LE VIRTÙ CRISTIANE (1)

LE VIRTÙ CRISTIANE (1)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO

Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni

Desclée e Lefebre e. C. – Roma – Tournay

MDCCCXCVIII

INTRODUZIONE

I PRODIGI di sapienza, di virtù e di civiltà, onde da quasi diciannove secoli è rallegrato l’universo, derivano in gran parte da che il Cristianesimo armonizza in sé stupendamente, e congiunge in nodo strettissimo la vita religiosa e la vita morale dell’uomo. Cotesta unione delle due mirabili vite, nella Paganità fu nulla o quasi: nella religione poi, data da Dio agl’Israeliti, non mancò ma non raggiunse mai, neanche da lontano, la profondità e l’universalità, che ha presso le genti cristiane. Or questa unione così nobile e così ricca di armonie in sé stessa, riuscì di grandissima efficacia in tutta la storia della cristianità. Però io stimo che il risorgere e il decadere del Cattolicismo, e anche il fruttificare e l’isterilirsi di esso presso questo o quel popolo sia derivato e derivi sempre, in massima parte, dal mantener salda o no questa unione della Religione e della morale nel pensiero, negli affetti e nella vita. In vero nel Cristianesimo la Religione che c’induce a credere i dommi insegnatici da Dio, onorandolo con culto e orazioni, e la morale che intende praticamente a dirigere, secondo rettitudine, i costumi e la vita, procedono da un medesimo principio che è Gesù Cristo, Dio e Uomo, Verità e Bontà, Maestro e Legislatore sapientissimo. Laonde il Vangelo suo, com’è inteso dalla Chiesa, esso è fonte ubertoso e ricchissimo tesoro sì della nostra fede e sì della nostra morale. E senza dubbio in ogni verità della fede cristiana spunta e si matura un germe di qualche virtù cristiana; come nella pratica di ciascuna virtù cristiana ci ha uno stimolo a rinvigorire la nostra fede. L’intelletto che crede, e la volontà che, bene amando, dà frutti di vita, l’uno illumina e l’altra infiamma. Ma la luce della fede è luce intellettuale piena d’amore, e la fiamma della volontà che santamente ama, diffonde ad ogni tratto luce viva e scintillante di fede nelle nostre menti. Dal conoscimento di Dio, secondo il Vangelo e la Chiesa, procede il conoscimento di ciò che è l’uomo; e dal conoscimento di ciò che è l’uomo, si perfeziona e si chiarisce in noi il conoscimento di Dio stesso. Il tipo di ogni nostra virtù morale lo troviamo in qualche attributo di Dio, insegnatoci dalla fede, o in qualche virtù predicata e messa in pratica da Cristo; « intanto, quando l’animo nostro si è sposato intimamente alla morale cristiana; ecco che esso comprende meglio i divini attributi, e le ineffabili virtù di Gesù Signore. Infine tutta la sustanza della Religione è amore di Dio, che si diffonde nel prossimo: e tutta la sustanza della morale è amore del prossimo, che si eleva a Dio. E poiché l’amore di Dio e l’amore del prossimo nel Cristianesimo, come sarà dichiarato meglio appresso, non sono due amori ma un solo amore: si conchiude che la Religione e la morale noi Cattolici le consideriamo come un solo bene, guardato in due aspetti diversi. – Nella divina Scrittura si legge che, quando Iddio volle, per mezzo di Salomone, elevare a sé stesso un tempio, il quale esprimesse esteriormente in qualche maniera l’ineffabile perfezione divina, e pure insieme riuscisse un possente incentivo alla vita religiosa e morale, tra le altre cose, ordinò questa: nella parte più veneranda e più nobile del tempio, che era il Santo dei Santi, si scolpiscano due cherubini di grande bellezza e riccamente dorati. I due cherubini, con l’ampiezza delle loro ali distese, occupino tutto, quanto è ampio il luogo. E il testo della Bibbia aggiunge che, mentre due ali dei cherubini arrivavano alle pareti opposte, le altre due si toccavano l’una con l’altra, nel punto di mezzo del tempio. Ora a me pare che i due cherubini del tempio, e più le due ali, ciascuna d’un cherubino, le quali si toccavano e si univano nel mezzo della Casa del Signore, sieno un’immagine parlante di ciò che ho detto. I cherubini e le ali così unite significano che noi dobbiamo volare in alto verso Dio, con due ali, dateci da Dio stesso, cioè con l’ala della Religione e con quella della morale. Le quali due ali si toccano l’una con l’altra; e chi volesse volare con una soltanto, o non potrebbe o, dopo un primo sforzo, ricadrebbe in giù. – Ma disgraziatamente gli uomini, corrotti dalla originale prevaricazione, assai spesso tentano di separare la vita religiosa dalla vita morale; e oggidì più che mai. Ma questa separazione riesce sempre a grande e irreparabile danno. Non parlo qui dei miscredenti, i quali sognano una morale senza Dio o senza vita soprannaturale o senza Religione di sorta, e le danno nome di morale indipendente. Il sogno loro, o piuttosto i varj e diversi sogni di ciascuno di loro sono vani. In vero, sebbene la coscienza interiormente ci suggerisca leggi morali, essa non vale a darcene una veramente autorevole, certa, universale e universalmente accettata. Parlo sì bene dei Cattolici, e dei Cattolici quali li vediamo ora nella cristianità. Essi, salvo la parte veramente buona e ferverosa, sono o soprattutto malamente credenti, o soprattutto malamente operanti. Però, secondo che appartengono ad uno piuttosto che ad un altro ordine della cittadinanza, per lo più si dividono in due schiere differenti. Coloro che hanno una certa coltura intellettuale, e vivono agiatamente e comodamente, i più, vinti dall’orgoglio e dall’egoismo, poco o punto si curano della fede, della Religione e delle pratiche sue. Non le negano recisamente, ma il cuor loro ne è affatto lontano. Quasi sempre l’orgoglio impedisce ad essi di pensare alle verità della fede che sono la sapienza degli umili, e molto più di meditarle, di approfondirle e di vederne le inenarrabili bellezze. L’ orgoglio medesimo poi, unito con l’egoismo, li tengono lontani dalla pietà, e dai sacramenti rigeneratori della nostra vita morale. Spacciano che ciò, che rileva soprattutto all’uomo colto, è la vita morale, della quale, per poco non si dicono innamorati. Ma, a ben giudicare, la morale loro, in pratica è disgraziatamente assai monca e imperfetta. Talvolta anzi pare un’ombra della vera morale cristiana; onde ci piange il cuore a vedere come l’etica di alcuni Cattolici, predicatori di morale, sia scesa tanto in basso, e sia così piena di miserie e di vanità. Lasciando stare che una parte della vita morale, secondo il Cristianesimo, sta nelle nostre relazioni religiose con Dio; si vede chiaramente che la morale degli stessi Cattolici, quando sia separata della Religione, si riduce alla pratica di quei soli comandamenti, per i quali non è necessario di vincere le proprie passioni e di sacrificare sé medesimo. Quanto poi agli altri precetti, cotesti Cattolici facilmente s’ inducono a credere che o non obbligano punto la coscienza di un uomo spregiudicato o son buoni soltanto per i bigotti o s’hanno da stimare precetti leggeri, sicché il tascurarli si debba tenere quasi come un nonnulla. – Per lo contrario la gente poco colta, come gli artigiani delle città e i contadini delle campagne (principalmente tra essi le donne) credono che le pratiche esteriori della pietà bastino a tutto. In essi la vita religiosa, considerata nella sua parte esteriore, prevale alla vita morale. Le processioni, le feste, il culto esteriore, l’atteggiamento riverente della persona in Chiesa (ottime cose in sè), le orazioni profferite. a fior di labbra, i sacramenti ricevuti spesso senza buone disposizioni interne, costituiscono la sustanza di tutta la loro vita cristiana. Intanto, a volte sono maledici, a volte poco casti, a volte ingiusti, rapaci, avari, iracondi, spregiatori del prossimo; e nondimeno sperano che questi mali siano facilmente riparati con la loro pietà esteriore. Ma anch’essi s’ingannano a partito. La Religione di costoro rassomiglia a una vite, che ha pampini belli a vedere e grappoli appetitosi, ma nutre un tarlo dentro che la corrode. A poco a poco nella vite non corre o corre assai lento il succo vitale: prima dà grappoli d’uva magri e malaticci, e poi non ne dà punto, insino a che le foglie stesse s’ingialliscono, e avvizzite cadono. Insomma, a dir tutto in uno, la Religione di costoro, perché soltanto esteriore, è appena un’ombra della Religione vera; onde il frutto desiderabilissimo della vita morale manca o quasi. – Dalle cose dette sin qui si rIleva assai facilmente che il fervente ministro di Gesù Cristo, e molto più il buon Pastore di anime, debba spendersi tutto nel persuadere i Cristiani che, allora soltanto saranno degni del nome che portano, quando ei vivano insieme le due vite del Cattolicismo, cioè la vita religiosa, e la vita morale. Con questi pensieri nell’animo, parecchi anni addietro, io scrissi un libro della Dottrina Cattolica; nel quale, dichiarando, come potei, i dommi della fede di Gesù Cristo, mi sforzai di promuovere principalmente la vita religiosa tra i Cattolici. In quel libro volsi pure talvolta amorosamente lo sguardo alla vita morale del Cristiano, parendomi gran bene di non separar mai luna dall’altra, anche nello scrivere libri. Ma il feci solo incidentemente. Non pertanto sin d’allora mi balenò nella mente il pensiero di scrivere qualcosa di proposito intorno alla Dottrina morale del Cattolicismo. E questo pensiero o piuttosto questo desiderio mi si è incalorito nell’animo, col passare degli anni, e mi ha fatto compagnia per lungo tempo. Però se non ho potuto metterlo ad effetto prima, è stato contro mia voglia, e ne ho inteso rammarico. Ora il Signore mi ha concesso di compiere un libro intorno a questo argomento: e, benché ni accorga che l’opera mia sia riuscita assai monca e imperfetta; pure mi consolo, pensando di avere obbedito a una buon ispirazione dell’animo, e vivo nella dolce speranza che un qualche piccol bene ne debba derivare alla cara famiglia dei miei lettori. Questo nobilissimo tema della morale cattolica lo si può guardare in due modi differenti. Il primo modo si ha, quando altri scriva di Teologia morale; ed esso serve soprattutto alla retta e salutare amministrazione del Sacramento della penitenza; onde si può dire libro proprio dei sacerdoti. È invero la Teologia morale un libro prezioso, che sottilmente e profondamente scruta soprattutto la scienza dei vizj, e l’applica ai casi molti e diversi della coscienza. Benché si occupi incidentemente del bene da fare, il suo primo pensiero si volge al male da fuggire; perciocché il vizio è disposizione abituale al male. Di questa scienza i maestri sono molti nella Chiesa; ma nessuno l’ha illuminata di più viva luce, di quel, che abbia fatto il mio dilettissimo sant’Alfonso. Onde, come mi accadde di dire nella Vita che scrissi di lui, egli e san Tommaso sono come due fari di luce della Chiesa cattolica; san Tommaso nella dommatica, sant’Alfonso nella morale. L’altro modo di considerare la morale cristiana consiste nello studiarne la parte positiva, e per questo rispetto essa potrebbe chiamarsi la scienza del bene, o piuttosto la scienza delle virtù; perciocché virtù sia abituale propensione dell’animo al bene. Or anche cotesta scienza non è mancata nella Chiesa del Signore, benché sia più facile trovarla, sparsa qua e là negli scritti dei Padri e dei Teologi, anzi che unita in un solo libro; come è avvenuto, dal secolo XIII in poi, di quella che ho chiamata scienza dei vizj. Se alcuno ce la desse nei nostri tempi ringiovanita e accomodata alle presenti condizioni della vita, certo, farebbe un gran bene. Io non ho voluto, e non avrei potuto elevarmi tant’alto. Tratto sì in questo mio libro delle virtù cristiane; ma l’intendimento mio non è strettamente scientifico. Mi sono sforzato piuttosto di considerare un po’ addentro le principali virtù cristiane, di spiegare ciò che veramente sono, e specialmente di mostrare l’ineffabile bellezza loro, e le armonie soavissime, che corrono tra esse e quanto ci ha di luminoso, di grande e di nobile in tutti gli uomini, splendenti come sono, dell’immagine di Dio. Per tal guisa i nobili sentimenti d’un animo, scevro di passioni e considerato naturalmente, e quelli più nobili e santi dell’animo medesimo, elevato al soprannaturale, riescono per me quasi due corde d’una medesima lira, le quali suonano all’unisono, benchè il suono che manda la seconda sia incommensurabilmente più soave e più vibrato dell’altro. Queste considerazioni intorno alle virtù cristiane le ho scritte non per effetto di molto studio, ché la mia vita pastorale e l’ età non me lo avrebbero consentito, ma, secondo che me le hanno dettate dentro il cuore e la mente. Talvolta mi sono giovato delle Scritture e dei Padri e teologi; ed è stato sempre che la memoria me lo ha suggerito. Infine, ho pure spesso addotte le testimonianze di Dante, per due ragioni. In prima io non conosco altri, che abbia, meglio del grande Alighieri, effigiate e poetizzate le sovrumane bellezze del Cristianesimo; e la bellezza, a ben giudicarne, è quasi un fermaglio d’oro, che unisce la verità alla bontà; e fa risplender l’una e l’altra. Ancora, il nome di Dante oggi è caro a tutti, e presso taluni, che di autorità religiosa non vogliono più saperne, l’autorità di lui resta tuttora invulnerata, quasi come una dolce ricordanza dei tempi andati, e come un testimonio di quel che valga tuttora la bellezza letteraria presso l’universo cristiano. Il lettore vedrà da sé l’ordine, onde ho trattato delle principali virtù cristiane; e, se taluna non si trova menzionata in modo particolare, egli è perché, o rassomiglia molto alle altre, o nelle altre è compresa. Infine ei s’avverrà in un Appendice intorno al godere e alla felicità umana, che è un Discorso da me scritto parecchi anni indietro, e che mi pare abbia diverse attinenze col resto del libro, e forse in qualche maniera lo completi. A me non rimane ora dunque che di conchiudere questa mia Introduzione, esprimendo il desiderio di mettere ad effetto, in questo scorcio della mia vita, con fervente amore, le cose che il Signore mi ha fatto scrivere: “Oh! volesse Iddio che nella via del bene non mi addormentassi affatto io, che tanti esempj ho veduto, e sì spesso, di anime fervorose!”

Capua 20 Decembre 1896.

LE VIRTÙ CRISTIANE (2)

COSTUMI MODERNI ANTICRISTIANI

COSTUMI MODERNI ANTICRISTIANI

P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

Da: TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

PROPRIETÀ LETTERARIA

Nihil obstat quominus imprimatur Mediolani, die 4 febr. 1926 – Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

PREM. TIP. PONT. ED ARCIV. S. GIUSEPPE – MILANO

LA SANTITÀ DEL RE D’AMORE SOCIALMENTE OLTRAGGIATA

1. – Modestia e Moralità

Il profeta Isaia, indirizzando ai Pastori negligenti le minacce del Signore, li chiama, nel suo linguaggio ardito, dei cani muti che non sanno abbaiare (Is. LVI, 19). Guai infatti alla sentinella che non dà l’allarme, e il cui silenzio porta alla rovina coloro che il cielo le ha affidati! È dovere gravissimo e urgente, quello di denunziare il pericolo. – Ora, sembra evidente che una delle epidemie morali tremende, se non la più tremenda, in forza del suo carattere di provocazione pubblica e contagiosa, sia l’assenza di pudore che manifesta oggi la società. Ma per stigmatizzare i termini di questa passione scatenata, bisogna usare nello stesso tempo una suprema delicatezza, una chiarezza persuasiva. Non bisogna ometter nulla, ma neanche dir niente che possa offendere le coscienze cieche ed innocenti, che tuttavia l’aspetto esteriore accusa. Numerose infatti sono quelle — avremo l’occasione di dirlo — per le quali il candore eccessivo non permette di comprendere il perché delle severe prescrizioni della Chiesa; eppure la loro disobbedienza le conduce ad un abisso. L’affare della moda, checché se ne dica, implica una seria questione di coscienza, poiché, dopo il peccato originale, una relazione molto intima esiste fra il vestiario e la purità. Il pudore, che obbliga a coprirsi modestamente, è una virtù tanto delicata quanto il candore dei gigli… tanto sensibile quanto la limpidezza «d’uno specchio, cui un leggero soffio offusca. Che la natura in se stessa sia buona, che possa esercitare î suoi diritti, tutto ciò sarebbe stato vero difatti senza il peccato originale. Che si usi un simile linguaggio nei paesi non per anco illuminati dalla fulgida bellezza del Vangelo e del Cristianesimo può, a rigore, concepirsi; ma che sì senta proclamar questo, nel nostro mondo, è inammissibile. Il Signore Gesù ha permesso che, per le circostanze eccezionali del mio ministero, nei centri di vita intensa, potessi convincermi della gravità di tale questione, della sua importanza per il Regno sociale del Cuore di Gesù. Oh, come vorrei comunicare tutta la convinzione dell’anima mia, a quelli e soprattutto a quelle che leggeranno queste pagine! Vorrei dir loro tutto ciò, ma con il grande, l’immenso rispetto alla squisita delicatezza che avrei per mia madre, se mi trovassi nella dura necessità di farle una lezione indispensabile, un doloroso e pesante richiamo. Possano esse essere accettate con una docilità ed una sommissione dolcemente illuminate e dirette dalla grazia. – Più che mai vorrei aver la soavità di Gesù, per dire tutto quel che debbo dire in suo nome, a delle anime belle, trascinate dalla vertigine d’un mondo seduttore. Quando il sole cade dietro le montagne, sembra che porti con sé la bellezza delle cose, l’armonia delle linee e dei colori. I più bei quadri della natura, i sommi, come i minimi capolavori della creazione, si cancellano, ingolfati in un impenetrabile abisso di tenebre.  – V’è un Sole che non si contenta di render sensibile al nostro sguardo la beltà intrinseca delle cose, ma che è esso stesso! la sorgente di ogni bellezza morale e spirituale: questo Sole è Gesù. Chiunque non gravita attorno alla sua Legge ed al suo Cuore, non può percepire le sublimi altezze d’un’anima cristiana, la sua nobiltà, la dignità sua, i secreti tesori di uno splendore intimo che rapisce gli Angeli; e vive allora necessariamente nelle tenebre. Nell’ordine della natura, vi sono le stelle che di notte brillano di luce propria, come per vendicarsi di essere state eclissate dallo splendore del sole. Ma nell’ordine morale, le stelle, voglio dire le anime che possono esser luminose e belle per se stesse, senza Gesù Cristo; radiose fuori di Lui, caste e nobili, disconoscendolo, di queste stelle, dico, non ne possono esistere. Noi potremmo, parlando di bellezze morali, distinguere due categorie: una, fatta di quei fiori il cui succo avvelenato dal peccato, nel Paradiso terrestre, è stato come guarito sul Calvario, dal Sangue del Cristo; l’altra fatta di fiori, per così dire, creati dalla Legge Evangelica, nati nel Cuore di Gesù, fiori squisiti dell’umiltà, e soprattutto della castità, della purezza e della modestia. – Il miracolo d’amore della Risurrezione fu coronato da un altro miracolo, unico nella storia, quello di una verginità feconda. Sembra che Dio abbia voluto inaugurare l’èra cristiana in un’atmosfera fino allora sconosciuta, quella della purezza. Da allora, la castità personificata e incarnata, rimarrà il prototipo della bellezza morale. Essa è, nel suo splendore, una creazione, una sublimità divina e inconcepibile: Maria Immacolata. Il naturalismo fu il primo serpente schiacciato dal suo piede verginale. Lo splendore immacolato della Regina dell’amore, non è che il riflesso della santità del Re, suo figlio; ora, chiunque ama Gesù e l’adora, deve anche rassomigliare a Maria: il suo spirito, il suo cuore, come la sua carne, devono tendere a raggiungere la verginale purezza di Lei. Soltanto i cuori puri vedranno Dio e riceveranno Gesù dalle mani della Vergine Maria. – Ecco la dottrina, il principio cristiano. Ma quando consideriamo la società, noi constatiamo che siamo ritornati al paganesimo immondo della antica Roma e di Atene. – L’affermazione non è ardita né personale: ma si appoggia su testimonianze evidenti; si basa su fatti innegabili. – Questo ritorno ad un passato che non aveva conosciuto Gesù, dopo venti secoli di Cristianesimo, non è tuttavia un fenomeno anormale, ma una logica conseguenza della « scristianizzazione ». Le tenebre, le bruttezze morali ci avviluppano come una fitta nebbia, perché la famiglia e la società allontanano da sé il Sole Divino che feconda e conserva ogni bellezza morale; quella del fanciullo, come quella della madre. V’è peraltro qualche cosa di strano e di allarmante, nella evoluzione nefasta del costume e delle mode: è la larga parte che vi occupa, da qualche tempo, l’ambiente cristiano, il mondo cattolico. Sì: e tutta l’amarezza delle nostre riflessioni sorge da questa dolorosa constatazione: con grande e felice sorpresa dei rilasciati che ci spiano e ci criticano, un certo numero di famiglie che credono, pregano e hanno l’etichetta di Cattolici, sono, da qualche tempo, tocche e contaminate da questo naturalismo degradante ed estremamente pernicioso. – Si è sempre visto, in ogni tempo, lavorare il male alla sua opera di seduzione: ma i suoi operai naturali non erano, fin qui, che gli amici d’un mondo basso e volgare, la cui influenza era mediocre. Vi sono state in ogni tempo delle mostre destinate all’ufficio di diffondere l’immoralità, di far la « réclame » alle novità perniciose (con le quali si riesce spesso a far fortuna). L’inferno ebbe, ed avrà sempre, i suoi agenti di perdizione: lasciamoli passare, ed abbassiamo gli occhi, con la pietà nell’anima. Questo male, troppo comune, ahimè, noi lo sorvoliamo, per fermare lo sguardo sull’evidente rilasciamento esteriore dell’ambiente sinceramente cristiano. Non vogliamo analizzare la vita interiore, la coscienza intima del Cristiano; ma condannare una pubblica manifestazione di collettiva spudoratezza; ma elevarci contro una licenziosità di abitudini, di costumi, di mode, il cui credito è dovuto alla malaugurata debolezza delle famiglie cristiane. – Siamo ancora a tempo ad arginare. questa corrente di fango, prima che essa abbia invaso tutti i salotti ed avvelenate tutte le manifestazioni della vita sociale moderna. Non è veramente doloroso veder vestite come persone frivole la Signora X… e le sue figliole? Eppure esse si comunicano spesso e fanno il loro ritiro annuale! eppure sono delle eccellenti persone… Illuminale Tu, Gesù! Non è da meravigliare che un’altra madre cristiana abbia condotto le sue figliole ad una rappresentazione teatrale scabrosa, ove siano scene disgustose per la loro cruda realtà, scandalose per la loro indecenza? Ne son rimaste forse sorprese e dispiacenti? No, perché avevan già letta la produzione disonesta! E domani, nonostante quel po’ di scandalo, nonostante l’errore della loro presenza al cattivo spettacolo, esse probabilmente andranno alla Comunione… Forma Tu stesso la loro coscienza, Gesù!

Non è forse cristianamente inesplicabile veder su quella spiaggia mondana, adagiate nei liberi atteggiamenti dei bagni di sole, le signorine tali e tali? La loro conversazione è molto animata. Le frasi vive e leggere come delle palle di tennis, si scambiano col gruppo dei giovanotti che le circondano. E le loro toilettes, che sarebbero al massimo permesse sott’acqua, appartengono tuttavia ad un pubblico che si chiama rispettabile. La mattina quasi tutte erano andate in Chiesa, ed hanno protestato il loro amore a Gesù-Ostia. E se si fosse presentato ora là, questo Gesù, Dio di santità? … Novelle Eve colpevoli, come sarebbero fuggite vergognose e confuse, per sottrarsi allo sguardo divino che condanna ogni impudicizia…

II. – Mentalità moderna – Sue cause

Che pensare d’un’aberrazione talmente inqualificabile? Non è forse un segno dei tempi?  La fiaccola del male entra nelle case dei buoni; e ciò comunemente; qui, là, dovunque… Gesù ne ha il cuore ferito. La Chiesa geme e protesta invano! Per quel certo mondo, le tavole della Legge giacciono in pezzi, e non è davvero la Chiesa che le ha spezzate,  come Mosè… – « Ci vorrebbero, scrive un polemista cristiano – molta più  unità e logica pagana e mondana. » È vero re perché noi non abbiamo nell’insieme quella coesione e questo modo di ragionare profondo, dobbiamo assistere ad una  resurrezione della Roma pagana. Ma essa non consiste tanto nelle diverse manifestazioni dell’arte, pittura, scultura, ecc., quanto nella vita sociale: e questo è peggio. Niente da meravigliare, certo che questa rinascita furiosa del paganesimo, si ripeta in differenti epoche, come il cratere di un vulcano infernale che sì riapra; ma è assai preoccupante constatare che i suoi gas, mortalmente asfissianti, abbiano penetrato fino alle porte chiuse dei focolari cristiani. Qual è dunque la spiegazione plausibile di questa ibrida mescolanza di pietà e di vita sociale frivola; di buona volontà intima, e di scandalo esteriore, di comunioni frequenti e di costumi licenziosi? –  Per rispondere, torno ad un’affermazione del capitolo precedente, che qualcuno può aver trovato strana. Il Giansenismo disseccò l’amore di Dio nei cuori e soppresse, nel focolare domestico, l’impero di Gesù. Bandì il Re d’Amore e lo sostituì con un Cristo severo, con un Dio terribile, schiacciante, tonante come Giove. Per molto tempo, un certo nucleo di Cattolici ha vissuto di Giansenismo. Questa camicia di forza doveva cadere e cadde finalmente. Noi assistiamo da qualche tempo agli eccessi della libertà, alla sfrenata licenza di una società, che vuole inconsapevolmente rivalersi d’aver vissuto troppo lungamente sotto la pressione d’un terrore religioso pseudo-cristiano; La menzogna non è mai un elemento di educazione morale. Io dicevo anche che la mancanza d’una carità forte, vigorosa, in quelle famiglie avvelenate dal Giansenismo, aveva provocato una educazione artificiale, formalista, che non poteva durare. Convenzioni religiose. d’un rigorismo assurdo e troppo spinto, educazione senza base, senza vera conoscenza del Vangelo, senza l’Anima e il cuore di questo Gesù evangelico ed eucaristico. Ecco dunque almeno  in parte, la ragione d’essere di queste famiglie, cattoliche di titolo ma pagane di costume, di abiti e di godimenti, nella vita sociale. I cattivi vi sono forse in piccolo numero. ma i deboli, i profondamente ammalati vi abbondano. Noi risentiamo soprattutto delle mancanze di Eucarestie, nel sangue di molte generazioni cristiane, istruite nel Catechismo, ben imparato a memoria ma mai vissuto, nello spirito, per amore.  E poiché il Sangue del Salvatore non corre con sovrabbondanza nelle vene dei nostri Cristiani, perché non s’è fuso col sangue di tante famiglie cattoliche, non c’è oggi in noi, la forza di una energica e coraggiosa reazione. – Lo sappiamo: senza Gesù-Ostia, nessuna vita interiore, nessuna energia morale per la lotta; nessuna castità possibile, né nella carne né nello spirito. Che l’acqua scorra sulle fronti, ma che il Sangue Divino scorra anche nelle vene! La forma religiosa non esiste senza essere animata da un amore ardente. Esso è l’anima della nostra anima, ed è la grande carità che civilizza, non già la superficie, ma il cuore degli individui e delle società. Con la cittadella cattolica così minata, non era difficile farla diventare la preda dei mondani e metterla, dopo qualche sforzo combinato di prudenza e d’audacia, alla stregua del secolo dissoluto. – Non ci manca davvero molto, fra noi, per giungere all’apoteosi di Venere. Essa è l’idolo vivente verso il quale la sommissione è cieca alle sue leggi tanto nelle vie, quanto nella famiglia e nel mondo.  Il gesto rituale alla dea non è ancora compiuto di fatto; ma il culto è già reale. Eravamo ad una funzione di riparazione. In una tribuna di Chiesa che loro era riservata, in considerazione della casta e della condizione sociale che occupavano nelle opere cattoliche della città, io vidi un gruppo di Signore molto raccolte, ma il cui assieme sarebbe stato francamente scorretto anche fuori di Chiesa. Siccome la cerimonia si prolungava, esse si ritirarono per assistere ad un ballo in un albergo, il cui scandalo degli abiti e della danza era quanto mai notorio, ed era stato, per parte della autorità ecclesiastica, il tema obbligato della censura dei quaresimalisti… – Non è questa una penosa disfatta per Gesù e per l’Immacolata, che delle donne cristiane cioè, escano calme e soddisfatte da una festa di riparazione per andare senza indugio, senza apparente rimorso, ancora fragranti dell’odore dell’incenso, a partecipare ad una riunione, dove si sa che il Maestro sarà flagellato? E non è anche un fenomeno morale degno di studio?  Non si può supporre « a priori », che tutte le persone che agiscono così, vogliano volontariamente, consapevolmente il male, e che vogliano accrescerlo con lo scandalo: no. Che non si dica peraltro che il dovere di piacere al marito sia ordinariamente la causa del contegno e dell’atteggiamento frivolo e mondano. Nell’ambiente sinceramente retto di cui parliamo, si potrebbe, la maggior parte delle volte, metter sulle labbra dei mariti quel che mi diceva uno di loro, riguardo a certe conferenze che dovevo fare alle Signore: « Dica loro, Padre mio, dica loro ben chiaramente che i mariti, anche quelli che son poco religiosi, ratificano la legge divina che vuole che le nostre spose fuggano il lusso, la vanità, la spudoratezza. Noi lo vogliamo per interesse di onore umano e sociale, molto più che per interesse economico. Insista, faccia loro questa grande ed urgente carità. Ne conosco qualcuna che ha già compreso… Lei non perderà certo il suo tempo… – Sono rari i mariti che non hanno questa mentalità. L’assenza di una vera e profonda carità nella educazione cattolica, ci ha condotti a questo stato di paganesimo. Si è vigilato con diligenza alla formazione dello spirito, si è stabilita la conoscenza speculativa. Dei grandi principî, ma sì è troppo trascurato di formare il cuore all’amore del Salvatore. Si è considerato come un accidente quel che è una sostanza; sì è mostrato il Vangelo e dettato la Legge, ma non s’è abbastanza diretto il cuore nella via dell’amore, e della confidenza verso il Legislatore di luce e di carità verso l’adorabile persona di Nostro Signore soprattutto nel Santo Sacramento. Senza questo amore senza la sua potenza morale, si possono sapere molte cose senza viverle. La conoscenza della teoria non fa che rendere più colpevoli quelli che non vi si uniformano nella vita pratica. – Bisogna amare Gesù Cristo per osservare pienamente la sua Legge ed il suo Vangelo. Infatti, nella vita sociale, in moltissime circostanze è quasi impossibile resistere alla corrente mondana e frivola, senza la base di un amore serio, intimo, fervente. Bisogna rendersi conto del tempo e delle circostanze, per apprezzare il dono di forza morale che suppone spesso, in una persona del mondo, il fatto di opporsi al disordine della società seducente che lo circonda. Ecco perché in questo caso, più che criticare, compatisco. Rendersi indipendente è spesso senza che ci se ne avveda, un eroismo segreto. Ma questo eroismo non sarà mai se non il frutto di una santa passione d’amore per il Maestro adorabile. Solamente col possesso del suo Cuore, si possono sfidare il mondo ed i suoi sarcasmi: non altrimenti. Guardate i meravigliosi sacrifici di dignità morale cristiana, che la fidanzata ottiene dal fidanzato, quando essa sia una giovanetta veramente pia, consapevole dei propri doveri e della responsabilità cui va incontro nell’avvenire. Guardate reciprocamente, quel che il giovane ottiene da lei, in omaggio alla loro affezione: l’astensione da certe riunioni mondane e dall’avvicinar persone frivole e volgari: un cambiamento di abitudini e di contegno… e così via. Il cuore comanda ed è obbedito. Oh, se il Cuore di Gesù avesse questa Sovranità vittoriosa! L’applicazione di questo metodo, in un ordine molto più elevato, trattandosi d’amor divino, farebbe dei Santi nelle schiere dei più eletti Cristiani. E. nello stesso modo che il Dottor Angelico « ha potuto dire che la pace più autentica e reale, si raggiunge più con la carità che con la giustizia » (Citata da S. S. Pio XI nell’Enciclica Ubi arcano Dei Consilio), così si può affermare che l’insieme della vita cristiana si incoraggia e si vivifica molto più che dalla conoscenza dei diritti di Dio e delle sue Leggi, dalla carità, dall’amore che ci porta verso Colui che ha stabilito questi principî e che ne è il fondamento irremovibile e la indefettibile sorgente. È vero che il meraviglioso sforzo soprannaturale di grazia che è il movimento verso il Cuore di Gesù, trascina a poco a poco le famiglie cristiane in questa via del verace amore, ma la vittoria sulla immensa maggioranza non è ancora compiuta.

III. – Profondità del male

Entriamo adesso in uno studio concreto di questo male di spudoratezza collettiva che diventa sempre più una regola convenuta, e di cui non si arrossisce più, di cui non ci si può neanche meravigliare di non arrossire, senza esporsi a passare per ingenui… o maliziosi od eccentrici. Non perdiamo di vista che il nostro studio riguarda coloro che son ritenuti, e non senza ragione, Cattolici convinti e praticanti. Nell’età d’oro del nostro tempo, il pudore era considerato come un angelo vigilante e venerato; come una vergine di celestiale bellezza, ed era ambito fra le più belle virtù. Poi divenne, con la sventurata evoluzione dei tempi e con l’indifferenza religiosa, una semplice vestale che le famiglie meno cristiane tolleravano con freddezza. Nel periodo di rinascimento pagano in cui viviamo, Venere regna senza rivali… II pudore non è più ai giorni nostri, la vergine cristiana, e neppure la. Degna vestale. La si tratta come una « vecchia zitella » decaduta, antiquata, le cui ridicole esigenti pretese non si adattano più alla nostra epoca di emancipazione, che intende liberare la donna da pregiudizi assurdi e caduchi.  Il vecchio adagio cristiano diceva che la donna deve essere onesta e deve anche mostrarlo. Se ai nostri giorni ella deve esserlo nello stesso modo, non ha però più bisogno di mostrarlo, per essere ricevuta, stimata e ammirata. Il fondo intimo della coscienza è un affare privato, si dice; quanto alla fama esteriore, modesta, pudica, questo non ha nulla che vedere con la coscienza. Che triste aberrazione! Povera morale, tanto lontana dal Vangelo. L’immodestia non è più un peccato: così ha decretato un certo mondo, (e qual mondo!) Essa è snobismo, eleganza, igiene! Così parlava Venere… e la sua corte s’è allargata con grande scapito della virtù. – Questa bruttura ed abiezione morale ostentate, erano prima le caratteristiche di una certa categoria di persone. assai poco rispettabili, ahimè, e che certo, allora, non dettavano legge. Oggi invece esse dettano il contegno nella via, nei ricevimenti, nei teatri, nell’estate e nell’inverno. Costoro hanno, con forbici diabolicamente malefiche, diminuito, tagliato, soppresso, come hanno voluto, dispoticamente, costantemente, determinando le dimensioni e le fantasie della moda. Una parte dell’elemento onorato e cristiano, si piega alle loro pagane novità, e spoglia inconsapevolmente Gesù della sua tunica, di quel Gesù già flagellato dai suoi nemici, per flagellarlo un’altra volta e più crudelmente, con le mani dei suoi stessi amici. – Le frivole lanciano la moda… ma troppo numerose sono le virtuose e le serie che la pagano e l’accreditano dinanzi alla società. I fatti che stanno a mostrare l’inesplicabile accecamento, hanno provocato, a più riprese, gli anàtemi del Papa e dell’Episcopato del mondo intero. In Polonia, come in America, nel Belgio come nella Spagna, in Germania come nella Svizzera, e in Austria, ed in Francia, i Vescovi hanno parlato tanto forte e chiaramente, come l’avevano fatto in Italia; ora, sarebbe insensato credere che tale uniformità di riprovazione non abbia altra base che una fantasia eccitata, o degli scrupoli da disprezzare. Se i nostri Pastori, i Vescovi hanno dovuto imporre regole di modestia, anche alle persone pie, che frequentano la Chiesa e s’accostano alla Comunione, ciò significa che le leggi generali di convenienza. non bastano più! … E queste regole di modestia devono essere applicate anche un po’ largamente, per non creare costantemente dei seri inconvenienti nella casa di Dio… Noi siamo dunque in questa crisi di pudore, in presenza di uno squilibrio morale collettivo. Poiché la legge cristiana obbliga tanto alla modestia esteriore, quanto alla interiore purezza, e la mancanza della prima, aggiunge alla colpabilità, la terribile responsabilità dello scandalo: la provocazione al male. Ecco una testimonianza schiacciante del potere del peccato d’impudicizia. Un giovane di buona famiglia si trova convalescente dopo la grave malattia che lo ha trattenuto, a letto in una clinica, per oltre tre mesi. Quanto prima, dunque, esso potrà ritornare a casa sua. Il medico primario, grande amico della famiglia, ha il diritto, e sente il dovere di fargli una lezione di morale. Come medico, ha un’autorità incontestata, e ne approfitta per parlare chiaramente al giovanotto: « Lei conosce già, per dolorosa esperienza, ove conducano le mondanità pericolose; adesso, si tenga in guardia; prenda delle ferme risoluzioni ». Ascoltate la risposta sfolgorante di verità del povero convalescente: « Dottore, grazie! Ma perché Lei, medico, non può salire in cattedra e dire anche alle signore e alle signorine che si chiamano oneste e che lo sono forse nell’intimo, di esserlo molto, molto di più anche all’esterno? Perché anch’io, senza uscire dall’ambiente rispettabile della mia famiglia e della cerchia delle mie relazioni, io trovo già ad ogni passo, fra quelle che sono, senza dubbio, le migliori, il fuoco che brucia le vene… e che finisce un giorno per irrompere nella foga della passione. Grazie, dottore; ma poiché Lei è Cattolico, parli ai Sacerdoti, dica che non si contentino delle buone intenzioni delle persone virtuose, ma che fustighino e condannino la loro immodestia del vestire e del contegno, inconsapevole, voglio crederlo, ma pericoloso per chi le avvicina o deve viver con loro. Esse forse andranno in paradiso, ma senza pensarci, lanciano noi, talora, nell’abisso ». Tale quale il coscienzioso dottore me lo ha trasmesso, io, predicatore ed apostolo, lo ripeto a quelle che, essendo rette dinanzi a Dio, non sembrano altrettanto di esserlo dinanzi alla società, ed incorrono perciò in tremende responsabilità. – Non dimentichino esse che la modestia è, nello stesso modo che una virtù privata, una inestimabile ed imperiosa virtù sociale. Dobbiamo forse contribuire e possiamo farlo impunemente, alla caduta del nostro fratello? Ora, la immodestia per sé stessa, come ho già detto, è un’eccitazione al male più pericoloso, perché più seducente; e questo non è soltanto vero per le persone pervertite, ma anche, starei per dire, soprattutto per quelli, più numerosi che non si creda, la cui natura, nonostante i loro sforzi, è anemizzata, malaticcia, propensa al male. Tutti portiamo il tesoro della virtù in un vaso prezioso, ma fragilissimo: coloro che affermano il contrario, mentono. Questo vaso, bisogna portarlo e farlo portare con una prudenza e una delicatezza di carità veramente cristiana, perché la carne è debole. Noi viviamo sotto un regime cristiano, nel quale la modestia è un principio stabilito da intima virtù e di dignità sociale esteriore. La società dunque, ha il diritto di reclamare quando, mancando a certi elementari riguardi, si fa mostra di brutture morali che non sono lezioni di onestà e di virtù, soprattutto per la generazione che cresce, che formerà la società di domani. D’altronde, noi sappiamo troppo bene che questo male è una fiamma che divora rapidamente il più bell’edificio morale. – Ricordate l’orribile battaglia dei laghi Masuriani? Migliaia e migliaia di russi, caduti in un’imboscata, perirono nei pantani simulati, affogando nel fango, e divorati dai rettili. Lo spettacolo di quei reggimenti incalzati dalle baionette fino al fondo dell’abisso, annegantisi sotto il peso delle loro stesse armature, dovette esser terribile. Questa stessa battaglia, senza molta resistenza, ahimè, si continua ancora, pur troppo. Il mondo spinge con le sue critiche pungenti, l’elemento rispettabile cristiano, che il rispetto umano travolge. Da tutte le parti, sono le paludi fangose che minacciano d’inghiottire i reggimenti delle giovani generazioni. È tutto un piano strategico, mirabilmente ed accuratamente elaborato da satana, in perfetto accordo con gli uomini del progresso, i grandi luminari e superuomini del secolo. Guardate come sono strette le maglie di queste reti mondane! Guardate come la battaglia pagana continua, coinvolgendo spietatamente nei vortici del rilasciamento. La Chiesa porta ai giorni nostri il grande lutto dei suoi migliori perduti. Studiamo dunque brevemente le insidie ed i pericoli della mondanità moderna.

IV. – La moda

Essa è un’autorità ordinariamente nefasta, arbitraria, molto spesso immorale. I protestanti avevano inventata la papessa Giovanna, un essere di finzione detestabile, una favola mille volte assurda. Io credo di aver scoperto una papessa reale, di una autorità mondiale, infallibile per i suoi adepti e che facendo fronte ai Pontefici ed ai Vescovi, distrugge, con un solo suo decreto, una parte della legislazione cristiana: è la papessa – Moda. Io le riconosco tutta la sua indiscutibile e triste autorità, che sopravvive in grazia a coloro che sono inclini all’imitazione per la propria stessa natura e per un vano rispetto umano. Tuttavia, nonostante quelli che dicono che il parlare contro di esso, sia una perdita di tempo, più di una volta, con la grazia di Gesù, credo di essere riuscito a far distruggere i suoi decreti di ignominia. La moda siede di diritto in due o tre grandi capitali, ma di fatto, percorre il mondo, assoldando le sue vittime per l’inferno, in tutti i paesi. La condizione attuale, indispensabile per ottenere i suoi favori, con il titolo di elegante, è di abbigliarsi appena dell’indispensabile e più ancora… per produrre l’impressione che sì è vestiti, senza esserlo. San Girolamo lo diceva già, quando rimproverava questa licenza alle patrizie convertite: « i vestiti di seta tessuti d’oro coprono i corpi senza vestirli ». lo concepisco l’esistenza della moda ed ammetto che per ragioni di estetica e d’igiene essa cambi e vari i suoi modelli secondo le stagioni, i gusti, i paesi. Comprendo come essa faccia spendere dei milioni, quando essa stessa li divora. Io mi rendo conto delle esigenze del secolo e della raffinatezza che esso ha potuto apportare in tutto. Ma è cosa biasimevole e inaccettabile che la Moda si faccia un veicolo per l’inferno; che sacrifichi al culto di Venere, il candore, la modestia, la bellezza morale delle famiglie cristiane. – Signore Gesù, tu ami talmente i fiori di giglio, che ne hai affidato la cura a tua Madre immacolata! – Come ne restano pochi di questi fiori ai giorni nostri! Come è facile il contare le giovinette pie, quelle cioè che santamente pure, rifiutano di bruciare l’incenso della loro delicatezza e della loro dignità di cristiane, davanti alla Dea! Tuttavia, le regine non dovrebbero vestirsi come le schiave… Eppoi, quando le figlie di Maria hanno perduto il valore di questo fiore di neve, di questa beltà caratteristica della Madre loro, di questo celestiale riflesso di candore, chi potrebbe renderle mai più rassomiglianti agli Angeli? Ahimè! se in una festa data da gente scelta e cristiana si presentassero due regine: Maria Immacolata e… Venere, io credo pur troppo che la Vergine Purissima non potrebbe riconoscere le sue figliole… « Regina dei gigli, Santissima Madre, oh! fa vedere a quelle che ti proclamano il loro amore, che non te lo confermano mentre sempre con le loro azioni, fa vedere che v’è una virtù tanto cara al tuo Cuore che non sarà mai abbastanza praticata: la modestia « Conserva il loro candore e la loro purezza ». La moda comanda con tale audacia « le si obbedisce  con tale sottomissione che il conflitto fra i diritti di Dio e quelli che essa si arroga, giunge finanche ai piedi dell’altare. – Molti giornali si occupano di questo, il che prova che molte donne pie, pur senza essere cattive, sono spesso incoscienti. Ad  X… si parla molto, in società, d’un incidente avvenuto nella Chiesa del G. Il giorno della festa di S. I. il Cardinale B. celebrava in quella Chiesa una Messa solenne alla quale molte nobili signore erano venute pe ricevere la S. Comunione dalla mano del Porporato. Ma esse avevano dei vestiti piuttosto da teatro che a Chiesa. Al momento di scendere dall’altare, per dare la Comunione, il Cardinale se ne accorse, e rivoltandosi verso l’altare, ripone il ciborio nel Tabernacolo. Poi,   nuovamente rivolo verso il pubblico, cominciò a palare. Che cosa disse? … Quelle signore avranno lungamente nella memoria la sua veemente apostrofe. Quel che egli disse, lo disse in tono tale che esse lasciarono immediatamente la Chiesa, inseguite fino alla porta dalla parola del Cardinale, indignato che delle donne osassero venire ad inginocchiarsi all’altare, con un vestiario da concerto, da teatro o da ballo… E veramente non troviamo eccessiva l’indignazione del Prelato. – Ho detto: autorità nefasta, tirannica, della moda; ed aggiungo, dispotismo. Essa non nasconde più — ed è molto meglio — le sue tendenze pagane e scandalose, essa confessa chiaramente la vera ragione dei vestiti troppo corti, delle stoffe trasparenti. Io mi permetto ancora di stralciare da una rivista elegante e diffusa, sfogliata a caso nel parlatorio di un istituto d’educazione, questo brano suggestivo: « Alcuni ballerini entusiasti hanno organizzato, l’estate passato, dalle undici a mezzogiorno, sulle spiagge di moda, il tango-aperitivo che si ballava in costume! È naturale che le sarte si siano occupate della creazione di abiti da ballo « sensationnels » « deshabillants ». Il tango, che si ride degli anàtemi, continua la sua carriera brillante, ma esige un vestiario appropriato al ritmo lascivo della sua cadenza ». Considerate il cinismo di queste parole! – La pubblicazione citata, è fatta per un ambiente onesto… Notate questo, famiglie cattoliche, e rileggete: il tango si ride degli anatemi… Ora voi sapete benissimo che i Vescovi hanno elevato all’unanimità la loro voce per condannare e proibire il tango, il fox-trott, ecc. Il Santo Padre stesso li ha testé interdetti. Ridetevene, dice il mondo, acclamate la Venere trionfante!… Autorità nefasta che altera i cuori e falsa la coscienza.  – Ascoltate questo strano incidente: Dopo aver assistito ad una Messa solenne in onore della Santissima Vergine, patrona di una confraternita molto in onore nell’aristocrazia della città, una signora e la sua bambina di quattordici anni vanno in un grande negozio di moda. La madre esamina molti modelli e infine ne sceglie uno, ma al momento di provarselo, sente in sé un rimorso molto giusto: quello di scandalizzare la figliuola. Allora, piuttosto che rinunziare al modello, le dice: « Vai in fondo alla sala, figlia mia, e voltati verso il muro » Oh! che una fanciulla non possa vedere sua madre, senza essere turbata, e che la madre lo riconosca senza rimediarvi! Che deviazione inaudita del più profondo senso morale, che, negli umili come nei grandi, è dappertutto una luce di natura! A quale cataclisma morale siamo per arrivare? – Un sintomo di questa allarmante decadenza è, da qualche anno, la profanazione del candore delle ciulle da 7 a 15 anni già vestite con delle acconciature in completo disaccordo con le regole elementari della morale e della modestia. La moda aveva per molto tempo rispettato l’innocenza verginale delle piccole; questo rispetto oggi non c’è più. Eppure, si son viste arrossire di sé stesse, piccole innocenti, in presenza di persone rispettabili cercare istintivamente di coprirsi, e restare confuse di non averne la possibilità materiale. È crudele e disgustoso, certamente, perché l’infanzia è sacra. Ora l’abuso può diventare scandaloso e « guai a colui che scandalizza uno di questi piccoli che sono miei », dice sempre Nostro Signore. –  Il grave peccato non consiste solamente nel fatto, tuttavia tanto condannabile, dei vestiti troppo corti, ma nella perdita del pudore, della delicatezza femminile, per l’abitudine contratta della nudità. Dove saranno, ohimè!, le nostre piccole Agnesi tredicenni, che soffrono il martirio, che versano il loro sangue per conservare il loro fiore verginale? Come le norme fisiche, così quelle della morale si apprendono dalla prima infanzia. Come sono felice di poter dichiarare ai Cattolici che leggeranno queste pagine, che S. S. Benedetto XV si è degnato, non soltanto di benedire, ma di incoraggiare risolutamente la campagna che difende la purezza delle famiglie cristiane, contro le audacie dell’odierno paganesimo. Ecco un estratto dell’autografo pontificio. È ancora la voce di Gesù che difende i suoi piccoli: « Il formidabile torrente di vizi, che inonda la società moderna, riceve un funesto appoggio da questo abuso che è la moda incedente. E questa moda, per la negligenza, o peggio ancora per la vanità colpevole di tante madri di famiglia, si estende malauguratamente alle fanciulle, esponendo ad un gran pericolo il candore della loro innocenza. « Tuttavia, se simili calamità contristano il cuore paterno, siamo confortati d’altra part nel vedere sorgere felici iniziative, il cui scopo è di combattere questa frenesia di licenza nel modo di vestire » (Lettera di S. S. Benedetto XV al R. P. Mathéo). Se qualcuno, poco rispettoso dell’autorità suprema, osa discutere le parole sagge ed opportune del Papa, io gli rispondo con il seguente fatto, che dà una lezione chiara e severa.  Un venerabile curato incontra una fanciulla di tredici o quattordici anni, vestita secondo la moda attuale, senza calze, con una veste estremamente corta e leggera. La fanciulla, accompagnata dalla sua governante, va a fare la sua passeggiata in tale acconciatura. Il Curato è un vecchio amico della famiglia, ed ha anche preparato la piccola alla sua prima Comunione. Egli la ferma infatti, e le dice: « Va a dire a tua madre da parte mia di allungarti il vestito almeno fino al ginocchio ed anche di più, perchè tu non sei più una bimbetta. E le dirai che sono rimasto impressionato di vederti in una acconciatura così poco cristiana.  La fanciulla, che è molto intelligente e molto buona, fa, tutta commossa, l’ambasciata del Curato. Insiste, perché è perfettamente convinta che egli ha ragione: « Ho vergogna di uscire vestita come se andassi al bagno », dice lamentandosi. Ma la madre risponde: « che il Curato s’occupi dei suoi affari in chiesa, io m’occupo dei miei in casa mia ». La risposta viene riferita al Curato dalla fanciulla, dopo la lezione di catechismo. Ma ecco che qualche giorno più tardi la madre, da buona cristiana (!) va a comunicarsi, come era sua abitudine, alla Messa del Curato. Quando questi giunge davanti a lei, per la Comunione, passa appresso… Distrazione?… una seconda volta lo stesso… una terza egualmente… Oh! allora? La Messa è finita, la signora si precipita furente in Sacrestia ed investe violentemente il buon Curato, rimproverandogli il suo sorprendente modo di agire. Ma le parti erano cambiate: « Signora, vogliate pensare ai vostri affari, come è vostro desiderio, in Chiesa io mi occupo dei miei ». – Infatti, se il prete che ha il diritto di assolvere, non ha anche quello di indicare ciò che è contrario alla Legge del Signore, perché andare da lui a confessarsi? Termino con questa lettera che Sua Eminenza il Cardinale Mercier volle indirizzarmi, per riaffermare il suo appello lanciato alle famiglie cristiane per invitarle alla modestia: « Sì, Lei ha ragione: l’andazzo oggi in voga, per cui le madri imprudenti subiscono la tirannia della moda e denudano le loro figliolette, col pretesto dell’eleganza o dell’igiene, è colpevole e giustifica la sua riprovazione. Noi ci uniamo a Lei per supplicare le madri cristiane di ascoltare gli avvertimenti del nostro bene amato Pontefice, Benedetto XV, Vicario di Gesù Cristo, supremo interprete della morale cristiana. Educatori ed educatrici dell’infanzia e della gioventù considerate le vostre responsabilità. « Noi decliniamo la nostra, indicandovi il vostro dovere; voi non vi sottraete alla vostra, rifiutando di obbedirci » (Lettera del 10 gennaio 1921 al R. P. Matéo). – Ascoltate il lamento di Gesù: « Misericordia di me! Abbiate pietà di me e delle vostre anime, voi che vi piegate a tutte le esigenze pericolose della moda e che vi mettono in condizioni tali di provocare il male con condannabili sfrontatezze. « Misericordia di me: Abbiate pietà di me, mamme, spose e figliuole cristiane che io amo tanto. Non offuscate la vostra bellezza morale, facendovi ingannare da un miraggio di vanità mondana. Perché mi flagella, calpestando la mia legge Divina?… »

V. – Gli spettacoli

Roma pagana reclamava il pane… e gli spettacoli del circo. La società pseudo cristiana dei nostri giorni invoca anche essa a gran voce gli spettacoli. Essa non potrebbe farne a meno, ne è febbrilmente assetata. Io non condannerei, certamente, un teatro sano ed idealista, che potrebbe essere, a rigore, una scuola di virtù e di pensieri nobili, ma questo genere di teatro, ancora ricordato dai nostri nonni, non esiste quasi più. Il teatro moderno, invece, non dà che il quadro di passioni smodate e scandalose, e lo dà con una seduzione tentatrice. Con questi filtri diabolici esso abbellisce il peccato. La società moderna vi sì è assuefatta. Chi, oggi, si astiene da una rappresentazione, perché scabrosa e indecente? Una cerchia ben ristretta di Cristiani. Contro tale astensione vi è un rispetto umano molto più potente della delicatezza di coscienza. Far vedere di essersi privati, per scrupolo, da una rappresentazione, significherebbe essere indicati a dito da tutti. Quelli che osano affrontare la critica e che sì permettono di farlo valorosamente, quando se ne presenta l’occasione, sono una minoranza molto piccola. La mentalità attuale, d’altra parte, non permette più la critica sana. Qualche tempo fa si discuteva, in un salotto cristiano, intorno ad una scena veramente scandalosa. Un’artista insolente si era permessa di presentarsi in modo che io non posso dire. Ebbene, il pubblico l’aveva applaudita. Qualche famiglia indignata aveva abbandonato il teatro ed aveva attirato l’attenzione della polizia in proposito. Colui che raccontava il fatto era indignato contro un tale attentato al pudore. Ma di comune accordo gli si fece osservare che la cosa in se stessa non poteva avere nulla di speciale per essere additata alla censura, se nel teatro non vi fossero persone di età matura! Ciò significava dire chiaramente che tali spettacoli potevano essere permessi. Significava dire, in un modo molto farisaico, che la licenza, il peccato di impudicizia, la seduzione, la provocazione non esistono più, quando si sono varcati i venticinque anni! Dopo questa età che cosa se ne fa, l’uomo del sesto  e nono comandamento, e di tutto quello che essi contengono, come la purezza dello spirito, dei desideri, dei pensieri, ecc.? E ad eccezione di una sola persona, tutti in un salotto cristiano, pensavano egualmente e qualcuno portava anche come esempio che in Grecia, ai tempi dei famosi tragici, l’abuso di cui si parlava, era invece diventato un’abitudine. Che modo di pensare veramente cattolico, quello di cercare, dopo venti secoli di Cristianesimo, come scusa alle licenze della nostra epoca, queste licenze maledette ed abbominevoli in uso in Grecia e a Roma! Dopo venti o venticinque anni, è permesso di veder tutto, di sentir tutto… si è confermati nelle grazia!… – Quale bene immenso si potrebbe fare con le ingenti somme, sacrificate dai buoni in tanti spettacoli più che leggeri, frivoli e mondani… Bisogna reagire con coraggio ed ottimismo cristiano. Ma questa reazione deve cominciare dalla classe dirigente, perché il male, come il bene, discende quasi sempre da essa. Nel dire classe dirigente, voglio indicare soprattutto il fior fiore delle famiglie cristiane. Ad esse sta il decidere il gran conflitto morale dei nostri giorni, se il Maestro Gesù dovrà cioè subire ancora per molto tempo l’ignominioso flagello di cui la impudicizia lo rende vittima. « Misericordia di me: abbiate misericordia di me, voi che affollate gli spettacoli, davanti ai quali, secondo voi, tutto è permesso. Cessate di ridervi del sesto comandamento che io v’ho dettato. Fermatevi, figli miei! Oh! guardate alla luce del Tabernacolo; che torrente di fango, di frivolezza, di odiosa immodestia giunge come un insulto, quasi fino ai miei piedi divini! Esso minaccia la fede, i costumi del focolare, l’innocenza dei vostri fanciulli. Perché mi battete calpestando la mia Legge Divina? »

VI. – Divertimenti mondani – Danze

La vera vita sociale, vale a dire lo scambio sincero di relazioni degne, semplici e cortesi fra le famiglie, è un elemento di moralità, di educazione, nello stesso tempo che una barriera che regola, in una vita rettamente onesta, la legittima espansione dei nobili sentimenti di cristiana solidarietà. La vita sociale ben compresa, cristianamente vissuta, intensifica la vita di famiglia, e le impedisce di esser travolta dalla vertigine d’una vita mondana diametralmente opposta. La mondanità, con i suoi incalcolabili pericoli, nasce da una corruzione della vita sociale. Nella cerchia della famiglia e delle relazioni, quando non si trova più l’onesto riposo e la gioia legittima, il teatro, il casino ed il club offrono con successo, i loro frutti proibiti. Ai giorni nostri si vede un eccesso spaventoso di vita mondana a detrimento della vera vita sociale e di famiglia. Ecco perché le riunioni che vengono chiamate di società, sono nella maggior parte dei casi, delle riunioni mondane, ove la frivolezza e strane libertà comandano, procurando malsani divertimenti. Donde vengono questi balli « zoologici », come li chiama uno scrittore molto liberale? No, certo, da salotti distinti ed aristocratici. Le sale da ballo di alcuni casini ed alberghi molto volgari li hanno messi in voga. E come il vento fa penetrare negli atri più eleganti i detriti e le lordure della strada, così essi sono penetrati negli ambienti più distinti: hanno dovuto ben fare il giro di « halls » poco decenti e morali per ottenere il lasciapassare; ma si finisce sempre per concedere qualche cosa alle invenzioni dell’inferno… perché satana è più tenace ad attaccarci, che noi a difenderci. – La sconvenienza di tali balli è così sfacciata e il loro uso s’è così radicato, anche tra le persone rispettabili, che lo stesso Santo Padre ha dovuto protestare energicamente e riprovare con indignazione un tale andazzo. Ecco l’anàtema del. Sovrano: Pontefice: « Noi non deploreremo mai abbastanza l’accecamento di tante donne d’ogni età e di tutte le condizioni: invasate dal desiderio di piacere, esse non veggono fino a che punto l’indecenza del loro vestire turba l’uomo il più onesto ed offende Dio. La maggior parte avrebbero in altri tempi arrossito, come di un fallo molto grave contro la modestia cristiana: ed oggi non è per loro abbastanza l’esibirsi in tal modo nelle pubbliche vie; ma non sì peritano neanche di oltrepassare le soglie delle Chiese, di assistere al Santo Sacrificio della Messa, di accostarsi alla Comunione, portando là, ove si riceve il Celeste Autore della purezza, l’alimento seduttore di vergognose passioni. non parliamo di quelle danze esotiche e barbare, recentemente importate nei circoli mondani, una più indecente dell’altra: non si saprebbe immaginare niente di più adatto a bandire ogni residuo di pudore ». – Bisognava che l’abuso ed i pericoli fossero eccessivamente gravi, perché il Sovrano Pontefice fosse obbligato a precisare l’anàtema contro l’insieme delle mode e dei costumi particolarmente contro queste danze « esotiche e barbare ». Sembra veramente che Roma e l’antica Grecia, sepolte da secoli sotto la polvere dei loro idoli, rialzino la testa, e minaccino, con una rinascenza pagana, il Cristianesimo che aveva condannato inesorabilmente le passioni delle loro deità. Ed ecco che il nuovo Pontefice gloriosamente regnante, S. S. Pio XI, leva anche la sua autorevole voce: « Nessuno ignora come le frontiere del pudore siano state varcate, soprattutto nelle acconciature e nelle danze, dalla frivolezza delle donne e delle fanciulle, i cui abiti lussuosi eccitano l’indignazione dei poveri » (Enciclica: Ubi arcano Dei Consilio). « Le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa », è certo; ma si direbbe che in ogni crisi come quella che subiamo attualmente, l’anima cristiana, vale a dire il fondo cattolico dei popoli, è straziata dalle perfide tenaglie di questo modo, che crocifisse Gesù, e tende a rinnovare costantemente la sua Passione in mezzo a noi. Il peggio di tale sventura, non è il compito dei carnefici ufficiali di questo moderno calvario, ma l’inconcepibile cooperazione, ed il servile consenso dei buoni, degli amici… tolleranti e rilasciati… – Che pensare ad esempio del seguente episodio? Dopo la lettura, nella Chiesa parrocchiale di una spiaggia elegante, degli anàtemi del Papa, e d’un  vigoroso commento del Vescovo, lo zelante Curato dichiara chiaramente che i Cristiani che non si asterranno da quei divertimenti, non potranno ricever la assoluzione. Qualche giorno dopo, una combinazione è trovata, da un gruppo di pie (?!) danzatrici che vogliono, nondimeno, comunicarsi per la festa della Madonna. Si farà un’escursione, la vigilia della solennità, andando un po’ lontano, fino alla città di X… in un’altra diocesi. Là ci si confesserà, sfuggendo così all’anàtema; si tornerà un po’ tardi, per potersi facilmente scusare di mancare alle danze serali, e la mattina… comunione … E dopo la festa, si ricomincerà a ballare, e così… fino alla prossima festa! Non si chiama questo, prendersi giuoco della propria coscienza e dei giudizi di Dio? Non è voler procedere con alla destra l’Immacolata e alla sinistra il serpente del male, in un’alleanza impossibile quanto quella del peccato grave con lo stato di grazia? « Miseremini mei! Abbiate pietà di me, e anche delle anime vostre, voi che prodigate follemente il vostro danaro, la vostra giovinezza, la vostra salute! « Miseremini mei! Pietà di me, delle anime vostre, voi che perseguite i piaceri d’un’ora fuggevole, e vi stordite nella vertigine della passione sfrenata!

« Perché mi colpite, calpestando la mia Legge Divina? »

VII. – Costumi e libertà alla moderna

Che libito fe’ licito in sua legge » (Inf. V, 56 – NdT.)

Ebbi ultimamente occasione di incontrarmi con un uomo di raro talento, reduce da un viaggio di studio nel Giappone. Aveva vissuto lunghi mesi laggiù, studiando ed osservando i costumi. Vi aveva trovato cose notevoli, ma mi esprimeva, nonostante la sua ammirazione per una tale civilizzazione, questo rammarico: « Peccato che quel paese sia ancora tanto profondamente pagano! » E mi enumerava dei fatti e mi spiegava i costumi… Quando ebbe finito, io lo meravigliai dall’applicazione che a mia volta potevo disgraziatamente fare, delle sue critiche, ai costumi parimenti pagani dei grandi centri europei, delle spiagge e delle stazioni mondane, frequentate da un pubblico eletto e creduto cristiano. – Forse che il Giappone è più pagano, e soprattutto più colpevole nel suo paganesimo, delle nostre società convenzionalmente cristiane? Ahimè! Se i paesi del Levante son capaci di progresso, si direbbe che i paesi d’Occidente sono davvero, dal punto di vista del costume cristiano, i paesi del « sole che tramonta ». – Noi non possiamo ripetere in queste pagine, quel che, moltissimi dei! giornali più in vista annunziano in grossi caratteri e raccontano con particolari mostruosi … La leggerezza con la quale pubblicano quei grandi e piccoli scandali di costumi, l’inavvertenza con cui si leggono e ne parla, provano che si tratta di fatti abituali, quotidiani, generali, ai quali non si dà importanza, nella vita morale della società moderna. Ma per non citare che una manifestazione di questo paganesimo, parliamo di quello delle spiagge di moda. – Se qualche anno prima della guerra ci avessero fatto il quadro di una di queste Spiagge, con i relativi bagni di sole, le animate conversazioni sulla sabbia, e le danze « barbare » in maglia, avremmo immediatamente pensato alle terre infami di Roma e di Atene. E tutti avremmo condannato con indignazione tali costumi. In pochi anni appena, i tempi sono cambiati; e lo spavento annienta, pensando a questa giovane generazione formata nella frivolezza, e in conseguenza capace di produrre, quanto prima, frutti di sventura morale. – Convenite che se vi è una misura di dignità, e delle forme di convenienza e di virtù, per il contegno e l’acconciatura della donna, nelle vie o nei salotti, esse sono da applicarsi soprattutto alla spiaggia, e per una delicatezza che dovrebbe essere elementare, sembra che siano più necessarie sulla sabbia che altrove. Il pudore, è esso una virtù cristiana, o una semplice convenzione sociale: come quella di salutare con la mano destra, o di vestirsi di nero quando si è in lutto? Convenzione che si può dunque abolire o cambiare col tempo o per il capriccio di una società?.… Non è più adunque un immutabile principio di evangelica virtù, che la donna cristiana debba essere pura e che debba anche apparir tale, sempre e dovunque. Ma allora, come chiamare questa libertà che denuda e fa il gioco della più volgare immodestia, sotto il pretesto della moda o dell’igiene? Da quando in qua, la delicatezza femminile cristiana, è da considerarsi come una esagerazione di spregevole bigottismo, della quale, si possa disimpegnarsi e prendersi gioco? Il paganesimo non ha il diritto di rinascere, e la convenzione. e la morte non han diritto che al sepolcro! – Aspettando il Conte di… nella splendida sala della sua dimora, io guardavo le incisioni di una rivista reputata seria: ed ecco che trovo nel numero di agosto, una, due, tre vedute di una spiaggia mondana molto frequentata. Che indecenza di costumi! Che vergognosa licenziosità! Si leggeva, sotto quelle fotografe: « Scene deliziose della spiaggia di X …… – Bagni di sole e di « flirt ». « Un istante di riposo dopo il tango in maglia ». Prove pratiche che i vecchi pregiudizi scompaiono! « Pietà, Gesù!… » Leggo qualche rigo della cronaca mondana e trovo, fra le altre prove di audacia anti-cristiana, questo: « Quando fa molto caldo, si torna al bagno per la seconda o terza volta, la sera, sul tardi, quando le ombre del crepuscolo avvolgono già la spiaggia. Inutile dire che i giovani soprattutto aspettano con impazienza le ombre per godere d’una legittima libertà, che nessuno, ai giorni nostri, oserebbe criticare. Qualche anno ſa ci si sarebbe meravigliati delle cose che s’impongono all’epoca nostra, e che fanno il loro cammino come frutto d’una civilizzazione più raffinata. – Questa promiscuità senza scrupoli, é una felice innovazione che attira un mondo elegante alla spiaggia di K.…., come lo provano d’altronde le istantanee che riproduciamo più su ». Ancora una volta, pesate le parole insultanti e il cinismo delle affermazioni scandalose. – Ma il Conte entra: gli manifesto il mio stupore di vedere in una rivista che gode credito di onestà, delle fotografie di persone i cui atteggiamenti rendono certamente la loro moralità assai dubbia. Ed egli di rimando: « Oh, non lo dica, Padre mio; queste sono fotografie d’una società distintissima ed elegante. Ecco in quest’altro numero le mie tre figlie, mentre prendono il loro bagno di sole. Quei giovani che lei vede presso di loro, sono il fiore della nostra società » Pietà, Gesù! Il suo Cuore adorabile avrà trovato, io spero, una riparazione nell’angoscia, nello stringimento di cuore che provai sentendo un Cristiano (!) in così perfetto accordo col cinico cronista, vedendo un padre tanto cieco e noncurante della bellezza morale delle proprie figlie e delle insidie mondane tese alla loro virtù. Le spiagge mondane son luoghi malefici che hanno pervertito tanto le coscienze, quanto i cattivi spettacoli. Esse sono spesso il teatro sconveniente in cui gli attori sono proprio gli stessi Cristiani. Leggete questa osservazione d’un giornalista, tanto intelligente quanto coscienzioso: « Ero, qualche giorno fa, 1n una delle più eleganti stazioni balneari. Vidi passare a centinaia, donne giovani e adolescenti. Quante, fra loro, erano appena uscite da istituti di educazione tra i più rispettati del paese? Quasi tutte m’hanno fatto arrossire: molte m’avrebbero fatto piangere… » Così constata e parla un giornalista. Ma è anche il Vicario di Cristo che denunzia, costernato, questa disfatta morale: « In molti luoghi », dice S. S. Pio XI, « non si trovano più costumi degni di un Cristiano, a tal punto che non solamente la società umana non progredisce verso questo progresso universale di cui ci si glorifica abitualmente, ma sembra addirittura ricondurci alla barbarie » (Enciclica citata). « Miseremini mei! » Abbiate pietà. di me, e delle anime vostre, voi che vivete inebriati dai rischioso piacer d’una malsana sensualità! « Miseremini mei! » Abbiate pietà di me e anche delle anime vostre, voi che vivete la vita spensieratamente folle dei circoli, del salotto e delle spiagge mondane ». « Perché  mi batti, calpestando la mia Legge divina? ». Pietà del nostro Re! Non castigate come uno schiavo, Colui che è il nostro Dio!

VIII. – Rimedi

E, per chiudere questo capitolo, tanto penoso a scriversi, eppure tanto necessario per essere letto e meditato, noi faremo, in forma di corollari, alcune flessioni importanti. La prima sarà pet scusare in parte, un gran numero di questi colpevoli. Come spiegarsi infatti, la resistenza d’un nucleo tanto vasto di Cristiani alle prescrizioni della Chiesa, relative alla immodestia delle mode e ai divertimenti disonesti? La donna cristiana, in generale, tanto casta e pura, non vede e non può vedere quel che non comprende. Essa ha gli occhi limpidi e giudica con questa limpidezza il cuore e lo sguardo altrui. – L’innocenza è una celestiale beltà; ma essa è un grave rischio senza la docilità. La disobbedienza alle severe leggi della modestia, nasce dunque dal fatto che la donna e la giovanetta non comprendono il perché di tal severità, e la giudicano una « pia esagerazione ». Esse cedono alla vanità, al rispetto umano; fanno come le altre, forse con qualche piccolo rimorso, ma spesso senza la minima malizia. Questo è evidente. Ma non è meno evidente che il male cagionato da questa infantile incoscienza, da questa mancanza di sommissione alla Chiesa, è immenso e positivo, intorno ad esse e loro malgrado. Per discrezione, è impossibile dimostrarlo loro; ché si può entrare in certi particolari che offenderebbero la loro delicatezza. Ma occorre affermar loro decisamente, in nome di un’autorità divina, che esse debbono obbedire in coscienza ed integralmente. Io posseggo la copia di una lettera curiosissima e molto interessante. È firmata da una persona conosciuta ed è scritta da una giovinetta dall’anima molto onesta e retta: « lo sono giovane, ho venti anni; sono molto gaia ed amo pazzamente la moda ed i balli. Ho sempre considerato fino a questo momento le condanne lanciate contro i balli moderni e le mode attuali, come invettive esagerate e ridicole di gente bacchettona, di vecchie zitellone e di persone maliziose. Avendo sentito commentare la pastorale dell’Arcivescovo, sull’immoralità dei nostri odierni divertimenti, ho voluto leggerla, per curiosità. Questo le proverà che io non sono una cattolica praticante; non ho ancora fatto la prima Comunione. Ho dunque letto la Pastorale. Mi pareva molto strano che un prelato reputato così saggio e santo, potesse condannare severamente quel che ci diverte tanto comunemente. Ebbene, tutto quel che afferma questa Pastorale, è profondamente vero. Le dirò come ne sia stata pienamente convinta, in modo semplice e assolutamente inatteso. « Ero in viaggio: sentendomi poco bene, andai nel corridoio e là, in un vicino compartimento di lusso, sentii la conversazione di un gruppo di giovani della nostra società. Essi si scambiavano le loro riflessioni e le loro impressioni sopra i nostri balli, le nostre acconciature vaporose, le nostre mode poco modeste. Ho ascoltato sì, coi miei stessi orecchi, quel che non avrei mai creduto, se me lo avessero raccontato: in che modo, cioè, essi interpretavano e giudicavano maliziosamente le nostre maniere, i nostri atteggiamenti, le nostre innocenti famigliarità, la nostra libertà. Parlavano e ridevano forte, designando e nominando di quando in quando l’una o l’altra delle mie amiche. Con mio stupore, sentii nominare e giudicare ed accusare anche me, mentre la coscienza non mi aveva mai nulla rimproverato. « Quel viaggio decise del mio avvenire. Non soltanto non ballerò più e mi terrò discosta da una società di cui là, in quel vagone, era raccolto il fior fiore… ma da oggi decido d’istruirmi nella dottrina della Chiesa che veglia tanto amorosamente sul bene spirituale e l’onorabilità dei figli suoi. Sì, io mi avvicinerò ad essa; e diventerò la sua figlia sommessa e riconoscente per sempre. Ho compreso a che cosa portano le leggerezze; ho sentito cosa si poteva pensare di noi, ed eccomi convinta. Ah, se potessi mettere in guardia altre fanciulle imprudenti, candide, spensierate e incredule come me! » – Insistiamo sulla risoluzione finale: « Diventerò una figlia sottomessa e riconoscente alla Chiesa ». Ecco il solo rimedio, poiché la saggezza e l’amore della nostra Santa e dolce Madre, la Chiesa, fanno della sua direzione, una regola sicura e indefettibile di onore, di pace, di salute. Se la Chiesa, ed essa sola, ha il potere di dar l’assoluzione, essa sola in conseguenza è giudice nella determinazione di quel che è immorale e pericoloso. – Ah! se essa potesse, rompendo il suggello del segreto sacerdotale, divulgare le abominevoli conseguenze quotidiane prodotte dalla licenza sempre crescente! Se i Sacerdoti potessero dire tutto, come confonderebbero i più incuranti, i più increduli, i più ingenui di questa questione estremamente grave e delicata dei costumi e delle mode anticristiane. « Io vi faccio i complimenti per la vostra sincerità apostolica » mi diceva il dottore di una grande clinica, « ma se io dovessi giudicare, io direi tre volte di più, senza violare il segreto professionale ». – Crediamolo: coloro che gridano contro la malizia, quando noi tocchiamo questa questione, sono ordinariamente i più grandi, i più raffinati maliziosi!… Essi vogliono godere con disonestà a detrimento delle anime candide, in cui cercano provocare la rivolta contro l’autorità, a loro profitto. Ipocriti! Si scandalizzano essi, gli scandalosi, della nostra indignazione e perché noi vogliamo prevenire lo scandalo di cui essi godono e approfittano!… Ecco sempre coloro che accusano la Casta Susanna… per vendicarsene. – Un Cardinale Arcivescovo, cosciente dei suoi doveri e delle sue responsabilità, parlava molto chiaramente di questa questione in una recente ordinanza. Un giornale poco degno, nonostante, o forse a cagione della sua grande popolarità, osò rispondere,, domandando in tono ironico, come mai il Cardinale poteva essere al corrente degli abusi e dei misfatti condannati. In verità bisogna essere o molto povero di spirito o disonesto più che altro per fare questa domanda. Come mai noi siamo al corrente degli abusi scandalosi, se viviamo lontani dagli scandali? La risposta è semplicissima. Ad ogni istante, i feriti gravi, raccolti sotto l’infuriar delle mitraglie, vengono condotti dai portaferiti, nell’ospedale più vicino al campo di battaglia. Il capo dell’ospedale, un grande chirurgo, dopo lunghe e penose ore di lavoro, esclama sfinito: « Che orribile battaglia! che sanguinoso combattimento ». Un ufficiale gli dice: « che ne sa Lei dottore? Noi veniamo dal campo di battaglia e noi potremmo dirlo, ma lei, come può affermarlo? Ohimè, risponde tranquillamente il chirurgo, io lo so meglio di lei. Lei non ha visto forse che le sue ferite e quelle di coloro che le sono caduti vicino; mentre che centinaia di poveri resti umani sono passati per le mie mani… mutilati dalla mitraglia… alberi sradicati dalla spaventosa tempesta. Per tutto questo, per il fatto di essere sempre occupato e dover pensare a curare orribili ferite, io posso giudicare meglio di lei del furore… dell’uragano, della asprezza della battaglia. È il nostro caso: meglio dei mondani distratti, storditi, troppo abituati alle malsane mondanità, noi siamo in condizione ci comprendere a distanza, dal numero delle vittime curate nelle nostre « ambulanze e cliniche morali » quale è la potenza infausta e mortale dell’immortalità del nostro secolo. Nessuno meglio di noi è in istato di portare un giudizio equo sulla moralità sociale. Noi siamo la riva, dove approdano tanti poveri malati morali, tanti naufraghi, di tutte le età e di tutte le condizioni! Si viene a noi, con l’anima straziata, la confessione sincera sulle labbra, e con le lagrime che bruciano il cuore e gli occhi. Ma non si viene a noi mai troppo tardi, lasciatemelo dire! Non che il male deplorato non sia molto grave, ma perché il Cuore di Gesù è l’Onnipotenza di resurrezione morale. – Dopo quello di perdonare, noi abbiamo sempre il dovere di prevenire tanti mali, comunque dispiaccia al mondo, predicandone coraggiosamente i rimedi. Questo nostro dovere è tanto più urgente, quanto più ovunque si soffre, per mancanza di lume soprannaturale. Difatti è questo un segno evidente che si impone in questa crisi di pudore. Il senso morale della modestia e della purezza si affievolisce di giorno in giorno, diventa pressoché nullo. Gli occhi del Cristiano, ed a poco a poco la sua coscienza, s’abituano allo spettacolo del male, fino al punto di non esserne più turbati. Il pericolo è grave: insinuandosi nel cuore, può prenderci tutti. Già molti dei buoni blandamente addormentati dall’abitudine della rilassatezza sociale e degli spettacoli immorali, sono giunti all’indifferenza. Io ho anche trovato delle scuole cattoliche dove si era abituati a vedere i fanciulli con i loro vestiti poco modesti, la cui indecente acconciatura, non urtava più le maestre cristiane… – Se mancano i controllori della virtù, le sentinelle deste e zelanti, noi toccheremo il fondo dell’abisso. Non è vero, per esempio, che alcune mode, che qualche anno fa sarebbero state condannate, soltanto se viste in figurino, sono oggi accettate, generalizzate, a cagione di una tolleranza che degenera in abitudine? Uno dei più sicuri e caratteristici sintomi della lebbra è l’insensibilità degli organi. L’insensibilità morale è un sintomo reale della lebbra morale che ci invade vittoriosamente. « Guai! » ha detto il Signore, « a colui che scandalizza! » Se con piena giustizia, noi abbiamo osservato che la grande maggioranza delle donne e delle giovinette hanno una scusa, quella della loro ignoranza del male, sottolineiamo però molto chiaramente che le loro responsabilità restano gravi, dal momento soprattutto che esse hanno per guidarle, la materna difesa della Chiesa. Esse non potranno, con questo, scusarsi interamente delle loro colpe davanti al Tribunale del Dio di ogni purezza e di ogni giustizia, che ha affidato appunto alla Chiesa la cura delle nostre anime. Quante Cristiane deplorano i deviamenti e la mancanza di sottomissione nei loro mariti? Quante donne si lamentano della libertà di pensiero, della politica pericolosa degli uomini? Quante si indignano, perché i consigli della Chiesa non sono ascoltati nella scelta delle letture, nelle direttive delle idee filosofiche e sociali! Ora, che fanno esse del resto, per provare questa sottomissione alla Santa Chiesa, ch’esse vorrebbero invece tanto trovare nei loro fratelli? Riconoscono esse questa autorità, che i loro mariti misconoscono? Tuttavia, se la Chiesa esagera nel difendere le mode indecenti, perché non esagera nel proibire alcune letture o nel respingere alcune dottrine di filosofia pericolose? Le donne non agiscono in modo diverso dagli uomini. La Chiesa non ha due misure: questi e quelle debbono ubbidire. – Una signora di eleganza tutta moderna, e poco modesta, mi viene a visitare, per confidarmi la sua pena: « Come, come convertire mio marito ? » « Col convertire se stessa, Signora », le rispondo… Comprese? Lo spero; ma perché lamentarsi della colpa altrui e portare inconsideratamente in sé il peccato? – « Perché » mi dice una giovanetta, bianca come un fiocco di neve, ma molto dedita per vanità a seguire tutte le mode, « Perché lei ha predicato così severamente contro le mode attuali? Non veggo dove sia il gran pericolo, né per me, né per gli altri. Voglia compiacersi spiegarmelo più chiaramente, e le prometto, uniformerò la mia linea di condotta alla sua. « Mi promette Lei » le rispondo, « di accettare una sola osservazione molto grave, che io le farò come risposta definitiva ai suoi dubbi e alla sua curiosità? ». « Glielo prometto, padre ». Ascolti: « Se in un’acconciatura poco modesta, con vesti troppo corte ed una scollatura esagerata, lei fa una passeggiata di molte ore, nel centro della città, volendo, per semplice vanità, attirar l’attenzione sulla sua persona, creda pure che, tornando a casa sua, lei avrà probabilmente la responsabilità di qualche peccato grave, forse di molti, che lei avrà fatto commettere… – « Voglio rispettare il suo candore, ma le debbo questa risposta severa; e ora, da fanciulla veramente pia, sia docile, e bandisca ogni frivolezza esteriore ». – Ella ne fu molto colpita, e si mantenne, nonostante il suo ambiente, di una modestia ammirabile. Bisogna far cadere le scaglie, senza aprire gli occhi. Molte Cristiane, come questa giovinetta, peccano per vanità, cedendo alla sconvenienza della moda. La loro responsabilità rimane, a motivo dei reiterati ed imperativi avvertimenti della Chiesa, alla quale Nostro Signore ha detto: « Chi ascolta voi, ascolta me ». E nello stesso modo che i genitori comandano, senza spiegare ai loro figli, le ragioni degli ordini che danno: così la Chiesa, nostra Madre, non è obbligata a dirci il motivo delle sue prescrizioni. Veramente; noi ci domandiamo d’altronde, come una donna o una fanciulla intelligente, e Cristiana possa credere che l’insieme della Chiesa docente, che tutti i Vescovi, assolutamente d’accordo, su questo punto, col Nostro Santo Padre, il Sommo Pontefice, s’ingannino ed esagerino tutti, parlando unanimemente in favore della modestia, condannando decisamente gli abusi e la licenziosità moderna. Non è dunque, se non per la via della sommissione perfetta, che si otterrà una coscienza tranquilla, in tutti gli atti della vita e soprattutto nelle ore angosciose dell’agonia. – Meditate questa fine infinitamente triste d’una donna mondana. Nella sua giovinezza, e durante i lunghi anni della sua vita, la signora *** è stata frivola e leggera, nonostante la sua educazione, e la tradizione della sua famiglia; ed ha sempre sorriso degli anatemi della Chiesa. Ma quando l’età e soprattutto la malattia l’hanno paralizzata, essa fece di necessità virtù, e nel suo letto, sembrò almeno a riparare le sue follie. Non le si è nascosta la gravità del suo male, tanto che s’è spesso confessata, ha avuto qualche scrupolo, ed ha ricevuto gli ultimi Sacramenti. Ma ecco che una sera, ella si ridesta di soprassalto da un sonno leggero, e, spalancando gli occhi con spavento, mostra il Crocifisso a quelli che la circondano e grida: « Guardate! Oh, guardate come il Cristo è coperto del sangue della flagellazione che io gli ho fatto subire con le mie mondanità!… Guardate come questo sangue gronda… e cade sopra di me! Ascoltate come questo Cristo mi maledice!… Le si fa osservare che si è confessata, ma ella insiste: « Egli mi maledice, perché ho scandalizzato le mie figliole le quali, mondane come me, formeranno i loro figli alla scuola del peccato. E queste responsabilità sono mie, e mi schiacciano. Guardate, oh, guardate il sangue di Cristo, flagellato dalle mie follie! Che orrore! Ho tradito l’educazione delle mie figliole, scandalizzandole col cattivo esempio. Guardate, il Cristo mi maledice, e il suo Sangue cade sopra di me… » E si abbatté, estenuata: qualche sospiro ancora… ella era dinanzi al suo Giudice! Vorreste voi agonizzar così?

IX. – Conclusione

Privilegiate del Cristianesimo, non parlate d’esagerazioni. voi sapete di abusi incalcolabili delle grandi città, i delitti sociali; i delitti d’immoralità che amareggiano da ogni i parte il Cuore di Gesù, con un oceano di fiele e di orribile ingratitudine; ma a voi che siete gli amici, incombe di gridare alla riparazione e fare un’ammenda onorevole piena di amore, piuttosto che trovare te nelle proteste dei vostri Vescovi e nei loro insegnamenti, un tema di critica. Babilonia, oggi sembra sventuratamente rinascere dalle sue ceneri più che secolari. E se l’abuso dei sensi pervertiti provocò il diluvio, quale non dovrebb’essere oggi la collera della giustizia vendicatrice che l’indecenza dei costumi moderni eri ammassa sul nostro capo senza un assalto prodigioso d’amore misericordioso e redentore? Questi molteplici Babilonesi, che irritano il Cielo e gli gettano una sfida di sacrilega insolenza, dovrebbero accorare i fedeli: l’ardore e la sincerità della loro fede dovrebbe provocare in essi una recrudescenza d’amore, che a sua volta dovrebbe tradursi in una vita più casta, più austera, più profondamente e socialmente cristiana. – Amici del gran Re oltraggiato e flagellato, non osiamo chiedervi di portare il cilicio ma vi chiediamo, meglio ancora, un cuor contrito, un’anima penitente, una vita sociale purificata dall’infetto paganesimo che ci avvelena. –  Fate della vostra vita, Cattolici praticanti, una grande riparazione d’amore. Madri e spose cristiane, giovanette pie, amate con cuore sincero e con coraggio Maria, il cui titolo più radioso e prezioso è quello d’Immacolata. Non dimenticate che è Lei che vi ha riscattate con la sua vittoria: è per Lei che voi avete questa dolce regalità sociale della Chiesa cristiana, di cui voi godete. Non dimenticate che Gesù ve l’ha voluta come Madre, la sua Vergine Madre! Conservate dunque la santa e legittima fierezza della vostra dignità e della vostra beltà cristiana, difendete questi tesori con una santa collera nell’anima. Rassomigliate per amore e purezza, per candore e modestia, a colei che ha potuto dire a Bernardina: «Io sono l’Immacolata Concezione » Non fate arrossire vostra Madre. Pensate a Lei, nel salotto e sulla spiaggia, nella strada e a teatro. Non velate di lagrime il suo sguardo, che vi segue sempre con materna tenerezza. Non l’obbligate ad allontanarsi con dolore da una figlia poco delicata e poco pudica! Dimostrate a Maria che voi siete le sue figlie di gloria. Ella vi mostrerà che è la Regina potente e fedele. – « O Regina dell’amore, copri con un manto di giglio e di neve, quelle fanciulle che il serpente del mondo cerca strapparti ! »

Il lamento del Cuore di Gesù

« Voi siete tutti puri oggi, ma non lo siete sempre. Tra coloro che seggono alla mia tavola, che mangiano al mio banchetto, che bevono nel mio calice, che sono perciò i miei figli, i miei amici, i miei fratelli, i miei cari discepoli, ve ne sono di quelli che mi straziano e mi trafiggono crudelmente il Cuore. Nell’ascoltarmi, non guardate gli stolti, gli ignoranti che non sanno quel che si fanno, quando bestemmiano il mio Nome. Non sono essi i più colpevoli. Sono quei disgraziati che si dicono Cristiani, ma che m’oltraggiano odiosamente nelle manifestazioni della loro vita nel mondo. Oh! come sono dolorosi i colpi che Io ricevo da questi Cattolici mondani, colpi che riaprono tutte le mie ferite e mettono le mie ossa allo scoperto. Come potrebbero non flagellarmi queste anime cristiane, che di mattina si comunicano, professandomi la loro fedeltà e di sera osano condurmi nel fango?… Dimenticano dunque che io sono la Santità?.. Sì, voi vi ingannate, miei piccoli figlioli, nel proclamare, contro ogni principio della coscienza cristiana, che l’immoralità è autorizzata dall’arte, dall’igiene… scusando così le indecenze della moda, e lo scandalo del teatro moderno. Io ho schiacciato Venere ed il paganesimo, ho maledetto ogni impurità, ho maledetto ogni licenza, tutte le provocazioni al male, Io le maledico sempre. Io sono l’Eterno Presente! – Il mio Cuore è amaramente angosciato da tutti quelli che amo e che discutono la mia Legge, disprezzando i consigli miei e della Chiesa e condannandoli come un’esagerazione di scrupoli troppo puerili. Io piango per i miei figli, i miei amici, che contribuiscono con il loro talento, con il loro denaro, colla loro bellezza, allo sviluppo di questa moda rilasciata, di queste lubricità provocanti, e che sono stimolo alle passioni. Essi adducono come pretesto i loro obblighi sociali, le esigenze moderne!… Che fanno essi della mia Legge Divina con i suoi obblighi e i suoi doveri, assunti verso di me, col battesimo? Non disprezzate i carnefici del Calvario, perché questi infedeli mi hanno eretto un nuovo calvario di cui essi sono i carnefici. Non parlate della vigliaccheria dei soldati che sono di guardia alla prigione; altri mi flagellano più crudelmente ancora e mi sputano sul viso. Non pensate al tradimento di Giuda. Guardate piuttosto tutti questi nuovi Giuda, che abbandonano il loro Maestro ed Amico, per la soddisfazione dei loro sensi. Tutto quel denaro che essi lasciano alla porta dei teatri è per il mio Cuore, come i trenta denari di un continuo tradimento. Il vostro Gesù tradito, il vostro Gesù flagellato e crocifisso; il vostro Gesù col Cuore trafitto dalla impudicizia sociale, vi supplica di aver pietà di Lui. Abbiate pietà di Lui, voi che vivete nel fasto e nel piacere e nelle raffinatezze dei sensi! Abbiate pietà di Me, voi che col vostro nome, colla fortuna, col credito, coll’esempio, reagite contro lo scatenarsi delle passioni. Fate servire alla mia gloria l’influenza che voi esercitate nella società! Respingete come illegittimo, ogni basso e indegno divertimento, ogni abitudine anti-cristiana, ogni trovata del raffinato sensualismo, ogni piacere equivoco e pericoloso. Guardatevi, guardatevi, che la vostra responsabilità un giorno non vi schiacci. Gesù, flagellato dall’impudicizia della società, vi supplica di aver pietà di Lui. – Abbiate pietà di Me, voi i cui salotti non dovrebbero mai tollerare libertà di vestiti, di balli, di linguaggio! Io ho fatto in pezzi gli idoli pagani. Voi che vi accostate alla Comunione, oserete restaurarli? I tempi cambiano — dite voi, Io che sono la Legge ed il Giudice, Io non cambio mai. Gesù flagellato dall’impudicizia della società, vi supplica di aver pietà di Lui. Abbiate pietà di Me, voi madri e spose che Io ho nobilitato! La vostra influenza è grande e spesso decisiva sull’animo dei vostri, per lo spirito che potete far regnare nel vostro focolare. Se vi ho riscattate, era mio intento di fare di voi, col senso più delicato che avete di ogni dovere e di ogni diritto, un centro di luce. Diventereste voi invece una sorgente di scandalo e di tenebre? Conservate; oh! conservate la mia Legge di purezza, con il riflesso della bellezza immacolata della Madre mia, la vostra Regina! Vigilate sulla modestia cristiana dei vostri fanciulli e delle vostre fanciulle. Non desiderate per essi che la splendente e radiosa beltà del candore. Difendete, dal mondo perverso e corruttore, la soglia della vostra dimora. Il Maestro, il solo Maestro in casa vostra sono Io, il vostro Dio tutto amore, il vostro Re-Amico. Non lo dimenticate, lottate con Me, per Me, Io sono lo stesso Gesù, il supremo e giusto Legislatore della vita privata e della vita sociale. – Gesù flagellato dall’impudicizia del mondo, vi supplica di aver pietà di Lui. E. voi, i gaudenti della vita, anime affievolite, così facilmente sedotte dalle sirene del piacere, dalla dea volubile e menzognera, la vanità; anime malaticce, assetate di sensazioni, prese dalle vertigini del mondo, cuori buoni, ma che un facile carattere ed una virtù poco solida, rendono così compiacenti; coscienze troppo facili e sensibili ad ogni mutamento della moda e delle dottrine, arrestatevi nella vostra corsa verso l’abisso. Questo mondo corruttore, che vi attira e vi piace, è il vestibolo dell’inferno; arrestatevi! Il mio Vangelo non vi inganna. La vostra salvaguardia è la mia Legge. La vostra saggezza è la saggezza della Chiesa. Di grazia, arrestatevi! Non calpestate con la vostra vita mondana, la mia Croce sanguinante! Nessuno, fuori di me, vi ama di un amore vero. Io vi tendo, le braccia. Dimentico i vostri traviamenti; amatemi alla vostra volta, di un amore intero e leale! Perché voi entriate nell’intimità del mio Cuore, vi apro la ferita del mio Costato. Entrate, prendetevi tutto per voi, il Cuore di un Dio, ardente di voi! Venite, abbiate pietà di Me! Gesù tradito, Gesù flagellato, Gesù crocifisso, Gesù dal Cuore trafitto, vi supplica di aver pietà di Lui!

LO SCUDO DELLA FEDE (188)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

V. — La Penitenza.

D. Quale posto tiene il sacramento della penitenza nell’economia cristiana?

R. Lo stesso posto che il peccato nella vita. La religione, avendo da fare con l’uomo, non poteva dimenticare il peccatore; non poteva abbandonarlo a se stesso; bisognava trovar ripiego e ingegnarsi per riuscire, per farci riuscire, ad onta delle nostre costanti sconfitte.

D. Come intendi tu il peccato?

R. I Cristiani lo definiscono un’offesa a Dio, o una disubbidienza alla legge di Dio.

D. Si può offendere Dio?

R. È possibile purtroppo, ed è una grande sventura se si bada al fatto; se poi ci si richiama alla mente il nobile privilegio che lo permette: la libertà, è il triste prezzo di una gloria.

D. Offendere Dio!… Io penso al verso di Victor Hugo nel La Conscience: « E nella notte si lanciavano frecce contro le stelle».

R. Se le stelle fossero vive, si offenderebbero del gesto, benché perfettamente tranquille per i suoi effetti. Impotenza non significa irresponsabilità o innocenza.

D. Se non si nuoce?

R. L’Essere a cui non si potrebbe nuocere, a cagione della sua grandezza, è quello che si deve venerare di più, dunque è quello che si offende sommamente, se si tocca la sua gloria.

D. Che cosa fa il peccato alla gloria di Dio?

R. Umilia il pensiero creatore; contraria una volontà di perfezione e d’ordine; nell’armonia dell’opera divina, introduce delle dissonanze e compromette il « regno de’ suoi fini » (KANT).

D. Pochi pensano a queste cose; nessuno vuole queste cose. Si opera come questo e quello; ma chi intende di offendere Dio?

R. Non s’intende di offendere Dio; per lo meno ciò è raro; ma si vuole contentare se stesso a rischio di offendere Dio, ad onta dell’offesa di Dio. Se si potesse fare in modo che Dio non fosse offeso, senza dubbio ciò si farebbe; ma questo vuol dire che si desidera di cambiare il male in bene, piuttosto che guardarsi dal male.

D. Siamo dunque tutti peccatori?

R. «Il più mortale peccato è l’orgogliosa coscienza di essere senza peccato » (CARLYLE).

D. Che cosa chiami tu peccato veniale e peccato mortale?

R. Il peccato mortale è quello che si oppone formalmente a una volontà di Dio, che per questo ci toglie la sua amicizia, in tal modo che il peccatore, recedendo dal suo Dio, volta le spalle al suo ultimo fine in favore d’un bene frivolo. – Il peccato veniale, pur rispettando l’amicizia di Dio e il buon orientamento della vita, devia però un poco dal sentiero del bene.

D. Da che dipende una così gran differenza di natura e di risultati?

R. Può dipendere dalla maggiore o minore gravità della materia, che in un caso si reputa oggetto di una volontà formale del legislatore, e nell’altro no. Può dipendere, in una stessa materia grave, dalla pienezza dall’imperfezione del consenso.

D. L’uomo in stato di peccato grave fa ancora parte della Chiesa?

R. Sì, come un membro morto. Non riceve più il sangue del cuore, che è l’amore divino; non ubbidisce più all’idea direttrice del corpo, che è lo Spirito di Cristo; è privo del calore vitale e della motricità spirituale; non ha più diritto al pane di vita che dovrebbe mantenere in lui la vita che gli manca; è «uno scomunicato dell’interno » (Bossuet), benché circoli ancora nel gruppo e nei sacri edifizi.

D. Che cosa è dunque il sacramento della Penitenza?

R. È quello che è destinato a cancellare i peccati commessi dopo il Battesimo e a rendere al peccatore la grazia del suo Dio.

D. È dunque un Sacramento di purificazione?

R. E di riconciliazione. Sono lì quelle acque di Siloe « che scorrono in silenzio » nelle quali Gesù invita i malati a purificarsi. Ma dopo, o piuttosto per il fatto stesso della purificazione, che ristabilisce la grazia battesimale, l’anima pura si sente in Dio, « chiarezza fusa alla chiarezza » (FRANCESCO JAMMES).

D. La Religione si adagia facilmente col peccato! Essa sì rassegna dunque al peccato?

R. La Religione non si rassegna al peccato; ma si rassegna all’uomo peccatore; è il peccatore che Cristo le ha affidato, affinché con Lui, essa lo salvi.

D. Il peccato dunque non è più una disgrazia?

R. Il peccato è la più grande delle disgrazie; si potrebbe dire che è la sola; ma esso non è irreparabile; dopo di esso non è finito tutto; dopo di esso tutto si può riprendere, tutto si può riparare, tutto può ridiventare puro, tutto si può mostrare più alto che prima, ed è qui che sta il capolavoro.

D. Dunque il cattivo sarà l’oggetto della più apparente bontà?

R. Gesù disse: Io non sono venuto per quei che stanno bene, ma per quei che sono malati.

D. Si possono amare è cattivi?

R. I cattivi hanno bisogno d’amore più degli altri; essi sono in estremo pericolo, ed è l’amore che li rialza.

D. Non vi sono eccezioni? Certi mostri

R. Un mostro è un uomo spaventosamente deviato; l’umanità, in lui, rimane; egli può finalmente disarmare; solo l’amore divino non disarma.

D. Ma il peccatore ha offeso quest’amore.

R. La penitenza cristiana ci obbliga a collocare la nostra fiducia nello stesso amore che abbiamo disconosciuto.

D. Lo sforzo della Penitenza è dunque

R. Di vincere il peccato, di passargli per così dire sul corpo, per riprendere il sentiero.

D. Non è questo un compromesso?

R. Il sole si compromette forse spazzando via il fango?

D. Il sole regna lassù in alto.

R. La Religione non teme il peccato appunto perché essa regna lassù, cioè perché è divina; esso lo maneggia con dita di luce.

D. Che cosa domanda ai peccatori?

R. «Che vengano a subissarsi tra due braccia tese» (O. PÉGUY).

D. Vi sono però delle condizioni?

R. Vi sono delle condizioni, ma che tutte favoriscono il peccatore; gli si procura a un tempo l’onore della giustizia e il benefizio della misericordia. La penitenza è l’amplesso della giustizia e della misericordia.

D. Qual è la parte della giustizia?

R. È lo sforzo. Per la penitenza ci si dà il mezzo di rientrare in possesso di noi come per il lavoro noi riconquistiamo la natura ribelle. Qui e là, è una stessa fatica, che ricompensa una stessa ascensione verso l’innocenza dell’anima e delle cose.

D. E ne segue?…

R. Il possesso rinnovato della grazia, una migliore esperienza di se stesso, una fiducia crescente nel soccorso di Dio  che rialza, e una nobile pace,

D. Certi peccati hanno conseguenze esterne o interne.

R. Dio se le addossa insieme con noi; e nella proporzione di quello che ci è possibile, noi dobbiamo addossarcele insieme con Lui.

D. E le abitudini peccaminose?

R. Quello che prima era responsabilità crescente, a cagione della frequenza dei cattivi voleri, diventa poi scusa. Se un uomo ha colpevolmente avvilito l’anima sua, ma poi si emenda, dopo egli viene trattato come un convalescente che l’amore tratta con riguardo.

D. Non è ciò un invito a mal fare?

R. Tu riporti un’obiezione di Giuliano Apostata.

D. Non importa, non è invero troppo comodo scaricarsi così tutto a tratto delle proprie colpe, forse di tutta una vita di peccato?

R. Preferiresti un’incomodità eterna? Non sta appunto lì quello che si oppone all’inferno? Bisogna ben che tutto finisca; ma ciò non avviene senza che ci siano proposti, e proposti molte volte, dei « comodi » ricominciamenti.

D. Nondimeno certi atti sì dicono irreparabili.

R. La penitenza smentisce colui che disse: « Ciò che si rimette non è mai ben rimesso; ma ciò che si smette è sempre bene smesso » (C. Péguy); essa è in certo modo creatrice; ci rifà un’anima, e ci ricrea un universo, quello di Dio, tutto fatto di bontà e di sapienza, senza quel disordine e quel turbamento in cui il peccato ci aveva immersi.

D. Si può concedere l’amnistia a un colpevole; ma la società non gli restituisce mai la sua intera stima.

R. La società non vede il cuore, ed ha poco cuore. Gesù tracciò la condotta della sua Chiesa facendo sua amica e sua apostola una donna disonorata.

D. Il peccatore deve dunque essere nella gioia?

R. La gioia è per noi un dovere, perché è un omaggio, e significa: Padre, io credo al tuo perdono, credendo al tuo amore.

D. Consigli tu ai penitenti di ricordare sovente i loro peccati?

R. Essi devono ricordare la loro debolezza e la misericordia di Dio, ma non vagliare la loro miseria. Una volta usciti dalla notte, bisogna camminare, e non indugiarsi a contare le cadute fatte nell’ombra.

D. Da che dipende la frequenza delle cadute, ad onta della frequenza dei rialzamenti?

R. A volte dalla fiacchezza dello sforzo che raddrizza; ma specialmente da quella terribile inclinazione naturale che ci rende caro il peccato, e dall’abitudine, che tende a renderlo necessario.

D. Quante volte si perdona?

R. È la domanda di S. Pietro al suo Maestro, e Gesù risponde: « Settantasette volte sette », senza dubbio con un tenero sorriso. Lui che ci lascia nella nostra debolezza, pur rialzandoci dall’antica caduta, tiene conto di questa debolezza e la soccorre; essa dev’essere un mezzo di salute, ed egli non vuole farne una causa di perdizione. Per l’amore che egli ci offre ancora e che possiamo ricuperare, egli intende di valersi, per rialzarci, della nostra potenza di caduta. Non sono certi falsi amori che c’ingannarono? La bilancia risalga, dopo essere sfuggita al suo punto morto!

D. Non vi è nessun limite?

R. Nessuno; l’amore del Padre è tale, che l’infedeltà ostinata del figlio non lo scoraggia mai. I perdoni del Signore sono una moltitudine », dice il salmo. « Quando gli diciamo: Ti ho tradito, egli ci risponde: Va in pace, io ho fiducia in te ».

D. Non vi è dunque mai motivo di disperare?

R. Il disperare è un disconoscere Dio e se stesso. Si fosse pur Caino, si fosse pur Giuda, si è sempre figli di Dio, e si hanno da prendere per sè queste parole del dolce Maestro, che non si rivolgono meno alla sventura colpevole che alla sventura innocente: « Venite a me, voi tutti che soffrite e siete oppressi, e Io vi solleverò ».

D. Perché la Chiesa interviene in un atto così intimo come la penitenza?

R. Noi siamo membri della Chiesa; quando siamo ammalati spiritualmente, la Chiesa è ammalata in uno dei suoi membri: non è forse normale che essa cerchi di guarire se stessa guarendo noi?

D. Io mi meraviglio di questo pensiero che per un peccato isolato la Chiesa sia ammalata.

P. « Non vi sono che malattie generali », dicono i medici; a cagione della solidarietà funzionale, un elemento che si turba è un male del tutto.

D. Il peccato però è un’offesa a Dio.

R. Dio è per mezzo di Cristo il capo o la testa della Chiesa; per mezzo dello Spirito Santo Egli ne è l’anima. Dio, Cristo e Chiesa dunque sono qui tutt’uno, come direbbe Giovanna d’Arco.

D. Il peccato sarebbe dunque un male universale?

R. « Il minimo movimento importa a tutta la natura; il mare intero cambia per una pietra. Così nella grazia. La minima azione, per le sue conseguenze, importa a tutto » (PASCAL).

D. Tuttavia il peccatore sovente è solo.

R. Il peccatore crede di essere solo; ma è in presenza del cielo e della terra, ed egli offende il cielo e la terra, di cui sconcerta le leggi.

D. E ciò, ai tuoi occhi crea un diritto d’intervento in favore della Chiesa?

R. È un diritto, poiché essa è lesa da parte sua, ed è un benefizio perché là dove c’è solidarietà organica, la guarigione, come la malattia, è funzione di questa solidarietà. « Dio non volle assolvere senza la Chiesa, dice Pascal; com’essa ha parte all’offesa, vuole che essa abbia parte al perdono, e l’associa a questo potere, come i re i parlamenti.

D. Come dunque si possono mettere insieme le condizioni della conversione per mezzo della penitenza?

R. Il peccatore si è mostrato colpevole verso se stesso, verso la Chiesa e verso Dio: se egli si deve convertire, ciò non potrà essere se non per un atto spontaneo, per un intervento della Chiesa e per un intervento di Dio. Nessuna medicina opererebbe sopra un membro, se questo membro non reagisse vitalmente per liberarsi dal male. Nessuna medicina parimenti opererebbe, se la solidarietà organica non interessasse tutto il corpo a questo risanamento che guarisce il corpo stesso. Finalmente nessuna medicina agirebbe, e meno ancora, se l’idea direttrice della vita chiamata anima non si facesse artefice della riparazione, come fu agente della fabbricazione, della crescenza e della nutrizione dell’organismo.

D. Quali sono gli atti del penitente che corrispondono alla sua « reazione » necessaria?

R. Sono la contrizione, la confessione e la soddisfazione.

D. Qual è la parte di Dio?

R. Il perdono.

D. E la parte della Chiesa?

R. La Chiesa opera necessariamente per rappresentante, ed è il sacerdote come giudice, come ministro di assoluzione, come determinatore della soddisfazione.

D. Mi vuoi spiegare queste cose, e prima di tutto, che cosa è la contrizione?

R. Etimologicamente, significa uno «spezzamento o stritolamento del cuore » per il rimorso del peccato.

D. Il peccatore può sempre provare un tale spezzamento?

R. Non ci si domanda che il possibile, e l’immagine usata ha per scopo di farci capire che la contrizione cattolica non è una passività, ma un atto. Io spezzo il mio cuore davanti a Dio in onore della sua santità oltraggiata.

D. Senza immagine, che diresti?

R. «La contrizione è un pentimento delle nostre colpe con la volontà della loro distruzione » (S. TOMMASO D’AQUINO).

D. Che cosa è la confessione?

R. È la dichiarazione delle colpe commesse quanto alla loro specie, al loro numero e alle circostanze che ne modificano la natura o la gravità.

D. E la soddisfazione?

R. È la riparazione consentita in favore di Dio oltraggiato e del prossimo che ha potuto essere leso dalle nostre colpe.

D. Qual è la miglior riparazione riguardo a Dio?

R. Oltre a quello che il sacerdote indica, e che di solito è così poca cosa, è il sopportare pazientemente i mali che Dio ci manda.

D. Perché è la miglior riparazione?

R. Perché è la più conforme alla sua volontà e la più opposta alla nostra.

D. E qual è la miglior riparazione riguardo al prossimo?

R. È quella che annulla e compensa il più esattamente e il più delicatamente possibile il torto che gli abbiamo fatto.

D. In che modo ci viene il perdono di Dio?

R. Per l’assoluzione.

D. Bisogna dunque chiederla a Lui?

R. Sì, ma per mezzo della Chiesa, che ci riallaccia a Lui, e per la quale altresì ci viene la sua risposta.

D. Non vi è qui un’usurpazione di coscienza?

R. Ho già detto e ridetto le ragioni di questo intervento; ma devi osservare che nella Chiesa tutti si confessano, compreso il tuo confessore, compreso il Sommo Pontefice. Dunque si tratta qui d’un fatto che oltrepassa l’uomo, il che esclude ogni idea di usurpazione. Non ne hai forse il segno ben chiaro in questo fatto che il confessore, quando ha assolto, domanda al penitente di «pregare per lui »?

D. Ammetto il compito dell’istituzione; ma, nel fatto, ci si domanda di aprire la nostra coscienza a un uomo.

R. Come l’istituzione potrebbe operare altrimenti, e in un modo più favorevole? Preferiresti confessarti a tutta la Chiesa?

D. Non si faceva così una volta?

R. Così si faceva sotto il nome di confessione pubblica, richiesta per certi delitti. Ma vi si rinunziò presto, a cagione di inconvenienti derivanti dalla nostra miseria comune; però il diritto assoluto non è stato abolito; la nostra credenza al giudizio universale lo rammenta, e ciò dovrebbe farci riflettere quando critichiamo la disposizione prudente e misericordiosa che la Chiesa mette in pratica.

D. Quello che urta i nervi è siffatta dichiarazione di uomo a uomo.

R. Ascolta quello che dice in proposito Pascal: « Noi non vogliamo che gli altri c’ingannino; non troviamo giusto che essi vogliano essere stimati da noi più di quel che essi meritano: non è dunque giusto che noi inganniamo loro e che noi vogliamo che essi ci stimino più che non meritiamo… Ecco i sentimenti che nascerebbero da un cuore che fosse pieno di equità e di giustizia. Che dobbiamo dunque dire del nostro, vedendovi una disposizione affatto contraria?… ». La Religione cattolica non obbliga a svelare i propri peccati a tutti indifferentemente; tollera che si rimanga nascosti a tutti gli altri uomini, ma ne eccettua uno solo, al quale essa comanda di svelare il fondo del proprio cuore e di farsi vedere quello che si è. Non vi è che un solo uomo al mondo che essa ordini di disilludere, e lo obbliga a un segreto inviolabile, il quale fa sì che questa conoscenza sia in lui come se non vi fosse. È possibile immaginare qualcosa di più caritatevole e di più dolce? Eppure la corruzione degli uomini è tale che ancora si trova della durezza in questa legge, ed è una delle principali ragioni che fecero ribellare contro la Chiesa una gran parte di Europa ».

D. Non vi sono gravi inconvenienti in una tale pratica?

R. Tutto ha gravi inconvenienti, in una vita esposta all’accidente e alla debolezza. Ma si tratta di valutare il pro e il contro, e i benefizi della confessione son tali, che la sua soppressione sarebbe un immenso impoverimento per la vita religiosa e la vita sociale.

D. Perché la vita sociale?

R. Perché la vita religiosa è necessaria alla vita sociale, come abbiamo spiegato tante volte, e specialmente su questo punto. Nietzsche giunge a dire che la stessa coscienza scientifica è figlia della morale cristiana, e che essa si è «acuita nei confessionali ».

D. Che cosa procura dunque la confessione?

R. Argina la corrente del male opponendogli una diga reale, visibile, e periodica; — essa sforza a raccogliersi e a precisare il proprio caso, poiché lo si deve esporre; così è una luce, per l’anima spesso ottenebrata e accecata nella sua incoscienza; mette a nudo il peccato, lo fa giudicare tanto meglio in quanto te lo senti giudicato da altri, lo spoglia de’ suoi incanti e lo rende alla sua malizia, a volte alla sua ignominia ipocrita; la confessione procura la liberazione per via della dichiarazione; ti rende la disponibilità dell’anima tua; rigenera con lo sforzo le energie virtuose e spezza il determinismo perverso; la schiavitù delle passioni, nella sua lusinghiera e implacabile stretta, ne sarà attenuata, oltrecché, moralmente, essa cambia segno: aggravamento ieri, triste scusa domani. Da un’altra parte, la confessione ti accerta il perdono divino e così alleggerisce l’anima tua de’ suoi terribili pesi segreti;  di fronte all’invisibile e muta eternità, t’ispira il sentimento di essere inteso, amato, incoraggiato per l’avvenire; reca dunque seco questo conforto, la cui assenza cagiona gli abbattimenti e le disperazioni, di avere davanti a te una pagina bianca, sulla quale oramai tu puoi scrivere un testo santo. — Finalmente, nello stesso tempo che un atto di nobile libertà ti rialza, l’amicizia e la fraternità ti soccorrono, giacché il confessore si fa consigliere, sostegno, consolatore, purché egli conosca il suo compito e tu dal canto tuo sappia richiedere il suo aiuto.

D. Eppure i protestanti non sì confessano che a Dio.

R. Qui bisognerebbe dire: « È troppo comodo! ». Ma io preferisco dire: È troppo poco misericordioso, troppo poco consolante, troppo poco efficace. Chi non conosce le grida di desiderio mandate da certi protestanti quando pensano a questo bagno dell’anima, a questa frizione energica e roborativa, a questo sollievo, a questa reazione di pace!

D. Psicologia geniale, sia pure! ma autenticità e verità?

R. Ho detto ripetute volte, che nella Chiesa, nulla è pullulato per psicologia; l’autenticità del sacramento della Penitenza è quella della Chiesa stessa; ma di fatto, qual senso dell’anima umana in una simile istituzione, se essa non fosse da Dio?

LO SCUDO DELLA FEDE (187)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

IV. — L’Eucaristia.

D. Hai detto che il sacramento centrale, sacramento per eccellenza, è l’Eucaristia?

R. Ne ho detto la ragione, ed è che esso ha per scopo la nostra nutrizione spirituale, e la nutrizione, per un vivente, non solo è la funzione più importante, ma in certo modo, anche la funzione unica. Una creazione organica non è che la nutrizione e la segmentazione di un germe; uno sviluppo è una nutrizione che prosegue; un funzionamento è una nutrizione che implica una disassimilazione consecutiva, che sprigiona della forza e l’adopera; la morte non sarà che una denutrizione non compensata, come ogni malattia, ogni indebolimento non è che una denutrizione parziale, o una nutrizione deviata, o ipertrofica.

D. Un tale raffronto tra la vita fisica e la vita spirituale è rigoroso?

E. Vi è solo una differenza, essenziale, è vero; ed è che la nutrizione fisica assorbe l’alimento nel nostro corpo; la nutrizione eucaristica fa il rovescio; essa incorpora noi a Cristo, per unirci a Dio. L’alimento è qui il più forte: alimento vivo, simile a una preda che divora il suo cacciatore, ma per portarlo a uno stato di vita a cui è bene salire, poiché noi non cresciamo e non possiamo definitivamente vivere se non a patto di riallacciarci al divino.

D. Dunque Eucaristia ha per te un effetto generale: la vita?

E. Sì, la vita, sia nel suo sostentamento, sia nella sua gioia, nel suo progresso, nella sua riparazione, nel suo compimento, fino alla vita eterna.

D. La nutrizione non impedisce la morte.

R. La nutrizione spirituale impedisce la morte, perché essa non disassimila niente, tranne il male; perché essa ci fa crescere incessantemente e ci spinge solo avanti, capace, con Dio, di vincere la morte a beneficio del corpo stesso. Io sono la risurrezione e la vita; colui che crede in me, quand’anche fosse morto, vivrà, e colui che vive e crede in me, non morrà in eterno.

D. Tu hai dato questo come l’effetto dell’incarnazione e della redenzione.

R. Per questo l’Eucaristia è una incarnazione e una redenzione continuate nello stesso tempo che figurate in simboli. In grazia della presenza reale, Gesù è lì, misteriosamente. Per lui, l’Essere degli esseri e l’Anima delle anime, lo Spirito Santo, si unisce a noi. L’opera della redenzione si realizza corpo a corpo, se posso dire così, ed è veramente questo, poiché il corpo di Cristo è qui lo strumento del suo Spirito per l’opera perpetua e per sé immortale di questo Spirito. Non vi è come condizione altro che l’espropriazione dell’io peccatore; vi lavora Lui stesso.

D. L’Eucaristia è dunque un rito individuale?

R. È un rito essenzialmente sociale, ma dove l’individuo ritrova se stesso, come una patria felice forma la felicità del buon cittadino.

D. Qual è l’aspetto sociale dell’Eucaristia?

R. È d’incorporarci a Cristo insieme, nel nome della carità, vincolo del gruppo, e di una carità non puramente sentimentale, ma organica.

D. L’effetto dell’Eucaristia sarebbe così la vostra società stessa!

R. È quello che dice S. Tommaso, perché l’effetto di questo sacramento è l’unità del corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa. – Toccando Dio, io tocco tutto l’universo umano; l’umile punto bianco è dovunque il centro.

D. Gli effetti individuali derivano di lì, o è l’opposto?

R. Dire che è l’opposto, sarebbe un essere protestanti. La Chiesa è prima. Non già perché degli individui si amano prima in Cristo, e poi si costituiscono in Chiesa; ma essi ubbidiscono alla legge di quest’organismo spirituale che è la legge dell’amore, appunto perché formano una Chiesa in Cristo. L’Eucaristia è una Comunione, e tu sai qual è per noi il largo senso di questa parola.

D. Il simbolismo del pane e del vino non indica questo.

R. Lo indica. Il pane è fatto della moltitudine dei grani che la farina mescola e il fuoco unisce; il vino, della moltitudine degli acini che il tino raccoglie e la cui fermentazione non forma più che una sola cosa. Ecco il simbolo dei Cristiani uniti a Cristo, fermento vivente della massa umana. Non siamo che un solo pane noi tutti che partecipiamo allo stesso pane e allo stesso calice (S. PAOLO). Aggiungi che l’idea del Banchetto eucaristico accentua questo simbolismo, liberandolo da ogni sottigliezza.

D. Tutto questo è solo relativo al presente. L’Eucaristia non è anch’essa e prima di tutto una commemorazione?

R. Relativamente al passato, l’Eucaristia è di fatto la commemorazione e, più ancora, il rinnovamento mistico della Passione del Salvatore e delle sue preparazioni universali, come si vede nella Messa. Appunto per questo si chiama un sacrifizio.

D. In che modo è un sacrifizio e nello stesso tempo un ricordo?

R. È un ricordo che si ripete, come in un giorno di anniversario si rinnova l’amore. È dunque un sacrifizio reale, benché puramente spirituale, spoglio di ogni apparato sanguinoso e ridotto alle realtà dell’anima. Cristo si offre lì di nuovo a suo Padre, e anche noi lo possiamo offrire. La redenzione, ti dicevo, ricomincia per ciascuno di noi, cioè raggiunge i suoi partecipanti e si applica nominatamente a ciascun’anima, come al gruppo attuale delle anime.

D. E si tratta anche dell’avvenire?

R. Relativamente all’avvenire, l’Eucaristia presagisce, prepara e anticipa l’unione definitiva degli eletti con Dio, per Cristo, nella Chiesa eterna. Sotto questo aspetto essa si chiama viatico, parola che si applica specialmente ai morenti, ma che vale per tutti.

D. In che modo presagisce?

R. Facendo venire incontro a noi, sulla via, Colui verso il quale noi camminiamo.

D. In che modo prepara?

R. Con grazie di buona vita, mezzo della beata vita eterna.

D. E in che modo anticipa?

R. Dando già a noi, benché sotto forma nascosta e inattesa, quel pane del cielo del quale siamo affamati senza saperlo, vale a dire Dio.

D. L’Eucaristia è così per te una specie di cielo?

R. In ogni luogo del mondo dove c’è un tabernacolo, e in ogni anima comunicante con disposizioni convenienti, vi è un cielo.

D. Vi sono tabernacoli e comunicanti da per tutto.

R. Dunque da per tutto vi è il cielo. La nostra terra è nel cielo. La nostra terra è un cielo. Con l’aurora, ininterrottamente, la nostra messa gira attorno al globo; essa lo desta al soprannaturale, lo rischiara, lo imbalsama, lo commuove, lo trascina dolcemente, ed è, spiritualmente, l’Eucaristia « che fa girare la terra» (LEONE BLOY).

D. Viviamo dunque tra le meraviglie?

R. Ma che meraviglie di accecamento ci nascondono.

D. Come mai un tale accecamento è possibile in credenti?

R. Noi siamo povere creature terrene, e il nostro attacco alla terra fangosa oppone il nostro spirito stesso a questa invasione del cielo.

D. Per lo meno i santi hanno il sentimento del mistero?

R. Il curato d’Ars disse: «Se si sapesse che cosa è la Messa, si morrebbe ».

D. Ma ancora, voi tutti, se avete la fede, potete qui restare calmi, e potete voi peccare, dopo il bacio tenero e puro della Comunione?

R. Ancora una volta, l’essere umano è un abisso d’incoscienza, di miseria, d’instabilità interiore, di oblio. La « distrazione » pascaliana e le insidie di questo mondo riescono a trionfare di una fragile fede.

D. Ecco; io ti ho lasciato dire; ma quante difficoltà arrestano la mente di fronte a tali invenzioni!

R. Sono invenzioni « divine », e che si cada in stupore davanti ad esse non dovrebbe essere che per riconoscenza e per ammirazione.

D. Questa invenzione « divina » non si trova più o meno in tutte le religioni, in cui l’unione al dio mediante un rito di manducazione è comune?

R. Fai bene a parlarne con precauzione; perché sono tali le differenze tra una religione e l’altra, e sono così fondamentali, tra tutte le altre e la Cattolica, che non si ha il diritto né di trovare qui una legge, né soprattutto di applicarla ai riti eucaristici.

D. Tuttavia, se questa legge esistesse

R. Si potrebbero costruire sopra di essa due ipotesi: o la legge ha giocato affatto da sola presso i primi Cristiani e ha fatto loro inventare l’Eucaristia; o questa legge, fondata in natura, è stata per questa ragione soprannaturalmente soddisfatta da Cristo che istituiva l’Eucaristia.

D. Chi dirà quello che è?

R. I testi e i fatti. I Vangeli sussistono, e fuori di essi nessuno può dire in quale momento e per chi l’Eucaristia sarebbe stata inventata. Ciò dovrebbe essere al più tardi vent’anni dopo la morte di Gesù; infatti fin da quel momento, in quel gruppo, si crede alla presenza reale. Questo gruppo è composto di Giudei, che provano tutte le pene e le difficoltà possibili distaccarsi dai riti mosaici, dalle credenze mosaiche: chi crederà che abbiano essi stessi, e così presto, operato una tale rivoluzione?

D. È una così grande rivoluzione?

R. È la fondazione di una religione nuova. Il Cristianesimo con o senza l’Eucaristia, come con o senza l’Incarnazione, non si riconosce più.

D. Il Cristianesimo cattolico è dunque per te essenzialmente eucaristico.

R. Così è veramente, poiché, come ti ho già detto, il frutto dell’Eucaristia è la stessa organizzazione cattolica.

D. Allora come va che la materia dell’Eucaristia non è punto cattolica, se cattolico vuol dire universale? Il pane e il vino sono prodotti mediterranei, ai quali si sostituiscono altrove, come alimento comune, il riso, le patate, le banane, la birra, il latte e l’acqua chiara.

R. Non hai tolto questa difficoltà da Paolo Valery?

D. Sì, e mi sembra seria.

R. Fortunatamente per lui, Paolo Valery disse cose più serie. Non bisogna forse che un rito, per quanto universale debba diventare, cominci in qualche parte, e sotto una certa forma? Se il Cristianesimo fosse nato nelle Indie, è probabile che la materia dell’Eucaristia sarebbe stata diversa, e sarebbe nondimeno il simbolo dell’alimento spirituale, scelta col medesimo spirito di semplicità, di volgarità, e nella sua doppia forma.

D. Essa non converrebbe maggiormente a tutto l’universo,

R. Perché? E come va che un tale ostacolo, di fatto, non è risentito in nessun luogo? Non si consacra forse nelle Indie, nella Cina, nella Lapponia, dovunque, con del pane e del vino? Si porta la mitra solamente in Persia o il pallio solamente a Bisanzio? Come Cristo fu Giudeo, ciò che non gl’impedisce di essere uomo universale, così il pane e il vino, simboli tolti dal paese d’origine del Cristianesimo, non ripugnano affatto a diventare, per l’uso religioso, usanza generale. Essi hanno allora il vantaggio di ricordare costantemente a tutti gli uomini la culla della loro credenza, come i Mussulmani pregano rivolgendosi verso la Mecca, come noi stessi ci riserbiamo in Cina un parlare latino, Sotto pretesto di universalità, ci si vorrebbe forse imporre, nel rito, un volapuk o un esperanto?

D. Vi è però qui una difficoltà.

R. Ed è quella di quel buon negro, che non capiva che gli si volesse imporre un Dio bianco.

D. Ma vi è ancora qualche altra cosa. Questa idea di sostanza che voi introducete nel dogma eucaristico, appartiene a una filosofia particolare, a un modo di pensare che non è quello di tutti gli uomini, sotto tutte le latitudini.

R. L’idea di sostanza non s’introduce in alcun modo nel dogma a titolo d’ingrediente filosofico, d’idea speciale per chicchessia, ma il titolo più corrente e comune a tutti. Tutto il mondo, praticamente distingue tra il pane e le apparenze del pane, tra il vino e le apparenze del vino. Devi ammettere che dopo la consacrazione non vi è più del pane e del vino altro che le apparenze, e che al posto, per una sostituzione totale — che si chiama transustanziazione, perché bisogna bene adoperar parole — vi è il corpo e il sangue di Cristo, ecco tutto quello che ti si domanda. Il resto è interpretazione, sistema, linguaggio, non più il dogma imposto alla fede.

D. In realtà, questa parola sostanza fu tolta da una filosofia.

R. È questa una questione di storia, non una questione di dogma. La Religione si vale delle parole di scuola come delle altre parole, ma senza infeudarsi alle scuole; non si tratta che di comodità di espressione, e tu non hai bisogno di sapere quello che Aristotile pensi della sostanza, per concepire esattissimamente il mistero dell’Eucaristia,

D. Come puoi tu credere davvero a una tale sostituzione di realtà tangibili, a un tale gioco di apparenze, in una parola, a una tale fantasmagoria?

R. Non vi è nessuna fantasmagoria; le apparenze, prima e dopo, sono perfettamente reali, della realtà che conviene alle apparenze; i nostri sensi non sono dunque ingannati; la nostra ragione, avvertita, non essendo parimenti ingannata, non vi è inganno di sorta. Vi è solo un miracolo.

D. Tutta una serie di miracoli, e dei meno credibili.

R. Scusa, caro incredulo, ma ecco l’idea di Pascal: « Come abomino queste sciocchezze, di non credere l’Eucaristia, ecc. Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà vi è qui?».

D. Tuttavia dici tu stesso che Dio non può realizzare le contradittorie. E non è contradittorio che uno stesso corpo sia nello stesso tempo qui e là? Se è qui, non è là.

R. Potresti spiegarmi che cosa è qui e là, che cosa è realmente lo spazio, e quale relazione precisa mantiene l’essere allogato col suo luogo? Ignori tu che nessuno al mondo ha mai detto nulla qui di perentorio e che tutti possano ammettere? Ora come sai tu che Dio non può collocare una cosa in due luoghi, se non sai né che cosa è collocare, né che cosa è un luogo? Non ammetti anche tu che un corpo, se non può essere qui e là simultaneamente, può esserci successivamente? E puoi tu dire che cosa è successione, che cosa è simultaneità, nozioni che i nostri più sottili filosofi si sono recentemente arrovellati a definire senza riuscire a mettersi d’accordo? Del resto, noi non diciamo che il corpo eucaristico sia posto qui e là, ma diciamo che vi è presente, e ciò non è la stessa cosa. La presenza non utilizza necessariamente lo spazio, pur manifestandosi nello spazio. La presenza eucaristica è indefinibile per noi; essa ci dà a pensare che il Creatore della materia e dello spirito dà qui alla materia qualche cosa delle proprietà dello spirito. Ma che importano le nostre supposizioni o le nostre ignoranze? Per quanto misteriosa essa rimanga, ci basta che la presenza reale sia reale, perché noi ne abbiamo la consolazione e il benefizio.

D. Io non posso trattenermi dal pensare che l’abitudine ti accechi e non veda più quello che vi è di strano in espressioni come questa: « ricevere il buon Dio », o « dare il buon Dio ».

R. Queste espressioni sono per noi vere d’una verità letterale, e che non dev’essere attenuata. Ma forse l’accecamento non è dove si pensa, e forse qui un’altra « abitudine » si ha da denunziare. Quanto facilmente noi ci assuefacciamo alle cose quotidiane! Noi tracanniamo i misteri come acqua. Eppure, mangiando un frusto di pane ordinario, respirando il profumo d’un fiore, non siamo noi veramente e intimamente al contatto di Dio? Dio è da per tutto; Dio è in tutto. Se nell’Eucaristia egli è più che altrove, perché vi è più della sua azione, chi s’incaricherà di definire questo più, non potendo definire il meno, e chi pretenderà di obiettare a proposito di questo più, non avendo nessuna norma da proporre per distinguerlo dal meno, dunque per giudicare qui del possibile e dell’impossibile? « O presuntuoso »! ci direbbe sempre Pascal.

D. Finalmente, voi credete di possedere Dio?

R. Dio si fa possedere da noi come noi possediamo le cose, e assorbire nell’intimo della nostra carne mortale come noi mangiamo il pane.

D. È una bella confidenza nei suoi sentimenti!

R. I suoi sentimenti, come pure la sua potenza, ci furono mostrati nella sua creazione, nella sua redenzione, nella sua vita temporale, nella sua morte, e non spetta a noi di segnar loro dei limiti.

D. Non sarebbe sufficiente una bella commemorazione e un ricco simbolo? I protestanti se ne accontentano.

R. I protestanti si accontentano di troppo poco, e si permettono di dare delle lezioni al Vangelo. Spetta forse a noi d’interpretare secondo la nostra convenienza — che qui conviene così poco — delle parole solenni? Un simbolo, per quanto ricco sia, non è una realtà, né un pasto commemorativo, una presenza. La presenza reale di Cristo in mezzo a noi non può mancare di avere degli effetti che non produrrebbe affatto quello che il Grande Arnauld chiamava l’Assenza reale. Lì sta veramente, come dice Gerbert, il « dogma generatore della pietà cattolica » e la sorgente degli effetti di santità che io ti additavo.

D. Anche i simboli hanno effetto.

R. Noi lo riconosciamo e ce ne serviamo; è una parte dell’effetto sacramentale; ma a parità di disposizioni, potresti tu paragonare l’effetto d’una comunione cattolica, anzi d’una «visita al SS. Sacramento » fatta con la certezza d’una divina presenza, all’effetto d’una metafora e d’un pio ricordo? Noi siamo, anzitutto, esseri di sensibilità, e solo dopo siamo esseri d’immaginazione. Per raccogliere tutte le nostre forze in vista di un vantaggio spirituale così difficile e così necessario, quale invenzione meglio adatta e più evidentemente divina che questa! – «La Santa Ostia, per la quale l’uomo partecipa alla Divinità ed è obbligato a mostrarsene degno, mi sembra di una così inconcepibile bellezza, di una potenza così enorme, che stabilisce nello stesso tempo la superiorità del Cattolicismo e la sua ispirazione soprannaturale » (RENATO SOHWOB). Non senti tu quello che vi è di ammirabile e di ben degno di una religione dell’uomo, nel fare così di Dio un’intima e quotidiana realtà?

D. Questa realtà è troppo umana per un Dio.

R. Dal momento che si è dato all’umanità, il nostro Dio va sempre a fondo, e gli estremi dell’amore sono per Lui una specie di necessità, come lo sono per noi stessi. Chiunque ha amato intensamente lo comprende.

D. Dunque attribuisci l’Eucaristia all’amore?

R. Essa è la stravaganza dell’amore.

D. La stravaganza, in Dio?

R. La stravaganza è il mistero dell’amore. L’amore è il mistero di Dio. Tutto si compendia in queste semplici parole di S. Giovanni: Noi crediamo all’amore divino.

LO SCUDO DELLA FEDE (186)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

II. — Il Battesimo.

D. In che modo il Battesimo è un punto di partenza?

R. Esso segna il Cristiano e lo rende atto agli atti religiosi, nel che la vita cristiana consiste. È quello che si chiama il suo carattere oramai incancellabile. Il Battesimo. nel nome della Trinità è il segno spirituale del Cristiano come la circoncisione del giudeo era il suo segno carnale.

D. È dunque un’iniziazione, guisa degli antichi misteri?

R. È un’iniziazione, ma senza alcuna di quelle superstizioni che degradavano i misteri pagani. Esso fa entrare nella vera vita, la vita con Dio, che, fin di quaggiù, è una vita eterna. La vita con Dio promessa per più tardi è posta così anticipatamente in nostro possesso; perché, dice S. Agostino, la rigenerazione battesimale e la vita dell’altro mondo non sono che una sola e medesima opera.

D. Come comprendi tu in questo caso il Battesimo di Cristo? Facendosi battezzare sulle rive del Giordano, Gesù entrava forse nella vita cristiana?

R. Vi entrava come il sole entra nel giorno; dopo di Lui, per la stessa via, passeranno i satelliti che siamo noi.

D. Non dici che il Battesimo cancella la colpa originale?

R. Il Battesimo applicandoci i meriti di Cristo, cancella la colpa originale e tutte quelle che noi abbiamo potuto aggiungervi di nostra iniziativa; ma questo non è che un preludio e una disposizione negativa. Positivamente, si tratta di entrare nel Regno de’ cieli terrestre, cioè nella Chiesa, in vista del Regno de’ cieli celeste, da conquistare mediante l’uso della grazia battesimale.

D. Il Battesimo conferisce dunque una grazia?

R. Solo così può esso introdurre il cristiano nella vita soprannaturale il cui principio è la grazia. Per il fatto stesso che è un’iniziazione, il Battesimo è dunque una grazia, la grazia fondamentale, se si può dire così; esso qualifica l’anima cristiana per il suo fine proprio; la munisce per il viaggio, nello stesso tempo che le apre la via.

D. Hai parlato dell’entrata nella vita cristiana come di una incorporazione a Cristo: è questo l’effetto del Battesimo?

R. Il Battesimo di fatto c’incorpora a Cristo; ossia ci fa rivestire Cristo secondo la metafora energica di S. Paolo.

D. Che cosa significano esattamente queste espressioni?

R. Essere incorporato a Cristo è far parte di ciò che chiamiamo suo corpo mistico, ossia spirituale, cioè la Chiesa. – Rivestire Cristo esprime questa stessa incorporazione sottolineando il suo benefizio. Prima, noi eravamo nudi; la nostra natura peccatrice era sola; i meriti del Salvatore non la coprivano, non la corazzavano contro il male, non la ornavano come una figlia di Dio, una erede, una coerede di Cristo.

D. Non chiami tu il Battesimo il sacramento della fede?

R. Esso è il sacramento della fede, perché la prima condizione per entrare in un gruppo religioso è aderire all’idea sociale che forma questo gruppo, ai fini che esso si propone e ai considerandi delle sue leggi. Ecco l’oggetto della fede. Venendo a Dio, dice S. Paolo, bisogna sapere che Egli è, e che è rimuneratore, e tutto il resto di quello che Egli disse agli uomini per bocca del suo Cristo per rischiarare la via eterna.

D. Allora sembra che il Battesimo dovrebbe essere riservato a quei che sono in grado di credere. Perché voi altri battezzate i bambini?

R. La fede non è unicamente dell’uomo. L’abbiamo già detto: è una grazia, e vedremo più tardi che essa è un atto comune di Dio e dell’uomo, dell’uomo che acconsente e di Dio che inclina il suo cuore. In quanto che è una grazia, essa può prevenire il consenso, prepararlo e attenderlo. Perciò, riguardo al bambino stesso, il Battesimo si chiama illuminazione, per notare l’azione interiore dello Spirito Santo, alla quale più tardi si darà l’anima.

D. Perché questa anticipazione? Perché una società spirituale ammette colui nel quale non ha ancora palpitato lo spirito?

R. La vita cristiana è più larga di questa obiezione individualista. Soprannaturalmente come secondo la natura, noi siamo una stirpe; l’individualità sboccia in grembo alla stirpe; essa segue, ma non precede, come abbiamo spiegato studiando la Chiesa. Come dunque un padre, in seno a una patria, iscrive suo figlio allo stato civile, lo impegna in una corrente di vita materiale, intellettuale e morale che il bambino non può controllare, ma che egli giudicherà un giorno, quando sarebbe troppo tardi per ottenerne il pieno benefizio: così un padre, in grembo alla Chiesa che ha benedetto la sua unione e ne attende i frutti, introduce suo figlio là dov’è lui stesso, là dove crede che è la via, la verità e la vita. A questo figlio più tardi, spetta di giudicare il dono che egli ha ricevuto, di sanzionarlo con la sua libera accettazione; salvo che egli non preferisca o non creda di dover ripudiare insieme Dio e l’amorosa pietà paterna.

D. Ammetti che sì rigetti così il proprio Battesimo?

R. Non l’ammetto certamente. Se non è un gran delitto, è ad ogni modo una gran disgrazia.

D. Ciò non può essere altro che una disgrazia?

R. Sì, nel caso di quell’errore che noi chiamiamo invincibile.

D. Ma la grazia del Battesimo si può perdere senza colpevolezza?

R. No; ma nel caso contemplato, la grazia del Battesimo non sarebbe perduta. Abbiamo detto che si può avere la grazia senza saperlo ed essere figli di Cristo anche nell’incoscienza.

D. Sono casi strani.

R. Strana è la nostra vita; ma Dio è pieno di giustizia e di misericordia.

D. Perché l’entrata nella vita cristiana ha luogo sotto il segno dell’acqua?

R. La ragione essenziale si è che l’entrata nella vita cristiana suppone come condizione negativa, come dicevamo, la cancellazione del peccato, il ripudio dell’antico stato di allontanamento in cui era la nostra stirpe per rapporto a Dio. Il simbolo dell’acqua è allora indicatissimo: come l’acqua lava il corpo, così la grazia di Cristo purifica l’anima nostra.

D. Vi sono altre ragioni?

R. Ce n’è una più profonda, benché meno immediata. Le tradizioni umane hanno sempre accostato l’elemento liquido all’origine prima delle cose, come per un’anticipazione delle teorie moderne che traggono la vita dal fondo dei mari. Sotto questo aspetto, il Battesimo vorrebbe dire: Tu che nascesti dal mare, ripiombati in questo Mare più profondo: nella Divinità di cui l’acqua del mare non è che uno zampillo. Origine delle origini, sorgente delle sorgenti, in essa tu devi perderti un giorno, per ritrovarti veramente, e fin d’ora, per la grazia e per la santa vita, essa deve comporre il tuo ambiente interiore, come l’acqua del mare, ambiente originale della vita, bagna le tue membra.

D. È questa veramente una concezione tradizionale?

R. Io l’ho presa dagli antichi dottori, e l’ho modernizzata solamente nella forma. Essi aggiungono più semplicemente che la freddezza naturale dell’acqua e la sua purezza refrigerante sono il simbolo del rinfrescamento che la grazia oppone a quell’eccitazione carnale, figlia del peccato di razza, che ci trascina al male. L’acqua, essendo diafana, significa ancora la ricettività dell’anima per rapporto ai lumi divini. Quando s’immergevano i catecumeni, nelle cerimonie più complete di una volta, vi si vedeva altresì, con S. Paolo, una specie di morte e di seppellimento, seguiti da una risurrezione, come se l’uomo di peccato fosse annegato e lasciasse il posto all’uomo nuovo generato dall’azione di Cristo.

D. Il Battesimo è indispensabile alla salute?

R. Il Battesimo è indispensabile alla salute al medesimo titolo che l’incorporazione a Cristo, l’adesione a Dio per Cristo, e l’entrata nella Chiesa di Cristo.

D. Allora chi non è battezzato è perduto?

R. Ciò non ne segue affatto, poiché noi sappiamo che l’incorporazione è Cristo, la vita in Dio per Cristo e l’appartenenza alla Chiesa spirituale se non alla Chiesa visibile, possono avere luogo senza alcuna condizione esteriore.

D. Dunque il mezzo di salute chiamato Battesimo non è, finalmente, un mezzo necessario?

R. Finalmente, cioè assolutamente e senza eccezione, no, poiché esso comporta dei supplementi morali; ma è nondimeno il mezzo necessario in diritto, il mezzo ufficiale, il mezzo sociale; di modo che, se da una parte la società spirituale non l’applica punto, e se, d’altra parte, il soggetto non reca o non può recare nessun supplemento morale, la salute come la intendono i Cristiani non si potrebbe ottenere.

D. Perché queste precauzioni di linguaggio?

R. Lo vedrai; ma tu devi intendere che si tratta specialmente dei piccoli esseri che non arrivano all’età della ragione e muoiono senza Battesimo.

D. Vuoi che questi piccoli si dannino?

R. La parola dannazione, ammessa un tempo, dev’essere eliminata, perché suggerisce un’idea falsa. Parlando del peccato originale, abbiamo detto: Esso implica una colpevolezza della stirpe, ma per nulla una colpevolezza personale. Ora, osserva S. Tommaso, un soggetto personalmente innocente non potrebbe giustamente essere privato dei beni della natura, benché si possa giustamente, nel nome di una responsabilità solidaria, privarlo dei benefizi gratuiti concessi alla sua stirpe e da essa perduti. Ne segue che l’anima immortale sfuggita da questo mondo senza rigenerazione battesimale non può, senza dubbio, accedere al soprannaturale, ottenere la salute cristiana, che è una vita sublime nella Trinità; ma noi crediamo alla sua beatitudine naturale, senza avere nessuna nozione positiva riguardante questo stato.

D. Ciò pare ingiusto! Perchè l’uno è battezzato, mentre l’altro non è battezzato?

‘R. Non giudichiamo la Provvidenza. Abbiamo riconosciuto più sopra la nostra incompetenza in simili questioni. Del resto, si può sfidare chiunque a trovare qui ombra d’ingiustizia?

D. Non vi è ingiustizia a trattare diversamente quelli che non hanno agito diversamente?

R. Il bambino battezzato e il bambino non battezzato non hanno agito diversamente, poiché non hanno agito affatto. Ma il primo, non avendo fatto niente personalmente, trae benefizio da un’azione collettiva e deve essere riconoscente. – Il secondo, non avendo parimenti fatto nulla, non ha avuto la medesima felicità: è una felicità in meno e non ne può essere afflitto; non ci si può affliggere per lui; ma poiché non ha fatto niente e non gli si toglie niente di ciò che appartiene al suo caso normale, come si potrebbe parlare d’ingiustizia? Avviene come di un bambino nato nella Guyana da parenti deportati, e i cui fratelli per una felice sorte fosser ricondotti in patria. Questi avrebbero da lodare Dio; ma l’altro non ha da elevare sdegnose rivendicazioni. Non è punito personalmente. La Guyana permette di vivere. Se un fortunato ritorno nel suo paese gli è rifiutato per un fatto d’una responsabilità di famiglia, è un affare negativo; molte fortune positive gli restano, e se la deportazione della famiglia fu giusta, non vi è ingiustizia.

D. Ad ogni modo vi è disuguaglianza. Perché questi, perché non quegli? Si capiscono queste sorti in un ordine umano; ma non sì capiscono in un ordine divino.

R. L’ordine divino non è indipendente dall’ordine umano; esso l’avvolge; lo rispetta; lo utilizza e si compone con esso. La sorte stessa, come abbiamo detto, entra nella provvidenza.

D. Ma gli esseri devono soffrire dell’evento provvidenziale?

R. Ancora una volta, non si tratta di soffrire. Noi non martirizziamo nessuno. Si tratta dell’assenza non dolorosa di una felicità di soprappiù, di una felicità non sperimentata, alla quale il soggetto non è naturalmente adatto, che noi stessi, che patrociniamo in suo favore, non immaginiamo neppure, di cui spesso, troppo spesso non ci curiamo, che tutt’a un tratto ci ritorna in mente per accusare la Provvidenza. Il gioco non è serio. Il non battezzato appartiene a un’altra classe di esseri, ecco tutto. Il suo destino risponde alla sua classe; esso è buono; è anch’esso creato per lodare Dio, e se egli si lagnasse perché altri, in ragione della stessa provvidenza, ebbero accesso a una felicità più grande, Dio gli potrebbe rispondere quello che il padrone della vigna rispose agli operai gelosi della parabola: Non sono libero di fare quello che voglio? O bisogna che il vostro occhio sia cattivo perché io sono buono?

D. Dio può essere inegualmente buono?

R. Dio non può essere inegualmente buono in se stesso, essendo la bontà infinita; ma guardando agli effetti, se Dio fosse ugualmente buono, siccome la sua bontà è la causa degli esseri, tutti gli esseri sarebbero uguali in tutte le maniere; non vi sarebbero dunque nature diverse; non vi sarebbero gradi; non vi sarebbero neppure scambi; non vi sarebbero movimenti e progresso; non vi sarebbe universo.

D. Ciò pare strano.

R. Penetra bene l’idea, che del resto abbiamo già incontrata a proposito della provvidenza, e vedrai che esigere l’uguaglianza, sotto il falso nome di giustizia, sia nel mondo materiale sia nel mondo morale, è negare l’universo.

D. Io vedo benissimo un universo in cui tutti sarebbero salvi.

R. Provati a costruirlo senza perpetui miracoli: non ci riusciresti.

D. Ritorno al caso dell’adulto. Tu dici che egli può supplire, con le sue disposizioni, all’assenza del Battesimo?

R. Sì, a condizione che il Battesimo non sia disprezzato o gravemente trascurato, ma ignorato, o impossibile, sia materialmente, sia moralmente.

D. Allora che cosa è che supplisce?

R. Il buon volere che implica l’adesione esplicita o implicita ai mezzi di Dio, e per conseguenza al Battesimo.

D. Dunque il Battesimo, sotto questa forma indiretta, è ancora il mezzo di salute.

R. Sì, si può dire, ed è ciò che vuol significare la celebre distinzione dei tre battesimi: Battesimo d’acqua, Battesimo di sangue e Battesimo di desiderio.

D. Che cosa è il Battesimo di sangue?

R. È il martirio, nel caso in cui vi è assenza involontaria del Battesimo d’acqua, ma in cui il dono di sé spinto fino all’eroismo prova sovrabbondantemente il buon volere che noi abbiamo richiesto.

D. E il Battesimo di desiderio?

R. Là dove il desiderio del Battesimo è esplicito, l’espressione si comprende da se stessa. Se il Battesimo è ignorato o involontariamente sconosciuto, il Battesimo di desiderio si compendia nella conversione del cuore, come dice S. Agostino, vale a dire, sotto l’impulso della grazia, nell’amore del bene divino così come è appreso, e nella disposizione sincera prenderne i mezzi, appena che saranno conosciuti.

D. Tu chiami questa semplice disposizione un Battesimo?

R. Sì, perché essa costituisce una specie di Battesimo in intenzione; perché assicura d’altra parte i frutti del Battesimo reale e incorpora colui che vi accede non solo a Dio, che vede il cuore, ma alla Chiesa stessa, non alla Chiesa gerarchica, visibile, poichè, per ipotesi, essa è sconosciuta o disconosciuta, ma alla Chiesa interiore, invisibile e universale, di cui l’altra non è che il simbolo e il mezzo.

III. — La Confermazione:

D. Che cosa è la Confermazione?

R. È un rito complementare del Battesimo, che una volta si dava nel medesimo tempo, e il cui significato è quello di un accrescimento: accrescimento di grazia dalla parte di Dio; accrescimento di buon volere e di fedeltà, nel Cristiano, riguardo alle realtà superiori.

D. Perché ciò fare in due volte?

R. Perché la nostra vita è sottomessa al tempo, e per seguire sempre più le condizioni del simbolismo, che è alla base delle nostre istituzioni sacramentali. Vi è un sacramento della nascita spirituale; e ci dev’essere un sacramento della virilità spirituale, dell’età adulta, atta all’azione fruttuosa e alla lotta.

D. Ci dovrebbe dunque essere anche un sacramento della vecchiaia.

R. Nello spirituale, non c’è vecchiaia; la vita cristiana deve normalmente crescere sempre, fino al perfetto che la vita eterna realizza.

D. A che età si conferisce il sacramento della virilità?

R. A un’età qualsiasi, per quella stessa ragione d’indipendenza dello spirituale, e specialmente del soprannaturale, rispetto alla vita fisica. Come il « sacramento della fede » a chi non può attualmente credere: così il sacramento della fortezza si può conferire a un debole bambino. Aggiungi che di questa fortezza il bambino sa dare esempi all’uomo. I sette figli di Felicita, saldi davanti alle tenaglie e alle caldaie, o il giovane Tarcisio morente con l’eucaristia sul suo cuore, provano che anche per l’eroismo religioso «il valore non attende il numero degli anni ».

D. Il confermato è dunque una specie di soldato?

R. È anzitutto un perfetto cittadino, per una stretta e ferma ubbidienza alla legge sociale cristiana. Per l’esterno, è un soldato di fatto; il sacramento lo fa entrare in uno stato marziale, gli suggerisce uno spirito di diffusione e di conquista. Gli si fa capire che essere illuminato vale quanto essere delegato alla luce per il mondo oscurato; essere elevato a un piano superiore di vita vale quanto essere invitato a tendere la scala agli altri, ed essere arrolato da Cristo in un gruppo spirituale sempre militante significa che si deve «combattere la buona battaglia » per la comune vittoria.

D. Chi è incaricato di questa promozione, di questo conferimento di grado?

R. Naturalmente il capo supremo di ciascun gruppo religioso: il Vescovo. Un’azione completiva riguarda colui che è rivestito del sacerdozio completo. L’artista ritocca il marmo, dopo il lavoro dell’abbozzatore.

D. Che materia adopera questo sacramento?

R. Poiché si tratta di fortezza, l’atletismo offre naturalmente l’arsenale delle immagini. L’atleta antico ungeva d’olio il suo corpo, per fortificarlo, proteggerlo, per renderlo flessibile nelle lotte corporali. Si ammetterà l’unzione, e l’olio, che ne è la materia, come segno del rafforzamento dell’anima e della sua preparazione alle lotte cristiane. Di più, dovendo la virilità cristiana impiegarsi ad aiutare la vita attorno a sé, si aggiunge all’olio dei forti il balsamo, per significare che nello spirituale, il profumo che si spande, vale a dire l’esempio, è una forza. Donde questa espressione: Il buon odore di Cristo, spesso usata da S. Paolo in poi.

D. Come sono adoperate queste materie?

R. Si fa l’unzione in forma di croce, come s’impone la spada o il vessillo al cavaliere, per invitarlo alle battaglie di giustizia. Si segna la fronte, come il luogo più nobile e il più apparente, quello su cui si afferma la saldezza dell’atteggiamento, come, in caso di debolezza, vi si manifesterebbe il rossore della timidezza o il pallore della paura.

D. E tu attribuisci a queste unzioni un effetto interiore?

R. Noi crediamo che l’anima tragga il benefizio di una grazia, e che essa, come il corpo, sia segnata di un carattere che le faciliterà la realizzazione dei simboli. Come gli apostoli, nel Cenacolo, furono trasformati, in vista di tutta la Chiesa, dalla venuta dello Spirito: così noi crediamo a una misteriosa conformazione dell’anima, in rapporto con ciò che abbiamo detto della grazia e dell’azione dello Spirito Santo.

D. Ci dovrebbe dunque essere qui, come nel Cenacolo, qualcosa di strepitoso.

R. Si suonano le campane per la comunità; ma non si suonano per l’entrata d’un fedele alla messa. Nel Cenacolo ebbe luogo la confermazione solenne della Chiesa: donde le lingue di fuoco, segno di conquista ardente e di comunicazione collettiva, e il vento violento, che corre gli spazi di terra e di mare, come i portatori della Buona Novella. Per la confermazione intima di un semplice Cristiano, non si ha bisogno di strepito.

LO SCUDO DELLA FEDE (185)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

I. — I Sacramenti in generale.

D. Qual è l’ufficio dei sacramenti nella Chiesa?

R. I Sacramenti sono i mezzi di azione soprannaturale della Chiesa; perciò essi partecipano del suo doppio carattere, visibile e invisibile, individuale e sociale. Sono dei segni, dei simboli, dunque delle cose esterne, e hanno un effetto nascosto; la società religiosa v’interviene, ma non senza il concorso dell’adulto che li riceve.

D. Perché dici l’adulto?

R. Perché il bambino approfitta di un soccorso sociale al quale non può ancora rispondere; vi risponderà più tardi.

D. A che pro adoperare simboli e mezzi visibili, in materia di vita religiosa?

È la natura umana che lo vuole. Tutto ci viene per i sensi, comprese le idee e i sentimenti, qualsisiano i loro oggetti e la loro natura; i simboli e i gesti significativi hanno nella nostra vita una parte immensa, dei quali sono seriamente obbligati a tener conto coloro che si stupiscono dei riti religiosi. Anche la vita civile ha i suoi riti che non differiscono dai nostri se non per la loro sorgente e la loro efficacia.

D. Quando è Dio che opera, l’efficacia non dovrebbe dipendere da nulla di esterno, e meno ancora quando è l’anima che coopera.

R. La verità è semplicemente al contrario. Dio agisce riguardo all’uomo coi mezzi dell’uomo, perché, unendo la nostra vita alla sua, Egli intende di rispettare i caratteri di questa vita, sopraelevata e non distrutta. Lo spirituale affatto solo non è l’uomo. E poiché l’uomo è spirito senza dubbio, ma spirito incarnato — e ciò nell’unità di una sola sostanza — quello che è normale, in religione, è che l’anima umana sale verso Dio con la carne e servendosi della carne, e Dio discende pure verso l’uomo per la carne e valendosi della carne. La carne sarà così un passaggio naturale, per lo scambio religioso, tra Colui che, avendo fatto l’uomo, deve accostarlo come Egli lo ha fatto, e colui che, essendo fatto così, deve rispondere all’azione divina secondo la sua propria natura.

D. Ciò però urta molti.

R. Urta coloro che sono traviati da un falso razionalismo o da un orgoglio spirituale. Non c’è qualcosa di strano in ciò che Dio, per santificare l’uomo, umilmente si acconci a certi procedimenti dell’uomo, e sia l’uomo che non lo voglia?

D. Ne senti tu davvero utilità?

R. Certi sacramenti visibili ed esterni hanno un’utilità religiosa manifesta; essi eccitano e spiegano tutti i sentimenti primordiali della natura umana; rispondono a tutta la vita; la dose del divino e dell’umano è ivi stabilita in conformità con la nostra debolezza e con le nostre risorse; riguardo al soprannaturale, che, dal canto suo, non si vede, ci offrono delle garanzie che contribuiscono alla tranquillità della coscienza e alla pace del cuore. Socialmente essi esprimono e affermano i nostri vincoli, mettono in comune i nostri sentimenti di fede, di buona volontà e di speranza, e così assicurano la coesione del gruppo cristiano, affermandolo davanti a tutti,

D. I tuoi sacramenti non sono solamente segni e gesti; ma adoperano anche materie.

R. Quest’uso delle materie significative e attive ha la stessa importanza che il resto. Dio non usa forse la natura per crearci? Ebbene l’adopera per ricrearci secondo la grazia. E le due cose si spiegano, perché il mondo esterno non è così esterno come apparisce; la materia non è che l’uomo prolungata; il potere dell’anima la foggia, se l’unisce per una parte, non l’abbandona per la morte se non per riprenderla — come uno statuario che della medesima creta facesse degli abbozzi senza fine — e, col lavoro intelligente, se la sottomette in una certa misura. Ora, nello stesso modo che utilizziamo col lavoro le forze di Dio immanenti alla natura, così utilizziamo coi sacramenti la forza propria di Dio artefice di grazia. È dunque normale che nei due casi la materia intervenga come passaggio. Nel caso del lavoro è inevitabile; nel caso dei sacramenti, ciò conviene.

D. Tuttavia Dio è spirito.

R. Dio è spirito; ma noi siamo carne, e nello stesso modo che per passare dalla carne allo Spirito, dalla natura a Dio, Cristo ci offre nella sua Persona un pezzo di collegamento: così i sacramenti — che non fan altro che prolungare gli effetti dell’incarnazione — rilegano nel suo nome la carne allo spirito, a fine di compiere l’opera sua. Il principio è dovunque lo stesso, e l’omogeneità dei mezzi è perfetta.

D. Credi che i sacramenti abbiano un’azione effettiva, e non solamente morale?

R. I sacramenti hanno un’azione effettiva, vale a dire che il loro effetto non dipende unicamente da quello che vi apportiamo noi, ma da ciò che vi apporta Iddio. Però non tutti pensano che quest’azione sia di forma fisica, cioè si valga, per esercitarsi, degli elementi esteriori: materie, parole o gesti.

D. Quale opinione ha le tue preferenze?

R. Di gran lunga quella che crede a un’azione reale degli elementi; è quella di S. Tommaso d’Aquino e dei dottori più fedeli ai dati profondi del dogma.

D. Per quale ragione?

R. Perché questo quadra meglio con l’idea dell’incarnazione, fondamento di tutta la vita cristiana. L’incarnazione è il primo dei sacramenti, il solo, si potrebbe dire; perché tutto quello che noi chiamiamo così non è che un prolungamento della sua azione a un tempo simbolica e reale: simbolica, poiché l’incarnazione è Dio manifestato; reale, perché è Dio che si dà. Ora, siccome l’unione di Dio con l’umanità è reale, e non solamente morale, pare si debba trovare nel prolungamento lo stesso carattere che nel punto di partenza.

D. Allora come concepisci l’azione dei sacramenti?

R. L’influsso divino che ci santifica si vale, come passaggio, dell’umanità di Cristo strumento congiunto della Divinità per la salvezza degli uomini; si vale poi dell’intermedio del ministro e delle realtà sacramentali, strumento di Cristo, e fa capo all’anima del fedele per mezzo del suo corpo.

D. Quest’interpretazione ti pare più cristiana dell’altra?

E. Sono cristiane entrambe; ma questa si riallaccia meglio con quello che dicevamo sopra della giustizia originale, della caduta, dell’incarnazione e della redenzione, di cui i sacramenti sono l’organo. La ritroveremo a proposito dei novissimi.

D. Come puoi credere a questo approdo divino, e ciò attraverso a un Cristo scomparso, attraverso a un ministro distinto dal soggetto che subisce l’azione, attraverso a materie, a gesti e a parole?

R. Non si ha da approdare. Dio è in noi; Dio è presente in tutto, e i suoi strumenti per via di Lui sono presenti a tutto ciò che Egli mette in moto. L’apparenza di serietà che la difficoltà presenta dipende solo da un’immaginazione spaziale; Spinoza, fervente sostenitore dell’immanenza divina, non la comprenderebbe. Ora non la comprende meglio un filosofo cristiano; difatti anche noi, senza essere per nulla panteisti, crediamo all’immanenza di Dio. Immanenza e trascendenza non si oppongono affatto, ti dicevo; esse si completano. Dio è infinitamente lontano da noi per la sua natura; ci è infinitamente vicino, più vicino di noi stessi, per la sua intima azione. I sacramenti qualificano quest’azione in un modo particolare e in condizioni definite in cui Cristo, un ministro umano, materie, gesti espressivi hanno la loro parte, ma non ne cambiano in nulla il carattere. Dio dà a noi l’essere ad ogni istante, come il sole al raggio: non è forse possibile modificare a piacimento e secondo certe leggi questa luce dell’essere?

D. Non posso capire un effetto spirituale risultante da un atto fisico.

R. L’anima nostra è spirituale, e sboccia, nel corso della generazione, da un atto fisico. Un’idea è spirituale, e si desta, nella mente di un uditore, a proposito di un suono.

R. Ma il soprannaturale è qualcosa di più.

R. Te l’ho detto, il soprannaturale non è che un caso particolare dei piani, dei gradi che dalla materia pura a Dio contrassegnano l’esistenza; esso non può dunque recare nuova difficoltà, benché procuri un nuovo dono.

D. Io temo che questo dono, così concesso, riduca la faccenda della salute a un meccanismo comodo.

R. La comodità non è tanto grande; perché il lavoro del cielo si mette qui sotto la dipendenza di quello della terra; il contributo di Dio si misura da quello dell’uomo e non fa altro che

supplire a ciò che l’uomo non può fornire. Sforzo aiutato: tale sarebbe dunque la vera definizione dell’opera sacramentale, e il sacramento stesso è un contratto di scambio, non un beneficio gratuito.

D. Credi tu che Gesù abbia voluto i sacramenti?

R. Non si può mettere in dubbio che Egli abbia voluto e istituito il Battesimo e l’Eucaristia, i nostri due riti essenziali; questi devono a Lui assolutamente tutto, perfino la precisione delle formule. Gli altri, precisati dalla Chiesa nel suo Nome e non operanti che per la sua grazia, devono dunque Lui per lo meno l’autorità della loro istituzione e la loro efficacia, il che basta perché Egli si dica il loro autore.

D. Mi sembra evidente che i riti sacramentali siano tolti per la maggior parte dai riti del paganesimo, anzi dalle pratiche dei primitivi.

R. Queste non sono altro che apparenze superficiali. La Chiesa si è servita dei gesti e delle appellazioni come si prendono parole dal dizionario; ma il testo, soprattutto lo spirito del testo, è essenzialmente differente.

D. Dove sta la differenza?

R. Là si tratta di gesti cabalistici, qui di atti essenzialmente spirituali. Là si pretende di costringere un’oscura potenza; qui s’invoca Dio secondo le profferte paterne di Dio e in conformità di disposizioni con queste profferte. Là si prefiggono dei fini del tutto temporali, dei quali i cittadini sono il termine più elevato e spesso unico; qui si mettono in sintesi il divino e l’umano immortale, conforme a una dottrina sublime dei rapporti umano-divini. Da un lato, superstizione, o ad ogni modo religione nell’infanzia, anzi grossolanamente deviata; dall’altro, uso di simboli e di mezzi meravigliosamente appropriati all’espressione e al servizio delle più alte concezioni religiose, rispondenti a ciò che noi siamo davanti a Dio, gli uni verso gli altri, di fronte al fine soprannaturale e, sopra la terra, di fronte a un corpo sociale chiamato a un’alta vita e a incessanti progressi.

D. Certi storici però pretendono di trarre i tuoi sacramenti dai riti primitivi per via di evoluzione.

R. Qui c’è equivoco, oppure parzialità o ignoranza. L’equivoco può venire dal fatto che si confonde una evoluzione spontanea, automatica senza nuovo contributo, con ciò che Bergson potrebbe chiamare una evoluzione creatrice. Se l’uomo venisse dalla scimmia quanto al corpo, si potrebbe ben dirlo un prodotto dell’evoluzione di questo ramo zoologico; ma ciò non sarebbe se non quanto al suo corpo; tra le due ci sarebbe la creazione dell’anima, fatto nuovo, fatto propriamente umano, che rende l’umanità trascendente alle sue origini fisiche. Così i sacramenti, pur precedendo a se stessi nella loro materia, in queste o in quelle particolarità d’intenzione o di riti, sarebbero nondimeno tutt’altro che i loro pretesi antecessori. Un capolavoro e una grossolana cromolitografia possono aver dei tratti comuni; il primo può prendere dalla seconda; ma il genio forma la differenza, e sarebbe assurdo il dire che come opera d’arte il primo procede dalla seconda.

D. Ciononostante, come spieghi tu i rapporti evidenti fra tutti i riti?

R. I rapporti delle cose anche più differenti, si spiegano per la somiglianza relativa delle circostanze in cui son nate e dei fini a cui devono servire. Ho già osservato che la vera religione deve contenere una gran quantità di elementi delle false, perché queste ultime, nate dai bisogni umani nell’ordine religioso, li esprimono in una certa misura, e come il Cristianesimo, destinato a soddisfarli del tutto, non li esprimerebbe nella loro perfezione, adottando così l’espressione imperfetta? Tal è il caso dei sacramenti, dove una gran parte della religione si concentra.

D. Ciò si può prestare a confusione.

R. Per coloro che non riflettono punto o che non vogliono vedere, ma non per gli altri. Quello che mette i riti cattolici fuori di parità, per rapporto a ciò che descrivono certi etnografi compiacenti, è, ancora una volta, il senso del simbolo, la portata spirituale dei riti, l’esigenza di una collaborazione morale del soggetto, la grandezza degli antecedenti dogmatici, delle mire, dei sentimenti collettivi e individuali, e, più di tutto, l’unione intima e indissolubile di tutte queste cose.

D. Questi sacramenti che tu attribuisci a una causa sovrumana, non dovrebbero avere degli effetti folgoreggianti? Come mai non ne hanno neppure dei percettibili?

R. Quando guardi le stelle, hai forse la percezione dei loro prodigiosi movimenti? La nostra cecità le chiama fisse, e invece quante migliaia di chilometri al secondo non percorrono! Dopo una buona confessione, un’anima ha fatto un balzo di gran lunga più importante sopra le vie della vita eterna.

D. Dopo qualche istante, la rotazione del cielo si scorge.

R. Dopo qualche istante, in una vita, l’azione sacramentale si nota, supposto che rette disposizioni l’accompagnino. Dopo qualche istante, nella storia dei popoli, la loro fedeltà religiosa, funzione della vita sacramentale dei loro elementi, si scorge anche maggiormente.

D. Dici che i sacramenti rispondono, per la loro stessa concezione, a tutto l’insieme della nostra vita: come vi si applicano?

R. Vi sono sette sacramenti, ed è facile vedere che essi abbracciano la vita con un amplesso spirituale completo. La vita corporale nasce, cresce, si nutre, si difende dalle cause di corruzione e di morte, si propaga per generazione e si ordina socialmente in vista della prosperità e della pace. Nell’ordine spirituale, ci vuole altresì una nascita: il Battesimo la procura; una crescenza: ecco l’effetto della Confermazione; una nutrizione: l’Eucaristia vi provvede; uno sforzo di difesa e di eventuale guarigione: ecco lo scopo combinato della penitenza e dell’estrema unzione; una propagazione o nutrizione di specie conforme ai suoi fini religiosi: ecco il matrimonio; finalmente un governo e assetto regolare dei suoi organi: tal è l’oggetto del sacramento dell’ordine.

D. Questi vari riti sono di uguale importanza?

R. Ce ne sono due principali: il Battesimo che corrisponde all’ingresso nella vita, e l’Eucaristia che ne riproduce il fenomeno essenziale: la nutrizione.

D. E quale dei due ha il sopravvento?

R. È l’eucaristia, nello stesso modo che, in biologia, la nutrizione ha la precedenza sulla stessa nascita, visto che la nascita non è che una prima nutrizione. Nello spirituale, tutto viene in certo modo dall’Eucaristia, perché tutto viene da Cristo e dalla virtù di Cristo, immanenti all’Eucaristia. Onde sembra che Gesù abbia voluto riassumere tutte le condizioni della vita spirituale e della salute dicendo: Se voi non mangiate la carne del Figliuol dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi stessi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

D. È dunque Cristo îl vero sacramento?

R. Egli è il vero sacramento. Ed anche gli altri sono veri, ma secondo che lo prolungano e operano mediante la sua Persona. Ogni anima si unisce a Dio, sua salute, a mezzo di contatti successivi che Cristo ha stabilito e di cui l’Eucaristia è il centro di convergenza, come il Battesimo ne è il punto di partenza.

LO SCUDO DELLA FEDE (185)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

c.) Le tre Chiese e la Comunione dei Santi.

D. Hai chiamato la tua Chiesa « l’organizzazione dell’infinito » essa dunque non è tutta nel visibile; dunque non è tutta nel tempo.

R. La nostra Chiesa oltrepassa il tempo e getta il suo amplesso attraverso ai mondi. Essa crede alla continuità della vita in tutti i sensi, sia pure nel mistero e nell’incoscienza, sia pure al di là delle barriere della morte, e ciò che essa crede, la sua propria costituzione consacra. O si canti questa unità nella messa, o la si esprima solamente, tu dovrai confessare che la si proclama a buon diritto.

D. Come la intendi tu?

R. Anzitutto in questo mondo stesso, il regime sociale della grazia non è interamente espresso dalla Chiesa visibile. Come ora vedremo, vi è una Chiesa delle anime, più vasta, incomparabilmente, che il gregge arruolato, — almeno così si spera — una Chiesa delle buone volontà raggiunte da Cristo, coperte de’ suoi meriti, animate dalla sua intima azione, e in unione implicita, fosse pure nell’ignoranza e nella negazione, con l’opera sua sopra la terra. Non è possibile che tra queste due Chiese, o piuttosto in grembo a questa Chiesa unica, la cui anima valica il corpo, non vi siano degli scambi vitali, una comunicazione spirituale, una comunione, come si dice nel linguaggio mistico. Inoltre quando ci si unisce a Cristo e al suo Spirito, non è solo per il tempo, non è solo per il mondo, ma per sempre e dovunque si debba estendere la nostra vita. Quelli che sono morti nel Signore non hanno abbandonato il Signore, dunque non hanno abbandonato, spiritualmente, quelli che essi lasciano nell’esercito visibile. Il Signore e lo Spirito formano il vincolo; la fraternità ha il dovere di esser sempre attiva. Sia che essi godano attualmente la felicità dei santi, sia che si trovino trattenuti nel luogo del dolore espiatore, essi sono i fratelli dei viatori, dei militanti di quaggiù. Ecco quello che si vuole esprimere con questa distinzione di tre Chiese: l’una militante, quella della terra, un’altra paziente, quella del purgatorio, una terza trionfante, quella del cielo. Non è che una famiglia con tre nomi.

D. Come concepisci i rapporti fra questi tre gruppi diversi?

R. Siccome vi si adora lo stesso Dio, si partecipa allo stesso Spirito, si fa corpo in Colui del quale tutte le anime di buona volontà sono i membri, così per il fatto stesso ci si trova impegnati in un mutuo scambio di servizi; per giunta vi si è invitati. Preghiere scambievoli, riversibilità dei meriti sotto il controllo della Provvidenza, diffusione del bene nel campo delle anime, carità con tutti i suoi effetti: tal sarà il regime che si chiama Comunione dei santi, prendendo la parola santo nel senso antico, per indicare ogni essere rigenerato e santificato da Cristo.

D. Tu dici che questa comunione sì effettua ipso facto?

R. È inevitabile. Non è forse di regola che in un ambiente organizzato il bene di un elemento giovi a tutti e il bene di tutti a ciascuno? «Tutti per ciascuno, ciascuno per tutti », questa bella regola positivista è indubbiamente un invito, ma è anche una legge di fatto, dal momento che vi è realmente vita comune. Quest’ultima condizione è indispensabile; perché, come osserva Pascal, non si diventa ricchi perché si vede un estraneo che è ricco; ma bensì perché si vede il proprio padre o il proprio marito che è ricco ». Ma poiché tal è il fatto, in grazia della nostra anima comune che è lo Spirito di Cristo, in grazia dei «legami e delle giunture » che connettono il corpo di Cristo, ne segue l’effetto, anche se nessuno vi pensa.

D. È una strana solidarietà.

R. Di piuttosto sublime. La solidarietà, di cui si parla tanto, non potrebbe trovare espressione più completa. La Comunione dei santi abolisce i limiti dell’essere per rilegarlo all’universale. Ciascuno, per essa, è forte della forza di tutti; ciascuno è compatito dalla pietà di tutti; ciascuno è amato dall’amore di tutti; ciascuno è salvato, per poco che lo voglia, dalla barca di tutti, la barca di Cristo, in seno al gran naufragio della vita.

D. Ma vi è anche una forma deliberata e volontaria di questa comunione?

R. Essa si rivela mediante le preghiere dei vivi per i vivi e per i morti, degli eletti per i viatori e dei pazienti per i combattenti della terra, mediante retrocessioni di meriti che Dio incoraggia e misura, mediante sforzi e sacrifizi consentiti e, in ciò che riguarda specialmente questo mondo, mediante gl’insegnamenti, le esortazioni, i consigli, gli esempi. In mezzo alle anime che dimenticano, ve ne sono che si ricordano per loro; in mezzo ad anime che annegano, ve ne sono che si gettano a nuoto e, con loro rischio riconducono a riva i naufraghi. Si stabilisce così un immenso sistema di soccorso, d’irradiamento spirituale, di santificazione, di felicità. È un’espansione di vita divina regolata secondo le più alte leggi psicologiche e sanzionata dai misericordiosi voleri del nostro Dio. È una gravitazione universale delle anime.

D. Nella Comunione generale dei santi, vi sono comunioni più speciali?

R. Certamente. Le anime formano delle costellazioni, come gli astri. Noi non siamo una polvere di esseri, tutti i nostri legami naturali hanno il loro equivalente soprannaturale e ritrovano i loro effetti.

D. I due ordini, a questo riguardo, vanno di pari passo?

R. No; due fratelli secondo la natura possono essere soprannaturalmente assai distanti; ma non devono essere degli estranei, perché anche la famiglia è in Cristo. In quanto agli estranei secondo la natura che sono soprannaturalmente fratelli, essi allargano l’idea di famiglia e presentano un altro aspetto dei nostri legami.

D. La Comunione dei santi è secondo te un dogma propriamente detto?

R. Lo trovi nel Credo: Io credo… nella Comunione dei santi. E questo dogma particolare, come quello della Chiesa nel suo contenuto molteplice, ripeto, dà la più ampia e più magnifica soddisfazione al nostro senso sociale, a quel desiderio naturale che abbiamo di lavorare a qualche cosa d’immortale, al nostro bisogno di solidarietà, di dedizione scambievole, di comunicazione, di sacrifizio.

D. Siamo noi sociali fino a tal punto?

R. Tali noi siamo per natura, e più per soprannatura; non cessiamo di essere tali se non per il peccato.

D. Questa solidarietà è dunque insieme interna ed esterna, apparente e nascosta?

R. Essa è resa apparente nella Chiesa visibile, e dalla Chiesa visibile si estende sino ai confini dell’invisibile.

D. Gli spiriti puri che tu chiami Angeli ne fanno parte?

R. Vi sono associati di diritto. Infatti è una regola immutabile, dice Bossuet, che gli spiriti che si uniscono a Dio si trovino nello stesso tempo uniti tutti insieme» e formino una sola «città di Dio », avente il medesimo capo che è Dio, la medesima legge che è la carità.

D. Tu mescoli così tutti i cieli e tutte le terre.

R. Noi non mescoliamo niente; distinguiamo tutto; ma sotto un solo governo, non vi è che un solo dominio. I tempi e gli spazi qui non contano niente. Bisogna che vi sia una religione attraverso alle durate, attraverso alle specie delle creature ragionevoli, attraverso ai luoghi abitati e attraverso agli stati, attraverso a tutte le altre differenze oltre alle spirituali. Dio è necessariamente tutto in tutti.

d) La necessità della Chiesa. “Fuori della Chiesa, nessuna salute”.

D. Dopo tutti questi allargamenti, quasi non sì comprende più quello che voi volete dire con questa formula rigida e tagliente come una lama: « Fuori della Chiesa, nessuna salute ».

R. Di fatto è necessario spiegarci, e si può anche pensare che la formula, gettata così, non è felice, perché si presta terribilmente ad equivoco. Tuttavia, sopra il terreno dov’è collocata, ha la sua piena e intera giustificazione.

D. Qual terreno?

R. Quello del diritto, quello del piano divino per la salvezza degli uomini. Vi è Dio; vi è l’Incarnazione; vi è la vita e la morte redentrice; vi è la successione autentica di Gesù per mezzo del gruppo apostolico con Pietro alla sua testa, per mezzo della Chiesa col Papa alla sua testa: tal è l’organizzazione autentica della salute, corrispondente a quello che è la natura umana, a un tempo corpo ed anima, individuale e sociale. Nessuno se ne deve allontanare. Colui che conosce questa organizzazione o che ha il mezzo di conoscerla è giudicato da essa; allontanandosene si perde; abbandona la via, la verità e la vita; esce dall’edifizio non manufatto in cui si trova la porta delle pecorelle, quella per cui devono passare, per andare ai pascoli divini, tutte le pecorelle umane. « Fuori della Chiesa, nessuna salvezza », in questo senso, significa: fuori di Cristo e dei mezzi di Cristo, non vi è nessuna salvezza; fuori di Dio, non vi è nessuna salvezza, ed è una evidenza.

D. Il diritto non è il fatto.

R. Appunto ci arrivo. Il diritto, in ogni materia morale, non esprime che una verità parziale. Fa d’uopo entrare nelle coscienze e conoscere quali sono le loro disposizioni riguardo a Dio, la loro sottomissione ai mezzi di Dio, sia che li conoscano o li ignorino.

D. È possibile essere sottomessi a ciò che non si conosce?

R. Vi si può essere sottomessi per disposizione eventuale, e un’autorità benevola accoglie questa sottomissione.

D. Così sarà uno salvo senza la grazia?

R. Nessuno può essere salvo senza la grazia, poiché essere salvo è entrare nell’ordine soprannaturale ed è la grazia che vi ci introduce. Ma la grazia non è invariabilmente legata a un mezzo esterno qualsisia, benché essa abbia per mezzo ufficiale ed ordinario i Sacramenti della Chiesa. « La grazia di Dio non è incatenata ai Sacramenti », dicono i teologi.

D. Né alla Chiesa stessa?

E. Né alla Chiesa stessa, in ciò che ha di esterno. Alessandro VIII condannò Arnaldo perché negava che vi fosse grazia fuori della Chiesa.

D. Qualche incredulo può dunque avere la grazia?

R. Possono avere la grazia non solo degli increduli, ma anche degli atei, e perfino dei persecutori apparenti, che non sono che dei traviati.

D. Che cosa ci vuole perché l’abbiano?

R. Che siano nella disposizione di ubbidire alla verità che essi ignorano o combattono; che, per trovarla, appena sono nel dubbio, facciano sforzi seri, e intanto pratichino i doveri importanti che sono loro noti.

D. Ma questo non è la fede, e tu dici che la grazia, quando occupa il fondo dell’anima, produce nell’intelletto la fede.

R. Gl’increduli di cui parlo hanno la fede; aderiscono di cuore, e perfino il loro intelletto aderisce implicitamente, per tendenza, «in intenzione » (P. GARDEIL), a tutto ciò che ignorano. I bambini battezzati hanno veramente la fede, benché essi non sappiano niente: il povero incredulo crede di sapere altro; crede di negare; ma attraverso alle negazioni della mente, Dio vede il cuore fedele; anche nella mente, Egli vede l’orientamento, in mancanza dell’oggetto riconosciuto, ed è presente a quel cuore con la sua grazia, artefice di carità soprannaturale, a quella mente per la virtù soprannaturale e segreta della fede.

D. E tu dici che questi individui appartengono alla Chiesa?

R. Sì, in quanto a ciò che fa della Chiesa una società propriamente spirituale, cioè l’unione intima con Cristo e con lo Spirito di Cristo, sia pure nell’incoscienza e nel segreto.

D. È quello che tu chiami l’anima della Chiesa?

R. S. Tommaso lo chiama anche Corpo mistico della Chiesa, il suo corpo nascosto, ed è la stessa cosa.

D. La tua Chiesa è un vivente strano!

R. È un vivente spirituale, un vivente immortale: perciò essa non ha di visibile che una parte di se stessa, e ne ha due invisibili, una nel mondo sopraterrestre, l’altra nei cuori.

D. Ce n’è ancora un’altra, secondo quello che dicevi: quella che precedette la sua nascita storica, formata dei giusti di altri tempi pagani, o Giudei.

R. Sì, poiché Cristo precedette se stesso per l’efficacia anticipata della sua azione; poiché nel pensiero di Dio, « l’Agnello di Dio è stato immolato dall’origine del mondo » ($. GIOVANNI).

D. Si possono chiamare Cristiani i falsi increduli che ora hai descritto?

R. Evidentemente, poiché vivono nell’unione di Cristo. «Vi sono più Cristiani che non si pensi», diceva $. Giustino. Per lui Socrate era un Cristiano; parimenti Seneca per S. Agostino; altrettanto, per S. Tommaso, il centurione Cornelio, in grazia di una «fede implicita ».

D. E gli eretici, gli scismatici?

R. Dal punto di vista in cui siamo, non vi sono eretici e scismatici se non quelli che dal P. Gratry sono chiamati « gli eretici del genere umano », cioè i cattivi.

D. Tu non escludi dalla Chiesa e dalla salute della Chiesa se non i cattivi?

R. Sì, chiamando cattivi coloro che, per malizia o per grave negligenza, si rifiutano ostinatamente alla verità di Dio e alle leggi di Dio.

D. La salute è dunque accessibile a tutti?

R. Dio ci ama a tal segno, che una sola cosa ci può strappare al suo amore: la nostra cattiva volontà.

D. Mi viene un dubbio circa l’autenticità di questa dottrina, così larga e così contraria a quello che si sente generalmente.

R. Mi rallegro teco. Ma ti citerò un’autorità che ti può tranquillare pienamente, poiché si tratta di un Papa vituperato presso gl’inereduli per la sua «intransigenza », il Papa stesso del Sillabo, Pio IX, nella sua celebre allocuzione del 9 dicembre 1854. «La fede, dice egli, obbliga a credere che nessuno può essere salvo fuori della Chiesa cattolica e romana, che è l’unica arca di salute, fuori della quale perirà chiunque non vi entra ».

D. Ma ciò è spaventoso! e tu appoggi là sopra la tua opinione larga?

R. Aspetta! Lì sta quello che ho chiamato il diritto, o se si vuole la verità ufficiale, il piano autentico. Ecco ora il fatto: «Tuttavia bisogna ugualmente tenere per certo che quelli che ignorano la vera religione senza loro colpa, non possono portare agli occhi del Signore la responsabilità di questa condizione ».

D. Ma forse la colpa qui è giudicata per presunzione; o forse ancora si riserva una responsabilità collettiva, come per la « colpa »originale.

R. Ascolta la continuazione: « Ora chi avrà la presunzione di fissare i limiti di questa ignoranza secondo la natura e la varietà dei popoli, dei paesi, degli spiriti e di tante altre circostanze così numerose? Quando sciolti dai vincoli di questo corpo, vedremo Dio tal quale è, noi comprenderemo per quale stretta e magnifica unione sono legate la misericordia e la giustizia divina… Ma i doni della grazia celeste non faranno mai difetto a quelli che, con un cuor sincero, vogliono esser rigenerati da questa luce e la domandano ».

D. È davvero una bella ampiezza; ma allora a che servono le tue opere di apostolato? Se la salute è dovunque, è inutile attirare la gente nella Chiesa visibile.

R. È un grande errore. La salute è dovunque possibile; ma non è dovunque ugualmente probabile, e soprattutto non è ugualmente facile, né ugualmente glorioso per Cristo. A parità di buon volere, non è identica la situazione di colui che è nella Chiesa e di colui che ne è fuori. È forse la medesima cosa abitare in una fredda catapecchia o in una casa ben riscaldata? È forse la medesima cosa ricevere attraverso a fitti strati di nubi una luce diffusa o trovarsi in pieno sole? I mezzi che la Chiesa presenta per l’uso del buon volere sono immensi; essi permettono un progresso molto maggiore e più rapido della vita divina in un’anima; garantiscono quest’anima contro i pericoli formidabili ai quali l’altra resta esposta. Del resto tu dimentichi i bambini non battezzati, i quali, non arrivando all’età della ragione, non possono trarre benefizio né dai supplementi interiori di cui parliamo, né dall’azione collettiva incanalata dai riti. Aggiungi che la gloria esterna di Cristo e il benefizio comune vorrebbero una incorporazione visibile e attiva di tutta l’umanità alla società spirituale, che è come il corpo di Cristo, e, per l’apostolo, ciò è capitale.

D. Credi tu che le Chiese dissidenti, cristiane o pagane, possano servire a questa salute interiore degli individui che tu dichiari possibile dovunque?

R. Per se stesse, le Chiese dissidenti, per Cristo e per l’opera di Cristo, sono delle nemiche. Esse lacerano o disconoscono l’unità che è la legge gloriosa del mondo; esse offrono mezzi di salute che non sono i veri, o che esse restringono ed alterano, a scapito delle anime. Ma anche questa, come per i casi degli individui, non è se non una verità parziale. Infatti, queste Chiese dissidenti, che in tutto ciò che esse hanno di buono riflettono e rappresentano la Chiesa vera, ne possono dunque in proporzione e accidentalmente esercitare il compito. La Chiesa vera le avvolge in una certa maniera, come avvolge tutte le anime figlie di Dio. Utili provvidenzialmente, queste Chiese sono per l’opera autentica della Provvidenza qualcosa come delle dipendenze.

D. Dei ripari, per chi non ha trovato la sua casa?

R. Dei ripari d’occasione: è infatti il nome che loro conviene, nello stesso modo che prima di Cristo la Sinagoga era un asilo autentico provvisorio.

D. Si può dire che Cristo è in questi asili?

R. Egli è dovunque sono i suoi figliuoli, ma non nella stessa maniera. È a Roma in casa sua; a Benares o alla Mecca come presso lo straniero.

D. Ma egli benedice il maomettano, l’indù, l’ortodosso e il protestante di nobile cuore?

R. «Pace in terra agli uomini di buona volontà ».

(Ma colui che si ostina a restar fuori dalla Chiesa di Cristo – pur avendone la possibilità – e a non riconoscerne il Capo nel Vicario successore di s. Pietro, designato dallo Spirito Santo, può esser mai considerato un uomo di buona volontà? Si veda l’opera del Rev. M. Müeller, C. SS. R. nel suo volume: Extra ecclesiam nullus omnino salvatur in ExsurdatDeus.org..

Per l’appartenenza al Corpo mistico, abbiamo la Lettera del Santo Officio all’Arcivescovo di Boiston, dell’8 agosto 1949, che chiarisce definitivamente la questione e tronca ogni libera teologica discussione – ndr. –).

http://chi appartiene al corpo mistico di Cristo e chi no exsurgatdeus.org

LO SCUDO DELLA FEDE (183)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

b) ll Papa.

D. Qual è, esattamente, quel potere centrale che tu attribuisci al Papa?

R. È un potere plenario, perché è quello stesso di Cristo.

D. Uno stesso potere plenario può appartenere così a due persone?

R. È il caso di ogni potere esercitato da un vicario, È proprio dell’essenza di un vicariato di non costituire alcun grado gerarchico nuovo. Un ambasciatore, nei limiti de’ suoi poteri, non è un’autorità posta al di sotto del suo principe: egli esercita l’autorità dello stesso principe. Così il Papa esercita nella Chiesa l’autorità di Cristo; governa nel nome di Cristo, non formando con Lui, come Vicario, se non un solo ed unico potere, e facendo la stessa parte di fondamento, riguardo all’edificio spirituale, congiuntamente a Colui che lo chiamò Pietra, o Roccia, e che ha detto se stesso pietra angolare.

D. Che cosa importa questa autorità?

E. Essa comprende nella loro pienezza e centralizzandoli i tre poteri che ho già menzionato attribuendoli a tutto il gruppo apostolico, cioè il magistero dottrinale, il governo, e il ministero, o potere sacramentale.

D. Riguardo ai Sacramenti stessi, il Papa avrebbe un potere speciale?

R. Relativamente all’azione sacramentale, no; quindi egli non è che un sacerdote e un Vescovo come gli altri; ma in quanto all’uso che se ne fa e in quanto ai riti che lo accompagnano, egli è il primo così come in tutto il resto. È il maestro della liturgia, dispone l’insieme e i particolari del culto divino, a fine di dare alla misticità della Chiesa dei mezzi in rapporto coi tempi, coi luoghi e con le persone.

D. Che cosa intendi per il suo governo?

E. Egli ha un’autorità legislativa plenaria e immediata sopra la Chiesa intera; vale a dire che nel suo dominio, che è quello del soprannaturale, egli può dare ordini a ciascuno e a tutti, individui e gruppi, fedeli, pastori, chiese particolari o Chiesa universale. Con ciò è giudice supremo, e il suo giudizio è naturalmente inappellabile, salvoché, essendo egli uscito dal suo ufficio, non meriti che si dica, come a torto fece Pascal nel momento de’ suoi oblii giansenisti: Ad tuum, Domine Jesu, tribunal appello. Finalmente il potere legislativo e giudiziario del Sommo Pontefice suppone come conseguenza il potere di applicare delle sanzioni; ben inteso, conforme alla natura della sua giurisdizione: donde le pene canoniche, delle quali egli è il supremo dispensatore.

D. Ma che cosa è, principalmente, questo potere dottrinale, questo «magistero » che tu presti al tuo Pontefice? Cristo non ha forse detto parlando di se stesso: Voi non avete che un solo Maestro?

R. Ho spiegato or ora che il magistero del Papa è quello stesso di Cristo. Il Papa non pretende d’insegnare qualsiasi cosa dopo Cristo; ma egli è il capo tra quelli a cui fu detto: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro quello che vi ho detto.

D. Il Papa non è dunque altro che un ripetitore?

E. Se così ti piace. Egli è il capo ripetitore della divina lezione data agli uomini. Egli conferma i suoi fratelli nella fede; organizza il simbolo, lo interpreta, lo difende, dirime da sovrano le questioni che esso suscita, serve di ultimo ricorso nelle dispute che tali questioni non possono mancar di far nascere tra gli uomini.

D. Tu pretendi che, in tutto questo, il Papa è infallibile?

R. Egli è infallibile in condizioni definite, cioè quando parla appunto come giudice della dottrina, nei limiti dell’oggetto assegnato a questa dottrina, e quando, rivolgendosi alla Chiesa universale, intende di obbligarla tutta.

D. Perché l’infallibilità?

R. Un illustre protestante (Augusto Sabatier) ha stabilito

questa proposizione: « Un dogma indiscutibile suppone una Chiesa infallibile ». Egli conclude, da parte sua, col respingere ogni dogma fisso: ma la sua dimostrazione resta.

D. In che consiste essa?

R. Nel dimostrare psicologicamente, socialmente, e nel fatto, quello che diventa un insegnamento, fuori della salvaguardia di un’autorità vivente e indiscutibile. Quest’insegnamento fa capo, salvo illogismi fortunatamente frequenti, a ciò che Andrea Gide chiama «la più grande liberazione », cioè il nulla dottrinale e l’immoralismo.

D. Questo, dici tu, si vede nel fatto?

R. Le sette che presero il loro contegno di riserva sono arrivate a uno sbriciolamento tanto più accentuato, quanto più vivevano; il ristagno di alcune prova semplicemente la loro morte. A questo punto, tra i dissidenti, si scrivono libri sopra libri, per dilucidare questo problema primordiale: qual è l’essenza del Cristianesimo? Durante questo tempo, la Chiesa vive e fa vivere.

D. Anche gli altri vivono

R. È un vivere il dissociarsi? Ogni dissociazione è una cadaverizzazione. La Chiesa vive per la sua unità, e vive potentemente per la sua certezza. L’infallibilità è la forza della Chiesa, perché le dà la piena sicurezza di se stessa di fronte al divino.

D. Si permetterebbe alla Chiesa di affermare se stessa, se non fosse così pronta a condannare tutto.

R. «Una delle condizioni essenziali dell’affermazione è la negazione e la distruzione » (NIETZSCHE).

D. Una tale correlazione ha i suoi limiti. Se la Chiesa facesse delle concessioni, ci si potrebbe intendere con essa; ma si resta offesi della sua intransigenza.

R. L’intransigenza della Chiesa è una conseguenza della sua certezza e dell’urgenza del suo insegnamento. Fare delle concessioni sarebbe per lei un abbandonare ciò che non le appartiene, abbandonare il bene divino, abbandonare il mezzo di salute degli uomini; sarebbe dunque tradire.

D. Per mantenere una verità, la tua Chiesa ne può distruggere altre.

R. Considera quello che la Chiesa distrugge. Che cosa colpiscono i suoi anatemi? Forse idee positive, forse affermazioni che si possono credere feconde? No; ma sempre negazioni, esclusioni, punti di vista parziali che, per la loro parzialità, squilibrano il vero e l’annullano. Nel modernismo, per esempio, ultima delle sue grandi vittime, quello che la Chiesa ha condannato, non è l’immanentismo in ciò che esso ha di positivo, ma un immanentismo opposto alla trascendenza del soprannaturale e a una rivelazione esteriore; non è neppure l’asserzione che la religione fosse un sentimento, ma che essa non fosse che un sentimento, ad esclusione di una dottrina netta e fissa. E così del resto. Ho già detto che il Cattolicismo aduna tutto ciò che vi è di positivo e di sano nelle religioni e nelle filosofie che si dividono il mondo. Dunque i suoi anatemi sono invero degli allargamenti, non degli impedimenti; sono degli inviti a conservare la grande via e ad evitare tutti i sentieri pantanosi.

D. Perché questa brutta parola: anatema?

R. Essere anatema significa essere collocato fuori. Quando fulmina l’anatema, la Chiesa dichiara che questi o quegli non è più suo, e ripeto che non è affatto perché egli affermi qualche cosa, ma perché nega o riduce qualche cosa. – Ciò che si assicura è che l’errore non cade mai sul proprio oggetto della Chiesa, e della Chiesa che pronunzia la sua propria legge, in condizioni che impegnano la sua divina autorità, condizioni che essa stessa definisce nel modo più preciso. Su questo punto si dovrebbe portare la contesa; ma sarebbe invano.

D. Quello che urta ancora è quell’immutabilità, quella rigida fissità, in un mondo dove tutto cambia, e dove è necessario che tutto cambi.

R. Su questo noi ci siamo spiegati. La Chiesa cambia, poiché glielo rimproverano dicendo che ella non fu fedele alle sue origini. Le rimproverano tanto i suoi cambiamenti quanto la sua immutabilità. Bisognerebbe tuttavia scegliere, o piuttosto comprendere. I cambiamenti della Chiesa sono le evoluzioni e gli adattamenti della vita; l’immutabilità della Chiesa è la fissità del tipo e dei caratteri generali della vita. Dato quello che è la Chiesa, organizzazione del soprannaturale, l’immutabilità è in lei di prima necessità; è « la fissità dell’istante in cui l’eterno è entrato nel tempo » (ERIK PETERSON).

D. Lasciamo la Chiesa: sì trattava del Papa; assicurare che egli è infallibile, non è forse un fare di un uomo un Dio?

R. No; come di un flauto, anche se suonato benissimo, non si fa un virtuoso.

D. Il flauto non ha pensiero musicale; il Papa ha un pensiero dogmatico.

R. Il pensiero dogmatico del Papa, secondo che è a lui proprio, non c’impegna in nessun modo; anche certo, esso non appoggia la nostra fede. Certi Papi hanno scritto dei volumi di teologia che si discutono come gli altri, e che hanno molto minore autorità nella Chiesa di quelli del semplice monaco Tommaso d’Aquino.

D. Su che cosa dunque ti appoggi tu qui?

R. Sull’esercizio d’un ufficio garantito da Cristo, che dice: Pietro, io ho pregato. per te, affinché la tua fede non venga meno, e tu conferma i tuoi fratelli.

D. Tu non vedi dunque nel Papa un uomo miracoloso?

R. È un uomo come gli altri; ma il suo compito non è come gli altri.

D. Ad ogni modo tu fai di questo compito qualcosa fuori dell’umanità.

R. Se esso fosse dell’umanità e non la oltrepassasse in qualche modo, come aiuterebbe secolarmente l’umanità stessa ad oltrepassarsi? Si tratta del soprannaturale, in cui l’uomo non ha da se stesso alcuna competenza. Cristo ci ha dato il soprannaturale; ma non è forse noto che una cosa non si conserva se non con gli stessi mezzi che servirono ad acquistarla?

D. Insomma, il tuo Papa fa la parte di un superuomo, dunque è un superuomo.

R. Bisogna lasciare questa interpretazione all’ignoranza, alla mala fede semicosciente o all’imperdonabile leggerezza di alcuni dissidenti. Il nostro Papa non è un superuomo; ma un debole mortale assistito. Egli non trae benefizio da nessun miracolo psicologico. Prima delle sue definizioni, egli non ne è più sicuro di noi; dopo, è tenuto come noi ad aderirvi, come una cosa che lo supera e di cui non è stato che l’organo. Solamente, Cristo ha pregato per lui, e ciò basta. Colui che il Padre esaudisce sempre ha inteso, con questo mezzo, di mantenere nella sua umanità religiosa il minimo di verità indispensabile e i considerandi essenziali delle sue leggi. Noi crediamo quello che Egli disse; noi, poste tutte le condizioni, abbiamo fede nella onnipotente salvaguardia.

D. Come si può esercitare questa salvaguardia?

R. La Provvidenza ha dei mezzi infiniti; questi mezzi si precisano in ciascun caso secondo le circostanze e secondo le esigenze di questo caso. Quello che bisogna ritenere si è che egli non agisce per miracolo; noi non attribuiamo al Papa nessuna rivelazione particolare; egli s’informa come noi; si decide secondo le stesse regole nostre; il suo verdetto è soltanto l’oggetto d’una speciale provvidenza, che rassicura la nostra fede.

D. Il privilegio dell’infallibilità appartiene al Papa esclusivamente?

R. Esso appartiene alla Chiesa; appartiene, in vista della Chiesa, al gruppo apostolico anzitutto, e solo come capo del gruppo apostolico se ne trova investito il Papa personalmente.

D. Dunque i Concilii godono dell’infallibilità.

R. Sì, ma nella loro unità, che non è loro procurata se non dal capo, sotto la dipendenza dal capo. Di modo che un Concilio non presieduto o non confermato dal Papa è senza autorità dottrinale.

D. Qual è il rapporto preciso di queste due infallibilità?

R. L’infallibilità del gruppo apostolico e del corpo episcopale suo successore è un’infallibilità confermata; quella di Pietro e del Papa suo successore è un’infallibilità che conferma. Quello che dice il Concilio senza il Papa, o tanto più contro il Papa, è nullo; quello che dice il Papa senza il Concilio è sufficiente da solo.

D. Da che dipende quest’ultima prerogativa?

R. È una questione di costituzione. Si tratta di sapere se il Papa da se solo, rappresenti sufficientemente la Chiesa, rappresenti sufficientemente il gruppo apostolico organo della Chiesa; ora, appoggiati sulle parole di Cristo e sulla tradizione secolare, confermate tutt’e due e proclamate nel concilio Vaticano, noi diciamo di sì. Non è questa un’esaltazione del Papa come persona: « Considerando la Chiesa come unità, il Papa che ne è il capo, è come tutto. Considerandola come moltitudine, il Papa non ne è che una parte » (PASCAL).

D. Se l’infallibilità è essenziale alla Chiesa, perché è stata definita così tardi?

R. Essa esisteva e si esercitava prima di essere definita, e ciò che era essenziale alla Chiesa era la sua esistenza, era il suo esercizio e non la sua definizione.

D. Ma si esercitava veramente nella sua pienezza?

R. Niente si esercita subito nella sua pienezza, in seno a un organismo vivente. La Chiesa è un vivente, ancora una volta; da principio, tutto si trova in stato embrionale, poi nello stato progressivo, finalmente nello stato compiuto, e il sentimento che se ne ha segue le stesse tappe, perché la vita riconosce se stessa vivendo.

D. Prima del concilio Vaticano, il Papa non sapeva dunque di essere infallibile?

R. Non lo sapeva con la stessa certezza, con una piena certezza di fede.

D. È strano.

E. È invece affatto naturale, se tu ti riferisci alle leggi della vita, aggiungendo che qui si tratta di una vita soprannaturale. L’infallibilità della Chiesa non è altro che la sua vitalità dottrinale conservata e manifestata alla sua ora dallo Spirito che risiede in lei, come il vigore del germe è conservato e manifestato dal « genio della specie » in una discendenza vivente.

D. E che cosa è che decise, finalmente, della definizione?

F. Sembrò venuto il momento, per la Chiesa, di poggiare pienamente in sé; di darsi quella forza di esistere e di operare col suo organismo al completo, in piena luce; di allontanare le contraddizioni, di fissare le esitazioni, che indefinitamente sarebbero possibili, anche nei più fedeli finché la questione di fiducia, se si può parlare così — qui di fiducia divina — non fosse stata posta risolutamente; di vincere anche delle illusioni che, sotto pretesto di « comporsi con la civiltà moderna », tendevano ad assimilare il governo divino della Chiesa alle costituzioni democratiche sparse dovunque, ecc., ecc…. io non pretendo d’immischiarmi in tutte le intenzioni della Chiesa.

D. Come mai questa opportunità non sì produsse se non dopo duemila anni?

R. Perché un uomo non ha la sua piena costituzione se non in un’età avanzata, relativamente al tempo che egli deve passare sopra la terra? I destini della Chiesa coincidono con quelli della nostra stirpe; pensando a una tale vita, universale e onnitemporale, si ha ben il diritto di dire con S. Pietro; Mille anni sono come un giorno, e un giorno come mille anni. L’assestamento definitivo del Papato nel suo compito storico è un fatto parallelo all’assestamento della vera Religione sopra la terra. Qui e là, ci fu un ritardo considerevole, diversamente motivato, ma normale relativamente alle durate d’insieme.

D. Questo fatto nuovo costituisce dunque per te un vero punto di partenza?

R. È un punto di partenza, perché è il Cristo pienamente manifestato e riconosciuto nella sua rappresentanza temporale. Perciò a quei che pretendono che la Chiesa muore io risponderò: la Chiesa incomincia. La coesione interiore e lo splendore delle funzioni centrali è un segno di vita quale non fu mai, poiché è il contrario della cadaverizzazione anarchica. Ogni popolo in procinto di perire lacera se stesso in convulsioni: è la legge universale. Ogni popolo uno, in un ambiente in cui la sua esistenza conserva una ragione di essere, è sicuro dell’avvenire.

D. Vi sarà dunque sempre una Chiesa, e alla sua testa vi sarà sempre un Papa?

R. Vi sarà sempre una Chiesa, perché Cristo ha chiuso per lei le porte della morte. Vi sarà sempre un Papa, se almeno si può chiamare sempre la durata d’un piccolo pianeta e la vita di una umanità alla sua superficie. Nella sua apoteosi ultima, che consisterà nel raggiungere il suo Cristo veniente « sopra le nubi del cielo », il Papato morirà finalmente, ma come muoiono, nel crepuscolo mattutino, nel grande irradiamento che incomincia, le tarde stelle.

LO SCUDO DELLA FEDE (182)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XIX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

a) L’ordine divino della Chiesa

D. Si vede nella tua Chiesa una grande complessità di funzioni: ciò non è forse contrario alla sua unità e alla semplicità del suo oggetto religioso?

R. L’oggetto religioso della Chiesa abbraccia tutta la vita; la sua unità è una unità organica rispondente alle funzioni della vita: la Chiesa dunque dev’essere a un tempo così molteplice e così una come questa vita che essa intende di reggere; è uno spiegamento che si concentra, un concentramento che si spiega.

D. Ha un tipo di organizzazione?

E. Sì, la Trinità, in cui lo spiegamento e il concentramento, compensati, ottengono il loro massimo di ricchezza. Perciò S. Cipriano chiama la Chiesa «un popolo adunato secondo l’unità del Padre, del Figliuolo e dello Spirito », e più brevemente: l’unità di Dio..

D. Ciò supporrebbe un’organizzazione perfetta su tutti i punti.

R. L’ordine della Chiesa è perfetto nel suo principio e imperfetto nelle sue estensioni, perché il suo principio è divino e la sua materia umana. Anche l’anima nostra organizza il nostro corpo come può e non sottomette mai perfettamente i suoi organi. Così lo Spirito di Dio nella Chiesa,

D. La Chiesa è una monarchia, una democrazia, o ha un governo suo proprio?

R. Il governo della Chiesa è necessariamente unico, come il suo caso; ma se si chiama democrazia un governo in cui l’autorità sale e monarchia quello in cui essa discende, la Chiesa è essenzialmente monarchica.

D. Perché ciò?

R. Perché la Chiesa è una società che include Dio, e dovunque è Dio, Egli non può essere che primo. Un governo democratico, in queste condizioni, sarebbe il governo di Dio mediante l’uomo.

D. Ma Dio non governa la Chiesa personalmente?

R. Non la governa visibilmente, ma la governa; non la governa senza intermediari, ma gl’intermediari non operano che nel suo Nome, e perciò questo non modifica affatto la forma del governo, che è sempre quello di uno solo.

D. Quali sono qui gl’intermediari?

R. Dio governa per Cristo, alle cui mani tutto è stato affidato, il quale è capo della stirpe soprannaturale, e che, al di sotto di Dio, o piuttosto congiuntamente con Dio — che gli è unito nell’unità di persona — è il primo nella Chiesa. Donde la tesi classica fra i teologi e recentemente proclamata, della regalità di Cristo; regalità spirituale, di cui la parola Cristo non è che l’espressione, poiché Cristo significa unto, consacrato regalmente, per il governo delle anime.

D. Ciò forma appena un intermediario.

R. Ulteriormente, essendo Cristo sempre presente, ma rientrato nell’invisibile, vi è di Cristo, nella Chiesa, una rappresentanza visibile; infatti fu detto ai Dodici: Come mio Padre ha mandato me, così Io mando voi. Andate e insegnate a tutte le nazioni, e questo è il potere che noi chiamiamo MAGISTERO; Battezzateli nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo, e Fate questo in memoria di me, e questo è il potere sacramentale chiamato MINISTERO; Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me, Quello che voi legherete sopra la terra sarà legato in cielo, e quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto in cielo, e questo è il potere di governo (IMPERIUM), che comprende il legislativo, il giudiziario e l’esecutivo, tutti e tre necessari per un vero governo. Di modo che il collegio dei Dodici nella loro successione autentica, sarà, nel nome di Cristo e di Dio, in unione con Cristo e con Dio, l’autorità prima. Tutto il popolo cristiano dipenderà da loro come il gregge da’ suoi pastori, l’insieme del gregge dipendendo dal loro insieme, e ciascun gregge particolare, richiesto dalle necessità locali dipendendo da ognuno di loro, senza pregiudizio dell’unità che avvolge tutti i gruppi. Finalmente i Dodici e i loro successori non sono essi stessi un gregge amorfo; ma hanno un capo, e vuol dire che Cristo volle darsi una rappresentanza non solo collettiva, ma individuale, con una sopravvivenza visibile, dicendo a uno dei Dodici: Pasci i miei agnelli, vale a dire i fedeli; Pasci le mie pecorelle, vale a dire i pastori, e ancora: Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, come a un maggiordomo, per il quale bisogna passare per andare dal Padrone. Così, partito Cristo, Pietro è un Cristo per procura, per missione e per assistenza, di modo che, nella Chiesa, lui è a capo, lui e i suoi successori, coi quali gli altri Vescovi mantengono lo stesso rapporto che tutto il gruppo episcopale con Cristo e Cristo con Dio. Tal è l’emanazione, la derivazione del sovrano potere nella Chiesa.

D. I protestanti non ammettono punto tutto questo.

R. Non lo potrebbero ammettere; il loro punto di partenza vi si oppone totalmente; ma la colpa sta precisamente nel punto di partenza. Agli occhi dei protestanti, Dio è bensì in relazione con noi per via di Cristo; ma Cristo non è in relazione con noi per via della Chiesa; la corrente di vita si arresta fin dalla sorgente; la socializzazione si effettua non da se stessa, in virtù di una natura delle cose che Dio ha fondata e alla quale Egli si adatta, ma avviene dopo, arbitrariamente, per iniziative individuali e specialmente politiche. Così non è più Cristo che continua a venire a noi per le vie della vita; siamo noi che risaliamo verso di Lui e costituiamo, cammin facendo, degli organi sociali di nostra creazione, organi che saranno, per conseguenza, quello che noi li faremo, il cui governo si stabilirà come noi lo intenderemo, sempre in dipendenza dalla nostra iniziativa e sempre soggetto a revisione.

D. Non è forse il popolo sovrano?

R. L’idea del popolo sovrano nel soprannaturale è di fatto, nel protestantesimo, assai visibile. È la società religiosa nel suo insieme che tiene il potere e che lo delega ai pastori. Salvo che non si lasci questa cura ai principi temporali, proprio indicati per addossarsi dei pesi che incombono ai loro popoli!

D. Sì eviteranno così i conflitti tra la Chiesa e lo Stato.

R. Sì, dopo che la Chiesa sarà stata mangiata dallo Stato.

D. Quali conseguenze traggono i protestanti da questo sistema?

R. Ne segue naturalmente un diritto di controllo, un diritto di resistenza eventuale, un diritto di deposizione delle autorità religiose da parte del popolo o de’ suoi mandatari principali, e molte altre cose ancora, secondo le teorie di ciascuno; perché in ciò come in tutto i protestanti hanno tante idee quante teste.

D. Dai tuoi propri concetti trai tu qualche conseguenza relativamente al governo degli Stati?

R. Bisogna pur concedere ai teorici della regalità che la monarchia, in sé, nell’ideale, è il governo più perfetto, perché l’unità d’ordine ottenuta più o meno in democrazia o in aristocrazia non è che un genere di unità secondaria, che evoca finalmente l’altra. Per questo il governo universale è ultra monarchico, sotto il nome di governo divino. Resta a sapere se un governo ideale risponde a una realtà che non è guari realtà, e se Dio, rappresentato dai capi di Stato, ritrova sufficientemente se stesso.

D. Si ritrova Egli nella Chiesa?

R. Vi si ritrova sufficientemente, perché Egli vi abita per il suo Spirito, il che non è stato promesso alle società temporali. Donde segue che la monarchia è lì di diritto, e, riguardo all’essenziale per lo meno, non vi si offre alcun pericolo di oppressione, sia in ciò che concerne le autorità secondarie, sia in ciò che tocca le libertà.

D. Ciò risponde bene all’idea di organizzazione, che ti è familiare, e che importa, come sembra, un complesso spontaneo di elementi?

R. Un’organizzazione, naturale o artificiale, è un insieme procurato da’ suoi elementi se si riferisce all’esecuzione del piano organico; ma il piano stesso, la sua concezione e la legge della sua evoluzione non sono forniti dagli elementi. Quello che è primo, nella stessa meccanica, è l’idea. Nel corpo vivente è l’anima, Nel corpo Chiesa, quello che è primo è altresì l’anima sua, cioè lo Spirito divino comunicato da Cristo Figliuolo di Dio e dal Padre che lo ha mandato.

D. Qui non si vede né Papa né Vescovi.

R. Aspetta. Nel corpo vivente, quello che è primo dopo l’anima è il sistema nervoso centrale, non le cellule lontane. Nella Chiesa quello che è primo, a titolo di elemento visibile, è il corpo episcopale unito al Papa: encefalo donde, sotto l’azione dello Spirito Santo animatore, procedono e il pensiero, chiamato dogma, e la motricità, che è il governo e tutta la vita venuta da Cristo a benefizio delle anime, mediante l’effusione sacramentale.

D. Dunque, nella Chiesa, il semplice Cristiano sarà unicamente passivo?

R. Nessun elemento è passivo, in un organismo animato. La Religione che ci rilega a Dio non vi ci assorbe punto. Il governo religioso dev’essere un eccitatore di energie, non un accaparratore o un estintore di energie. Io sono venuto, disse Gesù, per mettere il fuoco alla terra, e che cosa desidero se non che esso arda? (Luc., XII, 49).

D. Che parte dunque attribuirai tu alle spontaneità e alle iniziative?

R. Il Cristiano reagisce già sull’autorità per ciò che egli è, e per il modo con cui si comporta sotto il regime della legge. Quest’autorità, divina qui nella sua essenza, non può evidentemente essere influenzata in se stessa; ma dipende ne’ suoi effetti dall’accettazione della nostra libertà e dalla collaborazione dei nostri sforzi. Non siamo dunque governati senza di noi, neppure da essa. A più forte ragione non siamo governati senza di noi dalle autorità umane che, in suo nome, ma con una gradazione di valore e di possibilità, ci reggono. In questo ultimo caso non solo partecipiamo agli effetti del governo, ma in un certo modo anche al governo stesso.

D. Non è un ritorno alla democrazia?

R. Niente affatto. Il corpo vivente non è una democrazia, dicevamo; perchè il principio animatore ha per punto di applicazione immediata e principale il cervello, il sistema nervoso centrale, donde partono le grandi correnti che dirigono tutto il resto. Ma non si ha da dire che l’anima abiti nel cervello esclusivamente; l’anima è da per tutto e da per tutto si rivela; in tal modo che la vita comunicata al cervello a pro delle membra non impedirà una comunicazione diretta alle stesse membra, e ne approfitterà il cervello alla sua volta.

D. Ciò sì applica a una società?

R. Perfettamente. Non vi è monarchia così assoluta che non sia influenzata da nessuno. Un saggio governo organizza le collaborazioni, non le respinge; si circonda di consiglieri; si appoggia sull’opinione dei migliori; esamina il suo popolo prima di proporgli delle leggi. E la ragione è che la legge è un dettato di ragione, e nessuna autorità può pretendere d’incarnare in sé sola la ragione. Parimenti l’autorità religiosa non ha da sé sola il monopolio dello Spirito; essa lo esprime legalmente, e ciò che verrà d’altronde dovrà esser controllato da essa, in tal modo che anche in ciò noi saremo governati, non governanti; ma sapendo che il suo proprio Spirito animatore è dovunque diffuso, animando anche i fedeli e ispirando loro delle verità, provocando in essi degli impulsi, producendo delle grazie, l’autorità religiosa ascolta, nello stesso tempo che parla; essa subisce, pure operando, e quindi il governo è in ciò una vera collaborazione.

D. Democrazia, ancora una volta.

R. Ancora una volta, non si tratta affatto di democrazia; ma quello che non è una democrazia può — ed è il caso di ogni saggio governo — partecipare della democrazia, come anche dell’aristocrazia, in ciò che le autorità secondarie ed anche i sudditi esercitano o influiscono realmente sopra l’autorità senza dividerla. Se è vero, come afferma S. Tommaso d’Aquino, che il migliore governo è quello che unisce la partecipazione di tutti all’azione dei migliori, controllata e centralizzata da un solo, il governo della Chiesa si fa vedere così perfetto quanto è possibile, ed è l’elogio del suo Dio.

D. Pretendi tu che la Chiesa sia la più perfetta società che esista?

R. Essa offre di fatto quello che mai non apparve più grande e più ammirabile come regime sociale. Essa raggiunge l’ideale della concentrazione e della pieghevolezza, dell’autorità efficace e della libera azione. Nulla si potrebbe concepire di più perfetto, e nemmeno altra forma, per un governo che si deve estendere a tutto il mondo.

LO SCUDO DELLA FEDE (181)

Lo scudo 181

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XVIII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

II. — I caratteri divini della Chiesa.

d) La Cattolicità della Chiesa.

D. Che cosa intendi per cattolicità?

R. Questa nota appartiene alla Chiesa secondo che essa è universale, vale a dire adattata a tutti gli uomini, fatta per tutti gli uomini, e, per questo, sciolta da ciò che limita, particolareggia e restringe in un genere qualunque il territorio di azione.

D. Non parli dunque di una universalità di fatto?

R. No, se non in desiderio o in speranza. La Chiesa fu sempre cattolica e non è sempre stata diffusa da per tutto; è lontana, anche oggi, dal raccogliere tutti gli uomini. Ma è universale di diritto. I suoi quadri sono del tutto pronti per ricevere l’umanità intera, per avvolgere le manifestazioni totali della sua vita, La vocazione universale degli uomini è di entrarvi, in tal modo che se non vi entrano e ciò sia per colpa loro, essi sono colpevoli riguardo ad essa e quindi ne fanno parte in certo modo, come transfughi. E se non è affatto per colpa loro, ma a cagione delle circostanze esterne o interne che non escludono punto il buon volere, essi ne fanno parte, perché il loro cuore ne fa parte, avessero pure sulle labbra delle negazioni, avessero pure nella bocca delle bestemmie.

D. Le ragioni della cattolicità sono le medesime che quelle della santità e dell’unità?

R. Esattamente le medesime. La Chiesa, non essendo che l’umanità organizzata in Dio per mezzo di Cristo, si trova essere cattolica per definizione: cattolica in estensione, facendone parte tutte le stirpi a titolo di aderenti o di candidati: cattolica in durata, non avendo i tempi altra missione che di render religiosa tutta l’umanità; cattolica in profondità, perché se ne trovano eliminati gli elementi umani che suscitano i particolarismi, siano essi etnici, nazionali, sessuali, intellettuali, politici, economici o mondani, senza dimenticare il particolarismo dell’io, sorgente delle religioni individualiste. La religione allora si dà pensiero esclusivamente del suo oggetto, che è di rilegare a Dio, Padre di tutti, e a Cristo, Figliuolo dell’Uomo, l’umanità e tutti i suoi membri vagheggiati nella loro unità, vale a dire nel loro fondo, dove non si spiega né si giustifica alcuna tendenza particolarista.

D. Tu ritorni sempre all’idea del germe universale, e alle proprietà di questo germe.

R. È vero. La cattolicità della Chiesa è anzitutto una proprietà; essa qualifica un organismo religioso operante al modo di un fermento, di un germe, potere universale riguardo alla materia che gli è sottomessa. Uno spermatozoo organizza l’animale intero; un po’ di lievito basta a una grossa massa di pasta; con un chicco di frumento si può, col tempo, coprire di semenza il mondo.

D. Il Vangelo non dice qualche cosa di simile?

R. Non faccio altro che riferire i suoi paragoni: Il regno de’ cieli sopra la terra è simile al lievito, che una donna prende e rimescola in tre staia di farina, finché sia levata tutta la massa. – Il regno di Dio è simile a un granellino di senapa, il più piccolo di tutti ì semi, che diventa un albero universale.

D. Il fatto dunque è la prova della proprietà di cui si parla.

R. Esso ne è in realtà la testimonianza. Volendo sapere se un grano è buono, lo si getta nella terra per vedere se germoglierà; ma non è necessario aspettare un grand’albero, e chi fosse dotato di una scienza perfetta si potrebbe contentare dell’analisi intima del granello. Qui, come abbiamo veduto, i due procedimenti si corroborano e i risultati concordano. La Chiesa ha tutto quello che occorre per un’opera universale, ed essa lo fa vedere.

D. Come lo fa vedere?

R. Adattandosi indifferentemente, nel corso della storia, a tutte le razze, a tutte le nazionalità, a tutte le forme intellettuali, a tutte le organizzazioni pratiche, a tutti i governi politici e sociali, a tutti i caratteri individuali, a tutti gli ambienti e a tutti i gradi che essi formano, a tutti gli stati di vita, purché siano rispettati i fini che essa si propone e i metodi indispensabili che li procurano.

D. La tua Chiesa non è forse orientale per la sua origine, romana per la sua costituzione e la sua sede?

R. La Palestina le prestò la sua culla, ma non ve la rinchiuse; Pietro e Paolo la misero subito al largo. Roma la servì, e noi vedremo in qual senso si chiama romana; ma non è affatto in senso restrittivo. Da Roma, come centro, la Chiesa irradia da per tutto. Essa è così poco orientale, che s’incorpora senza difficoltà lo spirito americano; è così poco occidentale, che si adatta al Giappone e lo conquista.

D. Non è particolarista in filosofia, col suo tomismo?

R. La Chiesa preconizza il tomismo, perché secondo il suo giudizio questo sistema di idee fondamentali è più favorevole al bene intellettuale dei credenti e si combina meglio col suo dogma. È la sua filosofia propria, come il canto fermo è la sua musica propria; ma essa non ne fa un obbligo universale più che non imponga il canto fermo ai nostri artisti contemporanei. S. Agostino era platonico; Fénelon era cartesiano; Malebranche aveva una sua filosofia propria; tutti e tre e una pleiade di altri, aderenti a sistemi diversi, professano intellettualmente come praticamente lo stesso Cristianesimo.

D. In politica, la Chiesa non sta per la monarchia?

R. Essa stessa è una monarchia; ma se la intende facilmente con le repubbliche, purché non si chiami repubblica un governo deliberatamente anticristiano.

D. In economia sociale e nella vita quotidiana, essa pare infeudata ai gruppi possidenti, ai potenti, ai padroni.

R. Come sarebbe ciò, quando essa stessa nacque povera, praticò ne’ suoi fervidi inizi il più stretto comunismo, fece sempre onore ai poveri per la loro « eminente dignità » e considerò la ricchezza quasi come una sventura? Fu detto del Cristianesimo che era una religione di poveri, e fu detto che desinava al castello: le due cose sono vere, come dello stesso Salvatore: è vero che era l’amico dei pastori e figurava alle nozze di Cana. Ciò significa che la Chiesa è tutta a tutti, a fine di salvarli tutti.

D. I sistemi sociali che favoriscono i piccoli non le sono sospetti?

R. I sistemi sociali appariscono tanto migliori alla Chiesa quanto più sposano le sue preoccupazioni universali. Ma coloro che più si dànno pensiero dei piccoli, come il socialismo, non mancherebbero del suo favore, se, rinunziando predicare una falsa dottrina di vita, a costituire una ribellione contro i rapporti più naturali degli uomini, e per giunta ad erigersi contro Dio, diventando così delle religioni a rovescio, consentissero a rinchiudersi nel loro oggetto: l’economia sociale.

D. Il tuo sacerdozio esclusivamente mascolino segna un particolarismo dei sessi.

R. Non si tratta punto di particolarismo, ma di divisione dei compiti e di adattamento di ciascuno al compito per il quale è riconosciuto più atto. Fin dal principio fu detto: Non vi è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né donna né uomo; perché voi siete una sola cosa in Gesù Cristo (S. Paolo). La testimonianza mistica di questo sentimento è la Vergine madre. In quanto alle sue testimonianze storiche, esse sono ricordate a sazietà. Ognuno sa che, se la donna ha nelle società moderne una situazione affatto nuova, una personalità morale riconosciuta, punto di partenza della sua emancipazione sociale, essa lo deve alla Chiesa e allo spirito nuovo che recava il suo Vangelo.

D. Il Vangelo non è la Chiesa.

R. Ho già detto che questa distinzione è fittizia. Quello che il Vangelo ha fatto, è la Chiesa che lo ha fatto. Quello che la Chiesa non avesse fatto sarebbe stato nel Vangelo allo stato di lettera morta; nulla di effettivo ne sarebbe uscito.

D. Che cosa intendevi di dire, eliminando dalla Chiesa « un particolarismo dell’io, padre delle religioni individualiste »?

R. Pensavo al protestantesimo, e a ogni dottrina che pretenda di partire dall’io per stabilire un sistema religioso senza radici sociali.

D. La religione non si rivolge all’io?

R. Essa non può partire di lì appunto perché si rivolge all’io. Bisogna che essa prima esista, che sia una vita, alla quale una individualità sarà chiamata ad aggiungersi. La Chiesa deve precedere l’individuo, e non l’individuo la Chiesa.

D. I protestanti non si trovano nello stesso vostro caso? Non hanno chiese in seno alle quali essi nascono religiosamente, che li formano, e che, dopo ciò, la loro libera volontà consacra?

R. Così è veramente, perché non può essere altrimenti; ma ciò contradice la dottrina protestante, e per conseguenza la giudica. I protestanti hanno delle chiese; anzi ne hanno troppe; e tutte sono di troppo, poiché non ce ne vuole che una; ma, secondo la loro teologia, queste Chiese sono formate dopo, per una iniziativa puramente umana, poiché la religione individuale prima esiste sola; di modo che queste Chiese procedono in realtà da un istinto gregario, o da fatti politici, senza nessun rapporto essenziale con l’atto di fede. Non è la religione che qui abbia l’iniziativa della socializzazione: dunque questa religione non è una religione umana, poiché l’uomo è un essere essenzialmente sociale, e più che mai, come lo abbiamo dovuto riconoscere, nel campo religioso. Dunque, finalmente, questa religione non può essere divina; non può rispondere all’incarnazione; essa divide il « Corpo di Cristo » in tante frazioni quanti sono gli uomini, o per dir meglio non lo forma affatto, e quindi non è propriamente cristiana.

D. Tu sei severo!

R. Io espongo una dottrina, che conserva un pieno rispetto alle persone. Dottrinalmente, sono obbligato a dire con Augusto Comte: «I protestanti non sanno che cosa sia una religione »; essi non sono una religione, poiché ignorano la sociabilità propriamente religiosa, non fondandosi religiosamente su una base sociale. Con ciò, ed è quello che volevo dire, essi presentano l’estremo opposto della cattolicità, cioè un individualismo stretto, antropologicamente falso, divinamente offensivo, poiché esso ignora il fiume di vita emanato dalla croce, la grazia sociale da cui ogni vita religiosa individuale procede.

D. Io non sapevo che foste così lontani gli uni dagli altri.

R. Intendimi! Quelli che noi chiamiamo nostri fratelli separati sono vicini a noi in molte cose; per la carità sono vicinissimi al nostro cuore; ma è un fatto che il loro allontanamento è al massimo in ciò che riguarda il concetto della Chiesa. Essi fanno parte di ciò che Bossuet chiama la « moltitudine confusa », nella quale ciascuno prende in se solo il suo pensiero e la sua parola d’ordine, in vece della «moltitudine ordinata», che un pensiero e un impulso venuti da più alto unificano e adunano. Ciò del resto apparirà meglio parlando dell’apostolicità.

e) L’apostolicità della Chiesa.

D. Che cosa è dunque questa apostolicità?

R. È un carattere che si attribuisce alla Chiesa per indicare che essa si riallaccia a Cristo con un vincolo di continuità ininterrotto, un vincolo visibile nello stesso tempo che spirituale, un vincolo sociale. Da ciò si vede, ben manifestato, quello che distingue il cattolico dal protestante, che intende di allacciarsi «a Cristo » direttamente, senza società intermedia, senza continuità visibile, a guisa degli apostoli senza dubbio, ma non per mezzo di loro e dei loro successori.

D. Come sì stabilisce per te la continuità?

R. Il suo punto di partenza è nella scelta dei dodici Apostoli, nella loro investitura come rappresentanti di Gesù, nella loro missione solenne e nella stabilità regolare della loro successione in ciò che riguarda l’autorità, della loro tradizione in ciò che riguarda l’insieme del gruppo. Al principio gli Apostoli sono la Chiesa; noi non possiamo essere oggi la Chiesa, la Chiesa visibile e vera società, senza allacciarci visibilmente e socialmente agli Apostoli. Sono i Dodici che tra Cristo e noi stabiliscono il passaggio. Essi saldano la catena. Sono il primo anello interamente umano. Se vi fosse una rottura; se tutta la catena non dipendesse dal primo anello, non dipenderebbe dunque nemmeno dal pezzo principale semidivino, semiumano che è Cristo; non dipenderebbe dunque da Dio. Siccome essa pretende di dipenderne, non bisogna meravigliarsi di veder chiamare, presso di noi, l’autorità centrale la Sede apostolica, e tutta la Chiesa rivendicare una nota di apostolicità senza la quale essa non sarebbe, autenticamente, questa sintesi del divino e dell’umano inaugurata in Cristo per questa incarnazione permanente, sociale, chiamata la Chiesa.

D. Tu vuoi, insomma, che tutta la tua Chiesa secolare non costituisca che una sola vita?

R. Il tuo pensiero, che è di fatto il nostro, si trova mirabilmente espresso in questa celebre frase di Pascal: « L’umanità è come un uomo unico, che sussiste sempre e impara continuamente », Un vivente è una continuità per evoluzione; l’umanità è una continuità per eredità; la Chiesa è una continuità per comunicazione e per tradizione. E nello stesso modo che il vivente individuale non può essere una continuità senza riallacciarsi vitalmente alla sua culla; nello stesso modo che il genere umano non può essere una continuità senza dipendere ereditariamente dai primi uomini: così la Chiesa non può essere una vita, una unità del genere umano in Dio, per Cristo, se non a patto che essa dipenda da Cristo e da Dio per il tramite dei primi Cristiani, che sono gli Apostoli.

D. Non dici tu che la tua Chiesa è al di sopra del tempo?

R. Anche un uomo è al di sopra del tempo per l’anima sua; ma egli è nel tempo, e l’anima sua con lui, per il suo corpo. Così la Chiesa è al di sopra del tempo per il suo Dio; ma tocca il tempo per il suo Cristo, e prolunga il contatto a mezzo degli Apostoli, poi a mezzo della successione apostolica e della tradizione, per le quali essa si estende verso l’avvenire.

D. Allora l’apostolicità non è una unità nel tempo?

R. Hai detto molto bene, ed è per questo che noi abbiamo intraveduto questa nozione parlando dell’unità stessa.

D. Tuttavia i protestanti pretendono di esser loro quelli che hanno la vera tradizione degli Apostoli.

R. Essi ciò intendono della dottrina, e io ho detto quello che vale questa pretensione. Ma supponendo che i protestanti e non noi, fossero in possesso della dottrina degli Apostoli ciò proverrebbe senza dubbio che noi non siamo apostolici ma non potrebbe provare che lo siano essi. È questa una condizione necessaria, ma non sufficiente. Professare la dottrina di qualcuno, professarla per conto proprio, sotto la propria responsabilità esclusiva, ciò non significa essere in continuità sociale con lui. La vita sociale ha altre esigenze; è una vita collettiva una vita organizzata, che importa la comunanza dei beni, sotto un’autorità che rappresenta la finalità sociale e la serve. Ora, per il protestante, propriamente parlando, non vi è vita sociale cristiana; non autorità centrale; non sacerdozio propriamente detto; non funzione religiosa veramente collettiva; tutto questo non è che minimato, se pure non è eliminato. Allora come parlare di apostolicità nel senso profondo e pieno che importa la teologia cattolica?

D. Non basta forse a se stesso il Cristiano che apre l’anima sua al cielo?

R. Il protestante che apre l’anima sua Dio crede di bastare a se stesso, almeno con la sua Bibbia, e almeno teoricamente; perché di fatto, come abbiamo veduto, egli si affida ad un gruppo, e siccome questo gruppo è privo di attacchi autentici con l’origine della vita che esso crede di trasmettere, si affida al caso. Ma il Cattolico, alla sua volta, non si crede sotto il Cielo e in relazione autentica col cielo se non a patto di essere nel gruppo organizzato che Dio anima, che Dio ha stabilito appunto per questo, che è l’effetto della sua incarnazione temporale e la prolunga attraverso alle età. È possibile, accidentalmente, che uno si attacchi a Dio senza ricorrere alla Chiesa visibile, come diremo più tardi, e già abbiamo suggerito più volte; ma non si tratta qui dell’accidente; noi definiamo il piano, l’ordine normale delle cose, e io constato che nel protestantesimo quest’ordine è distrutto.

D. Gli rimangono Dio e Cristo.

R. Sì, ma contradetti in tutti i loro pensieri, in tutti i loro disegni. Il Dio dei protestanti è individualista; il loro Cristo è un personaggio lontano, al quale essi non sono rilegati se non per mezzo di un libro. E in queste condizioni, i loro apostoli per essi non sono altro che dei protestanti prima del protestantesimo, degli isolati gli uni per rapporto agli altri, degli isolati per rapporto a noi, che siamo altresì degli isolati. Ciò, invece della grande effusione di vita, invece della stretta comunità che, nel concetto cattolico, avvolge i tempi e i luoghi nel suo amplesso immenso.

D. « La persona eterna» di Pascal sembra di fatto un più grande pensiero.

R. Trasferito al soprannaturale, è il pensiero della Chiesa Apostolica.

f) La Chiesa Romana

D. Avevi annunziato degli schiarimenti relativamente alla Chiesa romana.

R. Lo schiarimento essenziale consiste nel dire questo: Chiesa romana e Chiesa apostolica sono tutt’uno.

D. Allora perché queste due parole?

R. L’espressione Chiesa romana vuole indicare che la Chiesa, che si connette agli Apostoli il capo dei quali era Pietro, Vescovo di Roma, ha dunque per capo, nel corso delle età, il successore di Pietro, Vescovo di Roma.

D. È una concentrazione dell’apostolicità?

R. Si tratta di fatto di richiamare l’apostolicità al suo centro. Per connettere la Chiesa attuale al gruppo primitivo che servì di embrione alla Chiesa, non bisogna forse connetterlo al centro dell’unità di questo gruppo rappresentato da Simon Pietro?

D. Simon Pietro non fu sempre Vescovo di Roma?

R. Egli fissò per sempre il centro spirituale del mondo appunto diventando Vescovo di Roma.

D. Il centro spirituale del mondo non è a Gerusalemme, là dove fu piantata la croce?

R. Gerusalemme, città d’Oriente, città del passato religioso degli uomini, fu il punto di partenza delle sacre iniziative; ma non ne è il centro. All’oriente il sole spunta; ma al mezzogiorno si affermano la perseveranza del giorno, la distribuzione regolare delle chiarezze, la potenza di avvolgimento luminoso e la regolazione della vita sopra la terra. Roma è il mezzogiorno del sole Cristiano.

D. Perché Roma?

R. Qui non possiamo far altro che seguire la Provvidenza; le nostre ragioni non pretendono di reggerla. Ma si può osservare che Roma, nel momento che nacque la Chiesa, era per il mondo quello che Pietro era per la Chiesa; Roma era un centro di vita; e come la Città per eccellenza, Urbs, irradiava da per tutto e lanciava le proclamazioni de’ suoi padroni Urbi et Orbi: così nello spirituale, il capo della Chiesa. Questo era antecedentemente figurato da quello e da quello doveva essere servito. La Chiesa, collocata nel cuore del mondo dove essa nasceva, per esercitare subito il suo compito universale, non avrebbe che da seguire le pulsazioni di questo cuore, lanciare come esso, per tutti canali geografici e amministrativi secolarmente preparati, il suo sangue e l’anima sua. È quello che Bossuet descrisse così magnificamente nel suo Discorso sulla Storia universale.

D. Bisogna confessare che è un bell’incontro; ma era necessario?

R. Non era affatto necessario; il cattolicismo avrebbe potuto stabilirsi altrimenti e altrove. Ma Dio si serve naturalmente degli strumenti preparati dalla sua Provvidenza. L’opera dell’incivilimento temporale e l’opera religiosa sono fatte per unirsi: Dio aiuta l’una con l’altra.

D. Roma aiutò la Chiesa; ma che cosa ha fatto la Chiesa per Roma?

R. Se Roma esercita ancora oggi quell’attrazione che fa di essa non la città italiana, ma una città mondiale, godendo della frequenza è dell’ammirazione di un plebiscito universale, e chi lo deve? Le grandi vinte della storia: Memfi, Tebe, Ninive, Babilonia, Atene stessa perirono o si atrofizzarono. In grazia della Rocca evangelica, Roma si sollevò più in alto; salì al mondo dello Spirito e vi rimane. Lo scettro della croce le sarà stato più profittevole che le aquile. Essa aveva conquistato con le armi le rive ammirabili e fertili, ma strette, dopo tutto, del Mediterraneo: per lo Spirito essa conquistò il mondo lontano; entrò in comunicazione coi mondi. E quello che essa aveva perduto alla prima coalizione dei popoli contro di sé, una volta trasferita nel soprannaturale da Cefa, le viene acquistato per sempre.

D. All’inizio, era ben marcato il legame tra il Vescovo di Roma e gli altri pastori di chiese?

R. Era molto debole, e ne dico la ragione generale: l’embrione non è l’uomo. Come ragione particolare, vi è questo che il governo apostolico dava a ciascuno di quelli che avevano goduto del contatto personale di Gesù, che avevano udito le sue parole, una specie di compito universale analogo a quello di Gesù stesso. Una Chiesa che aveva alla sua testa uno dei Dodici si sentiva al sicuro da ogni deviazione. Ora questo governo durò qualche tempo ancora, nei successori immediati che approfittavano ancora delle abitudini acquisite. Il ricorso a Roma, difficile in quel tempo, non sembrava indispensabile. Se ne trovano tuttavia numerose tracce; ma relativamente deboli, e bisognava aspettarselo.

D. Come si fa la transizione?

R. Il potere degli altri vescovi diventa più ristretto alle loro chiese, più locale; quello del vescovo di Roma si universalizza in proporzione, con l’intento di soddisfare i bisogni nuovi di una crescente unità e di una complicazione funzionale che richiede un concentramento più forte.

D. E quando si compie questo concentramento?

R. Nel Concilio Vaticano, con la proclamazione dell’infallibilità personale del Papa e della sua indipendenza dai concili.

D. Non è questo un eccesso?

R. È l’accettazione letterale del testo che ti ho già citato: Tu sei Pietro, e sopra questa pietra io edificherò la mia Chiesa.

D. Ma il dare a Roma un tale primato non era un italianizzare la Chiesa universale?

R. Era un universalizzarla maggiormente, riconducendo all’oceano, dove la barca di Pietro si avanza, i fiumi che si attardavano nelle pianure nazionali.

D. Sembra che vi fossero degli abusi.

E. Ve ne sono sempre; ma un’istituzione secolare non si giudica secondo la misura di minuscoli incidenti.

D. E come interpreti i recenti accomodamenti tra la Roma civile e la Roma apostolica?

E. Non vi fu maggiore avvenimento dopo Pipino il Breve e dopo Costantino. Il Cesare aveva dato alla Chiesa il suo statuto sociale. Il figlio di Carlo Martello, facendo il Papa sovrano, garantiva l’indipendenza dello spirituale in un mondo politico movimentato; ma, in cambio, aggravava il potere religioso delle cure temporali che non tornavano sempre a suo vantaggio. Per il recente accordo, il grave pondo è rigettato, e rimane la garanzia spirituale, fondata oramai sull’accettazione spirituale delle anime e dei popoli.