4; V, 4: Apoc, VII, 9, 16, 17; XXI, 1-4, 10-14; XXII, 1-5; Conc. Lat. IV, 1. c.; Conc. di Vienna: Contra errores Beguard. et Beguin.; Bened. XII e Conc di Fir., 11. ce; Cat. p. parr., p. I, c. XIII, n. 4 e segg.).

D. 597. Tutti i beati nel Paradiso godono in misura uguale dell’eterna beatitudine?

R. I beati nel Paradiso non godono tutti in misura uguale dell’eterna beatitudine, ma gli uni più perfettamente degli altri.

(Conc. di Fir., 1. e ; Conc. di Tr., sess. XVI, De justif., can. 32; S. Greg. M.: Moralia, IV, 70; Aphraate: Demonstrationes, XXII, 19; S. Efrem.: Hymni et sermones, 11; S. Gerol.: Adversus Jovinianum, II, 32, 34; Adversus libros Rufini, I, 23; S. Agost.: Sermo 87, 4, 6; In Joan. Evang., LXVII, 2.)

D. 598. Qual è la ragione di codesta differenza?

R. La ragione di codesta differenza è la seguente: i beati raggiungono la visione beatifica di Dio mediante il lume della gloria, lume che da Dio viene infuso, agli Angeli secondo la rispettiva dignità e grazia, agli uomini secondo i rispettivi meriti, in modo però che tutti, anche se disugualmente partecipi della gloria, sieno compiutamente felici e beati.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (18)

LO SCUDO DELLA FEDE (137)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (4)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE IV.

La Supremazia di San Pietro.

14. Prot. Fin qui pertanto nulla avrei che ridire contro il Cattolicismo, ma egli oltre a ciò crede ed insegna come dogma di fede, che S. Pietro fu da Gesù Cristo costituito Capo Supremo di tutta la Chiesa, in qualità di suo Vicario, capite? di suo Vicario in terra, con tale un’autorità che non ha pari nel mondo, che non riconosce superiori fuori di Gesù Cristo, e che in tutto ciò a lui succede il Papa di Roma!!! Alla larga! Ammetto ancor io che S. Pietro abbia ricevuto un primato su tutta la Chiesa, ma un primato di ordine, di onore, non mai un primato di autorità, di giurisdizione.- » (Giacomo. Picenino Pastore di Coirà. Nella sua Apologia, ed altri assai.)

Bibbia. Gesù disse a S. Pietro: « Io dico a te che tu sei Pietro –pietra-, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno de’ cieli; e tutto ciò che avrai legato sopra la terra, sarà legato anche ne’ cieli: e tutto ciò che avrai sciolto sopra la terra, sarà sciolto anche ne’ cieli.» (Matt. XVI, 18 e segg.). « E tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli. »  (Luc. XXII, 22) « Disse Gesù a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più che questi? Gli disse: Certamente, Signore, tu sai che io ti amo. Disse a lui: Pasci i miei agnelli. Dissegli di nuovo: Simone di Giovanni, mi ami tu? Ei gli disse: Certamente, Signore, tu sai che io ti amo. Dissegli: Pasci i miei agnelli. Gli disse per la terza volta: Simone di Giovanni mi ami tu?… Dissegli: Signore, tu sai il tutto: Tu sai che io ti amo: Disse a lui: Pasci le mie pecorelle. » (GIOV.. XXI, 15-17). –  Ora ti spiegherò questi testi. Pertanto nel primo Gesù dice a Pietro: « Io dico a te che tu sei la pietra della mia religione, e sopra di te sarà edificato il fondamento della mia Chiesa ». Che altro mai significano queste parole se non che a Pietro è affidato il governo di tutta la Chiesa, e quindi che tutta la Chiesa finalmente dipende dalla di lui autorità e giurisdizione? Ciò è anche  maggiormente dichiarato dalla tradizione delle mistiche chiavi; poiché tal simbolo nella parola di Dio, ed anche presso gli uomini, altro non significa che autorità e potere supremo, indipendente da tutti, fuorché da colui che lo conferisce. – Infatti volendo il Signore indicare che avrebbe conferito ad Eliacim la dignità e superiorità di prefetto del tempio, così si esprime: «Porrò sull’omero di lui la CHIAVE della casa di Davidde, e aprirà, né altri potrà chiudere, e chiuderà, né altri potrà aprire. » (Isai. XXI, 1,2). Dalle quali ultime parole è ben dichiarata la supremazia, e indipendenza in quella carica o dignità. Lo stesso simbolo è usato per indicarci la potestà conferita ad un Angelo sopra il Demonio. « Vidi un Angelo scender dal cielo, che aveva la CHIAVE dell’abisso, e una gran catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, quel serpente antico che è il Demonio e Satanasso, e lo legò per mille ann, etc. » (Apoc. XX, 1, 2). Dello stesso simbolo Gesù Cristo medesimo si è servito per indicare il supremo suo dominio e autorità su tutta la Chiesa, e sopra l’inferno e la morte. «Così dice il Santo, il Verace che ha la CHIAVE di Davide: che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre. » (ivi, III, 7). « Ho le CHIAVI della morte e dell’inferno. » (ivi, I, 18). Le ultime parole del primo testo: Tutto ciò, etc. sono una decisiva perentoria conferma della supremazia di S. Pietro; poiché significano una potestà e giurisdizione la più illimitata e indipendente: mentre contengono la solenne dichiarazione che sarà in cielo ratificato, senza eccezione di sorta, quanto egli avrà su questa terra disposto, ordinato, deciso pel governo della Cristiana Chiesa.

16. Prot. Anche agli altri Apostoli disse Gesù: «Tutte quelle cose che avrete legate sopra la terra, saranno legate anche nel cielo: e tutte quelle cose che avrete sciolte sopra la terra, saranno sciolte anche nel cielo. » (Matt. XVIII, 18). Eppure nessuno di essi fu mai Capo Supremo di tutta la Chiesa.

Bibbia. È vero, ma non vi è parità nel confronto: 1° Perché a S. Pietro non disse: Tutte quelle cose, etc; ma disse: Tutto ciò, etc. Lo quale espressione ha un significato molto più esteso e importante. 2.° Perché nella concessione fatta in comune agli Apostoli manca il più e il meglio delle prerogative concesse in particolare a S. Pietro. Imperocché a lui solo fu detto: Sopra questa pietra, cioè sopra di te, edificherò la mia Chiesa: a te darò le CHIAVI del regno de’ cieli. Le quali parole propriamente denotano quella Supremazia, quel Primato che a lui solo appartiene,  né può essere ad altri comune. 3.° Perché la suddetta prerogativa: Tutte quelle cose, etc. fu a S. Pietro data due volte, cioè la seconda volta gli fu data in comune con gli altri Apostoli, e la prima volta fu data a lui solo unitamente alle altre sue singolarissime prerogative; la qual distinzione fa ben conoscere la sua distinta dignità, e ciò che più monta, gli fu data presenti gli altri Apostoli, e in modo solenne, senza che a questi nulla, affatto nulla, si concedesse. La quale distintissima singolarità non può in altro modo spiegarsi, se non che la potestà di sciogliere e di legare a Pietro concessa estendevasi ancora sopra i medesimi Apostoli. – Queste grandi prerogative. questa Supremazia di S. Pietro non erano in quel momento che una promessa, ma promessa di un Dio, la quale fu di poi mandata ad effetto allorché Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli: Pasci ì miei agnelli: Pasci le mie pecore: cioè tutti i fedeli Laici e Pastori, niuno eccettuato, essendo i primi significati col nome di agnelli, e perciò raccomandati due volte, perché più bisognosi di assistenza, ed i secondi col nome di pecore, perché sono le madri degli agnelli, ed esse pure applicate sono alla cura dei medesimi sotto il comando e la direzione del comune Pastore. – E qui nota, 1.° Che la seconda volta il Redentore non disse a S. Pietro: vosche, pasci, ma gli disse: pimene, che significa pascere e con bontà di pastore, e con piena autorità di superiore. Onde questa sola espressione è più che bastante senza altre prove a dimostrare incontrastabilmente, nel senso cattolico, la Supremazia di S. Pietro. – 2. ° Che avendo ciò detto, presenti gli altri, al solo S. Pietro (a cui solo aveva pur detto: Conferma i tuoi fratelli) in que’ solenni momenti in cui disponevasi a lasciare visibilmente la Chiesa per salire al Cielo; non vi è più luogo a dubitare che non lo lasciasse al governo visibile della stessa Chiesa in luogo di sé medesimo, e quindi in qualità di suo Vicario, e, per conseguenza, di Supremo Pastore, che non ha superiori né eguali sopra la terra. Arroge che oltre a ciò a lui solo concesse furono tali e tante prerogative e grazie singolarissime, a lui solo sempre usate furono tante distinzioni e tanti riguardi, e per parte degli Apostoli e dello stesso Divin Redentore, che è impossibile non ravvisarlo in tutti gli eventi e circostanze qual Capo di tutti, qual Supremo Pastore di tutta la Chiesa.

17. Infatti, tra tutti gli Apostoli egli è il solo a cui Gesù muta il nome. « Tu sei Simone figliuolo di Giona: tu sarai chiamato Cepha: cioè pietra.1 » (Giov. I, 4), Per tal modo lo decora di quel suo medesimo gloriosissimo nome, col quale tanto sovente è appellato ne’ Libri Santi. Che se poi rifletti che in seguito disse al medesimo: « Tu sei Pietro [pietra), e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa: » ne comprenderai tosto il gran significato e valore. Quindi allorché Gesù domanda agli Apostoli cosa pensino di lui, Pietro è il solo a cui ne è rivelata dal cielo la divinità. « Disse loro Gesù: E voi chi dite che io sia? Rispose Simon Pietro, e disse: Tu se’ il Cristo, il Figliuolo di Dio viro. E Gesù rispondendo gli disse : Beato sei tu…. perché non la carne e il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. » (Matt. XVI, 15, 16). Egli è il solo che Gesù fa camminare sopra le acque ; il solo che fa uguale a sé nel pagamento del tributo. « Ed egli (Gesù) gli disse: « Vieni: E Pietro sceso di barca camminava sulle acque per andare a Gesù. » (ivi, XIV, 29). « Va’ al mare e getta l’amo, e prendi il primo pesce che verrà su: e apertagli la bocca, vi troverai uno statere: piglialo e paga per me e per te. » (ivi XVII, 26). E qui nota che questo tributo non si esigeva che dai superiori, o capi di famiglia. Onde li esattori non degli Apostoli, ma di Gesù si lamentavano, dicendo: « Il vostro Maestro non paga le due dramme: » Bastando dunque che avesse pagato Gesù come Capo di tutti, perché volle che pagasse anche S. Pietro, e con somma uguale alla sua?

18. Egli è il solo a cui Gesù predice la qualità della sua morte. « Quando sarai invecchiato, stenderai le tue mani, e un altro ti cingerà…. Or questo disse indicando con qual morte fosse per glorificare Iddio. (Giov. XXI, 18, 19). Egli è il solo, che da Gesù Cristo e dagli Apostoli è sempre nominato in primo luogo, mentre per nessuno degli altri si tiene ordine fisso. « E Gesù ordinò che dodici stesser con lui.„. Simone, a cui pose il soprannome di Pietro, e Giacomo figliuolo di Zebedeo, e Giovarmi : etc. » – « I nomi de’ dodici Apostoli sono questi: il primo Simone chiamato Pietro. e Andrea suo fratello, etc. » • Erano insieme Simon Pietro, e Tommaso, etc. » (Giov. XXI, 2). « E andò (Gesù) da’ suoi discepoli, e trovogli addormentati, e disse a Pietro: Così dunque non avete potuto, etc. » (Matt. XXVI, 40). Tralascio per brevità gli altri moltissimi esempj.

19. Egli è il solo che in ogni occorrenza è sempre a tutti preferito dal Redentore. Nella lavanda dei piedi Gesù comincia da Pietro. « Cominciò (Gesù) a lavare i piedi dei discepoli…. Venne dunque a Simon Pietro. » (Giov. XIII, 8, 6) Da Pietro vuol esser seguito a preferenza d’ogni altro, e dello stesso discepolo amato. « E (Gesù) disse » (a Pietro): seguimi. Pietro voltatosi vide quel discepolo amato da Gesù,… e disse a Gesù: Signore, e costui che? Dissegli Gesù: Se io voglio che questi rimanga,… che importa a te? Tu seguimi. »  (Ivi, XXI, 19) Egli è il solo che parla sovente a Gesù in luogo di tutti e per tutti: « Allora Pietro rispondendo disse : Ecco che noi abbiamo abbandonato tutte le cose, e ti abbiamo seguito. Che dunque ne avremo noi ?  »( Matt. XIX, 27)   « Disse perciò Gesù a’ dodici: Volete forse andarvene anche voi? E Simon Pietro gli rispose: Signore, a chi andremo noi? » (Giov. VI, 68, 69).  Egli è il solo che nei tribunali, e davanti a’ popoli parla per tutti, e prende le difese di tutti. « Il dì seguente si congregarono…. i principi e i seniori,… e fattili venire alla loro presenza, gli interrogarono, etc… Allora Pietro ripieno di Spirito Santo, disse loro, etc. » (Att. IV, V, e seg)  « Or essendosi fatto questo, la moltitudine si radunò e rimase attonita :… Altri poi facendosi beffe dicevano: Sono pieni di vino dolce. Ma Pietro levatosi in piedi con gli undici alzò la voce e disse loro: Uomini Giudei…. non sono costoro, come voi pensate, ubriachi, mentre è l’ora terza del dì »(Ivi, II, 6, e seg.).

20. Egli è sempre il primo a parlare nei tribunali, e davanti ai popoli, come è noto dai due ultimi testi citali, e da altri che per brevità non rammento. Il primo, a cui Gesù si fa vedere dopo la sua risurrezione. « E trovarono adunati gli undici, e gli altri che stavan con essi: i quali dissero: Il Signore è veramente risuscitato, ed è apparso a Simone. » (Luc. XXIV, 33, 31)  « Vi ho insegnato che Cristo risuscitò, e che fu veduto da Cefa, e di poi dagli undici. » (I. a’ Cor. XV. 3)

21. Egli è il primo (presenti li altri) a promulgare solennemente il Vangelo. « Levatosi su Pietro con gli undici, alzò la voce, e disse loro: Uomini Giudei, e voi tutti che abitate Gerusalemme, sia noto a voi questo, e aprite le orecchie alle mie parole: (Att. II, 14) etc. etc. Egli, in prova dall’annunziato Vangelo, opera il primo strepitoso miracolo. « E veniva portato un certo uomo storpiato dalla nascita, il quale ponevano ogni giorno alla porta del tempio:… E Pietro fissamente guardandolo con Giovanni, disse: Volgiti a noi…. Nel nome di Gesù Cristo Nazzareno alzati, e cammina: e si rizzò in un subito, e camminava. » (1 Gesù)  Egli è il primo a scomunicare e condannare gli eretici. «Ma Pietro gli disse [a Simone Mago): il tuo danaro perisca con te, poiché hai giudicato che il dono di Dio con danaro si acquisti: tu non hai parte né sorte in questo sermone. » (ivi, VIII, 19)

22. Quindi, egli è il solo che ci è rappresentato come capo di famiglia, cui tutti seguono: il solo che sempre è riguardato anche da’ popoli come il superiore del Collegio Apostolico. « Erano insieme Simon Pietro e Tommaso, etc… Disse loro Simon Pietro: Vo a pescare: Gli .risposero, veniamo anche noi…. Partirono, etc.,  Ed essendo venuti in Cafarnao si accostarono a Pietro quelli che riscuotevano le due dramme, e gli dissero, etc. » (Matt. XVII, 53). Pietro ed i suoi compagni gli dissero, etc. (Luc. VIII, 36) » « Dissero a Pietro, e agli altri Apostoli, etc. » (Att. I. 17). « Simon Pietro, e quelli che si trovavan con lui, etc. » (Marc. I, 13). Ora se da quel detto dell’Apocalisse. « Michele e gli Angeli suoi » (Apoc. XII, 7) si deduce che S. Michele è il Principe delle celesti milizie: come non dovrà tirarsi da questi ultimi testi la medesima conseguenza riguardo a S. Pietro? Finalmente, egli tra tutti li Apostoli è il solo, per cui, trovandosi in carcere, tutta la Chiesa è in moto a far continua orazione, affinché sia liberata. Pietro adunque era custodito in carcere, ma orazione continua Dio dalla Chiesa per lui. 9 » (Att. XII. 3.)   La qual cosa è degna di esser notata, essendoché la pubblica universale preghiera mai si fa dalla Chiesa pei privati, né tampoco pei superiori subalterni, ma pel solo Capo supremo. Ond’è che non si legge sia stata fatta per gli altri Apostoli, che carcerati furono e prima c dopo S. Pietro.

23. Che se non basta il detto fin qui a persuaderti, eccoti altri fatti e ragioni assai più concludenti. E Per la caduta dì Giuda essendo rimasto incompleto il numero degli Apostoli, S. Pietro, non per comune deliberazione, ma di moto proprio, con atto di suprema autorità, ordina la nomina del duodecimo Apostolo, e prescrive le qualità e condizioni che aver deve la persona da nominarsi. « In que’ giorni alzatosi Pietro in mezzo a’ fratelli…. disse: E d’uopo che di questi uomini, i quali sono stati uniti con noi per tutto quel tempo che fe’ dimora tra noi il Signore Gesù, cominciando dal battesimo di Giovanni sino al giorno in cui, tolto a noi, fu assunto, uno di questi sia costituito testimone con noi della risurrezione di lui.1 » (Alt. I, 13. e seg.) Tutti agli ordini di Pietro obbedirono: nessuno mosse parola in contrario. « E nominarono due, Giuseppe detto Barnaba, soprannominato il giusto, e Mattia. » La scelta di quello che doveva preferirsi non fu già messa a’ voti, nel qual caso soltanto potrebbe dirsi che anche gli altri Apostoli vi ebbero parte attiva, ma fu rimessa alla sorte, perché, trattandosi di un Apostolo, doveva essere scelto immediatamente da Dio; onde così pregarono: « Tu, o Signore, che conosci il cuore di tutti, dichiara quale di questi due abbi eletto. ».

24. Anania e sua moglie Saffira bruttamente mentiscono circa il prezzo di un loro podere venduto, e sebbene il contante non fosse portato in particolare a S. Pietro, ma fosse stato deposto, secondo il costume, a’ piedi degli Apostoli, né egli ne fosse tampoco il distributore, essendo a ciò deputati i Diaconi; pure nessuno osò parlare, presente Pietro: Pietro solo è quegli che chiama davanti a sé i delinquenti in giudizio, e col soffio potente di sua parola li fa cader mosti ai suoi piedi. « Un certo uomo di nome Anania con Saffira sua moglie vendé un podere, e d’accordo con sua moglie ritenne del prezzo, etc… E Pietro disse: Anania, come mai satana tento il cuor tuo a mentire allo Spirito Santo? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio. Udite ch’ebbe Anania queste parole, cadde e spirò:… E Pietro disse a lei (a Saffira), per qual motivo vi siete accordati di tentare lo Spirito del Signore?… E immediatamente ella cadde a’ suoi piedi e spirò.- »  (ivi, IV, 34, 35 – V, 1, e seg.).

3.° Essendo nata tra i fedeli fervida controversia circa la osservanza della legge Mosaica: « … Si radunarono gli Apostoli, e i Seniori per disaminar questa cosa, e mentre ferveva la disputa, tosi Pietro disse loro: « Uomini fratelli,… perché tentate voi Dio per imporre sul collo de’ discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiam potuto portare? » (Att. XV, 6). Alla decisione di Pietro tosto cessarono tutte le dispute, tutti a quella riverentemente si sottoposero, e divenne essa il Decreto di quel Concilio. « Tutta la moltitudine si tacque. » Oh! tutto questo è troppo per uno che non sia Capo Supremo; tanto più che tutte queste cose avvennero in Gerusalemme, ove era Vescovo l’Apostolo S.Giacomo, detto il Minore a cui perciò nessuno che non fosse il Capo Supremo di tutta la Chiesa levar poteva il diritto di punire que’ delinquenti (Anania e Saffira) suoi diocesani, il diritto di presiedere, di parlare il primo, etc. nel secondo citato Concilio; insomma, il diritto di farla ivi da superiore. Ma vi è di più ancora.

26. 4.° Egli, S. Pietro, con sua Lettera Enciclica impone ordini e regolamenti ai fedeli laici, e pastori di varie provincie anche le più lontane, e non escluse quelle immediatamente governate dai medesimi Apostoli; il che non è lecito che al Capo Supremo di tutti fedeli, al solo Principe dei Pastori. « Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, agli abitanti in paese straniero dispersi pel Ponto, pella Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia, eletti…. Siate dunque per riguardo a Dio soggetti ad ogni creatura, etc.1 » (I. di Piet. I, e seg.)  « I Seniori adunque (cioè i pastori) che sono tra di voi, gli scongiuro io conseniore:… Pascete il gregge di Dio, che è tra di voi, governandolo non forzatamente, ma di buona voglia, ec.2 » (Ivi, V, I,) Anche S. Giacomo, e S. Giovanni, e S. Giuda, scrissero Lettere Cattoliche, ma non vi troverai una parola che indichi autorità, superiorità, giurisdizione, come non la troverai in quelle scritte da S. Paolo a’ Romani, e agli Ebrei, perché non erano dì sua dipendenza.

27. Passa ben presto dagli ordini ai fatti: ascolta. « La Chiesa pertanto per tutta la Giudea, Galilea e Samaria aveva pace…. Or’avvenne che Pietro andando attorno da tutti, giunse ai Santi che abitavano in Lidda etc.3 » (Att. IX, 31, 32).  Ecco dunque che Pietro, dopo le Lettere Encicliche, intraprende la visita pastorale in una diocesi non sua, presente il proprio Vescovo, presenti gli Apostoli, e nessuno reclama. – Dimmi adesso, come mai tanti onori, preferenze e riguardi al solo S. Pietro per parte di tutti gli Apostoli, di tutta la Chiesa, e dello stesso Divin Redentore? Come mai tanta autorità e giurisdizione in tutto, e su tutti, in ogni tempo, in ogni luogo e circostanza; cosicché egli è sempre il solo che ordina tutto, decide, dispone, a tutti comanda e niuno ad esso si oppone, ma tutti e in tutto si rassegnano riverenti a’ suoi atti, alla sua volontà? Era egli forse il più anziano di età? Ciò non costa dalla parola divina, e la ecclesiastica Tradizione assicura che il più vecchio era S. Giacomo Vescovo di Gerusalemme. Era forse il più anziano nell’Apostolato? No certamente: egli era il terzo tra i chiamati dal Redentore. Andrea fratello di Simon Pietro era uno dei due che aveva udito le parole di Giovanni, ed avevan seguito Gesù. Il primo che questi trovò fu il suo fratello Simone: e dissegli: Abbiamo trovato il Messia. » (Giov. I, 40, 41) Era almeno il prediletto del Redentore? Neppure; il prediletto era S. Giovanni. « Disse perciò a Pietro quel discepolo amato da Gesù, etc. » (ivi, XXI, 7) Insomma non può addursi di tutto ciò altra ragione se non che egli era il Capo Supremo di tutta la Chiesa; e quindi se anche non se ne avessero le manifeste dichiarazioni del Redentore, questi soli fatti sarebbero più che bastanti a dimostrare la suprema sua autorità, il suo gran Primato.

28. Prot. Sta scritto: « Gesù disse loro (agli Apostoli): voi sapete che i principi delle genti dominano sopra di loro, e i loro magnati le governano con potestà: ma non cosi sarà tra di voi: ma chiunque vorrà tra di voi divenir superiore, sia vostro ministro; e chi vorrà tra di voi essere il primo, sia vostro servo. » (Matt. XX, 25, 26). S. Paolo dice: « Chi die’ potere a Pietro per l’apostolato de’ circoncisi, lo ha dato anche a me tra le genti. » (Galat. II, 8) « Essendo poi venuto Cefa ad Antiochia gli resistei in faccia, perché era reprensibile. » (ivi, II, 11) Tutto ciò in verun modo può conciliarsi colla Supremazia di S. Pietro.

Bibbia. Il primo testo fa contro di te; poiché in esso Gesù Cristo espressamente fa intendere che tra gli Apostoli vi doveva essere il maggiore, il primo, prescrive il modo di governare proibendo il fasto, l’arroganza, la tirannia de’ re pagani; e così nuovamente conferma la supremazia di S. Pietro. Il secondo non è a proposito: perché ivi S. Paolo non parla di governo ecclesiastico, ma unicamente del ministero apostolico; e quanto a questo nessuno dubita che tutti li Apostoli fossero uguali. Riguardo al terzo, ti dico esser cosa veramente ridicola il pretendere che un superiore non sia superiore, perché un suddito gli rappresenta con zelo un commesso difetto, una mancanza. Del resto il lungo e disastroso viaggio intrapreso dallo stesso S. Paolo per andare a presentarsi a S. Pietro, ti fa ben conoscere se lo riguardasse o no per suo superiore. « Indi a tre anni dopo andai a Gerusalemme per visitar Pietro » (ivi, I, 18).

29. Prot. Lo stesso S. Paolo dice: « Altro fondamento non può gettar chicchessia, fuor di quello, che è stato gettato, che è Cristo Gesù.1 » (I, Cor, III, 11)

Bibbia. Egli dice ancora: « Fratelli…. edificati sopra il fondamento degli Apostoli, e de’ Profeti, pietra maestra angolare essendo lo stesso Cristo Gesù? » (Efes. II, 20). Con ciò chiaramente ti spiega che non può gettarsi altro fondamento primario, ma non ripugnano altri fondamenti secondari.

30. Prot. Ho voluto divertirmi a farvi obbiezioni, ma credo anch’io come voi. Ascoltatemi. « Pietro fu designato dal Signore per fondamento di tutta la Chiesa, la quale doveva sopra di lui appoggiarsi come si appoggia un edifizio sul fondamento. » (M. Ant. de Dominis, lìb. 6 n. 2)

« Molti interpreti (protestanti) per petran, pietra, hanno malamente inteso o lo stesso Cristo, o la professione di Pietro fatta avanti. » (Kuinoel, sopra questo passo)

« È però evidente che, se Pietro, se gli Apostoli, se i Profeti possono esser considerati come portanti l’edifizio della Chiesa (in senso infinitamente subordinato), sono eglino alla lor volta portati da quel solo che ne forma la vera base » (Un protestante anonimo di Ginevra: Dissert. sur le pouvoir de Saint Pierre dans l’Eglise, Genève, 1833).

« Nella Sacra Scritturalo CHIAVI, delle quali qui si parla, non sono che un segno del potere nelle mani di qualcheduno. Per la qual cosa le parole di S. Matteo – XVI. 19 – a te darò le chiavi del regno de’ cieli: e qualunque cosa avrai legato sopra la terra, etc. questo vogliono significare: Io ti do la suprema potestà della società religiosa da me istituita. E di vero, le figure e i simboli come questo, di sciogliere e di legare, se al valore si riguarda e allo spirito della lingua giudaica, esprimono la potestà d’insegnare: in breve, quello che sia lecito, e ciò che sia vietato » (Reinhard, Discorsi sopra la dogmatica: 1612, p. 633).

« Cristo volle aggiudicare e commettere alla fede di Pietro una potestà assai più grande e sublime che non fosse quella dei rimanenti Apostoli. Volle, insomma, che soprastasse all’universa Chiesa. Lo costituì Capo visibile della medesima, dandogli in pari tempo quell’autorità e giurisdizione, di che non si poteva far senza, ed era necessaria: ed avvisando in maniera che Pietro avesse un soave e dolcissimo impero su tutti li altri.’»  (Marlieinecke, nella sua Simbolica, pag. 75). –  Poiché era soprumano divisamente di Gesù chiamare a raccolta tutti i suoi figliuoli sparsi e divisi per tutta la terra, e radunarli in una famiglia che avesse il principio e il nome di Dio; abbisognava che questa novella società, la quale visibilmente si veniva a formare, avesse un Capo visibile! Infatti, un corpo, o a meglio dire, uno Stato visibile senza di un Capo visibile che lo governi, non potrebbe mai riputarsi intero. Esso tutto al più sarebbe un corpo monco e dimezzato. » (Pustenkuclien-Glanzow, Il ripristinamento del protestantismo, ossia sull’unione, l’azienda e la costituzione episcopale. Amburgo, 1827 p. 61).

« S. Paolo ci insegna – Efes. IV. 11. – che nella Chiesa vi debbono essere i gradi dei prepositi, e che per que’ gradi è compaginata essa Chiesa. L’ordine, sia nelle parti, sia nel tutto, è contenuto in un certo principio, ossia nella unità di un Capo. E questo è ciò che Gesù Cristo ci ha insegnato in Pietro. Questo imparò da Cristo Cipriano, e con Cipriano lo dice Girolamo contro Gioviniano. » (Grozio, Vot. prò pace, art. 7.).

« Forse che i dieci Apostoli sarebbero stati così consenzienti ed uniti fra loro, se non avessero avuto un Capo? Fin da’ tempi primitivi della Chiesa, nei quali a niuno è ignoto quanto abbondante e copiosa fosse la grazia di Dio, si sperimentò qual mezzo ottimo e salutare, questo di avere un Capo. » (Cowel, presso Theiner, Op. Dell’introduzione del protestantismo in Italia, part.2 pag. 122).

« E inutile dimostrare, poiché è certissimo che Pietro sia il primo fra gli Apostoli. » (Alberto Fabrizio, Difesa del Vangelo: 1707) Egli è questo un fatto confermato da tutta l’antichità. » (Baratier, Disquisitiones theolog. de success. Episcopor. Romanor.)

« Io direi solamente ciò di cui tutti i Cattolici convengono, cioè, che Cristo ha scelto S. Pietro tra tutti i suoi Apostoli, per dare a lui non solo il Primato di ordine, di onore e di rango, in dare a lui il primo luogo, come quello che è il primo tra gli eguali, e ne’ suoi doni, e ne’ suoi poteri, e nella suo grazie che inseparabili sono dall’apostolato, e dal suo episcopato; ma anche il Primato di giurisdizione, di potestà e di autorità su tutti i fedeli, in tutta la Chiesa, della quale lo ha costituito Capo. » (Mainburg. Op. De V établissement, et des prerogatives.de l’Eglise de Rome, et ses eveques 1685, Chap. 4 p. 57)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (16)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (16)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vie. Gen

III.

CATECHISMO PER GLI ADULTI DESIDEROSI DI APPROFONDIRSI NELLA CONOSCENZA DELLA DOTTRINA CATTOLICA.

Delle virtù.

SEZIONE 2°. –  Delle virtù morali.

D. 541. Che cos’è la virtù morale?

R. La virtù morale è una virtù di cui sono l’oggetto immediato gli atti onesti conformi alla ragione.

D. 542. Di quante specie può essere l’atto della virtù morale secondo il fine cui è diretto?

R. L’atto della virtù morale, secondo il fine cui è diretto, può essere o naturale, per es. quando uno digiuni per evitare che il mangiare sia di nocumento alla salute, o soprannaturale, per es. quando uno digiuni per ottenere da Dio la remissione dei suoi peccati, o per « castigare il suo corpo e ridurlo in servitù » (Paolo: I a ad Cor., IX, 27; S. Tom, la 2æ, q. 63, a. 4.).

D. 543. Quante e quali sono le principali virtù morali?

R. Le principali virtù morali sono quattro: la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza, chiamate anche virtù cardinali (Sap, VIII, 7; S. Agost. : In Epist. Joannis, ad Porthos, VIII, I ; S. Tom, l a 2ae, q. 61, a. 9).

D. 544. Perché tali virtù vengono chiamate cardinali?

R. Tali virtù vengono chiamate cardinali, perché  sono come il cardine e il fondamento dell’intero edificio morale, e le altre virtù morali ad esse si riducono –

(Così alla giustizia si riducono le virtù di religione, di pietà, di osservanza, di obbedienza, di riconoscenza, di veracità, di liberalità, di amicizia….; alla fortezza, le virtù di magnanimità, di pazienza, di perseveranza….; alla temperanza, le virtù di astinenza, di onestà, di sobrietà, di castità, di virginità, di continenza, di mansuetudine, di modestia, di umiltà….; quest’ultima è una virtù fondamentale, in quanto rimuove la superbia, inizio di ogni peccato.).

D. 545. Qual è la funzione delle singole virtù cardinali?

R. La Prudenza ci fa in ogni circostanza rettamente giudicare, sotto la visuale della vita eterna, quali cose dobbiamo volere e quali fuggire;

la Giustizia ci fa rendere a ciascuno quel che gli spetta;

la Fortezza ci fa tali che nessuna difficoltà o persecuzione ci possa distogliere dal seguire il bene;

la Temperanza ci fa reprimere le cattive cupidigie ed usare dei beni sensibili esclusivamente secondo la retta ragione.

SEZIONE 3A. — Dei doni dello Spirito Santo.

D. 456. Nella giustificazione, assieme alla remissione dei peccati e alle virtù teologiche, che cosa viene ancora infuso nell’uomo?

R. Nella giustificazione, assieme alla remissione dei peccati e alle virtù teologiche, vengono contemporaneamente infusi nell’uomo i doni dello Spirito Santo.

D. 547. In qual numero sono i doni dello Spirito Santo?

R. I doni dello Spirito Santo sono in numero di sette: la saggezza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà, il timor di Dio (Is., XI, 2, 3; S. Ambr.: De mysteriis, 42; De Sacramentis, III, 8.)

D. 548. A quale scopo tali doni vengono infusi?

R. Tali doni vengono infusi nell’uomo allo scopo di renderlo più facile e pronto ad accogliere e a seguire quella mozione dello Spirito Santo che in molti e svariati modi gli è d’impulso a compiere il bene e ad evitare il male (Leone XIII: Encicl. Divinum illud munas, 9 maggio 1897; S. Tom., l a 2æ, q. 68, a. 3; S. Pietro Canisio: De donis et fructibus Spiritus Sancti, III, 8.)

D. 549. Qual è la funzione in noi dei doni dello Spirito Santo?

R. La Saggezza ci aiuta perché ci dilettiamo nella contemplazione delle cose divine, e secondo le divine ragioni giudichiamo sia delle divine che delle umane cose; l’Intelletto ci aiuta a meglio penetrare, fin dove è consentito ai mortali, i misteri della fede nella loro stessa credibilità; il Consiglio ci aiuta a guardarci dalle insidie del demonio e del mondo, e a conoscere nei momenti di dubbio quanto può essere più espediente alla gloria di Dio e alla salute nostra e del prossimo; la Fortezza, con la sua singolare virtù, ci aiuta a tenerci saldi nel vincere le tentazioni e nel superare gli altri ostacoli spirituali; la Scienza ci aiuta a discernere quel che dobbiamo credere da quello che non dobbiamo credere, come pure a dirigerci in tutto quanto concerne la vita spirituale; la Pietà ci aiuta a rendere il debito culto e il debito ossequio sia a Dio, sia ai Santi, sia agli uomini che nei nostri riguardi tengono il luogo di Dio, come pure, e sempre per amor di Dio, soccorrere infelici (S. Tom, 2a 2æ, q. 101, a. 3); il Timor di Dio ci aiuta ad astenerci dal peccato, concependo per l’offesa fatta a Dio un timore che promana dalla reverenza filiale verso la divina Maestà (S. Tom, 2a 2æ, q. 7, a. 1).

SEZIONE 4A. — Delle beatitudini evangeliche, e dei frutti dello Spirito Santo.

D. 550. Quali sono gli effetti delle virtù teologiche e dei doni dello Spirito Santo?

R. Gli effetti delle virtù teologiche e dei doni dello Spirito Santo sono le beatitudini evangeliche e i frutti dello Spirito Santo.

D. 551. Quali sono le beatitudini evangeliche?

R. Le beatitudini evangeliche sono quelle che Cristo medesimo ebbe a proporre nel suo sermone della montagna, vale a dire :

1° beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli;

2° beati i miti, poiché saranno essi a possedere la terra;

3° beati coloro che piangono, poiché saranno consolati;

4° beati coloro che han fame e sete della giustizia poiché saranno saziati;

5° beati i misericordiosi, poiché saranno essi a conseguire misericordia;

6° beati i mondi di cuore, poiché saranno essi a veder Dio;

7° beati i pacifici, poiché saranno essi ad esser chiamati figli di Dio;

8° beati coloro che patiscono persecuzione per la giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli (Matt. V, 3-10; Luca, V I , 20-22.).

D. 552. Perché Gesù Cristo chiama beati coloro che hanno tali disposizioni d’animo?

R. Gesù Cristo chiama beati coloro che hanno tali disposizioni d’animo, perché per via di queste, sin dalla vita presente, conseguono e gustano come una specie di saggio della felicità futura (Leone X III, 1. c.; S. Tom, la 2æ, q. 69, a. 1).

D. 553. Quali sono quei poveri di spirito che vengon detti beati?

R. Quei poveri di spirito che vengon detti beati, sono coloro che nell’intimo del loro animo sono distaccati dai beni esteriori, soprattutto dalle ricchezze, dagli onori; non solo, ma ne dimostrano lo spontaneo disprezzo ogni qualvolta lo possano; quando li posseggano, se ne valgono con moderazione e rettitudine; quando ne siano privi, non ne vanno in caccia affannosa; quando li perdano, ne sopportano la perdita, con animo sottomesso alla divina volontà.

D. 554. Chi sono i miti?

R. I miti, ossia mansueti, sono coloro che col prossimo usano dolcezza, tollerando con pazienza le sue molestie, senza la minima lagnanza o vendetta.

D. 555. Chi sono coloro che piangono, pur rimanendo tuttavia beati?

R. Coloro che piangono, pur rimanendo tuttavia beati, sono coloro che per nulla cercano i piaceri del mondo, sopportano con gioia inspirata dalla sottomissione alla volontà di Dio i dolori della vita presente, fanno penitenza dei peccati commessi e sinceramente piangono i mali di questo mondo, gli scandali e i pericoli cui va esposta la salvezza delle anime.

D. 556. Chi sono coloro che hanno fame e sete della giustizia?

R. Coloro che hanno fame e sete della giustizia sono coloro che ogni giorno si studiano con le loro opere di far progressi nella giustizia e nella carità.

D. 557. Chi sono i misericordiosi?

R. I misericordiosi sono coloro che per amore di Dio fanno parte dei loro averi al prossimo e si studiano di allontanare da esso le miserie sia spirituali che corporali.

D. 558. Chi sono i mondi di cuore?

R. I mondi di cuore sono coloro che non solo fuggono il peccato mortale, specie, poi, il peccato d’impurità, ma per quanto possono, si astengono anche dal peccato veniale.

D. 559. Chi sono i pacifici?

R. I pacifici sono coloro che non solo si mantengono in pace col prossimo, ma si adoperano anche perché regni la pace fra i loro simili.

D. 560. Chi sono coloro che patiscono persecuzione per la giustizia?

R. Coloro che patiscono persecuzione per la giustizia, sono coloro che per amore di Gesù Cristo pazientemente sopportano le derisioni, le calunnie e le persecuzioni.

D. 561. Quanti sono, e quali, i frutti dello Spirito Santo?

R. I frutti della Spirito Santo, quali li enumera l’Apostolo, sono dodici: la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fede, la modestia, la continenza, la castità (S. Paolo: ad Galat., V, , ; S Tom. I, IIæ, q. 70, a- 1, 3).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (17)