GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (63) – LA CITTÀ ANTICRISTIANA (3)

LA CITTÀ ANTICRISTIANA (3)

DI P. BENOIT

DOTTORE IN FILOSOFIA E TEOLOGIA DIRETTORE EMERITO DEL SEMINARIO DI PARIGI

SOCIÉTÉ GÉNÉRALE DE LIBRAIRIE CATHOLIQUE

VICTOR PALMÉ, DIRECTEUR GÉNÉRAL

76, rue des Saints-Pères, 76

BRUXELLES SOCIÉTÉ RELGE DE LIBRAIRIE

12, rue des Paroissiens, 1$

GENEVE – HENRI THEMBLEY, ÉDITEUR’, rue Corraterîe, 4

-1886 –

II

LA FRANCO-MASSONERIA O LA SOCIETÀ SEGRETA

ТОМO PRIMO

SEZIONE PRIMA

PIANO IDEALE DEL TEMPIO MASSONICO O SCOPO SUPREMO DELLE SOCIETÀ SEGRETE

III – RAGIONE, VERITÀ, LUCE, GIUSTIZIA, MORALITÀ

28. I settari ripetono spesso che il loro obiettivo è “l’emancipazione della ragione”, “la diffusione della verità”, “l’illuminazione degli uomini”, “il trionfo della virtù e della giustizia”, “l’instaurazione della morale pura”. “La massoneria è lo studio delle scienze e la pratica delle virtù. » “La massoneria serve, con i suoi sublimi principi, a purificare la nostra morale. “Le leggi della Massoneria sono per punire il crimine e per onorare la virtù. “Il bello, il sublime, la vita finalmente, sono dalla parte di coloro che lottano per la luce, per la giustizia (Kropotkine, Parole d’un rivoltato, p. 59.). “Attraverso le tenebre verso la luce”, questo è il motto del massone (Findcl, I principi della franco-massonneria nella vita dei popoli, p. 30.). “Ci riuniamo per costruire templi di virtù e per scavare prigioni per i vizi (3). (3(3) Raccolta preziosa della Mass. adonhiramita, t. I, p. 16, 70, etc.) “Cosa significano queste espressioni nel loro senso più completo?

29. Secondo la teoria massonica, la ragione umana è indipendente e sovrana. Non è giudicata da nessuno, ed è giudice di tutto. Essa non riceve la verità, la crea. “La ragione umana, senza alcun riguardo per Dio, è l’unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male; è legge a se stessa. “(Syllabus. prop. III.) Di conseguenza, come abbiamo già notato, la ragione dell’uomo è sostituita alla Parola di Dio, perché come la Parola di Dio ha “la pienezza della verità che ne è la fonte e la regola, così la ragione umana diventa l’essenza stessa della verità; ne è il principio e l’arbitro. « Io sono – essa dice – l’uguale del Verbo di Dio: similis ero Altissimo. » Ora, agli occhi dei settari, è in questa rivolta della ragione individuale contro ogni autorità, anche divina, è in questa esaltazione dello spirito fino all’adorazione di se stesso, che consiste la “nativa indipendenza della ragione umana”. Gli uomini saranno illuminati”, quando avranno recuperato “la piena libertà di pensiero”. “La verità brillerà pura ai loro occhi quando, rifiutando tutti i pregiudizi provenienti dall’esterno, non avranno altro maestro che la loro ragione stessa.

30. In una parola, quando l’intelligenza finita dell’uomo è in uno stato di rivolta contro le verità rivelate da Dio o insegnate dalla società, e considererà i propri deliri come la “pura verità”, “la ragione sarà perfetta”, “ci sarà la luce piena”, “la verità regnerà”. “Allora sarà innalzato “il tempio della ragione”, “il tempio della verità e della luce””. La ragione è stata deviata, svilita dai sacerdoti; la si è presentata qui come insufficiente, corruttiva (?), come un fanale ingannevole (?), atta a condurre l’uomo fuori strada. Eppure questa ragione è evidentemente l’unica (ad esclusione della rivelazione e della fede), la vera, la più nobile prerogativa che la divinità (la natura) si è compiaciuta di dargli per distinguerlo dai vili animali. È grazie alla Massoneria che oggi, finalmente, l’uomo, come un viaggiatore stanco dei venti e della tempesta, comincia ad aprire gli occhi e, vedendo la luce della ragione, si risolve a prenderla come guida (abiurando la fede) e a camminare con essa verso il porto consolatore della verità (Notizie storiche dell’ordine della franco-mass.. Discorsi pronunciati dalle logge, t. II, p. 324-325.). « Il cammino della storia conduce dalle tenebre alla luce; le Chiese (fonte delle tenebre) crollano nell’abisso dei tempi oscuri, e sulle loro rovine, dio (cioè la natura) costruisce il suo tempio (il tempio luminoso della ragione e della virtù massonica) nel cuore degli uomini che vivono in spirito e per la verità. » (2 Findel, op. cit. p. 69)

31. Come l’intelligenza di ogni uomo è indipendente e sovrana, così la sua volontà è la legge a se stessa. Tutto ciò che il suo cuore vuole è buono, come tutto ciò che la sua ragione pensa è vero. È la volontà che fa il bene, come è lo spirito che fa il vero: « Esagerando la potenza e l’eccellenza della natura, i massoni – dice Leone XIII – mettono solo in essa il principio e la regola della giustizia. » (Encyc. Humanum genus) Questa è la teoria dei settari. Essi danno al cuore corrotto dell’uomo gli stessi attributi dell’impeccabile volontà di Dio, come prima alla sua ragione finita i diritti dell’intelligenza increata. L’uomo, « ponendosi come il cuore di Dio »,(Ez, XXVIII) ebbro al punto di sostituirsi a Dio stesso, proclama che la sua volontà non dipende più dal suo Creatore, ma ha in essa, per la sua essenziale rettitudine, la legge stessa, della virtù, della giustizia e della moralità. « Sarete degli dei – dice la Massoneria agli uomini – poiché avrete in voi stessi, nella vostra volontà naturalmente retta, la legge del bene e del male. (Eritis sicut dii, scientes bonum et malum. Gen. III, 5).

32. In questa teoria, non c’è alcuna inclinazione naturale che l’uomo sia tenuto a reprimere. « I settari – dice Leone XIII seguendo il testo che abbiamo citato sopra – non possono nemmeno concepire la necessità di fare sforzi costanti ed energici per sopprimere le rivolte della natura e controllare i suoi appetiti (Id.). » Poiché la sua volontà è la legge del bene, qualunque cosa voglia, qualunque cosa faccia, tutto ciò che vuole, tutto ciò che fa è santa. Di conseguenza, ciò che finora è stato chiamato leggi morali, obblighi di coscienza, regole di condotta, non è che « un cumulo di pregiudizi »: l’unica regola di condotta è rifiutare tutti i precetti che vengono da una volontà estranea; l’unico obbligo di coscienza è seguire la propria volontà; l’unica legge morale è non avere altra legge che quella della natura, cioè cercare di soddisfarne tutte le tendenze. – Inoltre, « sono queste cosiddette leggi morali che sono la causa di tutto il male che si fa sulla terra; perché, dando alla volontà una falsa direzione, le tolgono la sua naturale rettitudine ». « Abbandonato a se stessa, la natura non fa che il bene; lacerata da precetti tirannici, non riconosce più la sua strada e si smarrisce. » – « Libera, la volontà chiede le sue ispirazioni a se stessa; ed allora tutte le sue azioni sono buone così come essa lo è. Ma, dominata da una volontà estranea, è il giocattolo dell’ambizione e dell’avidità. » E ancora: « Così quindi, si infrangono le leggi della società, e allora si fa il male, perché si crede di farlo; oppure le si osserva, e allora si vive nella coercizione e nella servitù, » cosa che è il più grande crimine che si possa commettere contro la propria natura libera. « Se ci sono tante azioni malvagie nel mondo, è perché ognuno non erge come legge la propria volontà, che ha ricevuto dalla natura per essere sua regola, ma una volontà estranea alla quale non è e non deve essere soggetto. Affinché non ci siano che azioni sante, devono essere abolite tutte le leggi arbitrarie che hanno sostituito l’unica e semplice legge di natura, far recuperare alla volontà la sua piena indipendenza e proclamare la completa emancipazione delle inclinazioni. » Ci stupiremo allora che i settari declamino così spesso contro “la tirannia del Sacerdozio cattolico, e arrivino fin’anche a definire il Vangelo di Gesù Cristo « un codice di immoralità »?

33. La virtù consiste, secondo i moralisti, nella ricerca del bene sovrano. Ora, secondo i settari, la perfezione suprema dell’uomo si trova nell’indipendenza illimitata della sua ragione e dei suoi sensi, in una parola nella libertà. Perciò, secondo essi, ogni atto che tende a liberare se stesso o altri dalle leggi divine o umane è un atto buono; ogni esercizio della propria sovranità essenziale è virtuoso. E in effetti, la bontà degli atti dipende dalla bontà del loro oggetto e del loro fine. Per i Cattolici, il bene sovrano è Dio; quindi, per loro, gli atti che si riferiscono a Dio sono i migliori. Ma per i settari, il bene sovrano è « lo stato di natura, », « la libertà e l’uguaglianza assolute », « la sovranità della ragione », « l’emancipazione dei sensi »; quindi, secondo essi, la virtù consiste nel rifiutare ogni autorità e seguire tutti « i desideri del cuore ». Si è giusti se si dà allo spirito ed alla carne l’indipendenza universale che è loro dovuta; si è colpevoli se si sottopone lo spirito ad un’autorità e la carne ad una legge. Tanto quanto la libertà di pensiero è una virtù sublime, tanto la fede, l’obbedienza, l’umiltà sono crimini abominevoli. – La mortificazione è un peccato contro natura e la lussuria è un dovere. Non siate sorpresi da queste conclusioni. I massoni la cui iniziazione è imperfetta, ammettono il principio, professando che la “libertà” è un bene sovrano dell’uomo, e ne rifiutano le conseguenze in se stesse. Ma i settari la cui “illuminazione” è perfetta, ricevono sia il principio che le conseguenze. « Da quando il sentimento è diventato il punto importante della religione, dice uno di loro, gli articoli di fede del Cristianesimo, una volta così sacri, sono diventati indifferenti. E questa differenza deriva dal fatto che dove il sentimento è dichiarato l’essere soggettivo, l’organo della religione, anche lì è l’essere oggettivo, reale, in una parola il dio. Il carattere religioso del sentimento dipende dalla natura del sentimento in generale, al quale partecipa ogni sentimento particolare, e questa natura è dichiarata santa, ed è in essa che si fonda ogni religiosità. Il sentimento è proclamato così l’assoluto, il divino, e poiché è in sé buono, religioso, cioè santo, non ha forse in sé la sua divinità, non è forse il suo proprio dio? …. Ciò che, di conseguenza, si dichiarerà essere l’infinito, in quanto costituente l’essenza, sarà la natura del sentimento. Dio è il sentimento puro, libero, senza limiti (senza legge). – Qualsiasi altro Dio sarebbe imposto dall’esterno… Il sentimento è dio a se stesso. È dunque solo per viltà di cuore o debolezza d’animo che non si osa confessare (o fare) ciò che i propri sentimenti confessano (o chiedono di fare) in segreto. Bloccati dai retropensieri tradizionali (che hanno insegnato ad arrossire di fronte a certi sentimenti ed a reprimerli), incapaci di comprendere la grande anima (l’essenza divina) del sentimento, avete paura dell’ateismo del vostro stesso cuore. » Eppure, “il sentimento (di cui forse arrossisci e che vuoi combattere) è il tuo Dio” ( Feuerbach, Essenza del Cristianesimo. Trad., p. 33-34.). »

34. Dove porta questa morale massonica? Al culto della Carne. « Vogliamo la libertà. » Quale libertà? « La libertà che rende felici. » È la libertà di pensiero? Che ci importa della libertà di pensiero? Vogliamo la libertà dei piaceri. Così, per gli alti iniziati, la vera libertà non è altro che la licenza dei costum: « Liber – dice Ragon in qualche luogo – era il vero nome del BACCO DEI MISTERI, ed in Grecia si sosteneva che un certo ELEUTHERO O LIBERO (Eleuteros) avesse istituito le ELEUSINI ». Per essi, la vera saggezza consiste nell’immergersi nella voluttà. « In tutte le nostre feste, noi mescoliamo saggezza e piacere. …La fiaccola della saggezza ci porta alla voluttà. » (Raccolta preziosa della massoneria adonhiramita, t. I p. 54, 56). « La virtù unisce due corpi come due cuori. » Non stupiamoci quindi di vedere la “virtù” e la “moralità” massonica guazzare nella fogna profonda. Nella nostra natura corrotta, infatti, ci sono le inclinazioni più vili che sono le più violente. O Dio, Voi avete sempre punito i superbi che si rivoltano contro di Voi, consegnandosi “al senso reprobo” e “alle passioni d’ignominia”.  Quando le sette si sono trovate per la prima volta padrone della Francia, hanno proposto all’adorazione del popolo la “ragione” e la “natura” in una prostituta nuda. Ovunque lo straripamento dei cattivi costumi è legato ai progressi della Massoneria. I veri iniziati lo sanno bene; essi applaudono alla corruzione; perché quando « tutta la carne avrà corrotto il suo essere e la materia avrà soffocato lo spirito, allora « il tempio della virtù » sarà finito.

35. Questa teoria speciale della virtù e della morale, come la teoria generale della libertà e dell’uguaglianza native o dello stato di natura, nasconde un errore molto grave che è al suo centro, cioè la negazione del peccato originale: « L’uomo è nato buono »; – « tutte le sue facoltà sono rette per natura »; « lasciato a se stesso, fa solo il bene », ecc. ecc. Ahimè, tu sostieni, o settario, che « l’uomo è nato buono », che « la sua natura è perfettamente retta », che basta lasciare l’uomo a se stesso perché « tutte le sue tendenze siano oneste e tutte le sue azioni sante ». Non è forse evidente il contrario? Il peccato originale è iscritto a caratteri indelebili nel profondo della nostra natura. Quando il bambino ha già solo pochi mesi, si nota impazienza, rabbia, egoismo, non può ancora parlare, e picchia la sua nutrice. Non è forse naturale per ogni uomo mettere il suo bene particolare al di sopra del bene generale? Non prova spesso un’attrazione violenta per i beni sensibili, mentre è pieno di disgusto per i beni intelligibili? Non appena la ragione si sveglia, si accorge che c’è « una legge delle membra che resiste alla legge dello spirito (Rom. VII, 23 ) » e che la volontà si sente impotente ad abolirla. Tu dici, o settario, che « le cattive tendenze sono il frutto dello stato sociale, che non provengono dalla natura, ma dall’educazione. » Dite il contrario ed avrete detto il vero. La natura « ha accumulato stoltezza nel cuore del bambino (Stultitia colligata est in corde pueri. Prov, XXII, 15.) »; è l’educazione che “dissolve questi fardelli”. « Noi siamo per origine figli dell’ira » (Natura filii iræ. Eph.); è grazie all’aiuto della società domestica, della società civile e soprattutto della società religiosa che diventiamo umani, temperanti, generosi. Nel linguaggio di tutti i popoli, l’ « uomo senza educazione » non è forse « un uomo rozzo, vanitoso ed egoista? » L’esperienza universale non ci insegna forse che ovunque le influenze della famiglia e della Chiesa sono assenti o solo deboli, l’uomo non è che orgoglio e indipendenza di spirito, sensualità e brutalità nella carne?

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (2)

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (2)

PUBBLICATO PER ORDINE DI SUA SANTITÀ PAPA PIO X

La testimonianza del Signore è fedele,

ai piccoli dà sapienza. Salmo XVIII, 7

ROMA – TIPOGRAFIA POLIGLOTTA VATICANA 1920

PRIME NOZIONI DELLA FEDE CRISTIANA.

Chi si accosta a Dio deve credere che Egli è e che premia quelli che lo cercano.

Agli Ebrei, XI, 6

Questa è l’eterna vita, che conoscano te, l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo.

S. Giov.. XVII, 3

1. Chi ci ha creato?

Ci ha creato Dio.

2. Chi è Dio?

Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra.

3. Che significa perfettissimo?

Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione, senza difetto e senza limiti, ossia che È potenza, sapienza e bontà infinita.

4. Che significa Creatore?

Creatore significa che Dio ha fatto dal ì, tutte le cose.

5. Che significa Signore?

Signore significa che Dio è padrone assoluto di tutte le cose.

6. Dio ha corpo come noi? ‘

Dio non ha corpo, ma è purissimo spirito.

7. Dov’è Dio?

Dio è in cielo, in terra ed in ogni luogo: Egli è l’Immenso.

8. Dio è sempre stato?

Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l’Eterno.

9. Dio sa tutto?

Dio sa tutto, anche i nostri pensieri: Egli è l’Onnisciente.

10. Dio può far tutto?

Dio può far tutto ciò che vuole: Egli è l’Onnipotente.

11. Dio può fare anche il male?

Dio non può fare il male; perché non può volerlo essendo bontà infinita; ma lo tollera per lasciar libere le creature sapendo poi ricavare il bene anche dal male.

12. Dio ha cura delle cose create?

Dio ha cura e provvidenza delle cose create, e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita.

13. Per qual fine Dio ci ha creati?

Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in paradiso.

14. Che cos’è il paradiso?

Il paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità, e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male.

15. Chi merita il paradiso?

Merita il paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia.

16. I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, che cosa meritano?

I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale, meritano l’inferno.

17. Che cos’è l’inferno?

L’inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene.

18. Perché Dio premia i buoni e castiga i cattivi?

Dio premia i buoni e castiga i cattivi, perché  è la giustizia infinita.

19. Dio è uno solo?

Dio è uno solo, ma in tre Persone uguali e distinte, che sono la santissima Trinità.

20. Come si chiamano le tre Persone della santissima Trinità?

Le tre Persone della santissima Trinità si chiamano Padre, Figliuolo e Spirito Santo.

21. Delle tre Persone della santissima Trinità si è incarnata e fatta uomo alcuna?

Delle tre Persone della santissima Trinità si è incarnata e fatta uomo la seconda, cioè il Figliuolo.

22. Come si chiama il Figliuolo di Dio fatto uomo?

Il Figliuolo di Dio fatto uomo si chiama Gesù Cristo.

23. Chi è Gesù Cristo?

Gesù Cristo è la seconda Persona della santissima Trinità, cioè il Figliuolo di Dio fatto uomo.

24. Gesù Cristo è Dio e uomo?

Sì, Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo.

25. Perché il Figliuolo di Dio si fece uomo?

Il Figliuolo di Dio si fece uomo per salvarci, cioè per redimerci dal peccato e riacquistarci il paradiso.

26. Che fece Gesù Cristo per salvarci?

Gesù Cristo per salvarci soddisfece per i nostri peccati patendo e sacrificando se stesso sulla Croce, e c’insegnò a vivere secondo Dio.

27. Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?

Per vivere secondo Dio, dobbiamo CREDERE LE VERITÀ RIVELATE da Lui e OSSERVARE I SUOI COMANDAMENTI, con l’aiuto della sua GRAZIA, che si ottiene mediante i SACRAMENTI e L’ORAZIONE.

PREGHIAMO.

O Dio, concedici la grazia di pensare e di fare ciò che è retto, sì che noi, i quali senza di te non possiamo esistere, riusciamo a vivere secondo te. (Orazione Dom. VIII dopo la Pentecoste)Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, Nostro Signore. Così sia.

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA PUBBLICATO PER ORDINE DI SUA SANTITÀ PAPA PIO X

PARTE I.

« CREDO »

OSSIA PRINCIPALI VERITÀ DELLA FEDE CRISTIANA.

Senza la fede è impossibile piacere a Dio. Agli Ebrei, XI, 6

CAPO I.

Misteri principali. – Segno della santa Croce. – Credo

*28. Quali sono le verità rivelate da Dio?

Le verità rivelate da Dio sono principalmente quelle compendiate nel Credo o Simbolo apostolico, e si chiamano verità di fede, perché dobbiamo crederle con piena fede come insegnate da Dio, il quale né s’inganna né può ingannare.

*29. Che cos’è il Credo o Simbolo apostolico?

Il Credo o Simbolo apostolico è una professione dei misteri principali e di altre verità rivelate da Dio per mezzo di Gesù Cristo e degli Apostoli, e insegnate dalla Chiesa.

30. Che cos’è mistero?

Mistero è una verità del tutto superiore ma non contraria alla ragione, che crediamo perché Dio l’ha rivelata.

*31. Quali sono i misteri principali della Fede professati nel Credo?

I misteri principali della Fede professati nel Credo sono due: l’Unità e Trinità di Dio; l’Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

*32. I due misteri principali della Fede li professiamo ed esprimiamo anche in altra maniera?

Professiamo ed esprimiamo i due misteri principali della Fede anche col segno della Croce, che perciò è il segno del Cristiano.

*33. Come si fa il segno della Croce?

Il segno della Croce si fa portando la mano destra alla fronte, e dicendo: In nome del Padre, poi al petto, dicendo: e del Figliuolo; quindi alla spalla sinistra e alla destra, dicendo: e dello Spirito Santo; e si termina con le parole Così sia.

*34. Nel segno della Croce, come esprimiamo noi i due misteri principali della Fede?

Nel segno della Croce, con le parole esprimiamo l’Unità e Trinità di Dio, e con la figura della croce la Passione e la Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

35. È utile fare il segno della Croce?

È utilissimo fare il segno della Croce spesso e devotamente, perché è atto esterno di fede, che ravviva in noi questa virtù, vince il rispetto umano e le tentazioni, e ci ottiene grazie da Dio.

36. Quando è bene fare il segno della Croce?

È sempre bene fare il segno della Croce, ma specialmente prima e dopo ogni atto di religione, prima e dopo il cibo e il riposo, e nei pericoli dell’anima e del corpo.

CAPO II.

Unità e Trinità di Dio.

Credo in Dio Padre onnipotente … in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore …. nello Spirito Santo.

37. Che significa Unità di Dio?

Unità di Dio significa che c’è un Dio solo.

38. Che significa Trinità di Dio?

Trinità di Dio significa che in Dio sono tre Persone uguali, realmente distinte: Padre, Figliuolo e Spirito Santo.

39. Che significa tre Persone realmente distinte?

Tre Persone realmente distinte significa che in Dio una Persona non è l’altra, pur essendo tutte e tre un Dio solo.

40. Comprendiamo noi come le tre Persone divine, benché realmente distinte, sono un Dio solo?

Noi non comprendiamo né possiamo comprendere come le tre Persone divine, benché realmente distinte, sono un Dio solo: è un mistero.

*41. Qual è la prima Persona della santissima Trinità?

La prima Persona della santissima Trinità è il Padre.

*42. Qual è la seconda Persona della santissima Trinità?

La seconda Persona della santissima Trinità è il Figliuolo.

*43. Qual è la tersa Persona della santissima Trinità?

La terza Persona della santissima Trinità è lo Spirito Santo.

44. Perché il Padre è la prima Persona della santissima Trinità?

Il Padre è la prima Persona della santissima Trinità, perché non procede da altra Persona, e da Lui procedono le altre due, cioè il Figliuolo e lo Spirito Santo.

45. Perché il Figliuolo è la seconda Persona della santissima Trinità?

Il Figliuolo è la seconda Persona della santissima Trinità, perché è generato dal Padre, ed è, insieme col Padre, principio dello Spirito Santo.

46. Perché lo Spirito Santo è la tersa Persona della santissima Trinità?

Lo Spirito Santo è la terza Persona della santissima Trinità, perché procede dal Padre e dal Figliuolo.

*47. Ogni Persona della santissima Trinità è Dio?

Sì, ogni Persona della santissima Trinità è Dio.

48. Se ogni Persona divina è Dio, le tre Persone divine sono dunque tre Dei?

Le tre Persone divine non sono tre Dei, ma un Dio solo, perché hanno la stessa unica natura o sostanza divina,

49. Le tre Persone divine sono uguali, o ce n’è una maggiore, più potente e più sapiente?

Le tre Persone divine essendo un solo Dio sono uguali in tutto, e hanno egualmente comune ogni perfezione e ogni operazione; sebbene certe perfezioni e le opere corrispondenti si attribuiscano più all’una Persona che all’altra, come la potenza e la creazione al Padre.

50. Il Padre almeno, fu prima del Figliuolo e dello Spirito Santo?

Il Padre non fu prima del Figliuolo e dello Spirito Santo, perché le tre Persone divine, avendo comune l’unica natura divina che è eterna, sono egualmente eterne.

CAPO III.

Creazione del mondo. Origine e caduta dell’uomo.

Credo in Dio… Creatore del cielo e della terra.

51. Dio perché è detto Creatore del cielo e della terra?

Dio è detto Creatore del cielo e della terra, ossia del mondo, perché lo fece dal nulla, e fare dal nulla è creare.

52. Il mondo è tutto opera di Dio?

Il mondo è tutto opera di Dio; e nella grandezza, bellezza e ordine suo meraviglioso, ci mostra la potenza, la sapienza e la bontà infinita di Lui.

*53. Dio creò soltanto ciò che è materiale nel mondo?

Dio non creò soltanto ciò che è materiale nel mondo, ma anche i puri spiriti; e crea l’anima di ogni uomo.

*54. Chi sono i puri spiriti?

I puri spiriti sono esseri intelligenti senza corpo.

55. Come sappiamo che esistono puri spiriti creati?

Che esistono puri spiriti creati lo sappiamo dalla Fede.

56. Quali puri spiriti creati ci fa conoscere la Fede?

La Fede ci fa conoscere i puri spiriti buoni, ossia gli Angeli, e i cattivi, ossia i demoni.

* 57. Chi sono gli Angeli?

Gli Angeli sono i ministri invisibili di Dio, ed anche nostri Custodi, avendo Dio affidato ciascun uomo ad uno di essi.

58. Abbiamo dei doveri verso gli Angeli?

Verso gli Angeli abbiamo il dovere della venerazione; e verso l’Angelo Custode abbiamo anche quello di essergli grati, di ascoltarne le ispirazionie di non offenderne mai la presenza col peccato.

* 59. I demòni chi sono?

I demoni sono angeli ribellatisi a Dio per superbia e precipitati nell’inferno, i quali, per odio contro Dio, tentano l’uomo al male.

*60. Chi è l’uomo?

L’uomo è un essere ragionevole, composto d’anima e di corpo.

*61. Che cos’è l’anima?

L’anima è la parte spirituale dell’uomo, per cui egli vive, intende ed è libero, e perciò capace di conoscere, amare e servire Dio.

* 62. L’anima dell’uomo muore col corpo?

L’anima dell’uomo non muore col corpo, ma vive in eterno, essendo spirituale.

*63. Qual cura dobbiamo avere dell’anima?

Dell’ anima dobbiamo avere la massima cura, perché essa è in noi la parte migliore e immortale, e solo salvando l’anima saremo eternamente felici.

64. Com’è libero l’uomo?

L’uomo è libero, in quanto che può fare una cosa e non farla, o farne una piuttosto che un’altra come sentiamo bene in noi stessi.

65. Se l’uomo è libero, può fare anche il male

L’uomo può, ossia è capace di fare anche il male; ma non lo deve fare, appunto perché è male, la libertà deve usarsi solo per il bene.

66. Chi furono i primi uomini?

I primi uomini furono Adamo ed Eva, creati immediatamente da Dio: tutti gli altri discendono da essi, che perciò son chiamati i progenitori degli uomini.

67. L’uomo fu creato debole e misero come ora\ siamo noi?

L’uomo non fu creato debole e misero come ora siamo noi, ma in uno stato felice, con destino e con doni superiori alla natura umana.

68. L’uomo, qual destino ebbe da Dio?

L’uomo ebbe da Dio l’altissimo destino di vedere e godere eternamente Lui, Bene infinito; e perché questo è del tutto superiore alla capacità della natura, egli ebbe insieme, per raggiungerlo, una potenza soprannaturale che si chiama grazia.

69. Oltre la grazia, che altro aveva dato Dio all’uomo?

Oltre la grazia, Dio aveva dato all’uomo l’esenzione dalle debolezze e miserie della vita e dalla necessità di morire, purché non avesse peccato, come purtroppo fece Adamo, il capo dell’umanità, gustando del frutto proibito.

70. Che peccato fu quello di Adamo?

Il peccato di Adamo ili un peccato grave di superbia e di disubbidienza.

71. Quali danni cagionò il peccato di Adamo?

Il peccato di Adamo spogliò lui e tutti gli uomini della grazia e d’ogni altro dono soprannaturale, rendendoli soggetti al peccato, al demonio, alla morte, all’ignoranza, alle cattive inclinazioni e ad ogni altra miseria, ed escludendoli dal paradiso.

72. Come si chiama il peccato a cui Adamo assoggettò gli uomini con la sua colpa?

Il peccato a cui Adamo assoggettò gli uomini con la sua colpa, si chiama originale, perché commesso al principio dell’umanità, si trasmette con la natura agli uomini tutti nella loro origine.

73. In che consiste il peccato originale?

Il peccato originale consiste nella privazione della grazia originale, che secondo la disposizione di Dio dovremmo avere ma non abbiamo, perché il capo dell’umanità con la sua disubbidienza ne privò sé e noi tutti, suoi discendenti.

74. Come mai il peccato originale è volontario, e quindi colpa per noi?

Il peccato originale è volontario e quindi colpa per noi, solo perché volontariamente lo commise Adamo quale capo dell’umanità; e perciò Dio non premia col paradiso, ma neppure castiga con tormenti chi abbia solo il peccato originale.

75. L’uomo, a causa del peccato originale, doveva rimaner escluso per sempre dal paradiso?

L’uomo, a causa del peccato originale, doveva rimaner escluso per sempre dal paradiso, se Dio, per salvarlo, non avesse promesso e mandato dal cielo il proprio Figliuolo, cioè Gesù Cristo.

CAPO IV.

 Incarnazione, Passione e Morte del Figliuolo di Dio.

Credo… in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, discese all’inferno, il terso giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

*76. In che modo il Figliuolo di Dio si è fatto uomo?

Il Figliuolo di Dio si è fatto uomo, prendendo un corpo e un’anima, come abbiamo noi, nel seno purissimo di Maria Vergine, per opera dello Spirito Santo.

*77. Il Figliuolo di Dio, facendosi uomo, cessò di esser Dio?

Il Figliuolo di Dio, facendosi uomo, non cessò di esser Dio, ma, restando vero Dio, cominciò ad essere anche vero uomo.

78. In Gesù Cristo sono due nature?

In Gesù Cristo sono due nature: la natura divina e la natura umana.

79. In Gesù Cristo con le due nature sono anche due persone?

In Gesù Cristo con le due nature non sono due persone, ma una sola, quella divina del Figliuolo di Dio.

80. Gesù Cristo come fu conosciuto per Figliuolo di Dio?

Gesù Cristo fu conosciuto per Figliuolo di Dio, perché tale lo proclamò Dio Padre nel Battesimo e nella Trasfigurazione, dicendo: « Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto»; * e perché tale si dichiarò Gesù stesso nella sua vita

terrena. ( s. MATT., III, 17; s. LUCA, IX, 35.)

81. Gesù Cristo è stato sempre?

Gesù Cristo come Dio è stato sempre; come uomo cominciò ad essere dal momento dell’Incarnazione.

*82. Da chi nacque Gesù Cristo?

Gesù Cristo nacque da Maria sempre Vergine, la quale perciò si chiama ed è vera Madre di Dio.

* 83. San Giuseppe non fu padre di Gesù Cristo?

San Giuseppe non fu padre vero di Gesù Cristo, ma padre putativo; cioè, come sposo di Maria e custode di Lui, fu creduto suo padre senza esser tale.

*84. Dove nacque Gesù Cristo?

Gesù Cristo nacque a Betlemme, in una stalla, e fu posto in una mangiatoia.

*85. Perché Gesù Cristo volle esser povero?

Gesù Cristo volle esser povero, per insegnarci ad essere umili e a non riporre la felicità nelle ricchezze, negli onori e nei piaceri del mondo.

86. Che fece Gesù Cristo nella sua vita terrena?

Gesù Cristo, nella sua vita terrena, c’insegnò con l’esempio e con la parola a vivere secondo Dio, e confermò coi miracoli la sua dottrina; finalmente, per cancellare il peccato, riconciliarci con Dio e riaprirci il paradiso, si sacrificò sulla Croce, « unico Mediatore tra Dio e gli uomini ». (1a Timot., II, 5)

87. Che cos’è miracolo?

Miracolo è un fatto sensibile, superiore a tutte le forze e leggi della natura, e perciò tale che può venire solo da Dio, Padrone della natura.

88. Con quali miracoli specialmente, Gesù Cristo confermò la sua dottrina e dimostrò di esser vero Dio?

Gesù Cristo confermò la sua dottrina e dimostrò di esser vero Dio, specialmente col rendere in un attimo la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la salute a ogni sorta d’infermi, la vita ai morti; con l’imperar da padrone ai demoni e alle forze della natura, e soprattutto con la sua risurrezione dalla morte.

*89. Gesù Cristo morì come Dio 0ocome uomo?

Gesù Cristo mori come uomo, perchè come Dio non poteva né patire né morire.

*90. Dopo la morte, che fu di Gesù Cristo?

Dopo la morte, Costi Cristo discese con l’anima al Limbo, dalle anime dei giusti morti fino allora, per condurle seco in paradiso; poi risuscitò, ripigliando il suo corpo che era stato sepolto.

91. Quanto tempo restò sepolto il corpo di Gesù Cristo?

Il corpo di Gesù Cristo restò sepolto tre giorni non interi, dalla sera del venerdì fino all’alba del giorno che ora si dice domenica di Pasqua.

*92. Che fece Gesù Cristo dopo la sua risurresione?

Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni; poi salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

93, Perché Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni?

Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni per mostrare che era veramente risuscitato, per confermare i discepoli nella fede in Lui e istruirli più profondamente nella sua dottrina.

*94. Ora Gesù Cristo è solamente in cielo?

Ora Gesù Cristo non è solamente in cielo, ma come Dio è in ogni luogo, e come Dio e uomo è in cielo e nel santissimo Sacramento dell’altare.

CAPO V .

Venuta di Gesù Cristo alla fine del mondo. – I due giudizi, particolare e universale.

… Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti.

*95. Gesù Cristo tornerà mai più visibilmente su questa terra?

Gesù Cristo tornerà visibilmente su questa terra alla line del mondo per giudicare i vivi e i morti, ossia tutti gli uomini, buoni e cattivi.

*96. Gesù Cristo per giudicarci aspetterà sino alla fine del mondo?

Gesù Cristo per giudicarci non aspetterà sino alla fine del mondo, ma. giudicherà ciascuno subito dopo la morte.

97. Ci sono due giudizi?

Ci sono due giudizi: l’uno particolare, di ciascun’anima, subito dopo morte; l’altro universale, di tutti gli uomini, alla line del mondo.

*98. Di die cosa ci giudicherà Gesù Cristo?

Gesù Cristo ci giudicherà del bene e del male operato in vita, anche dei pensieri e delle omissioni.

99. Dopo il giudizio particolare, che avviene dell’anima?

Dopo il giudizio particolare, l’anima, se è senza peccato e senza debito di pena, va in paradiso; se ha qualche peccato veniale o qualche debito di pena, va in purgatorio finche abbia soddisfatto; se è in peccato mortale, qual ribelle inconvertibile a Dio va all’inferno.

100. I bambini morti senza Battesimo dove vanno?

I bambini morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non godono Dio, ma nemmeno soffrono, perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non meritano il paradiso, ma neppure l’inferno e il purgatorio.

* 101. Che cos’è il purgatorio?

II purgatorio è il patimento temporaneo della privazione di Dio, e di altre pene che tolgono dall’anima ogni resto di peccato per renderla degna di veder Dio.

102. Possiamo noi soccorrere e anche liberare le anime dalle pene del purgatorio?

Possiamo occorrere e anche liberare le anime dalle pene del purgatorio con i suffragi, ossia, con preghiere, indulgenze, elemosine e altre opere buone, sopra tutto con la santa Messa.

103. E certo che esistono il paradiso e l’inferno?

E certo che esistono il paradiso e l’inferno, loha rivelato Dio spesse volte promettendo ai buoni l’eterna vita e il suo stesso gaudio, e minacciando ai cattivi la perdizione e il fuoco eterno.

104. Quanto dureranno il paradiso e l’inferno?

Il paradiso e l’inferno dureranno eternamente.

CAPO VI.

Chiesa cattolica. – Comunione dei santi.

Credo… la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi.

*105. Che cos’è la Chiesa?

La Chiesa e la società dei veri Cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e dottrina di Gesù Cristo, partecipano a’ suoi sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da Lui.

*106. Da chi fu fondata la Chiesa?

La Chiesa fu fondata da Gesù Cristo, il quale raccolse i suoi fedeli in una società, la sottopose agli Apostoli con san Pietro per capo, e le diede il sacrificio, i sacramenti e lo Spirito Santo che la vivifica.

* 107. Qual è la Chiesa di Gesù Cristo?

.La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa Cattolica Romana, perché essa sola è una, santa, cattolica e apostolica, quale Egli la volle.

108. La Chiesa perché è una?

La Chiesa è una, perché tutti i suoi membri ebbero, hanno ed avranno sempre unica la fede, il sacrificio, i sacramenti e il capo visibile, il Romano Pontefice, successore di san Pietro, formando così tutti un solo corpo, il Corpo mistico di Gesù Cristo.

109. La Chiesa perché è santa?

La Chiesa è santa, perché sono santi Gesù Cristo suo capo invisibile, e lo Spirito che la vivifica; perché in lei sono santi la dottrina, il sacrificio e i sacramenti, e tutti son chiamati a santificarsi; e perché molti realmente furono santi, e sono e saranno!

110. La Chiesa perché è cattolica?

La Chiesa è cattolica, cioè universale, perché è istituita e adatta per tutti gli uomini e sparsa in tutta la terra.

111. La Chiesa perché è apostolica?

La Chiesa è apostolica, perché è fondata sugli Apostoli e sulla loro predicazione, e governata dai loro successori, i Pastori legittimi, i quali, senza interruzione e senza alterazione, seguitano a trasmetterne e la dottrina e il potere.

* 112. Chi sono i legittimi pastori della Chiesa?

I legittimi Pastori della Chiesa sono il Papa, oSommo Pontefice e i Vescovi uniti con lui.

*113. Chi è il Papa?

II Papa è il successore di san Pietro ni sede di Roma e nel primato, ossia nell’apostolato ed episcopato universale; quindi il capo visibile, Vicario di Gesù Cristo capo invisibile, di tutta la Chiesa, la quale perciò si dice Cattolica-Romana.

* 114. Il Papa e i Vescovi uniti con lui che costituiscono?

Il Papa e i Vescovi uniti con lui costituiscono la Chiesa docente, chiamata cosi perché ha da Gesù Cristo la missione d’insegnare le verità e le leggi divine a tutti gli uomini, i quali solo da lei ne ricevono la piena e sicura cognizione che è necessaria per vivere cristianamente.

*115. La Chiesa docente può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?

La Chiesa docente non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio: essa è infallibile, perché, come promise Gesù Cristo, « lo Spirito di verità » l’assiste continuamente. *(s. Giov., XV, 26.)

*116. Il Papa, da solo, può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?

Il Papa, da solo, non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio, ossia è infallibile come la Chiesa, quando, da Pastore e Maestro di tutti i Cristiani, definisce dottrine circa la fede e i costumi.

117. Può altra Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, essere la Chiesa di Gesù Cristo, o almeno parte di essa?

Nessuna Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, può essere la Chiesa di Gesù Cristo e nemmeno parte di essa, perché non può averne insieme con quella le singolari distintive qualità, una, santa, cattolica e apostolica; come difatti non le ha nessuna delle altre Chiese che si dicono cristiane.

118. Perché Gesù Cristo istituì la Chiesa?

Gesù Cristo istituì la Chiesa, perché gli uomini trovassero in essa la guida sicura e i mezzi di santità e di salute eterna,

119. Quali sono i mezzi di santità e di salute eterna che si trovano nella Chiesa?

I mezzi di santità e di salute eterna che si trovano nella Chiesa, sono la vera fede, il sacrificio e i sacramenti, e gli aiuti spirituali scambievoli. come la preghiera, il consiglio, l’esempio.

*120. I mezzi di santità e di salute eterna sono comuni a tutti gli uomini?

I mezzi di santità e di salute eterna sonocomuni a tutti gli uomini che appartengono alla Chiesa, cioè ai fedeli, i quali negli scritti apostolici son detti santi: perciò l’unione e partecipazione loro a quei mezzi è comunione di santi in cose sante.

121. Perché sono detti santi i fedeli che si trovano nella Chiesa?

I fedeli che si trovano nella Chiesa sono detti santi, perché consacrati a Dio, giustificati o santificati dai sacramenti, e obbligati a vivere da santi!

122. Che significa comunione dei santi?

Comunione dei santi significa che tutti i fedeli formando un solo corpo in Gesù Cristo, profittano di tutto il bene che si fa nel corpo stesso, ossia nella Chiesa universale.

123. I beati del .paradiso e le anime del purgatorio sono nella comunione dei santi?

I beati del paradiso e le anime del purgatorio sono anch’essi nella comunione dei santi, che, congiunti tra loro e con noi dalla carità, ricevono gli uni le nostre preghiere e le altre i nostri suffragi, e tutti ci ricambiano con la loro intercessione presso Dio.

124. Chi è fuori della comunione dei santi?

È fuori della comunione dei santi chi è fuori della Chiesa, ossia i dannati, gl’infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.

125. Chi sono gl’infedeli?

Gl’infedeli sono i non battezzati che non credono in alcun modo nel Salvatore promesso, cioè nel Messia o Cristo, come gl’idolatri e i maomettani.

126. Chi sono gli ebrei?

Gli ebrei sono i non battezzati che professano la legge di Mosè e non credono che Gesù è il Messia o Cristo promesso.

127. Chi sono gli eretici?

Gli eretici sono i battezzati che si ostinano a non credere qualche verità rivelata da Dio e insegnata dalla Chiesa, per esempio, i protestanti.

128. Chi sono gli apostati?

Gli apostati sono i battezzati che rinnegano, con atto esterno, la fede cattolica già professata.

129. Chi sono gli scismatici?

Gli scismatici sono i battezzati che ricusano ostinatamente di sottostare ai legittimi Pastori, e perciò sono separati dalla Chiesa, anche se non neghino alcuna verità di fede.

130. Chi sono gli scomunicati?

Gli scomunicati sono i battezzati esclusi per colpe gravissime dalla comunione della Chiesa, affinché non pervertano gli altri e siano puniti e corretti con questo estremo rimedio.

131. È grave danno esser fuori della Chiesa?

Esser fuori della Chiesa è danno gravissimo, perché fuori non si hanno né i mezzi stabiliti né la guida sicura alla salute eterna, la quale per l’uomo è l’unica cosa veramente necessaria.

132. Chi è fuori della Chiesa, si salva?

Chi è fuori della Chiesa per propria colpa e muore senza dolore perfetto, non si salva; ma chi ci si trovi senza propria colpa e viva bene, può salvarsi con l’amor di carità, che unisce a Dio, e, in spirito, anche alla Chiesa, cioè all’anima di lei.

CAPO VII.

Remissione dei peccati. – Peccato.

Credo … la remissione dei peccati.

133. Che significa remissione dei peccati?

Remissione dei peccati significa che Gesù Cristo ha dato agli Apostoli e ai loro successori la potestà di rimettere nella Chiesa ogni peccato.

134. Nella Chiesa come si rimettono i peccati?

Nella Chiesa i peccati si rimettono principalmente coi sacramenti del Battesimo e della Penitenza, istituiti da Gesù Cristo a questo fine.

*135. Che cos’è il peccato?

Il peccato è un’ offesa fatta a Dio, disobbedendo alla sua legge.

*136. Di quante specie è il peccato?

Il peccato è di due specie: originale e attuale.

* 137. Qual è il peccato originale?

Il peccato originale è il peccato che l’umanità commise in Adamo suo capo, e che da Adamo ogni uomo contrae per naturai discendenza.

*138. Tra i figli di Adamo fu preservato mai nessuno dal peccato originale?

Tra i figli di Adamo fu preservata dal peccato originale solo Maria santissima; la quale, perché eletta Madre di Dio, fu « piena di grazia », e quindi senza peccato fin dal primo istante; perciò la Chiesa ne celebra l’immacolata Concezione. (s. LUCA, I, 28).

*139. Come si cancella il peccato originale?

Il peccato originale si cancella col santo Battesimo.

*140. Qual è il peccato attuale?

Il peccato attuale è quello che si commette volontariamente da chi ha l’uso di ragione.

* 141. In quanti modi si commette il peccato attuale?

Il peccato attuale si commette in quattro modi,

cioè in pensieri, in parole, in opere e in omissioni.

*142. Di quante specie è il peccato attuale?

Il peccato attuale è di due specie: mortale e veniale.

*143. Che cos’è il peccato mortale?

Il peccato mortale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa grave, fatta con piena avvertenza e deliberato consenso.

144. Perché il peccato grave si chiama mortale?

Il peccato grave si chiama mortale, perché  priva l’anima della grazia divina che è la sua vita, le toglie i meriti e la capacità di farsene de’ nuovi, e la rende degna di pena o morte eterna nell’inferno.

145. Se il peccato mortale rende l’uomo incapace di meritare, è dunque inutile che il peccatore faccia opere buone?

Non è inutile che il peccatore faccia opere buone, anzi deve farne, sia per non divenir peggiore omettendole e cadendo in nuovi peccati, sia per disporsi con esse, in qualche modo, alla conversione e al riacquisto della grazia di Dio.

146. Come si riacquista la grazia di Dio, perduta per il peccato mortale?

La grazia di Dio, perduta per il peccato mortale, si riacquista con una buona confessione sacramentale, o col dolore perfetto che libera dai peccati, sebbene resti l’obbligo di confessarli.

147. Insieme con la grazia, si riacquistano anche i meriti perduti per il peccato mortale?

Insieme con la grazia, per somma misericordia di Dio, si riacquistano anche i meriti perduti per il peccato mortale.

*148. Che cos’è il peccato veniale?

Il peccato veniale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa leggera, o anche in cosa di per sé grave, ma senza tutta l’avvertenza e il consenso.

149. Perché il peccato non grave si chiama veniale?

Il peccato non grave si chiama veniale, cioè perdonabile, perché non toglie la grazia, e può aversene il perdono col pentimento e con buone opere, anche senza la confessione sacramentale.

150. Il peccato veniale è dannoso all’anima?

Il peccato veniale è dannoso all’anima, perché la raffredda nell’amore di Dio, la dispone al peccato mortale, e la rende degna di pene temporanee in questa vita e nell’altra.

151. I peccati sono tutti uguali?

I peccati non sono tutti uguali; come alcuni peccati veniali sono meno leggeri di altri, così alcuni peccati mortali sono più gravi e funesti.

152. Tra i peccati mortali, quali sono più gravi e funesti?

Tra i peccati mortali sono più gravi e funesti i peccati contro lo Spirito Santo e quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio, [Formole 24,25].

153. Perché i peccati contro lo Spirito Santo sono dei più gravi e funesti?

I peccati contro lo Spirito Santo sono dei più gravi e funesti, perché con essi l’uomo si oppone ai doni spirituali della verità e della grazia, e perciò, anche potendolo, difficilmente si converte.

154. I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, perché sono dei più gravi e funesti?

I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, sono dei più gravi e funesti, perché direttamente contrari al bene dell’umanità e odiosissimi, tanto che provocano, più degli altri, i castighi di Dio.

155. Che cosa particolarmente giova a tenerci lontani dal peccato?

A tenerci lontani dal peccato giova particolarmente il pensiero che Dio è da per tutto e vede il segreto dei cuori, e la considerazione dei Novissimi, * ossia di quanto ci attende alla fine di questa vita e alla fine del mondo. *[Formoia26].

CAPO VIII*

Risurrezione della carne. – Vita eterna. – Amen.

Credo… la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

*156. Che cosa ci attende alla fine di questa vita?

Alla fine di questa vita ci attendono i dolori e lo sfacelo della morte e il giudizio particolare.

*157. Che cosa ci attende alla fine del mondo?

Alla fine del mondo ci attende la risurrezione della carne e il giudizio universale.

*158. Che significa risurrezione della carne?

Risurrezione della carne significa che il nostro corpo, per virtù di Dio, si ricomporrà e si riunirà all’anima per partecipare, nella vita eterna, al premio o al castigo da essa meritato.

*159. Che significa vita eterna?

Vita eterna significa che il premio, come la pena, durerà in eterno, e che la vista di Dio sia la vera vita e felicità dell’anima, mentre la privazione di Lui sarà la massima infelicità e come una morte eterna.

160. Che significa la parola Amen?

La parola Amen significa in verità, così è e così sia; e con essa confermiamo esser vero tutto quello che confessiamo nel Credo, e ci auguriamo la remissione dei peccati, la risurrezione alla gloria e la vita eterna in Dio.

PREGHIAMO.

Dà, o Signore, a’ tuoi credenti la costanza e la sincerità della fede in te, sì che fermi nel divino amore, non siano mai divelti per nessuna tentazione dalla integrità in essa. [Postcom. 34 fra le Orazioni diverse del Messale] Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, ecc.

PARTE II.

COMANDAMENTI DI DIO PRECETTI DELLA CHIESA – VIRTÙ

OSSIA MORALE CRISTIANA.

Se vuoi entrare alla vita, osserva i comandamenti. S. MATT., XIX, 17.

Se mi amate, osservate i miei comandamenti. S. Giov., XIV, 15.

CAPO I.

Comandamenti di Dio.

§ 1. – Comandamenti di Dio in generale.

161. Che cosa sono i comandamenti di Dio?

I comandamenti di Dio o Decalogo sono le leggi morali che Dio nel Vecchio Testamento diede a Mosè sul monte Sinai, e Gesù Cristo perfezionò nel Nuovo.

162. Che cosa c’impone il Decalogo?

Il Decalogo c’impone i più stretti doveri di natura verso Dio, noi stessi e il prossimo, come pure gli altri doveri che ne derivano, per esempio, quelli del proprio stato.

163. 1 nostri doveri verso Dio e verso il prossimo a che si riducono?

I nostri doveri verso Dio e verso il prossimo si riducono alla carità, cioè al « massimo e primo comandamento » dell’amor di Dio, e a quello « simile » dell’amor del prossimo: «da questi due comandamenti, disse Gesù Cristo, dipende tutta la Legge e i Profeti ». – * * S. MATT., XXII, 38-40; Formola 14.

164. Perché il comandamento dell’amor di io è il massimo comandamento?

Il comandamento dell’amor di Dio è il massimo comandamento, perché chi l’osserva amando Dio con tutta l’anima, osserva certamente tutti gli altri comandamenti.

165. I comandamenti di Dio si possono osservare?

I comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni, con la grazia che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore.

**166. Siamo obbligati a osservare i comandamenti? di Dio?

Siamo obbligati a osservare i comandamenti di Dio, perché sono imposti da Lui, nostro Padrone supremo, e dettati dalla natura e dalla sana ragione.

167. Chi trasgredisce i comandamenti di Dio, pecca gravemente?

Chi deliberatamente trasgredisce anche un solo comandamento di Dio in materia grave, pecca gravemente contro Dio, e perciò merita l’inferno!

168. Nei comandamenti che cosa si deve notare?\

Nei comandamenti si deve notare ciò che ordinato e ciò che è proibito.

§ 2. – Comandamenti di Dio in particolare.

PRIMO COMANDAMENTO.

*169. Che ci ordina il primo comandamento Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori che me?

Il primo comandamento lo sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori che me ci ordina di essere religiosi, cioè di credere in Dio e di amarlo, adorarlo e servirlo come l’unico vero Dio, Creatore e Signore di tutto.

*I70). Che ci proibisce il primo comandamento?

Il primo comandamento ci proibisce l’empietà, la superstizione, l’irreligiosità; inoltre l’apostasia, l’eresia, il dubbio volontario e l’ignoranza colpevole delle verità della Fede.

171. Che cos’è empietà?

Empietà è il rifiuto a Dio d’ogni culto.

172. Che cos’è superstizione?

Superstizione è il culto divino o di latria reso a chi non è Dio, o anche a Dio ma in modo non conveniente: perciò l’idolatria o il culto di false divinità e di creature; il ricorso al demonio, agli spiriti e ad ogni mezzo sospetto per ottener cose umanamente impossibili; l’uso di riti sconvenienti, vani o proibiti dalla Chiesa

173. Che cos’è irreligiosità?

Irreligiosità è l’irriverenza a Dio e alle cose divine, come la tentazione di Dio, il sacrilegio o profanazione di persona o di cosa sacra, la simonia o compra e vendita di cose spirituali o connesse con le spirituali.

174. Sé il culto delle creature è superstizione, come non è superstizione il culto cattolico degli Angeli e dei Santi?

Il culto cattolico degli Angeli e dei Santi non è superstizione, perché non è culto divino o di adorazione dovuta a Dio solo: noi non li adoriamo come Dio, ma li veneriamo come amici di Dio e per i doni che hanno da Lui, quindi per onor di Dio stesso che negli Angeli e nei Santi opera meraviglie.

175. Chi sono i Santi?

I Santi sono coloro che, praticando eroicamente le virtù secondo gl’insegnamenti e gli esempi di Gesù Cristo, meritarono special gloria in cielo e anche in terra, dove, per autorità della Chiesa, sono pubblicamente onorati e invocati.

176. Perché veneriamo noi anche il corpo dei Santi?

Noi veneriamo anche il corpo dei Santi, perché servì loro a esercitare virtù eroiche, fu certamente tempio dello Spirito Santo, e risorgerà glorioso alla vita eterna.

177. Perché veneriamo anche le minime reliquie e le immagini dei Santi?

Veneriamo anche le minime reliquie e le immagini dei Santi per loro memoria e onore, riferendo ad essi tutta la venerazione, affatto diversamente dagl’idolatri, che rendono alle immagini o idoli un culto divino.

178. Dio nel Vecchio Testamento non proibì severamente le immagini?

Dio nel Vecchio Testamento proibì severamente le immagini da adorare, anzi quasi tutte le immagini, come occasione prossima d’idolatria per gli Ebrei, i quali vivevano fra gli idolatri ed erano molto inclinati alla superstizione

SECONDO COMANDAMENTO.

*l79. Che ci proibisce il secondo comandamento non nominare il nome di Dio invano?

Il secondo comandamento: non nominare il nome di Dio invano ci proibisce di disonorare il Nome di Dio: perciò di nominarlo senza rispetto; di bestemmiare Dio, la santissima Vergine, i Santi e le cose sante; di far giuramenti falsi, non necessari o in qualunque modo illeciti.

180. Che cos’è il giuramento?

Il giuramento è chiamar Dio in testimonio di ciò che si afferma o che si promette; perciò chi giura il male e chi spergiura, offende sommamente Dio che è la Santità e la Verità.

181. È grande peccato la bestemmia?

La bestemmia è grande peccato, perché  ingiuria e scherno di Dio o de’ suoi Santi, e spesso anche orribile eresia.

*188. Che ci ordina il secondo comandamento?

Il secondo comandamento ci ordina di avere sempre riverenza per il nome santo di Dio, e di adempiere i voti e le promesse giurate.

183. Che cos’è il voto?

Il voto è la promessa fatta a Dio di qualche bene a Lui gradito, al quale ci obblighiamo per religione.

TERZO COMANDAMENTO.

*184.- Che ci ordina il terso comandamento ricordati di santificare le feste?

Il terzo comandamento ricordali di santificare le feste ci ordina di onorare Dio nei giorni di festa, con atti di culto esterno, dei quali per i Cristiani l’essenziale è la santa Messa.

185.- Perché dobbiamo fare atti di culto esterno? non basta adorar Dio, che è Spirito, internamente nel cuore?

Non basta adorar Dio internamente nel cuore, ma dobbiamo anche rendergli il culto esterno comandato, perché siamo soggetti a Dio in tutto l’essere, anima e corpo, e dobbiamo dare buon esempio; ed anche perché altrimenti si perde lo spirito religioso.

* 186. Che ci proibisce il terso comandamento?

Il terzo comandamento ci proibisce nei giorni di festa le opere servili.

*187. Quali opere si dicono servili?

Si dicono opere servili i lavori manuali propri degli artigiani e degli operai.

188. Sono tutte proibite nei giorni di festa le opere  servili?

Nei giorni di festa sono proibite tutte le opere servili non necessarie alla vita e al servizio di Dio, e non giustificate dalla pietà o da altro grave motivo.

189. Come conviene occupare i giorni di festa?

Conviene occupare i giorni di festa a bene dell’anima, frequentando la predica e il catechismo, e compiendo qualche opera buona; e anche a riposo del corpo, lontani da ogni vizio e dissipazione.

QUARTO COMANDAMENTO.

*190. Che ci ordina il quarto comandamento onora il padre e la madre?

Il quarto comandamento onora il padre e la madre ci ordina di amare, rispettare e ubbidire, i genitori e chiunque ha potestà sopra di noi, cioè i nostri superiori in autorità.

*191. Che ci proibisce il quarto, comandamento?

Il quarto comandamento ci proibisce di offendere i genitori e i superiori in autorità e di disubbidirli.

192. Perché dobbiamo ubbidire ai superiori in autorità?

Dobbiamo ubbidire ai superiori in autorità perché  « non c’è potestà se non da Dio; … pertanto chi resiste alla potestà resiste all’ordinamento di Dio ».*

* Ai Rom., XIII, 1, 2.

QUINTO COMANDAMENTO

* l93. Che ci proibisce il quinto comandamento non ammazzare?

Il quinto comandamento non ammazzare ci proibisce di recar danno alla vita sì naturale che spirituale del prossimo e nostra; perciò ci proibisce l’omicidio, il suicidio, il duello, i ferimenti, le percosse, le ingiurie, le imprecazioni e lo scandalo.

194. Perché è peccato il suicidio?

Il suicidio è peccato, come l’omicidio, perché Dio solo è padrone della nostra vita, come di quella del prossimo: inoltre è peccato di disperazione che, di più, toglie con la vita la possibilità di pentirsi e di salvarsi.

195. La Chiesa ha stabilito pene contro il suicida?

La Chiesa ha stabilito la privazione della sepoltura ecclesiastica contro il suicida responsabile dell’atto compiuto.

196. Perché è peccato il duello?

Il duello è peccato, perché è sempre un attentato di omicidio, e, anche, quasi di suicidio, fatto per vendetta privata, in disprezzo della legge e della giustizia pubblica; inoltre perché con esso stoltamente si rimette la decisione del diritto e del torto alla forza, alla destrezza e al caso.

197. La Chiesa ha stabilito pene contro i duellanti?

La Chiesa ha stabilito la scomunica contro duellanti e contro chiunque volontariamente assiste al duello.

198. Che cos’è scandalo?

Scandalo è dare al prossimo, con qualunque atto cattivo, occasione di peccare.

199. Lo scandalo è peccato grave?

Lo scandalo è peccato gravissimo, e Dio domanderà conto del male che si fa commettere ad altri con perfidi eccitamenti e con cattivi esempi: « guai all’uomo per colpa del quale viene lo scandalo ». *

*S. MATT., XVIII, 7.

*200. Che ci ordina il quinto comandamento? •„.*.’

Il quinto comandamento ci ordina di voler bene a tutti, anche ai nemici, e di riparare il male corporale e spirituale fatto al prossimo.

SESTO COMANDAMENTO.

*201. Che ci proibisce il sesto comandamento non commettere atti impuri?

Il sesto comandamento non commettere atti impuri ci proibisce ogni impurità: perciò le azioni, le parole, gli sguardi, i libri, le immagini, gli spettacoli immorali.

*202. Che ci ordina il sesto comandamento?

Il sesto comandamento ci ordina di essere « santi nel corpo », portando il massimo rispetto alla propria e all’altrui persona, come opere di Dio e tempi dove Egli abita con la presenza e con la grazia.

SETTIMO COMANDAMENTO.

* 203. Che ci proibisce il settimo comandamento non rubare?

Il settimo comandamento non rubare ci proibisce di danneggiare il prossimo nella roba: perciò proibisce i furti, i guasti, le usure, le frodi nei contratti e nei servizi, e il prestar mano a questi danni.

*204. Che ci ordina il settimo comandamento?

Il settimo comandamento ci ordina di restituire la roba degli altri, di riparare i danni colpevolmente arrecati, di pagare i debiti e la giusta mercede agli operai.

205. Chi, potendo, non restituisce o non ripara, otterrà perdono?

Chi, potendo, non restituisce o non ripara, non otterrà perdono, anche se a parole si dichiari pentito.

OTTAVO COMANDAMENTO.

*206. Che ci proibisce l’ottavo comandamento non dir falsa testimonianza?

L’ottavo comandamento non dir falsa testimonianza ci proibisce ogni falsità e il danno ingiusto dell’altrui fama: perciò, oltre la falsa testimonianza, la calunnia, la bugia, la detrazione o mormorazione, l’adulazione, il giudizio e il sospetto temerario.

*207. Che ci ordina l’ottavo comandamento?

L’ottavo comandamento ci ordina di dire a tempo e luogo la verità, e d’interpretare in bene possibilmente, le azioni del prossimo.

*208. Chi ha danneggiato il prossimo nel buon nome accusandolo falsamente o sparlandone, a che cosa è obbligato?

Chi ha danneggiato il prossimo nel buon nome accusandolo falsamente o sparlandone, deve riparare, per quanto può, il danno arrecato.

NONO COMANDAMENTO.

*209. Che ci proibisce il nono comandamento non desiderare la donna d’altri?

Il nono comandamento non desiderare la donna d’altri ci proibisce i pensieri e i desidèri cattivi.

*210. Che ci ordina il nono comandamento?

Il nono comandamento ci ordina la perfetta purezza dell’anima e il massimo rispetto, anche nell’intimo del cuore, per il santuario della famiglia!

DECIMO COMANDAMENTO.

*211. Che ci proibisce il decimo comandamento nel desiderare la roba d’altri?

Il decimo comandamento non desiderare la roba d’altri ci proibisce l’avidità sfrenata delle ricchezze, senza riguardo ai diritti e al bene del prossimo.

*212. Che ci ordina il decimo comandamento?

Il decimo comandamento ci ordina di essere giusti e moderati nel desiderio di migliorare la propria condizione, e di soffrire con pazienza le strettezze e le altre miserie permesse dal Signore a nostro merito, poiché « al regno di Dio dobbiamo arrivare per via di molte tribolazioni ». *

*Atti XIV, 21

CAPO II.

Precetti generali della Chiesa.

213. Che cosa sono i precetti generali della Chiesa?

I precetti generali della Chiesa sono leggi con le quali essa, applicando i comandamenti di Dio, prescrive ai fedeli alcuni atti di religione e determinate astinenze.

214. Come ha la Chiesa autorità di far leggi e precetti?

La Chiesa ha autorità di far leggi e precetti, perché l’ha ricevuta nella persona degli Apostoli da Gesù Cristo, l’Uomo-Dio; e perciò chi disubbidisce alla Chiesa, disubbidisce a Dio medesimo.

215. Nella Chiesa chi può far leggi e precetti?

Nella Chiesa possono far leggi e precetti il Papa e i Vescovi come successori degli Apostoli, ai quali Gesù Cristo disse: « Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me ». *

*s. LUCA, X, 16.

PRIMO PRECETTO.

216. Che ci ordina il primo precetto udir la Messa la domenica e le altre feste comandate?

Il primo precetto udir la Messa la domenica e le altre feste comandate ci ordina di assistere devotamente in tali giorni alla santa Messa.

217. Chi non ascolta la Messa nei giorni di precetto, fa peccato grave?

Chi, senza vero impedimento, non ascolta la Messa nei giorni di precetto, e chi non dà modo a’ suoi dipendenti di ascoltarla, fa peccato grave e non adempie il comandamento divino di santificare le feste.

SECONDO PRECETTO.

218. Che ci proibisce il secondo precetto con le parole non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti?

Il secondo precetto con le parole non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti, ci proibisce di mangiar carne nel venerdì, giorno della Passione e Morte di Gesù Cristo, e in alcuni giorni di digiuno. *

* Vedi Append. II in fine.

219. Che cosa ordina il secondo precetto con le parole digiunare nei giorni prescritti?

Il secondo precetto con le parole digiunare nei giorni prescritti ordina di osservare il digiuno ecclesiastico nella Quaresima, nelle quattro Tempora e in alcune vigilie.

220. A che obbliga il digiuno ecclesiastico?

Il digiuno ecclesiastico obbliga all’astinenza da determinati cibi, e da altri pasti oltre il pranzo: è consentita però mia seconda refezione leggera.

221. Chi è obbligato al digiuno ecclesiastico?

Al digiuno ecclesiastico è obbligato ogni fedele dai ventun anni compiuti ai sessanta incominciati se non ne sia scusato per infermità, per lavori gravosi o per altra giusta ragione.

222. Perché la Chiesa c’impone astinenze e digiuni?

La Chiesa c’impone in conformità dell’esempio e della dottrina di Gesù Cristo, astinenze e digiuni, per penitenza dei peccati, per mortificazione della gola e delle passioni, e per altre necessità particolari.

TERZO PRECETTO.

223. Che ci ordina il terso precetto confessarsi almeno una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua?

Il terzo precetto confessarsi almeno una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua ci ordina di accostarci alla Penitenza almeno una volta l’anno, e all’Eucaristia almeno nel tempo di Pasqua.

224. Perché la Chiesa, imponendo di confessarci e comunicarci una volta l’anno, aggiunge la parola almeno?

La Chiesa, imponendo di confessarci e comunicarci una volta l’anno, aggiunge la parola almeno per ricordarci l’utilità, anzi il bisogno di ricevere spesso, come è suo desiderio, questi sacramenti.

QUARTO PRECETTO.

225. Che ci ordina il quarto precetto: sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze?

Il quarto precetto sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze ci ordina di fare le offerte stabilite dall’autorità o dall’uso, per il conveniente esercizio del culto e per l’onesto sostentamento dei ministri di Dio.

QUINTO PRECETTO.

226. Che proibisce il quinto precetto: non celebrare solennemente le nozze nei tempi proibiti?

Il quinto precetto non celebrar solennemente le nozze nei tempi proibiti proibisce la Messa e la benedizione speciale degli sposi, dall’Avvento a tutto il giorno di Natale, e dal primo giorno della Quaresima a tutto il giorno di Pasqua.

CAPO III.

Virtù.

§ 1. – Virtù in generale – Virtù teologali.

227. Che cos’ è la virtù?

La virtù è una costante disposizione dell’anima a fare il bene.

228. Quante specie di virtù ci sono?

Ci sono due specie di virtù: le virtù naturali, che acquistiamo ripetendo atti buoni, come quelle che si dicono morali; e le virtù soprannaturali che non possiamo acquistare e nemmeno esercitare con le sole nostre forze, ma ci vengon date da Dio, e sono le virtù proprie del Cristiano.

*229. Quali sono le virtù proprie dei Cristiano?

Le virtù proprie del cristiano sono le virtù soprannaturali e specialmente la fede, la speranza e la carità, che si chiamano teologali o divine, perché hanno Dio stesso per oggetto e per motivo.

230. Come riceviamo ed esercitiamo noi le virtù soprannaturali?

Noi riceviamo le virtù soprannaturali insieme con la grazia santificante, per mezzo dei sacramenti o per l’amore di carità, e le esercitiamo con le grazie attuali dei buoni pensieri e delle ispirazioni con cui Dio ci muove e ci aiuta in ogni atto buono.

231. Tra le virtù soprannaturali qual è la più eccellente?

Tra le virtù soprannaturali la più eccellente è la carità, perché è inseparabile dalla grazia santificante, ci unisce intimamente a Dio e al prossimo, ci muove alla perfetta osservanza della Legge e a ogni opera buona, e non cesserà mai: in essa sta la perfezione cristiana.

FEDE.

*232. Che cos’è la fede?

La fede è quella virtù soprannaturale per cui crediamo, sull’autorità di Dio, ciò che Egli ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa.

233. Ciò che Dio ha rivelato e ci propone a credere per messo della Chiesa, dove si conserva?

Ciò che Dio ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa, si conserva nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.

234. Che cos’è la Sacra Scrittura?

La Sacra Scrittura è la raccolta dei libri scritti per ispirazione di Dio nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, e ricevuti dalla Chiesa come opera di Dio stesso.

235. Che cos’è la Tradizione?

La Tradizione è l’insegnamento di Gesù Cristo e degli Apostoli, fatto a viva voce, e dalla Chiesa trasmesso fino a noi senza alterazione.

236. Chi può con autorità farci conoscere internamente e nel vero senso le verità contenute nella Scrittura e nella Tradizione?

La Chiesa sola può con autorità farci conoscere interamente e nel vero senso le verità contenute nella Scrittura e nella Tradizione, perché a lei sola Dio affidò il deposito della Fede e mandò lo Spirito Santo che continuamente l’assiste, affinché non erri.

237. Basta credere in generale le verità rivelate da Dio?

Non basta credere in generale le verità rivelate da Dio, ma alcune, cioè l’esistenza di Dio rimuneratore e i due misteri principali, si debbono credere anche con espresso atto di fede.

SPERANZA.

*238. Che cos’è la speranza?

La speranza è quella virtù soprannaturale per cui confidiamo in Dio e da Lui aspettiamo la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla quaggiù con le buone opere.

239. Per qual motivo speriamo da Dio la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla?

Speriamo da Dio la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla; perché Egli, infinitamente buono e fedele, ce le ha promesse per i meriti di Gesù Cristo; perciò chi diffida o dispera, l’offende sommamente.

CARITÀ.

*240. Che cos’è la carità?

L a carità è quella virtù soprannaturale per cui amiamo Dio per se stesso sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi per amor di Dio.

241. Perché dobbiamo amare Dio?

Dobbiamo amare Dio per se stesso, come il sommo Bene, fonte d’ogni nostro bene; e perciò dobbiamo anche amarlo sopra ogni cosa « con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze ». *

* s. MARCO, XII, 30.

242. Perché dobbiamo amare il prossimo?

Dobbiamo amare il prossimo per amor di Dio che ce lo comanda, e perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio, come noi, ed è nostro fratello.

243. Siamo obbligati ad amare anche i nemici?

Siamo obbligati ad amare anche i nemici, perdonando le offese, perché sono anch’essi nostro prossimo, e perché Gesù Cristo ce ne ha fatto espresso comando.

§ 2. – Esercizio degli atti di fede, di speranza e di carità – Consigli evangelici.

244. Quando dobbiamo fare atti di fede, di speranza e di carità?

Dobbiamo fare atti di fede, di speranza e di carità molte volte nella vita, e, in particolare, quando abbiamo tentazioni da vincere o importanti doveri cristiani da compiere, e nei pericoli di morte.

245. È bene fare spesso atti di fede, di speranza e di carità?

È bene fare spesso atti di fede, di speranza e di carità, per conservare, accrescere e rafforzare virtù tanto necessarie, che sono come le parti vitali dell’«uomo spirituale».

248. Come dobbiamo fare atti di fede, di speranza e di carità?

Dobbiamo fare atti di fede, di speranza e carità col cuore, con la bocca e con l’opera, dandone prova nella nostra condotta.

247. Come si dà prova della fede?

Si dà prova della fede confessandola e difendendola, quando occorra, senza timore e senza rispetto umano, e vivendo secondo le sue massime: «la fede senza le opere è morta».*

*s. GIAC., II, 26

248. Come si dà prova della speranza?

Si dà prova della speranza non turbandosi per le miserie e contrarietà della vita, e nemmeno per le persecuzioni; ma vivendo rassegnati, sicuri delle promesse di Dio.

249. Come si dà prova della carità?

Si dà prova della carità osservando i comandamenti ed esercitando lo opere di misericordia*, e se Dio chiama, seguendo i consigli evangelici.

*Form. 21, 22

250. Che cosa sono i consigli evangelici?

I consigli evangelici sono esortazioni che Gesù Cristo fece nel Vangelo ad una vita più perfetta, mediante la pratica di virtù non comandate.

251. Quali sono i principali consigli evangeli

I principali consigli evangelici sono: la povertà volontaria, la castità perpetua e l’obbedienza perfetta.

§ 3. – Virtù morale e vizio – Beatitudini evangeliche

252. Che cos’è la virtù morale?

La, virtù morale è l’abito di fare il bene, acquistato ripetendo atti buoni.

*253. Quali sono le principali virtù morali?

Le principali virtù morali sono: la religione che ci fa rendere a Dio il culto dovuto, e le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, che ci fanno onesti nel vivere.

254. Perché le virtù cardinali son così chiamate?

Le virtù cardinali son così chiamate, perché  sono il cardine, cioè il sostegno delle altre virtù morali.

255. Che cos’è la prudenza?

La prudenza è la virtù che dirige gli atti al debito fine, e fa discernere e usare i mezzi buoni.

256. Che cos’è la giustizia?

La giustizia è la virtù che fa dare a ciascuno ciò che gli è dovuto.

257. Che cos’è la fortezza?

La fortezza è la virtù che fa affrontare senza temerità e senza timidezza qualunque difficoltà o pericolo, e anche la morte, per il servizio di Dio e per il bene del prossimo.

258. Che cos’è la temperanza?

La temperanza è la virtù che frena le passioni e i desidèri, specialmente sensuali, e modera l’uso dei beni sensibili.

259. Che cosa sono le Passioni?

Le passioni sono commozioni o moti violenti dell’anima che, se non sono moderati dalla ragione, trascinano al vizio, e, spesso, anche al delitto.

260. Che cos’è il vizio?

Il vizio è l’abitudine di fare il male, acquistata ripetendo atti cattivi.

261. Quali sono i vizi principali?

I vizi principali sono i sette vizi capitali, * chiamati così perché sono capo e origine degli altri* Vizi e peccati.

*Formula 23

262. Quali sono le virtù opposte ai visi capitali?

Le virtù opposte ai vizi capitali sono: l’umiltà, la liberalità, la castità, la pazienza, la sobrietà, la fraternità e la diligenza nel servizio di Dio.

263. Gesù Cristo ha raccomandato in particolare qualche virtù morale?

Gesù Cristo ha raccomandato in particolare alcune virtù morali, chiamando, nelle otto Beatitudini evangeliche, beato chi le esercita.*

264. Dite le Beatitudini evangeliche.

1 « Beati i poveri in spirito, perché di questi è il regno de’ cieli.

2 Beati i mansueti, perché questi erediteranno la terra.

3 Beati quelli che piangono, perché saranno consolati.

4 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

5 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

6 Beati i mondi di cuore, perché vedranno Dio “

7 Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio.

8 Reati i perseguitati per amor della giustizia, perché di questi è il regno de’ cieli ». * * S. MATT., V, 3-10.

265. Perché Gesù Cristo, nelle Beatitudini evangeliche, disse beate, contrariamente all’opinione del inondo, le persone umili e tribolate?

Gesù Cristo, nelle Beatitudini evangeliche, disse beate, contrariamente all’opinione del mondo, le persone umili e tribolate, perché avranno premio speciale da Dio; e c’insegnò così ad imitarle, senza curare le fallaci massime del mondo.

266. Possono essere veramente felici quelli che seguono le massime del mondo?

Quelli che seguono le massime del mondo non possono essere veramente felici, perché non cercano Dio, loro Signore e loro vera felicità; e così non hanno la pace della coscienza, e camminano verso la perdizione.

PREGHIAMO.

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo meritare quello che ci promettesti, fa’ che amiamo quanto comandi. * Fa’, o Dio onnipotente, che noi sempre pensiamo cose ragionevoli, e nel parlare e nell’operare eseguiamo quelle che a te piacciono. * Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, ecc.

* Orazione della Domenica XIII dopo la Pentecoste.

* Orazione della Domenica VI dopo l’Epifania.

* PARTE III.

MEZZI DELLA GRAZIA.

SEZIONE I.

SACRAMENTI O MEZZI PRODUTTIVI!

Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. [S. MARCO XVI, 16]

Se non mangerete la carne del Figliuolo dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. [S. Giov. VI, 54

Saran rimessi i peccati a chi lì rimetterete; e saran ritenuti a chi li riterrete. [S. Giov. XX, 23]

CAPO I.

Sacramenti in generale.

*267. che cosa sono i sacramenti?

I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Gesù Cristo per santificarci.

268. Perché i sacramenti sono segni efficaci della grazia?,

I sacramenti sono segni della grazia, perché con le loro parti, che sono sensibili, significano o indicano quella grazia invisibile che conferiscono; e  sono segni efficaci, perché significando la grazia, realmente la conferiscono.

269. Quale grazia conferiscono i sacramenti?

I sacramenti conferiscono la grazia santificante e la grazia sacramentale.

270. Che cos’è la grazia santificante?

La grazia santificante è quel dono soprannaturale, inerente all’anima nostra e perciò abituale che ci rende santi, cioè giusti, amici e figli adottivi di Dio, fratelli di Gesù Cristo ed eredi del paradiso.

271. Che cos’è la grazia sacramentale?

La grazia sacramentale è il diritto alle grazie speciali necessarie per conseguire il fine proprio di ciascun sacramento.

272. Chi ha dato ai sacramenti la virtù di conferire la grazia?

Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, ha dato ai sacramenti la virtù di conferire la grazia, che Egli stesso ci ha meritato con la sua Passione e Morte.

*273. Come ci santificano i sacramenti?

I sacramenti ci santificano, o col darci la prima grazia santificante che cancella il peccato, o coll’accrescerci quella grazia che già possediamo.

* 274. Quali sacramenti ci danno la prima grazia?

Ci danno la prima grazia il Battesimo e la Penitenza, che si chiamano sacramenti dei morti, perché donano la vita della grazia alle anime morte per il peccato.

*275. Quali sacramenti ci accrescono la grazia?

Ci accrescono la grazia la Cresima, l’Eucaristia, l’Estrema Unzione, l’Ordine e il Matrimonio, che si chiamano sacramenti dei vivi, perché chi li riceve, deve già vivere spiritualmente per la grazia di Dio.

*276. Chi riceve un sacramento dei vivi sapendo di non essere in grazia di Dio, commette peccato?

Chi riceve un sacramento dei vivi sapendo di non essere in grazia di Dio, commette peccato gravissimo di sacrilegio, perché riceve indegnamente una cosa sacra

*277. Che dobbiamo fare per conservar la grazia dei sacramenti? ,

Per conservare la grazia dei sacramenti dobbiamo corrispondere con l’azione propria, operando il bene e fuggendo il male.

278. Quali sono i sacramenti più necessari per salvarsi?

I sacramenti più necessari per salvarsi sono i sacramenti dei morti, cioè il Battesimo e la Penitenza, perché danno la prima grazia o la vita spirituale.

279. Il Battesimo e la Penitenza sono egualmente necessari?

Il Battesimo e la Penitenza non sono egualmente necessari, perché il Battesimo è necessario a tutti, nascendo tutti col peccato originale; la Penitenza, invece, è necessaria a quelli che, dopo il Battesimo, han, perduto la grazia peccando mortalmente.

280. Se il Battesimo è necessario a tutti, può salvarsi nessuno senza Battesimo?

Senza Battesimo nessuno può salvarsi; quando però non si possa ricevere il Battesimo di acqua, basta il Battesimo di sangue, cioè il martirio sofferto per Gesù Cristo, oppure il Battesimo di desiderio che è l’amor di carità, desideroso dei mezzi di salute istituiti da Dio.

*281. Quante volte si possono ricevere i sacramenti?

I sacramenti si possono ricevere alcuni più volte, altri una volta sola.

*282. Quali sacramenti si ricevono una volta sola?

Si ricevono una volta sola il Battesimo, la Cresima e l’Ordine.

*283. Perché il Battesimo, la Cresima e l’Ordine si ricevono una volta sola?

Il Battesimo, la Cresima e l’Ordine si ricevono una volta sola, perché imprimono nell’anima un carattere permanente, operando una consacrazione perpetua dell’uomo a Gesù Cristo, la quale lo distingue da chi non l’abbia.

*284. Che cos’è il carattere?

Il carattere è un segno distintivo spirituale che non si cancella mai.

*285. Qual carattere imprimono nell’anima il Battesimo, la Cresima e l’Ordine?

Il Battesimo imprime nell’anima il carattere di Cristiano; la Cresima quello di soldato di Gesù Cristo; l’Ordine quello di suo ministro.

*286. Quante cose si richiedono per fare un sacramento?

Per fare un sacramento si richiedono tre cose: la materia, la forma, e il ministro, il quale abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

*287. Che cos’è la materia del sacramento?

Materia del sacramento è l’elemento sensibile che si richiede per farlo, come l’acqua nel Battesimo.

*288. Che cos’è la forma del sacramento?

Forma del sacramento sono le parole che il ministro deve proferire nell’atto stesso di applicare la materia.

*289. Chi è il ministro del sacramento?

Ministro del sacramento è la persona capace che lo fa o conferisce, in nome e per autorità di Gesù Cristo.

CAPO II.

Battesimo.

*290. Che cos’è il Battesimo?

Il Battesimo è il sacramento che ci fa Cristiani. cioè seguaci di Gesù Cristo, figli di Dio e membri della Chiesa.

291. Qual è la materia del Battesimo?

Materia del Battesimo è l’acqua naturale.

*292. Qual è la forma del Battesimo?

Forma del Battesimo sono le parole Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

*293. Chi è ministro del Battesimo?

Ministro del Battesimo è, d’ordinario, il sacerdote, ma, in caso di necessità, può essere chiunque, anche un eretico o infedele, purché abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

*294. Come si dà il Battesimo?

Il Battesimo si dà versando l’acqua sul capo del battezzando e dicendo nello stesso tempo le parole della forma.

295. Quali effetti produce il Battesimo?

Il Battesimo conferisce la prima grazia santificante e le virtù soprannaturali, togliendo il peccato originale e gli attuali, se v i sono, con ogni debito di pena per essi dovuta; imprime il carattere di Cristiano e rende capace di ricevere gli altri sacramenti.

296. Il Battesimo trasforma l’uomo?

Il Battesimo trasforma l’uomo nello spirito e lo fa come rinascere rendendolo un uomo nuovo; perciò allora gli si dà un nome conveniente, quello di un Santo che gli sia esempio e protettore nella vita di Cristiano.

297. Chi riceve il Battesimo a che cosa si obbliga?

Chi riceve il Battesimo, diventando Cristiano, si obbliga a professar la Fede e ad osservar la Legge di Gesù Cristo; e perciò rinunzia a quanto vi si oppone.

298. A che si rinunzia nel ricevere il Battesimo?

Nel ricevere il Battesimo si rinunzia al demonio, alle sue opere e alle sue pompe.

299. Che s’intende per opere e pompe del demonio?

Per opere e pompe del demonio s’intendono i peccati, le vanità del mondo e le sue massime perverse, contrarie al Vangelo.

300. I bambini nel Battesimo come rinunziano al demonio?

I bambini nel Battesimo rinunziano al demonio per mezzo dei padrini.

301. Chi sono i padrini nel Battesimo?

I padrini nel Battesimo son quelli che presentano alla Chiesa il battezzando, rispondono in suo nome se è bambino, assumendosi, quali padri spirituali, la cura della sua educazione cristiana, se vi mancassero i genitori, e perciò debbono essere buoni Cristiani.

302. Siamo noi obbligati a mantener le promesse e le rinunzie fatte dai padrini a nome nostro nel Battesimo?

Siamo obbligati a mantener le promesse e le rinunzie fatte dai padrini a nome nostro nel Battesimo, perché esse c’impongono solo quello che Dio impone a tutti, e che dovremmo noi stessi promettere per salvarci.

303. I genitori o chi ne tiene il luogo, quando debbono mandare il bambino al Battesimo?

I genitori o chi ne tiene il luogo, debbono mandare il bambino al Battesimo non più tardi di otto dieci giorni; anzi conviene assicurargli subito la grazia e la felicità eterna, potendo egli molto, facilmente morire.

CAPO III.

Cresima o Confermazione.

*304. Che cos’è la Cresima o Confermazione?

L a Cresima o Confermazione è il sacramento che ci fa perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo, e ce ne imprime il carattere.

305. Qual è la materia della Cresima?

Materia della Cresima è il sacro crisma, cioè l’olio misto con balsamo, consacrato dal Vescovo il giovedì santo.

306. Qual è la forma della Cresima?

Forma della Cresima sono le parole Ti segno col segno della Croce, e ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

*307. Chi è ministro della Cresima?

Ministro della Cresima è il Vescovo, e, straordinariamente, il sacerdote che ne abbia facoltà dal Papa,

308. Il Vescovo come amministra la Cresima?

Il Vescovo, stese le mani sopra i cresimandi, invoca lo Spirito Santo, poi col sacro crisma unge in forma di croce la fronte di ciascuno, pronunziando le parole della forma, quindi gli dà un leggero schiaffo dicendo: La pace sia con te; e alla fine benedice solennemente tutti i cresimati.

*309. In che modo la Cresima ci fa perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo?

La Cresima ci fa perfetti Cristiani e soldati di Gesù Cristo dandoci l’abbondanza dello Spirito Santo, cioè della sua grazia e de’ suoi doni, i quali ci confermano o rafforzano nella fede e nelle altre virtù contro i nemici spirituali.

310. A qual età è bene ricevere la Cresima?

È bene ricevere la Cresima all’età di sette anni circa, perché allora sogliono cominciare le tentazioni, e si può abbastanza conoscere la santità e la grazia di questo sacramento.

*311. Chi riceve la Cresima, quali disposizioni deve avere?

Chi riceve la Cresima deve essere in grazia di Dio, e, se ha l’uso di ragione, deve conoscere i misteri principali della Fede, e accostarsi al sacramento con divozione, profondamente compreso di ciò che il rito significa.

312. Che significa il sacro crisma?

Il sacro crisma, con l’olio che si espande e dà forza, significa la grazia abbondante della Confermazione; e col balsamo che è odoroso e preserva dalla corruzione, significa il buon odore delle virtù che il cresimato dovrà possedere, fuggendo la corruzione dei vizi.

313. Che significa l’unzione che si fa sulla fronte in forma di croce?

L’unzione che si fa sulla fronte in forme di croce, significa che il cresimato, da forte soldato di Gesù Cristo, dovrà portar alta la fronte senza arrossire della Croce e senza aver paura dei nemici della Fede.

314. Che significa il leggero schiaffo che il Vescovo dà al cresimato?

Il leggero schiaffo che il Vescovo dà al cresimato, significa che questi deve soffrire per la Fedi ogni affronto ed ogni pena.

315. Nella Cresima ci sono i padrini?

Nella Cresima ci sono per gli uomini i padrini, e per le donne le madrine, che debbono essere buoni Cristiani per edificare e assistere spiritualmente i cresimati.

CAPO IV.

Eucaristia.

§ 1. – Sacramento: istituzione, fine.

*316. Che cos’è l’Eucaristia?

L’Eucaristia è il sacramento che, sotto apparenze del pane e del vino, contiene realmente il Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Nostro Signore Gesù Cristo per nutrimento delle anime.

317. Qual è la materia dell’Eucaristia?

Materia dell’Eucaristia è il pane di frumenti e il vino di uva.

318. Qual è la forma dell’Eucaristia?

Forma dell’Eucaristia sono le parole di Gesù Cristo: Questo è il Corpo mio; questo è il Calice del Sangue mio … sparso per voi e per molti a remissione dei peccati.*

*Orazioni, II, Canone.

319. Chi e ministro dell’ Eucaristia?

Ministro dell’Eucaristia è il sacerdote il quale, pronunziando nella Messa le parole di Gesù Cristo, cambia il pane nel Corpo e il vino nel Sangue di Lui.

320. Gesù Cristo quando istituì l’Eucaristia?

Gesù Cristo istituì l’Eucaristia nell’ultima Cena, prima della sua Passione, quando consacrò il pane e il vino, e li distribuì, mutati in Corpo e Sangue suo, agli Apostoli, comandando che poi facessero altrettanto in sua memoria.

321. Perché Gesù Cristo istituì l’Eucaristia?

Gesù Cristo istituì l’Eucaristia, perché fosse nella Messa il sacrificio permanente del Nuovo Testamento e nella Comunione il cibo delle, anime, a perpetuo ricordo del suo amore e della sua Passione e Morte.

§ 2. – Presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia.

*322. Nell’Eucaristia c’è lo stesso Gesù Cristo che è in cielo, e che nacque in terra da Maria Vergine?

Nell’Eucaristia c’è lo stesso Gesù Cristo che è in cielo, e che nacque in terra da Maria Vergine.

323. Perché credete voi che Gesù Cristo è veramente nell’Eucaristia?

Credo che Gesù Cristo è veramente nell’Eucaristia, perché Egli stesso disse Corpo e Sangue suo il pane e il vino consacrato, e perché così c’insegna la Chiesa; ma è un mistero, e grande mistero.

324. Che cos’è l’ostia prima della consacrazione?

L’ostia prima della consacrazione è pane.

325. Dopo la consacrazione che cos’è l’ostia?

Dopo la consacrazione l’ostia è il vero Corpo di Nostro Signor Gesù Cristo sotto le apparenze del pane.

326. Nel calice prima della consacrazione che cosa si contiene?

Nel calice prima della consacrazione si contiene vino con alcune gocce d’acqua. |

327. Dopo la consacrazione che cosa c’è nel calice?

Nel calice dopo la consacrazione c’è il Sangue del Nostro Signor Gesù Cristo sotto 1e apparenze del vino.

*328. Quando diventano Corpo e Sangue di Gesù il pane e il vino?

Il pane e il vino diventano Corpo e Sangue di Gesù al momento della consacrazione.

*329. Dopo la consacrazione non c’è più niente del pane e del vino?

Dopo la consacrazione non c’è più nè pane né vino, ma ne restano solamente le specie o apparenze, senza la sostanza.

330. Che cosa sono le specie o apparenze?

Le specie o apparenze sono tutto ciò che cade sotto i sensi, come la figura, il colore, l’odore, il sapore del pane e del vino.

331. Sotto le apparenze del pane c’è solo il Corpo di Gesù Cristo, e sotto quelle del vino c’è solo il suo Sangue?

No, sotto le apparenze del pane c’è Gesù Cristo, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità così sotto quelle del vino.

*332. Quando si rompe l’ostia in più parti, si rompe il Corpo di Gesù Cristo?

Quando si rompe l’ostia in più parti, non si rompe il Corpo di Gesù Cristo, ma solamente le specie del pane; e il Corpo del Signore rimane intero in ciascuna parte.

333.  Gesù Cristo si trova in tutte le ostie consasacrate?

Gesù Cristo si trova in tutte le ostie consacrate del mondo.

334. Perché si conserva nelle chiese la santissima Eucaristia?

La santissima Eucaristia si conserva nelle chiese, perché i fedeli l’adorino, perché la ricevano nella comunione, e perché sentano in essa la perpetua assistenza e presenza di Gesù Cristo nella Chiesa.

§ 3. – Santa comunione: disposizioni, obbligo, effetti.

*335. Quante cose sono necessarie per fare una buona comunione?

Per fare una buona comunione sono necessarie tre cose: 1° essere in grazia di Dio; 2° sapere e pensare chi si va a ricevere; 3° essere digiuno dalla mezzanotte.

*336. Che significa essere in grazia di Dio?

Essere in grazia di Dio significa avere la coscienza monda da ogni peccato mortale.

337. Chi si comunica sapendo d’essere in peccato mortale, riceve Gesù Cristo?

Chi si comunica sapendo d’essere in peccato mortale, riceve Gesù Cristo, ma non la sua grazia anzi, commettendo un orribile sacrilegio, si rende meritevole di dannazione.

338. Che significa sapere e pensare chi si va a ricevere?

Sapere e pensare chi si va a ricevere significa accostarsi a Nostro Signor Gesù Cristo nell’Eucaristia con fede viva, con ardente desiderio e con profonda umiltà e modestia.

*339. Qual digiuno si richiede prima della comunione?

Prima della comunione si richiede il digiuno naturale ossia totale, che si rompe con qualunque cosa presa a modo di cibo o di bevanda.

340. È  permessa mai la comunione a chi non è digiuno?

La comunione a chi non è digiuno, è permessa in pericolo di morte, e durante le lunghe malattie, nelle condizioni determinate dalla Chiesa.

341. C’è obbligo di ricevere la comunione?

C’è obbligo di ricevere la comunione ogni anno a Pasqua, e in pericolo di morte, come viatico che sostenti l’anima nel viaggio all’eternità.

*342. A qual età comincia l’obbligo della comunione pasquale?

L’obbligo della comunione pasquale comincia all’età in cui si è capaci di farla con sufficienti disposizioni, cioè, d’ordinario, circa i sette anni.

*343. È cosa buona e utile comunicarsi spesso?

È cosa ottima e utilissima comunicarsi spesso, anche tutti i giorni, purché si faccia sempre con le dovute disposizioni.

344. Dopo la comunione, quanto tempo resta in noi Gesù Cristo?

Dopo la comunione Gesù Cristo resta in noi finché durano le specie eucaristiche.

345. Quali effetti produce l’Eucaristia in chi la riceve degnamente?

L’Eucaristia, in chi la riceve degnamente, conserva e accresce la grazia, che è la vita dell’anima, come fa il cibo per la vita del corpo; rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; dà spirituale consolazione e conforto, accrescendo la carità e la speranza della vita eterna di cui è pegno.

§ 4. – Santo sacrificio della Messa.

* 346. L’Eucaristia è solo un sacramento?

L’Eucaristia non è solo un sacramento, ma è anche il sacrificio permanente del Nuovo Testamento, e come tale si chiama la santa Messa.

347. Che cos’è il sacrificio?

Il sacrificio è la pubblica offerta a Dio d’una cosa che si distrugge per professare che Egli è il Creatore e Padrone supremo, al quale tutto interamente è dovuto.

*348. Che cos’è la santa Messa?

L a santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, si offre dal sacerdote a Dio sull’altare, in memoria e rinnovazione del sacrificio della Croce.

349. Il sacrificio della Messa è il sacrificio stesso della croce?

Il sacrificio della Messa è il sacrificio stesso della Croce; solo c’è differenza nel modo di compierlo.

350. Che differenza c’è tra il sacrificio della Croce e quello della Messa?

Tra il sacrificio della Croce e quello della  Messa c’è questa differenza, che Gesù Cristo sulla Croce si sacrificò dando volontariamente il proprio Sangue, e meritò ogni grazia per noi; invece sull’altare Egli, senza spargere sangue, si sacrifica e si annienta misticamente pel ministero del sacerdote, e ci applica i meriti del sacrificio della Croce.

351. Per quali fini si offre a Dio la Messa?

La Messa si offre a Dio per rendergli il culto supremo di latria o adorazione, per ringraziarlo de’ suoi benefizi, per placarlo e dargli soddisfazione dei nostri peccati, e per ottener grazie, a vantaggio dei fedeli vivi e defunti.

352. La Messa non si offre anche ai Santi?

La Messa non si offre ai Santi, ma a Dio solo, anche quando si celebri in onor dei Santi: il sacrificio spetta solo al Creatore e Padrone supremo.

*353. Siamo obbligati ad ascoltare la Messa?

Siamo obbligati ad ascoltare la Messa la domenica e le altre feste comandate; giova però assistervi spesso, per partecipare al più grande atto della Religione, sommamente grato a Dio e meritorio.

354. Qual è il modo più conveniente di assistere alla Messa?

Il modo più conveniente di assistere alla Messa è di offrirla a Dio in unione col sacerdote, ripensando al sacrificio della Croce, cioè alla Passione e Morte del Signore, e comunicandosi: la comunione è unione reale alla Vittima immolata, ed è perciò la maggior partecipazione al santo Sacrificio.

CAPO V.

Penitenza.

§ 1. – Sacramento e sue parti – Esame di coscienza.

*355. Che cos’è la Penitenza?

La Penitenza o Confessione è il sacramento istituito da Gesù Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo.

356. Il sacramento della Penitenza quando fu istituito da Gesù Cristo?

Il sacramento della Penitenza fu istituito da Gesù Cristo quando disse agli Apostoli, e in essi ai loro successori: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete » . *

*s. Giov., XX, 22-23.

357. Chi è ministro della Penitenza?

Ministro della Penitenza è il sacerdote approvato dal Vescovo.

*358. Quante e quali cose si richiedono per fare una buona confessione?

Per fare una buona confessione si richiedono cinque cose: 1° l’esame di coscienza; 2° il dolore dei peccati; 3 ° il proponimento di non commetterne più;

4° la confessione; 5° la soddisfazione o penitenza.

*359. Come si fa l’esame di coscienza?

L’esame di coscienza si fa richiamando alla mente i peccati commessi in pensieri, parole, opere ed omissioni, contro i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e gli obblighi del proprio stato, a cominciare dall’ultima confessione ben fatta.

360. Nell’ esame dobbiamo ricercare il numero dei peccati?

Nell’esame dobbiamo ricercare con diligenza anche il numero dei peccati mortali.

§ 2. – Dolore e proponimento.

*361. Che cos’è il dolore?

Il dolore o pentimento è quel dispiacere dei peccati commessi, che ci fa proporre di non più peccare.

362. Di quante specie è il dolore?

Il dolore è di due specie: perfetto o contrizione, e imperfetto o attrizione.

363. Che cos’è il dolore perfetto o contrizione?

Il dolore perfetto o contrizione è il dispiacere dei peccati commessi, perché sono offesa a Dio nostro Padre, infinitamente buono e amabile, e cagione della Passione e Morte del Nostro Redentore Gesù Cristo, Figliuolo di Dio.

364. Perché la contrizione è dolore perfetto?

La contrizione è dolore perfetto, perché nasce da un motivo perfetto, cioè dall’amore filiale di Dio o carità, e perché ci ottiene subito il perdono dei peccati, sebbene resti l’obbligo di confessarli.

365. Che cos’è il dolore imperfetto o attrizione?

Il dolore imperfetto o attrizione è il dispiacere dei peccati commessi, per il timore dei castighi eterni e temporali, o anche per la bruttezza del peccato.

366. Perché l’attrizione è dolore imperfetto?

L’attrizione è dolore imperfetto, perché nasce da motivi meno perfetti e propri di sèrvi anziché di figli, e perché non ci ottiene il perdono dei peccati se non mediante il sacramento.

*367. E necessario aver dolore di tutti i peccati commessi?

È necessario aver dolore di tutti i peccati mortali commessi, senza eccezione; e conviene averlo anche dei veniali.

368. Perché è necessario aver dolore di tutti i peccati mortali?

È necessario aver dolore di tutti i peccati mortali, perché con qualunque di essi si è gravemente offeso Dio, se ne è perduta la grazia, e si merita di restare separati da Lui in eterno.

*369. Che cos’è il proponimento?

Il proponimento è la volontà risoluta di non commettere mai più peccati e di fuggirne le occasioni.

370. Che cos’è l’occasione del peccato?

L’occasione del peccato è ciò che ci mette in pericolo di peccare, sia persona sia cosa.

371. Siamo obbligati a fuggire le occasioni dei peccati?

Siamo obbligati a fuggire le occasioni dei peccati, perché siamo obbligati a fuggire il peccato: chi non le fugge, finisce per cadere, poiché « chi ama il pericolo perirà in esso».*

– * ECCLI.,III,27.

§ 3. – Confessione dei peccati;

*372. Che cos’è la confessione?

La confessione è l’accusa dei peccati fatta al sacerdote confessore, per averne l’assoluzione.

*373. Di quali peccati siamo obbligati a confessarci?

Siamo obbligati a. confessarci di tutti i peccati mortali non ancora confessati o confessati male; giova però confessare anche i veniali.

374. Come dobbiamo accusare peccati mortali?.

Dobbiamo accusare i peccati mortali pienamente, senza farci vincere da una falsa vergogna a tacerne alcuno, dichiarandone la specie, il numero e anche le circostanze che aggiungessero una nuova grave malizia.

375. Chi non ricorda il numero preciso dei peccati mortali, che deve fare?

Chi non ricorda il numero preciso dei peccati mortali, deve far capire il numero che gli sembra più vicino alla verità.

376. Perché non dobbiamo farci vincere dalla vergogna a tacere qualche peccato mortale?

Non dobbiamo farci vincere dalla vergogna a tacere qualche peccato mortale, perché  ci confessiamo a Gesù Cristo nella persona del confessore, e questi non può rivelar nessun peccato, a costo anche della vita; e perché, altrimenti, non ottenendo il perdono saremo svergognati dinanzi a tutti, nel giudizio universale.

*377. Chi per vergogna o per altro motivo tacesse un peccato mortale, farebbe una buona confessione?

Chi per vergogna o per altro motivo non giusto tacesse un peccato mortale, non farebbe una buona confessione, ma commetterebbe un sacrilegio.

*378. Che deve fare chi sa di non essersi confessato bene?

Chi sa di non essersi confessato bene, deve rifare le confessioni mal fatte e accusarsi dei sacrilègi commessi.

379. Chi senza colpa tralasciò o dimenticò un peccato mortale, ha fatto una buona confessione?

Chi senza colpa tralasciò o dimenticò un peccato mortale, ha fatto una buona confessione; ma gli resta l’obbligo di accusarsene in seguito.

§ 4. – Assoluzione – Soddisfazione – Indulgenze,

*380. Che cos’è l’assoluzione?

L’assoluzione è la sentenza con cui il sacerdote, in nome di Gesù Cristo, rimette i peccati al penitente dicendo: Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

381. Rimessi con l’assoluzione i peccati, è anche rimessa ogni pena meritata?

Rimessi con l’assoluzione i peccati, è rimessa la pena eterna meritata col peccato mortale, ma se non si abbia una contrizione perfettissima, rimane ordinariamente da scontare, in questa vita o nell’altra, una pena temporanea.

*382. Che cos’è la soddisfazione o penitenza sacramentale?

L a soddisfazione o penitenza sacramentale è l’opera buona imposta dal confessore a castigo e a correzione del peccatore, e a sconto della pena temporanea meritata peccando.

383. Quando conviene fare la penitenza sacramentale?

Conviene fare la penitenza sacramentale presto, se il confessore non ne ha assegnato il tempo.

384. La penitenza sacramentale basta a liberarci da tutta la pena temporanea meritata col peccato?

La penitenza sacramentale non basta, d’ordinario a liberarci da tutta la pena meritata col peccato, e perciò conviene supplire con altre opere di penitenza e di pietà e con indulgenze.

385. Quali sono le opere di penitenza e di pietà?

Le opere di penitenza e di pietà sono: i digiuni, le mortificazioni, gli atti di misericordia spirituale e corporale, * le preghiere, e l’uso pio di quelle cose benedette e di quelle cerimonie sacre che si chiamano sacramentali, come l’acqua santa e le varie benedizioni. •* Formule 21, 22

386. Che cos’è l’indulgenza?

L’indulgenza è una remissione di pena temporanea dovuta per i peccati, che la Chiesa concede sotto certe condizioni a ehi è in grazia, applicandogli i meriti e le soddisfazioni sovrabbondanti di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi, le quali costituiscono il tesoro della Chiesa.

*387. Di quante specie è l’indulgenza?

L’indulgenza è di due specie: plenaria e  parziale.

3S8. Qual è l’indulgenza plenaria?

L’indulgenza plenaria è quella che rimette tutta la pena temporanea dovuta per i peccati.

389. Qual è l’indulgenza parziale?

L’indulgenza parziale è quella che rimette soltanto una parte della pena temporanea dovuta per i peccati.

390. Che s’intende per indulgenza di quaranta o cento giorni, di sette anni e simili?

Per indulgenza di quaranta o cento giorni, di sette anni e simili,* s’intende la remissione di tanta pena temporanea, quanta se ne sarebbe scontata con quaranta, cento giorni o sette anni della penitenza anticamente stabilita dalla Chiesa.

*391. Che si richiede per acquistare le indulgenze?

Per acquistare le indulgenze si richiede di essere in stato di grazia e di eseguire bene le opere prescritte.

CAPO VI.

Estrema Unzione.

*392. Che cos’è l’Estrema Unzione?

L’Estrema Unzione, detta pure Olio santo, è il sacramento istituito a sollievo spirituale e anche corporale dei Cristiani gravemente infermi.

393. Chi è ministro dell’Estrema Unzione?

Ministro dell’Estrema Unzione è il sacerdote parroco, o altro sacerdote che ne abbia il permesso.

394. Il sacerdote come amministra l’Estrema Unzione?

Il sacerdote amministra l’Estrema Unzione ungendo in forma di croce, con l’olio benedetto dal Vescovo, gli organi dei sensi dell’infermo e dicendo: Per questa unzione santa e per la sua pietosissima misericordia, il Signore ti perdoni ogni culpa commessa con la vista, con l’udito, ecc. Così sia.

395. Che effetti produce l’Estrema Unzione?

L’Estrema Unzione accresce la grazia santificante; cancella i peccati veniali, e anche i mortali che l’infermo, attrito, non potesse confessare; dà forza per sopportare pazientemente il male, resistere alle tentazioni e morire santamente, e aiuta anche a ricuperare la sanità, se è bene per l’anima.

396. Quando si può dare l’Olio santo?

L’Olio santo si può dare quando la malattia è pericolosa; ed è bene darlo subito dopo la confessione e il Viatico, mentre il malato conserva la conoscenza.

CAPO VII.

Ordine.

*397. Che cos’è l’Ordine?

L’Ordine è il sacramento che dà la potestà di compiere le azioni sacre riguardanti l’Eucaristia e la salute delle anime, e imprime il carattere di ministri di Dio.

398. Chi è ministro dell’Ordine? »

Ministro dell’Ordine è il Vescovo, che dà lo Spirito Santo e la potestà sacra col l’imporre le mani e consegnare gli oggetti sacri propri dell’Ordine, dicendo le parole della forma prescritta.

399. Perché il sacramento che fa i ministri di Dio si chiama Ordine?

Il sacramento che fa i ministri di Dio si chiama Ordine, perché comprende vari gradi di ministri l’uno subordinato all’altro, dai quali risulta la sacra Gerarchia.

400. Quali sono i gradi della sacra Gerarchia?

I gradi della sacra Gerarchia sono: gli Ordini minori, il Suddiaconato e il Diaconato, che sono preparatori; il Presbiterato o Sacerdozio che dà la potestà di consacrar l’Eucaristia e di rimettere i peccati; e l’Episcopato, pienezza del Sacerdozio, che dà quella di conferir gli Ordini, e di ammaestrare e governare i fedeli.

401. È grande la dignità del Sacerdozio?

La dignità del Sacerdozio è grandissima per la sua potestà sul Corpo reale di Gesù Cristo che rende presente nell’Eucaristia, e sul corpo mistico di Lui, la Chiesa, che governa, con la missione sublime di condurre gli uomini alla santità e alla vita beata.

402. Qual fine deve avere chi entra negli Ordini?

Chi entra negli Ordini deve aver per fine soltanto la gloria di Dio e la salute delle anime.

403. Può entrare ciascuno a suo arbitrio negli Ordini?

Nessuno può entrare a suo arbitrio negli Ordini, ma deve essere chiamato da Dio per mezzo del proprio Vescovo, cioè deve avere la vocazione, con le virtù e con le attitudini al sacro ministero, da essa richieste.

404. Chi entrasse nel Sacerdozio senza vocazione farebbe male?

Chi entrasse nel Sacerdozio senza vocazione farebbe malissimo, perché difficilmente potrebbe osservarne gli altissimi doveri, con evidente pericolo di scandali pubblici e di perdizione eterna.

405. Quali doveri hanno i fedeli verso i chiamati agli Ordini?

I fedeli hanno il dovere di lasciare ai figli e dipendenti piena libertà di seguir la vocazione; inoltre di chiedere a Dio buoni pastori e ministri, e digiunare a tal fine nelle quattro Tempora; finalmente di venerare gli ordinati come persone sacre a Dio.

CAPO VIII.

Matrimonio.

406. Che cos’è il Matrimonio?

II Matrimonio è il sacramento che unisce l’uomo e la donna indissolubilmente, come sono uniti Gesù Cristo e la Chiesa sua sposa, e dà loro la grazia di di santamente convivere e di educare eristianamente i figliuoli.

407. Chi è ministro del Matrimonio?

Ministri del Matrimonio sono gli sposi che lo contraggono.

408. Come si contrae il Matrimonio?

Il Matrimonio si contrae esprimendo il mutuo consenso davanti al parroco, o a un suo delegato, e a due testimoni, nel territorio della parrocchia.

* 409. Gli sposi nel contrarre il Matrimonio debono essere in grazia di Dio?

Gli sposi nel contrarre il Matrimonio debbono essere in grazia di Dio, altrimenti fanno un sacrilegio.

* 410. Che cos’è l’atto che si chiama matrimonio civile?

L’atto che si chiama matrimonio civile è la formalità prescritta dallo Stato perché il contratto matrimoniale abbia effetti civili.

411. Per i Cristiani basta far solamente l’atto civile?

Per i Cristiani non basta far solamente l’atto civile, perché questo non è sacramento: per essi, solo quello che è sacramento è matrimonio avanti a Dio.

412. Gli sposi debbono fare anche l’atto civile?

Gli sposi debbono fare anche l’atto civile, sebbene non sia sacramento, per assicurare a sé e ai figliuoli gli effetti civili della società coniugale; perciò la Chiesa non permette, d’ordinario, il matrimonio religioso se non si compiano anche gli atti prescritti dallo Stato.

413. Che doveri hanno gli sposi?

Gli sposi hanno il dovere di convivere santamente, di aiutarsi con affetto costante nelle necessità spirituali e temporali, e di educar bene i figliuoli, curandone l’anima non meno del corpo, e formandoli anzitutto alla religione e alla virtù con la parola e con l’esempio.

PREGHIAMO.

Questi sacramenti, o Signore, ci mondino con la loro potente virtù e ci facciano giungere puri a te che ne sei l’autore.(1)

Signore, la partecipazione a tuoi sacramenti ci salvi e ci confermi nella luce della tua verità. (2) Te ne supplichiamo per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, ecc.

(1) Dalla Segreta della Domenica I dell’Avvento.

(2) Dal Postcomm. della Messa dei Ss. Ippolito e Cassiano (12 agosto).

PARTE III.

MEZZI DELLA GRAZIA

SEZIONE II.

ORAZIONE O MEZZO IMPETRATIVO.

Chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate, e vi si aprirà. – (S. Luca XI, 9)

In verità, in verità vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, ve lo concederà.      – (S. Giov., XVI, 23)

CAPO UNICO.

* 414. Che cos’è l’ orazione?

L’orazione è una pia elevazione dell’anima a Dio per ben conoscerlo, adorarlo, ringraziarlo e domandargli quanto ci bisogna.

*415. Di quante specie è l’orazione?

L’orazione è di due specie: mentale e vocali,

*416. Qual è l’orazione mentale?

L’orazione mentale è quella che si fa con la sola mente e col cuore: tali sono la meditazione delle verità cristiane e la contemplazione.

* 417. Qual è l’orazione vocale?

L’orazione vocale, detta più comunemente preghiera, è quella che si fa con le parole accompagnate dalla mente e dal cuore.

*418. Come si deve pregare?

Si deve pregare riflettendo che stiamo alla presenza dell’infinita maestà di Dio e abbiamo bisogno della sua misericordia; perciò dobbiamo esser umili, attenti e devoti.

*419. È necessario pregare?

È necessario pregare e pregare spesso, perché Dio lo comanda, e, ordinariamente, solo se si prega, Egli concede le grazie spirituali e temporali.

420. Perché Dio concede le grazie che domandiamo?

Dio concede le grazie che domandiamo, perché Egli, che è fedelissimo, ha promesso di esaudirci se lo preghiamo con fiducia e perseveranza nel nome di Gesù Cristo.

421. Perché dobbiamo pregar Dio nel nome di Gesù Cristo?

Dobbiamo pregar Dio nel nome di Gesù Cristo, perché solo da Lui, suo Figliuolo e unico Mediatore tra Dio e gli uomini, hanno valore le nostre preghiere e opere buone; perciò la Chiesa suol terminare le orazioni con queste o equivalenti parole … per il tuo Figliuolo Gesù Cristo, Nostro Signore.

422. Perché non siamo sempre esauditi nelle nostre preghiere?

Non siamo sempre esauditi nelle nostre preghiere, o perché preghiamo male, o perché domandiamo cose non utili al nostro vero bene, cioè al bene spirituale.

*423. Quali cose dobbiamo chiedere a Dio?

Dobbiamo chiedere a Dio la gloria sua, e per noi la vita eterna e le grazie anche temporali, come ci ha insegnato Gesù Cristo nel Pater noster.

*424. Che cos’è il Pater noster?

Il Pater noster è la preghiera insegnata e raccomandata da Gesù Cristo, la quale perciò si dice Orazione domenicale o del Signore, ed è la più eccellente di tutte.

425. Perché il Pater noster è la preghiera più eccellente?

Il Pater noster è la preghiera più eccellente perché è uscita dalla mente e dal Cuore di Gesti, racchiude in sette brevi domande ciò che dobbiamo chiedere a Dio come suoi figliuoli e come fratelli tra noi.

426. Che cosa dobbiamo chiedere come buoni figliuoli di Dio?

Come buoni figliuoli di Dio dobbiamo chiedere che in tutto il mondo si conosca e si onori il suo Nome e si propaghi il suo regno, la Chiesa, e che da tutti si compia la sua santissima volontà: e questo si chiede nelle prime tre domande del Pater noster.

427. Come fratelli tra noi che cosa dobbiamo chiedere?

Come fratelli tra noi dobbiamo chiedere il nutrimento corporale e spirituale, il perdono dei peccati, la difesa dalle tentazioni e la liberazione dal male: e questo si chiede, per noi e per tutti gli uomini, nelle ultime quattro domande del Pater noster.

428. Gesù Cristo perché ci fa invocar Dio come Padre nostro?

Gesù Cristo ci fa invocar Dio come Padre nostro per ricordarci che Dio è veramente padre di tutti, specialmente di noi Cristiani che, nel Battesimo, fummo adottati da Lui come figli suoi; e per ispirarci verso di Lui grande amore e fiduacia

429. Se Dio ascolta chi prega bene, perché invochiamo anche la Madonna, gli Angeli e i Santi?

Invochiamo anche la Madonna, gli Angeli e i Santi perché, essendo cari al Signore e pietosi verso di noi, ci aiutino nelle nostre domande con la loro potente intercessione.

430. Gli Angeli, i Santi e la Madonna, perché sono potenti intercessori presso Dio?

Gli Angeli e i Santi sono potenti intercessori presso Dio, perché suoi servi fedeli, anzi amici prediletti; la Madonna è potentissima, perché Madre di Dio e piena di grazia; perciò la invochiamo così spesso, tanto più che da Gesù Cristo ci fu lasciata per Madre.

*431. Con qual preghiera specialmente, invochiamo noi la Madonna?

Noi invochiamo la Madonna specialmente con l’Ave Maria o Salutazione angelica, detta così, perché comincia col saluto che le fece l’Arcangelo Gabriele annunziandole che era eletta Madre di Dio.

*432. Che cosa domandiamo alla Madonna, con l’Ave Maria?

Con l’Ave Maria domandiamo alla Madonna la sua materna intercessione per noi in vita e in morte.

433. L’invocare la Madonna e i Santi non dimostra forse sfiducia in Gesù Cristo, l’unico Mediatore, quasi non bastino i meriti di Lui ad ottenerci le grazie?

L’invocare la Madonna e i Santi non dimostra nessuna sfiducia in Gesù Cristo, l’unico Mediatore; al contrario una fede maggiore nei meriti di Lui, tanto grandi ed efficaci, che per essi, e solo per essi, la Madonna e i Santi hanno da Dio la grazia, i meriti e la potenza d’intercessione.

PREGHIAMO.

Signore, insegnaci a pregare. (1)

La tua misericordia, o Signore, sia aperta alle nostre preghiere, e, perché tu ci conceda quanto domandiamo, facci sempre chiedere ciò che a te piace. (2)

O Signore Gesù Cristo, che nel Getsemani, con la parola e con l’esempio, c’insegnasti a pregare per vincere i pericoli delle tentazioni, pietosamente concedi che noi, stando sempre intenti alla orazione, meritiamo di conseguirne i frutti abbondanti. Così sia. (3)

(1) S. LUCA, XI, 1.

(2) Dall’Orazione della Domenica IX dopo la Pentecoste

(3) Or. per il martedì della Settuagesima nell’Append. del Messale.

SANTO SANTO SANTO

IL SIGNORE

IL DIO ONNIPOTENTE

IL QUALE ERA

IL QUALE È E IL QUALE VERRÀ

A  LUI GLORIA PER I SECOLI

COSI SIA.

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (3)

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (9)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (9)

Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa Catania, 7 Marzo 1957

P. Ambrogio Gullo O. P. Rev. Eccl.

Imprimatur Catanæ die 11 Martii 1957

Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO IX

LE GRANDI DEVOZIONI DEGLI ANTICHI SPIRITUALI

Abbiamo considerato i Padri da molteplici punti di vista, sempre nel campo spirituale. È ora di radunare i risultati delle nostre ricerche sul piano della vita interiore, poiché tale è stato qui il nostro costante punto di vista. Non abbiamo cercato di stabilire dei dogmi o mostrare l’origine di sintesi teologiche di ordine speculativo o di ordine morale. Abbiamo soprattutto ammirato dei credenti, viventi la loro fede e trovanti in essa una vera pienezza di vita umana e cristiana. È sul piano soprannaturale che si realizza tale vita perfetta. La natura, certamente, non viene esclusa. Gli uomini che abbiamo seguito nelle loro attività sono uomini e non angeli; partecipano delle nostre debolezze e delle nostre angosce, ma le dominano con la fermezza della loro fede e più ancora con la forza del loro amore soprannaturale. La maggior parte sono dei santi, e molti danno l’esempio di eminenti virtù. Non sono dunque puri teologi che dissertano da tecnici sulle fonti della fede e sull’esatta portata delle parole rivelate; al di là delle formule e delle ricerche scientifiche che queste impongono, essi vanno alle realtà divine che vi si manifestano, per unirsi ad esse con tutto il loro essere, attraverso la carità. Sono, in una parola, spirituali piuttosto che teorici. La vita divina li attira di per sé e nelle sue comunicazioni vitali, più della scienza di tali doni, ed è in questo che i Padri si distinguono dai teologi di ogni tempo. In un certo senso, tutto si riconduce per loro a un solo oggetto, che centralizza gli altri con un’efficacia sovrana, Gesù Cristo. Come per gli apostoli, il Salvatore era l’oggetto fondamentale dei loro pensieri. Infatti facevano loro la parola di San Paolo che dichiarava ai Corinti di non voler conoscere che Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso (I Cor. II, 2). Ma a seguirli, ci si rende subito conto che il Cristo, lungi dall’essere un limite, è invece un punto di appoggio universale e che tutto vi si ricollega, nei campi che hanno per l’uomo un interesse vitale. Nei vari capitoli di questo studio ne è stata fatta l’analisi. Ne possiamo ora fare la sintesi, partendo precisamente da questo oggetto centrale dove tutto si ricongiunge in Dio. Per quanto segreto sia e rimanga il mistero del Cristo, non è meno ricco e munifico di luce per coloro che lo considerano con devozione ponendosi alla sua scuola, seguendo e svolgendo quei molteplici punti di vista che l’antichità cristiana, orante e pensante, ci pone dinanzi. Il culto delle Tre Persone, caro ai Padri, introduce il Cristiano al di là delle devozioni propriamente dette; esso è la base di tutte le devozioni.

Le Tre Persone Divine

Nel Cristo è infatti il mistero del Dio in Tre Persone che si svela ed è quello che ha maggiormente nutrito la pietà dei Padri fin dalle origini. Di fronte al paganesimo, i Cristiani dovevano insistere sul fatto dell’unità divina, ciò che non impediva loro di affermare la divinità di Cristo, e di versare il loro sangue per questa causa. Ma già, fin da quell’epoca e fin dai primi scritti patristici, come in quelli stessi degli Apostoli, le Tre Persone sono proclamate Dio, Dio unico tuttavia, sperimentato come tale nella loro vita interiore: vita spirituale intensa, nella quale si afferma una potenza più alta, potenza unica c complessa di cui il Vangelo ha rivelato i possessori, Padre, Figlio, Spirito Santo, e di cui il Cristiano tocca, nella sua vita stessa, l’alta e magnifica realtà. Prima di porsi domande curiose i primi Cristiani hanno vissuto intensamente questo mistero nella loro anima, e le opere di un Sant’Ireneo ci mostrano con quale profondità, prima delle grandi controversie trinitarie, i Cristiani entravano con tutto il loro essere spirituale nella vita stessa di Dio. Le Tre Persone sono sempre in primo piano nel pensiero e nella preghiera, del resto ben associate, presso quei Cristiani che vivono il loro Cristianesimo invece di dissertarne abbondantemente, come faranno i filosofi in altri tempi. La vita di pietà assicurava ai maestri una ricchezza di dottrina che bastava a tutti i bisogni dell’anima in quei tempi di lotta e di preghiera. I Padri del IV secolo che fecero trionfare la fede tradizionale nella divinità del Verbo, Figlio di Dio, uguale al Padre, non fecero tanto ricorso alla speculazione quanto alla vita cristiana. Tale era, infatti, il caso del più grande di tutti: Sant’Atanasio. La sua vera fonte di ispirazione era in una pietà ardente, che poteva contentarsi di semplici formule, tratte dalla Sacra Scrittura, poiché queste venivano penetrate a fondo per mezzo delle intuizioni del cuore e della grazia. Da qui le certezze che cause umane non possono spiegare. I maestri cappadoci furono anche uomini di preghiera, formati nella solitudine e che attinsero nella contemplazione le formule capaci di ricondurre alla vera fede numerosi spiriti esitanti, a dispetto delle lacune manifeste della loro speculazione. La vita di preghiera suppliva alle debolezze della scienza. – Il dottore che doveva fornire i lumi, non definitivi (perché tali non ve ne saranno mai), ma più penetranti in questo profondo mistero, è certo Sant’Agostino. Il fatto delle Tre Persone in Dio è, senz’altro, quello che conta maggiormente nella sua vita: corona e compie tutte le ricerche del suo spirito insaziabile. Vi trova la pace del cuore e quella dello spirito, poiché quel mistero egli lo vive profondamente nella sua preghiera. Molte pagine dei sette primi libri de La Trinità lo lasciano chiaramente comprendere, ma tutta la seconda parte di quest’opera è costruita sulla profonda intuizione che egli ha delle analogie dell’anima umana con l’Essere divino. Puro Spirito e Vita trascendente, unica e multipersonale. Qui le intuizioni dello spinto sono fondate su quelle della preghiera, più alta e più audace. Abbiamo mostrato come Sant’Agostino trovi nell’anima cristiana, docile alla grazia fino alla sapienza, una immagine perfetta del Dio in Tre Persone. Questa immagine, che può non essere che un’immagine per il ricercatore intellettuale, diventa un’altissima preghiera, di carattere unitivo molto accentuato, nell’anima cristiana che vive del Dio presente e vivente in lei.

Gesù Cristo Verbo Incarnato

È la rivelazione dell’Uomo-Dio che ha posto con forza decisiva, il fatto delle Tre Persone in Dio, e il netto riconoscimento di queste, sta alla base del mistero dell’Incarnazione, ma non basta a esprimerlo. Si pone qui un nuovo problema, che è, fin dall’inizio, strettamente legato a un terzo, tutto di pietà: la maternità divina di Maria. Difatti è a proposito di questo titolo, Madre di’ Dio, dato alla madre di Gesù in Oriente che insorgono, nel IV secolo, quelle controversie che porteranno alla definizione solenne del grande privilegio mariano. – Le intuizioni della pietà cristiana sono qui alla base delle definizioni conciliari, e questo fatto deve essere compreso bene, non soltanto sul piano dogmatico propriamente detto, ma anche, e soprattutto, diremo qui, sul piano della vita cristiana, in cui tiene un posto eminente. – Maria non sarebbe Madre di Dio, se Gesù Cristo non fosse Dio in persona e unicamente Dio quanto alla persona. Se in Gesù Cristo vi fosse, accanto alla persona divina, una persona umana, Maria sarebbe la madre di questa e non di Dio; sarebbe una madre come le altre madri della terra, e per quanto grande sia, una maternità umana non ha, in sé, nulla di divino. Perché Maria sia veramente Madre di Dio, bisogna che suo Figlio non sia che Dio quanto alla Persona. Chiamiamo persona, parlando di un uomo, ciò che agisce, che parla, che pensa, che ama con questo insieme vivente e complesso che chiamiamo umanità, corpo e anima. Tutto ciò appartiene a un essere che ne usa, ma è posseduto da una persona; e in Gesù Cristo questa persona è Dio, il Figlio di Dio, la Sapienza infinita, il Verbo venuto al mondo per aiutare l’uomo a risalire verso Dio. In un mistero così complesso nella sua semplicità, San Cirillo d’Alessandria ebbe bisogno di intuizioni superiori per afferrare immediatamente, a dispetto delle lacune manifeste della filosofia a quell’epoca, il pericolo di formule presentate da uomini colti e sottili come lo erano Nestorio e i suoi difensori, le cui buone intenzioni erano senz’altro rette almeno sul principio. – I Papi, difensori della fede, messi sull’avviso da San Cirillo, lo appoggiarono senza riserve. Nonostante le difficoltà che sorsero in seguito, proprio a causa di queste formule imperfette, impiegate per andare diritti all’essenziale del mistero in causa, l’intervento del patriarca di Alessandria fu decisivo. Esso era provvidenziale, e gli altri scritti del Santo mostrano con evidenza che era stato altamente preparato, con lo studio e la preghiera, a questa missione di un’importanza sovrana. Non poteva essere, in quell’ora decisiva, il Dottore dell’Incarnazione, con la chiarezza che diede al suo messaggio, se non attraverso una preparazione spirituale di cui testimonia l’insieme della sua opera dottrinale. – Ma il mistero dell’Uomo-Dio non è reso tutto intero con l’affermazione dell’unica Persona divina; restano da esprimere le nature, poiché per essere Dio incarnato, Egli deve avere e la natura divina, che è unica nelle Tre Persone, e la natura umana, che gli è qui associata, senza avere personalità propria dello stesso ordine, ma che beneficia precisamente dell’alta personalità del Verbo. Tale umanità non è deficiente in nessuna maniera: scartato il pericolo del dualismo se ne profila appunto un altro che mette in causa l’integrità della natura umana del Cristo, il monofisismo. E la Chiesa che aveva già riprovato coloro che rifiutavano all’umanità di Gesù Cristo la ragione superiore, per meglio salvare la Persona, reagisce di nuovo con vigore, proclamando l’integrità totale della sua umanità. Il Papa San Leone prese direttamente la causa in mano e per opera sua fu trovata e approvata la formula definitiva che riguarda il mistero dell’Incarnazione considerato nei suoi elementi essenziali. – Contro il monofisismo, che rimetteva in questione, con l’umanità del Cristo, l’essenza stessa del Cristianesimo, si deve ancora ammirare un intervento divino. L’azione di San Leone, che mantenne con tanta fermezza la fede antica e mise definitivamente fine a tentativi di divinizzazione dell’umanità nel Salvatore, fu veramente provvidenziale. Le sette pullularono invano. Non soltanto esse vennero ridotte all’impotenza fin dall’inizio, ma il culto stesso dell’umanità del Salvatore fu largamente favorito, come lo fu due secoli più tardi con la condanna del monotelismo, grazie specialmente a San Massimo il Confessore, che seppe ricollegare al culto dell’umanità del Cristo una vera dottrina spirituale e mistica, di cui si troverà il seguito nelle direttive di un San Bernardo nel Medio Evo, e un’alta applicazione, tutta particolare, nel culto moderno del Sacro Cuore, che il Cristo stesso doveva promuovere.

Il Cristo Redentore e Sacerdote

Il mistero della Redenzione è un altro aspetto dell’Incarnazione. Non fu tuttavia discusso tanto quanto questa, benché la sua importanza sia stata riconosciuta fin dall’origine: verso la fine del II secolo, Sant’Ireneo ne parlava abbondantemente con forza. Non è lo scopo stesso dell’Incarnazione? Gli antichi non sembrano dubitarne, appoggiandosi a San Paolo. Il grande difensore della divinità di Cristo, Verbo fatto carne, Sant’Atanasio, riconosceva che la Redenzione è il fine dell’Incarnazione, non ne tratta diffusamente. Il solo fatto di essere uomo, per il Verbo, è così importante, agli occhi del patriarca di Alessandria, che il resto segue come un corollario evidente. Non che egli deprezzi il valore del secondo aspetto; ma è troppo preso dal primo perché l’altro lo attiri egualmente: la contemplazione del Verbo incarnato gli basta; in essa ha tutto. Chi ha insistito con grande forza sulla Redenzione è stato S. Agostino. Non ne vede solo il valore morale, o il potere di attrazione mediante l’esempio, ma penetra in profondità nelle esigenze della soddisfazione sul peccato, offesa infinita, che richiede una riparazione proporzionata. Egli ha consacrato a tale argomento, nelle Confessioni, pagine commoventi che devono essere qui citate, poiché mostrano con quale accento di pietà il Santo trattava un argomento di simile levatura: «Ma il vero mediatore, che il segreto della Tua misericordia ha rivelato agli umili e che hai inviato per insegnare loro, con il suo esempio, l’umiltà stessa, questo mediatore di Dio e degli uomini, è Gesù Cristo fatto uomo, che è apparso fra i peccatori mortali e il Giusto immortale, mortale con gli uomini, giusto con Dio. E come la vita e la pace sono la ricompensa della giustizia, per mezzo della giustizia che l’unisce a Dio, egli affranca i peccatori, giustificati dalla morte di cui ha voluto essere quasi loro tributario. È lui che è stato mostrato da lontano ai Santi degli antichi giorni, perché essi venissero salvati dalla fede nel sangue che Egli doveva spargere, come noi lo siamo per mezzo della fede nel suo sangue versato. È nella sua qualità di uomo infatti che è mediatore (I Tim, II, 5). In quanto Verbo, non è intermediario, poiché il Verbo è uguale a Dio, Dio in Dio (Rom. VIII, 32) e un solo Dio con il Padre e lo Spirito Santo. » Come ci hai amato, o Padre, o Bene, Tu che non hai risparmiato il Tuo unico figlio, ma lo hai immolato per le nostre iniquità! (Rom. VIII, 32). Come ci hai dunque amato, noi per i quali Colui che non ha considerato come una usurpazione di essere tuo eguale, si è reso obbediente fino alla morte di croce! (Phil. II, 6). Colui che solo è libero fra i morti (Ps. LXXXVII, 6), che aveva il potere di lasciare la vita e di riprenderla (Joan. X, 18), si è offerto per noi come vincitore e vittima, come vincitore in quanto è stato vittima. Per noi, si è offerto come sacrificatore e come sacrificio, sacrificatore in quanto è stato sacrificio. Infine, da schiavi che eravamo, ci ha reso tuoi figli, lui Tuo Figlio, divenuto nostro schiavo. È dunque giustamente che io pongo in lui la ferma speranza che tu guarirai i miei languori, per mezzo di Lui che siede alla tua destra e intercede per noi (Rom. VIII, 34). Altrimenti io dispererei, poiché numerose e grandi sono le mie infermità. Sì, numerose e grandi; ma più grande ancora è la virtù dei tuoi rimedi. Noi avremmo potuto credere il Tuo Verbo troppo lontano da noi per unirsi all’uomo, e disperare di noi, se Egli non si fosse fatto carne, e se non avesse abitato fra noi. Spaventato dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo deliberato nel mio cuore e quasi risoluto di fuggire nel deserto; ma tu mi hai fermato e rassicurato con queste parole: « Il Cristo è morto per tutti, affinché coloro che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per loro » (II Cor. V, 15). Così Signore, rimetto nelle tue mani la cura della mia vita, e considererò le meraviglie della tua legge. (Ps. CXVIII). Tu conosci la mia ignoranza e la mia debolezza, istruiscimi, guariscimi. Questo Figlio unico in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Colos. II, 3), mi ha ricomprato con il suo sangue. Lungi da me le calunnie dei superbi (Ps. CXVIII), poiché conosco il prezzo della mia vittima; mangio la sua carne, bevo il suo sangue, e la distribuisco agli altri. Povero ancora, desidero esserne saziato con quelli che la mangiano e se ne saziano e che lodano il Signore poiché lo cercano » (Ps. XXI, 26). (Conf. I, X, e. XLIII, 68, 6g, 70). – Qualche anno più tardi riprese la sua tesi nella grande opera sulla Trinità. Essa costituisce l’essenza del libro XIII consacrato al raddrizzamento dell’immagine di Dio nell’uomo degradato dal peccato, e il prezzo del riscatto mostra la grandezza della colpa. La teologia ha largamente attinto in queste pagine acute e profonde, in cui il Santo Dottore precisa il significato e le vere esigenze della giustizia in questo campo, distinguendole dalle formule correnti un po’ equivoche. È nella Città di Dio e contro le pretese religiose dei neoplatonici, di Porfirio soprattutto, che Sant’Agostino ha più abbondantemente trattato l’argomento, e a leggerlo si sente che non è solo una teologia quella che egli espone; è una vita religiosa che egli difende e vuole promuovere, sia che provi il sacerdozio del Cristo, sia che ne descriva il sacrificio: è l’argomento essenziale del X libro. Il tono delle prime pagine di tale esposizione ne mostra il carattere profondamente religioso. « È a Dio che dobbiamo, per parlare come i Greci, rendere il culto di latria, sia negli atti esteriori, sia nella nostra interiorità; poiché noi siamo il suo tempio, tutti insieme come ognuno di noi in particolare, ed Egli si degna di prendere a dimora ogni fedele e il Corpo della Chiesa, senza essere più grande nel tutto di quanto non lo sia in ogni parte, poiché la sua natura è incapace di ogni estensione e di ogni divisione. Quando il nostro cuore è elevato a Lui, esso è il suo altare; il Suo unico Figlio è il sacerdote per mezzo del quale lo preghiamo; gli immoliamo vittime cruenti quando versiamo il nostro sangue per la verità e per lui; l’amore che ci infiamma in sua presenza, con una fiamma santa e pia, è il più gradito incenso; gli offriamo i doni che ci ha fatto, e se ci offriamo restituiamo noi stessi al nostro Creatore; richiamiamo il ricordo dei suoi benefici con feste solenni, per paura che il tempo non rechi l’ingratitudine e l’oblio; infine gli votiamo sull’altare del nostro cuore, in cui irradia il fuoco della carità, un’ostia di umiltà e di lode. È per vederlo, per quanto può essere visto, è per essere uniti a Lui, che ci purifichiamo della sozzura dei peccati e delle passioni cattive, e che cerchiamo una consacrazione nella virtù del suo nome; poiché è la fonte della nostra beatitudine e il fine di tutti i nostri desideri. Legandoci dunque a Lui, o piuttosto legandoci invece di distaccarcene per nostra disgrazia, meditandolo e rileggendolo senza sosta (da cui viene, si dice, la parola religione), tendiamo verso di lui per mezzo dell’amore, alfine di trovare in lui il riposo e di possedere la beatitudine possedendo la perfezione » (Città di Dio, I. X, c. III, 2).

La Chiesa e Maria, templi dello Spirito Santo

Cristo continua a vivere, spiritualmente, nella Chiesa, che è il suo Corpo mistico. Tale dottrina, espressamente insegnata da San Paolo (I Cor. XII, 12-13 e 27), era familiare ai Padri della Chiesa. Nessun Dottore antico tuttavia l’ha sviluppata con maggiore entusiasmo di Sant’Agostino. Uno dei suoi temi basilari è il paragone della vite e dei tralci: « Come il corpo è unico e ha molte membra, e come tutte le membra, malgrado il loro numero, non formano che un solo corpo, così il Cristo è molteplice nelle sue membra e unico nel suo corpo. Siamo dunque tutti uno con il Cristo, nostro capo, noi che, senza capo, siamo senza valore. Perché? Uniti al nostro capo, siamo la vite; separati da Lui, ciò che Dio non voglia! saremmo tralci tagliati, inutili per i vignaioli, buoni soltanto ad essere bruciati. Per questo è detto nel Vangelo: “Io sono la vite, voi i tralci; mio Padre è il vignaiolo, e senza di me non potete fare nulla ” (Joan. XV, I, 5). Signore, se non possiamo fare nulla senza di te, possiamo tutto con te. Difatti tutto ciò che il Cristo fa in noi, siam noi che sembriamo farlo; ma mentre Egli senza di noi può molto, può tutto, senza di Lui non possiamo nulla (In Ps. 30, serm. II, n. 4). – Tutti i fedeli mossi dallo Spirito formano un corpo di cui il Cristo è la testa, una città di cui è il capo, uno Stato di cui è il Re. Egli è Cristo per l’unzione regale e sacerdotale che ha ricevuta, e noi lo siamo in Lui, noi che siamo il suo corpo, poiché Egli ci incorpora a lui (concorporans nos sibi), fa di noi sue membra, affinché noi formiamo un sol Cristo con lui. È per questo che i Cristiani godono dell’unzione che, nell’Antico Testamento, era riservata a due sole persone. Per conseguenza noi siamo il corpo di Cristo, poiché tutti noi siamo consacrati. In lui, siamo tutti dei «cristi» e un solo Cristo, poiché la testa e le membra formano il Cristo totale. Questa unzione ci perfezionerà in maniera spirituale nella vita che ci è promessa » (In Ps. XXVI, serm. I , 2). Corpo mistico, la Chiesa è un organismo vivente, animato dallo Spirito Santo ricevuto nella Pentecoste, secondo le promesse fatte dal Salvatore: Come molti altri Padri, Sant’Agostino sviluppa questa dottrina, che fu l’anima del suo primo grande apostolato presso i donatisti. Mentre lottava contro i fanatici difensori dello scisma, la sua anima si esaltava a contemplare, nella preghiera, le bellezze e le grandezze della Sposa di Cristo. Le ha molte volte descritte nelle sue omelie sui Salmi. Nel suo commento al Salmo XLIV, canta con entusiasmo questa mistica unione del Verbo e della Chiesa. La devozione al Cristo e alla Chiesa si completa in Sant’Agostino, in un vero culto verso Maria, e il fatto è tanto più commovente in quanto questo culto non ha preso veramente il suo grande sviluppo nella Chiesa se non dopo la definizione della maternità divina della Vergine nel Concilio di Efeso, tenuto nel 431, l’anno che seguì la morte del Santo Dottore: vi era invitato, ma non poté rispondere a quell’appello. Il culto verso Maria era nato molto prima, e i trattati sulla verginità, che apparvero nel IV secolo, in Occidente come in Oriente, contribuirono a diffonderlo. Il titolo di « Madre di Dio » che ne era il punto di appoggio, incontrò resistenze che il concilio dovette spezzare. Fin dall’inizio del V secolo, trent’anni prima di queste lotte, Sant’Agostino aveva preso posizione, nei primi capitoli del suo trattato « Sulla Verginità », e quelle pagine hanno un alto valore dottrinale, non soltanto nei riguardi della verginità in sé, ma anche della condizione unica della Vergine-Madre, Maria. Sant’Agostino va qui oltre i limiti dell’argomento, pur così elevato, della maternità divina propriamente detta, realizzata nell’Incarnazione, per proclamare un’altra maternità, tutta spirituale, di Maria, quella che l’associa strettamente alla Chiesa per mezzo della quale i Cristiani sono introdotti nella vita divina. Anche la Chiesa è una Vergine, legata spiritualmente al Cristo con un matrimonio verginale; e, d’altra parte, è Madre, perché dona agli uomini la vita divina: « Venga in nostro aiuto il Cristo, figlio della Vergine e sposo delle vergini, nato corporalmente da un seno verginale, legato spiritualmente da un matrimonio verginale. Dato che la Chiesa universale è una Vergine unita a uno sposo unico, il Cristo, come dice l’Apostolo (II Cor. XI, 2), di quale felicità non son degne quelle delle sue membra che osservano fin nella loro carne ciò che nella sua totalità ella osserva nella sua fede? Ella prende per modello la madre del suo Sposo e Signore; poiché anche la Chiesa è Madre e Vergine. A chi appartiene infatti l’integrità su cui vegliamo, se ella non è Vergine? O ancora, di chi sono i figli di cui parliamo, se non è Madre? » (Virg., II, 2). – Un nuovo parallelo, tracciato a grandi linee, mostra come, in questo campo spirituale, la verginità e la fecondità vadano di pari passo nella Chiesa e in Maria: « Maria ha messo al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa mette al mondo spiritualmente le membra di questo capo. Né nell’una né nell’altra la verginità impedisce la fecondità; né nell’una né nell’altra la fecondità distrugge la verginità. Di conseguenza, se la Chiesa universale è santa di corpo e di spirito, senza essere tuttavia universalmente vergine di corpo, ma soltanto di spirito, quanto è più santa in quelle delle sue membra in cui essa è vergine e di corpo e di spirito! » (Virg. II, 2; p. 113). L’introduzione generale del trattato prosegue nelle pagine seguenti (cap. IV, VI), che si riferiscono specialmente alla Madre del Salvatore. Questa dottrina di Sant’Agostino sulla Santissima Vergine non deve isolarsi da un’altra formula del santo di cui non si è sempre vista la profondità. Nel trattato su La Natura e la Grazia, contro Pelagio, egli dichiara in modo categorico, dopo aver esposto l’universale estensione del peccato nella discendenza di Adamo: « Bisogna dunque fare eccezione per la Santa Vergine Maria, di cui, per l’onore del Signore, non voglio assolutamente sia questione in alcun modo, quando si tratta dei peccati » (XXXVI, 42; P. L. 44, col. 267). È chiaro che il contesto prende di mira i peccati attuali. Sant’Agostino non si poneva la questione del peccato originale; ma la formula è così categorica e così universale, che ci si può domandare ciò che avrebbe risposto se la questione gli fosse stata posta, come fu posta ai Dottori medioevali. Non è temerario pensare che egli avrebbe potuto trovare, quasi per istinto spirituale, la ragione invocata da Duns Scoto per scartare le obiezioni di coloro che ci tenevano, con ragione, a salvaguardare l’universalità della salvezza per mezzo del Cristo (È in vista dei meriti del Cristo che Maria fu preservata.). Questa ipotesi — non è che un’ipotesi — diventa più plausibile quando si è messa in rilievo, come abbiamo cercato di fare, la nota spirituale predominante nelle opere patristiche, piuttosto che il carattere tecnico delle loro ricerche. Queste alte preoccupazioni erano particolarmente acute in Sant’Agostino, ciò che toglie all’ipotesi ogni inverosimiglianza, anche se non si può andare oltre.

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (62) – LA CITTÀ ANTICRISTIANA (2)

LA CITTA’ ANTICRISTIANA (2)

DI P. BENOIT

DOTTORE IN FILOSOFIA E TEOLOGIA

DIRETTORE EMERITO DEL SEMINARIO DI PARIGI

SOCIÉTÉ GÉNÉRALE DE LIBRAIRIE CATHOLIQUE

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BRUXELLES

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4, rue Corraterîe. -1886 –

II

LA FRANCO-MASSONERIA O LA SOCIETÀ SEGRETA

ТОМO PRIMO

SEZIONE PRIMA – PIANO IDEALE DEL TEMPIO MASSONICO

O SCOPO SUPREMO DELLE SOCIETÀ SEGRETE

10. Diciamo in primo luogo che il piano ideale del tempio massonico o il fine supremo delle società segrete è la pura anarchia, cioè la distruzione dell’ordine sociale fino alle sue ultime fondamenta. Coglieremo questo piano od obiettivo in certe formule che ricorrono ripetutamente nelle opere dei massoni, nei discorsi delle logge e persino nelle decorazioni massoniche. Confermeremo la verità della nostra presentazione con un certo numero di testi presi in prestito dalle opere di famosi massoni o presi da alcuni discorsi degli alti gradi. Non ci resta poi che fare alcune osservazioni e dedurre alcune conclusioni.

CAPITOLO I

Dichiarazione dello scopo supremo delle società segrete

11. Il mondo massonico non cessa di parlare di libertà, uguaglianza, fraternità; spesso loda lo stato di natura; celebra la verità, la virtù, la moralità; sostiene di possedere un’arte reale e pretende di trovare la pietra filosofale; spesso parla di filantropia e talvolta di una nuova religione. Queste espressioni o formule coprono, agli occhi degli iniziati, il sistema massonico in tutte le sue orrende profondità. Cerchiamo di penetrare il loro significato.

I – LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ

12. Abbiamo già detto altrove cosa intendono i settari per libertà e uguaglianza. Riassumiamo e completiamo la nostra presentazione. La libertà, per i massoni la cui iniziazione è completa, è l’indipendenza assoluta e illimitata dell’uomo; è il rifiuto di ogni autorità e di ogni legge; in altre parole, è l’insubordinazione o la rivolta universale. Chi è soggetto ad una volontà estranea, foss’anche quella divina, non è libero; chi è soggetto a qualsiasi legge, anche quella naturale, non è libero. Il fedele non è libero; il suddito non è libero; il marito e la moglie non sono liberi; il bambino che vive sotto l’autorità dei suoi genitori non è libero; l’uomo in uno stato sociale non è libero. “Tutti gli uomini sono liberi per natura; quindi, nessuno di loro ha il diritto di comandare i suoi simili; pertanto, è una violenza agli uomini pretendere di sottometterli a qualsiasi autorità. “Sarai libero, dice la massoneria al suo seguace, se sarai sovrano, se sarai sacerdote, re e dio, se sarai venerato come l’adoratore del tempio. Questa è l’antica promessa del serpente ai nostri primi genitori: “Sarete dei: dii eritis”. “Così, nel linguaggio massonico, la libertà significa rivolta: rivolta del figlio contro il padre, dei coniugi contro il freno del matrimonio, o distruzione della famiglia; rivolta dei poveri contro i ricchi, o annientamento della proprietà; rivolta dei sudditi contro i principi, o anarchia civile; rivolta dell’uomo contro Dio, o rifiuto di ogni religione. « Se siete miei discepoli – disse Gesù Cristo agli uomini – conoscerete la verità e la verità vi libererà. » (Giov. VIII, 32). Poi ha aggiunto: « chi fa il peccato è schiavo del peccato ». Ma lo schiavo del peccato abita in una casa di schiavitù; il Figlio di Dio abita nella casa di Dio, cioè nella casa della pace e della libertà. – Se dunque vi sottomettete al Figlio di Dio, sarete veramente liberi. » (Giov. VIII, 34-36).

– I liberi massoni sopraggiungono e dicono: « No, non è chi si sottomette a Gesù Cristo, bensì chi viene da noi che è veramente libero. » Colui che si sottomette a Gesù Cristo entra nella casa di schiavitù, perché « mette la sua intelligenza in cattività » (II Cor. X, 15) sotto il giogo di una parola rivelata, e si impegna « a crocifiggere la sua carne con tutte le sue concupiscenze » (Gal V, 24) Chi viene a noi entra nel tempio della libertà, perché può seguire senza costrizioni le opinioni della sua ragione, i richiami del suo cuore e gli appetiti dei suoi sensi. La libertà al servizio di Dio e del suo Cristo: eccolo lo scopo della Religione Cattolica. Libertà con la ribellione contro Dio ed il suo Cristo: questo è il fine della massoneria. Il Cristiano è libero perché spinge l’amore di Dio fino all’odio e alla repressione di tutti i desideri della natura corrotta. Il massone è libero, se porta l’amor proprio fino al disprezzo di Dio. Continuiamo.

13. « I diritti si basano sull’essenza o sulla natura. L’uguaglianza, natura; ora la natura è la medesima in tutti gli uomini; quindi i diritti devono essere gli stessi ». Questo è il ragionamento dei settari. « Gli uomini sono uguali nei diritti: tutti, e da tutti i punti di vista, sono nella stessa condizione » (Encyc. Humanum genus). Da questo l’ammissione di tutti alle cariche pubbliche, la sottomissione di tutti alle stesse leggi ed agli stessi tribunali, la partecipazione di tutti al suffragio, … che sono solo i preliminari del sistema di uguaglianza; tutti devono partecipare a tutti i beni, e anche a tutti le persone. Finora ci sono stati ricchi e poveri, genitori e figli, mariti e mogli, re e sudditi, preti e laici, cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, buddisti; in futuro ci saranno solo uomini. « Il tempio massonico è l’universo popolato da uomini liberi e uguali. » – « Tra i massoni (e un giorno, grazie a loro, tra tutti gli uomini), non c’è né primo né ultimo; non ci sono né forti né deboli, né grandi né piccoli; ci sono solo fratelli e sorelle, tutti uguali, tutti desiderosi di essere uguali (Précis historique de l’ordre de la franc-maç. Discours, t. II, p. 326). « Nel mondo dei profani, uno combatte per Mario, l’altro per Sylla; nel nostro mondo, non c’è né Mario né Sylla. Nel mondo dei profani, si adora qui Baal, là Geova; nella massoneria, c’è un solo culto, quello della virtù; e chi può dire che tale culto non sia quello del vero Dio? Nel mondo dei profani, ci sono fedeli e miscredenti, ci sono ebrei, pagani, maomettani, greci, protestanti, antiprotestanti, e mille altre sette le cui pretese spaventano la mente, e tutti, nemici gli uni degli altri, sono si sono massacrati per secoli in nome e per gli interessi del Cielo; nel mondo che sogniamo, la Mecca e Ginevra, Roma e Gerusalemme si confondono: Non ci sono ebrei, maomettani, papisti o protestanti: ci sono solo uomini. » (Ibid., p. 328).

14. Le sette non si accontentano solo di proclamare l’uguaglianza tra tutti gli uomini; la proclamano tra Dio e l’uomo. Secondo loro, o Dio non esiste, o, se esiste, non può intervenire nel governo degli esseri liberi, o si confonde con l’uomo e il mondo. Quest’ultima teoria è, come vedremo, la più cara alla Massoneria: è nel cuore dei suoi simboli, entra nell’essenza di tutti i suoi gradi, ricorre costantemente nei discorsi e nei libri dei fratelli. – Ma sia che le sette releghino Dio lungi dal commercio degli uomini, sia che lo neghino o lo confondano con la natura, esse investono l’uomo delle caratteristiche stesse della divinità, dell’indipendenza e della sovranità: egli entra nel tempio massonico come adoratore oltre che come cultore, e, alzando gli occhi al cielo, dice con l’arcangelo rivoltoso: “Similis ero Altissimo: sono l’uguale di Dio. « Ogni uomo è il suo prete e il suo re, il suo papa e il suo imperatore. » (F:. Potvin. A. Neut., l.1, p. 408.) « Noi rispondiamo dei nostri atti, solo a noi stessi, siamo i nostri sacerdoti e i nostri dei. » (R :.Lacroix, ïbid.). « I nostri stessi avversari non lo dicono continuamente: “Gli dei se ne vanno! Il prestigio dell’autorità” scompare? » E chi sostituirà gli dei, i re, i sacerdoti, se non l’individuo libero, fiducioso nelle sue forze (Kropotkine, Paroles d’un révolté, p. 342.), egli stesso “re, sacerdote e dio?

15. « Fraternità significa prima di tutto la comunità di natura e di diritti, o l’uguaglianza di tutti nel possesso della stessa libertà. Nel Cristianesimo, tutti gli uomini sono fratelli attraverso la comunità della stessa origine, natura e fine. Ma questa comunità non toglie le differenze di condizione e di funzione: tra questi uomini che hanno la stessa natura ci sono poveri e ricchi, sudditi e re, figli e padri, mogli e mariti. – Al contrario, nella massoneria, la comunità di natura, assorbe e fa sparire tutte le differenze. Non più famiglie particolari, ma una sola famiglia: l’umanità. Non più nazioni separate, ma una sola nazione, l’umanità. Non più Chiesa Cattolica o protestante, ma una sola chiesa, l’umanità. Le differenze di colore, di razza e di religione stanno scomparendo; i genitori, i coniugi, i re, i proprietari non hanno più diritti propri: non ci sono più dappertutto che uomini tutti uguali, perché essi tutti hanno una libertà assoluta. In questo senso, tutti gli uomini sono fratelli.

16. In secondo luogo, la fraternità serve a designare l’assistenza che tutti i massoni si devono reciprocamente in tutti gli affari della vita, specialmente in quello che riguarda la grande opera comune. Secondo l’insegnamento delle logge, infatti, un fratello deve aiutare il fratello in tutto ed ovunque. Un ministro, un prefetto, devono usare il loro credito per l’avanzamento dei fratelli. Un giudice non deve condannare un fratello, anche se colpevole. Gli alti funzionari devono usare la loro influenza per assicurarsi che i membri dell’Ordine ricevano posizioni onorevoli e vantaggiose, pensioni, bonus, favori e onori di ogni tipo.

17. Ma soprattutto quando è interessata la causa comune, i massoni devono dimenticare i legami di parentela, di amicizia, di nazionalità, i doveri stessi della giustizia, per pensare solo al bene dell’ordine. Quest’uomo è nemico delle società segrete? Sia anche tuo padre, devi combatterlo. Questa famiglia sta ostacolando   il progresso della libertà massonica: facendone parte, voi dovete lavorare per rovinare la sua influenza. Una legge è utile al paese, ma dannosa all’opera rivoluzionaria; un’altra è favorevole alle sette, ma perniciosa alla nazione: bisogna respingere la prima e acclamare la seconda. Il primo dovere di un deputato del Parlamento o di un senatore è quello di difendere la causa della libertà e dell’uguaglianza con la parola e con il voto. Il primo dovere di un diplomatico, di un generale dell’esercito, è quello di portare al successo i piani massonici. Non abbiamo visto spesso, nel secolo scorso, politici chiudere gli occhi di fronte agli interessi più evidenti del paese, e spingere a misure che si giustificavano solo dal loro lato rivoluzionario? Non ci sono tante occasioni in cui i generali hanno tradito la causa del paese per servire la causa della rivoluzione? I capi delle alte logge non hanno forse raccomandato ai massoni di intentare cause civili e politiche contro i loro avversari in tribunali in cui sedevano dei fratelli? La storia contemporanea è piena di fatti di questa natura. Nel corso di questo libro, avremo più di una volta l’opportunità di tornare su questo argomento.

18. Per i settari, il grande obiettivo, quello che ha la precedenza su tutto il resto, è il trionfo della libertà e dell’uguaglianza massonica. « I cittadini devono unirsi ai cittadini, i popoli ai popoli, per provvedere all’emancipazione comune. « Tutti, in tutti i climi e con tutti i mezzi, devono lavorare per la grande opera di emancipazione dell’umanità ». Questo è il senso della fratellanza.

19. Per alcuni iniziati c’è un significato più segreto e più odioso. La fraternità è il ritorno ai costumi dei templari, cioè il regno della dissolutezza più sfrenata. È così che gli antichi gnostici intendevano la carità (Si può vedere ià in San Epifanio quel che gli gnostici intendevano con « l’esercizio della carità »: charitatem exhibere (Hæres. advers. Gnostic, lib. I. Hæres. VI vel XXVI. Mign. Patr. Græc. 91. XLI, col. 338,86). Molte formule e cerimonie massoniche sono state improntate a questi antichi settari. « È con lo studio degli antichi gnostici e manichei, diceva uno dei più illustri settari, il famoso Weishaupt, che l’illuminato potrà fare grandi scoperte su questa vera massoneria »); così i settari moderni, i loro successori, intendono « la beneficenza », l’« umanità », la « fraternità ». La « beneficenza » consiste, in questo senso, nel procurare agli uomini la soddisfazione dei desideri più universali e potenti della natura; l’« umanità » vuole che il massone si abbassi a tutti i desideri della carne; la « fraternità » è l’associazione di mutuo soccorso per il godimento voluttuario. Per questi « puri massoni », la « fraternità » designa i liberi costumi … delle bestie. Per poterli « restaurare » tra gli uomini, si sforzano di stabilire il matrimonio civile ed il divorzio, « il primo passo verso il regime dei liberi costumi ». Allo stesso scopo, fanno professione tra di loro di una spudoratezza sconosciuta nelle relazioni sociali, rifiutando ogni segno del rispetto reciproco, e praticando in alcune logge di alto rango un’orribile confidenziale turpiloquio, che hanno preteso persino di imporre per qualche tempo ad un intero popolo.

20. Inoltre, per questi puri, la parola libertà nasconde lo stesso significato. Nell’antichità pagana, il dio e la dea che presiedevano agli atti carnali, erano chiamati Liberi (S. Aug. De Civ. Dei, lib. VII, c. II e c. III.) o dei della libertà; la soddisfazione dei sensi era chiamata sollazzamento o liberazione; c’erano già feste della libertà, nelle quali il popolo adorava solennemente le cose più vergognose (S. Agost. De Civ. Dei, VII, cap. XXI). Queste pratiche infami furono trasmesse agli gnostici e ai manichei (S. Epifanio, Minuzio Felice e tanti altri). Qual sorpresa dunque che i moderni restauratori del paganesimo, gli eredi degli gnostici e dei manichei, chiamino la licenziosità di passioni infami con il nome di libertà, e propongano essi stessi al culto degli uomini ciò che è di più ignobile sotto il nome di albero della libertà? « Qual è il nome di un cavaliere bretone massone? », chiede l’iniziatore di un alto grado. Il candidato risponde: “Il nome di un massone liberissimo (Recueil précieux de la Mac. adonhir., t. II, p. 124). « Per i veri iniziati – dice Ragon – Iside è senza veli (Ragon, Orth. maç., introd., p. III.). » Gregorio XVI dice: « Tutto ciò che c’è mai stato di più sacrilego, blasfemo e vergognoso nelle eresie e nelle sette più criminali, è stato accumulato nelle società segrete come nella fogna universale più sordida di tutte le infamie » (Encyc. Mirari Vos). »

21. Da questo momento in poi, si vede il piano del tempio prendere forma. Il tempio ideale è una rovina universale. « Il nostro principio – dice Proudhon – è la negazione di ogni dogma; il nostro dettato è il nulla. Negare, negare sempre, questo è il nostro metodo; esso ci ha condotto a spacciarci come principi: nella religione, l’ateismo; nella politica, l’anarchia; nell’economia politica, la non proprietà. » È questa negazione assoluta, questo rovesciamento universale, che esprime la formula: Libertà, Uguaglianza, Fraternità… Libertà: distruzione di ogni autorità. Uguaglianza, distruzione di ogni gerarchia.  – La fraternità, da un lato una comunità di diritti e di beni, dall’altro l’assistenza reciproca per il bene comune in generale e per i piaceri dei sensi in particolare. La libertà è il fine; l’uguaglianza è ancora il fine; la fraternità è il fine e il mezzo. – Una sola di queste parole comprende tutto il piano del tempio:

Libertà: « Non ci sono più né padroni né schiavi, ma uomini liberi. »

Uguaglianza: « Non ci sono più superiori o inferiori, ma uguali ».

Fraternità: « non ci sono più padri o figli, ma fratelli. »

Quindi:

Libertà, distruzione della Religione, della società civile, della famiglia, della proprietà.

Uguaglianza, ulteriore distruzione della Religione, della società civile, della famiglia e della proprietà. –

Fratellanza, distruzione sempre della Religione, della società civile, della famiglia e della proprietà.

La libertà è dunque inseparabile dall’uguaglianza; la libertà e l’uguaglianza dalla fraternità. In queste tre parole abbiamo il piano ideale del tempio massonico, e lo abbiamo tutto in uno. Si può anche dire che l’obiettivo della Massoneria è la costruzione del tempio della libertà, o il tempio dell’uguaglianza o il tempio della fraternità, così come il tempio della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Essa stessa si fregia di chiamarsi libera muratoria o massoneria.

LA CITTÀ ANTICRISTIANA (3)

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (1)

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (1)

PUBBLICATO PER ORDINE DI SUA SANTITÀ PAPA PIO X

La testimonianza del Signore è fedele, ai piccoli dà sapienza. Salmo XVIII, 7

ROMA TIPOGRAFIA POLIGLOTTA VATICANA

1920

Soltanto agli Ordinari per le loro diocesi, si permetterà di riprodurre il presente Catechismo.

Qualunque altra riproduzione è proibita, e non potrà adottarsi nell’insegnamento catechistico.

Per la necessaria autorizzazione rivolgersi alla “Commissione per il Catechismo„ presso la Tipografia Poliglotta Vaticana.

Roma, 25 novembre 1912.

AL SIGNOR CARDINALE PIETRO RESPIGHI

NOSTRO VICARIO GENERALE

Signor Cardinale,

Fin dai primordi del Nostro Pontificato rivolgemmo la massima cura all’istruzione religiosa del popolo cristiano e in particolare dei fanciulli, persuasi che gran parte dei mali che affliggono la Chiesa provengono dall’ignoranza della sua dottrina e delle sue leggi. I nemici di essa le condannano bestemmiando ciò che ignorano, e molti de’ suoi figli, mal conoscendole, vivono come se tali non fossero. Perciò insistemmo spesso sulla somma necessità dell’ insegnamento catechistico, e lo promovemmo da per tutto, secondo il nostro potere, sia con le Lettere Encicliche Acerbo nimis e con le disposizioni riguardanti i catechismi nelle parrocchie, sia con le approvazioni e con gl’incoraggiamenti ai Congressi catechistici e alle scuole di Religione, sia con l’introdurre qui in Roma il testo del Catechismo usato da tempo in alcune grandi Province ecclesiastiche d’Italia.

Tuttavia col volgere degli anni, tanto a cagione delle nuove difficoltà insidiosamente frapposte a un qualsiasi insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, dove s’impartiva da secoli, quanto anche per la provvida anticipazione, da Noi voluta, della prima comunione dei fanciulli, e per altri motivi, essendoci stato espresso il desiderio di un Catechismo sufficiente, che fosse molto più breve, e più adatto alle esigenze odierne, Noi acconsentimmo che si riducesse l’antico Catechismo in uno nuovo, molto ristretto, che Noi stessi esaminammo e volemmo fosse pure esaminato da molti nostri Confratelli Vescovi d’Italia, affinché Ci esprimessero il loro parere in generale, e indicassero in particolare, secondo la loro scienza ed esperienza, le modificazioni da introdurre. – Avuto da essi un favorevole apprezzamento quasi unanime, con non poche preziose osservazioni che ordinammo fossero tenute nel debito conto, Ci sembra di non dover ritardare più oltre una sostituzione di testo, per vari motivi riconosciuta opportuna, fiduciosi che esso, con la benedizione del Signore, tornerà molto più comodo e altrettanto, se non più vantaggioso dell’antico, sia perché il volume del libro e delle cose da apprendersi, assai diminuito, non disaminerà i giovanetti, già molto aggravati dai programmi scolastici, e permetterà ai maestri e catechisti di farlo imparare per intero; sia perché vi si trovano, nonostante la brevità, più spiegate e accentuate quelle verità che oggidì, con immenso danno delle anime e della società, sono più combattute, o fraintese, o dimenticate. – Anzi confidiamo che anche gli aduti, i quali vogliano, come talora dovrebbero per viver meglio e per educar la famiglia, ravvivare nell’animo le cognizioni fondamentali su cui poggia la vita spirituale e morale cristiana, siano per trovare utile in ciò e gradita questa breve somma, assai accurata anche nella forma, dove incontreranno esposte con molta semplicità le capitali verità divine e le più efficaci riflessioni cristiane.

   Questo Catechismo, pertanto, e i primi elementi che da esso, per comodità dei fanciuletti abbiamo disposto si ricavino senza mutazione di parola, Noi, con l’autorità della prsente, approviamo e prescriviamo alla diocesi e provincia ecclesiastica di Roma, vietando che d’ora innanzi nell’insegnamento catechistico si segua altro testo.  – Quanto alle altre diocesi d’Italia, Ci basta esprimere il voto che il medesimo testo, da Noi e da molti Ordinari giudicato sufficiente, venga pure in esse adottato, anche perché cessi la funesta confusione e il disagio che oggidì moltissimi provano nelle frequenti mutazioni di domicilio, trovando nelle nuove residenze formole e testi notevolmente diversi che essi difficilmente imparano, mentre per desuetudine confondono e infine dimenticano anche quanto già sapevano. E peggio è per i fanciulli, perché nulla è sì fatale alla buona riuscita d’un insegnamento quanto il proseguirlo con un testo diverso da quello a cui il giovanetto è già, più o meno, assuefatto. – E poiché per l’introduzione del testo presente qualche difficoltà potranno incontrare gli adulti, perché si scosta dal precedente anche in talune formole; così, a togliere gl’inconvenienti, ordiniamo che a tutte le messe principali festive, come pure in tutte le classi della dottrina cristiana, siano recitate in principio, ad alta voce, chiaramente, posatamente, le prime preghiere e le principali altre formole. In tal maniera, dopo qualche tempo, senza sforzo, tutti le avranno imparate; e s’introdurrà un’ottima e cara consuetudine di comune preghiera e d’istruzione, che da tempo è in vigore in molte diocesi italiane, con non poca edificazione e profitto. – Esortiamo vivamente nel Signore tutti i catechisti, ora che la brevità stessa del testo ne agevola il lavoro, a volere con tanto maggior cura spiegare e far penetrare nelle anime dei giovai la dottrina cristiana, quanto maggiore è il bisogno oggidì d’una soda istruzione religiosa, per il dilagare dell’empietà e dell’immoralità. Ricordino sempre che il frutto del Catechismo dipende qui totalmente dal loro zelo e dalla loro intelligenza e maestria nel renderne l’insegnamento più lieve e gradito agli alunni. Preghiamo Dio che, come oggi i nemici della Fede, ognora crescenti per numero e per potenza, con ogni mezzo vanno propagando l’errore, così sorgano numerosissime le anime volonterose a coadiuvare con grande zelo i parroci, i maestri e i genitori cristiani nell’insegnamento quanto necessario altrettanto nobile e fecondo del Catechismo.

Con questo augurio impartiamo di cuore a Lei, Signor Cardinale, e a quanti avrà cooperatori in così santo ministero, l’Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 18 ottobre 1912.

PIUS PP. X.

INDULGENZE PER COLORO CHE INSEGNANO O STUDIANO LA DOTTRINA CRISTIANA.

Ai genitori: cento giorni, ogni volta che nelle loro case insegnano la Dottrina cristiana ai figli e ai domestici (Paolo V, Breve 6 ottobre 1607).

Al maestri: sette anni, ogni volta che nelle feste conducono i discepoli alla Dottrina cristiana e gliela insegnano (Paolo V, Breve id.).

Cento giorni ogni volta che nei dì feriali la insegnano nelle scuole (Paolo V, Breve id.).

A tutti i fedeli: cento giorni, ogni volta che per mezz’ora studiano il Catechismo sia per insegnarlo sia per apprenderlo (Paolo V, Breve id.).

Sette anni ed altrettante quarantene, ogni volta che, confessati e comunicati, intervengano al Catechismo, quando è insegnato ai fanciulli nelle chiese ed oratori (Clemente XII, Breve 16 maggio 1736).

Indulgenza plenaria nei giorni di Natale, di Pasqua e dei santi Pietro e Paolo, se intervengono assiduamente al Catechismo per insegnarlo o per apprenderlo, purché, confessati e comunicati, preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (Clemente XII, Breve id.).

Tre anni, in ciascuna festa della Santissima Vergine, se sono soliti adunarsi nelle scuole o nelle chiese per imparare la Dottrina cristiana, purché in dette feste si confessino (Pio IX, Rescritto della S. C delle indulgenze, 18 luglio 1877).

Sette anni, se anche si comunicheranno (Pio IX, Rescritto id.).

AVVERTENZA.

L’asterisco (*) davanti alle «Prime preghiere e formole, alle prime nozioni. e a parecchie domande indica che esse si trovano anche nei Primi clementi della Dottrina cristiana, senza cambiamento: solo alcune risposte vi sono abbreviate, la 113* ha una lieve trasposizione, e la 328a l’aggiunta delle parole nella Messa.

* PRIME PREGHIERE E FORMOLE DA SAPERSI A MEMORIA.

Queste cose medita, in queste sta’ fisso,

affinché sta manifesto a tutti il tuo avanzamento.

1a Timot., IV, 15.

1. – Segno della Croce.

In nòmine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

[In nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.]

2. – Credo, o Simbolo apostolico.

1 Credo in Deum Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terræ; 2 et in lesum Christum, Fllium eius unicum, Dóminum nostrum, 3 qui concéptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, 4 passus sub Póntio Pilato, crucifixus, mórtuus et sepùltus: 5 descéndit ad inferos: tértia die resurréxit a mórtuis: 6 ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: 7 inde venturus est iudicàre vivos et mortuos. 8 Credo in Spiritum Sanctum, 9 sanctam Ecclésiam cathólicam, sanctórum communiónem, 10 remissiónem peccatórum, 11 carnis resurrectiónem, 12 vitam ætérnam. Amen.

[1 Io credo in Dio Padre onnipotente. Creatore del cielo e della terra; 2 e in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, Nostro Signore, 3 il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, 4 patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morto e seppellito, 5 discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò da morte, 6 salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, 7 di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. 8 Credo nello Spirito Santo, 9 la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, 10 la remissione dei peccati, 11 la risurrezione della carne, 12 la vita eterna. Amen.]

3. – Pater noster, o Orazione domenicale.

Pater noster qui es in caelis, 1 sanctificétur nomen tuum: 2 advéniat regnum tuum:

5 fiat volùntas tua, sicut in cælo et in terra. 6 Panem nostrum quotidiànum da nobis hódie, 5 et dimitte nobis débita nostra, sicut et nos dimittimus debitóribus nostris; 6 et ne nos inducas in tentatiónem, 7 sed libera nos a malo. Amen.

[Padre nostro che sei ne’ cieli, 1 sia santificato il tuo nome: 2 venga il tuo regno: 3 sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 4 Dacci oggi il nostro pane quotidiano; 5 e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; 6 e non c’indurre in tentazione, 7 ma liberaci dal male. Così sia.]

4. – Gloria Patri.

Glòria Patri et Fi’lio et Spirititi Sancto, sicut erat. in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

[Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia]

5. – Ave Maria, o Salutazione angelica.

Ave, Maria, gràtia plena: Dóminus tecum: benedicta tu in muliéribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora prò nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

[Ave, o Maria, piena di grazia: il Signore è teco: tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del ventre tuo, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Così sia.]

6. – Salve Regina.

Salve, Regina, mater misericórdiæ; vita, dulcédo et spes nostra, salve. Ad te clamàmus, éxsules filii Hevæ. Ad te suspiràmus geméntes et flentes in hac lacrimàrum valle. Eia ergo, advocàta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos converte. Et Iesum, benedictum fructum ventris tui, nobis post hoc exsilium osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.

[Salve, o Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo esuli figli di Eva: gementi e piangenti in questa valle di lacrime a te sospiriamo. Orsù dunque, avvocata nos, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del ventre tuo, o clemente, o pietosa, o dolce Vergine Maria.]

7. – Angele Dei.

Angele Dei, qui custos es mei, me tibi  commissum pietate superna illumina, custudi, rege et gubérna. Amen.

[Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Così sia.]

8. – Requiem æternam, per i fedeli defunti.

Rèquiem æternam dona eis, Domine, et lux perpètua luceat eis. Requiéscant in pace. Amen.

[L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Così sia.]

9. – Atto di fede.

Mio Dio, credo fermamente quanto voi, infallibile Verità, avete rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in voi, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figliuolo e Spirito Santo; e nel Figliuolo incarnato e morto per noi, Gesù Cristo, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa Fede voglio sempre vivere. – Signore, accrescete la mia fede.

10. – Atto di speranza.

Mio Dio, spero dalla bontà vostra, per le vostre promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. – Signore, che io non resti confuso in eterno.

11. – Atto di carità.

Mio Dio, amo con tutto il cuore sopra ogni cosa voi, Bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor vostro amo il prossimo mio come me stesso, e perdóno le offese ricevute. – Signore, fate ch’io vi ami sempre più.

12. – Atto di dolore.

Mio Dio, mi pento con tutto il cuore de’ miei peccati, e li odio e detesto, come offesa della vostra Maestà infinita, cagione della morte del vostro divin Figliuolo Gesù, e mia spituale rovina. Non voglio più commetterne in avvenire, e proponga di fuggirne le occasioni. – Signore, misericordia, perdonatemi.

13. – I due misteri principali della Fede.

1 Unità e Trinità di Dio;

2 Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signor Gesù Cristo.

14. – I due comandamenti della carità.

1° Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

2° Amerai il prossimo tuo come te stesso.

15. – I dieci comandamenti di Dio, o Decàlogo.

Io sono il Signore Dio tuo:

1° Non avrai altro Dio fuori che me.

2° Non nominare il nome di Dio invano.

3° Ricordati di santificare le feste.

4° Onora il padre e la madre.

5° Non ammazzare.

6° Non commettere atti impuri.

7° Non rubare.

8° Non dire falsa testimonianza.

9° Non desiderare la donna d’altri.

10° Non desiderare la roba d’altri.

16. – I cinque precetti generali della Chiesa.

1° Udir la Messa la domenica e le altre feste comandate.

2° Non mangiar carne nel venerdì e negli altri giorni proibiti, e digiunare nei giorni prescritti.

3° Confessarsi almeno una volta l’anno, e comunicarsi almeno a Pasqua.

4° .Sovvenire alle necessità della Chiesa, contribuendo secondo le leggi o le usanze. da sapersi a memoria

5° Non celebrar solennemente le nozze nei tempi proibiti.

17. – I sette sacramenti.

1 Battesimo, 2 Cresima, 3 Eucaristia, 4 Penitenza, 5. Estrema Unzione, 6 Ordine, 7. Matrimonio.

18. – I sette doni dello Spirito Santo

1 Sapienza, 2 intelletto, 3 consiglio, 4 fortezza, 5 scienza, 6 pietà, 7 timor di Dio.

19. – Le tre virtù teologali.

1 Fede, 2 speranza, 3 carità.

20. – Le quattro virtù cardinali.

1 Prudenza, 2 giustizia, 3 fortezza, 4 temperanza..

21. – Le sette opere di misericordia corporale,

1 Dar da mangiare agli affamati; 2 dar da bere agli assetati; 3 vestire gl’ignudi; 4 alloggiare i pellegrini; 5 visitare gl’infermi; 6 visitare i carcerati; 7 seppellire i morti.

22. – Le sette opere di misericordia spirituale.

1 Consigliare i dubbiosi; 2 insegnare agli ignoranti; 3 ammonire i peccatori; 4 consolare gli afflitti; 5 perdonare le offese ; 6 sopportare pazientemente le persone moleste; 7 pregare Dio per i vivi e per i morti.

23. – I sette vizi capitali.

1 Superbia, 2 avarizia, 3 lussuria, 4 ira, 5 gola, 6 invidia, 7 accidia.

24. – I sei peccati contro lo Spirito Santo.

1 Disperazione della salute ; 2 presunzione di salvarsi senza merito; 3 impugnare la verità conosciuta; 4 invidia della grazia altrui; 6 ostinazione nei peccati; 6 impenitenza finale.

25. – I quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.

1 Omicidio volontario; 2 peccato impuro contro natura; 3 oppressione dei poveri; 4 defraudare la mercede agli operai.

26. – I quattro Novissimi.

1 Morte, 2 giudizio, 3 inferno, 4 paradiso.

CATECHISMO DELLA DOTTRINA CRISTIANA (2)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – SERTUM LÆTITIÆ

Una delle prime lettere del suo Pontificato, il Santo Padre, il Sommo Pontefice Pio XII, la scrive in occasione dei primi 150 dall’istituzione della Gerarchia Cattolica negli Stati Uniti d’America. Non potevano mancare, dopo i ricordi storici, le paterne esortazioni ad una vita sociale e personale retta e serena, alla luce dei precetti evangelici e della dottrina della Chiesa Cattolica, «… questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena … »; eccone uno dei passaggi più significativi: « … se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb. XXXVI, 22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano …». – Dopo quasi un secolo, vediamo però che questi consigli sono stati totalmente negletti e disattesi, il Cattolicesimo affondato da una apostasia generale dalla fede divina cattolica totalmente sovvertita ed eclissata da un Cristianesimo antievangelico, comodo e (finto) misericordioso che manda tutti all’inferno, e l’impero del pensiero delle lobby sioniste, degli usurai kazari e delle conventicole di perdizione, tutte unite – membri, o meglio tentacoli della bestia del mare, la piovra satanica – nello scardinare, se possibile, l’edificio mistico di Cristo, fondato sulla pietra di Cristo e del suo Vicario in terra. Di quel quadro ideale abbozzato da Papa Pacelli, che conosceva personalmente quella realtà, oggi resta una società totalmente asservita alle logiche materialiste, edoniste, schiaviste imposte da una classe dirigente ipocrita e corrotta fino alla fibra più intima che pretende di portare tutta l’umanità in un nuovo ordine di dominazione mondiale, il demoniaco diktat massonico modernista della libertà – (dalle leggi divine, morali, naturali) – dell’uguaglianza (senza gerarchie né civili, né tantomeno religiose), e della fraternità (cioè l’accondiscendenza a tutte le bestiali aberrazioni dei sensi e della carne), inganno già sperimentato in altri tempi funesti, che porta alla perdita dell’unica vera libertà, la libertà dal peccato, dal dragone maledetto, e dallo stagno del fuoco eterno… il tutto appoggiato da chi vuole sovvertire il Vangelo spacciandosi per angelo di luce sulla Cattedra di s. Pietro.

LETTERA ENCICLICA

SERTUM LÆTITIÆ

DEL SOMMO PONTEFICE PIO XII

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:

150° ANNIVERSARIO DELLA GERARCHIA ECCLESIASTICA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Desiderosi di rendere più radiosa una corona di santa letizia, col pensiero varchiamo la sterminata vastità del mare. Ed eccoCi in spirito in mezzo a voi, che insieme con tutti i vostri fedeli celebrate il fausto compimento di un secolo e mezzo da quando è stata costituita la gerarchia ecclesiastica negli Stati Uniti. E facciamo questo molto volentieri, perché l’occasione che ora Ci si presenta di dimostrare con un pubblico documento la Nostra stima e il Nostro affetto verso il popolo americano, illustre e vigoroso di giovinezza, Ci è tanto più gradita quanto più è solenne, e perché essa viene a coincidere con i primordi del Nostro pontificato. A coloro che aprono gli annali della vostra storia e indagano le cause profonde degli avvenimenti di cui questa s’intesse, appare evidente che a portare la vostra patria alla gloria e alla prosperità che essa attualmente gode, non poco ha contribuito il trionfale sviluppo della divina Religione. È ben vero che questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena. Ci piace richiamare alla memoria fatti noti. Quando Pio VI diede ai vostri connazionali il primo Vescovo nella persona del cittadino americano John Carrol, preponendolo alla sede di Baltimora, in quel luogo il numero dei cattolici era esiguo e insignificante e le condizioni degli Stati Uniti così pericolose, che la loro compagine e la loro stessa unità politica erano minacciate da grave crisi; a causa infatti della lunga ed estenuante guerra l’erario era oppresso da debiti, le industrie languivano e gli abitanti per l’esasperazione cagionata dalle calamità si erano scissi in opposti partiti. A situazione così dolorosa, anzi rovinosa, pose rimedio il celeberrimo George Washington, uomo dal carattere fermo e di penetrante sagacia di mente. Egli era unito da salda amicizia con il menzionato presule di Baltimora. Così il padre della patria e il primo sacro pastore della Chiesa in codesta terra, a Noi tanto diletta, avvinti da legami di benevolenza, a perpetuo esempio dei posteri e ad insegnamento delle età venture più lontane, quasi stringendosi le destre, indicavano che il popolo americano doveva ritenere sacra e solenne norma di vita il rispetto della fede cristiana, la quale, tutelando e avvalorando i supremi principi etici, è la salvaguardia del pubblico bene e contiene forze di vero progresso. – Molte furono le cause a cui si deve ascrivere la fioritura della Chiesa Cattolica nella vostra regione; ne vogliamo mettere in luce una, degna di attenzione. Sacerdoti costretti ad approdarvi per l’infuriare delle persecuzioni, vennero a recare al menzionato sacro Pastore un aiuto a lui graditissimo e con la loro collaborazione attiva nel ministero spirituale sparsero una semente preziosa, dalla quale crebbe una bella messe di virtù. Alcuni di essi divennero poi Vescovi e così meritarono ancor più consolanti progressi della causa cattolica del regno di Dio. Avvenne ciò che, come la storia dimostra, suole avvenire: il temporale delle persecuzioni non estingue, ma sparge su più vasta superficie il fuoco apostolico, quello che, alimentato da una fede libera da ipocrisie umane e da carità sincera, accende il petto delle persone generose. – Trascorsi cent’anni da quell’avvenimento che adesso vi riempie di legittima esultanza, papa Leone XIII di felice memoria con la sua lettera Longinqua oceani, volle misurare il cammino ivi percorso dalla Chiesa dal suo inizio e alla sua rassegna aggiunse esortazioni e direttive nelle quali la sua benevolenza è pari alla saggezza. Quanto fu allora scritto dal Nostro augusto predecessore è degno di perenne considerazione. In questi cinquant’anni il progresso della Chiesa non si è arrestato, ma ha avuto larghe espansioni e robusti accrescimenti. – Rigogliosa è la vita che la grazia dello Spirito Santo fa fiorire nel sacrario del cuore; consolante la frequenza alle chiese; alla mensa dove si riceve il Pane degli angeli, cibo dei forti, si accostano numerosi i fedeli; con grande ardore si fanno gli esercizi spirituali ignaziani; molti, docili all’invito della voce divina che li chiama a ideali di vita più alta, ricevono il sacerdozio o abbracciano lo stato religioso. Attualmente diciannove sono le province ecclesiastiche, centoquindici le diocesi, quasi duecento i seminari, innumerevoli i templi, le scuole elementari, quelle superiori, i collegi, gli ospedali, i ricoveri per i poveri, i monasteri. A ragione gli stranieri ammirano il sistema organizzativo che presiede alle varie categorie delle vostre scuole, alla cui esistenza i fedeli provvedono generosamente, seguite con assidua attenzione dai presuli, perché da esse esce gran numero di cittadini morigerati e saggi, i quali, rispettosi delle leggi divine e umane, sono giustamente considerati la forza, il fiore e l’onore della Chiesa e della Patria. Le opere missionarie, poi, specialmente la Pontificia Opera della propagazione della fede, bene stabilite e attive, con le preghiere, con le elemosine e con altri aiuti di vario genere esemplarmente collaborano con i predicatori dell’Evangelo impegnati a far penetrare nelle terre degli infedeli il vessillo della croce, che redime e salva. Sentiamo il bisogno in questa circostanza di dare pubblico attestato di lode alle opere missionarie tipiche della vostra nazione, le quali con attivo interessamento si curano della diffusione del Cattolicesimo. Esse si contrassegnano con questi nomi: Catholic Church Extension Society, società circondata di un’aureola di gloria per la sua pia beneficenza; Catholic Near East Welfare Association, che presta provvidenziali ausili agli interessi del Cristianesimo in Oriente, dove i bisogni sono tanti; Indians and Nigroes Mission, opera sancita dal Terzo Concilio di Baltimora, che Noi confermiamo e avvaloriamo, perché la esige proprio una ragione di carità squisita verso i vostri concittadini. Vi confessiamo che Ci sentiamo penetrati da particolare affetto paterno, che certo Ci ispira il Cielo, verso i negri dimoranti tra voi perché, quanto ad assistenza spirituale e religiosa, sappiamo che sono bisognosi di speciali cure e di conforti: del resto, essi ne sono ben meritevoli. Invochiamo pertanto copiose le benedizioni divine e auguriamo fecondità di successi a coloro che, mossi da generosa virtù, si dimostrano solleciti dei negri stessi. Inoltre i vostri connazionali, per rendere in maniera opportuna ringraziamenti a Dio per il dono inestimabile della fede integra e vera, desiderosi di santi ardimenti inviano forti manipoli all’esercito formato dai missionari: essi con la tolleranza della fatica, con la pazienza invitta e con l’energia posta in nobili iniziative per il regno di Cristo raccolgono meriti, che la terra ammira e che il Cielo coronerà di adeguati premi. – Né minore forza vitale hanno le opere, che sono di utilità ai figli della Chiesa entro i confini della patria; gli uffici diocesani di carità, organizzati con criteri di saggia praticità, per mezzo dei parroci e con il concorso delle famiglie religiose, portano ai poveri, ai bisognosi, agli infermi i doni della cristiana misericordia, sollevano le miserie: nell’assolvere tale ministero di così grande importanza con gli occhi della fede dolci e penetranti, si vede Cristo presente negli indigenti e negli afflitti, che del benignissimo Redentore sono le mistiche membra doloranti. Fra le associazioni laiche – enumerarle tutte sarebbe troppo lungo – si acquistarono corone di non caduca gloria l’Azione cattolica, le Congregazioni mariane, la Confraternita della dottrina cristiana, liete di frutti promettenti ancor più lieta messe nell’avvenire, e così pure l’Associazione del Santo Nome, che è eccellente guida nel promuovere il culto e la pietà cristiana. A tale molteplice operosità dei laici, che si spiega in vari settori secondo le esigenze dei tempi, è preposta la National Catholic Welfare Conference, la quale al vostro ministero episcopale procura mezzi pronti e adeguati. Le principali di tutte queste istituzioni potemmo vedere partitamente nell’ottobre del 1936, quando, intrapreso il viaggio attraverso l’Oceano, avemmo la gioia di conoscere personalmente voi e il campo della vostra attività. Incancellabile e giocondo rimarrà sempre nel Nostro cuore il ricordo di quanto ammirammo allora con i Nostri occhi. – Ben conviene adunque che, con sentimenti di adorazione, di tutto ciò rendiamo con voi grazie a Dio e che gli eleviamo il cantico della riconoscenza: «Date lode al Dio del cielo: perché la misericordia di lui è in eterno» (Sal. CXXXV, 26). Il Signore, la cui bontà non è circoscritta da limiti, come ha riempito la vostra terra della liberalità dei suoi doni, così alle vostre chiese ha concesso un ardore fattivo e ha condotto a maturità di risultati i loro impegni. Sciolto il debito tributo di riconoscenza a Dio, onde ogni bene ha principio, riconosciamo, dilettissimi, che questa fecondità prosperosa che con voi oggi ammiriamo si deve anche allo spirito d’iniziativa e alla costanza nelle imprese dei sacri pastori e dei fedeli, che formano questa porzione del gregge di Cristo; riconosciamo che si deve pure al vostro clero, che, proclive all’operare deciso, con zelo esegue i vostri mandati, ai membri di tutti gli ordini e di tutte le congregazioni, che distinguendosi in virtù si prodigano a gara nella coltura del campo delle anime, alle religiose innumerevoli, che spesso silenti e ignote agli uomini, spinte da una interiore vampa di carità, si consacrano con esemplare dedizione alla causa dell’evangelo, veri gigli del giardino di Cristo, motivo di soave compiacenza dei santi. Però vogliamo che questa Nostra lode sia salutare. La considerazione del bene operato non deve produrre un allentamento che avvii alla neghittosità, non deve generare la nociva dolcezza della vanagloria, ma invece agire da stimolante, perché con rinnovate energie si impediscano i mali e perché con più robusta consistenza crescano quelle iniziative che sono utili, pròvvide e degne di encomio. Il Cristiano, se fa onore al nome che porta, sempre è apostolo; disdice al soldato di Cristo il discostarsi dalla battaglia, perché solo la morte pone fine alla sua milizia. Voi ben sapete dove occorre che più oculata sia la vostra vigilanza e quale programma d’azione conviene tracciare ai sacerdoti e fedeli, affinché la Religione di Cristo, superati gli ostacoli, sia guida luminosa alle menti, regga i costumi e, unica causa di salute, penetri gli ambiti più nascosti e le arterie della società umana. Il progresso dei beni esterni e materiali, quantunque sia da tenersi in non poco conto per le utilità molteplici e apprezzabili, che esso apporta alla vita, tuttavia non basta all’uomo, nato a più alti e fulgidi destini. Questi infatti, creato a immagine e somiglianza di Dio, cerca Dio con incoercibile aspirazione e si addolora e versa segreto pianto, se nella scelta del suo amore esclude la Somma Verità e il Bene infinito. Ma a Dio, dal quale chi si allontana muore, al quale chi si converte vive, nel quale chi si ferma s’illumina, non si accede superando spazi corporei, ma, guidati da Cristo, con la pienezza della fede sincera, con la coscienza intemerata di una volontà diritta, con la santità delle opere, con l’acquisto e l’uso di quella libertà genuina, le cui sacre norme si trovano promulgate nell’Evangelo. Se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb XXXVI, 22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano. – Eleviamo inoltre il Nostro paterno lamento, perché costì in tante scuole spesso si sprezza o si ignora Cristo, si restringe la spiegazione dell’universo e del genere umano nella cerchia del naturalismo e del razionalismo, e si cercano nuovi sistemi educativi, i quali nella vita intellettuale e morale della nazione non potranno non recare tristi frutti. Del pari la vita domestica, come, osservata la legge di Cristo, fiorisce di vera felicità, così, ripudiato l’evangelo, miseramente perisce ed è devastata dai vizi: «Chi cerca la legge sarà colmato di beni: ma chi opera con finzione, troverà in essa occasione di inciampo» (Eccli XXXII,19). – Che cosa vi può essere in terra di più sereno e lieto che la famiglia cristiana? Sorta presso l’altare del Signore, dove l’amore è stato proclamato santo vincolo indissolubile, nello stesso amore, che la grazia superna nutre, si solidifica e cresce. Ivi «onorato è il connubio presso tutti e il talamo è immacolato» (Eb XIII,4); le pareti tranquille non risuonano di litigi, né sono testimoni di segreti martìri per la rivelazione di astuti sotterfugi di infedeltà; la solidissima fiducia allontana la spina del sospetto; nella vicendevole benevolenza si sopiscono i dolori, si accrescono le gioie. Ivi i figli non sono considerati gravi pesi, ma dolci pegni; né un vituperevole motivo utilitario o la ricerca di sterile voluttà fanno sì che sia impedito il dono della vita e venga in dissuetudine il soave nome di fratello e sorella. Con quale studio i genitori si dànno premura, perché i figli non soltanto crescano vigorosi fisicamente, ma perché seguendo le vie degli avi, che spesso loro sono ricordati, siano adorni della luce che deriva dalla professione della fede purissima e dall’onestà morale. Commossi per tanti benefici, i figli ritengono loro massimo dovere quello di onorare i genitori, di assecondare i loro desideri, di sostenerli nella vecchiaia con il loro fedele aiuto, di rendere lieta la loro canizie con un affetto che, non spento dalla morte, nella reggia del cielo sarà reso più glorioso e più completo. I componenti la famiglia cristiana, non queruli nelle avversità, non ingrati nella prosperità, sono sempre pieni di confidenza in Dio, al cui impero obbediscono, nel cui volere s’acquietano e il cui soccorso non invano aspettano. A costituire e a mantenere le famiglie secondo la norma della sapienza evangelica esortino dunque spesso i fedeli coloro, che nelle chiese hanno funzioni direttive o di magistero e che pertanto si industriano con assidua cura per preparare al Signore un popolo perfetto. Per la stessa ragione bisogna pure sommamente attendere a questo, che il dogma cioè dell’unità e indissolubilità del matrimonio da quanti accedono alle nozze sia conosciuto in tutta la sua importanza religiosa e santamente rispettato. Che tale capitale punto della dottrina cattolica abbia una valida efficacia per la salda compagine familiare, per le progressive sorti della società civile, per la santità del popolo e per una civiltà, la cui luce non sia falsa e fatua, riconoscono pure non pochi, i quali, sebbene lontani dalla nostra fede, sono ragguardevoli per senno politico. Oh, se la patria vostra avesse conosciuto per esperienza di altri e non già da domestici esempi il cumulo di danni che produce la licenza dei divorzi! Consigli la riverenza verso la Religione, consigli la pietà verso il grande popolo americano energiche azioni, perché il morbo purtroppo imperversante sia curato radicalmente. Le conseguenze di tale male così sono state descritte da papa Leone XIII, con termini che scolpiscono il vero: «A causa dei divorzi il patto nuziale è soggetto a mutabilità; si indebolisce l’affetto; sono dati perniciosi incentivi all’infedeltà coniugale; ricevono danno la cura e l’educazione della prole; si offre facile occasione a scomporre la società domestica; si gettano semi di discordie tra le famiglie; è diminuita e depressa la dignità della donna la quale corre pericolo di essere abbandonata dopo che ha servito come strumento di piacere al marito. E poiché a rovinare la famiglia, a minare la potenza dei regni nulla tanto vale quanto la corruzione dei costumi, facilmente si intuisce che il divorzio è quanto mai nocivo alla prosperità delle famiglie e degli stati». – Quanto alle nozze, nelle quali l’una e l’altra parte dissenta circa il dogma cattolico o non abbia ricevuto il sacramento del battesimo, Noi siamo sicuri che voi osserverete esattamente le prescrizioni del Codice di diritto canonico. Tali matrimoni infatti, come a voi consta per larga esperienza, sono raramente felici e sogliono cagionare gravi perdite alla Chiesa Cattolica. – Ad ovviare a danni sì gravi, ecco il mezzo efficace: che i singoli fedeli ricevano in tutta la sua pienezza l’insegnamento delle verità divine e i popoli abbiano chiaro il cammino che conduce alla salvezza. Esortiamo pertanto i sacerdoti a cercare che la loro scienza delle cose divine e umane sia copiosa: non vivano contenti delle cognizioni intellettuali acquisite nell’età giovanile; con attenta indagine considerino la legge del Signore, i cui oracoli sono più puri dell’argento; continuamente gustino e assaporino le caste delizie della sacra Scrittura; col progredire degli anni studino con maggior profondità la storia della chiesa, i dogmi, i sacramenti, i diritti, le prescrizioni, la liturgia, la lingua di essa, in modo che in loro il progresso intellettuale proceda di pari passo con quello delle virtù. Coltivino pure gli studi letterari e delle discipline profane, specialmente quelle che sono maggiormente connesse con la religione, affinché con lucido pensiero e labbro facondo possano impartire l’insegnamento di grazia e di salute, capaci di piegare anche i dotti ingegni al lieve peso e giogo dell’evangelo di Cristo. Felice la Chiesa se così «sarà fondata sugli zaffiri» (cf. Is LIV, 11). Le esigenze dei tempi attuali inoltre richiedono che anche i laici, specialmente quelli che coadiuvano l’esercizio dell’apostolato gerarchico, si procurino un tesoro di cognizioni religiose, non povero ed esile, ma solido e ricco, mediante le biblioteche, le discussioni, i circoli di cultura: così trarranno grande giovamento per se stessi, potranno insegnare agli ignoranti, confutare gli avversari caparbi ed essere utili agli amici buoni. – Con molta gioia abbiamo appreso che la stampa propugnatrice dei principi cattolici è davvero presso di voi valorosa e che la radio marconiana – meravigliosa invenzione, eloquente immagine della fede apostolica che abbraccia tutto il genere umano – spesso e utilmente viene usata, perché fatti e insegnamenti ecclesiastici abbiano la più larga risonanza. Lodiamo il bene compiuto. Ma coloro, che disimpegnano tale ministero, nel proporre e promuovere la dottrina sociale, si prendano a cuore di aderire alle direttive del magistero della chiesa; dimentichi del proprio tornaconto, sprezzanti della vana gloria, non partigiani, parlino «come da Dio, davanti a Dio, in Cristo» (2 Cor. II,17). – Desiderosi che il progresso scientifico in tutto il suo complesso si affermi sempre più, ora che Ci si presenta una circostanza opportuna, vogliamo anche significarvi il Nostro cordiale interessamento per l’Università cattolica di Washington. Ben sapete con quali ardenti voti papa Leone XIII salutasse questo preclaro tempio del sapere, quando esso sorgeva, e quanti ripetuti attestati di particolare affetto gli desse il Romano Pontefice Nostro immediato predecessore, il quale era intimamente persuaso che, se questo grande istituto già lieto di risultati si solidificherà ancor più e otterrà rinomanza ancora maggiore, ciò non solamente gioverà agli incrementi della chiesa, ma anche alla gloria e alla prosperità civile dei vostri connazionali. Partecipi della stessa speranza, Ci rivolgiamo a voi con questa Nostra lettera per raccomandarvi tale università. Fate del vostro meglio, perché questa, protetta dalla vostra benevolenza, superi le sue difficoltà e con avanzamenti più felici compia le speranze in essa riposte. Gradiamo anche molto il vostro proposito di rendere più spaziosa e decorosa la sede del Pontificio Collegio che a Roma accoglie, per l’educazione ecclesiastica, gli alunni degli Stati Uniti. Se è cosa utile che i giovani di più eletto ingegno per affinare il loro sapere si rechino in lontani paesi, una lunga e felice esperienza dimostra che questo vantaggio è sommo, quando i candidati al sacerdozio sono educati nell’Urbe presso la sede di Pietro, dove purissimo è il fonte della fede, dove tanti monumenti dell’antichità cristiana e tante vestigia di santi incitano i cuori generosi a magnanime imprese. Vogliamo toccare un’altra questione di poderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo agita fortemente gli stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e di mutua ostilità. Quale aspetto essa assuma presso di voi, quali asprezze, quali torbidi produca, voi ben conoscete, e non occorre perciò diffonderci su tale argomento. Punto fondamentale della questione sociale è questo, che i beni da Dio creati per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e poveri; e l’inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi, se sono retti e probi, assolvono l’ufficio di dispensatori e procuratori dei doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni tabernacoli. Dio, che a tutto provvede con consigli di suprema bontà, ha stabilito che per l’esercizio delle virtù e a saggio dei meriti vi siano nel mondo ricchi e poveri; ma non vuole che alcuni abbiano ricchezze esagerate e altri si trovino in tali strettezze da mancare del necessario alla vita. Buona madre però e maestra di virtù è la onesta povertà, che campa col lavoro quotidiano, secondo il detto della Scrittura: «Non darmi (o Dio) né mendicità né opulenza: ma provvedimi soltanto del necessario al mio sostentamento» (Pro XXX, 8). Se quanti possiedono con larghezza fondi e mezzi pecuniari devono, mossi da facile misericordia, aiutare i bisognosi, per ragione ancor più grave devono agli stessi dare il giusto. Gli stipendi degli operai, come è conveniente, siano tali che bastino ad essi e alle loro famiglie. Gravi sono in proposito le parole del Nostro predecessore Pio XI: «Bisogna dunque fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale, che basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Se nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima mutamenti che assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di lode tutti coloro che con saggio e utile atteggiamento hanno esperimentato e tentano vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che aumentando questi, anche quella si somministri più larga: e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie» [3]. Avvenga che ognuno il quale sia in forze ottenga l’equa possibilità di lavorare per guadagnare per sé e per i suoi il vitto quotidiano. Esprimiamo tutta la nostra compassione per la sorte di coloro, da voi molto numerosi, i quali, sebbene robusti, capaci e volenterosi, non possono avere occupazione pur cercandola affannosamente. La sapienza dei reggitori, una lungimirante larghezza da parte dei datori di lavoro, insieme con il ristabilimento di più favorevoli condizioni esterne, la cui effettuazione auguriamo sollecita, facciano sì che tali giusti desideri trovino compimento a vantaggio di tutti. – Essendo poi la socievolezza bisogno naturale dell’uomo, ed essendo lecito con forze unite promuovere quanto è onestamente utile, non si può senza ingiustizia negare o diminuire come ai produttori, così alle classi operaie e agricole, la libertà di unirsi in associazioni le quali possano difendere i propri diritti e acquistare miglioramenti circa i beni dell’anima e del corpo, come pure circa gli onesti conforti della vita. Ma alle corporazioni di tal genere, che nei secoli passati hanno procurato al Cristianesimo gloria immortale e alle arti inoffuscabile splendore, non si può imporre in ogni luogo una stessa disciplina e struttura, la quale perciò per diversa indole dei popoli e per le diverse circostanze di tempo può variare; però le corporazioni in parola traggano il loro moto vitale da principi di sana libertà, siano informate dalle eccelse norme della giustizia e dell’onestà e, ispirandosi a queste, agiscano in tal guisa che nella cura degli interessi di classe non ledano gli altrui diritti, conservino il proposito della concordia, rispettino il bene comune della società civile. – Ci fa piacere conoscere che la citata enciclica Quadragesimo anno, come pure quella del Sommo Pontefice Leone XIII Rerum novarum, dove si indica la soluzione della questione sociale secondo i postulati dell’evangelo e della filosofia perenne, sono presso di voi oggetto di attenta e prolungata considerazione da parte di persone di elevato ingegno, che generoso volere spinge alla restaurazione sociale e al rinvigorimento dei vincoli di amore tra gli uomini, e che alcuni datori di lavoro stessi hanno voluto comporre, secondo le norme di quelle, le controversie tendenti sempre a rinnovarsi con i loro operai, rispettando la comune utilità e la dignità della persona umana. Quale vanto sarà per la gente americana, per natura proclive alle grandiose imprese e alla liberalità, se pienamente e bene scioglierà la annosa e ardua questione sociale secondo le sicure vie illuminate dalla luce dell’Evangelo e così getterà le basi di più felice età! Affinché ciò avvenga conformemente ai voti, le forze non devono essere dissipate con la disunione, ma accresciute con la concordia. A questa salutare congiunzione di pensieri e di consensi, portatrice di azioni magnifiche, secondando un impulso di carità, invitiamo pure coloro, che la madre Chiesa lamenta da sé staccati. Molti di essi, quando il Nostro glorioso predecessore si addormentò nel sonno dei giusti e Noi dopo breve tempo dalla sua morte, per arcana disposizione della divina pietà, salimmo sul trono di san Pietro, molti di essi – ciò non Ci è sfuggito – hanno espresso parlando o scrivendo sentimenti pieni di ossequio e di grande elevatezza. Da questo atteggiamento – vi confessiamo apertamente – abbiamo concepito una speranza, che il tempo non rapisce, che Ci si trasforma talvolta in presagio e che Ci consola nella dura e aspra fatica del ministero universale. – La grandezza del lavoro, che converrà intraprendere con fervore per la gloria del benignissimo Redentore e per la salvezza delle anime non vi sgomenti, o dilettissimi, ma vi stimoli, facendovi confidare nell’aiuto divino: le opere grandi generano più robuste virtù, producono meriti più splendidi. Gli sforzi con cui i nemici a schiere serrate cercano di abbattere lo scettro di Cristo siano di incitamento, perché con concordi intenti curiamo lo stabilimento e l’avanzamento di questo regno. Nulla di più felice può toccare agli individui, alle famiglie, alle nazioni, che obbedire all’Autore dell’umana salute, eseguire i suoi mandati, accettare il suo regno, nel quale diventiamo liberi e ricchi di buone opere: «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Augurando di cuore che voi e il gregge spirituale, al cui bene provvedete come solerti pastori, progrediate sempre verso mete migliori e più alte, e che anche dalla presente solenne celebrazione raccogliate fecondi proventi di virtù, vi impartiamo la benedizione apostolica, attestato della Nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, festa di Tutti i santi 1939, anno I del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2021)

DOMENICA III DOPO L’EPIFANIA (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le Domeniche III, IV, V, e VI dopo l’Epifania hanno il medesimo Introito, Graduale, Offertorio e Communio, che ci manifestano che Gesù è Dio, che opera prodigi, e che bisogna adorarlo. La Chiesa continua, infatti, in questo tempo dopo l’Epifania, a dichiarare la divinità di Cristo e quindi la sua regalità su tutti gli uomini. È il Re dei Giudei, è il Re dei Gentili. Così la Chiesa sceglie in San Matteo un Vangelo nel quale Gesù opera un doppio miracolo per provare agli uni e agli altri d’essere veramente il Figlio di Dio. – Il primo miracolo è per un lebbroso, il secondo per un centurione. Il lebbroso appartiene al popolo di Dio, e deve sottostare alla legge di Mosè. Il centurione, invece, non è della razza d’Israele, a testimonianza del Salvatore. Una parola di Gesù purifica il lebbroso, e la sua guarigione sarà constatata ufficialmente dal Sacerdote, perché sia loro testimonianza della divinità di Gesù (Vang.). Quanto al centurione, questi attesta con le sue parole umili e confidenti che la Chiesa mette ogni giorno sulle nostre labbra alla Messa, che Cristo è Dio. Lo dichiara anche con la sua argomentazione tratta dalla carica che egli ricopre: Gesù non ha che da dare un ordine, perché la malattia gli obbedisca. E la sua fede ottiene il grande miracolo che implora. Tutti i popoli prenderanno dunque parte al banchetto celeste nel quale la divinità sarà il cibo delle loro anime. E come nella sala di un festino tutto è luce e calore, le pene dell’inferno, castigo a quelli che avranno negato la divinità di Cristo, sono figurate con il freddo e la notte che regnano al di fuori, da queste « tenebre esteriori » che sono in contrasto con lo splendore della sala delle nozze. Alla fine del discorso sulla montagna « che riempi gli uomini d’ammirazione » S. Matteo pone i due miracoli dei quali ci parla il Vangelo. Essi stanno dunque a confermare che veramente « dalla bocca di un Dio viene questa dottrina che aveva già suscitato l’ammirazione » nella Sinagoga di Nazaret (Com.). –Facciamo atti di fede nella divinità di Gesù, e, per entrare nel suo regno, accumuliamo, con la nostra carità, sul capo di quelli die ci odiano dei carboni di fuoco (Ep.), cioè sentimenti di confusione che loro verranno dalla nostra magnanimità, che non daranno ad essi riposo finché non avranno espiato i loro torti. Cosi realizzeremo in noi il mistero dell’Epifania che è il mistero della regalità di Gesù su tutti gli uomini. Uniti dalla fede in Cristo, devono quindi tutti amarsi come fratelli. « La grazia della fede in Gesù opera la carità » dice S. Agostino (2° Notturno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVI: 7-8
Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]


Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 16-21
Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum.

“Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri propri occhi: non rendete a nessuno male per male. Procurate di fare il bene non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, siate in pace con tutti gli uomini. Non fatevi giustizia da voi stessi, o carissimi, ma rimettetevi all’ira divina, poiché sta scritto: A me la vendetta; ripagherò io », dice il Signore. Anzi, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché, così facendo, radunerai sul suo capo carboni ardenti. Non lasciarti vincere dal male; al contrario vinci il male con il bene”. (Romani XII, 16-21).

 P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

LA VITTORIA DEL BENE SUL MALE.

Questa volta bisogna proprio che ve la legga questa lettera o porzione di lettera di S. Paolo ai Romani, ve la leggo e niente altro. È troppo delicato l’argomento che tratta, è troppo importante lo sviluppo che gli dà. Del resto purtroppo la sentite così di rado la parola di San Paolo, il grande predicatore della verità. Continua l’Apostolo a dare ai romani i consigli morali più tipicamente cristiani; li chiamo consigli, pensando al tono che è d’esortazione, ma si tratta di precetti belli e buoni. L’apostolo insiste sul tasto delicato e forte della carità cristianamente intesa, così diversa e superiore alla filantropia. « Non fate del male a nessuno, e fate del bene a tutti gli uomini » frase molto chiara e dove l’accento cade su quel nessuno e quel tutti. Cristiani battezzati di fresco, Cristiani troppo freschi per essere Cristiani profondi, potevano credere che la carità nella sua doppia espressione di non fare del male e di fare del bene, potesse e dovesse restringersi nell’ambito dei fedeli. Per gli infedeli, pei pagani doveva essere, poteva essere un altro conto, un altro affare. Ebbene, no. S. Paolo dissipa l’equivoco. Male un Cristiano non deve fare a nessuno, neanche al più scomunicato dei pagani, e bene a tutti. Ma se non dovendo fare e non facendo del male a nessuno il buon Cristiano non può mettersi in contrasto con nessuno, purtroppo possono gli altri mettersi in contrasto con lui, rompendo quello stato pacifico nel quale sfocia logicamente la carità. L’Apostolo lo sa e perciò soggiunge: « se è possibile e per quanto dipende da voi. Siate in pace con tutti ». Soggiunge così per continuare il filo logico del suo discorso ai Cristiani in caso di confitti che altri (non essi) abbiano suscitato, turbando il pacifico equilibrio della carità. In questo caso il dovere del Cristiano, offeso, oltraggiato, danneggiato è di non farsi giustizia da sé: « non vi vendicate, dice il testo, e continua: « rimettetevi alla giustizia di Dio, giusta la frase del V. T.: « È mia la giustizia, penserò io a farla ». Dove tocchiamo un’altra volta con mano il mirabile equilibrio del Cristianesimo contrario alla vendetta, ma pieno d’ardore per la giustizia, anzi tanto più dalla vendetta abborrente quanto più alla giustizia devoto. Ogni vendetta individuale rischia di essere un’ingiustizia, perché si fa giudice chi è parte in causa. La giustizia, questa idealità obbiettiva, cristiana per sua natura, non può essere soggettivizzata; o ci si rinuncia, o la si affida a Dio. – Affidato a Dio l’esercizio eventuale, eventualmente necessario, della giustizia, il buon Cristiano anche nel caso di ingiuria sofferta deve riprendere verso il suo offensore l’esercizio della carità. La quale nella fattispecie esercitata verso un nemico, verso chi l’ha demeritata diventa perdono. « Ci penso io alla giustizia, a mettere a posto il malvagio », dice il Signore, e allora a noi non resta che continuare per il solco radioso della carità. E perciò: « se — riprende la parola l’Apostolo Paolo — il tuo nemico (colui che ha voluto essere tale per te) viene ad avere fame, tu, da buon fratello, perché non sei, non puoi, non devi essere altro, tu dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere. Lo richiamerai così, collo spettacolo vivo, edificante della tua bontà indomita ed indomabile, a coscienza più chiara e cosciente della suo malvagità ». – E qui senza tradire il concetto dell’Apostolo Paolo ho dovuto modificare un po’ le sue parole. Ma il concetto come è bello e profondo! Quando uno ti picchia, tu, secondo la morale del mondo, dovresti, devi picchiarlo: al gesto violento e brutale rispondere con un altro gesto egualmente brutale e violento, scendere anche tu su quel terreno bestiale e brutale, dove si è collocato lui. Dare a lui un cattivo esempio, come egli lo ha dato a te. Il Cristianesimo ragiona ben altrimenti. A chi si brutalizza, bisogna dare esempio di umanità; il Cristiano rimanga al suo posto, alto e nobile, e potrà condurvi l’avversario. E così avrà una vittoria non di Pietro su Cesare, dell’uomo sull’uomo, del più forte e violento sul più debole, no; si avrà la vittoria, una vittoria del bene sul male, del bene che lo ferma sul male che vorrebbe continuare le sue gesta. La Vittoria del bene sul male, il segno e il programma del Cristianesimo che Paolo riafferma a conclusione del suo discorso: « non ti far vincere dal male, ma vincilo tu il male e vincilo col bene, la sola arma efficace all’uomo, « noli vinci a malo, sed vince in bono malum ».

Graduale

Ps CI: 16-17
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.]

V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua
[V. Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps XCVI: 1
Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.
[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt VIII: 1-13
In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis.
Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora.

[“In quel tempo, sceso che fu Gesù dal monte, lo seguirono molte turbe. Quand’ecco un lebbroso accostatosegli lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. E Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio; sii mondato. E fu subito fu mondato dalla sua lebbra. E Gesù gli disse: Guardati di dirlo a nessuno; ma va a mostrarti al sacerdote, e offerisci il dono prescritto da Mose in testimonianza per essi. Ed entrato che fu in Capharnaum, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosegli, e dicendo: Signore, il mio servo giace in letto malato di paralisi nella mia casa, ed è malamente tormentato. E Gesù gli disse: Io verrò, e lo guarirò. Ma il centurione rispondendo, disse: Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di’ solamente una parola, e il mio servo sarà guarito. Imperocché io sono un uomo subordinato ad altri, e ho sotto di me dei soldati: e dico ad uno: Va ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servitore: Fa la tal cosa, ed ei la fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e disse a coloro che lo seguivano : In verità, in verità vi dico, che non ho trovato fede sì grande in Israele. E Io vi dico, che molti verranno dall’oriente e dall’occidente, e sederanno con Abramo, e Isacco, e Giacobbe uel regno de’ cieli: ma i figliuoli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto conforme hai creduto. E nello stesso momento il servo fu guarito”.]

OMELIA

 [Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla preghiera d’un peccatore impenitente.

Cum descendisset Jesus de monte, secutæ sunt eum turbæ multæ. Et ecce leprosus veniens, adorabat eum.

[Scendendo Gesù dalla montagna, una gran  folla di popolo lo seguiva; ed ecco un lebbroso che venendo a Lui lo adorava.]

(MATTH. VIII, 1, 2).

Leggendo queste parole, miei Fratelli, io mi rappresento il giorno di una grande festa, nella quale si accorre in folla nelle nostre chiese, vicino a Gesù Cristo, non disceso da una montagna, ma sopra i nostri altari, sui quali la fede lo scopre come un Re nel mezzo del suo popolo, come un padre circondato dai figli suoi, in una parola, come un medico circondato dagli ammalati suoi. Gli uni adorano questo Dio, del quale il cielo e la terra non possono contenere l’immensità, con una coscienza pura, come un Dio il quale regna nel loro cuore; è solo l’amore che li conduce qui per offrirgli un sacrificio di lodi e di azioni di grazie; essi sono sicuri di non uscire dalla presenza di questo Dio caritatevole senza essere ricolmi di ogni sorta di benedizioni. Altri si presentano dinanzi a questo Dio così puro e così santo con un’anima tutta coperta di peccati; ma essi sono rientrati in se medesimi, hanno aperto gli occhi sopra il loro stato infelice, hanno concepito il più vivo orrore dei loro traviamenti, e, risoluti di cambiar vita, si recano a Gesù Cristo pieni di fiducia, si gettano ai piedi del migliore dei padri, facendogli il sacrificio di un cuore contrito ed umiliato. Prima di uscire dalla chiesa, il cielo sarà loro aperto, e chiuso l’inferno. Ma dopo queste due sorta di adoratori, si presenta una terza: vale a dire, quei Cristiani tutti coperti delle sozzure del peccato e assonnati nel male, che non pensano affatto ad uscirne, che tuttavia si conducono come gli altri, si recano ad adorarlo ed a pregarlo, almeno in apparenza. Io non vi parlerò di coloro che vengono con un’anima pura ed aggradevole al loro Dio; io non ho che una cosa sola da dir loro, di perseverare. Ai secondi io dirò loro di raddoppiare le loro preghiere, le loro lacrime e le loro penitenze; ma che pensino che, giusta la promessa di Dio medesimo, ogni peccatore che a Lui ritorna con un cuore contrito ed umiliato è sicuro di trovare il suo perdono.  (Ps. L, 19). Essi sono sicuri, dice Gesù Cristo, di avere riacquistata l’amicizia del loro Dio e il diritto che la loro qualità di figli di Dio loro concede al cielo. Io non voglio dunque oggi parlarvi che di quei peccatori i quali sembrano vivere, ma che sono già morti. Strana condotta, M. F., sulla quale io non oserei esprimere il mio pensiero, se lo Spirito Santo non avesse già detto, dal principio del mondo e in termini appropriati, che la preghiera d’un peccatore il quale non vuole uscire dal suo peccato, e non fa tutto ciò che deve fare per uscirne, è in esecrazione agli occhi del Signore. Aggiungiamo a questo induramento, il disprezzo di tutte le grazie che il cielo gli offre. Il mio disegno è dunque di mostrarvi che la preghiera di un peccatore che non vuole uscire dal peccato, non è altra cosa che un’azione ridicola, piena di contraddizioni e di menzogne, se noi la consideriamo sia in rapporto alle disposizioni del peccatore che la fa, sia che la consideriamo per rapporto a Gesù Cristo al quale è rivolta. Parliamo più chiaramente, dicendo che la preghiera d’un peccatore che resta nel peccato, non è altra cosa che una azione la più insultante e la più empia. Ascoltatemi un istante e voi ne sarete sventuratamente convinti.

I . — Mio disegno non è di parlarvi a lungo delle qualità che deve avere una preghiera per essere accettevole a Dio e vantaggiosa a colui che la fa; io non vi dirò che poche parole della sua potenza; io vi dirò solamente di passaggio che è un dolce intrattenimento dell’anima col suo Dio, che ce lo fa riconoscere per nostro Creatore, per nostro Bene sommo e nostro ultimo fine; è un commercio del cielo colla terra; noi rivolgiamo le nostre preghiere e le nostre buone opere al cielo, e il cielo fa discendere sopra di noi le grazie che ci sono necessarie per santificarci. Io vi dirò di giunta che è la preghiera che aderge la nostra anima e il nostro cuore al cielo, ci fa sprezzare il mondo con tutti i piaceri suoi. È la preghiera che fa discendere Dio fino a noi. Diciamo ancor meglio: la preghiera ben fatta penetra ed attraversa la vòlta dei cieli e sale fino al trono di Gesù Cristo medesimo, disarma la giustizia del Padre suo, eccita e commuove la misericordia sua, apre i tesori delle grazie del Signore, le rapisce, se oso di così parlare, e ritorna carica di ogni sorta di benedizioni a colui che a Dio l’ha rivolta. Se mi fosse necessario di assodare questo vero, io non avrei che ad aprire i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Noi vi leggeremmo che Dio non può mai negare ciò che gli si domandasse colla preghiera fatta nel modo dovuto. Qui io veggo trentamila uomini sui quali Dio ha risoluto di far discendere il peso della sua giusta collera, per distruggerli in castigo dei loro peccati. Mosè solo domanda la loro grazia, e si prostra dinanzi al Signore. Appena è cominciata la sua preghiera, che il Signore che aveva risoluto la loro perdita, cangia la sua sentenza, restituendo loro la sua amicizia, promettendo loro la protezione sua ed ogni sorta di benedizioni, e tutto alla preghiera di un sol uomo. (Exod. XXXII, 28-34). Io veggo un Giosuè il quale, trovando che il sole volge troppo rapidamente al tramonto, e temendo di non avere il tempo per vendicarsi dei suoi nemici, si prostra colla faccia contro terra pregando il Signore, comanda al sole di fermarsi, e, con un miracolo che non si era mai operato e che forse mai si opererà, il sole sospende il suo corso per proteggere Giosuè e lasciargli il tempo di inseguire e di distruggere il suo nemico. (Jos. X) Io veggo Giona che il Signore manda alla grande città di Ninive, questa città peccatrice, perché il Signore che è la giustizia e la stessa bontà, aveva risoluto di punirla e di distruggerla. Giona, correndo le vie della grande città, annuncia, dalla parte di Dio medesimo, che la sua distruzione non è lontana che di quaranta giorni. A questo annuncio triste e desolante, tutti si prostrano a terra, tutti hanno ricorso alla preghiera. Tosto il Signore revoca la sua sentenza e li guarda con bontà. Lontano dal punirli, li ama e li ricolma di benefizi. (Gion. I-IV) Se io mi volgo da un’altra parte, veggo il profeta Elia, il quale per punire i peccati del suo popolo, prega Dio di non concedere la pioggia. Per il volgere di due anni e mezzo il cielo gli obbedì, e la pioggia non cadde che quando il medesimo profeta la domandò a Dio colla preghiera (III Reg. XVII, 1; XVIII, 44). Se io passo dall’Antico Testamento al Nuovo, noi vi vediamo che la preghiera, ben lungi dal perdere la sua forza, diventa più potente sotto la legge della grazia. Vedete Maddalena: da che ella prega gettandosi ai piedi del Salvatore, i suoi peccati le sono perdonati e sette demoni escono dal suo corpo (Luc. VII, 47; VIII, 2). Vedete san Pietro: dopo di aver rinnegato il suo Dio, ricorre alla preghiera; tosto il Salvatore getta gli occhi sopra di lui e gli perdona (Ibid. XXII, 61, 62.). Vedete il buon ladro (Ibid. XXIII, 42, 43). Se Giuda, il traditore, invece di gettarsi alla disperazione, avesse pregato Dio di perdonargli il suo peccato, il Signore gli avrebbe rimesso la colpa. (Jóan. XIV, 13,14). Sì, M. F., il potere della preghiera ben fatta è così grande che, quando tutto l’inferno, tutte le creature del cielo e della terra domandassero vendetta, e che Dio medesimo fosse armato delle sue folgori per schiacciare il peccatore, se questo peccatore si getta ai suoi piedi pregandolo di usargli misericordia, col rammarico di averlo offeso e col desiderio di amarlo, egli è sicuro del suo perdono. È giusta la promessa che ci ha fatto Egli medesimo, dicendo che Egli ci dà la sua parola di concederci tutto ciò che noi domandassimo al Padre suo nel suo Nome. Mio Dio, come è dolce e consolante per un Cristiano l’essere sicuro di ottenere tutto ciò che domanderà a Dio colla preghiera! Ma, forse mi direte voi, come conviene fare questa preghiera, perché abbia questo potere presso Dio? — Senza essere prolissi: la nostra preghiera, per avere questo potere, deve essere animata d’una fede viva, d’una speranza ferma e costante, che ci muova a credere che, per i meriti di Gesù Cristo, noi siamo sicuri di ottenere quello che domandiamo, e di più da una carità ardente.

1° Io dico in primo luogo, è necessario che abbiamo una fede viva. — E perché, mi direte voi? — Perché la fede è il fondamento e la base di tutte le nostre buone opere, e senza questa fede, tutte le azioni nostre, benché buone in se medesime, sono opere senza merito. Noi dobbiamo altresì essere penetrati della presenza di Dio, dinanzi al quale abbiamo la ventura di trovarci; un ammalato che una febbre violenta abbia fatto cader nel delirio e che batte la campagna, il suo spirito una volta fisso in qualche oggetto, benché nulla siavi di visibile, è tanto persuaso che egli vede o tocca, che quantunque si sforzi di persuadergli il contrario, egli non vuol crederlo. Sì, M. F., fu questa fede violenta, se oso così dire, colla quale S. Maddalena cercava il Salvatore, non avendolo trovato nella sua tomba. Ella era tanto penetrata dell’oggetto che ella cercava, che Gesù Cristo per provarla, o piuttosto non potendosi più nascondere all’amor suo che l’aveva padroneggiata, le apparve sotto la figura di un giardiniere, e le domandò perché piangesse e chi cercasse. Senza dirgli che cercava il Salvatore, esclama: “Ah! se voi l’avete preso, ditemelo, affinché vada a ripigliarlo.„ (1 Joan XX, 15) La sua fede era così viva, così ardente, se mi è lecito di così esprimermi, che quand’anche fosse stato nel seno del Padre suo, lo avrebbe costretto a discendere sopra la terra. Sì, ecco la fede della quale un Cristiano deve essere animato, quando ha la ventura di trovarsi a la presenza di Dio, affinché Dio possa nulla negargli.

2° In secondo luogo, io dico che alla fede è da aggiungere la speranza, vo’ dire, una speranza ferma e costante che Dio può e vuole concederci quello che gli domandiamo. Ne volete un modello? Eccolo. Vedete la Cananea (Matth. XV); la sua preghiera era animata da una fede così viva, da una speranza così ferma che il buon Dio poteva concederle ciò che domandava, che essa non cessò di pregare, di pressare, o se così oso di esprimermi, di fare violenza a Gesù Cristo. Si ha un bel respingerla, e dal medesimo Gesù Cristo; epperò non sapendo più a qual partito appigliarsi, si getta ai suoi piedi dicendogli per tutta preghiera: “Signore, aiutatemi! ,, e queste parole pronunciate con tanta fede incatenano la volontà di Dio medesimo. Il Salvatore tutto meravigliato esclama: O donna, la tua fede è grande! vattene, tutto ti è concesso. – Si, F. M., questa fede, questa speranza ci fanno trionfare di tutti gli ostacoli che si oppongono al nostro salvamento. Vedete la madre si S. Sinforiano; il suo figlio era tratto al martirio: “Ah! figlio mio, coraggio! Ancora un momento di pazienza, e il cielo sarà la tua ricompensa! „ Ditemi, M. F., chi sosteneva tutti i santi martiri in mezzo ai loro tormenti? Non è questa avventurosa speranza? Vedete la calma di cui godeva S. Lorenzo sopra la graticola infuocata. Chi poteva sostenerlo? — La grazia, mi direte voi. — Ciò è vero, ma questa grazia non è la speranza d’una ricompensa eterna? Vedete S. Vincenzo al quale si strappano le viscere con uncini di ferro; chi gli dà la forza di soffrire tormenti così straordinari e così spaventosi? Non è questa avventurosa speranza? Ora, M. F., chi deve muovere un Cristiano, che si mette alla presenza di Dio, a rigettare tutte quelle distrazioni che il demonio si sforza di presentargli nel tempo delle sue preghiere, ed a vincere il rispetto umano? Non è il pensiero che un Dio lo vede, che se la preghiera sua è fatta nel debito modo, egli sarà ricompensato di una felicità eterna?

3° In terzo luogo, io ho detto che la preghiera d’un Cristiano deve avere la carità, vale a dire che egli deve amare il buon Dio con tutto il suo cuore e odiare il peccato con tutte le sue forze. — E perché, mi direte voi? — Perché un Cristiano peccatore che prega, deve sempre avere il rammarico dei propri peccati e il desiderio di sempre più amare Iddio. — Sant’Agostino ne reca un esempio molto sensibile. Nel momento nel quale si recava nel giardino per pregare, egli si crede realmente alla presenza di Dio, egli spera che benché grande peccatore, Dio avrà pietà di lui; rimpiange la sua passata vita, promette al buon Dio di cangiar vita, e di fare, col soccorso della sua grazia, tutto quanto potrà per amarlo. — Infatti, in qual modo potere amar Dio e il peccato? No, M. F., no, ciò non avvenne mai. Un Cristiano che ama veramente il buon Dio, ama quello che Dio ama, odia quello che Dio odia; da ciò io inferisco che la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, non è fornita delle qualità delle quali abbiamo parlato.

II. Ora, vedrete con me che considerando la preghiera del peccatore per rapporto alle disposizioni sue, non è altra cosa che un atto ridicolo, pieno di contraddizione e di menzogna. Seguiamo un istante questo Cristiano che prega, io dico un istante, perché ordinariamente, le sue preghiere sono appena cominciate che già sono finite; ascoltiamo questo povero cieco e questo povero sordo; io dico cieco sui beni che egli perde e sui mali che egli si prepara, e sordo alla voce della propria coscienza che grida, alla voce di Dio che lo chiama. Entriamo in argomento, io sono sicuro che voi desiderate sapere che cos’è la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, né è afflitto d’aver offeso Dio. Ascoltatemi: la prima parola che pronuncia cominciando la sua preghiera è una menzogna, egli cade in contraddizione con se medesimo: « Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. „ Amico mio, fermatevi un momento. Voi dite che cominciate nel nome delle tre Persone della Ss. Trinità. Ma, voi dunque avete dimenticato che or fanno otto giorni, voi eravate in una compagnia della quale vi si diceva che quando si è morti tutto è finito, e se era vero, non esisteva né Dio, né inferno, né paradiso. Se nell’induramento vostro voi lo credete, voi non venite per pregare, ma solamente per sollazzarvi e divertirvi. — Ah! direte voi, coloro che tengono questo linguaggio sono molto rari. — Tuttavia ne occorrono tra coloro che mi ascoltano e che non lasciano qualche preghiera di tempo in tempo. Ed io vi mostrerei ancora, se il volessi, che i tre quarti di coloro che sono qui in chiesa, benché non lo dicano colla bocca, lo dicono spesso colla loro condotta e col loro modo di vivere; perché se un Cristiano pensasse veramente a quello che dice pronunciando i nomi delle tre Persone della Ss. Trinità, non sarebbe preso da spavento fino alla disperazione, considerando in lui l’immagine del Padre che ha alterato in modo spaventoso, l’immagine del Figlio che è nell’anima sua, trascinata nel fango del vizio, e l’immagine dello Spirito Santo, di cui il suo cuore è il tempio ed il tabernacolo, e che egli ha ripieno di lordure e di oscenità. Sì, M. F., queste tre parole sole, se questo peccatore avesse la conoscenza di quello che dice e di quello che egli è, potrebbe pronunciarle senza venir meno d’orrore? Ascoltate questo menzognero: “Mio Dio, io credo fermamente che voi siete qui presente, „ Ma che, voi credete di essere alla presenza di Dio dinanzi al quale gli angeli, che sono senza macchia, temono e non osano di alzare gli occhi, davanti al quale si ricoprono delle loro ali non potendo sostenere lo splendore della maestà che il cielo e la terra non possono contenere! E voi tutto coperto di peccati, voi vi trovate alla presenza sua con un ginocchio per terra e un altro levato. Osate voi aprire la bocca per lasciare uscire una tale abbominazione! Dite piuttosto che voi fate come le scimmie, che voi fate quello che vedete farsi dagli altri, o piuttosto che è un momento di divertimento che vi prendete facendo le viste di pregare. Un Cristiano che si mette alla presenza del suo Dio, che sente quello che egli dice all’autore medesimo della sua esistenza, non è compreso di spavento vedendo, da una parte, la indegnità sua di comparire davanti ad un Dio così grande e così formidabile, e dall’altra, la ingratitudine sua? Non gli sembra, ad ogni istante, che la terra si apra sotto i suoi piedi per inghiottirlo? Non si considera come sospeso tra la vita e la morte? Il suo cuore non sa ricolmarvi dei più insigni benefizi. Un’altra occupazione di questa sorta di gente, è di esaminare il modo onde sono vestite le persone e la loro avvenenza; e da ciò nascono i cattivi sguardi, i cattivi pensieri, i cattivi desideri. Or bene, direte voi che ciò non vi accade? Ciò non vi accade nel tempo stesso della celebrazione della santa Messa? Mentre che un Dio si immola alla giustizia del Padre suo per soddisfare ai vostri peccati, voi girate i vostri sguardi per vedere in qual modo una tale o un tale è vestito, e la sua avvenenza. Ciò non è la causa che fate nascere in voi medesimi un numero quasi infinito di pensieri che non dovreste avere e di cattivi desideri? Aprite dunque gli occhi, amico mio, e voi vedrete che tutto ciò che voi dite a Dio non è altra cosa che menzogna e inganno. – Proseguiamo. “Mio Dio, voi dite, io vi adoro e vi amo con tutto il mio cuore. „ Voi vi ingannate, amico mio, non bisogna dire il buon Dio, ma il vostro dio: e qual è il vostro dio? Eccolo: è quella giovane alla quale avete consacrato il cuor vostro, che vi occupa continuamente. E voi, mia sorella, qual è il vostro dio? Non è quel giovane al quale sono dirette tutte le cure vostre per piacergli, forse anche nella chiesa nella quale non dovete recarvi che per piangere i vostri peccati e domandare a Dio la conversione vostra? Non è egli vero che, mentre voi pregate, gli oggetti che voi amate occupano il vostro spirito, e si presentano dinanzi a voi per farsi adorare in luogo del vostro Dio? Non è egli vero che ora è il dio della golosità che si presenta davanti a voi per farsi adorare, pensando a ciò che mangerete quando sarete tornati a casa? O, un’altra volta, il dio della vanità, prendendo impero sopra voi medesimi, considerandovi come degni di meritarvi l’adorazione degli uomini? Sapete voi quello che voi dite a Dio? Ecco: « Signore, così voi, discendete dal vostro trono, cedetemi il vostro posto. „ Mio Dio, quale orrore e quale abbominazione! Eppure voi dite tutto ciò tutte le volte che desiderate di piacere ad alcuno. Un’altra volta è il dio dell’avarizia, dell’orgoglio o dell’impudicizia, i quali si sono presentati per farsi adorare ed amare nel luogo del vero Dio. Bramate voi che ve lo addimostri in un modo più chiaro? Ascoltatemi. Nel tempo della celebrazione della santa Messa, o durante le vostre preghiere, si presenta alla vostra mente un pensiero di odio o di vendetta; se voi amate dappiù il buon Dio che non quegli oggetti, voi li scaccerete prontamente; ma se voi non li allontanate, voi mostrate che li preferite a Dio e che li mettete nel posto di Dio medesimo nel vostro cuore per consacrarlo loro. Torna lo stesso come se diceste a Dio, quando questi pensieri si presentano alla vostra mente: “Mio Dio, uscite dalla mia presenza e lasciatemi mettere nel vostro luogo quel demone per consacrargli gli affetti del mio cuore. „ Voi non mi contenderete che non è quasi mai il buon Dio che voi adorate nelle vostre preghiere, ma ciascuna delle inclinazioni vostre, ma ciascuna delle vostre tendenze, vo’ dire, quelle passioni e null’altro. — Ciò, mi direte voi, rasenta l’esagerato. — Ciò rasenta l’esagerato, amico mio? Ora, io voglio dimostrarvi che è la verità, nella piena sua luce. Ditemi, mio fratello, o, voi, mia sorella, quando vi confessate, il vostro confessore non vi dice: “Se voi allontanate quei desideri, se voi scacciate quei pensieri, o se voi cessate da quelle perverse abitudini, se abbandonate quelle bettole, io vi darò il vostro Dio, voi avrete la ventura di riceverlo oggi nel vostro cuore? „ — “No, mio padre, gli dite, non è ancor tempo: io non mi sento il coraggio di impormi questo sacrificio, vo’ dire di abbandonare quelle danze, quei giuochi, quelle cattive compagnie. „ — Ciò non significa per avventura che voi preferite che il demonio regni nella vostra anima nel luogo del buon Dio? Il confessore dirà a quel vendicativo: “Amico mio, se voi non perdonate a quella persona che vi ha offeso, voi non potete avere la sorte di possedere il Dio dei Cristiani. „ — “No, mio padre, voi rispondete, io preferisco di non ricevere il buon Dio. „ — “Amico mio, dirà il confessore ad un avaro, se voi non restituite quei beni che non sono vostri, voi siete indegno di ricevere il vostro Dio. „ — “Io non ho l’intenzione di restituirli tosto; „ e la stessa cosa di tutti gli altri peccati. Ciò è tanto vero che, se ciò che noi amiamo apparisse visibilmente, ciascuno avrebbe dinanzi a sé un ramo dei sette peccati capitali, e Dio resterebbe per gli angeli soli. – Ma andiamo più innanzi, e noi vedremo, e udremo questo cerretano e questo cristiano mentitore. – E dapprima vediamo la sua fede. Noi diciamo che è la fede che ci discopre la grandezza della maestà di Dio dinanzi alla quale abbiamo la ventura di trovarci; è questa fede, associata alla speranza, la quale sosteneva i martiri in mezzo ai più spaventosi tormenti. Ditemi, quel peccatore, può avere il pensiero, può credere, cominciando la sua preghiera, che essa sarà ricompensata? E che una preghiera ripiena d’ogni sorta di cose eccettuato Dio solo, una preghiera fatta vestendosi o lavorando, col cuore occupato del proprio lavoro, fors’anche da livore e da vendetta, che so io, da cattivi pensieri! Una preghiera fatta gridando e giurando contro i vostri figli o i vostri domestici! Se ciò fosse vero, non saremmo costretti di confessare che Dio ricompensa il male?

2° Io dico che il peccatore non ha la speranza facendo la sua preghiera, se non che sarà ben presto finita: ecco a che si limita tutta la sua speranza. — Ma, mi direte voi, quel peccatore, benché peccatore sia, spera pur qualche cosa? — Or bene! io credo che un peccatore nulla crede e nulla spera, perché se credesse che vi è un giudizio, e quindi un Dio che deve domandargli conto di tutti i minuti della sua vita, e questo conto si renderà nel momento al quale non si penserà; se credesse che un sol peccato mortale lo rende meritevole d’una eternità infelice; se egli ponesse mente che non una preghiera della sua vita, non un desiderio, non un’azione, non un movimento del suo cuore che non sia scritto nel libro di questo supremo giudice; se egli vedesse la sua coscienza contaminata da orribili colpe, e che forse, lui solo, ha commesso tanti peccati quanti basterebbero per condannare al fuoco una città di cento mila abitanti, potrebbe restare in questo stato? No, certamente, se egli credesse davvero, che dopo questo giudizio vi è pei peccatori un inferno eterno, di cui un solo peccato mortale sarà la causa, se egli muore in questo stato; che la collera di Dio lo opprimerà per tutto il volgere dell’eternità, e che i peccatori vi cadono a migliaia continuamente; non prenderebbe tutte le cautele per evitare una così grande sventura? Se egli credesse veramente che vi è un cielo, una felicità eterna per tutti coloro che avranno fedelmente praticato quanto la religione loro comanda, potrebbe condursi nel modo col quale si conduce? No, certamente. Se, nel momento nel quale è pronto a peccare, egli credesse che Dio lo vede, che perde il cielo e attira sopra di sé ogni sorta di mali per questa vita e per l’altra, avrebbe il coraggio di fare quello che il demonio gli inspira? No, amico mio, no, ciò gli sarebbe impossibile. Da ciò io inferisco che un Cristiano che ha peccato e che resta nel suo peccato, ha perduto completamente la fede; è un povero uomo che il demonio ha accecato, che è sospeso per un sottilissimo filo sopra un abisso spaventoso; il demonio lo impedisce, per quanto può, di vedere gli orrori che gli sono preparati. Diciamo meglio, le sue piaghe sono così profonde ed il suo male così inveterato, che egli più non sente il suo stato; è un prigioniero, condannato a perdere la vita sul patibolo, il quale si trastulla aspettando il momento dell’esecuzione; si ha bel dirgli che la sua sentenza è pronunziata, che fra poco tempo non sarà più di questo mondo; a vederlo e al modo col quale si conduce, voi direste che gli si annuncia ciò che può recargli fortuna. O  mio Dio, quanto lo stato d’un peccatore è dunque infelice! Per la speranza d’un peccatore, non è da parlarne, perché la speranza d’un bruto e la sua sono la cosa medesima; esaminate la condotta dell’uno e dell’altro, non vi corre differenza. Una bestia fa consistere tutta la sua felicità nel bere e nel mangiare e nei piaceri della carne, e voi non ne incontrerete altra nel peccatore che vive nel peccato. — Ma, mi direte voi, egli assiste alla Messa, e recita alcune preghiere. — E perché ciò? Non è né il desiderio di piacere a Dio e di salvare la propria anima che lo muove a quest’opera, è l’abitudine che ha contratta dalla sua giovinezza. Se le domeniche non venissero che tutti gli anni o tutti i dieci anni, non vi assisterebbe che tutti gli anni e ancor meno; egli lo fa perché gli altri lo fanno. Voi vedete bene al modo col quale si conduce in tutto ciò che non è altra cosa; o, per meglio farvi conoscere quello che è la speranza d’un Cristiano peccatore, io vi dico che non ha altra speranza che quella di una bestia da soma; perché noi siamo perfettamente convinti che un bruto non spera che ciò di cui può godere sopra la terra. Un peccatore indurito che non pensa né di abbandonare il piacere, né vuol uscire dal peccato, non ha altra cosa da sperare, perché dice e pensa, o almeno fa quanto può per persuadersi che tutto è finito dopo la morte. Invano, o mio Dio, voi sarete morto per questi peccatori! Ah! amico mio, credendo far mostra di spirito, tu ti avvilisci, poiché scendi al livello dei bruti e dei più vili animali.

3° Abbiamo ancor detto che la preghiera di un buon Cristiano dev’essere animata dalla carità, cioè dall’amor di Dio che lo induce ad amar Dio con tutto il suo cuore, e ad odiare, detestare grandemente il peccato come il peggiore di tutti i mali, con sincero desiderio di non più commetterlo e di combatterlo e schiacciarlo ovunque noi lo troveremo. Voi vedete che questo non può aver luogo nelle preghiere d’un peccatore che non è spiacente d’aver offeso il buon Dio, poiché io tiene inchiodato sulla croce del proprio cuore, fintanto che il peccato vi regna. Se vi garba di ascoltare per un istante ancora questo mentitore, vedetelo ed uditelo nel recitare il suo atto di contrizione. Se avete assistito alcuna volta ad una commedia, al teatro, avrete osservato che tutto quanto vi si fa e vi si dice, non è che finzione e menzogna. Or dunque! Prestate un momento l’orecchio alla preghiera di questo peccatore, e voi vedrete che non fa e non dice altra cosa; voi vedrete che tutto ciò che fa non è che finzione e menzogna. Vi sarà impossibile sentirlo recitare il suo atto di contrizione senz’essere presi da compassione: “Dio mio, incomincia egli, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore del cuor mio. „ O mio Dio, si può pronunciare tale abbominazione? Sì, non c’è dubbio, povero cieco, il Signore vede veramente i tuoi peccati, non li vede che troppo, disgraziatamente. Ma il tuo dolore dov’è? Di’ piuttosto: “Mio Dio, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore dei santi solitari nei boschi, donde trascorrono le notti a piangere i loro peccati. „ Ma per te, ben veggo che punto non ne hai. Ben lungi d’aver dolore de’ tuoi peccati non ne vorresti avere, poiché tu continui in questi, senza volerli lasciare. “Mio Dio, continua questo mentitore, io ho un estremo rammarico di avervi offeso. „ Ma è possibile pronunciare tali empietà e tali bestemmie? Se tu ne sei oltremodo spiacente, puoi rimanere un mese, due, tre, dieci o vent’anni, forse, col peccato nel cuore? Una volta ancora, se tu fossi spiacente d’aver offeso Dio, sarebbe necessario che il ministro del Signore fosse continuamente occupato a dipingere i castighi che Dio prepara al peccatore, per inspirartene l’orrore? Sarebbe necessario di trascinarti, per così dire, ai piedi del tuo Salvatore per farti abbandonare il peccato? “Perdonatemi, Dio mio – aggiunge egli – perché voi siete infinitamente buono e infinitamente amabile e che il peccato vi dispiace.„ Taci, tu non sai quel che tu ti dica. Certamente che Dio è buono; se non avesse dato ascolto che alla sua giustizia, sarebbe già da lungo tempo che tu bruceresti nell’inferno. “Mio Dio, egli dice, perdonatemi i miei peccati per i meriti della passione e morte di Gesù Cristo vostro caro Figlio. „ Ah! amico mio, tutte le sofferenze che Gesù Cristo ha avuto la carità di patire per te, non saranno capaci di toccare il tuo cuore, esso è troppo indurito. “Concedetemi la grazia – esso dice – di adempire la risoluzione che presentemente prendo di fare penitenza e di non offendervi più,,. –  Ma, caro amico, puoi tu veramente ragionare in tale maniera? Dov’è dunque questa risoluzione che tu hai presa di non più offendere il buon Dio? Poiché tu ami il peccato, e lungi dal volertene liberare, cerchi invece il luogo e le persone che te lo possono far commettere; di’ piuttosto, amico mio, che saresti ben fortunato se il buon Dio ti concedesse la grazia di non offenderlo mai più, poiché tu ti compiaci a rivoltolarti nelle lordure de’ tuoi vizi. Io credo che sarebbe molto meglio per te di nulla dire, che parlare in tal guisa. – Ma andiamo più innanzi. Noi leggiamo nel Vangelo che i soldati avendo condotto Gesù Cristo nel pretorio, ed essendosi radunati intorno ad Esso, lo spogliarono delle sue vesti, gettarono sopra le sue spalle un manto di porpora, lo coronarono di spine, lo colpirono al capo con una canna, gli diedero delle ceffate, gli sputarono in viso, e dopo tutto ciò, piegando un ginocchio davanti a Lui l’adoravano. Puossi immaginare un oltraggio più sanguinoso? Ora ciò desta la vostra meraviglia? Ecco veramente la condotta d’un Cristiano che è nel peccato e che né pensa di uscirne, né lo vuole; ed io soggiungo, che egli solo fa tutto ciò che i Giudei fecero tutti insieme, poiché S. Paolo ci dice che ad ogni peccato che noi commettiamo, noi facciamo morire il Salvatore del mondo; (Hebr. VI, 6) con altre parole, noi facciamo tutto ciò che sarebbe necessario per farlo morire, se di nuovo fosse capace di morire una seconda volta. Finché il peccato regna nel nostro cuore, noi teniamo, come i Giudei, Gesù Cristo appeso alla croce; con essi noi lo insultiamo piegando il ginocchio davanti a Lui, facendo sembiante di pregarlo. Ma, mi direte voi, non è questa la mia intenzione, quando recito la mia preghiera; Dio mi scampi da tali orrori! — Bella scusa, amico mio! Colui che commette il peccato, non ha l’intenzione di perdere la grazia; tuttavia non tralascia di perderla; è per avventura meno colpevole? No, certamente, perché egli non ignora che non può compiere tale azione o dire tal cosa senza rendersi colpevole d’un peccato mortale. Se voi vi tenete sicuri, l’intenzione di tutti i dannati, non era certamente di perdersi, per questo sono meno colpevoli? No, certamente, perché non ignoravano che si perderebbero vivendo come sono vissuti. Un peccatore che prega col peccato nel cuore non ha l’intenzione di ridersi di Gesù Cristo né di insultarlo; non è meno vero che si ride di Lui, perché non ignora che si ride di Lui quando gli si dice: Mio Dio, io vi amo, mentre si ama il peccato, o: Io mi confesserò al più presto. Ascoltate quest’ultima menzogna! Egli non pensa né a confessarsi né a convertirsi. Ma, ditemi, qual è l’intenzione vostra, quando vi recate alla chiesa, o che voi recitate ciò che chiamate vostra preghiera? — È, mi direte voi forse, se pure usate il dirlo, di compiere un atto di rendere a Dio religione, la gloria che gli sono davanti. Oh orrore! Oh accecamento! Oh empietà voler onorar Dio con delle menzogne, con altre parole volerlo onorare con ciò che lo oltraggia! Oh abominazione! Avere Gesù Cristo sulle labbra e tenerlo crocifisso nel proprio cuore, associare ciò che vi ha di più santo con ciò che v’ha di più detestabile, che è il servizio del demonio! oh! quale orrore! offrire a Dio un’anima che si è già mille volte prostituita al demonio! O mio Dio! Quanto il peccatore è cieco, e tanto più cieco che non conosce se stesso, e non cerca di conoscersi! – Non aveva io ragione cominciando, di dirvi che la preghiera d’un peccatore non è altra cosa che un tessuto di menzogne e di contraddizioni? Ciò è tanto vero che lo Spirito Santo medesimo dice che la preghiera d’un peccatore che non vuole uscire dal peccato è in esecrazione agli occhi del Signore (Prov. XXVIII, 9) — Questo stato, direte voi con me, è orribile e degno di compassione. — Ora, vedete come il peccato vi accechi! tuttavolta, lo dico senza timore di esagerare, almeno la metà di coloro che sono qui, che mi ascoltano in questa chiesa, sono di questo numero. Non è egli vero che ciò non vi commuove, o piuttosto vi reca noia e vi fa parer lungo il tempo? Ecco, mio amico, l’abisso spaventoso al quale trascina il peccato un peccatore. Dapprima, voi sapete che sono sei mesi, un anno o più che siete nel peccato, eppure siete tranquillo? — Eh sì, mi direte voi. — Ciò non è difficile a credere, perché il peccato vi ha offuscati gli occhi; voi non vedete più nulla, ha indurato il vostro cuore affinché più nulla sentiate, ed io sono come sicuro che tutto ciò che vi ho detto non vi muoverà a fare qualche riflessione. O mio Dio, a quale abisso conduce il peccato! – Ma, mi direte voi, non devesi più pregare, perché le nostre preghiere non sono che insulti fatti a Dio? — Non è questo che io ho voluto dirvi mostrando che le vostre preghiere non erano che menzogne. Ma, invece di dire: Mio Dio, io vi amo, dite: Mio Dio, io non vi amo, ma concedetemi la grazia di amarvi. Invece di dirgli: Mio Dio, io ho un grande rammarico di avervi offeso, ditegli: Mio Dio, io non provo alcun rammarico dei miei peccati, concedetemi tutto il dolore che devo sentirne. – Lontano da voi il dire: Io voglio confessarmi dei miei peccati, ditegli piuttosto: Mio Dio, io mi sono affezionato ai miei peccati, parmi che non vorrei mai abbandonarli; concedetemi questo orrore che devo sentirne, affinché io li aborri, li detesti e li confessi, onde mai più ricadervi. O mio Dio, concedetemi, se è la volontà vostra, questo orrore eterno del peccato, perché è il nemico vostro, ed è lui che vi ha fatto morire, che ci toglie l’amicizia vostra, e ci separa da Voi! Ah! fate divin Salvatore, che tutte le volte che verremo a pregarvi, lo facciamo con un cuore staccato dal peccato, con un cuore che vi ama, e che in ciò che vi dirà, non dica che la verità! E la grazia che vi desidero.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXVII: 16;17
Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quǽsumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc IV: 22
Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

 Postcommunio

Orémus.
Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quǽsumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris.

[O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

FESTA DELL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA (2021)

 DOMENICA PRECEDENTE ALLA SETTUAGESIMA:

FESTA DELL’ARCICONFRATERNITA DEL SS. ED IMMACOLATO CUORE DI MARIA

[Notizie storiche intorno all’Arciconfraternita del Ss. CUORE DI MARIA, tratti dagli annali della medesima Arciconfraternita pubblicati dal sig. Dufriche Desgenettes nell’anno 1842-

 Imola, Baracani Stampe. Vescov. 1843 –

Con dedica a S. E. Cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti, futuro Papa Pio IX)

A

sua Eminenza reverendissima GIOVANNI MARIA de’ Conti MASTAI FERRETTI

Arcivescovo Vescovo d’Imola e conte etc. etc.

Eminenza reverendissima,

Molte e gravi ragioni ci obbligano a dar pubblico segno della gratitudine che professiamo sincera e profonda all’Eminenza Vostra Reverendissima, la quale con bontà tutta propria del di Lei cuore ha voluto onorare quella tanto per noi sacra festività che dedicammo alla B. V. detta del Calanco, non pure adempiendo di persona la solenne cerimonia dell’incoronare la S. Effigie, ma eziandio col tenere analoga omelia tutta piena di forza, di dignità, di unzione. A sdebitarci però di tanto smarrisce affatto la pochezza di nostre forze, e la parola vien meno, sì se abbiamo riguardo alla sublimità de’ suoi meriti, e sì se a quella sua più ancor sublime modestia, che non cura, anzi sdegna qualunque omaggio di lode. Il perché non altro ci siamo consigliati che offrire alla Eminenza vostra un opuscolo diretto a propagare la devozione all’Immacolato Cuore di Maria, accertati che la somma di Lei pietà, la quale faceva ricca la nostra Chiesa di un dipinto rappresentante il S. Cuore della Vergine, vorrà gradire il nostro buon volere e continuarci l’onore di essere quali inchinati al bacio della S. Porpora ci protestiamo della Eminenza V. Reverendissima.

Dozza 8 Giugno 1843

PRŒMIO

Se ella è opera di uomo cotesta, dicea Gamaliele ai seniori di Gerusalemme, cadrà di per se stessa, ma se la vien da Dio, sussisterà; ed avete a temere non forse opponendovi a quella, vi opponiate a’ disegni di Dio. – Questa appunto si fu la sola risposta che ci permettemmo fare a coloro che sebbene con intenzione retta, biasimaron però sulle prime l’istituzione dell’Arciconfraternita del Sacro Cuor di Maria per la conversione de’ peccatori. Le obbiezioni loro, fondate sulla umana prudenza, non valsero a farci cader di animo, né ad arrestarci ne’ nostri sforzi, da che resistere non sapevamo all’interno nostro sentimento. – Oggimai dell’opera si farà giudizio agli effetti stupendi, sigillo verace delle òpere di Dio manifestato all’uomo; e così gli uomini che altra fiata la guardavano con animo pregiudicato, colpiti dal vasto e rapido suo incremento, sbalorditi pe’ copiosissimi frutt i che ella non cessa di produrre, le fanno essi stessi giustizia, e benedicono il nome di Maria, il cui intervento attrae tante grazie ed opera tanto meravigliose conversioni. – Senza prevalerci di. Un successo che vince della mano tutte nostre speranze, confessiam francamente che se fossimo stati consultati sul partito da prendersi per ricondurre a cristiana vita gli uomini del secol nostro, non avremmo noi pensato mai, parlando secondo uomo, a consigliare l’erezione di una arciconfraternitasiccome mezzo efficace per convertire i peccatori. La parola stessa era un obbietto di derisione, qualche anno innanzi. Sarebbonsi tutti senza dubbio burlati della semplicità di un sacerdote che cercando satisfare alla necessità de’ tempi nostri e calmar le grida dei miserabili del nostro secolo, proposto avesse una meschina confraternita, rimembranza del medio evo. I Cristiani anche i Più fedeli per poco istrutti del carattere dell’attuale incivilimento, avrebbero disdegnato questo strano e vieto rimedio, né avrebbero mai avvisato che sotto questo nome e con questa forma si potessero ricondurre all’ovile le smarrite pecorelle. – A così grandi bisogni si volean contrapporre più grandi aiuti; ogni uom serio che gemeva sulle nostre calamità e sul traviare de’ più alti intelletti, inculcava la necessità di un intero rinnovellamento di scienza e di una nuova diffusione di luce per guarire le piaghe del secolo, spegner la sete di sapere che crucia gli ingegni, saziare la fame degli umani desideri. Noi pur siamo stati d’avviso, che giammai la face della scienza cristiana non ebbe a fugare più folte e sparse tenebre. Intanto, diciamolo pur chiaramente, non mancò alla Chiesa questo soccorso; e se altri si fa a rimembrare le innumerevoli difficoltà che negli ultimi tempi opprimevano il sacerdozio ed attraversavano gli alti studi del clero, dovrà trasecolare al vedere le penne e gl’ingegni che a’ nostri dì si esercitano, negli scritti religiosi e ne’ pulpiti evangelici. I diversi rami dell’umano sapere non furono per avventura mai coltivati con più zelo e splendore di quel che si faccia presentemente da que’ medesimi che annunziano al mondo la divina parola. – Ma basta egli questo rimedio? La sola scienza può mai sopperire a tutti i bisogni? Ed acciò sia feconda e si coroni de’ divini frutti non debbe ella forse andar di conserva, nel cuor dei Cristiani, coll’amore e la pratica della carità? – La vera scienza, la scienza, che getta luce di fede e converte lo spirito, è dono del cielo, scaturisce dal Padre dei lumi, procede dall’amore; che per servirci delle espressioni del pio Cardinal di Berulle: Dall’amore appunto si fa passaggio alla luce e non è mai che dalla luce si passi all’amore. E così ad ottener scienza e luce si debbe amare, pregare, domandare e cercare con umiltà e confidenza. Tal si è la condizione ad ogni grazia: Cercate in prima il regno di Dio, e la sua giustizia, e ‘l rimanente vi sarà dato quasi per soprappiù. – La divina luce adunque impedita dalle tenebre di orgoglio che s’innalzano attorno a noi, ci è stata offerta; ma d’appressarvisi non è dato che all’umiltà, sol può vederla l’occhio obbediente della fede. Il perché in tutti i tempi l’incredulità della umana sapienza, poiché salse al suo più alto grado di esaltazione, ha dovuto esser confusa dai mezzi che a lei si parvero una follia. – L’arciconfraternita rinnova a’ giorni nostri una di queste sante follie. Col suo titolo ella comanda l’umiltà a coloro ch’ella accoglie; col suo obbietto risveglia la cristiana e fraterna carità; colle sue condizioni esige la preghiera; col suo fruttificare muove a riconoscenza ed amore; e l’amore alla sua volta riconduce gli animi e i cuori alla buona via, alla verità ed alla vita. – Se oggimai ci facciamo a considerare che l’Arciconfraternita nel sesto anno di sua esistenza conta già due milioni incirca di fratelli sparsi in tutte le contrade del mondo; che sonovi aggregate oltre a 1900 parocchie, sì in Francia, sì presso le straniere nazioni; che ogni dì si accresce il novero, e che da ultimo infra sì gran moltitudine di fedeli riuniti nel sentimento di una stessa preghiera, noi osserviamo un considerevol numero di giovani e di uomini di mondo, d’ogni ordine della società, tutti parteciperanno alle speranze nostre sull’avvenire, ed agevole tornerà il comprendere l’interesse che può venire dal pubblicare periodicamente cotesti Annali.

D’altra parte non pretendiamo noi di fornire la istoria contemporanea di soli documenti; non offriamo alla cristiana pietà solo i fatti di edificazione: un altro disegno abbiamo in cuore, un più serio e dolce pensiero ci stringe e ci predomina. A Maria, Madre del nostro Signor Gesù Cristo dedichiam questi Annali; e glieli presentiamo siccome novello monumento innalzatole dai riconoscenti figli della Chiesa. – Maria sì, Maria e il compassionevole suo Cuore implorato abbiamo, con confidenza invocato; e questo Cuore mosso dai nostri gemiti, si è mostrato al nostro come un emblema dell’amore materno, come un simbolo di grazia, come l’iride che annunzia serenità dopo la procella e che conferma l’alleanza di Dio cogli uomini. – La santa Vergine, dal primo momento della incarnazione del Verbo, è divenuta mediatrice alla nostra riconciliazione, trono di grazie, pegno ed istrumento alle divine misericordie, aureo anello che conferma e stringe l’umanità colla Divinità. Che che ne dica l’eretico, questa immacolata Vergin Maria sarà eternamente il sostegno del popol di Dio, il rifugio dei peccatori, l’onore e la gloria della umanità rigenerata dal Sangue di Gesù Cristo. Ella è pur la Madre dei Cristiani non per figurato vocabolo di lingua, ma secondo la verità della eterna parola; dappoiché ella è Madre veramente: Madre di Dio fatto uomo, Madre di Gesù Cristo, Madre della Chiesa ch’è il corpo di Gesù Cristo; Madre d’ogni e singolo membro di questo mistico corpo, Madre di tutti i veri fedeli. – Questa saldissima verità, il dogma della maternità verginale e della materna verginità, questo dogma appunto fu altamente annunciato, e consacrato dall’alto della croce. Ecce Mater tua! Egli è questa lultima asserzione di un Dio moriente, il testamento di Gesù Cristo, il compimento del Cristianesimo, la pienezza dei doni di Dio. – Or se dalla prima pagina della santa Scrittura, la vittoria fu promessa alla Vergine che stritolerebbe il capo del serpente, ei si conveniva invocare questa Vergine vittoriosa sotto il nome di Nostra Signora delle Vittorie; e dappoiché l’umiltà fu sempre sua divisa e suo vessillo, ben si spiega la scelta da lei fatta di una delle più umili chiese della capitale della Francia per collocarvi il centro dell’Arciconfraternita. – Lasceremo ora che parlino i fatti, i quali ci mostreranno in più eloquente maniera, che il languido nostro parlare, i tesori del Cuor di Maria, l’inesauribile sua indulgenza, la possente sua mediazione a favor delle anime dolenti e traviate, l’efficacia di sua misericordiosa intercessione presso Gesù Cristo, nostro Salvatore, a cui la gloria e l’impero ne’ secoli de’ secoli si appartiene. Amen.

(Se rimanemmo tanto edificati in leggendo sì pii concetti espressi con tutta semplicità dal ch. autore, non ci sorprenderà meno la perspicuità e la forza di Logica ch’egli adopera in un primo articolo che tien dietro al proemio, ov’ei prende a dimostrar con invitti argomenti divini e umani, come l’opera dell’Arciconfraternita sia opera della divina Misericordia. A farne intesi i lettori estrarremo la miglio parte di esso, volgendolo in volgar nostro, lasciando di sovente parlar lui stesso e non aggiungendo che qualche frase a legare i sentimentitolti qua e là all’uopo di farne un ristretto giusta lo scopo della presente appendice alle notizie storiche.)

CAPO I.

Ordine meraviglioso di Provvidenza sull’Arciconfraternita del SS. ed Immacolato Cuor di Maria.

Qualsivoglia opera di Dio ha in mira si la gloria sua sì il bene degli uomini, questo è costantemente lo scopo del diffondersi dell’amor divino. Ei chiama tutti i popoli a sé, perché attingano a lunghi sorsi i dolci effetti della sua misericordia: e nella sua clemenza ei conduce l’opera di guisa che imponga visibilmente alle anime il tributo di riconoscenza e di tenerezza che debbe accrescere infra le creature la gloria estrinseca del Creatore. Il perché le opere di Dio differiscono dalle opere dell’uomo e nel loro principio e negl’incrementi loro e negli effetti. Le opere dell’uomo lasciano pur scorgere la man dell’uomo, il suo ingegno e i suoi sforzi: le opere di Dio son condotte innanzi a dispetto degli uomini: perocché egli fa di mestieri che la origin loro, lo estendersi, il trionfare rivelino la volontà, la onnipotenza, la bontà di Dio, affinché il mondo, non potendo porre in forse la divina operazione, si affretti a raccorglierne frutti e benedizioni. – Le opere degli uomini sono sentite innanzi che avvengano; e dalle circostanze sono dirette e favorite. Non fanno cammino che sotto l’occhio degli uni e sospinte dall’interesse degli altri. Il loro incremento deve molto, e di sovente ancora tutto deve al credito, alla abilità di chi le intraprende ovver le protegge; e per le cure, scaltrimenti e trionfi pervengono pur talvolta ad acquistare esistenza e durata. – Le opere di Dio per contrario son piccole, umili, ascose nella loro origine: si pajono sempre nel momento che men si attendono, quasi sempre fra circostanze che sembrano essere loro sfavorevoli. Il primo rumore, che ne corre. È respinto dalla indifferenza, spesse volte dal disprezzo. Iddio non le pone mai d’ordinario nelle mani di un uomo onorato dalla stima e confidenza pubblica; egli è quasi sempre un oscuro ed ignoto fedele, che non ha di per se stesso né pregio, né credito di sorta. Iddio che non ha bisogno di alcuno, ma che nell’ordine di sua provvidenza vuol servirsi degli uomini, elegge sempre infra loro, ci dice s. Paolo, quanto vi ha di men saggio, di più fievole, di più vile, di più spregevole per accomunarlo al suo disegno. L’opera si manifesta ed incominciano appunto allora i combattimenti, le persecuzioni; ai dileggi, al disprezzo tengon dietro le ingiurie, le calunnie, gli oltraggi. Quando sono pervenute a questo punto le umane opere si ordina la battaglia, la mischia incomincia fra’ dissidenti, si agitano le passioni dalle due bande; ognun ripone sua fiducia nelle proprie forze. Nell’opera di Dio il silenzio e la pazienza sono i due scudi che oppongonsi sempre con vantaggio ai colpi di satanno. Questa benedizione Evangelica riempie di santa e dolce confidenza: Beati que’ che soffron persecuzione per la giustizia, perocché loro si appartiene il regno dei cieli. Sarete voi beati, quando gli uomini vi perseguiteranno e vi daran mala voce per cagion mia. Così le opere di Dio sono intraprese, vannosi continuando a condizioni del tutto opposte alle regole di umana saggezza e prudenza; e mentre che le umane opere meglio pensate spesso diseccansi dalle radici, o van cadendo le une sulle altre, l’opera di Dio va innanzi nel silenzio, nella oscurità, e si dilata. Il suo andare che invita tutti gli sguardi, sbalordisce ed obbliga l’occhio indagatore a risalire alla sua prima comparsa. Si va allora in traccia dell’autore, non si rinviene; un povero Prete, un oscuro Cristiano sembra tenere le fila, ond’è tessuta l’opera; s’ignora il come abbia potuto condurla a termine. Si fa ragione allora della sproporzione che v’ha infra l’effetto e i mezzi, e si dice con pari verità, stupore e ammirazione: Il dito di Dio è qui: il Signore ha fatto cotesta opera, ed ecco il perché ella è meravigliosa agli occhi nostri. Di questa guisa Iddio convince di follia la prudenza e la sapienza umana. – Dei caratteri, che testé sponemmo siccome essenzialmente propri delle opere di Dìo, non ve ne ha uno che manchi all’opera dell’arciconfraternita del santissimo ed immacolato Cuor di Maria per la conversione dei peccatori. Apparve la domenica 11 dicembre 1836. In quel tempo la società in Francia era in istato di violento ribollimento che minacciava universal ruina non guari lontana. Era Parigi solcata a volta a volta e per ogni banda da sedizioni armate, che seco recavano scompiglio, spavento e bene spesso la morte. Ogni socievol legame mirava a sciogliersi, e ci pareva di dover per poco ritornare alla barbarie. In que’ giorni di perturbamento e disordine che diveniva mai la Religione? Vedeva ella i suoi tempii deserti, abbandonati i sacramenti, spregiati, derisi i suoi ministri. Parea non dovesse più riaversi al terribil colpo che dianzi aveagli scaricato addosso una recente rivoluzione. L’empietà cantava vittoria. Delle invereconde voci annunziavano dalle pubbliche cattedre com’ella fosse spacciata, come finito avesse suo tempo d’esistenza; ben voleasi confessare aver altra fiata il Cristianesimo renduto alquanti servigi alla umana società, ma ora egli era antico ed insufficiente a star del pari co’ progressi dello spirito umano. Di là venne il farneticare di nuovi religiosi sistemi, che non tornano ad altro che ad una novella imbandigione delle più assurde, e immonde eresie antiche. E nonostante queste assurdità trovavan settarii, in ispezieltà fra’ giovani, perchè adulavan l’orgoglio, accarezzavano le passioni, e l’uomo non riconoscea più né freno né regola né governo. Era gran tempo che tutto quanto avesse nome di congregazione, unione, religiosa confraternita, tutto che vi si assomigliasse, era proscritto dalla ragion pubblica. – In mezzo a si sfavorevoli e dirò pur nemiche circostanze, l’arciconfraternita ebbe incominciamento. Il modificare e spegnere a poco a poco tutti questi irreligiosi ed ostili sentimenti era cosa da lei. Ove fu ella mai istituita? ah qui davvero che l’opera divina apparisce nel modo il più chiaro! V’ha in Parigi, in questa moderna Babilonia, che ha infettato tutto il mondo con tutti veleni, tutte dottrine di corruzione, d’empietà, di rivolta e di menzogna, v’ha in Parigi una parrocchia quasi allora sconosciuta perfino a un gran numero de’ suoi abitanti. Trovasi fra il Palazzo Reale e la Borsa nel centro della città; le fan quasi cerchio i teatri e i ridotti di strepitosi e pubblici piaceri. Egli è questo il quartiere che più ribolle d’interessate agitazioni di cupidigia e d’industria, il più in preda alle criminose voluttà, di passioni d’ogni fatta. La chiesa dedicata a Nostra Signora delle Vittorie ha perduto colla gloria il suo nome; la si conosce sotto il nome senza significato di chiesa des Petìts-Peres. Nei maledetti tempi ha servito pur di borsa. Il tempio si rimanea deserto, ne’ giorni eziandio delle più auguste solennità della religione. Diciam di più, diciam tutto come che e’ ci dolga, era divenuto un luogo, un teatro di prostituzione, e siamo stati obbligati di ricorrere alla milizia per cacciarne chi lo profanava. In  questa parrocchia non si amministravano i sacramenti neanche in punto di morte. Che il sacerdote salga il pulpito per ispezzare il pane della divina parola, egli è inutile, non v’è chi lo ascolti. Il gregge tutto quanto formavasi di un pugno di Cristiani che temevan perfin di parere. Gli altri assorti ne’ computi dell’interesse e del guadagno, od immersi a gola negli eccessi delle voluttà e delle passioni, non si curano né di chiesa, né di pastore; e se questo meschino cerca d’entrare in qualche relazione colle anime che gli sono affidate, ne va spregiato conculcato respinto. Ode a dirsi che non c’è bisogno di lui, che se ne può andare. E se a forza di sollecite istanze di qualche pia persona egli ottiene di essere introdotto all’infermo in pericolo della vita, non avvien che a patto di aspettar che il malato abbia perduto i sensi, e che presentisi a lui precisamente in abito da secolare. A che serve la sua visita? Non sarebbe che per tribolare inutilmente l’infermo. In quanto all’abito, non si vuol vedere, e poi che sì direbbe se si vedesse entrare un prete in casa? ci prenderebbero per Gesuiti. Ecco a qual grado era scemata la fede e lo spirito religioso di questa parrocchia. – Compito questo quadro orribile, il Direttore passa a dimandar se l’istromento scelto dalla provvidenza per superare tante difficoltà sia pari ad esse, se ei goda la stima generale, la pubblica confidenza, se ei possegga elevato ingegno, s’ei sia di quegli uomini eloquenti ed operosi che s’attraggono tutti i cuori e sovrastano a tutti gl’intelletti. La modestia e l’umiltà sua vuol ben che ei si dichiari l’ultimo dei fedeli. Ma se egli spicca per ingegno, è sempre vero però che viveasi ignorato per fin da moltissimi dei suoi indifferenti parrocchiani, che aveva lo spirito abbattuto dalla tristezza, il cuore avvilito dal dolore, che il suo naturale secondo la pubblica voce da lui allegata, brusco impaziente bizzarro anzi che no, dovea recar nocumento all’opera. Aggiunge infine di non aver avuto in cuore neppur la disposizione per abbracciare con ardore l’opera, alla quale era destinato. E fu d’uopo che all’altar di Maria, durante l’offerta del divino sacrificio gli si fissasse in mente un’idea, che sebben rigettata sulle prime, finì per riportar vittoria sull’orgoglio dei suoì pregiudizi. Conchiude dunque che un povero  prete senza relazioni e senza credito non poteva né istituire né conservare, né propagar la santa opera, ma che il Signore ha scelto per istrumento ciò che v’era di men saggio, di più debole, di più vile, di più spregevole, acciò l’operazione divina meglio spiccasse e d’uomo non s’attribuisse la gloria che s’appartiene a Dio. » – I principi, segue a dire, delle opere di Dio sono piccoli ed ascosi, procedono poi con lentezza in mezzo ai contrasti e persecuzioni ancora, e in di prova elle si rafforzano e si dilatano. Dagli 11 dicembre 1836, giorno della fondazione per un anno intero da quaranta a sessanta fedeli si accoglievan soltanto attorno all’altar di Maria. Niuno si avvedea di quanto avvenisse in questa chiesa ancora ignorata; e pure in quell’anno appunto le più meravigliose grazie vennero a ricompensare il fervore dei primi fratelli. Nel 1837 si volea che Sua Santità colla mediazione dell’arcivescovo di Parigi erigesse la pia unione in Arciconfraternita per la sola Francia. Il prelato si oppose in tuon severo al disegno, avendolo per inutile e non conveniente. Ed ecco l’opera abbandonata dagli uomini, perché meglio si vedesse com’ella fosse opera di Dio. – Si procura intanto che due Cardinali in Roma presentino la petizione al s. Padre. Sulle prime e’ la prendono sommamente a cuore, ma presto sappiamo come essi vi hanno fatto riflessione sopra ed han giudicato in fine il passo per indiscreto e al tutto inutile; come il s. Padre non accorderebbe mai favor siffatto quando pure il domandasse lo stesso Arcivescovo di Parigi. Afflitto, non abbattuto però il povero parroco dispose ad ogni modo che fosse in buon punto presentata al Papa la supplica, e intanto gli ultimi giorni di marzo (1838 con ispeciali preghiere, implorò la protezione di Maria. In su i primi di aprile una Signora illustre del pari per la pietà che pei natali, avendo udito a parlare delle grazie ottenute nella chiesa di Nostra Signora delle Vittorie e della suppliche a del curato, vuol ella stessa presentarla al Papa. Non sì tosto ebbe sua Santità la petizione che ordinò il breve di erezione. – Così, dice il pio direttore, in questa circostanza ogni cosa esce fuori dall’ordine naturale: una donna che ha udito così per caso parlar dell’opera, che a mala pena sa di che si tratti, reca questa grande e rilevante affare ai piedi del sovrano Pontefice. E il Vicario di Gesù Cristo non facile a condiscedere a favori di tal fatta, accorda in tutta la sua pienezza una grazia che era pure stata domandata con restrizioni. Diciamolo anche una volta: al tutto qui ci è il dito di Dio. – Eretta l’arciconfraternita, pubblicato il Manuale, vennegli sopra una tempesta dì motteggi, poi ingiurie, menzogne e calunnie dirette specialmente contra la persona del direttore. Nulla ci sgomentò, ei ripiglia, ci eravamo apparecchiati. L’arciconfraternita fa la guerra a satana, strappagli di mano le vittime, egli è dunque naturale che satana gli renda pan per focaccia. Ma sì che ad onta del vilipendio, dei rifiuti, delle aspre prove d’ogni fatta ella ha rapidamente e meravigliosamente corso ab ortu solis usque ad occasum. – Nella storia degli antichi popoli, negli annali della Chiesa, nei fasti del mondo intero non v’ha nulla da paragonare alla estensione, alla rapidità del suo incremento. V’ha pur qualcheduno che non vuole qui ravvisar l’opera di Dio, ma egli è un cieco volontario e tremi …. da che egli è il medesimo che bestemmiar l’opera di Dio. – Dopo aver sì ben provato l’assunto dichiara come si pubblicheranno almeno due fascicoli all’anno degli annali. Ogni numero avrà due parti: nella prima si faranno conoscere i progressi d’Arciconfraternita; nella seconda si darà l’istoria de’ suoi effetti. Questa seconda parte avrà pur due paragrafi: il primo darà ragguaglio delle conversioni, e la seconda delle guarigioni ed altre grazie ottenute colle preghiere dell’Arciconfraternita.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS – LA PREGHIERA D’UN PECCATORE IMPENITENTE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sulla preghiera d’un peccatore impenitente.

Cum descendisset Jesus de monte, secutæ sunt eum turbæ multæ. Et ecce leprosus veniens, adorabat eum.

[Scendendo Gesù dalla montagna, una gran  folla di popolo lo seguiva; ed ecco un lebbroso che venendo a Lui lo adorava.]

(MATTH. VIII, 1, 2).

Leggendo queste parole, miei Fratelli, io mi rappresento il giorno di una grande festa, nella quale si accorre in folla nelle nostre chiese, vicino a Gesù Cristo, non disceso da una montagna, ma sopra i nostri altari, sui quali la fede lo scopre come un Re nel mezzo del suo popolo, come un padre circondato dai figli suoi, in una parola, come un medico circondato dagli ammalati suoi. Gli uni adorano questo Dio, del quale il cielo e la terra non possono contenere l’immensità, con una coscienza pura, come un Dio il quale regna nel loro cuore; è solo l’amore che li conduce qui per offrirgli un sacrificio di lodi e di azioni di grazie; essi sono sicuri di non uscire dalla presenza di questo Dio caritatevole senza essere ricolmi di ogni sorta di benedizioni. Altri si presentano dinanzi a questo Dio così puro e così santo con un’anima tutta coperta di peccati; ma essi sono rientrati in se medesimi, hanno aperto gli occhi sopra il loro stato infelice, hanno concepito il più vivo orrore dei loro traviamenti, e, risoluti di cambiar vita, si recano a Gesù Cristo pieni di fiducia, si gettano ai piedi del migliore dei padri, facendogli il sacrificio di un cuore contrito ed umiliato. Prima di uscire dalla chiesa, il cielo sarà loro aperto, e chiuso l’inferno. Ma dopo queste due sorta di adoratori, si presenta una terza: vale a dire, quei Cristiani tutti coperti delle sozzure del peccato e assonnati nel male, che non pensano affatto ad uscirne, che tuttavia si conducono come gli altri, si recano ad adorarlo ed a pregarlo, almeno in apparenza. Io non vi parlerò di coloro che vengono con un’anima pura ed aggradevole al loro Dio; io non ho che una cosa sola da dir loro, di perseverare. Ai secondi io dirò loro di raddoppiare le loro preghiere, le loro lacrime e le loro penitenze; ma che pensino che, giusta la promessa di Dio medesimo, ogni peccatore che a Lui ritorna con un cuore contrito ed umiliato è sicuro di trovare il suo perdono.  (Ps. L, 19). Essi sono sicuri, dice Gesù Cristo, di avere riacquistata l’amicizia del loro Dio e il diritto che la loro qualità di figli di Dio loro concede al cielo. Io non voglio dunque oggi parlarvi che di quei peccatori i quali sembrano vivere, ma che sono già morti. Strana condotta, M. F., sulla quale io non oserei esprimere il mio pensiero, se lo Spirito Santo non avesse già detto, dal principio del mondo e in termini appropriati, che la preghiera d’un peccatore il quale non vuole uscire dal suo peccato, e non fa tutto ciò che deve fare per uscirne, è in esecrazione agli occhi del Signore. Aggiungiamo a questo induramento, il disprezzo di tutte le grazie che il cielo gli offre. Il mio disegno è dunque di mostrarvi che la preghiera di un peccatore che non vuole uscire dal peccato, non è altra cosa che un’azione ridicola, piena di contraddizioni e di menzogne, se noi la consideriamo sia in rapporto alle disposizioni del peccatore che la fa, sia che la consideriamo per rapporto a Gesù Cristo al quale è rivolta. Parliamo più chiaramente, dicendo che la preghiera d’un peccatore che resta nel peccato, non è altra cosa che una azione la più insultante e la più empia. Ascoltatemi un istante e voi ne sarete sventuratamente convinti.

I . — Mio disegno non è di parlarvi a lungo delle qualità che deve avere una preghiera per essere accettevole a Dio e vantaggiosa a colui che la fa; io non vi dirò che poche parole della sua potenza; io vi dirò solamente di passaggio che è un dolce intrattenimento dell’anima col suo Dio, che ce lo fa riconoscere per nostro Creatore, per nostro Bene sommo e nostro ultimo fine; è un commercio del cielo colla terra; noi rivolgiamo le nostre preghiere e le nostre buone opere al cielo, e il cielo fa discendere sopra di noi le grazie che ci sono necessarie per santificarci. Io vi dirò di giunta che è la preghiera che aderge la nostra anima e il nostro cuore al cielo, ci fa sprezzare il mondo con tutti i piaceri suoi. È la preghiera che fa discendere Dio fino a noi. Diciamo ancor meglio: la preghiera ben fatta penetra ed attraversa la vòlta dei cieli e sale fino al trono di Gesù Cristo medesimo, disarma la giustizia del Padre suo, eccita e commuove la misericordia sua, apre i tesori delle grazie del Signore, le rapisce, se oso di così parlare, e ritorna carica di ogni sorta di benedizioni a colui che a Dio l’ha rivolta. Se mi fosse necessario di assodare questo vero, io non avrei che ad aprire i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Noi vi leggeremmo che Dio non può mai negare ciò che gli si domandasse colla preghiera fatta nel modo dovuto. Qui io veggo trentamila uomini sui quali Dio ha risoluto di far discendere il peso della sua giusta collera, per distruggerli in castigo dei loro peccati. Mosè solo domanda la loro grazia, e si prostra dinanzi al Signore. Appena è cominciata la sua preghiera, che il Signore che aveva risoluto la loro perdita, cangia la sua sentenza, restituendo loro la sua amicizia, promettendo loro la protezione sua ed ogni sorta di benedizioni, e tutto alla preghiera di un sol uomo. (Exod. XXXII, 28-34). Io veggo un Giosuè il quale, trovando che il sole volge troppo rapidamente al tramonto, e temendo di non avere il tempo per vendicarsi dei suoi nemici, si prostra colla faccia contro terra pregando il Signore, comanda al sole di fermarsi, e, con un miracolo che non si era mai operato e che forse mai si opererà, il sole sospende il suo corso per proteggere Giosuè e lasciargli il tempo di inseguire e di distruggere il suo nemico. (Jos. X) Io veggo Giona che il Signore manda alla grande città di Ninive, questa città peccatrice, perché il Signore che è la giustizia e la stessa bontà, aveva risoluto di punirla e di distruggerla. Giona, correndo le vie della grande città, annuncia, dalla parte di Dio medesimo, che la sua distruzione non è lontana che di quaranta giorni. A questo annuncio triste e desolante, tutti si prostrano a terra, tutti hanno ricorso alla preghiera. Tosto il Signore revoca la sua sentenza e li guarda con bontà. Lontano dal punirli, li ama e li ricolma di benefizi. (Gion. I-IV) Se io mi volgo da un’altra parte, veggo il profeta Elia, il quale per punire i peccati del suo popolo, prega Dio di non concedere la pioggia. Per il volgere di due anni e mezzo il cielo gli obbedì, e la pioggia non cadde che quando il medesimo profeta la domandò a Dio colla preghiera (III Reg. XVII, 1; XVIII, 44). Se io passo dall’Antico Testamento al Nuovo, noi vi vediamo che la preghiera, ben lungi dal perdere la sua forza, diventa più potente sotto la legge della grazia. Vedete Maddalena: da che ella prega gettandosi ai piedi del Salvatore, i suoi peccati le sono perdonati e sette demoni escono dal suo corpo (Luc. VII, 47; VIII, 2). Vedete san Pietro: dopo di aver rinnegato il suo Dio, ricorre alla preghiera; tosto il Salvatore getta gli occhi sopra di lui e gli perdona (Ibid. XXII, 61, 62.). Vedete il buon ladro (Ibid. XXIII, 42, 43). Se Giuda, il traditore, invece di gettarsi alla disperazione, avesse pregato Dio di perdonargli il suo peccato, il Signore gli avrebbe rimesso la colpa. (Jóan. XIV, 13,14). Sì, M. F., il potere della preghiera ben fatta è così grande che, quando tutto l’inferno, tutte le creature del cielo e della terra domandassero vendetta, e che Dio medesimo fosse armato delle sue folgori per schiacciare il peccatore, se questo peccatore si getta ai suoi piedi pregandolo di usargli misericordia, col rammarico di averlo offeso e col desiderio di amarlo, egli è sicuro del suo perdono. È giusta la promessa che ci ha fatto Egli medesimo, dicendo che Egli ci dà la sua parola di concederci tutto ciò che noi domandassimo al Padre suo nel suo Nome. Mio Dio, come è dolce e consolante per un Cristiano l’essere sicuro di ottenere tutto ciò che domanderà a Dio colla preghiera! Ma, forse mi direte voi, come conviene fare questa preghiera, perché abbia questo potere presso Dio? — Senza essere prolissi: la nostra preghiera, per avere questo potere, deve essere animata d’una fede viva, d’una speranza ferma e costante, che ci muova a credere che, per i meriti di Gesù Cristo, noi siamo sicuri di ottenere quello che domandiamo, e di più da una carità ardente.

1° Io dico in primo luogo, è necessario che abbiamo una fede viva. — E perché, mi direte voi? — Perché la fede è il fondamento e la base di tutte le nostre buone opere, e senza questa fede, tutte le azioni nostre, benché buone in se medesime, sono opere senza merito. Noi dobbiamo altresì essere penetrati della presenza di Dio, dinanzi al quale abbiamo la ventura di trovarci; un ammalato che una febbre violenta abbia fatto cader nel delirio e che batte la campagna, il suo spirito una volta fisso in qualche oggetto, benché nulla siavi di visibile, è tanto persuaso che egli vede o tocca, che quantunque si sforzi di persuadergli il contrario, egli non vuol crederlo. Sì, M. F., fu questa fede violenta, se oso così dire, colla quale S. Maddalena cercava il Salvatore, non avendolo trovato nella sua tomba. Ella era tanto penetrata dell’oggetto che ella cercava, che Gesù Cristo per provarla, o piuttosto non potendosi più nascondere all’amor suo che l’aveva padroneggiata, le apparve sotto la figura di un giardiniere, e le domandò perché piangesse e chi cercasse. Senza dirgli che cercava il Salvatore, esclama: “Ah! se voi l’avete preso, ditemelo, affinché vada a ripigliarlo.„ (1 Joan XX, 15) La sua fede era così viva, così ardente, se mi è lecito di così esprimermi, che quand’anche fosse stato nel seno del Padre suo, lo avrebbe costretto a discendere sopra la terra. Sì, ecco la fede della quale un Cristiano deve essere animato, quando ha la ventura di trovarsi a la presenza di Dio, affinché Dio possa nulla negargli.

2° In secondo luogo, io dico che alla fede è da aggiungere la speranza, vo’ dire, una speranza ferma e costante che Dio può e vuole concederci quello che gli domandiamo. Ne volete un modello? Eccolo. Vedete la Cananea (Matth. XV); la sua preghiera era animata da una fede così viva, da una speranza così ferma che il buon Dio poteva concederle ciò che domandava, che essa non cessò di pregare, di pressare, o se così oso di esprimermi, di fare violenza a Gesù Cristo. Si ha un bel respingerla, e dal medesimo Gesù Cristo; epperò non sapendo più a qual partito appigliarsi, si getta ai suoi piedi dicendogli per tutta preghiera: “Signore, aiutatemi! ,, e queste parole pronunciate con tanta fede incatenano la volontà di Dio medesimo. Il Salvatore tutto meravigliato esclama: O donna, la tua fede è grande! vattene, tutto ti è concesso. – Si, F. M., questa fede, questa speranza ci fanno trionfare di tutti gli ostacoli che si oppongono al nostro salvamento. Vedete la madre si S. Sinforiano; il suo figlio era tratto al martirio: “Ah! figlio mio, coraggio! Ancora un momento di pazienza, e il cielo sarà la tua ricompensa! „ Ditemi, M. F., chi sosteneva tutti i santi martiri in mezzo ai loro tormenti? Non è questa avventurosa speranza? Vedete la calma di cui godeva S. Lorenzo sopra la graticola infuocata. Chi poteva sostenerlo? — La grazia, mi direte voi. — Ciò è vero, ma questa grazia non è la speranza d’una ricompensa eterna? Vedete S. Vincenzo al quale si strappano le viscere con uncini di ferro; chi gli dà la forza di soffrire tormenti così straordinari e così spaventosi? Non è questa avventurosa speranza? Ora, M. F., chi deve muovere un Cristiano, che si mette alla presenza di Dio, a rigettare tutte quelle distrazioni che il demonio si sforza di presentargli nel tempo delle sue preghiere, ed a vincere il rispetto umano? Non è il pensiero che un Dio lo vede, che se la preghiera sua è fatta nel debito modo, egli sarà ricompensato di una felicità eterna?

3° In terzo luogo, io ho detto che la preghiera d’un Cristiano deve avere la carità, vale a dire che egli deve amare il buon Dio con tutto il suo cuore e odiare il peccato con tutte le sue forze. — E perché, mi direte voi? — Perché un Cristiano peccatore che prega, deve sempre avere il rammarico dei propri peccati e il desiderio di sempre più amare Iddio. — Sant’Agostino ne reca un esempio molto sensibile. Nel momento nel quale si recava nel giardino per pregare, egli si crede realmente alla presenza di Dio, egli spera che benché grande peccatore, Dio avrà pietà di lui; rimpiange la sua passata vita, promette al buon Dio di cangiar vita, e di fare, col soccorso della sua grazia, tutto quanto potrà per amarlo. — Infatti, in qual modo potere amar Dio e il peccato? No, M. F., no, ciò non avvenne mai. Un Cristiano che ama veramente il buon Dio, ama quello che Dio ama, odia quello che Dio odia; da ciò io inferisco che la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, non è fornita delle qualità delle quali abbiamo parlato.

II. Ora, vedrete con me che considerando la preghiera del peccatore per rapporto alle disposizioni sue, non è altra cosa che un atto ridicolo, pieno di contraddizione e di menzogna. Seguiamo un istante questo Cristiano che prega, io dico un istante, perché ordinariamente, le sue preghiere sono appena cominciate che già sono finite; ascoltiamo questo povero cieco e questo povero sordo; io dico cieco sui beni che egli perde e sui mali che egli si prepara, e sordo alla voce della propria coscienza che grida, alla voce di Dio che lo chiama. Entriamo in argomento, io sono sicuro che voi desiderate sapere che cos’è la preghiera di un peccatore che non vuole abbandonare il peccato, né è afflitto d’aver offeso Dio. Ascoltatemi: la prima parola che pronuncia cominciando la sua preghiera è una menzogna, egli cade in contraddizione con se medesimo: « Nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. „ Amico mio, fermatevi un momento. Voi dite che cominciate nel nome delle tre Persone della Ss. Trinità. Ma, voi dunque avete dimenticato che or fanno otto giorni, voi eravate in una compagnia della quale vi si diceva che quando si è morti tutto è finito, e se era vero, non esisteva né Dio, né inferno, né paradiso. Se nell’induramento vostro voi lo credete, voi non venite per pregare, ma solamente per sollazzarvi e divertirvi. — Ah! direte voi, coloro che tengono questo linguaggio sono molto rari. — Tuttavia ne occorrono tra coloro che mi ascoltano e che non lasciano qualche preghiera di tempo in tempo. Ed io vi mostrerei ancora, se il volessi, che i tre quarti di coloro che sono qui in chiesa, benché non lo dicano colla bocca, lo dicono spesso colla loro condotta e col loro modo di vivere; perché se un Cristiano pensasse veramente a quello che dice pronunciando i nomi delle tre Persone della Ss. Trinità, non sarebbe preso da spavento fino alla disperazione, considerando in lui l’immagine del Padre che ha alterato in modo spaventoso, l’immagine del Figlio che è nell’anima sua, trascinata nel fango del vizio, e l’immagine dello Spirito Santo, di cui il suo cuore è il tempio ed il tabernacolo, e che egli ha ripieno di lordure e di oscenità. Sì, M. F., queste tre parole sole, se questo peccatore avesse la conoscenza di quello che dice e di quello che egli è, potrebbe pronunciarle senza venir meno d’orrore? Ascoltate questo menzognero: “Mio Dio, io credo fermamente che voi siete qui presente, „ Ma che, voi credete di essere alla presenza di Dio dinanzi al quale gli angeli, che sono senza macchia, temono e non osano di alzare gli occhi, davanti al quale si ricoprono delle loro ali non potendo sostenere lo splendore della maestà che il cielo e la terra non possono contenere! E voi tutto coperto di peccati, voi vi trovate alla presenza sua con un ginocchio per terra e un altro levato. Osate voi aprire la bocca per lasciare uscire una tale abbominazione! Dite piuttosto che voi fate come le scimmie, che voi fate quello che vedete farsi dagli altri, o piuttosto che è un momento di divertimento che vi prendete facendo le viste di pregare. Un Cristiano che si mette alla presenza del suo Dio, che sente quello che egli dice all’autore medesimo della sua esistenza, non è compreso di spavento vedendo, da una parte, la indegnità sua di comparire davanti ad un Dio così grande e così formidabile, e dall’altra, la ingratitudine sua? Non gli sembra, ad ogni istante, che la terra si apra sotto i suoi piedi per inghiottirlo? Non si considera come sospeso tra la vita e la morte? Il suo cuore non sa ricolmarvi dei più insigni benefizi. Un’altra occupazione di questa sorta di gente, è di esaminare il modo onde sono vestite le persone e la loro avvenenza; e da ciò nascono i cattivi sguardi, i cattivi pensieri, i cattivi desideri. Or bene, direte voi che ciò non vi accade? Ciò non vi accade nel tempo stesso della celebrazione della santa Messa? Mentre che un Dio si immola alla giustizia del Padre suo per soddisfare ai vostri peccati, voi girate i vostri sguardi per vedere in qual modo una tale o un tale è vestito, e la sua avvenenza. Ciò non è la causa che fate nascere in voi medesimi un numero quasi infinito di pensieri che non dovreste avere e di cattivi desideri? Aprite dunque gli occhi, amico mio, e voi vedrete che tutto ciò che voi dite a Dio non è altra cosa che menzogna e inganno. – Proseguiamo. “Mio Dio, voi dite, io vi adoro e vi amo con tutto il mio cuore. „ Voi vi ingannate, amico mio, non bisogna dire il buon Dio, ma il vostro dio: e qual è il vostro dio? Eccolo: è quella giovane alla quale avete consacrato il cuor vostro, che vi occupa continuamente. E voi, mia sorella, qual è il vostro dio? Non è quel giovane al quale sono dirette tutte le cure vostre per piacergli, forse anche nella chiesa nella quale non dovete recarvi che per piangere i vostri peccati e domandare a Dio la conversione vostra? Non è egli vero che, mentre voi pregate, gli oggetti che voi amate occupano il vostro spirito, e si presentano dinanzi a voi per farsi adorare in luogo del vostro Dio? Non è egli vero che ora è il dio della golosità che si presenta davanti a voi per farsi adorare, pensando a ciò che mangerete quando sarete tornati a casa? O, un’altra volta, il dio della vanità, prendendo impero sopra voi medesimi, considerandovi come degni di meritarvi l’adorazione degli uomini? Sapete voi quello che voi dite a Dio? Ecco: « Signore, così voi, discendete dal vostro trono, cedetemi il vostro posto. „ Mio Dio, quale orrore e quale abbominazione! Eppure voi dite tutto ciò tutte le volte che desiderate di piacere ad alcuno. Un’altra volta è il dio dell’avarizia, dell’orgoglio o dell’impudicizia, i quali si sono presentati per farsi adorare ed amare nel luogo del vero Dio. Bramate voi che ve lo addimostri in un modo più chiaro? Ascoltatemi. Nel tempo della celebrazione della santa Messa, o durante le vostre preghiere, si presenta alla vostra mente un pensiero di odio o di vendetta; se voi amate dappiù il buon Dio che non quegli oggetti, voi li scaccerete prontamente; ma se voi non li allontanate, voi mostrate che li preferite a Dio e che li mettete nel posto di Dio medesimo nel vostro cuore per consacrarlo loro. Torna lo stesso come se diceste a Dio, quando questi pensieri si presentano alla vostra mente: “Mio Dio, uscite dalla mia presenza e lasciatemi mettere nel vostro luogo quel demone per consacrargli gli affetti del mio cuore. „ Voi non mi contenderete che non è quasi mai il buon Dio che voi adorate nelle vostre preghiere, ma ciascuna delle inclinazioni vostre, ma ciascuna delle vostre tendenze, vo’ dire, quelle passioni e null’altro. — Ciò, mi direte voi, rasenta l’esagerato. — Ciò rasenta l’esagerato, amico mio? Ora, io voglio dimostrarvi che è la verità, nella piena sua luce. Ditemi, mio fratello, o, voi, mia sorella, quando vi confessate, il vostro confessore non vi dice: “Se voi allontanate quei desideri, se voi scacciate quei pensieri, o se voi cessate da quelle perverse abitudini, se abbandonate quelle bettole, io vi darò il vostro Dio, voi avrete la ventura di riceverlo oggi nel vostro cuore? „ — “No, mio padre, gli dite, non è ancor tempo: io non mi sento il coraggio di impormi questo sacrificio, vo’ dire di abbandonare quelle danze, quei giuochi, quelle cattive compagnie. „ — Ciò non significa per avventura che voi preferite che il demonio regni nella vostra anima nel luogo del buon Dio? Il confessore dirà a quel vendicativo: “Amico mio, se voi non perdonate a quella persona che vi ha offeso, voi non potete avere la sorte di possedere il Dio dei Cristiani. „ — “No, mio padre, voi rispondete, io preferisco di non ricevere il buon Dio. „ — “Amico mio, dirà il confessore ad un avaro, se voi non restituite quei beni che non sono vostri, voi siete indegno di ricevere il vostro Dio. „ — “Io non ho l’intenzione di restituirli tosto; „ e la stessa cosa di tutti gli altri peccati. Ciò è tanto vero che, se ciò che noi amiamo apparisse visibilmente, ciascuno avrebbe dinanzi a sé un ramo dei sette peccati capitali, e Dio resterebbe per gli angeli soli. – Ma andiamo più innanzi, e noi vedremo, e udremo questo cerretano e questo Cristiano mentitore. – E dapprima vediamo la sua fede. Noi diciamo che è la fede che ci discopre la grandezza della maestà di Dio dinanzi alla quale abbiamo la ventura di trovarci; è questa fede, associata alla speranza, la quale sosteneva i martiri in mezzo ai più spaventosi tormenti. Ditemi, quel peccatore, può avere il pensiero, può credere, cominciando la sua preghiera, che essa sarà ricompensata? E che una preghiera ripiena d’ogni sorta di cose eccettuato Dio solo, una preghiera fatta vestendosi o lavorando, col cuore occupato del proprio lavoro, fors’anche da livore e da vendetta, che so io, da cattivi pensieri! Una preghiera fatta gridando e giurando contro i vostri figli o i vostri domestici! Se ciò fosse vero, non saremmo costretti di confessare che Dio ricompensa il male?

2° Io dico che il peccatore non ha la speranza facendo la sua preghiera, se non che sarà ben presto finita: ecco a che si limita tutta la sua speranza. — Ma, mi direte voi, quel peccatore, benché peccatore sia, spera pur qualche cosa? — Or bene! io credo che un peccatore nulla crede e nulla spera, perché se credesse che vi è un giudizio, e quindi un Dio che deve domandargli conto di tutti i minuti della sua vita, e questo conto si renderà nel momento al quale non si penserà; se credesse che un sol peccato mortale lo rende meritevole d’una eternità infelice; se egli ponesse mente che non una preghiera della sua vita, non un desiderio, non un’azione, non un movimento del suo cuore che non sia scritto nel libro di questo supremo giudice; se egli vedesse la sua coscienza contaminata da orribili colpe, e che forse, lui solo, ha commesso tanti peccati quanti basterebbero per condannare al fuoco una città di cento mila abitanti, potrebbe restare in questo stato? No, certamente, se egli credesse davvero, che dopo questo giudizio vi è pei peccatori un inferno eterno, di cui un solo peccato mortale sarà la causa, se egli muore in questo stato; che la collera di Dio lo opprimerà per tutto il volgere dell’eternità, e che i peccatori vi cadono a migliaia continuamente; non prenderebbe tutte le cautele per evitare una così grande sventura? Se egli credesse veramente che vi è un cielo, una felicità eterna per tutti coloro che avranno fedelmente praticato quanto la religione loro comanda, potrebbe condursi nel modo col quale si conduce? No, certamente. Se, nel momento nel quale è pronto a peccare, egli credesse che Dio lo vede, che perde il cielo e attira sopra di sé ogni sorta di mali per questa vita e per l’altra, avrebbe il coraggio di fare quello che il demonio gli inspira? No, amico mio, no, ciò gli sarebbe impossibile. Da ciò io inferisco che un Cristiano che ha peccato e che resta nel suo peccato, ha perduto completamente la fede; è un povero uomo che il demonio ha accecato, che è sospeso per un sottilissimo filo sopra un abisso spaventoso; il demonio lo impedisce, per quanto può, di vedere gli orrori che gli sono preparati. Diciamo meglio, le sue piaghe sono così profonde ed il suo male così inveterato, che egli più non sente il suo stato; è un prigioniero, condannato a perdere la vita sul patibolo, il quale si trastulla aspettando il momento dell’esecuzione; si ha bel dirgli che la sua sentenza è pronunziata, che fra poco tempo non sarà più di questo mondo; a vederlo e al modo col quale si conduce, voi direste che gli si annuncia ciò che può recargli fortuna. O  mio Dio, quanto lo stato d’un peccatore è dunque infelice! Per la speranza d’un peccatore, non è da parlarne, perché la speranza d’un bruto e la sua sono la cosa medesima; esaminate la condotta dell’uno e dell’altro, non vi corre differenza. Una bestia fa consistere tutta la sua felicità nel bere e nel mangiare e nei piaceri della carne, e voi non ne incontrerete altra nel peccatore che vive nel peccato. — Ma, mi direte voi, egli assiste alla Messa, e recita alcune preghiere. — E perché ciò? Non è né il desiderio di piacere a Dio e di salvare la propria anima che lo muove a quest’opera, è l’abitudine che ha contratta dalla sua giovinezza. Se le domeniche non venissero che tutti gli anni o tutti i dieci anni, non vi assisterebbe che tutti gli anni e ancor meno; egli lo fa perché gli altri lo fanno. Voi vedete bene al modo col quale si conduce in tutto ciò che non è altra cosa; o, per meglio farvi conoscere quello che è la speranza d’un Cristiano peccatore, io vi dico che non ha altra speranza che quella di una bestia da soma; perché noi siamo perfettamente convinti che un bruto non spera che ciò di cui può godere sopra la terra. Un peccatore indurito che non pensa né di abbandonare il piacere, né vuol uscire dal peccato, non ha altra cosa da sperare, perché dice e pensa, o almeno fa quanto può per persuadersi che tutto è finito dopo la morte. Invano, o mio Dio, voi sarete morto per questi peccatori! Ah! amico mio, credendo far mostra di spirito, tu ti avvilisci, poiché scendi al livello dei bruti e dei più vili animali.

3° Abbiamo ancor detto che la preghiera di un buon Cristiano dev’essere animata dalla carità, cioè dall’amor di Dio che lo induce ad amar Dio con tutto il suo cuore, e ad odiare, detestare grandemente il peccato come il peggiore di tutti i mali, con sincero desiderio di non più commetterlo e di combatterlo e schiacciarlo ovunque noi lo troveremo. Voi vedete che questo non può aver luogo nelle preghiere d’un peccatore che non è spiacente d’aver offeso il buon Dio, poiché io tiene inchiodato sulla croce del proprio cuore, fintanto che il peccato vi regna. Se vi garba di ascoltare per un istante ancora questo mentitore, vedetelo ed uditelo nel recitare il suo atto di contrizione. Se avete assistito alcuna volta ad una commedia, al teatro, avrete osservato che tutto quanto vi si fa e vi si dice, non è che finzione e menzogna. Or dunque! Prestate un momento l’orecchio alla preghiera di questo peccatore, e voi vedrete che non fa e non dice altra cosa; voi vedrete che tutto ciò che fa non è che finzione e menzogna. Vi sarà impossibile sentirlo recitare il suo atto di contrizione senz’essere presi da compassione: “Dio mio, incomincia egli, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore del cuor mio. „ O mio Dio, si può pronunciare tale abbominazione? Sì, non c’è dubbio, povero cieco, il Signore vede veramente i tuoi peccati, non li vede che troppo, disgraziatamente. Ma il tuo dolore dov’è? Di’ piuttosto: “Mio Dio, che vedete i miei peccati, guardate altresì al dolore dei santi solitari nei boschi, donde trascorrono le notti a piangere i loro peccati. „ Ma per te, ben veggo che punto non ne hai. Ben lungi d’aver dolore de’ tuoi peccati non ne vorresti avere, poiché tu continui in questi, senza volerli lasciare. “Mio Dio, continua questo mentitore, io ho un estremo rammarico di avervi offeso. „ Ma è possibile pronunciare tali empietà e tali bestemmie? Se tu ne sei oltremodo spiacente, puoi rimanere un mese, due, tre, dieci o vent’anni, forse, col peccato nel cuore? Una volta ancora, se tu fossi spiacente d’aver offeso Dio, sarebbe necessario che il ministro del Signore fosse continuamente occupato a dipingere i castighi che Dio prepara al peccatore, per inspirartene l’orrore? Sarebbe necessario di trascinarti, per così dire, ai piedi del tuo Salvatore per farti abbandonare il peccato? “Perdonatemi, Dio mio – aggiunge egli – perché voi siete infinitamente buono e infinitamente amabile e che il peccato vi dispiace.„ Taci, tu non sai quel che tu ti dica. Certamente che Dio è buono; se non avesse dato ascolto che alla sua giustizia, sarebbe già da lungo tempo che tu bruceresti nell’inferno. “Mio Dio, egli dice, perdonatemi i miei peccati per i meriti della passione e morte di Gesù Cristo vostro caro Figlio. „ Ah! amico mio, tutte le sofferenze che Gesù Cristo ha avuto la carità di patire per te, non saranno capaci di toccare il tuo cuore, esso è troppo indurito. “Concedetemi la grazia – esso dice – di adempire la risoluzione che presentemente prendo di fare penitenza e di non offendervi più,,. –  Ma, caro amico, puoi tu veramente ragionare in tale maniera? Dov’è dunque questa risoluzione che tu hai presa di non più offendere il buon Dio? Poiché tu ami il peccato, e lungi dal volertene liberare, cerchi invece il luogo e le persone che te lo possono far commettere; di’ piuttosto, amico mio, che saresti ben fortunato se il buon Dio ti concedesse la grazia di non offenderlo mai più, poiché tu ti compiaci a rivoltolarti nelle lordure de’ tuoi vizi. Io credo che sarebbe molto meglio per te di nulla dire, che parlare in tal guisa. – Ma andiamo più innanzi. Noi leggiamo nel Vangelo che i soldati avendo condotto Gesù Cristo nel pretorio, ed essendosi radunati intorno ad Esso, lo spogliarono delle sue vesti, gettarono sopra le sue spalle un manto di porpora, lo coronarono di spine, lo colpirono al capo con una canna, gli diedero delle ceffate, gli sputarono in viso, e dopo tutto ciò, piegando un ginocchio davanti a Lui l’adoravano. Puossi immaginare un oltraggio più sanguinoso? Ora ciò desta la vostra meraviglia? Ecco veramente la condotta d’un Cristiano che è nel peccato e che né pensa di uscirne, né lo vuole; ed io soggiungo, che egli solo fa tutto ciò che i Giudei fecero tutti insieme, poiché S. Paolo ci dice che ad ogni peccato che noi commettiamo, noi facciamo morire il Salvatore del mondo; (Hebr. VI, 6) con altre parole, noi facciamo tutto ciò che sarebbe necessario per farlo morire, se di nuovo fosse capace di morire una seconda volta. Finché il peccato regna nel nostro cuore, noi teniamo, come i Giudei, Gesù Cristo appeso alla croce; con essi noi lo insultiamo piegando il ginocchio davanti a Lui, facendo sembiante di pregarlo. Ma, mi direte voi, non è questa la mia intenzione, quando recito la mia preghiera; Dio mi scampi da tali orrori! — Bella scusa, amico mio! Colui che commette il peccato, non ha l’intenzione di perdere la grazia; tuttavia non tralascia di perderla; è per avventura meno colpevole? No, certamente, perché egli non ignora che non può compiere tale azione o dire tal cosa senza rendersi colpevole d’un peccato mortale. Se voi vi tenete sicuri, l’intenzione di tutti i dannati, non era certamente di perdersi, per questo sono meno colpevoli? No, certamente, perché non ignoravano che si perderebbero vivendo come sono vissuti. Un peccatore che prega col peccato nel cuore non ha l’intenzione di ridersi di Gesù Cristo né di insultarlo; non è meno vero che si ride di Lui, perché non ignora che si ride di Lui quando gli si dice: Mio Dio, io vi amo, mentre si ama il peccato, o: Io mi confesserò al più presto. Ascoltate quest’ultima menzogna! Egli non pensa né a confessarsi né a convertirsi. Ma, ditemi, qual è l’intenzione vostra, quando vi recate alla chiesa, o che voi recitate ciò che chiamate vostra preghiera? — È, mi direte voi forse, se pure usate il dirlo, di compiere un atto di rendere a Dio religione, la gloria che gli sono davanti. Oh orrore! Oh accecamento! Oh empietà voler onorar Dio con delle menzogne, con altre parole volerlo onorare con ciò che lo oltraggia! Oh abominazione! Avere Gesù Cristo sulle labbra e tenerlo crocifisso nel proprio cuore, associare ciò che vi ha di più santo con ciò che v’ha di più detestabile, che è il servizio del demonio! oh! quale orrore! offrire a Dio un’anima che si è già mille volte prostituita al demonio! O mio Dio! Quanto il peccatore è cieco, e tanto più cieco che non conosce se stesso, e non cerca di conoscersi! – Non aveva io ragione cominciando, di dirvi che la preghiera d’un peccatore non è altra cosa che un tessuto di menzogne e di contraddizioni? Ciò è tanto vero che lo Spirito Santo medesimo dice che la preghiera d’un peccatore che non vuole uscire dal peccato è in esecrazione agli occhi del Signore (Prov. XXVIII, 9) — Questo stato, direte voi con me, è orribile e degno di compassione. — Ora, vedete come il peccato vi accechi! tuttavolta, lo dico senza timore di esagerare, almeno la metà di coloro che sono qui, che mi ascoltano in questa chiesa, sono di questo numero. Non è egli vero che ciò non vi commuove, o piuttosto vi reca noia e vi fa parer lungo il tempo? Ecco, mio amico, l’abisso spaventoso al quale trascina il peccato un peccatore. Dapprima, voi sapete che sono sei mesi, un anno o più che siete nel peccato, eppure siete tranquillo? — Eh sì, mi direte voi. — Ciò non è difficile a credere, perché il peccato vi ha offuscati gli occhi; voi non vedete più nulla, ha indurato il vostro cuore affinché più nulla sentiate, ed io sono come sicuro che tutto ciò che vi ho detto non vi muoverà a fare qualche riflessione. O mio Dio, a quale abisso conduce il peccato! – Ma, mi direte voi, non devesi più pregare, perché le nostre preghiere non sono che insulti fatti a Dio? — Non è questo che io ho voluto dirvi mostrando che le vostre preghiere non erano che menzogne. Ma, invece di dire: Mio Dio, io vi amo, dite: Mio Dio, io non vi amo, ma concedetemi la grazia di amarvi. Invece di dirgli: Mio Dio, io ho un grande rammarico di avervi offeso, ditegli: Mio Dio, io non provo alcun rammarico dei miei peccati, concedetemi tutto il dolore che devo sentirne. – Lontano da voi il dire: Io voglio confessarmi dei miei peccati, ditegli piuttosto: Mio Dio, io mi sono affezionato ai miei peccati, parmi che non vorrei mai abbandonarli; concedetemi questo orrore che devo sentirne, affinché io li aborri, li detesti e li confessi, onde mai più ricadervi. O mio Dio, concedetemi, se è la volontà vostra, questo orrore eterno del peccato, perché è il nemico vostro, ed è lui che vi ha fatto morire, che ci toglie l’amicizia vostra, e ci separa da Voi! Ah! fate divin Salvatore, che tutte le volte che verremo a pregarvi, lo facciamo con un cuore staccato dal peccato, con un cuore che vi ama, e che in ciò che vi dirà, non dica che la verità! E la grazia che vi desidero.

LO SCUDO DELLA FEDE (144)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (12)

FIRENZE

DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE XIII

Il Canone della Santa Scrittura. — Se sieno o no divini i libri del Canone Cattolico, detti Deuterocanonici.— Perché rigettati sieno dai protestanti.

67. Prot. Se ho commesso grave errore rigettando la Tradizione, non erro al certo se costantemente rigetto come apocrifi certi libri che la Cattolica Chiesa ammette e spaccia per divini, sotto lo specioso nome di Deuterocanonici. Questi sono, riguardo al Vecchio Testamento, i Libri   di Baruc, di Tobia, di Giuditta, della Sapienza, dell’Ecclesiastico, il primo e il secondo dei Maccabei. Oltre a ciò: gli ultimi sei capitoli del libro di Ester, il Cantico dei tre fanciulli, in Daniele, i due ultimi capitoti attribuiti a questo Profeta, contenenti la storia di Susanna, e quella di Bel, e del dragone. Riguardo poi al Nuovo Testamento, rigetto l’Epistola, detta, di S. Paolo agli Ebrei, la seconda di S. Pietro, quelle di S. Giacomo e di S. Giuda, la seconda e la terza di Giovanni, l’Apocalisse, gli ultimi dodici versetti dell’ultimo capitolo di S. Marco, la storia del sudore di sangue in S. Luca – XXII. 43, 44. – e la storia della donna adultera, in S. Giovanni. VIII, 3. 12 – [I Deuterocanonici del Vecchio Testamento furono rigettati da tutti i protestanti: quelli del Nuovo sono ammessi dai Calvinisti.]. Io dunque giustamente li rigetto come apocrifi, perché quelli assegnati al Vecchio Testamento non furono ammessi da Esdra nel Canone dei Libri divini da esso composto; e quelli del Testamento Nuovo non furono come divini riconosciuti dalla più gran parte delle Chiese nei primi secoli dell’era cristiana. Oh!. qui poi ho certamente ragione.

Bibbia. Tu erri grandemente:

1.° Perché, riguardo al Vecchio Testamento, non è noto che Esdra abbia composto il Canone dei Libri Santi, e però se non hai altro appoggio, sei per lo meno incerto della loro autenticità, e quindi neppur uno ne puoi ricevere per divino.

2.° Perché, anche ciò ammesso, se altro appoggio non vi fosse, rigettar dovresti come apricrifi anche di quelli che ammetti come divini; cioè il Libro di Neemìa. la Profezia di Malachia, il primo e il secondo dei Paralipomeni, i quali essendo stati scritti dopo la morte di Esdra in verun modo possono appartenere al suo Canone. Infatti, Neemia parla – [XII. 22.-1] di cose avvenute dopo la morte di Esdra: Malachia parla del culto negletto dei sacrifici per parte dei sacerdoti e del popolo; il che suppone la completa restaurazione del tempio, la quale non si effettuò durante la vita di Esdra. Nel primo dei Paralipomeni – Cap. 3 – si trova la genealogia dei discendenti di Zorobabele per dieci successive generazioni, cioè sino a circa trecento anni dopo la morte di Esdra. Pertanto, la vera ragione per cui quei libri non furono posti nel sacro Canone della Sinagoga, a cui ciò apparteneva,  non fu perché non fossero divini, ma perché dopo la morte di Malachia restò interrotta la successione dei Profeti, senza dei quali nulla faceva d’importante; come è noto dal fatto di Giuda Maccabeo, il quale, tuttoché Sommo Pontefice, non osò disporre delle pietre dell’altare profanato dai Gentili, perché mancava un Profeta. « E ne ripose le pietre sul monte del tempio in luogo  conveniente, persino a tanto che venisse un profeta, e decidesse in quel che si avesse da fare. » [I.° de Macc. IV, 46.- Ciò attesta anche Giuseppe Ebreo, dicendo : – Lìb. 1, cont. Apion. – I Talmudisti in molti luoghi citano testi di essi libri come di divina autorità; dal che è manifesto che anche i Giudei li riguardano come divini, quantunque non apposti ancora nel loro Canone,]

68. Prot. Non mi appoggio alla sola autorità di Esdra per discernere i libri divini dagli apocrifi, ma posseggo varie altre regole, o criteri di verità che mi conducono infallibilmente al mio intento, tanto per riguardo al Testamento Vecchio che al Nuovo. E parlandosi del primo, ho per regola principale che riguardar si debbano come libri divini quelli soltanto che nel secondo citati sono da Gesù Cristo, o dagli Apostoli, o che almeno fanno ad essi manifesta allusione.

Bibbia. Non può dubitarsi che siano divini i libri citati da Gesù Cristo e dagli Apostoli; e però non puoi ricusare di riconoscer per tali la Sapienza, citata .- XIII, I. – da S. Paolo – Rom. I . 20, –

2.° L’Ecclesiastico, citato – XI, 49. – da S. Luca – XII. 19. – citato – XIV, 48. – XLII, 4. da S. Giacomo – I. 2, II. 1.-

3.° il primo e il secondo de’ Maccabei, citati, il primo – Il. 39. – il secondo – V, VI, VII. – da S. Paolo – Ebr, XI, – 34, 35, 36. – È poi falsissimo non sieno divini i non citati. Se ciò vero è dovresti come apocrifi non pochi di quelli che anche tu ammetti per divini. Infatti, nel Nuovo Testamento in verun modo citati sono i libri dei Giudici, di Ruth, il 1.° de’ Re, i due dei Paralipomeni, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, quelli di Esdra e di Neemia, di Abdia, di Sofonia; né la parte protocanonica di quello di Ester.

69. Prot. Anche qui ho dato in fallo; ma credo certamente sicurissime le altre mie regole, cioè. – La sensazione interna degli effetti dello Spirito Santo, che sperimentasi nella lettura dei libri santi: la convinzione dell’utilità di tali scritti per migliorare il cuore, etc. L’eccitamento interiore a sentimenti di pietà: ed una certa sensazione, o sapore interno, che molto diletta; etc.

Bibbia. Tutte queste tue regole non sono che ciance e illusioni. Per discernere con sicurezza i libri divini dagli apocrifi è la decisione di un’autorità infallibile, stabilita a ciò dal Signore, né vi è altro mezzo che questo. Tale autorità fu data, nel Vecchio Testamento, alla Sinagoga, e nel Nuovo è concessa a che siede sulla Cattedra di S. Pietro, essendo infallibili, col Concilio o senza, le sue decisioni, come già si è veduto. Onde a nulla vale la pratica delle chiese particolari, a cui ti appoggi, se pure è vero ciò che mi hai detto, del che molto dubito; perché al solo Pietro e suoi successori appartiene, in tutto, il governo supremo, l’Autorità innappellabile sull’Ovile di Cristo.

70. Prot. Come! Come! Appartiene al Papa anche il decidere quanti siano o no i Libri Santi! Dove ciò trovasi scritto? Oh! è vero che ho convenuto con voi che il Papa è infallibile, ma ciò nonostante, questa non la posso inghiottire, non ve la passo, se non me lo dimostrate con testi chiari, lampanti.

Bibbia. Ti contenterò: ascolta. « Vi sono alcuni che vi conturbano, e vogliono capivoltare il Vangelo di Cristo…. Or vi fo sapere, o fratelli, come il Vangelo, che è stato evangelizzato da me non è cosa umana: imperocché non l’ho ricevuto, nè l’ho imparato da uomo, ma per rivelazione di Gesù Cristo. » [Gal. I, 7] . – « Andai di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, preso meco anche Tito. E vi andai per rivelazione: e conferii con quelli il Vangelo che io predico tra le nazioni, e distintamente con quelli che erano in grande autorità; affinché io non corressi o avessi corso senza frutto…. cioè a dire per riguardo di que’ falsi fratelli, i quali si erano intrusi ad esplorare la nostra liberta, che abbiamo in Cristo Gesù…. Ai quali non cedemmo neppure un momento;… affinché rimanesse presso di voi la verità del Vangelo…. E avendo riconosciuto la grazia conceduta a me, Giacomo e Cefa e Giovanni, che eran riputati le colonne, porsero le destre di confederazione a me, etc. » -[ivi, 1, 2 e segg.].

« Osserva bene questo fatto. Il Vangelo predicato, a voce e in iscritto da S. Paolo, essendogli stato rivelato da Gesù Cristo, era incontestabilmente parola di Dio. Pure dubitandone non pochi fedeli, per le mene inique dei fasi fratelli, per turare a questi la bocca, ed assicurarne i buoni, e così non correre senza frutto, gli fa d’uopo di andare a Gerusalemme, e per divina rivelazione, ossia gli fu d’uopo ricorrere per divino comando ossia all’autorità di quella Chiesa ove era Pietro con altri Apostoli, e conferire con essi il suo Vangelo, e riportarne ai fedeli l’autentica approvazione, il che fece, riferendola loro con queste parole: «.Avendo riconosciuto la grazia concessa a me Giacomo e Cefa e Giovanni,… porsero le destre, etc. » E siccome ciò nonostante, attesa la pubblicità dei fatti, e l’importanza di tale affare, era necessaria una decisione solenne obbligatoria per tutta la Chiesa, S. Pietro e non altri, è quegli che autenticamente dichiara che tutti gli scritti di Paolo sono parola di Dio; e ne spedisce a tutti i fedeli la inappellabile decisione concepita in queste parole. « La benignità del Signor nostro tenete in luogo di salute: conforme anche il carissimo nostro fratello Paolo PER LA SAPIENZA A LUI DATA vi scrisse, come anche in tutte le altre epistole, nelle quali parla di queste cose etc. » [II di Piet. III, 15, 16] Ora ne sei persuaso?

71. Prot. Sì certamente. Udite adesso i genuini miei sentimenti. – « Qualunque sieno le cause accidentali che hanno impedito di aggiunger nuovi libri al Canone di Esdra,… a me pare che la Sinagoga di Giudea, tal quale era divenuta, sola non era più competente su questo soggetto, e che la CHIESA CRISTIANA, LA QUALE LE SUCCEDEVA, EBBE PERCIÒ QUESTA COMPETENZA, nel modo stesso che la Sinagoga dei tempi di Esdra era stata giudice degli scritti anteriori anche di più secoli. Or noi abbiamo veduto qual caso hanno fatto i Dottori della Chiesa primitiva dei libri che noi riguardiamo adesso come apocrifi, ed inoltre veduto abbiamo che gli Apostoli frequentemente fanno allusione ad essi anche allorquando non gli nominano, com’eglino neppur nominano tutti i libri dell’Antico Testamento, che citano. » [Mouliniè, pastore di Ginevra: Notices des livres apocryphes de l’ancien Testament: Genève 1828, Introduction, p. 7.]

« Quanto alla sensazione interna, o sapore, io debbo confessare che giammai l’ho provata, e quelli che la provano non sono degni d’invidia, né più vicini alla verità; dappoiché i Maomettani la provano egualmente che i Cristiani: e siccome questa sensazione interna è la sola prova sulla quale Maometto ha fondata la sua religione, che tante migliaia di uomini hanno adottata, così dobbiamo conchiudere che essa è ingannevole. L’altro carattere è ugualmente insufficiente: poiché dei pietosi sentimenti possono essere eccitati per mezzo di opere puramente umane, per mezzo di scritti di filosofi, ed anche per mezzo di dottrine fondate sull’errore.

La sensazione interiore degli effetti dello Spirito Santo, è la convinzione dell’utilità di tali scritti per migliorare il cuore, e purificarci; sono criteri non meno incerti dei precedenti. » [Michaelis, Introd. ou Nouveau Test, quatr. edit., Genève 1822, T. 1 part. I. chap. 3. seri. 2, p. 213.].

« Come può per tal modo un protestante provare ad uno che il nieghi, esser canonica, per esempio, l’Epistola di S. Giacomo? A quest’angustia è dunque ridotta la cosa, o di affermare che noi conosciamo di esser ella autentica con la stessa testimonianza dello Spirito Santo, nei nostri cuori, con cui venne scritta, ovvero di far ritorno a Roma dicendo, che per la Tradizione conosciamo averla la Chiesa ricevuta nel Canone, e che la Chiesa è infallibile. Chi il può trovi una via di mezzo. » [Rob. Barclay, Op. Theologìæ vere Christianæ: edict. 2, I.ond. 1720. p. 67]. « Non dubito dire che tutti i colpi, che vibrare si vogliono contro i libri (detti) apocrifi, possono esser diretti con successo dagli increduli contro il Canone Sacro (ammesso anche dai protestanti) e servire a sconquassare l’edilizio della Chiesa. » [Mouliniè luog. Cit.] – « Non parlo per incriminare alcuno, ma per dimostrare che deve ciascuno diportarsi da equo giudice di questi libri (detti) apocrifi, onde non succeda lo stesso, in pena comune, a tutto il Codice Sacro. » [Reus, Dissert. pol. de libris V. Test, apocryphis, perperam plebi negatis, p, 13.] Eccovi i veri miei sentimenti; né questi sono soltanto  di adesso. Bibbia. Se non sono soltanto di adesso, perché rigettasti que’ libri?

72. Prot. «Perché certi passi fecero credere che la dottrina di questi libri non era punto conforme all’analogia della fede, e ripassando ancora tutte le obbiezioni che si era veduto opporsi alla loro canonicità, se ne concluse la soppressione di tutti. » [Mouliniè: luog. Cit.]

Bibbia. Che ti vergogni a dir tutta la verità? Spiegati meglio.

Prot. « Si dilungarono i protestanti suspicando, e per non poco tempo, da questi libri (del V. Test.), perciocché da un pregiudizio dogmatico erano miseramente illusi. Nondimeno devesi attribuire a gran ventura che dalla Sinodo d’Ippone Reggio nell’anno 393. e dal Concilio III. di Cartagine nel 397, i Libri apocrifi, di cui abbiamo parlato, sono stati accettati, e formalmente ricevuti nel Canone dell’Antico Testamento, e quel che più monta, confermati e mantenuti come parte integrante del medesimo, da Papa Innocenzo I, l’anno di nostra salute 403, da Papa Gelasio nel 494. Ciononostante, i Riformatori del secolo XVI, vollero di nuovo tor via i libri, così chiamati, apocrifi dal Canone. Eglino si ridussero a tal passo, siccome per noi fu detto, per ragione di dogmi. »[Berthold, Introduzione istorico-critìea a tutti i libri canonici, e apocrifi dell’antico e del nuoto Testamento, 1812, T. 1, p. 263.]  Vi parlerò anche più chiaro. « La nostra Chiesa continua a non ammettere come libri divini, gli apocrifi (deuterocanonici) solo per aver la Chiesa Romano-Cattolica attinto da questi gli argomenti, onde provare alcuni suoi dogmi, a mò di esempio, la Messa ed il Purgatorio » [Brestschneider, Compendio della dogmatica della Chiesa Evangelico-luterana, l823, T. 1, p. 126]. Tra gli altri « Lutero ed i suoi seguaci…. cancellarono dalla loro Bibbia l’Epistola di S. Giacomo, perché essa raccomanda le buone opere, ed insiste sulla loro necessità; la quale Epistola; Lutero la chiama l’Epistola straminea? » [Cobbet, Storia della Riforma protestante, etc; Lett. XI, § 328.]